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Carlo era un socialista eretico fiero del suo ruolo d’enfant terrible
dell’antifascismo italiano, intransigente nella critica non solo del fascismo ma
anche della cultura dell’Italia liberale che aveva prodotto quella mostruosa
creatura politica.
Rivoluzionario tollerante, combattente intriso d’umanità e profeta scettico,
Carlo Rosselli fu un protagonista fondamentale dell’antifascismo italiano, ma la
complessità e la ricchezza del suo pensiero hanno dato origine ad
interpretazioni diverse del suo ruolo nel movimento antifascista. Nessuno come
lui impersonava gli ideali, le potenzialità ed i problemi dell’antifascismo
italiano; era l’incarnazione stessa della resistenza.
Abbandonata negli anni venti una promettente carriera di docente d’economia
politica, Rosselli si gettò nella lotta antifascista e dopo vari anni d’attività
clandestina, compresa la pubblicazione di due importanti giornali, aiutò Filippo
Turati, il grande vecchio del socialismo italiano, a fuggire dal paese per
sottrarsi alla violenza fascista. Per il ruolo avuto nella fuga di Turati venne
arrestato, si difese da solo in un processo drammatico e fu incarcerato.
Nel 1929, dopo un’audace fuga degna di un romanzo ottocentesco, si stabilì a
Parigi dove fondò Giustizia e Libertà, la maggiore e più influente forza
antifascista non marxista in Italia ed in esilio. Per lui l’obiettivo di
Giustizia e Libertà consisteva nel tentativo di riconciliare il potenziale
politico e sociale della rivoluzione russa con la tradizione scientifica,
umanistica e liberale dell’Occidente. Per il direttore dell’Ecole Normale
Superieure di Parigi, dove Rosselli si recava per le sue ricerche, <<nessuno era
pericoloso per il fascismo quanto lui, con la sua vasta cultura, il carattere
eccezionale, la rara mescolanza di freddezza ed audacia>>.
Giustizia e Libertà era l’unico movimento nato dopo la vittoria del fascismo
e quindi non era legato all’esperienza prefascista. Caratterizzato da vivacità
intellettuale e da un’eterogeneità feconda, attrasse alcuni dei migliori
intelletti italiani. Rosselli lavorò febbrilmente per unificare le disparate
parti antifasciste, a livello teorico non cessò mai di suggerire che il
socialismo, lungi dall’essere antagonistico al liberalismo, ne era anzi l’erede
naturale; questo lo portò alla formula eretica del “socialismo liberale”. A
prima vista Rosselli sembra far parte di quella lunga e nobile tradizione del
socialismo europeo che si colloca a metà strada tra riforma e rivoluzione, e che
è impersonato da Benoit Malon e Jean Jaures in Francia, Filippo Turati in Italia
e Eduard Bernstein in Germania.
Rosselli considerava i revisionisti teoricamente troppo timidi mentre
imputava ai socialdemocratici di volere ripudiare il liberalismo ottocentesco.
Il socialismo liberale, pur apparendo allora un impossibile ibrido intellettuale
e politico, nelle parole di una scienziata politica <<esso ha acquistato
modernità con il passare del tempo>>. Si intende qui per socialismo liberale un
modo di organizzare la società in cui lo Stato – com’espressione della comunità
– cerca di difendere ed estendere i diritti sociali con la stessa energia con
cui difende i diritti di libertà.
Rosselli è stato anche associato alla recente svolta verso il socialismo di
mercato. Questo orientamento era una risposta alla tesi secondo cui una dottrina
economica razionale e la libertà erano incompatibili col socialismo. Il
socialismo di mercato si oppone ai mercati capitalistici e propone un sistema
che combina mercato e proprietà sociale del capitale e della produzione con gli
obiettivi di una maggiore efficienza economica, della libertà individuale, di
una più estesa democrazia e della giustizia sociale.
Con lo scoppio della guerra civile spagnola nel 1936, Rosselli lasciò Parigi
e fu tra i primi a giungere a Barcellona per difendere la Repubblica; comandò
una colonna di volontari che annoverava anarchici, socialisti, repubblicani e
giellisti. Le sue trasmissioni radiofoniche da Barcellona, captate in Italia,
probabilmente ne segnarono il destino. Già dall’inizio degli anni trenta era
considerato l’avversario più pericoloso del regime in quanto fondatore di
Giustizia e Libertà e per i tentativi indiretti di organizzare l’assassinio di
Mussolini. Il regime reagì a tono: l’OVRA, la polizia segreta fascista, definì
GL il più pericoloso dei movimenti cospiratori ed una spia anonima riferì da
Parigi che il maggior pericolo viene da Rosselli.
