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cap. 3 - IL LIBERALISMO SOCIALISTA E IL PENSIERO ECONOMICO
L’adesione al partito socialista
Le ragioni di tale insuccesso devono individuarsi nell’eterogeneo bagaglio
teorico, oltre che nel pragmatismo di fondo, con cui il giovane affrontava in
quegli anni il dibattito sul piano ideologico.
Pochi giorni dopo la scoperta del delitto Matteotti, all’inizio del luglio
1924, Carlo scrisse a Piero Gobetti per annunciargli la decisione di aderire al
Partito Socialista Unitario. <<Credo - scrive Rosselli – che tra poco entrerò
nel partito unitario, probabilmente in un gruppo con altri amici, tra i quali
Salvemini e Jahier. E’ un tentativo che si deve fare tanto più che è venuta
l’ora per tutti di assumere il proprio posto di battaglia in seno ai partiti.
Solo così sarà possibile, con l’ingresso di nuove forze d’accordo su un minimo
comune denominatore, esercitare nell’ambito dei rispettivi partiti quel lavoro
positivo di chiarificazione>>.
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Numerose testimonianze insistono sull’insofferenza di Rosselli verso la
tattica attendista dei leaders riformisti subito dopo il delitto Matteotti.
E’ significativo che a tale radicalizzazione del giudizio politico
corrisponda sul piano personale un’esigenza sempre più pressante di dedicarsi
interamente alla lotta antifascista, abbandonando il lavoro scientifico.
Carlo due mesi dopo si recava a Londra, per un secondo viaggio studio. Ed è
proprio nel drammatico autunno 1924 che l’analisi della situazione italiana
acquista concretezza e realismo nelle lettere di Carlo. Certo è che, a partire
dalla fine di settembre, i giudizi di Rosselli appaiono improntati ad un
pessimismo e talvolta ad una chiarezza critica coinvolgente. Si tratta soltanto
di breve affermazioni fatte quasi incidentalmente nelle lettere inviate alla
madre dall’Inghilterra.
Il 7 ottobre, dopo la conclusione del congresso del partito liberale che
aveva deciso di schierarsi all’opposizione ed il discorso di Mussolini a Milano
del 4 ottobre dove affermava che sarebbe rimasto al potere anche contro
l’eventuale volontà del parlamento, scrive alla madre: <<Impressioni sul
congresso liberale: sono certo contento che i Die-Hards si siano svegliati. Ma
tardi, forse troppo tardi. Il discorso Mussolini è stato di una gravità
eccezionale. Il passo famoso sta ormai a significare che egli intende impostare
la lotta sul terreno insurrezionale. Come fa l’opposizione a continuare a
persistere nella lotta nel campo legale, quando il Premier dichiara di non
riconoscere la validità dei metodi legali?>>.
Carlo, insomma, ha compreso ormai l’impotenza dell’opposizione aventiniana e
ritiene che sia giunta l’ora di impostare la battaglia sul piano illegale.
Nonostante tutto, l’adesione al partito di Turati non viene meno in questo
periodo, nonostante la divergenza sulla tattica aventiniana ed in genere sulla
situazione politica perché Carlo vede con lucidità gli inevitabili sbocchi della
lotta e giunge fino ad auspicare la lotta sul piano illegale, la cospirazione:
ma tutto entro gli schemi ideologici e la prospettiva politica del riformismo
socialista.
<<Le notizie politiche – scrive alla madre da Londra il 24 novembre 1924 –
confermano il mio pessimismo. Non credo in una soluzione sul terreno legale>>.
Il viaggio del 24, in Inghilterra, fu per Rosselli un’iniezione di ottimismo e
di fiducia dopo il delitto Matteotti: e bisogna tenere conto di questo
particolare stato d’animo con cui Carlo affrontò di nuovo la realtà inglese per
comprendere il suo entusiasmo di fronte alla vita politica in Gran Bretagna.
