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cap. 3 - IL LIBERALISMO SOCIALISTA E IL PENSIERO ECONOMICO
Il pensiero economico
Ci fu un momento in cui Carlo Rosselli pensò di dedicarsi essenzialmente
agli studi economici. Non durò a lungo un simile stato d’animo e già prima del
delitto Matteotti Carlo era impegnato apertamente accanto ai socialisti unitari.
Un elemento fondamentale che lo spinse a non abbandonare subito l’università
e l’incarico a Genova e quindi a meditare a lungo sulla scelta fu la profonda
esigenza che egli sentiva di chiarire a se stesso il problema, insieme politico
ed economico, che era appunto al centro dei suoi studi scientifici. In realtà,
l’esigua produzione scientifica di Rosselli è caratterizzata proprio dalla
scelta di problemi al centro del dibattito politico nell’Italia e nell’Europa di
quegli anni, di cui Rosselli rivendica, con acume, l’attualità e la complessità.
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E’ necessario ricordare l’attività didattica di Rosselli a Genova e la sua
presenza animatrice tra gli esponenti dell’antifascismo ligure.
A 25 anni Carlo venne chiamato dalla fiducia e dalla stima di Attilio
Cabiati per ricoprire nell’anno 1924-25 l’incarico di Istituzioni di economia
politica e l’anno successivo anche quello di Economia politica presso l’Istituto
Superiore di Studi Commerciali. A Genova, Rosselli acquistò in quei due anni
fama di buon insegnante.
Subito dopo il delitto Matteotti, si costituì a Genova il comitato delle
opposizioni che ebbe in Raffaele Rossetti uno dei capi più risoluti; Rosselli
trovò in questa città, proprio nel gruppo che faceva capo a Raffaele Rossetti,
il centro dei suoi contatti politici.
Contatti che in quei due anni restarono piuttosto limitati dati gli intensi
impegni accademici. Fu, quindi, soprattutto nell’ambiente dell’università e tra
i giovani che Carlo esercitò una certa influenza e riuscì a guadagnare altri
seguaci alla lotta antifascista.
Tra la fine del 1925 e gli inizi del 1926 nasceva a Genova la rivista
“Pietre” che voleva porre <<le premesse culturali e psicologiche di una
revisione critica della tradizione aventiniana>>.
Isolati e messi ai margini della vita culturale ed universitaria i giovani
di Pietre trovarono in Rosselli un consigliere ed un ispiratore. Si trattò, nel
complesso, di un’influenza morale: sia per il carattere composito del gruppo di
Pietre sia perché Rosselli sentiva in quel momento l’esigenza della lotta
unitaria antifascista.
Fascisti e polizia non tardarono ad accorgersi di Rosselli che, da parte
sua, non esitava a prendere apertamente posizione contro il regime quando
capitasse l’occasione. Fu anche aggredito dai fascisti alla fine di una lezione
il 27 aprile 1926.
D’altra parte, ormai, Carlo era impegnato a fondo nella lotta antifascista.
L’ultimo saggio di economia apparve su “La Riforma sociale” nell’aprile 1926 e
da allora, in tutta la sua vita, Carlo non sentì più l’urgenza di dedicarsi ai
lavori scientifici.
Ma, in questo breve arco di tempo, Rosselli produsse molti saggi di economia
e soprattutto approfondì meglio le sue tesi sul sindacalismo.
Le basi della teoria economica del sindacalismo, tracciata nei saggi de “La
riforma sociale”, erano state poste da Rosselli fin dal 1922 lavorando alla tesi
di laurea che avrebbe dato a Siena nel luglio 1923 e che si intitolava appunto
“Prime linee di una teoria economica dei sindacati”.
La tesi del ’23, a cui il giovane giunge dopo l’esperienza di studio in
Inghilterra, le discussioni torinesi, ed importanti letture sui principali
economisti del tempo rappresenta un passo avanti da più punti di vista: intanto
perché segna la scelta di una metodologia – quella economica – con cui
affrontare il problema che gli sta a cuore, poi per le ipotesi di fondo
sostenute.
