MARX e l'accumulazione originaria 16

MARX-ENGELS
per un socialismo democratico


L'ACCUMULAZIONE ORIGINARIA

(K. Marx, L'accumulazione originaria, Ed. Riuniti, Roma 1991)

Roman Rosdolsky, Genesi e struttura del "Capitale" di Marx
(ed. Laterza, Bari 1971)

Secondo Rosdolsky Marx non fece, nel cap. XXIV, una storia vera e propria della transizione dal feudalesimo al capitalismo, in maniera ortodossa dal punto di vista della metodologia storica, semplicemente perché non ne ebbe il tempo (p. 315 n. 3).

Nei Grundrisse lo stesso Marx afferma che "per enucleare le leggi dell'economia borghese, non è necessario scrivere la storia reale dei rapporti di produzione", in quanto basta -aggiungiamo noi- la fenomenologia dell'economia. E tuttavia Marx si era proposto di fare anche un lavoro di ricerca storica vera e propria.

Senonché Rosdolsky secondo noi ha sottovalutato la difficoltà di Marx, in quanto per poter fare una vera storia dell'economia (della transizione al capitalismo) occorre un approccio storico che non può privilegiare l'economico su tutto. A Marx ha sempre fatto difetto l'analisi integrata degli aspetti culturali con quelli sociali ed economici del capitalismo, specie in relazione alle sue origini storiche.

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Interessante la sottolineatura che Rosdolsky fa circa un'apparente contraddizione di Marx che in alcuni testi, elencando le epoche della storia economica comincia non col comunismo primitivo ma coi modi di produzione asiatici, mentre in altri fa discendere tutta la storia della civiltà dal comunismo primitivo (la proprietà comune naturale spontanea), ribadendo che questa è la forma originaria (Urform) riscontrabile in Asia, presso gli antichi romani, presso gli slavi e i germani, i celti ecc. (n. 17 di p. 321).

Cioè a dire per Marx non è mai esistito un modo di produzione asiatico particolare, che non rientrasse in quelli già enumerati: comunismo primitivo, schiavismo, servaggio, capitalismo e socialismo.

Rosdolsky però avrebbe dovuto sottolineare due cose: 1) che al tempo di Marx gli studi sul comunismo primitivo erano scarsissimi, 2) che Marx ha sempre ritenuto necessario il passaggio dal comunismo primitivo alle civiltà: il che ha sempre reso limitata la sua analisi del processo di transizione dal capitalismo al socialismo.

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Rosdolsky ha ben capito che Marx s'è arrovellato tutta la vita senza trovare una soluzione soddisfacente al seguente problema: il capitalismo non viene dalla proprietà fondiaria, né dalle corporazioni, ma dal patrimonio mercantile e usurario. E' un prodotto della circolazione monetaria avanzata. Tuttavia la circolazione è solo uno dei presupposti, non l'unico, altrimenti il capitalismo si sarebbe dovuto formare anche nell'antica Roma, a Bisanzio ecc. Dunque come spiegare l'arcano?

Nella n. 26 di p. 323 Rosdolsky riporta una frase molto importante di Marx, presa dal libro III del Capitale: il capitalismo è il prodotto dello sviluppo del capitale commerciale, ma anche di "altre circostanze".

Dice Rosdolsky: "non fu dunque la ricchezza monetaria in quanto tale, ma il processo storico della separazione dei mezzi di produzione dal lavoro e dal lavoratore, a fare dei mercanti e possessori di denaro dei secoli XV-XVII dei capitalisti"(p. 324).

Tuttavia, il processo se è "storico" non può essere solo "economico": è anche sociale, culturale e politico. Solo allorché questo processo ebbe raggiunto "un certo stadio" -dice Marx- si verificò la nascita del capitalismo. Può questo stadio essere misurato con un metro meramente quantitativo? Secondo noi no. Non possono essere state determinazioni quantitative progressive a generare una nuova qualità, poiché qui si ha a che fare con una qualità troppo diversa. Tra schiavismo e servaggio le varianti sono infinitamente minori rispetto a quelle tra servaggio e lavoro salariato.

Marx ha individuato un processo storico di dissoluzione del modo di produzione feudale, ma non ne ha individuato gli intrecci tra riflessione culturale e produzione economica. Egli ha cercato in tutti i modi di evitare che nelle sue analisi economiche si rischiasse di cadere nel circolo vizioso di cui parla nel cap. XXIV del Capitale (vedi n. 30 di Rosdolsky). Ma non si può uscire da questo circolo senza uno studio approfondito dei possibili nessi tra una cultura teologica non ancora espressamente protestante e una prassi economica non ancora espressamente borghese. Qui c'è uno scarto che va ancora colmato.

Le origini culturali del capitalismo sono nell'individualismo, che nella società feudale era rappresentato dai vertici della gerarchia cattolico-romana (culturalmente superiore ai vertici delle popolazioni cosiddette barbariche) e quindi dalle elaborazioni teologiche degli intellettuali che hanno giustificato quell'individualismo.

Il processo di separazione del produttore dai suoi mezzi di produzione è potuto avvenire perché la chiesa romana aveva già realizzato il processo di separazione dei propri vertici gerarchici dall'ecumene cristiano: il che mise la chiesa in grado di tollerare, al proprio interno, in maniera lenta ma progressiva, lo sviluppo di una prassi economica che di cristiano aveva sempre meno, quella prassi che porterà alla nascita della figura del mercante cristiano e poi del borghese cristiano.

Questa prassi non era dominante nel Medioevo, però la chiesa romana assunse un atteggiamento sempre più benevolo, sempre più concessivo, di fronte alle continue richieste di autonomia e di profitto privato dei mercanti, finché il processo le sfuggì di mano.

Quando si accorse che la classe mercantile poteva minacciare il suo potere politico, era troppo tardi per tornare indietro, e i tentativi di fermare la storia indirizzata verso il trionfo del capitale, come p.es. la Controriforma, non fecero che ritardare di secoli un processo che, stante quelle condizioni, doveva comunque imporsi.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26/04/2015