In quell’occasione, il giovane poté incontrare il segretario
dell’Internazionale socialista, Adler, ed il Primo ministro laburista Ramsay
MacDonald. Ma soprattutto ebbe modo di seguire l’Inghilterra durante un’accesa
campagna elettorale, fare ancora una volta il confronto con l'Italia avvilita
dalla dittatura. <<Un paese – scriveva alla madre il 7 ottobre 1924 – in periodo
elettorale è come un uomo spogliato di tutte le convenzioni e con l’animo a
nudo>>. Ed il 26 ottobre da Cardiff, nel Galles: <<Oggi abbiamo passato
un’indimenticabile giornata in un paesino di minatori del Galles del sud; oggi
ho capito quanto grande e stupendo sia l’ideale socialista>>.
Accettando l’invito di Treves, Carlo scrisse alcuni articoli
dall’Inghilterra per “La Giustizia” che apparvero anonimi. Tra quelli che si
possono attribuire sicuramente a lui, merita di essere ricordato “Laburisti e
liberali faccia a faccia” apparso sul quotidiano del PSU nel numero del 21
ottobre 1924.
Il centro dell’analisi è ancora il passaggio della funzione liberale,
dell’opera di rinnovamento e di progresso da un movimento all’altro: e in
particolare dai liberali ai laburisti.
<<I liberali – osserva Rosselli – sono ormai sulla difensiva e le presenti
elezioni potranno segnare l’inizio della loro decadenza,lunga, forse, nobile
certo. Non si può dimenticare che è una grande tradizione che lentamente
scompare, che è un grande e storico partito che viene travolto da quelle forze
che esso stesso aveva sprigionato con la sua azione riformatrice. Quel movimento
operaio che per quasi tutto il secolo passato gravitò attorno al movimento
liberale, sempre più se ne va distaccando attratto dal socialismo moderato e
gradualista del Labour Party>>.
L’altro punto su cui insiste è lo spostamento dei ceti medi verso i
laburisti: <<In questi ultimi anni, la maggior parte degli insegnanti britannici
è passata al Labour Party. Questa ricchezza di medio ceto che si ritrova nel
Labour Party in uno colla influenza dell’elemento morale e religioso ne può
spiegare molte differenze con i nostri partiti socialisti continentali
rigidamente classisti>>. In realtà Rosselli inseguiva anche in quell’articolo il
sogno di un socialismo moderato e gradualista, non classista, fedele ai principi
della democrazia liberale, capace di ottenere i consensi del proletariato e
della borghesia avanzata.
Ritornato in Italia agli inizi di novembre, Carlo si dedica a un’intensa
attività politica tra Firenze e Milano.
Su proposta di Attilio Cabiati, l’Istituto Superiore di Commercio di Genova
lo chiama a insegnare Istituzioni di economia politica e Rosselli lascia
l’assistentato alla Bocconi per l’incarico genovese: sembra ormai orientato
verso la carriera scientifica. Ma, pur impegnandosi a fondo nell’attività
didattica, il giovane è sempre più attratto dalla lotta, sente con prepotenza
l’esigenza di dare tutte le proprie energie a un’azione antifascista.
Partecipa tra il delitto Matteotti e la fine del 1925 a varie iniziative.
Subito dopo il suddetto delitto, era nato a Firenze, per iniziativa di un gruppo
di ex combattenti tra cui anche Carlo Rosselli, l’associazione “Italia Libera”
per condurre una propaganda metodica contro le leggi fasciste e <<contribuire
con tutte le sue forze alla restaurazione di un regime di libertà e di giustizia
in tutto il paese>>. Gli ex combattenti del “Italia Libera” chiarivano di voler
battersi per <<l’eguaglianza di tutti i cittadini nei diritti e nei doveri>>.