A Siena relatore della tesi di Carlo fu Giovanni Lorenzoni, un’economista
trentino che si era dedicato con passione allo studio di problemi sociali; non
si può tuttavia parlare di un effettiva influenza sul piano delle idee.
Soltanto Attilio Cabiati esercitò un influsso centrale nella formazione del
pensiero economico rosselliano. Interesse ed amicizia provò Carlo nel periodo
genovese per l’economista liberale ed antifascista Emanuele Sella.
La polemica contro gli economisti liberisti costituisce, per Rosselli, la
premessa per un discorso ampio ed articolato sulla funzione e sui limiti
dell’azione sindacale nella società capitalistica.
Dopo aver avvertito il lettore che lo studio è condotto <<prevalentemente
avendo riguardo agli interessi della lega operaia>> ed aver sottolineato
l’assurdità della cosiddetta teoria del fondo predeterminato dei salari,
sostenuta in Italia da Giuseppe Prato, Rosselli poggia la tesi centrale dei suoi
scritti su due affermazioni: essere la forza – lavoro una merce, secondo la
definizione marxiana, con alcune peculiarità, come quella di essere legata
indissolubilmente ad una personalità umana, ad un soggetto ragionante e quindi
non trasferibile con facilità da un luogo all’altro, e come l’altra di essere
deteriorabile nel tempo, specie quando si tratti di energia manuale; di qui la
possibilità di considerare la lega un’impresa economica a forma cooperativa, di
cui è lecito, dunque, tracciare un vero e proprio bilancio, come per qualunque
altra impresa.
Più tardi, successivamente un anno dopo la tesi del ’23, Rosselli riprenderà
questi temi economici sviluppandoli in maniera più approfondita in alcuni saggi
scritti per la riforma sociale.
Un ampio saggio porta il titolo “Scienza economica e leghe operaie” sul
quale è d’obbligo appuntare l’attenzione.
Nella premessa “Discussioni intorno all’utilità delle organizzazioni
operaie” Rosselli tiene a sottolineare come <<molti studiosi di cose sindacali
mostrano di voler seguire l’aspetto economico ma troppo spesso partono
addirittura da tacite premesse scientifiche che hanno acquistato per essi un
carattere fideistico. Non di rado è dato di trovare economisti che condannano in
sede economica determinate tendenze sindacali perché in contrasto con la loro
sottintesa premessa liberista>>.
Tra i capisaldi del saggio si impone immediatamente l’affermazione che la
forza lavoro è merce. Lo è, spiega Rosselli,<<anche alla stregua dei principi
della scuola classica>>, ma per chiarire meglio la tesi è possibile<<servirsi
del prezzo che è il fenomeno economico per eccellenza>> e se <<la merce è tutto
ciò che dà luogo a un fenomeno di prezzo, la forza, l’energia del lavoratore
impiegata a scopo produttivo, dando luogo ad un fenomeno di prezzo, è merce.
Così posta la questione cadono automaticamente tutte le opposizioni, sovente di
ordine morale e quindi economicamente irrilevanti>>.
Nel paragrafo successivo, “Caratteristiche della merce lavoro”, l’autore
afferma che mentre ogni tipo di merce può essere facilmente trasferibile di
luogo in luogo, indipendentemente dal loro possessore, la merce – lavoro è
legata all’uomo “soggetto ragionante”, differenza senza dubbio enorme. Tuttavia
la rilevante divergenza non è incolmabile in economia se si tiene presente la
formazione del prezzo.
Si consideri quindi, sostiene Rosselli, come <<le macchine funzionano solo
se aderiscono ad una forza – lavoro umana. Il prezzo di una macchina non solo è
in relazione al prezzo del lavoro necessario a produrla, ma pure al lavoro,
all’energia ed al prezzo necessario a farla funzionare>>. Inoltre <<la merce –
lavoro non è accumulabile, perché deteriorabile nel tempo specie quando si
tratti di energia manuale>>. E questo è il motivo per cui <<nelle contrattazioni
con gli imprenditori è sospinto da un’urgenza fatale derivante dalla prospettiva
del danno, della perdita inevitabile nella quale incorre qualora non riesca ad
esitare tutti i giorni la merce della quale dispone>>.
