




















| |
cap. 6 - SOCIALISMO LIBERALE
Il socialismo liberale
Il saggio sul socialismo liberale rappresenta il momento centrale
dell’elaborazione teorica di Carlo Rosselli ed esprime, al contempo, il punto
d’arrivo di un complesso travaglio politico – ideologico e quello di partenza
per una nuova teorizzazione. Esso rappresenta il momento di maturità di Carlo
Rosselli come pensatore politico. Si può affermare che Carlo Rosselli
rappresenta il punto di congiunzione tra due diverse esigenze di chiarimento:
una, che riguarda il rapporto tra l’espressione organizzata del socialismo ed il
grande dibattito sulla funzione del marxismo e l’altra, che investe la
generazione socialista più giovane.
|
 |
Carlo Rosselli si propone con il proprio lavoro di aprire un’indagine
teorico – storico – politica della vicenda socialista italiana. “Socialismo
liberale” ha, infatti, questa triplice dimensione: teorica, in quanto Rosselli
vuole andare a fondo in un’opera di rivisitazione analitica dei principi che
hanno ispirato l’azione del socialismo italiano soprattutto considerato alla
luce della sconfitta; storica, in quanto Rosselli non si limita ad analizzare le
idee ma si interessa ai comportamenti concreti, alle scelte politiche viste in
correlazione con gli ideali socialisti e, di conseguenza, con le sue attese
pratiche; politica, perché Rosselli è spinto da un interesse molto forte per
ricomporre le basi di un’iniziativa socialista nel quadro di una situazione
caratterizzata dalla stabilizzazione della dittatura.
Rosselli aveva ben presente il fatto che, per rendere credibile il futuro
del socialismo, una volta battuto il fascismo, occorreva innovare fortemente le
idee del movimento. Rosselli fissa il suo fine: innovare il pensiero politico
socialista. Tale compito si impegna ad assolverlo convinto di un’esigenza di
natura superiore; vale a dire della necessità del suo espletamento sia per
reinventare un avvenire al movimento socialista sia quale azione propedeutica
alla riconquista della libertà perduta.
Carlo Rosselli approda in Francia nel settembre 1929. Il saggio dedicato al
“Socialismo liberale” è già stato scritto ed egli ne compendia il significato in
un’intervista raccolta dal giornale repubblicano “l’Italia del Popolo”.
Le dichiarazioni di Rosselli hanno un valore indicativo per connotare la
cifra ideologica che affida al proprio lavoro. Dice Carlo: <<Io ho sempre fatto
professione di volontarismo se non altro per reagire al pernicioso abito mentale
che contraddistingueva molti socialisti dei tempi aurei e pacifici. La
preoccupazione di inserirsi nella Storia con la s maiuscola, di fissare con
perfetta esattezza lo stato civile del proprio tempo, di navigare lungo la rotta
indicata dalla bussola marxista, diventa tale da ridurre alle volte anche i
migliori all’impotenza. Sono convinto più che mai della necessità della
revisione, dell’urgenza di un coraggioso esame di coscienza. Durante questi
ultimi tre anni di riposo obbligatorio ho riesaminato a fondo tutti i problemi
del moto socialista giungendo a conclusioni ancor più radicali, se possibile>>.
E riferendosi in specifico a “Socialismo liberale” sottolinea che il rapporto
socialismo e libertà costituisce l’argomento essenziale del mio libro.
Quando Carlo Rosselli intraprende la stesura del “Socialismo liberale” egli
sembra essere sollecitato dall’esigenza primaria, di fare chiarezza nelle idee e
nella vicenda storica del socialismo. Di fronte al fallimento del socialismo
italiano egli si pone come un giovane intellettuale colpito nei propri
convincimenti ideali dalle dure repliche della realtà storica ma deciso,
tuttavia, a non mollare il terreno della politica e ben determinato nel
riannodare, su un terreno nuovo, i fili di un ragionamento che poteva riproporsi
come originale.
Da qui la definizione del libro come <<la confessione esplicita di una crisi
intellettuale che io so molto diffusa nella nuova generazione socialista>>. In
tal modo Rosselli già si posiziona rispetto alla stessa tradizione socialista.
Egli si colloca all’interno della stessa crisi socialista facendosi interprete
delle istanze dei giovani più accorti tanto da conferire alla propria
riflessione un valore esplicitamente emblematico. “Socialismo liberale” va
letto, perciò, con un’ottica che tenga conto dei propositi più intimi del suo
autore.
Da tale angolazione il libro rappresenta anche una specie d’esame di
coscienza, quasi un analisi critico – introspettiva, per meglio chiarire a se
stesso i propri convincimenti.
Rosselli, infatti, con un’immediatezza di per se espressiva del proprio stato
d’animo, riporta la crisi politica, di cui ha deciso di farsi interprete, alla
crisi del marxismo. La messa in parallelo dei termini della crisi è quanto mai
significativa; essa, a parere di Rosselli, è giunta ad uno stadio più acuto di
quando apparve, nel 1899, il noto libro di Bernstein su “I presupposti del
socialismo ed i compiti della socialdemocrazia”.
