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cap. 1 - L’AMBIENTE FAMILIARE E LA FORMAZIONE INTELLETTUALE DEL GIOVANE
CARLO SINO ALLA TESI DI LAUREA
L’ambiente familiare
Carlo Rosselli nasceva a Roma il 16 novembre 1899, da Giuseppe Rosselli,
musicologo, e da Amelia Pincherle, scrittrice di fama.
Le famiglie Rosselli e Pincherle avevano partecipato attivamente al
Risorgimento e facevano entrambe parte di un’aristocrazia culturale urbana,
cosmopolita e poliglotta, con una solida posizione sociale e sicura delle
proprie capacità.
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I Rosselli ed i Pincherle, ebrei secolarizzati e membri dell’alta borghesia,
erano immersi nella vita politica, economica e culturale della nuova nazione;
l’emancipazione era ai loro occhi un risultato diretto del secolo dei Lumi e del
Risorgimento, che aveva affrancato l’Italia dal dominio degli austriaci e gli
ebrei dall’autorità del Papa. Amelia ricordava che i suoi genitori appartenevano
<<a quel periodo che li sentiva ancora le benefiche conseguenze della
liberazione dei ghetti>>. Perciò, come quasi tutti gli ebrei italiani,
appoggiavano la monarchia costituzionale formatasi nel 1861.
Nel 1841, alcuni membri della famiglia paterna di Carlo Rosselli residenti a
Londra, incontrarono l’eroe esule del Risorgimento italiano, Giuseppe Mazzini;
furono appassionati anglofili e l’incontro con Mazzini li trasformò in militanti
attivi nella lotta per l’indipendenza.
La famiglia Rosselli conservava, quasi come una sacra reliquia, un biglietto
di Mazzini a Sabatino Rosselli, nonno di Carlo, in cui gli chiedeva di
acquistare <<50 sacchi della solita merce>> (armi per il movimento).
Fu attraverso i Rosselli che Mazzini entrò in relazione con Sara Nathan,
figlia di una Ricca Rosselli, ed allevata dai Rosselli di Livorno.
Mazzini trascorse gli ultimi giorni di vita con la famiglia di Pellegrino
Rosselli a Pisa e morì nella sua casa il 10 marzo 1872 sotto il falso nome di
Joseph Brown.
Il ricordo della morte di Mazzini in casa Rosselli si trasmise, quasi
illustrazione gentilizia, alle giovani generazioni della famiglia.
Il culto della memoria di Sara Nathan e la religione mazziniana erano
rimaste come un potentissimo vincolo, ideale e familiare assieme, di tutti i
loro discendenti. Figlie e figli di Sara Nathan (tra le quali Enrichetta, nonna
di Carlo) si riunivano ogni anno attorno alla sua tomba a Campo Verano, a Roma,
il 19 marzo, anniversario della di lei morte. Da questa famiglia discendeva
Giuseppe Emanuele Rosselli, il padre di Carlo. Era figlio di Sabatino Rosselli e
d’Enrichetta Nathan ed aveva sposato, il 3 aprile 1892, la veneziana Amelia
Pincherle, che acquistò poi fama di scrittrice con il suo nuovo nome di Amelia
Rosselli.
Anche nella casa di questa, la tradizione liberale e patriottica costituiva
titolo di spirituale nobiltà. Un prozio, Leone Pincherle, era stato Ministro
dell’Agricoltura e Commercio nel Governo Provvisorio della Repubblica Veneta
durante la dittatura di Manin nel 1848-49.
La varietà dei talenti e dei temperamenti familiari si mostravano anche nel
padre di Carlo. Era musicista, spirito sensibilissimo alle impressioni
artistiche, conversatore intelligente e pieno di fascino. Non molto tempo dopo
il loro matrimonio, i due giovani si erano trasferiti a Vienna, dove nacque nel
luglio 1895 il loro primo figlio Aldo. La ragione fondamentale di quel soggiorno
era stata appunto il desiderio di Giuseppe Rosselli di consacrarsi interamente
alla musica, e di perfezionarsi nella composizione.