Rosselli prende poi in considerazione un’impresa economica a forma
cooperativa di cui è lecito, dunque, tracciare un vero e proprio bilancio come
per qualunque altra impresa, ma Rosselli si rende conto dell’impossibilità di
tradurre in cifre una serie di vantaggi che la lega può rendere ai lavoratori e
che pure hanno un chiaro riflesso economico.
Nella chiusura del paragrafo “Il bilancio della lega” in quanto impresa
economica Rosselli asserisce: <<Anche però per quelle leghe il cui bilancio si
chiudesse in perdita il giudizio avrebbe, dal lato economico, un valore assai
relativo. E’ la stessa relatività che accompagna il giudizio intorno al bilancio
di un ente pubblico che deve sussistere anche se ha come un Comune, un passivo
molto grave>>.
Rosselli lamenta quindi che <<la lega venne esclusa dal campo scientifico
anche se impresa economica in quanto per quasi un secolo dall’olimpo della
scienza economica si continuarono a folgorare con l’interdetto gli sforzi degli
operai per la loro emancipazione>>. E conclude: <<se si vuole che per l’avvenire
tra economia e moto sindacale l’abisso scompaia, occorre riconoscere lealmente
gli errori passati>>.
Constatato, come egli asserisce, quanto <<il problema delle influenze del
moto sindacale sull’equilibrio economico sia straordinariamente complesso>>,
occorre fermarsi un attimo a sottolineare quella precisa affermazione: <<Tutte
le leghe operaie tendono al monopolio>>.
Infatti, considerata la non antitesi tra i termini “monopolio e
concorrenza”, poiché sono <<due aspetti connessi, sovente strettamente connessi,
della lotta che si svolge nel mondo economico>>, Rosselli mette in discussione
<<il famoso postulato del massimo di utilità in regime di concorrenza>>,
contrastando le pregiudiziali liberistiche sulla base di ciò che è utile o
dannoso per la società. Ed è appunto il fideismo il grande handicap, il
pregiudizio dei liberisti.
Comunque si voglia porre la questione, sembra commentare Rosselli, bisogna
sempre fare i conti con il padrone poiché la sua <<concorrenza aggrava
singolarmente la posizione già debolissima dell’operaio isolato, giacché verteva
intorno alla conquista dei mercati di sbocco. Cosicché al contrario, quanto più
attiva si faceva la concorrenza e minori i margini di lucro, e tanto peggiore si
faceva la condizione dell’operaio>>. E <<perché sorge la lega se non per opporre
alle forze del capitale coalizzato quelle del lavoro coalizzato?>>.
In “Le varie posizioni della lega sul mercato” si trova quel minimo di
riferimento storico per tracciare l’evoluzione operaia attraverso lotte
accanite, mentre ostacoli insuperabili si drizzavano e sorgono organizzazioni
rivali, una premessa questa all’ultimo capitoletto del lungo saggio intitolato
“Scienza economica e leghe operaie”.
Valgono le poche righe di conclusione scritte dallo stesso Rosselli
servendosi di Sella, autore nel 1915 – 16 di un cospicuo studio intitolato “La
concorrenza”: <<E’ da combattere la generica affermazione di quegli scrittori
liberali che parlano di un massimo di utilità assicurato dalla libera
concorrenza nel campo sindacale.
Gli effetti utili della concorrenza vanno sempre dimostrati. Vi sono
concorrenze che esauriscono tutti i vincitori o addirittura li eliminano; vi
sono concorrenze che li paralizzano>>, e poi <<Quando i concorrenti si tengono
reciprocamente in scacco, lo scopo diventa irraggiungibile per coloro che
partecipano alla gara; e le condizioni favorevoli, che sono rappresentate dal
detto scopo, non sono usufruite da nessuno, oppure sono usufruite da un elemento
estraneo, finché:
1) non si modifichi la forza dei concorrenti nel senso che uno di essi possa
raggiungere lo scopo;
2) non si formi un accordo tra i concorrenti>>.