Ma cosa significa per Rosselli uno stadio più acuto?
Per ben inquadrare l’espressione rosselliana occorre necessariamente
riportarsi al periodo nel quale il libro fu concepito e scritto. Il 1928,
infatti, fu un anno di crisi abbastanza generalizzato per la politica europea,
caratterizzato, da un lato, dal riconosciuto fallimento d’alcune democrazie
tradizionalmente liberali e, dall’altro, dalla dimostrazione provata
dell’insufficienza del movimento socialista italiano; infine il radicalizzarsi
del fenomeno stalinista in URSS. Ed è proprio agli ultimi due punti che Rosselli
sembra riferirsi quando denuncia l’insoddisfazione per la filosofia, la morale,
la concezione politica marxista. L’intento è di ridare freschezza al socialismo
liberandolo da ciò che lo ha portato alla disfatta, ossia attraverso una
coraggiosa revisione delle sue premesse morali ed intellettuali.
Fin dalla prefazione, quindi, l’intento principale del libro è motivatamente
revisionista; fare opera di revisione del socialismo significa, per Rosselli,
non solo ammodernarlo ma, essenzialmente, renderlo cosciente delle questioni del
tempo in cui è chiamato ad operare.
Il convincimento revisionista denota in Rosselli più un fine. Anche se con
un processo di revisione si propone lo scopo di passare in rassegna critica la
storia, le idee ed i protagonisti del socialismo italiano sempre avendo a
riferimento mirato le già richiamate premesse morale ed intellettuali.
“Socialismo liberale” ha, a ben guardare, un altro fine che attiene in termini
abbastanza aderenti alla storia delle idee; vale a dire di revisione storica dei
meccanismi elaboratori del pensiero socialista. Il saggio di Lipari si
configura, quindi, come il punto d’approdo di tutto un intero percorso
revisionista.
Tutto il lavoro rosselliano è informato da una forte volontà di critica al
marxismo. Tale intento introduce subito ad un tema quanto mai importante nella
struttura della visione rosselliana, quello del volontarismo che, nel pensiero
marxista, vede negato a favore del momento economico considerato quale unico
centro motore del divenire storico. Tramite il richiamo al significato del
volontarismo Rosselli avvia la tematica revisionista. Esso, così, si configura
come un elemento interpretativo centrale per la comprensione dell'intento
ideologico rosselliano.
L’istanza volontarista non si pone però in Rosselli come mero risvolto
antitetico di quella determinista. Assume un significato più corposo fondato su
un’esigenza filosofica protesa ad evidenziare la necessità di recuperare la
dottrina socialista ad un nuovo umanesimo. Rosselli, quando elabora il suo
saggio, tiene presente anche il dibattito che si era svolto in precedenza nella
cultura socialista e, soprattutto, sembrano influire due riferimenti: uno di
natura più immediata e tutto interno alla ricerca politica del movimento
socialista, vale a dire l’impostazione riformista di Ivanoe Bonomi, e l’altro,
la polemica antimarxista sviluppata dal Sorel sulla fine dell’Ottocento.
Era stato infatti, Ivanoe Bonomi, nel tracciare con il libro “Le vie nuove
del socialismo” una prospettiva storica riformista per il socialismo italiano, a
mettere in risalto l’importanza del cosiddetto elemento umano come fondamentale
per una grande trasformazione sociale. E Sorel, che significativamente Rosselli
richiama nelle prime pagine del libro insieme al Labriola ed al Mondolfo aveva,
soprattutto con il saggio “La necessità ed il fatalismo del marxismo”,
polemizzato con la previsione marxiana che <<insegnava che l’emancipazione del
proletariato dipende da circostanze che stanno al di fuori della nostra volontà,
da condizioni che risultano dallo sviluppo industriale. Per esprimere questa
regola restrittiva Marx dà al suo consiglio la forma di una legge assoluta che
governa la storia>>.
Dopo aver richiamato succintamente la visione marxiana della storia Rosselli
osserva: <<Nel sistema marxista abbiamo a che fare con un’umanità sui generis,
composta d’uomini per definizione non liberi, operanti sotto la spinta del
bisogno, costretti a ricorrere a metodi produttivi indipendenti dal loro volere
e ad accedere a rapporti sociali imperativi. Essi hanno un solo titolo per
essere considerati fattore efficiente del processo storico: l’essere parte
integrante del meccanismo produttivo. Gli altri aspetti sono derivati e
secondari, funzioni dello sviluppo delle forze produttive. E solo acquisteranno
pieno valore ed autonomia funzionale in una società comunista, perché solamente
allora si libereranno dalla schiavitù verso le forze materiali>>.
