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cap. 3 - IL LIBERALISMO SOCIALISTA E IL PENSIERO ECONOMICO
Il liberalismo socialista
Quale fosse, d'altronde, l’idea centrale di Rosselli nel ‘23 e nel ‘24 è
ampiamente testimoniato dai suoi scritti sul “Liberalismo socialista” e
dall’analisi sul movimento operaio inglese.
Carlo Rosselli, su suggerimento di Alessandro Levi, inviò un articolo a
“Critica Sociale”, pubblicato nel numero 1– 15 luglio 1923 con il titolo
“Liberalismo socialista”. Il suo punto di partenza era molto chiaro: <<Per molti
sa ormai di vecchio l’affermazione essere il socialismo il logico sviluppo del
liberalismo, i socialisti gli eredi legittimi e necessari di quella funzione
liberale che spettò nel secolo passato ai patrioti del Risorgimento>>.
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A proposito di “Liberalismo socialista”, Rosselli sosteneva: <<Almeno sino
allo scorso ottobre (data di nascita del Partito Unitario) in Italia non è mai
esistito, dal 1900 in poi un partito socialista, che potesse dirsi veramente
liberale e democratico>>; essendo i membri della direzione <<abbarbicati alla
lettera del marxismo>>, non è stata possibile l’esistenza <<di un partito e di
una pratica socialista con metodo liberale>>.
In questo articolo Rosselli si rifaceva allo scritto di Alessandro Levi,
“Liberalismo come stato d’animo”, il quale aveva distinto tra liberalismo come
sistema, legato ad una specifica situazione economico – sociale, e liberalismo
come metodo di pensiero e di azione, quale stato d’animo. Per Rosselli il
liberalismo come metodo non può essere <<monopolio di questo o di quel gruppo>>,
perché <<sta a significare il rispetto per alcune fondamentali regole di gioco,
che stanno alla base della civiltà moderna e che si riassumono nel sistema
rappresentativo, nel riconoscimento di un diritto di opposizione e nella ripulsa
dei mezzi violenti di opposizione>>.
Nel suo breve articolo Rosselli additava l’esempio del partito laburista:
<<Esiste in un paese del globo (Inghilterra) un partito socialista laburista che
sì appresta a conquistare il potere con metodo ed animo liberale, disposto sin
d’ora a riconoscere nel giorno non lontano del suo trionfo, il diritto
all’esistenza legale di una o più opposizioni>>.
E concludeva: <<Tutte le fortune del movimento proletario e tutte le sue
possibili miserie gravitano attorno ad un punto centrale: la lotta per la
libertà, di fronte alla quale ogni altra questione, appare ben misera cosa>>.
La fiducia di Carlo Rosselli nel laburismo inglese era condivisa da altri
giovani come Nino Levi, Alessandro Schiavi, Enrico Sereni, e Piero Sraffa, quasi
tutti fabiani. Si spiega perché la direzione del Partito Socialista Unificato
decise di dare spazio ai propositi liberali dei giovani che guardavano al
“Labour Party”, fondando il nuovo giornale giovanile “Libertà”, al quale fu
invitato a collaborare Carlo Rosselli.
Il primo gennaio 1924 uscì il primo numero di “Libertà”, quindicinale della
gioventù socialista, che aveva come sottotitolo la frase di Marx ed Engels:
<<Alla società borghese, con le sue classi e con i suoi antagonismi di classe,
subentrerà un’associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno sarà la
condizione del libero sviluppo di tutti>>.
Molto probabilmente furono proprio Treves, Mondolfo e Levi a chiedere a
Carlo Rosselli di scrivere per il nuovo giornale l’articolo su “Il partito del
lavoro in Inghilterra”, che uscì nel numero tre del 1 febbraio 1924. Rosselli
ribadiva: <<Il Labour Party, in base agli elementi che lo compongono può
definirsi come una federazione di gruppi economici e di gruppi politici. In
realtà è federativa ed associativa l’organizzazione politica del movimento
operaio più vecchio e potente del mondo>>.
In questo lungo articolo Rosselli traccia una sintetica storia del movimento
operaio inglese dal 1825, ma la sua attenzione è rivolta al “Labour Party”: <<La
verità è che i laburisti hanno lasciato in seno all’organizzazione un così largo
spirito liberale, una così ampia autonomia, una così larga libertà di critica. A
ciò ha contribuito notevolmente la tendenza tutta inglese a vedere solo problemi
concreti e ben definiti. In Inghilterra il marxismo, al pari d’ogni altra
ideologia aprioristica, non ha mai attecchito.