Continua Rosselli: <<Le parole del Sella si addicono perfettamente al nostro
caso. Spesso ci troviamo di fronte ad una pluralità di organizzazioni tra le
quali però non ve n’è una che in forza, potenza, e di tanto superiore alle
altre, da dominarle, trascinarle al suo seguito. La concorrenza rimane così allo
stato potenziale e può eventualmente tradursi in atto. Ma solo in periodi di
crisi, ai quali deve succedere un nuovo equilibrio più stabile a tendenze
unitarie e monopolistiche. E’ evidente dunque l’interesse dei membri di uno
stesso mestiere di riunirsi in un’unica organizzazione, quando essi siano
obbligati solo dal loro interesse economico, e cioè ottenere il massimo prezzo
per la loro merce, per i loro servigi>>.
Rosselli, sempre su “Riforma sociale”, fa seguire un altro saggio,
“Monopolio e unità sindacale” connesso al primo; e di fatti riprende il binomio
monopolio e concorrenza, riconsiderandoli <<come due aspetti dello stesso
fenomeno, come parti di un sistema unico collegate tra loro, quando non in
rapporto di derivazione>>.
Per ribadire quanto afferma, il giovane studioso cita sia Marshall, sia
Pigou, due economisti di chiara fama. Dal primo, oltre al rapporto monopolio –
concorrenza, riprende la tesi sulla <<posizione di equilibrio della domanda ed
offerta che dovrebbe considerarsi come una posizione di soddisfazione massima
dal momento in cui codesta dottrina parte dall’erroneo presupposto che tutte le
differenze di ricchezza fra le due parti interessate possano trascurarsi>>.
Da Pigou accetta alcune fondamentali dimostrazioni <<ferme restando le altre
condizioni, un aumento nella proporzione del dividendo nazionale che vada ad
aumento della quota dei poveri aumenterà probabilmente il benessere economico;
ferme restando le altre condizioni, una diminuzione nella variabilità di quella
parte del dividendo nazionale che vada a vantaggio dei poveri in cambio di un
corrispondente accrescimento di variabilità della parte che vada a vantaggio dei
ricchi aumenterà probabilmente il benessere economico>>.
Le citazioni introducono il lungo paragrafo “Il mito del monopolio delle
leghe”. <<Supposto che la lega coalizzi tutti i lavoratori esercenti un dato
mestiere o una data industria in un mercato, faccia uso degli strumenti
economici, sia guidata dal solo interesse economico, abbia realizzato l’unità
sindacale e sia, almeno formalmente, in condizioni di monopolio di fatto: quale
sarà approssimativamente il suo reale potere sul mercato? Si potrà parlare di
monopolio?>>.
Rosselli risponde che, in pratica, la lega non è in grado di controllare
l’offerta di lavoro in quanto manca di autonomia decisionale che appartiene
soltanto all’imprenditore, nè può influire sulla domanda di lavoro; e quindi è
costretta a battersi solo sul fronte del salario, restringendo enormemente il
campo d’azione.
Non tutto si ritorce contro i lavoratori se essi riconoscono certe
indicazioni, diremmo storiche, in quanto, per esempio, <<l’unionismo è riuscito
a far compiere alle classi lavoratrici un gigantesco balzo in avanti>> e l’unità
sindacale diventa la speranza del domani <<che dà alla lega un relativo dominio
del mercato del lavoro ma non davvero le assicura una condizione di monopolio.
Elimina la concorrenza attuale, contraddittoria con l’esistenza della lega
mantenendola potenziale, ed assicura a quella un monopolio che potremmo definire
rappresentativo, di carattere formale, contrassegnato da una forza esclusiva, in
quanto che solo alla lega è dato parlare e contrattare in nome della totalità
dei membri esercenti il mestiere ed in essa coalizzati>>.
Il saggio su “Monopolio e unità sindacale” si conclude sul rapporto tra
leghe operaie e associazioni industriali, riprendendo osservazioni di alcuni
economisti, tra i quali Maffeo Pantaleoni in “Alcune considerazioni sui
sindacati e sulle leghe”.