La riduzione del processo storico alla pura dialettica economica
rappresenta, per Carlo Rosselli, una visione falsante la realtà delle cose e
significa anche togliere al socialismo una possibilità vera di essere
un’espressione elevata delle esigenze dell’uomo; l’estrinsecarsi, appunto, di un
nuovo umanesimo. Così, se per il marxismo il concetto di necessità riveste una
posizione centrale, Rosselli, basandosi sulle risposte della storia, si prefisse
di dimostrare come la necessità marxista possa non condurre al socialismo che,
al contrario, può essere costruito su una visione volontarista. Il volontarismo
rappresenta, perciò, la base su cui si sviluppa il duplice lavoro di Rosselli:
la critica al marxismo e lo sviluppo della tesi revisionista.
La polemica con il marxismo rappresenta per Rosselli il tramite cui dare
robustezza storica ed ideologica al revisionismo che è la piattaforma di base
della teoria socialista liberale. Nel procedere lungo questa strada Rosselli
mette in chiaro com’egli nutra fiducia nel metodo riformista in quanto il
riformismo è l’altra faccia coerente del volontarismo. La spia di siffatto
atteggiamento ci è fornita dall’interesse che nutre verso la storia del
movimento sindacale. Perché il movimento sindacale? Perché esso testimonia di
un’esperienza storica che contraddice il marxismo. Però, la visone
socialdemocratica di Rosselli – da intendersi nel senso letterale di
congiunzione tra socialismo e democrazia – si avverte nel richiamo
dell’importanza per il movimento socialista dell’esercizio parlamentare.
La valutazione che egli dà sull’importanza del Parlamento è oltremodo
significativa in quanto rappresenta un punto fondante la stessa visione
revisionista che è tale perché essa si fonda sul riconoscimento
dell’essenzialità del momento istituzionale democratico, ai fini di
un’affermazione di rinnovamento delle forze socialiste.
Valutato da un punto di vista storico, <<il revisionismo deve considerarsi
come la protesta, variamente motivata, della nuova generazione socialista contro
il piatto conformismo dei marxisti puri incapaci di adattare la teoria alla
nuova prassi operaia e di concepire un socialismo non strettamente legato alla
posizione materialista in filosofia>>.
Sul piano più propriamente ideologico egli vuole sottolineare come il
revisionismo sia improntato dall’inserimento del dato della volontà nel processo
storico.
<<Tutto il revisionismo – scrive – sia di destra sia di sinistra, può
infatti riassumersi nello sforzo di far posto, nel sistema marxista, alla
volontà ed all’ottimismo del moto operaio. Anche i rivoluzionari sono dominati
dallo stesso motivo: romperla col concetto di necessità storica, così
severamente affermato da Marx, o ridurlo ad una formula così elastica da
piegarlo alle esigenze di un volontarismo blanquista. Lo stesso leninismo, pure
tanto rispettoso per la lettera marxista, non ha fatto che sviluppare in modo
autonomo ed originale tutti gli aspetti volontaristici del sistema, vale a dire
la dottrina relativa ai periodi di transizione ed alla funzione della dittatura
e del terrore>>.
Il riferimento a Bernstein ed a Sorel è quasi obbligato; anche se Rosselli
matura la visione revisionista che dobbiamo ricondurre soprattutto alla
riflessione dialettica che conduce su i testi di Rodolfo Mondolfo.
Ossia mentre la critica che sviluppa al Mondolfo rappresenta un passaggio
obbligato per l’elaborazione della propria dottrina, le idee di Sorel e di
Bernstein gli servono essenzialmente per dimostrare l’artificiosità della
costruzione marxista. Da Sorel Rosselli mutua la concezione del socialismo come
questione morale non legata alla legge economica assolutizzata da Carlo Marx.
Su questa strada il Sorel veniva congiungendosi al Bernstein,
particolarmente attento alla tematica pedagogico – morale.
In Bernstein, poi, tale attitudine si scioglieva in una specie d’indicazione
metodologica di comportamento per le masse socialiste con il richiamo costante e
martellante ai valori della democrazia, al tempo stesso come mezzo e scopo, per
combattere il capitalismo e le sue degenerazioni; la democrazia, secondo
Bernstein, <<è il mezzo della lotta per il socialismo, ed è la forma della
realizzazione del socialismo>>.
La democrazia rappresenta l’ambito morale d’estrinsecazione per un’azione
positiva del socialismo e Bernstein indica nei suoi meccanismi la chiave di
volta in grado di influenzare positivamente la crescita del socialismo. Quindi
un sistema di convivenza fondato sulla<<uguaglianza dei diritti di tutti i
membri della comunità nella quale trova i suoi limiti quel governo della
maggioranza in cui si risolve in ogni caso concreto il governo del popolo.
Quanto più quell’uguaglianza diventa il clima naturale e domina la coscienza
generale, tanto più la democrazia diventa sinonimo di massimo grado di libertà
per tutti>>.