Il materialismo storico, inteso come volgare determinismo economico, è
nettamente respinto. La lotta di classe è senza dubbio praticata attivamente
dalle organizzazioni inglesi; ma essa viene respinta generalmente in sede
teorica, e politica dalle società socialiste.
Perciò hanno sempre rivendicato nell’alone del proletariato organizzato
tutto il mondo del lavoro, perciò hanno sempre dichiarato di voler governare in
nome e nell’interesse di tutto il paese con il metodo democratico – liberale. In
tal modo si sono conquistati larghe simpatie nei ceti borghesi.
Per la prima volta nella storia d’Europa, assistiamo alla grandiosa e
pacifica ascensione al potere della classe operaia. Esempio e monito ad un tempo
per i partiti socialisti continentali, che dimostra la possibilità date certe
condizioni d’educazione e di ambiente, di un movimento socialista che giunga al
potere attraverso il metodo liberale – democratico>>.
Quest’articolo conferma che il modello politico inglese all’inizio del 1924
è ben chiaro nella mente del giovane Rosselli, il quale continua a sperare che
questo modello possa essere adattabile all’Italia.
Rosselli, in un altro articolo su “Critica Sociale” del 15 – 31 maggio 1924,
“Luigi Einaudi ed il movimento operaio”, scrive una recensione su Einaudi perché
in lui Carlo vede <<nobilmente incarnata la tragedia del liberalismo italiano
che un tempo sapeva comporre la premessa della scuola classica d’economia col
risveglio delle classi proletarie>>, e che oggi nutre <<grande scetticismo nelle
virtù costruttive del mondo operaio, in quanto tende appunto a modificare e
rovesciare le basi economiche e morali della società attuale>>.
Einaudi sostiene che bisogna distinguere il moto operaio dal socialismo,
invece <<nella realtà vi è una precisa correlazione tra il fatto politico e il
fatto sindacale; nella realtà ogni sano movimento operaio si accompagna ad un
movimento politico socialista>>. Questo brano conferma che anche in campo
economico - sindacale Rosselli cercava il riscontro nell’Inghilterra, quale
modello di società civile.
Rosselli utilizza la dicotomia sistema e metodo, proposta da Alessandro
Levi, per distinguere tra liberalismo come sistema e liberalismo come metodo, e
per applicare questa distinzione all’Italia; i liberali italiani intendono il
liberalismo come sistema che sì riassume nella formula: sistema capitalistico e
borghese. Bisogna invece puntare sul metodo liberale, <<avente come premessa
fondamentale che la libera persuasione del maggior numero è il miglior mezzo per
raggiungere al verità.
Il metodo viene inteso come un complesso di norme che stanno a base della
vita dei popoli a civiltà europea e che tutte le parti in lotta s’impegnano di
rispettare in quanto servono ad assicurare la pacifica convivenza dei cittadini
e delle classi>>.
Poiché l’interesse economico di un paese non può prescindere da un’intesa
tra imprenditori e lavoratori, l’associazione dei primi dovrebbe portare
all’unificazione sindacale dei lavoratori; la conseguenza sarebbe la formazione
di un partito del lavoro, che agisca con metodo liberale nell’ambito di un
ordinamento rappresentativo di tipo bipolare con maggioranza al governo e
minoranza all’opposizione. In quest’ipotesi, lo sguardo è sempre rivolto
all’Inghilterra.
Il 25 marzo 1924 era uscito sul giornale “Libertà” un articolo di Rosselli
intitolato “Il movimento operaio”. Rosselli riconosce che <<il movimento operaio
più vecchio e potente del mondo sta attraversando una crisi>>, ma questa per lui
è una crisi dovuta a fattori transeunti, laddove <<la più intima crisi che rode
il colosso sindacale britannico>> è l’incapacità di innestarsi sul terreno
economico.
Di gran lunga il più originale fra i teorici del gildismo è G.D.H. Cole, per
il quale <<il problema operaio è problema di coscienza, di dignità, di libertà,
infatti, gli operai non si accontentano più del semplice miglioramento
economico; il fine che intendono raggiungere con la Trade Union non si allarga,
si sposta; vogliono divenire attivi compartecipi della vita dell’azienda>>.