I due istituti, secondo lo studioso, differiscono in considerazione
dell’incidenza sul mercato; infatti <<la lega essendo in una posizione
subordinata nel mercato, non potendo influire sul fattore quantitativo, avendo a
che fare con una merce aderente all’uomo, non potendo normalmente entrare in
concorrenza al ribasso, incapace di trovare una riduzione di costo attraverso
una diversa combinazione dei fattori produttivi, ne differisce in modo notevole
per l’assai minore potenza di dominio del mercato>>.
Rosselli si domanda poi quale in realtà possa essere la capacità media di
dominio del mercato posseduta da un trust. I trusts tendono <<a raggiungere un
relativo dominio del mercato che assicuri loro profitti non troppo elevati ma
duraturi, rinunziando a schiacciare i concorrenti efficienti per realizzare
un’economia nella produzione>>.
Ma come avverrà lo scambio tra l’associazione imprenditoriale e quella
operaia? Ipotizzato, con gli economisti Auspitz e Lieben, uno scontro tra
imprenditori e operai <<il prezzo del lavoro, qualora nessuna delle due
organizzazioni si acconci a lasciarsi sfruttare monopolisticamente dall’altra,
si stabilirà a quello stesso punto di intersezione della curva di domanda con la
curva di offerta che sarebbe determinato dalla libera concorrenza>>.
Il riassunto delle tesi sostenute, fatto dallo stesso Rosselli, merita per
chiarezza una puntuale trascrizione: <<a) il conseguimento da parte delle
organizzazioni operaie del monopolio rappresentativo non significa affatto
perciò solo che esse si avvicinino ad una posizione di monopolio; b) il
monopolio della lega è normalmente impossibile a conseguirsi nella società
attuale; c) il diffondersi delle organizzazioni di classe dei datori e dei
lavoratori – quando tra loro sussista la lotta – non può che tornare utile alla
collettività perché tende ad avvicinarci alle ipotetiche condizioni necessarie
perché si verifichino i frutti della libera concorrenza>>.
La pubblicazione dei due articoli rosselliani spinge l’economista Giuseppe
Prato a una replica, puntualmente avvenuta con l’articolo “Realtà economiche e
miti sindacali”.
Sintetizzando al massimo la tesi che Prato ha esposto in decine di pagine,
si può asserire che l’economista e condirettore della “Riforma sociale” sostiene
che la concorrenza rientra nella norma, mentre l’unità sindacale ne costituisce
l’eccezione in quanto più si evolve il progresso economico più aumentano i
contrasti tra il proletariato.
Prato sostiene anche che l’unità di organizzazione sindacale è un monopolio
che non riduce i costi ma elimina la concorrenza e che abbassa i salari, per
giunta depauperando i lavoratori i quali debbono pagare i burocrati sindacali.
La contro replica di Rosselli giunge con “Miti liberistici o miti sindacali”?
Rosselli scrive infatti: <<il professore Prato vede in ogni lega un
attentato al benessere collettivo e non rileva neppure la distinzione, e di
nuovo fa delle due serie di fenomeni un fascio solo per poi concludere
trionfalmente che dunque la concorrenza esiste, ed egregiamente funziona nel
campo sindacale>>.
Poi evidenzia la contraddizione di Prato <<che voleva dimostrare il danno
derivante alla collettività dall’unità sindacale e l’impossibilità della
medesima. Per provare il danno ha creduto di potersi richiamare al principio del
massimo di utilità determinato dalla concorrenza, che vale solo per leghe
rappresentanti forza – lavoro omogenea. Per provare l’impossibilità ha insistito
sulla eterogeneità insanabile della massa organizzabile, a causa degli urti e
delle lotte tra i vari gruppi. E continuamente ha confuso le due questioni>>.
Rosselli, dopo aver escluso la concorrenza vera e propria in campo
sindacale, se non nei momenti di crisi, chiarisce l’impossibilità di un
monopolio sindacale anche se <<tutte le leghe facciano capo ad una sola
organizzazione centrale, non è sinonimo di monopolio in quanto corrisponde solo
ad un monopolio rappresentativo, formale contraddistinto da una forza escludente
che permette e alla lega e al complesso delle leghe di contrattare in nome della
totalità dei membri esercenti il mestiere>>.
