MARX e l'accumulazione originaria 3

MARX-ENGELS
per un socialismo democratico


L'ACCUMULAZIONE ORIGINARIA

(K. Marx, L'accumulazione originaria, Ed. Riuniti, Roma 1991)

2. Espropriazione della popolazione rurale e sua espulsione dalle terre

Quando inizia, nel paragrafo 2, a parlare dell'Inghilterra, dove il capitalismo assume "forma classica" (in quanto la coeva e molto più ricca Olanda si era fermata alla fase commerciale) e dove non ci sono "ripensamenti", come in Italia, Marx descrive una situazione socioeconomica a dir poco idillica: in Inghilterra, prima del capitalismo, esisteva una sorta di "ricchezza popolare"(p. 9). Più di 1/7 della popolazione totale, dice -riportando una citazione- alla nota 2, viveva in freehold, cioè con una proprietà libera da ogni specie di vincolo feudale e questa parte di popolazione era superiore a quella dei fittavoli che lavoravano su terreno altrui. Nell'ultimo terzo del sec. XVII i 4/5 della massa della popolazione erano agricoltori. Il servo della gleba era un proprietario, obbligato a tributi, di piccoli appezzamenti di terra annessi alla sua abitazione e comproprietario delle terre comunali - dice Marx alla nota 3.

Il rivolgimento si ha "nell'ultimo terzo del secolo XV e nei primi decenni del secolo XVI"(p. 9). Ora, è inutile qui andare a cercare una causa scatenante sul piano culturale; Marx la trova solo sul piano economico ed è stato l'impulso immediato allo scioglimento dei seguiti feudali, determinato dalla "fioritura della manifattura laniera fiamminga e dal corrispondente aumento dei prezzi della lana"(pp. 9-10). In pratica i contadini non sufficientemente ricchi per trasformarsi in fittavoli o per mettersi in proprio furono sfrattati dalle terre in cui lavoravano perché in esubero: l'arativo andava convertito in pascolo, che per essere gestito necessitava di molti meno lavoratori.

Marx dice espressamente che mentre la vecchia nobiltà feudale era stata inghiottita dalle grandi guerre feudali (qui si devono presumere quella esterna dei Cento Anni con la Francia [1337-1453] e quella interna delle Due Rose [1455-1485]), la nuova nobiltà, invece, "era figlia del proprio tempo per il quale il denaro era il potere dei poteri"(p. 10): di qui l'esigenza di trasformare i campi in pascoli per le pecore.

Un'affermazione del genere andava culturalmente spiegata, altrimenti è impossibile comprendere le vere motivazioni storiche che generano i fenomeni. Nell'analisi marxiana tutto sembra sottostare alla categoria della necessità. Una trasformazione così repentina della "ricchezza popolare" in "ricchezza capitalistica" andava spiegata con un'analisi dei processi culturali che in qualche modo l'avevano favorita. Marx peraltro non dice nulla sulla nascita e lo sviluppo del capitalismo in Olanda e sui rapporti di questo capitalismo con quello inglese prima dell'iniziativa drammatica delle enclosures. Sarebbe stato interessante verificare il motivo per cui il capitalismo trovò in Olanda un terreno così favorevole e uno sviluppo così potente da mettere a repentaglio un sistema produttivo, come quello inglese, ove la ricchezza era "popolare".

Sarebbe stato anche interessante verificare se le enclosures avvennero proprio là dove maggiore era stata la propaganda dei calvinisti (cioè, per le recinzioni, soprattutto in Kent, Essex, Suffolk, Norfolk, Northamptonshire, Leicestershire, Worcestershire, Hertfordshire...). Da notare che la nobiltà più antica e conservatrice risiedeva nelle contee settentrionali e occidentali.