Sempre nel modulo di iscrizione si affermava che <<il fascismo è un fenomeno
doloroso specialmente perché è il risultato della scarsa maturità spirituale del
paese: il fascismo ha potuto travolgere tutte le istituzioni che garantivano la
libertà e la dignità dei cittadini perché nello smarrimento del dopoguerra
troppi italiani hanno creduto di potersi assicurare il quieto vivere abdicando
alla propria libertà e alla propria dignità. Contro questa vigliaccheria diffusa
in tutti i ceti sociali bisogna reagire>>. Si insisteva insomma sull’aspetto
etico dell’antifascismo: era questo, almeno fino a tutto il ’24, anche il
pensiero di Rosselli.
Ma il discorso del 3 gennaio 1925 e le misure repressive che ne seguirono
spinse il gruppo fiorentino a cercare un nuovo strumento di lotta. Nacque il
“Non mollare” e i membri dell’Italia libera divennero i distributori clandestini
del giornaletto.
Il “Non mollare” nacque dalla convinzione comune a Salvemini, a Carlo e
Nello Rosselli e ad Ernesto Rossi che con il 3 gennaio era ormai avvenuta la
seconda ondata preannunciata dal fascismo: svanita ormai la speranza nell’azione
legale, non restavano che la cospirazione, la lotta clandestina.
Salvemini era quello che prevalentemente scriveva il Non mollare, gli altri
erano tutti collaboratori; ma sfogliando il giornaletto è possibile individuare
alcuni punti essenziali comuni a tutto il gruppo. Per far solo un esempio il
giornale ribadisce che <<il popolo italiano deve guadagnarsi con le sue forze la
sua libertà e la sua dignità di popolo civile. Se questa mostruosa esperienza
finisse senza nessuno sforzo del nostro popolo, l’esperienza non servirebbe a
nulla>>.
C’è un accenno del giornale che merita di essere rilevato perché riflette un
pensiero che Rosselli proprio nel ’25 sta sviluppando: <<Il significato
sostanziale della sfida del 3 gennaio – scrive il Non mollare – si riassume in
poche parole: per la prima volta i fascisti acquistano più consapevolezza della
loro forza. Ogni giorno che passa, di fronte all’impotenza degli oppositori,
aumenta nei fascisti la coscienza della forza di cui dispongono. Vien fatto di
chiedersi se tra noi e molti dei vecchi capi partito sia finita davvero ogni
possibilità d’intesa.
Rispondiamo si. Sussiste l’incompatibilità. Occorre che i vecchi capi si
ritirino in disparte. Col dir questo non intendiamo condannarli. Anzi, li
giustifichiamo. Non possiamo chiedere a Turati, De Gasperi, Giolitti, di
diventare capi di un’élite rivoluzionaria; finché questi uomini dirigeranno la
battaglia è psicologicamente ineluttabile che scelgano quelle forme di lotta per
le quali sono adatti>>.
L’accenno all’élite rivoluzionaria che svolga la lotta sul piano illegale e
cospirativo è importante perché costituisce da allora il punto di riferimento
essenziale per Rosselli.
Tra aprile e maggio, grazie alla delazione di un tipografo, la polizia
fiorentina ebbe le informazioni che aspettava sul Non mollare. Ernesto Rossi
sfuggì all’arresto lasciando l’Italia ma Gaetano Salvemini l’8 giugno 1925 venne
arrestato. Il processo venne rinviato e Salvemini, approfittando della libertà
provvisoria concessagli, si allontanò da Firenze. Carlo riuscì a sfuggire alle
spedizioni punitive, rifugiandosi prima a Cortona, tornando poi a Milano e a
Genova e restandovi quasi sempre nei mesi successivi.
Scrivendo il 12 gennaio 1925, a quello che egli considera il suo più grande
maestro di vita, Rosselli insiste sulla necessità di porre in primo piano il
carattere etico della lotta al fascismo e sulla scelta che ne deriva: dedicare
tutto all’azione, sacrificare interessi materiali e spirituali a quella che egli
sente come una vera e propria missione.