Per Rosselli le gilde, unità economiche elementari, stanno profondamente
permeando il mondo unionistico britannico, per cui prevede una lenta
trasformazione dello Stato, compiuta dal sindacalismo delle Trade Unions, in
modo da realizzare l’emancipazione della classe operaia e porre fine <<al
comitato d’affari della classe dominante>>.
Il problema operaio resta un problema politico nel senso che il movimento
sindacale può sfociare verso lidi vasti, se si allea <<coi partiti o crea esso
stesso il suo organo politico>>.
Nel numero 10 di “Libertà” del 15 maggio 1924, c’è l’articolo “Inchiesta sui
giovani (guerra e fascismo)”, firmato Carlo Rosselli, nel quale l’intellettuale
antifascista si sforza di capire l’atteggiamento dei giovani aderenti al
fascismo.
E’ un articolo di una triste pensosità, ma di una forte coscienza morale:
<<Quando li vediamo passare nelle dimostrazioni tumultuose o negli ordinati
militareschi cortei, - afferma Rosselli – quando c’è dato di parlare con essi,
sentiamo che ci differenziamo in qualche elemento fondamentale. E ci pare di
essere quasi un po’ stranieri in questa terra, quasi facenti parte di una
civiltà diversa.
La nostra visione della vita è radicalmente differente. I nostri ideali di
bontà, di fratellanza, di giustizia, provocano in essi il riso, lo scherno.
Perché tutto questo?>>. Rosselli precisa che in quest’inchiesta non vuole
accennare che ad un solo fattore, la guerra, per spiegare l’adesione dei giovani
al fascismo: <<La più gran parte di quei giovani, che oggi costituisce la linfa
certo più vitale del fascismo, non vide gli orrori della guerra>>.
L’articolo finisce con un atto di speranza in nome della propria fede
politica, perché <<il socialismo è immanente, nelle cose, nel cuore dell’uomo>>.
E’ da affermare che nel numero di “La giustizia”, quotidiano del Partito
Socialista Unitario, del 21 maggio 1924, fu inserita una recensione di Carlo
Rosselli, dal titolo “Revisione marxista”, al volume di Antonio Graziadei
“Prezzo e sovrapprezzo nell’economia capitalista”. Recensione piuttosto polemica
che iniziava così: <<Un movimento politico nel quale i giovani accettino
dogmaticamente la posizione intellettuale dei loro maggiori: un movimento
politico nel quale i giovani non sentono prepotente il bisogno di vagliare e di
elaborare personalmente, è un movimento che si avvia alla decadenza>>.
Il promesso articolo a Piero Gobetti compare nel luglio 1924 sulla rivista
torinese, intitolato “Liberalismo socialista”.
Prendendo lo spunto da alcuni articoli di Novello Papafava e da un dibattito
su “Il liberalismo delle masse”, Rosselli sostiene che quando si discute di
liberalismo occorre distinguere tra il sistema (che difende la proprietà
privata, il liberismo) ed il metodo che oggi si concreta <<nel principio della
sovranità popolare, nel sistema rappresentativo, nell’affermarsi di taluni
diritti fondamentali acquisiti inalienabilmente alla coscienza moderna>>.
Attualmente, afferma Rosselli, i liberali italiani mostrano di non
comprendere più lo spirito autentico del liberalismo che è nel metodo; il
panorama del liberalismo italiano non dà speranze.
Ha ragione dunque Missiroli quando afferma che nella storia esercitano una
funzione liberale <<i partiti estremi, quelli che in quanto estremi, negano in
tutto o in parte l’assetto sociale attuale>>: <<In realtà, col negare ogni
rapporto tra liberalismo e le masse rivendicando il primo come patrimonio d’elitès,
si dichiara il fallimento dell’ideologia liberale>>: <<chi più della minoranza -
intendo parlare della minoranza storica come il proletariato rispetto alla
borghesia - si propone di affermare nella vita sociale nuove forze per l’innanzi
calpestate ed ignorate?
Quale più grande funzione liberale, liberatrice, di quella che si concreta
nel movimento di sindacati, cooperative, partiti che sinteticamente chiamiamo
socialista? Sono dunque le minoranze, i gruppi ancor deboli, bisognosi per
ragioni fisiologiche di un’atmosfera di libertà e d’autonomia che assicuri loro
la possibilità di sviluppo, le vere forze liberali. La storia è per questa
tesi>>.