Si ha invece l'impressione che proprio in virtù della categoria della necessità, Marx abbia voluto mostrare come il feudalesimo fosse destinato ad essere superato dal capitalismo. Il che però non spiega perché ciò sia potuto avvenire proprio nel XVI secolo e non prima, visto e considerato che il capitale commerciale e quello usuraio sono sempre esistiti. Le recinzioni non possono essere state dettate da un mero "impulso esterno": esse in realtà sono una conseguenza di uno "spirito capitalistico" già in atto.

E' pacifico che un contadino non si trasforma volontariamente in operaio, ma è altresì evidente che a questa trasformazione non è interessato neppure il possidente agrario, se in qualche modo non vi si sente indotto dalle circostanze, le quali tuttavia non possono essere solo di natura economica, in quanto la trasformazione del contadino in operaio salariato implica un primato del valore di scambio (vendere prodotti per il mercato) sul valore d'uso (per l'autoconsumo) che non può imporsi in maniera spontanea, come regola generale dell'intera società.

Non andando a ricercare le ragioni della “combinazione degli elementi" nell'ambito della sovrastruttura, Marx, in un certo senso, sarà costretto ad affermare che il capitalismo è nato nel XVI sec., ovvero non è nato nei secoli precedenti, solo per un puro caso: il che contraddice nettamente la tesi di un passaggio “naturale”, inevitabile, da una formazione sociale all'altra.

Non a caso nella sua analisi non esiste un movimento di resistenza a questa transizione verso il capitalismo. Eppure alla fine del XVII su una popolazione nazionale di 5-5,5 milioni di abitanti, ben 4 milioni vivevano nelle campagne, di cui il 60% era ancora copyholder e il restante freeholder (tra quest'ultimi i più ricchi si trovavano in una condizione analoga a quella della piccola nobiltà rurale): quindi ancora esisteva la possibilità di una regolamentazione democratica dello sviluppo economico dell'agricoltura, che esulasse dai metodi violenti delle recinzioni.

I copyholders (dominanti nelle contee settentrionali e occidentali) avevano il possesso non la proprietà della terra; di regola ne erano usufruttuari per 21 anni, dopodiché il lord poteva decidere se rinnovare il contratto o se cacciare il contadino imponendogli un canone d'affitto per lui impossibile. Solo una ristretta minoranza entrava in possesso della terra per via ereditaria. Oltre alla rendita i lords riscuotevano altre gabelle: le tasse sull'uso del mulino e del mercato, la quota per il pascolo e il godimento del bosco ecc. Rare volte s'incontrano le vecchie corvées e i tributi in natura. Naturalmente, non essendone i proprietari, i copyholders non avevano alcun diritto sui loro terreni: nulla poteva essere venduto, ipotecato, affittato senza il consenso del lord. Quando i canoni d'affitto dalla metà del XVI sec. alla metà del XVII aumentarono di 10 volte i copyholders furono costretti a trasformarsi in freeholders (fittavoli a tempo determinato) o, più raramente, in mezzadri, oppure a diventare braccianti, salariati giornalieri. Alla fine del XVII sec. c'erano già 400.000 mendicanti e vagabondi senza tetto.

Nessuna città inglese, se si esclude Londra, aveva più di 30.000 abitanti e, nel complesso, l'Inghilterra della prima metà del sec. XVII era ancora molto in ritardo rispetto all'Olanda quanto a industria, commercio e traffico marittimo, per cui non poteva ancora considerarsi scontata la transizione al capitalismo.

Peraltro, a differenza della Francia, gli strati sociali inglesi non erano chiusi e isolati (clero, nobiltà, terzo stato). Tra la piccola-media nobiltà e la borghesia non c'era molta differenza nello stile di vita.

L'Inghilterra non fu solo sconvolta da sommosse borghesi, mascherate da ideologie religiose, che volevano accelerare la suddetta transizione, ma anche da sommosse contadine di stampo anticapitalistico. A partire da quella del 1607 nelle contee centrali del paese (Northamptonshire, Leicestershire...) contro le enclosures in cui si distinguono i cosiddetti Livellatori (Levellers) e gli Sterratori (Diggers), sino a quelle degli anni '20-'30-'40 sempre contro le recinzioni ma anche contro l'usurpazione delle terre comuni, da parte dei lords, per farne parchi privati. Negli anni 1617-20 molti artigiani, apprendisti, operai manifatturieri cominciarono a saccheggiare i depositi di grano, ad assalire gli esattori delle tasse e i giudici di pace, a incendiare le case dei ricchi.