La commedia che Amelia scrisse nel 1898, Anima, rappresentata per la prima
volta a Torino, fu un successo nazionale e vinse un premio letterario. Alberto
Moravia, cugino di primo grado dei fratelli Rosselli, giacché era figlio di un
fratello di Amelia, ricordava la zia come una <<donna rigida e sentimentale>>
mentre lo zio Giuseppe era un “artista”, un uomo “debole”. Amelia sapeva
osservare il mondo con un’onestà assoluta e brutale; le sue lettere al marito
rivelano una donna indipendente, di grande intelligenza e dalla volontà ferrea.
Giuseppe sembrava a suo agio nel ruolo dell’artista apparentemente spensierato
ma tormentato.
Dopo quattro anni di permanenza a Vienna, Giuseppe, Amelia e Aldo tornarono
in Italia e si stabilirono a Roma, dove nacque Carlo; un anno dopo fu la volta
del terzo ed ultimo figlio, Sabatino.
Nel 1901 Giuseppe ed Amelia si separarono; poco tempo dopo temporanee ma
serie strettezze, dovute essenzialmente ad investimenti immobiliari mal
consigliati, obbligarono, nel 1903, Amelia Rosselli a lasciare Roma per
stabilirsi, più modestamente, a Firenze con i bambini.
Dopo la separazione, Amelia si fece carico dell’educazione dei tre figli,
diventando la forza dominante nella loro crescita morale ed intellettuale.
Sandro Pertini ricordava che Amelia fu sempre una moglie, una madre ed una nonna
esemplare nonché una grande scrittrice, <<veramente meritevole di essere
ricordata tra le grandi italiane di questo secolo>>.
Amelia Rosselli nei primi anni del Novecento aveva frequentato a Firenze i
circoli del nascente nazionalismo allora nella fase che fu poi definita
“mitologica e letteraria”. Di famiglia veneta (i Pincherle) la madre di Carlo
contribuì in maniera decisiva a formare il carattere dei tre figli Aldo, Carlo e
Nello e, negli anni dell’infanzia, ad orientarli verso un patriottismo che sì
legava ai ricordi del Risorgimento.
Nel suo prezioso memoriale la Rosselli scrive: <<ebrei ma prima di tutto
italiani. Anche io perciò, nata e cresciuta in quell’ambiente profondamente
italiano e liberale, non serbavo della mia religione, che la pura essenza di
essa dentro al cuore. Elementi religiosi unicamente di carattere morale: e fu
questo l’unico insegnamento religioso da me dato ai miei figlioli>>.
A Firenze, in quel momento, la vita nazionale si rifletteva più vivamente
per l’appunto come vita dell’arte e della poesia, vita degli ideali patriottici,
e in essa più fortemente poteva espandersi e meglio trovare posto una persona
come quella di Amelia Rosselli. A Firenze era quindi più naturale crearsi un
ambiente idealmente alto, che prescindesse dalla relatività degli interessi
immediati, e desse soddisfazione ad uno spirito avido di bellezza e di
perfezione.
Le amicizie di Amelia Rosselli erano in quel momento scelte piuttosto tra i
rappresentanti di un discreto classicismo poetico, estetico e filologico. Erano,
soprattutto, nel circolo di persone che frequentavano la casa di Laura ed Angelo
Orvieto, dove veniva spesso l’esteta Angelo Conti; erano filologi, con una ricca
vena di gusto letterario, come Isodoro Del Lungo, Raina o Corrado Ricci; erano,
anche, nazionalisti, ma della specie fondamentalmente letteraria del
nazionalismo di allora come un Corradini. Come sogno letterario cominciava
allora il Nazionalismo, come aspirazione verso una comunità nazionale
“modellata” su certi ideali, una di quelle comunità quali esistono solo nelle
immaginazioni poetiche.
Quanto di queste influenze intellettuali, di questi sentimenti e di queste
idee passò nella vita dei figli e soprattutto di Carlo?