In Bernstein, Rosselli vi trova i punti fondanti quel binomio della
giustizia e della libertà che nello scrittore tedesco rappresentano i capisaldi
di un assetto democratico; principi costitutivi di un regime democratico ma
anche mete cui riportare lo sviluppo complessivo della società. A Rosselli,
bisogna riconoscere il merito, di portare in “Socialismo liberale” ad una nuova
sintesi, tutti questi filoni del dibattito socialista classico.
Rosselli però non fa proprio il revisionismo bernsteiniano il quale, pur
criticando il marxismo vuole correggerne la metodologia scientifica. Per quanto
Bernstein finisca per giungere a conclusioni che sono ben lontane da quelle di
Marx, l’intento è ancora interno ad una logica scientifica per la conquista del
socialismo. Rosselli si propone un fine diverso; scindere la risultanza
socialista dalla dimensione scientifica e, quindi, dimostrare che si può fondare
una visione socialista anche oltre la dottrina marxista. Il revisionismo,
quindi, gli serve quale tappa argomentativa intermedia per arrivare al fine che
è il socialismo liberale.
Per corroborare la propria tesi d’argomentazioni comprovate, Rosselli
ripercorre a larghe tappe la vicenda del pensiero socialista in Italia
premettendo che <<il marxismo in Italia fu fenomeno d’artificiosa impostazione
che mai riuscì ad impregnare nel profondo il moto socialista>>. L’affermazione
ha un carattere storico e politico molto preciso. Denuncia una mancanza di
coerenza, uno scarto tra i principi e la prassi; soprattutto il proclamare
un’attesa rivoluzionaria sapendo bene che questa era cosa vana. Denuncia
l’insufficienza teorica e pratica del socialismo italiano.
Il distacco tra teoria e prassi non favorì nemmeno la nascita di un serio
riformismo poiché <<nel moto italiano vi fu sempre un distacco tra teoria e
pratica; e quando finalmente si adeguò l’una all’altra, ci si avvide che la
teoria si era volatilizzata e la pratica tendeva a risolversi in un riformismo
fiacco ed analitico, viziato da una paternalistica concezione dello Stato>>.
E’ chiaro che il soffermarsi sui valori del revisionismo assume il
significato di una scelta di campo politica, culturale – filologica ma anche
morale.
Analizzando lo sviluppo del pensiero politico di Carlo Rosselli non bisogna
infatti dimenticare che esso si venne chiarendo in un momento particolare della
propria vita, mentre era al confino. Nonostante tutto, il carcere ed il confino
gli danno, per la forzata inattività cui è costretto, l’opportunità di
riflettere sulle ragioni di una sconfitta. In tal senso la ricerca e la critica
socialista hanno un intrinseco valore morale poiché espressioni del senso del
dovere per un dirigente che non vuole mollare la lotta ma, al contrario,
innovarla e rilanciarla. Tale consapevolezza morale si lega e si intreccia con
un’altra morale che ritiene necessario affermare proprio nel momento in cui
vengono prese le distanze dal marxismo per ancorare ad un dato certo un
socialismo indipendente dal determinismo.
Alla scelta revisionista, che pure supererà integrandola di un elemento
qualificante proprio l’accezione morale, Rosselli arriva ben convinto che il
socialismo comporti un’alta considerazione del momento collettivo quale
risultante della costruzione morale dei singoli. Ritorna tra le righe di
“Socialismo liberale” il rapporto tra socialismo ed idealismo.
Per sviluppare il proprio intendimento – che con una formula si potrebbe
definire di revisione del revisionismo - Rosselli ha ben presente come l’analisi
del pensiero di Rodolfo Mondolfo rappresenti un passaggio obbligato. Per quanto
egli abbia presente il ruolo svolto anche da Labriola e da Croce; assegna
giustamente al filosofo socialista una posizione centrale.
<<Dal 1910 ai giorni nostri – scrive Rosselli – un solo nome di vero rilievo
s’incontra nel campo dell’esegesi marxista: Rodolfo Mondolfo, tempra serena e
conciliativa, cui è doveroso dedicare qualche pagina meno frettolosa per due
motivi egualmente importanti: che egli riassume in sé tutti i motivi della
critica anteriore e che la sua esegesi costituisce tuttora lo strumento massimo
dell’educazione marxista delle nuove generazioni italiane.
Al pari di tutti i revisionisti, Mondolfo risolve il marxismo nella teoria
materialistica della storia, e questa nel concetto centrale di rovesciamento
della prassi. Lo scopo di Mondolfo è di estrarre dal marxismo una filosofia del
socialismo che si concili pienamente con una visione attivistica del processo
storico, senza cadere negli estremi del volontarismo estremo>>.
Il rovesciamento della prassi rappresenta il perno intorno al quale ruota
tutta l’elaborazione mondolfiana. Esso esprime il motivo dominante delle “Orme”,
il volume fondamentale per seguire lo sviluppo della critica marxista operata
dal Monfolfo.