Ma l’articolo tocca ancora un altro momento culminante delle disputa con
Prato: il raggiungimento del fronte unico della classe salariata. Se
l’economista piemontese nega il raggiungimento di un simile obiettivo, Rosselli
risponde appellandosi alla tendenza favorevole espressa dai paesi
capitalisticamente più evoluti. Basta, dice Rosselli, non scavare <<troppo forti
gli abissi per ragioni soprattutto politiche, ma anche se esistono
organizzazioni di diverso colore, l’accordo tende a diventare normale, trovando
il suo fondamento in una divisione della materia prima organizzabile>>.
Rosselli si rende conto della complementarità delle due scienze, per
l’appunto l’economica e la politica, le quali spesso hanno un peso diverso solo
se si rompe il necessario equilibrio.
Nicola Tranfaglia sottolinea che Rosselli si accontenta nella sua replica di
approfittare della critica per difendere la necessità nella società
capitalistica della lotta di classe e per insistere, anche a questi fini,
sull’utilità di un’organizzazione sindacale a larghissima base.
“L’azione sindacale e i suoi limiti” completa il ciclo degli articoli –
saggio dedicati alla questione sindacale.
<<Quali sono i limiti che incontra, nella sua azione in sede economica, il
movimento sindacale?>>. Occorre, in questo caso, stabilire una base sul quale
costruire una tesi valida, e Rosselli lo ravvisa in un interrogativo
ineliminabile: <<Chi sopporta gli oneri di un miglioramento delle condizioni di
impiego della classe lavoratrice nel caso che questo miglioramento non trovi un
compenso, quasi immediato, preveduto ed in un certo modo contrattato in un
aumento del reddito nazionale?>>
Il quesito, lo ammette lo stesso Rosselli, è di ardua soluzione. Intanto
l’aumento del salario incide sulle imprese, ma non colpisce il profitto perché
sfuggono i redditi degli investimenti all’estero, dei beni immobili, e quelle
aziende con scarsissime maestranze. Poi, diventando l’aumento salariale
un’imposta parziale che grava sul costo lordo, si generano scompensi fra le
varie industrie e, palesi impossibilità nel favorire alcune categorie di
lavoratori trascurando o danneggiando le altre.
Nel completamento dell’analisi teorica viene introdotta da Rosselli la
figura del consumatore sul quale sarebbe scaricato l’aumento dei prezzi imposto
dall’imprenditore per controbilanciare l’aumento salariale.
Poiché la massa che consuma è la stessa massa che lavora, proprio essa
sarebbe causa e vittima di un meccanismo, quello capitalistico, nel quale <<tra
salari, profitti e prezzi esiste una relazione abbastanza rigida, frutto di un
equilibrio di forze che solo temporaneamente e con gravi sforzi può essere
piegato a vantaggio dell’uno o dell’altro fattore, dati i mezzi economici di cui
ciascuno dispone. Le solidissime organizzazioni di imprenditori – precisa
Rosselli -, hanno ormai obbligato le organizzazioni operaie a muoversi in un
campo chiuso, vietando loro anche solo l’inizio di un tentativo riformatore>>.
D'altronde, la lega operaia, quali reali possibilità ha di determinare una
situazione economica, di determinare i prezzi? La risposta sta nel pessimismo
della domanda, a meno che l’azione sindacale riesca a giungere fino al controllo
dell’amministrazione delle imprese.
<<La tragedia della classe operaia –conclude Rosselli - , nel suo sforzo
riformatore sta tutta qui: in un’enorme forza in potenza che cerca ancora gli
strumenti per tradursi in atto>>.
Con ragione Maurizio Degli Innocenti annota che, per quanto riguarda il
ruolo decisivo del sindacato, assai precisa rimane la considerazione, da parte
di Rosselli, che esso era strettamente legato allo sviluppo industriale,
costituiva un termine di confronto e di verifica per qualsiasi spinta alla
trasformazione della società.