Rosselli fu un teorico più raffinato di quanto in genere si riconosca, anche
se la militanza politica e l’incessante attività dell’esilio gli impedirono di
elaborare un sistema teorico compiuto. Quand’anche ne avesse avuto il tempo e
l’opportunità, difficilmente avrebbe elaborato un’ideologia astratta e chiusa:
un sistema teorico siffatto sarebbe stato in contraddizione con la sua
convinzione che le realtà politiche e sociali fossero in costante
trasformazione. Scelse la forma del saggio per divulgare l’umanesimo e lo
storicismo in cui credeva profondamente. I suoi saggi, unitamente alla rigorosa
militanza politica, costituiscono una critica radicale del liberalismo, del
socialismo e del marxismo italiani e rappresentano una corrente unica
dell’antifascismo italiano. Rosselli avvicinò il liberalismo ed il socialismo
italiani a quelli europei.
Per molti versi è opportuno considerare Rosselli un moralista pubblico
(senza il sapore puritano che l’espressione ha per il lettore inglese). I
moralisti pubblici aspirano ad essere sia più ambiziosi sia meno alienati del
critico inteso come agente doppio. Essi cercano di far sentire la loro voce
caratteristica nel dibattito intellettuale pubblico. Possiamo vedere Rosselli
sia come un profeta ebreo sia come il fautore di una rivoluzione dei santi. Il
moralista pubblico emerge in particolare là dove presenta la dittatura fascista
ed il tradimento del socialismo nella Russia staliniana come le facce della
stessa medaglia, la crisi morale dell’Occidente. Giudicava fascismo e stalinismo
moralmente offensivi. In contrasto con Machiavelli, egli rifiutava la
separazione tra politica, moralità e cultura.
Le sue idee, eretiche negli anni venti e trenta, oggi sono così diffuse che
non è facile coglierne l’originalità. Egli difese il liberalismo aggredito sia
da sinistra sia da destra. La differenziazione tra liberalismo economico e
politico fu accolta all’epoca con spregio, ma oggi molti l’accettano; la
distinzione tra il liberalismo come metodo e come sistema era avvincente. L’idea
di un socialismo etico controbatteva gli argomenti dei socialisti scientifici;
diversamente da tanti, Rosselli sostenne che occorreva seppellire Marx per far
rinascere il socialismo. Rosselli fu tra i primi a comprendere che il fascismo
era il fatto cruciale dell’epoca. Formatosi com’economista politico, era
fortemente consapevole del potere e del peso che la borghesia continuava ad
avere, ma anche conscio dell’importanza di portare il proletariato, gli
artigiani ed i contadini sul palcoscenico della storia.
Prima che nascessero i fronti popolari, sostenne che il fascismo esercitava
un’attrazione interclassista e che per sconfiggerlo era necessaria un’alleanza
rivoluzionaria tra il proletariato, i contadini e la borghesia. Stabilendo un
nesso vitale tra liberalismo e socialismo, suggerì una politica nuova
riesaminando il ruolo dello Stato e la funzione dei partiti politici. La sua
critica dello Stato rimanda ai grandi pensatori anarchici così com’è
interessante la tesi che il partito doveva trasformarsi in un microcosmo della
futura società socialista.
Norberto Bobbio ha scritto che coloro che si sono dedicati alla causa del
socialismo liberale hanno sempre vissuto una condizione d’esilio; per i suoi
fondatori, sotto il regime fascista, si trattava d’esilio politico; per i suoi
aderenti di un esilio morale nel proprio paese.
Rosselli vide la prima volta il suo primogenito soltanto da dietro le sbarre
della prigione, vari mesi dopo la nascita del bambino; gli altri due figli
nacquero in esilio. Sua moglie era vittima della depressione, un disturbo che
avrebbe afflitto la figlia tanto da contribuire al suo suicidio. <<E’ destino –
scrisse Carlo alla moglie – che i nostri bambini nascano nella tragedia>>.
Dal momento in cui intraprese la lotta antifascista, Rosselli sembrò
prefigurare la propria fine. Nei suoi scritti le immagini del sacrificio e della
morte sono onnipresenti. <<Questo destino nostro e soprattutto mio è frutto di
una libera consapevolissima elezione, né saprei concepirlo diverso>>.
Rosselli aveva sposato una posizione intellettuale antitetica e forse
inconciliabile, a metà strada tra la sincera fiducia nell’Illuminismo, con la
sua esaltazione della dignità dell’individuo, nella fede nel progresso e
nell’ottimismo sul futuro, e l’antica convinzione della realtà profondamente
tragica della condizione umana.
Scopo principale, delle mie ricerche e della mia elaborazione in questa
tesi, è stato delineare la genesi e le origini culturali, sociali e storiche
della riflessione rosselliana sul socialismo liberale, la quale ha il suo
approdo teorico – conclusivo nell’omonimo saggio scritto durante il confino a
Lipari.
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