|
||||
|
L'ACCUMULAZIONE ORIGINARIA(K. Marx, L'accumulazione originaria, Ed. Riuniti, Roma 1991) 3. Legislazione sanguinaria contro gli espropriati dalla fine del secolo XVI in poi. Leggi per l'abbassamento dei salari Nel paragrafo 3 Marx delinea sinteticamente i principali provvedimenti legislativi della corona inglese contro il vagabondaggio e la mendicità e afferma che disposizioni analoghe si diffusero in tutta Europa occidentale alla fine del sec. XV e per tutto il sec. XVI. a) Non si accettava l'idea di una povertà causata da circostanze indipendenti
dalla volontà dell'individuo. Nel paragrafo non si rileva alcuna resistenza a questo incredibile processo di schiavizzazione di cittadini liberi. Anzi Marx afferma che già nella seconda metà del sec. XIV "si sviluppa una classe operaia che per educazione, tradizione, abitudine, riconosce come leggi naturali, ovvie, le esigenze di quel modo di produzione... [che] spezza ogni resistenza"(p. 29). Questo però andava spiegato. Non a caso, partendo immediatamente dalla constatazione della fine del servaggio, Marx, in questo capitolo, ha evitato di considerare il momento in cui il contadino, lottando contro il feudatario, si chiedeva se accettare la prassi borghese che s'andava affermando nelle città, oppure se costituire un'alternativa sia al sistema feudale in decadenza, sia all'economia borghese in fieri. In realtà Marx offre anche una propria spiegazione del fatto che il capitalismo sarebbe dovuto comunque nascere. L'emancipazione dei contadini -a suo giudizio- era avvenuta in maniera troppo “individuale” (Marx parla di “liberi contadini autonomi”), perché essa potesse reggere il confronto con la grande proprietà fondiaria o con i metodi capitalistici che la borghesia applicava in agricoltura. Per Marx l'emancipazione era avvenuta in maniera prevalentemente economica (in Inghilterra), e quindi appunto in maniera individualistica, cioè nel senso che i contadini si erano assicurati il possesso di un certo lotto di terra “qualunque fosse l'insegna feudale sotto la quale potesse celarsi la loro proprietà”. Viceversa in Italia -dice sempre Marx in nota- “il servo della gleba viene affrancato prima di essersi assicurato un diritto di prescrizione sulla terra. Perciò la sua emancipazione lo rende immediatamente proletario”. Anche qui però -come si può notare- Marx non spiega il motivo del processo di emancipazione del servo della gleba italiano, cioè il motivo per cui ad un certo punto si sia lottato per avere un diritto politico (la libertà) e non anche o non solo un diritto economico (la proprietà). Sembra addirittura che l'emancipazione dal servaggio sia stata concessa ai contadini dall'alto. Marx, in sostanza, lascia intendere che l'emancipazione dal servaggio avvenne senza particolari conflitti di classe, in quanto i grandi proprietari (feudali) erano riusciti a conservare integralmente la proprietà delle loro terre. Essi non potevano avere paura dei contadini autonomi, in quanto sapevano che non avrebbero potuto essere rovinati dalla loro concorrenza. Non può certo sfuggire a uno storico il fatto che qui i contadini autonomi vengono presentati senza alcuna personalità sociale e culturale, senza interessi di classe, senza alcuna ideologia politica. Essi subiscono passivamente l'espropriazione delle terre, proprio perché non hanno gli strumenti necessari per opporvisi. Al massimo si accontentano di poter continuare a utilizzare le terre comunali per il pascolo, il legname ecc. Il che non ha senso. Marx spiega anche che il motivo principale della loro espropriazione fu determinato dal fatto che, essendosi rovinata con le guerre feudali, la nobiltà non poteva far fronte alle nuove esigenze di vita della società borghese che in città si stava sviluppando. (Da notare che in questo passaggio di Marx la società borghese è “già nata”). In particolare, ciò che convinse i nobili a espropriare i contadini fu l'espandersi della manifattura laniera fiamminga e il conseguente rincaro della lana. Di qui la necessità di trasformare le terre arabili in pascoli. Ora, questo modo di presentare le cose è tutto meno che storico: 1) perché sembra sia stato sufficiente un semplice fattore congiunturale (l'aumento del costo della lana) per provocare un fenomeno sociale di una drammaticità inaudita e dalle conseguenze incalcolabili; 2) perché di fronte a tale fattore i nobili, che fino a quel momento sembravano strutturalmente legati alla mentalità feudale, si riscoprono improvvisamente dei veri e propri capitalisti; 3) perché i contadini vengono ancora una volta dipinti come soggetti passivi: prima sembrava che avessero ottenuto l'emancipazione gratuitamente, ora sembra che accettino l'espropriazione come una necessità del destino. Qui non solo Marx manifesta dei profondi pregiudizi nei confronti della classe contadina, non solo compie un'analisi parziale del tipo di gestione della proprietà agricola, ma -quel che più importa- non fa assolutamente capire quali siano stati i meccanismi culturali che hanno indotto la nobiltà a diventare “borghese”. Peraltro, nella sua analisi, il fattore congiunturale non è neppure endogeno, cioè nazionale, ma proveniente dalla piccola regione dei Paesi Bassi. Paradossalmente, la borghesia inglese, che è stata l'artefice principale della rivoluzione industriale, è del tutto assente in questo processo di espropriazione a carico dei contadini. Si ha cioè l'impressione che il capitalismo sia nato dalla semplice quanto improvvisa trasformazione del nobile in borghese. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - 17 |