Da questi movimenti insurrezionali nascerà nel 1652-56 una "Società degli amici" sotto l'influenza di G. Fox (1624-1691), le cui idee troveranno una sistemazione teologica grazie a R. Barclay e che porteranno alla nascita del movimento dei Quaccheri, il quale solo nel 1689, con l'editto di tolleranza, otterrà libertà di azione dopo essere stato per molti anni represso (specie dalla repubblica puritana di Cromwell).

La situazione era diventata piuttosto drammatica, tant'è che nel 1624 (lo stesso anno in cui il paese entrò in una guerra disastrosa con la Spagna) la corona si vide costretta a fare delle concessioni.

A dir il vero, tutta la prima metà del XVII sec. fu così travagliata da lotte intestine che la società inglese non aveva ancora chiara alcuna strada da prendere per il proprio futuro sviluppo. P.es. nel 1603 salì al trono il figlio di Maria Stuart, Giacomo VI  re di Scozia, che prese il nome di Giacomo I (1603-1625). Egli è vero sostenne il sistema dei monopoli, cioè dei diritti esclusivi offerti a singole compagnie nella produzione e nel commercio di un qualsiasi prodotto, ma è anche vero che proprio sotto il suo governo ci fu un brusco arresto nello sviluppo delle manifatture.

La corona inglese voleva sfruttare il nascente capitalismo con lo stesso spirito di un feudatario che vive di rendita grazie ai suoi contadini, e nel contempo voleva tenere sotto controllo dei processi economici il cui sviluppo temeva avrebbe nuociuto alla stabilità della stessa corona. E così da un lato chiedeva ingenti somme per la concessione delle licenze commerciali, dall'altro pretendeva un apprendistato di 7 anni come condizione per esercitare una qualunque professione. Gli agenti governativi controllavano la qualità dei prodotti, la quantità e la qualità degli strumenti di lavoro, il numero dei garzoni e degli apprendisti occupati in una bottega artigianale ecc. e, pur di incamerare soldi nell'erario, non avevano scrupoli di colpire commercianti, artigiani, imprenditori con multe, estorsioni, esosità fiscali, processi giudiziari... E si pretendeva che tutto il commercio estero fosse concentrato a Londra. Insomma già nel 1622 la bilancia del commercio estero era diventata passiva. Peraltro nel 1604 il re aveva firmato un accordo di pace con la Spagna ignorando del tutto il problema degli interessi commerciali inglesi nei possedimenti spagnoli delle Indie orientali e occidentali.

La corona era solo capace di dilapidare i propri patrimoni o di venderli all'asta, di introdurre nuovi dazi senza l'approvazione del parlamento, di pretendere l'acquisto a basso prezzo di prodotti all'ingrosso, di ricorrere a prestiti forzosi, di ripristinare diritti feudali decaduti...e di perseguitare gli oppositori (i puritani furono costretti a emigrare in Olanda e negli Stati Uniti).

Sotto il successore di Giacomo I, Carlo I (1625-1648), le cose peggiorarono drasticamente, al punto che il parlamento l'obbligò a firmare la "Petizione dei diritti", mediante cui si chiedeva la garanzia dell'inviolabilità della persona, dei beni patrimoniali e della libertà dei sudditi.

Nel 1629 il parlamento chiese altre tre cose che la corona giudicò inaccettabili: a) chi introduceva innovazioni papiste nella chiesa anglicana andava considerato come il principale nemico del regno; b) chiunque consigliasse al re di riscuotere dazi senza il previo consenso del parlamento andava considerato come nemico del regno; c) chiunque paghi volontariamente le tasse non ratificate dal parlamento va considerato come un traditore della libertà del paese.