<<La concezione critico – pratica del marxismo significa – scrive Mondolfo –
esigenza e capacità di previsione dei risultati, per trarne più sicura norma
all’azione; significa consapevolezza dell’unità e dipendenza reciproca di tutti
i momenti dello sviluppo storico, che agendo e reagendo sempre l’uno su l’altro,
non possono essere isolati per via d’astrazione da chi voglia rimanere ad
operare nella realtà storica. Concezione concreta e realistica, essa indica di
fronte ai problemi dell’azione storica la via: ed in questo senso ella
s’identifica con la coscienza della responsabilità storica>>.
Il Mondolfo faceva discendere questa sua visione direttamente dallo studio
del pensiero di Marx ed, in particolare, dalla prima delle “Tesi su Feuerbach”,
là dove Marx definisce la prassi come attività pratico – critica, ossia attività
umana sensibile nella quale si risolve il reale che è concepito soggettivamente.
L’interpretazione mondolfiana si può affermare che aggiorna quell’idealistica,
facendo riferimento al genere umano quale soggetto unico delle trasformazioni
dell’ambiente da esso creato.
Il Mondolfo slarga ed aggiorna l’impostazione gentiliana facendo riferimento
alle classi sociali, che sono le componenti attive del genere umano, ed ai loro
conflitti, vale a dire alla soppressione da parte di una delle classi delle
forme d’organizzazione sociale create dall’altra.
Che cosa significava sul piano politico e dell’elaborazione di un pensiero
politico socialista, il richiamo al rovesciamento della prassi? Mondolfo, attivo
testimone della vicenda socialista, per elaborare la propria visione, partiva
dalla concretezza della storia. Di tendenza riformista egli aveva lucidamente
capito come dall’occupazione delle fabbriche e dal loro fallimento n’era uscita
sconfitta proprio la cultura riformista. Così, riandando appunto sulle orme di
Marx, aveva mosso una duplice critica, al volontarismo rivoluzionario ed alla
prassi gradualista e riformista. Vedeva nel volontarismo soreliano un pericolo
d’autosufficienza che andava ben aldilà della risposta al determinismo
economicistico per sconfinare nell’esaltazione di un insieme astratto.
Per Mondolfo il volontarismo ha un carattere essenzialmente creativo e, come
tale, non può prescindere dalla realtà da cui n’è, in qualche misura,
condizionato: ha, quali dati di partenza, le condizioni oggettive di una realtà
che pure vuole cambiare.
Per Mondolfo, quindi, <<un programma d’azione storica di un partito
rivoluzionario deve dunque, se vuol tradursi nella realtà concreta, superare
l’oscillazione incoerente tra volontarismo e determinismo, e poggiare sopra una
concezione critico – pratica della storia. Nella quale è il vero storicismo,
perché la storia può essere adeguatamente intesa solo da chi nella strada
percorsa cerchi le ragioni del moto avvenire, senta che per poter veramente
rivivere gli anni altrui occorre vivere gli anni propri, o, secondo
l’espressione di Marx, che per sapere interpretare il mondo bisogna volerlo
cangiare>>.
Il cambiamento altro non era che la realizzazione di un assetto socialista
che non poteva, tuttavia, scaturire da un mero sentire etico né non tener conto,
così come rimproverava al riformismo, la dimensione protagonista della classe
operaia, legato alla viva presenza di una consapevolezza teorica entro la sua
prassi storica. Attraverso il rovesciamento della prassi il Mondolfo vede
legarsi i due momenti.
Ed ecco come spiega il nesso dialettico insito nel rovesciamento della
prassi: <<La Umwalzende Praxis ci presenta un’attività, che è lotta – contro i
vincoli e limiti naturali e storici insieme – per una sempre maggiore conquista
di libertà. La forza viva che è nell’uomo, l’insoddisfazione ed il bisogno che
lo pungono e stimolano senza fine alla lotta per avanzamento ulteriore,
consistono nell’insofferenza crescente di tutto ciò che lo frena ed inceppa: il
suo è un conato inesauribile di liberazione.
Nel processo dell’educazione l’individuo, come nel processo storico la
collettività, debbono ad ogni momento di sviluppo organizzarsi per fissare i
risultati dell’azione e degli sforzi precorsi; le forze di produzione debbono
continuamente sistemarsi in forme; ma il risultato che si fissa, mentre assicura
il frutto dello svolgimento anteriore, diventa, nella sua cristallizzazione ed
inerzia, ostacolo allo svolgimento successivo. La vita spirituale nostra, come
la vita storica della società, è vita precisamente in quanto dramma, sforzo
continuo di assestamento ed insieme di superamento, armonia che incessantemente
si rompe e si ricompone per tornarsi a rompere, in un movimento dialettico il
cui arresto può essere segnato soltanto dalla morte>>.
Per Carlo Rosselli la via indicata dal Mondolfo non conduce necessariamente
al socialismo in quanto, a suo avviso, egli non esce dal determinismo marxista.
Infatti, a parere del Rosselli, non esiste nel metodo mondolfiano nulla che
lasci intravedere lo sbocco socialista.