L’atteggiamento spirituale materno di Amelia Rosselli e l’ambiente
fiorentino in cui vennero a trovarsi i tre fratelli, ebbe notevole e forse
decisiva influenza. Ispirò loro un profondo amore di patria, un’iniziale
“nazionalismo” sentimentale; e nello stesso tempo li rese diffidenti ed estranei
di fronte alle prime manifestazioni del sionismo in Italia.
Poi, per ultimo, non è possibile sottovalutare le influenze ed i
condizionamenti dei lavori letterari della mamma scrittrice. Gli scritti di
Amelia avrebbero trovato una corrispondenza nel carattere, nel pensiero e nelle
azioni dei tre figli. Temi ricorrenti nella sua opera erano il problema a prima
vista insolubile della povertà ed il conflitto tra le diverse classi sociali,
chiuse nella difesa dei rispettivi interessi.
I suoi scritti avrebbero suscitato nei tre fratelli un vivo interesse per i
problemi sociali ed un forte senso del dovere, degli obblighi e delle
responsabilità. Gli ideali che trasmise loro erano l’imperativo della libertà
morale, un’eroica sensibilità moderna, l’emancipazione d’uomini e donne dai
dettami ipocriti della convenzione e la sottomissione a quelli della coscienza,
della volontà che aspira, pur senza mai conseguirla, alla perfezione.
Nella sua casa di Firenze il giornale di famiglia era il “Corriere della
Sera”, fautore dell’intervento in guerra a fianco dell’”Intesa”. Fu in quell’ambiente
liberale, nazionalista ed interventista che i fratelli Rosselli si trovarono
immersi nella vita politica.
Carlo, temperamento vivacissimo, fisicamente espansivo, naturalmente
generoso, non quadrava nei limiti di un’educazione classica, destinata a farne
un uomo di studio. I suoi problemi erano prima di tutto fisici; bisogno di
correre, di saltare, di espandersi. Aveva per il fratello maggiore Aldo una
sorta di culto, dovuto anche alla diversità. Lo studio gli riusciva non solo
spiacevole, ma faticoso.
Era un ragazzo “difficile”; bisognava lasciarlo libero di evolversi ed
insieme senza abbandonarlo a se stesso. La mamma si era accorta di questo, e
aveva avuto il coraggio di andar contro alla tradizione borghese; così quando si
era trattato di finire le elementari, mentre dopo la quarta Nello era andato al
ginnasio, Carlo aveva fatto la quinta, per permettergli di lasciar meglio
preparare il terreno.
Ma non era bastato. Carlo restava bambino; un’operazione d’appendicite,
subita a dodici anni, aveva avuto sul suo equilibrio fisico un effetto profondo
e distruttore. Una flebite, originata dalla difficoltà del ricambio, lo aveva
costretto a letto lungo tempo; e, anche guarita, aveva lasciato le sue
conseguenze.
D’altra parte, l’immobilità forzata aumentava gli squilibri dell’umore,
generando quasi un’obesità.
Al ginnasio, dove adesso era entrato, il latino gli riusciva insopportabile,
come le materie umanistiche, e solo mostrava interesse per le matematiche. Dopo
aver dibattuto a lungo il problema con il prof. Gargano, insegnante di Carlo, la
signora Amelia prese la decisione di ritirare il bambino dal ginnasio e di
metterlo alle tecniche, dove le sue inclinazioni naturali sarebbero state più
favorite dal corso degli studi. Era una decisione di un certo peso: il ginnasio
era in Italia la scuola che apriva normalmente il cammino ai corsi universitari
e quindi, ritirarsi dal ginnasio poteva significare accettazione d’inferiorità
“sociale”. E tuttavia la decisione si rivelò salutare, perché calmò e stabilizzò
il temperamento giovanile.
Sempre, in questo periodo, Carlo Rosselli attraversò una breve ma intensa
crisi religiosa a dodici anni dopo la morte del padre.
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