Carlo I, per tutta risposta, fece chiudere definitivamente il parlamento, impose la censura sulla stampa e sulla libertà di parola, vietò la lettura di libri proibiti, incarcerava i dissidenti e li faceva fustigare in pubblico, aumentava le tasse in maniera insopportabile, in una parola impose il terrore.

Dal 1630 al 1640 emigrarono dall'Inghilterra 65.000 persone, di cui 20.000 in America e nelle colonie della Nuova Inghilterra. Alla fine degli anni '30 si verificarono violente manifestazioni di operai e di artigiani. Anche gli scozzesi reagirono al tentativo anglicano d'imporre il proprio servizio liturgico e costrinsero la corona a un armistizio nel 1639. Anche in Irlanda, nel 1641, scoppia una grande rivolta popolare con cui si voleva por fine alla politica colonizzatrice inglese.

Il parlamento tentò a più riprese di ridurre l'assolutismo della monarchia, ma lo stesso parlamento, quando presentò nel 1641 la petizione popolare con cui si chiedeva la fine della gerarchia ecclesiastica, ovvero l'eguaglianza democratica negli affari di chiesa, si divise in gruppi contrapposti, in quanto la maggioranza dei possidenti terrieri temeva che la concessione di questo diritto avrebbe comportato anche quello relativo all'equa ripartizione della terra. D'altra parte i parlamentari combattevano gli abusi compiuti dalla corona, non certo quelli compiuti da borghesi e nobili contro contadini, artigiani e operai.

Carlo I ne approfittò subito per tentare un colpo di stato e siccome non gli riuscì fece scoppiare, nel 1642, la guerra civile. Le contee del nord e dell'ovest, poco popolate ed economicamente arretrate, lo appoggiarono, mentre tutte le altre difesero i diritti del parlamento. Ciononostante, senza l'intervento della Scozia è dubbio che il parlamento (allora guidato dall'ala più radicale del puritanesimo, gli Indipendenti) sarebbe riuscito ad avere la meglio sulla corona.

Insomma sotto i governi filocattolici e tardofeudali dei primi Stuart si poté assistere da un lato alla possibilità di scegliere una strada alternativa al capitalismo (grazie alle rivolte contadine) e, dall'altro, alla impossibilità, da parte delle istituzioni politiche legate al mondo cattolico, di indicarla.

* * *

Una delle cose più strane di questo capitolo è che Marx ha descritto il processo di espropriazione dei contadini e degli artigiani senza spendere neppure una parola sul processo inverso, cioè sulla resistenza sociale o sull'opposizione politica a tale espropriazione. Dalla famosa rivolta contadina dei Lollardi (1381), che volle mettere in pratica le teorie eversive di John Wycliffe, sino all'insurrezione, sempre contadina, del 1450 guidata da Jack Cade, per non parlare di quanto avvenne in occasione dello scisma anglicano, l'Inghilterra fu sconvolta da avvenimenti che di per sé non lasciavano presagire come inevitabile una soluzione univoca.

La classe dei contadini indipendenti era più numerosa di quella dei fittavoli negli ultimi decenni del XVII sec. e scomparirà del tutto -dice Marx (p. 14)- solo verso il 1750. E negli ultimi decenni del XVIII sec. cesserà completamente l'uso delle terre comuni e demaniali. Qui in sostanza s'è verificata un'espropriazione dalle dimensioni colossali, di una gravità eccezionale - come se la popolazione intera vi avesse acconsentito paga della riforma anticattolica! come se considerasse le conseguenze del capitale un male inevitabile all'introduzione del calvinismo! E' vero, l'espropriazione delle terre contadine e comuni avverrà senza tregua anche sotto la cattolica Mary Tudor, ma questo è la riprova che lo "spirito protestante" aveva profondamente intaccato anche gli ambienti cattolici, in modo analogo a quanto già accaduto nell'Italia comunale.

