MARX e l'accumulazione originaria 2

MARX-ENGELS
per un socialismo democratico


L'ACCUMULAZIONE ORIGINARIA

(K. Marx, L'accumulazione originaria, Ed. Riuniti, Roma 1991)

1. L'arcano dell'accumulazione originaria

La prima cosa che andrebbe chiarita è tutta racchiusa in questa lapidaria affermazione di Marx: "La dissoluzione della società feudale ha liberato gli elementi della società capitalistica"(p. 6). E per "dissoluzione" Marx intende alcuni aspetti fondamentali: fine del servaggio e delle corporazioni, nonché delle città sovrane, e quindi nascita del proletariato (eslege), cioè di individui che possono vendere sul mercato unicamente la loro forza-lavoro.

Questi processi così sconvolgenti come sono potuti accadere? Marx non lo spiega sul piano delle motivazioni ideali o culturali. Si limita semplicemente a sostenere che "i cavalieri dell'industria riuscirono a soppiantare i cavalieri della spada soltanto sfruttando avvenimenti dei quali erano del tutto innocenti"(p. 7).

Il punto, tuttavia, è proprio questo: la genesi di quegli avvenimenti, sfruttati in maniera innocente, è davvero stata innocente? Marx dice che non ci sarebbe stato capitalismo se non ci fosse stata "servitù dei lavoratori". Il capitalismo ha sfruttato una cosa che lo precedeva, limitandosi a trasformare il servaggio in una contrattazione salariale. Ma così facendo, Marx non spiega perché ciò, ad un certo punto, sia potuto accadere. Cioè non spiega quali siano state le ragioni culturali che in maniera diretta o indiretta, innocente o colpevole, abbiano in qualche modo determinato o favorito il passaggio da uno sfruttamento all'altro. Egli si limita a prenderne atto, considerandolo come un processo storicamente necessario.

Oggi però sappiamo che la necessità di un fenomeno non significa affatto la sua ineluttabilità. Un fenomeno è sempre il frutto di una scelta, i cui gradi di consapevolezza possono essere più o meno grandi. Esso diventa inevitabile solo dopo che si sono operate delle scelte in luogo di altre.

Tuttavia uno storico dovrebbe sempre ipotizzare come sarebbero potute andare le cose se si fossero compiute scelte diverse.

In una nota (la prima), dedicata all'Italia, Marx dice delle cose che da sole meriterebbero una trattazione a parte: l'Italia ha sviluppato per prima la produzione capitalistica. Perché? Perché qui -risponde Marx- il servaggio era stato abolito prima che altrove. Ma perché proprio in Italia prima che altrove Marx non lo dice.

Seconda cosa: pur essendo stata la prima a svilupparsi in senso capitalistico (commerciale), perché l'Italia, dopo la scoperta dell'America, che rende l'Atlantico più importante del Mediterraneo, torna a livelli para-feudali? E' possibile spiegare questa inversione di rotta soltanto con l'analisi economica?

Il passaggio dal capitalismo commerciale a quello industriale è sempre stato considerato da Marx inevitabile, salvo imprevisti esterni che ne impediscono forzatamente la realizzazione. E qui calza a pennello l'esempio dell'Italia, la cui improvvisa involuzione storica viene fatta risalire alla scoperta dell'America, che impose il primato dell'Atlantico sul Mediterraneo.

Tuttavia è davvero strano che la prima potenza europea sul piano del capitalismo commerciale si fosse lasciata superare in così poco tempo da nazioni economicamente molto più arretrate. Gramsci addebitò l'involuzione alla mancata realizzazione dell'unità nazionale. Ma questa causa fu in realtà una conseguenza della mancata trasformazione del capitalismo da commerciale a industriale.

Il vero motivo che impedì all'Italia di trasformarsi nella prima nazione industriale d'Europa o comunque in una nazione capitalistica non meno importante dell'Inghilterra, fu la Controriforma, ovvero la mancata realizzazione di una Riforma in cui risultasse centrale il ruolo della borghesia.

Nel momento in cui la borghesia italiana accettò, seppur malvolentieri, la Controriforma (e fu un'accettazione più politica che culturale), tolse a se stessa la possibilità di diventare "capitana d'industria" e impedì al popolo italiano di realizzare l'unificazione nazionale e di costituire uno Stato indipendente dalla chiesa.

Se è vero che il capitalismo nasce con la nascita della manifattura - fenomeno che appunto in Italia, rimasta ferma al livello dei commerci, non è avvenuto e che avverrà in particolar modo laddove s'imporrà una qualche riforma protestante, cioè una forma di emancipazione dal dominio o culturale o politico della chiesa romana -, è anche vero che senza manifattura non è neppure il caso di parlare di espropriazione irreversibile dei contadini. La prima industrializzazione della vita sociale è costituita dalla manifattura ed è con questa che la borghesia distrugge l'artigianato e subordina l'agricoltura.

Cosa ha impedito alla borghesia italiana di compiere questo passaggio? E' stata appunto la religione cattolica, che, nonostante tutti i suoi palesi abusi, costituiva allora un'idealità più alta della religione protestante.

La borghesia italiana, nel complesso, non era ancora sufficientemente cinica e individualista.

Marx si è chiesto ripetutamente (non solo in questo capitolo) il motivo per cui il capitalismo non sia nato là dove era forte il capitale commerciale: nel I libro del Capitale la risposta è nota: il capitalismo nasce là dove esistono sia un certo volume di capitali circolanti, sia la presenza sul mercato di una certa disponibilità di forza-lavoro, separata dai mezzi produttivi.

Nel II libro Marx accentuerà il fatto che, per la formazione del capitalismo, la determinante in ultima istanza è una forte e massiccia presenza di capitale monetario. Laddove esiste ciò è impossibile che ad un certo punto non nasca il capitalismo.

Col che Marx mostra di dibattersi in un problema che non trova soddisfacente soluzione. La differenza principale tra capitalismo commerciale e quello industriale può essere di tipo meramente "quantitativo", come p.es. il volume delle merci o del capitale monetario circolante?

In realtà il capitalismo non ha bisogno solo di capitali circolanti e di manodopera salariata, ma anche, prima di tutto, della presenza culturale di un'ideologia di vita, che ne legittimi la nascita o che comunque ponga le basi, anche senza volerlo, per la sua gestazione.

Il capitalismo non può nascere come "figlio legittimo o naturale" di un sistema pre-capitalistico in decomposizione; o meglio, perché nasca con una patente di legittimità o di naturalità, occorre che venga elaborata un'ideologia specifica che s'incarichi di far sembrare bianco il nero e viceversa.

Occorre un'ideologia che s'insinui nei punti più deboli delle strutture dominanti, politicamente ancora forti, ma largamente sofferenti di una certa incoerenza tra valori, affermati in sede teorica, e realtà concreta.

Questa ideologia alternativa può cercare il compromesso con le istituzioni dominanti, ma deve comunque essere disposta, in caso di necessità, a trasformare i propri ideali in una lotta politica vera e propria.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26/04/2015