Rosselli aveva riflettuto a lungo sulle teorie di Mondolfo e le pagine ed i
giudizi di “Socialismo liberale” trovano la loro prima decantazione in un
mannello di carte zeppe di appunti dedicati proprio alla Umwalzende Praxis.
Annota Rosselli: <<Mondolfo sfugge al problema. In tutti i suoi scritti l’unica
fede che traspare è quella del processo di rovesciamento della Praxis. Ora che
questo processo debba portare al socialismo è un altro affare. La sua concezione
è quindi critica, strumento potente di interpretazione; ma che di socialistico
non reca necessariamente nulla>>.
Le considerazioni sull’impostazione filosofica di Mondolfo sembrano
confermare Rosselli in un convincimento radicato sull’insufficienza del marxismo
a soddisfare ogni vera esigenza di socialismo. Il commento al Mondolfo diviene
quasi una confessione; scrive, infatti: <<Non riesco ad adagiarmi con così
serena fiducia nello schema marxista. Se mi arresto alla fraseologia mi sento
come limitato da una muraglia della Cina teoretica estremamente mortificatrice
della vita reale; e se cerco di afferrare la sostanza di quel pensiero
celebratissimo, ogni giorno di più mi sembra che mi sfugga dalle mani. A mio
parere il tentativo di Mondolfo di conciliare i due estremi, del materialismo
fatalistico e del volontarismo idealistico antistoricistico, col concetto del
rovesciamento della prassi non giunge ad una conclusione rilevante. La decantata
bussola è uno strumento che all’atto pratico si rivela sordo alle influenze
magnetiche della storia che si fa sotto gli occhi nostri e quindi è inutile per
il navigatore.
La realtà condizionante e condizionata, l’uomo creatore della sua storia, il
presente figlio del passato e padre dell’avvenire: in questa ed altre consimili
formule derivate da una visione dialettica della storia, non trovo nulla che
possa essere di sussidio all’uomo di azione. Tutto sta nell’interpretazione che,
in ogni determinata condizione storica, sì dà dello stato delle cose e delle
coscienze.
E’ poi chiaro che, se la sua è la vera interpretazione del marxismo, quest’ultimo
si risolve nel liberalismo, in un liberalismo più concreto e realistico, che
guarda alla sostanza del moto; in un liberalismo che identifica con precisione
gli agenti del progresso, i centri motori del movimento; ma sempre e solo nel
liberalismo. Da quella interpretazione non discende nessuna necessità
finalistica. Riconfermo ciò che dissi altre volte: se questo è il nucleo
essenziale ed il resto è scoria, tutti possono essere marxisti>>.
In “Socialismo liberale” Rosselli finisce per tirare le somme di tutta
questa riflessione e le conclusioni cui arriva sono quanto mai esplicite.
Scrive: <<se davvero tutto il marxismo stesse nel concetto della prassi che si
rovescia; a me par chiaro che esso si risolva nel liberalismo. Al marxismo, così
come lo interpreta Mondolfo, e con lui tutto il revisionismo, ripugna infatti
sempre più ogni elemento finalistico; da quella interpretazione non ne discende
alcuna conclusione pro o contro la soluzione socialista. Si può accettare la
teoria della lotta di classe come un fatto e ritenere che esso costituirà in
eterno il lievito della vita associata.
Viene meno quello che era ed è il fulcro e la ragion d’essere di tutto il
sistema: vale a dire la scientifica dimostrazione della necessità storica di una
soluzione socialista. La necessità del socialismo si trasforma nella necessità
del moto socialista, della lotta tra proletariato e borghesia e questa lotta
appare ormai aperta a tutte le conclusioni>>.
Rosselli, al contempo, finisce per negare e per riconoscersi nel pensiero di
Mondolfo; lo nega poiché il suo revisionismo, volendo rimanere entro i confini
della dottrina marxista, esprime un metodo non caratterizzato da una finalità ad
esso intrinseca; vi si riconosce in quanto la conclusione liberale che egli gli
attribuisce lo conferma nel proprio assunto di fondo: che la crisi del
socialismo fu essenzialmente dovuta ad un’insufficienza di eticità.
Il giudizio finale cui perviene è quanto mai netto: tra socialismo e
marxismo vi è una frattura insanabile. Rosselli, infatti, nella sua opera di
critico del pensiero socialista è interessato a sviluppare quello che è il
risultato implicito dello stesso revisionismo, ossia l’immissione del
liberalismo nel corpo dell’esigenza politico – dottrinaria del socialismo.
Acclarata la rottura tra il marxismo ed il socialismo, quale punto di
approdo del ragionamento revisionista, Rosselli acquisisce tre concetti
fondamentali: il primo riguarda il revisionismo che ha valorizzato del marxismo
alcune tesi filosofiche come il materialismo storico e la lotta di classe che,
avendo valore scientifico, hanno un carattere oggettivo e, per questo, non
appartengono in esclusiva al marxismo; il secondo che si può essere marxisti
senza essere socialisti ed il terzo che il marxismo non è più un principio
informatore del socialismo.