In Inghilterra le asprezze del confronto ideologico tra religioni fu attenuato proprio dal compromesso sullo stile di vita borghese tra i ceti mercantili e la nuova nobiltà feudale, da un lato, e la vecchia nobiltà feudale ed ecclesiastica dall'altro. Tutti, potendo impadronirsi abusivamente di terre altrui (non solo comuni o demaniali, ma anche quelle secolarizzate dei monasteri, per non parlare di quelle che, una volta recintate, misero sul lastrico migliaia di contadini non proprietari), poterono evitare di confliggere per motivi religiosi. E' la legge stesse che permette questo immane saccheggio. Nella nota 24 Marx paragona questa involuzione verso il predominio della proprietà privata a quanto avvenne nella Roma antica, prima della lex Licinia-Sestia del 367 a.C.

Marx rileva anche che in Scozia il processo delle inclosures assunse un "carattere sistematico"(p. 21), ma non ne spiega la ragione, che fu invece quella di un'introduzione del calvinismo più radicale.

* * *

Secondo noi la proprietà privata fondata sul lavoro personale non è mai esistita nelle società divise in classi, se non in termini alquanto ridotti. Là dove era fondata sul “lavoro personale” non era certo “libera” (se non per i proprietari), là dove era “libera” era spesso basata sul lavoro altrui.

La “piccola azienda” di cui parla Marx, quella di tipo familiare o patriarcale, era “libera”, nel mondo romano o feudale, solo per ristrette categorie sociali.

Il capitalismo non si è opposto solo a questa forma di proprietà, ma anche e soprattutto a quella privata basata sullo sfruttamento del lavoro altrui. Esso cioè è passato da uno sfruttamento all'altro, e ha potuto farlo promettendo la libertà a tutti gli sfruttati.

Una proprietà privata libera, che riguardasse la grande maggioranza dei lavoratori, non è mai stata individuale, se si esaminano le formazioni sociali primitive, pre-schiavistiche, ma è sempre stata sociale. La libertà è veramente reale sono nell'uguaglianza sociale, cioè in un regime di comunismo dei beni.

Marx nel Capitale ha considerato astrattamente la proprietà privata libera e individuale, e l'ha giudicata negativamente, appunto perché spontanea e individuale. Una proprietà senza cooperazione, senza concentrazione dei mezzi produttivi, senza divisione del lavoro, senza capacità di dominare la natura, regolandone il rapporto con la società, con una minuta ripartizione della terra e dei mezzi produttivi, non poteva che essere superata dal capitalismo.

Marx qui non si rende conto che una tale proprietà, se mai è esistita, era già stata superata -come forma generale di produzione- dalla proprietà fondiaria della società schiavista e feudale; anzi, la sua stessa esistenza dipendeva da quelle società divise in classi, era un prodotto della proprietà privata usata per sfruttare lavoro altrui.

La libera proprietà contadina, sorta in Inghilterra verso la fine del XIV sec., anche se era gestita -come dice Marx- dalla “stragrande maggioranza della popolazione”, non era affatto totalmente libera, ma sempre soggetta a un vincolo di tipo feudale con la signoria aristocratica. Marx stesso lo afferma laddove parla di qualsivoglia “insegna feudale” sotto cui si celava questa forma di proprietà.

In questo senso, se si vuole ammettere l'idea che la libera proprietà individuale aveva in sé contraddizioni tali per cui il suo dissolvimento era inevitabile e quindi necessaria era la transizione al capitalismo, allora bisogna anche ammettere che quelle contraddizioni erano dovute al rapporto ch'essa aveva con la proprietà feudale o comunque con i rapporti produttivi di tipo feudale.