D’altra parte, secondo Rosselli, anche il socialismo è un ideale che
continuamente si rinnova a contatto con la realtà: l’esperienza storica ha
condannato <<senza speranza i primitivi programmi socialisti>>: il
collettivismo, il socialismo accentratore di stato.
<<Tutti – sottolinea Rosselli – vedono i pericoli enormi della burocrazia,
dell’invadenza statale, dello schiacciamento della libertà individuale. Solo per
grandi linee si può delineare la meta, anzi una meta, una tappa. Occorre
adattarsi alle circostanze e soprattutto ad un mondo che è in continua
vertiginosa trasformazione>>.
Si può sottolineare com’esigenza pregiudiziale <<la conquista di una
relativa autonomia economica>> e subito dopo <<la conquista dei beni morali,
dell’autonomia spirituale>>.
In generale <<dovrebbe e potrebbe esser guida ai socialisti un ideale
d’autonomia e di libertà. Si deve procedere dal basso verso l’alto. Il
socialismo in tutti i suoi aspetti ha da essere frutto di conquista, anzi d’autoconquista;
deve essere una creazione autonoma delle classi operaie>>.
Proprio sulla base di simili presupposti, Rosselli sente di potersi definire
un socialista liberale e conclude quello che è una sorta di manifesto
programmatico con un’appassionata dichiarazione di fede antidogmatica: <<Io non
credo alla dimostrazione scientifica del socialismo; non credo di possedere la
verità assoluta; non mi illudo di avere in tasca la chiave dell’avvenire. Sono
socialista per un insieme di principi, d’esperienze, per la convinzione tratta
dallo studio dell’evoluzione dell’ambiente in cui vivo; sono socialista per
cultura, per reazione, ma anche per fede e per sentimento. Non credo che il
socialismo sarà e che la classe lavoratrice si affermerà nella storia per la
fatale evoluzione delle cose, volontà umana a parte. A chi mi parla codesto
linguaggio replico con Sorel; e qui sta tutto il mio volontarismo: “Il
socialismo sarà ma potrebbe anche non essere”>>.
Il denso saggio segna una tappa molto importante nell’evoluzione del
pensiero politico rosselliano.
A questo punto c’è tuttavia da chiedersi che significato abbia in quel
momento storico il liberalismo socialista di Rosselli e soprattutto a quale
tradizione si possa far risalire. I riferimenti più immediati sono “Liberalismo
come stato d’animo” di Alessandro Levi ed una serie di articoli di Novello
Papafava apparsi dal maggio all’agosto 1923 su “La Rivoluzione liberale”.
Al di là delle suggestioni più vicine, le origini del credo rosselliano
devono farsi risalire da una parte a “l’Unità” salveminiana, dall’altra agli
scritti di Piero Gobetti e di Guido De Ruggiero e alla tradizione millsiana del
socialismo britannico, dei Fabiani e dei gildisti.
Si tratta di influenze eterogenee che il giovane assimila nella misura in
cui corrispondono alle sue aspirazioni di un socialismo etico e volontaristico.
Negli articoli e nei libri di quegli autori, Carlo cercava una sintesi ideale
tra i suoi principi liberali ed il movimento operaio e socialista, una formula
nuova che sostituisse non solo l’interpretazione positivista del marxismo fatta
propria da Turati e da Treves ma anche le revisioni idealistiche di Marx.
Ora c’è da chiedersi fino a che punto, ed in quale misura, quella posizione
fosse calata nella realtà politica, riflettesse esigenze capaci di influire
sulla situazione.
Secondo Nicola Tranfaglia, l’analisi rosselliana sul liberalismo socialista
non era frutto soltanto di una combinazione intellettualistica, ma rispondeva ad
un’esigenza autentica di quel momento: che era quella di porre ai socialisti
italiani il problema storico della democrazia. Ma la debolezza dell’elaborazione
di Rosselli stava nella sua convinzione che quel problema potesse essere risolto
facendo ricorso al pensiero neo liberale dei Missiroli o dei De Ruggiero oppure
all’apporto, del tutto estraneo alle necessità storiche dell’Italia, del
socialismo etico britannico. Partito insomma dalla premessa corretta di porre al
centro della sua analisi il metodo liberale, Rosselli non riuscì a fare di
quell’elemento la base per un discorso che andasse oltre il liberalismo etico e
ponesse i presupposti di una democrazia socialista di tipo nuovo.
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