La rottura del determinismo marxista non permette però a Rosselli di
affermare un punto cui crede molto, vale a dire ammettere la validità di un
fondamento etico per il socialismo. Il sostenere che il marxismo non è più il
principio informatore del socialismo significa non escludere che vi possa essere
un socialismo marxista così come non esclude che vi possa essere un socialismo
non marxista che nasce per libera scelta di accettazione di un percorso che ha
il suo presupposto nella preminenza della democrazia politica, nell’affermazione
e nel consolidarsi della libertà e delle libertà, nell’organizzazione di un
sistema sociale basato su riforme che garantiscano il progresso delle classi
inferiori. In questo socialismo l’aspetto politico è preminente e ritrova il suo
spessore ideologico solo alla fine.
E’ qui, infatti, che il dato volontaristico si reinserisce diventando
elemento fondamentale della vocazione etica. A questo punto del ragionamento di
Rosselli si comprende perché gli interessi veramente il revisionismo; in quanto
rifiutando ogni elemento finalistico, che continua ad essere tipico del
meccanismo marxista, fa emergere una pluralità di possibili soluzioni;
collegando, poi, le posizioni filosofiche con quelle pratiche esso sbocca nel
liberalismo.
<<In un liberalismo più concreto e realistico, che guarda alla sostanza del
moto sociale ed alla dialettica delle cose, che identifica con maggiore
precisione e realismo gli agenti del progresso, che fa i conti con i gruppi e
con le classi e che oggi, in questo stato sociale, con questa forma di
produzione dà un posto preminente al problema sociale, alla lotta tra proletari
e capitalisti, ma pur sempre nel liberalismo.
Col revisionismo vien dunque meno quello che era il carattere distintivo del
sistema marxista: la dimostrazione obbiettiva e rigorosa di una soluzione
socialista. Dal marxismo si passa al revisionismo, e dal revisionismo al
liberalismo. Queste tappe sono fatali. Già Bernstein lasciò intendere che questa
sarebbe stata la conclusione. Il moto socialista è tutto, egli disse,ed il fine
è nulla. O il fine intanto vale in quanto alimenta il moto. La sua formula era
quella di un socialista liberale. Parve scandalo allora. Si avvia oggi ad essere
la posizione caratteristica di tutta la nuova generazione socialista>>.
Il liberalismo che interessa Rosselli ha uno spessore sociale; solo in
parte, infatti, è un metodo per leggere la storia. Gli accenni che Rosselli
esplicita hanno un profilo essenzialmente pratico, di osservazione empirica ma
questo dato non ci sembra cogliere in pieno il nesso tra socialismo e
liberalismo. Se appare chiaro il passaggio dal socialismo al liberalismo fino
alla risoluzione del primo nel secondo, allora perché socialismo? Non sembra
esservi coincidenza tra un socialismo revisionista ed il liberalismo e quindi,
se per socialismo si intende un assetto sociale retto secondo giustizia, per
liberalismo non può che intendersi l’elemento principale fondante la dottrina e
la prassi stessa del socialismo.
Rosselli nei passaggi del suo libro riguardanti questi problemi rimane
abbastanza oscuro. Però, se l’interpretazione dell’approdo liberale può essere
intesa, come dicevamo, allora si comprendono le ragioni della specificazione
liberale del socialismo; come deduzione logica da libertà; l’aggettivo liberale
perché liberamente fondante assetti di libertà liberatoria. Ma l’uso del termine
liberale significa anche un’altra cosa, esso delinea una risposta al socialismo
marxista di impronta deterministica e, quindi, di per se stesso recupera la
piena libertà del singolo e la sua volontà di arrivare ad un socialismo nella
libertà.
Il liberalismo viene così a sciogliersi nel socialismo, in un socialismo
liberale come natura genuina del socialismo che è una dottrina che assume la
libertà come mezzo e come fine.
Il perché dell’aggettivo liberale accanto a quel sostantivo è Rosselli
stesso a spiegarlo. Perché, scrive, <<è forse venuta l’ora di mettere l’accento
sul momento della libertà, di ricordare che in ogni caso è ai partiti
riformatori che spetta esagerare l’elemento volontaristico, mentre è a quelli
conservatori che spetta di esagerare le resistenze. Il determinismo marxista
induce all’accettazione o ad un eccessivo rispetto a priori della realtà
esistente, appunto perché esistente.
Esso umilia l’umanità ricordandole di continuo la sua pochezza di fronte
alle formidabili forze ambientali, naturali e sociali; e più facilmente condurre
a forme di rassegnazione sul tipo di quella cattolica>>.