La piccola proprietà individuale non era libera né come la intendiamo oggi né come la si intendeva nelle società pre-schiavistiche. In queste società peraltro la libertà della proprietà individuale non era in contrasto con la libertà della proprietà collettiva, anzi era il collettivo che dava la dimensione della libertà individuale. Mentre sotto il capitalismo è “libera” solo la grande proprietà, quella che decide i vari monopoli sul mercato. Tutta l'altra proprietà deve sottostare alle leggi del mercato, per cui è “libera” solo giuridicamente non economicamente.

Dunque se nell'Inghilterra del XVI sec. la prima proprietà ad essere espropriata fu quella libera e individuale, ciò è dipeso appunto dal fatto ch'essa nella società feudale era la più debole, sotto tutti i punti di vista.

Tale libera proprietà era continuamente minacciata dalla forza dell'aristocrazia, e il contadino doveva difenderla con ogni mezzo. Se essa si trasformò abbastanza velocemente in proprietà capitalistica, ciò dipese appunto dal fatto ch'era costantemente minacciata da quella feudale, per quanto, a una spiegazione del genere, bisogna aggiungerne un'altra, trascurata da Marx, quella della progressiva emancipazione ideologica dalla religione tradizionale, da parte o dei contadini che, vendendo per il mercato, si erano arricchiti e quindi avevano intenzione di trasformarsi in capitalisti sul proprio terreno, oppure da parte dei ceti mercantili e usurai, i quali, imponendo le leggi del mercato, costrinsero parte della nobiltà a espropriare i contadini e far diventare anche questa stessa classe feudale un produttore capitalistico.

Delle due insomma l'una: se la piccola proprietà contadina è stata così facilmente espropriata, ciò è potuto accadere o perché il capitalismo commerciale e usuraio era già notevolmente sviluppato, oppure, se questo capitalismo ancora non era molto sviluppato, perché esisteva una mentalità religiosa fortemente protenstantizzata, che tendeva a giustificare la prassi mercantile. In entrambi i casi il processo di trasformazione capitalistica della piccola proprietà non s'è imposto senza una buona dose di “odio” nei confronti della rendita feudale e dei privilegi aristocratici.

Spesso il borghese non era che un ex-contadino o un ex-artigiano che, dopo aver concesso il primato al commercio e al denaro, era tornato alla terra per cominciare a produrre in modo capitalistico. La piccola azienda familiare s'era trasformata in azienda capitalistica solo dopo aver accumulato capitali da una parte e risentimenti e odio nei confronti del feudalesimo, dall'altra. Ecco perché, prima di parlare di “accumulazione originaria”, Marx avrebbe dovuto prendere in esame le lotte di classe dei contadini inglesi medievali e l'evoluzione dell'ideologia religiosa, che portarono all'abolizione della servitù della gleba, quelle lotte appunto che avrebbero potuto far nascere, volendo, una società di tipo non-capitalistico. Egli semplicemente si limita a considerare l'abolizione del servaggio come un dato storicamente acquisito, che non avrebbe potuto non fare gli interessi, in ultima istanza, della classe borghese.

In sintesi, quando Marx parla esplicitamente del fatto che il capitalismo è sorto sulla disgregazione del feudalesimo, non offre una spiegazione convincente delle cause interne che hanno disgregato il feudalesimo, poiché, se l'avesse fatto, avrebbe dovuto prendere in esame anche gli aspetti sovrastrutturali (in specie l'ideologia religiosa) che condizionano quelli strutturali dell'economia.

Quando Marx esamina gli aspetti sovrastrutturali (in specie il diritto) lo fa solo con l'intento di confermare quelli strutturali o di mostrare che le leggi della struttura trovano sempre un loro riflesso nella sovrastruttura. Nella sua analisi la struttura e la sovrastruttura non hanno un vero rapporto dialettico, d'influenza reciproca, ma solo uno di causa ed effetto.

Di conseguenza, parlando dell'accumulazione originaria inglese, egli è stato costretto a rifarsi, anzitutto, a delle cause esterne, la prima delle quali è stata l'espandersi della manifattura laniera fiamminga.

1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - 17


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
 - Stampa pagina
Aggiornamento: 26/04/2015