Tra gli articoli economici di Rosselli, merita attenzione “Le memorie di
Henry Ford” in cui lo studioso deve addentrarsi nelle vicende e nei risvolti di
una grande industria che fabbrica 4000 automobili al giorno. L’attacco
dell’articolo è improntato a scetticismo per diventare tecnicamente più
specifico allorché passa a descrivere la carriera di Ford, mostrando con dati di
fatto l’incremento produttivo e il ribasso dei prezzi di vendita.
Rosselli spiega con acutezza e semplicità l’essenza della filosofia
economica fordiana: <<Ford trae una teoria generale da questo enorme sviluppo
dei suoi affari. Ha praticato sempre il minimo prezzo; qualche volta, anzi, lo
ha ribassato più di quanto il costo non permettesse, sicuro che il ribasso del
prezzo di vendita avrebbe portato ad un nuovo ribasso del costo. Al ribasso del
costo hanno contribuito la lavorazione in serie, la rapida circolazione dei
capitali, l’astensione da ogni speculazioni su merci>>.
Questa teoria del processo industriale illimitato non è accettata da
Rosselli, che motiva il dominio di Ford nell’assenza di una concorrenza
qualificata, mentre per ciò che attiene il controllo dei prezzi concorda sul
lavoro in serie con in più il vantaggio di fabbricare un tipo unico di
automobile, al quale va aggiunta la divisione estrema del lavoro.
L’alto salario tiene lontano perturbazioni e Trade Unions, soddisfa
l’operaio, lo incentiva, così come viene automaticamente incentivata la ricerca
tecnologica per tenere bassi i costi di produzione. Il recensore Rosselli
analizza poi la monotonia del lavoro meccanico, la gioia del lavoro o,
l’alienazione: <<le masse operaie non possono sentire che insofferenza e
disprezzo per il loro lavoro quando sono sottoposte a una propaganda di classe
che qualifica sistematicamente parassitismo il lavoro intellettuale dei tecnici
di officina e sfruttamento quello dell’imprenditore e che dà descrizioni
idilliache dell’antico artigiano>>.
“Rivalutazione e stabilizzazione della lira” è l’ultimo articolo economico
di Carlo Rosselli per la “Riforma sociale” di Einaudi e di Prato. Elemento
centrale del discorso è la necessità della stabilizzazione della lira contro la
rivalutazione pretesa dal governo fascista.
Nel suo intervento Carlo Rosselli si trova schierato sulle posizioni dei
maggiori economisti del momento, da Einaudi a Cabiati, ma con un’attenzione in
più nei confronti dei lavoratori salariati per i quali <<i frutti inevitabili
della rivalutazione sarebbero dapprima una contrazione nell’impiego e poi la
caduta dei salari>>.
Leo Valiani ha sottolineato in più occasioni, per quanto concerne la
formazione di economista di Carlo Rosselli che da acuto e colto economista,
formatosi alla scuola di Einaudi e di Cabiati, ma sin da allora attento anche a
Keynes, Rosselli intravedeva già nel ’24 alcune difficoltà del socialismo; e
sempre Leo Valiani ribadisce che dagli inglesi ed ancor più dai docenti italiani
di economia, coi quali studiò, discende il giovane studioso.
E’ interessante l’incontro con i grandi maestri italiani e persino con
Achille Loria, dal quale ha pur accettato quella condanna positivista del
marxismo in quanto deterministico.
Indubbiamente l’attrazione per l’Inghilterra, il laburismo ed il gildismo,
da parte di Rosselli, non può essere trascurata.
Al riguardo, Maurizio degli Innocenti conferma che il gildismo e, più in
generale, il laburismo diventano l’alternativa all’esperienza del socialismo
collettivista accentratore; esemplificata nella realtà della rivoluzione russa e
quindi che è indicativo che gli articoli di Carlo Rosselli sul movimento operaio
inglese siano contestuali a quelli sul rapporto tra liberalismo e democrazia,
sulla teoria economica del sindacato, sulla revisione del socialismo: sono
problemi strettamente connessi.
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