<<Di fronte al progressivo consolidarsi del fascismo la nostra sistematica
opposizione corrisponde ad un relegamento fuori della storia – confida a
Salvemini -; io sento che abbiamo da assolvere una grande funzione dando esempi
di carattere e di forza morale alla generazione che viene dopo di noi>>. Già in
questa lettera, Rosselli ricorda a Salvemini di avergli chiesto fin dal
settembre ’24 un consiglio sulla decisione che sente di dover prendere:
dimettersi dall’incarico, dedicarsi <<al lavoro di carattere politico culturale,
convinto com’è, che occorre oggi addivenire a una profonda revisione dei
principi del movimento socialista democratico>>.
Ma qual era, dopo il 3 gennaio, il giudizio di Rosselli sul fenomeno
fascista e sul tipo di lotta da condurre per abbattere il regime? Il giovane non
sottovaluta il fascismo né pensa che si tratti di un banale accidente; perde la
fiducia nella borghesia avanzata.
La rivolta sociale, l’ascesa graduale della classe lavoratrice resta per
Carlo la via migliore verso il socialismo. Ma di fronte a una dittatura come
quella imposta da Mussolini, non ci sono possibilità di scelta: se la borghesia
non ha ancora compreso qual è il suo dovere – afferma Rosselli – sarà il
proletariato ad affrontare la lotta, travolgendo non solo l’ordinamento politico
ma anche quello sociale ed economico.
Quanto all’essenza del fascismo, per il giovane Rosselli il fenomeno affonda
le sue radici nelle organiche deficienze e debolezze del paese. Convinto ormai
che agli avversari del fascismo resti soltanto la via della cospirazione e dell’illegalismo,
Rosselli pensa a <<un’élite capace di tenere nelle mani il movimento di
opposizione e di costituire la classe dirigente di domani>>.
Ecco, dunque, in concreto qual è la strategia proposta da Rosselli: un’elitès
di oppositori disposti a tutto, provenienti da tendenze differenti, guidata da
un intellettuale che ha anche il compito di educare l’elitès antifascista; da
questi punti parte Carlo per lanciare una proposta che vuol dare il via a
formazioni di tipo nuovo, che adotti mezzi adatti alla natura dittatoriale ed
illegale del fascismo.
In un articolo destinato ad un numero unico della federazione giovanile
milanese del P.S.U. su Matteotti, Rosselli espresse con chiarezza in che senso
avesse valore l’eredità del deputato assassinato. Di Matteotti, il giovane
ricordava in quel momento il programma di dignità, di intransigenza, di lotta a
cui l’antifascismo non aveva saputo in quel primo anno avere fede: <<Sotto
l’orrore per l’assassinio e la forza del suo mirabile esempio ci sentimmo
veramente capaci a nostra volta di grandi cose, di forti sacrifici. Queste
grandi cose non furono compiute. Non facemmo intero il nostro dovere.
Soprattutto mancammo per intrinseca debolezza, attendendo la liberazione da
altri, da tutti gli altri fuori che da noi stessi. Mentre ancora perdura
l’oppressione fascista, una sola commemorazione ci è permessa: la commemorazione
con le opere nell’azione. Fare, fare concretamente; lottare sempre, con tutti i
mezzi; osare. A chi ci chiede il programma, il piano d’azione, rispondiamo:
dieci anni di lotta allo sbaraglio>>.
Ma perché la lotta al regime sia efficace, occorre restare in Italia: <<Io
ritengo che sia un gravissimo errore emigrare, finché permane anche una minima
possibilità di lavoro in Italia. Il lavoro all’estero è utile; prezioso ma non
va sopravvalutato: il lavoro fondamentale, sia materiale che spirituale, deve
farsi in Italia>>.
A voler caratterizzare lo stato d’animo di Carlo lungo tutto il 1925, si
potrebbe dire che è questo il periodo in cui la spinta all’azione si fa più
forte, il lavoro politico – culturale perde almeno in parte di interesse e si
afferma prepotente il bisogno di organizzare un gruppo di oppositori disposti a
tutto.
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