Con ciò Carlo Rosselli si considera oramai fuori dal marxismo e proteso
verso una definizione del socialismo che lo interessa, forte delle suggestioni
che gli provengono dall’opera di Henry De Man, “Au dela du marxisme”. Il lavoro
di De Man colpì Rosselli a fondo; in esso di riconobbe in maniera quasi acritica
e lo affascinò soprattutto il passaggio nel quale De Man recupera alla volontà
del singolo la conoscenza della storia e delle sue dinamiche e quello in cui
l’ideale futuro diviene spinta all’iniziativa umana.
La visione del teorico belga sembra confortare Rosselli in quella che è la
sua esigenza di fondo, rifondare il socialismo fuori dal determinismo marxista
riportando a ragione prima di ogni impulso che tende al socialismo la
soggettività umana che si traduce per Rosselli in un’esigenza di carattere
morale. De Man conferma Rosselli nella necessità di procedere lungo il cammino
intrapreso per liberale il socialismo dalle formule e ridargli il suo
significato originario, di grande impulso morale sentito dall’uomo per la
liberazione dalla schiavitù del bisogno e dell'ingiustizia e per la piena
affermazione dell’umanismo.
Il socialismo, quindi, per Rosselli è, <<colto nel suo aspetto essenziale,
l’attuazione progressiva dell’idea di libertà e di giustizia tra gli uomini:
idea innata che giace, sepolta dalle incrostazioni dei secoli, al fondo di ogni
essere umano; sforzo progressivo di assicurare a tutti gli uomini un eguale
possibilità di vivere una vita che solo è degna di questo nome, sottraendoli
alla schiavitù della materia e dei materiali bisogni che oggi ancora domina il
maggior numero; possibilità di svolgere liberamente la loro personalità, in una
continua lotta di perfezionamento contro gli istinti primitivi e bestiali e
contro le corruzioni di una civiltà troppo preda al dominio del successo e del
denaro>>.
Il superamento del marxismo nel pensiero di Rosselli può ormai considerarsi
acquisito; il socialismo è l’attuazione di un ideale e, perciò, la realizzazione
di uno status etico. Il volontarismo altro non è che il risveglio di un
sentimento che alberga nel cuore degli uomini.
Alla critica del marxismo Rosselli vuol far seguire una linea propositiva in
positivo, dare corpo alla concezione centrale del proprio pensiero politico che
è, appunto, il socialismo liberale.
La prima definizione che Rosselli dà del socialismo liberale dimostra una
certezza di ordine storico ed una abbastanza evidente incertezza di ordine
teorico. La prima dipende direttamente dal fallimento del socialismo marxista;
la seconda dalla commistione con il liberalismo.
L’uso consapevole che Rosselli fa dell’aggettivo liberale va riportato alla
concezione della libertà considerata come una conquista, come motore interno
dell’operare socialista e, quindi, del socialismo che è liberale perché teoria
della libertà e di libertà. Ciò implica che un sistema politico fondato sulla
libertà ha come conseguenza diretta l’affermazione della democrazia per cui il
metodo liberale sul terreno politico si potrebbe definire <<come un complesso di
regole del gioco che tutte le parti in lotta si impegnano a rispettare; regole
dirette ad assicurare la pacifica convivenza dei cittadini, delle classi, a
contenere le lotte fatali ed anzi desiderabili, entro limiti tollerabili, a
consentire la successione al potere dei vari partiti, ad incanalare nella
legalità le forze innovatrici via via insorgenti>>.
Il liberalismo è ciò che dà concretezza storica all’idea socialista che è
originata da un esigenza morale di giustizia e di libertà. Il processo
dialettico, che il metodo liberale gli permette di cogliere, è un insieme ben
più complesso influenzato dalla volontà dell’uomo che persegue nuovi livelli di
libertà e di democrazia in un assetto garantito di svolgimento della lotta
politica. L’impulso etico del liberalismo è, secondo Rosselli, sorgente e
conquista di democrazia la quale, allargandosi progressivamente per la dinamica
delle lotte sociali, si sviluppa fino a raggiungere un assetto socialista, ossia
un assetto fondato sulla giustizia e sulla libertà.
Ecco la genesi del socialismo liberale; Rosselli, nelle ultime pagine del
suo saggio, recupera la veste del leader politico. Spiega della sua
rivisitazione storico – teorica del socialismo. Il travaglio che era stato
richiamato quale elemento provocativo della riflessione che lo condurrà al
socialismo liberale sembra essersi acquistato ed ha oramai lasciato totalmente
il campo alla finalizzazione politica del lavoro svolto.
Dalla crisi del socialismo si esce con una forte consapevolezza realistica
ed in questa vi è insita la necessità di una rifondazione anche organizzativa
del movimento socialista; le ultime righe di “Socialismo liberale” contengono un
programma ben preciso. Scrive Rosselli: <<sarebbe augurabile il sorgere di una
nuova formazione politica. Non essendo più legata formalmente al passato, essa
sarebbe assai più sciolta da ogni obbligo di coerenza coi programmi e metodi
antichi, e potrebbe più liberamente elaborare, sulla base delle straordinarie
esperienze del quindicennio un programma rinnovatore>>.
|