MARX e l'accumulazione originaria 7

MARX-ENGELS
per un socialismo democratico


L'ACCUMULAZIONE ORIGINARIA

(K. Marx, L'accumulazione originaria, Ed. Riuniti, Roma 1991)

6. Genesi del capitalista industriale

Il capitalismo industriale ha tolto definitivamente ai produttori ogni autonomia e li ha subordinati in toto alle esigenze del grande capitale. Come sia potuto accadere questo, al di là delle descrizioni fenomenologiche fatte da Marx (e dai socialisti utopisti prima di lui) non è dato di sapere nel Capitale. Cioè come sia potuto accadere che questo processo di inaudita gravità, e che ha comportato immani tragedie, abbia trovato un relativo consenso da parte delle masse popolari, resta ancora materia di discussione, poiché in questo processo devono per forza essersi innestati dei fattori extra-economici che ancora devono essere analizzati nei loro rapporti coi processi economici.

Da questo punto di vista la storia dell'accumulazione primitiva andrebbe riscritta, poiché si sono tenute separate delle scienze che invece andrebbero viste in maniera integrata, olistica. Teologia, filosofia... andrebbe studiate in rapporto all'economia, beninteso senza cercare dei rapporti stretti di causa/effetto, ma tentando di scoprire il luogo delle premesse culturali dei fenomeni sociali.

Qui non si vuole sostenere che le idee precedono i fatti, ma semplicemente che i fatti non possono imporsi se non sono appoggiati dalle idee. Non c'è trasformazione dei fatti se a livello culturale non si affermano delle idee opposte a quelle dominanti. E' possibile che queste idee non abbiano un rapporto diretto coi fatti che andranno a determinare o legittimare, poiché esiste sempre un certo margine di ambiguità negli enunciati teorici, i quali non necessariamente portano a determinate conseguenze pratiche. Però sicuramente non è possibile che i fatti si trasformino nella più completa inconsapevolezza dei protagonisti.

P.es. sarebbe interessante, in tal senso, verificare se l'atteggiamento strumentale, così tipico delle società antagonistiche di derivazione cristiana (feudalesimo e capitalismo), sia in realtà un atteggiamento conforme a una determinata interpretazione dei rapporti interpersonali che i teologi trasposero a livello di relazioni infratrinitarie. E' noto infatti che la teologia latina nutre assai poca considerazione per il concetto ontologico di "persona", preferendo a questo il concetto di "funzione" o di "ruolo". Di qui i suoi limiti rispetto alla teologia ortodossa. Di qui forse il carattere meno oppressivo del feudalesimo est-europeo. La trasformazione della persona in una merce da sfruttare, dopo averla resa giuridicamente libera, è un concetto le cui origini vanno fatte risalire alla cultura cattolica e soprattutto protestante.

Gli studi, in tal senso, sono davvero scarsi. Di poco aiuto ci sono quelli che hanno associato capitalismo a riforma, poiché a nostro parere il protestantesimo non è che una radicalizzazione di idee già nate e sviluppate in ambito cattolico. Lo stesso Marx d'altra parte, e a suo modo, lo dice: "Il Medioevo aveva tramandato due forme differenti di capitale: il capitale usuraio e il capitale commerciale"(p. 43). Marx sa bene che nel Medioevo "il capitale denaro formatosi mediante l'usura e il commercio veniva intralciato nella sua trasformazione in capitale industriale, nelle campagne dalla costituzione feudale, nelle città dalla costituzione corporativa"(p. 44).

Era la cultura cattolica che lo intralciava, la stessa che però sfruttava il servaggio sia per fini economici (la rendita) sia per fini culturali (il clericalismo) e che per queste ragioni non fu in grado di opporsi alla riforma protestante, che spazzò via rendita e clericalismo per aprire le porte allo sfruttamento libero e selvaggio.

Marx si limita a parlare di "costituzione feudale e corporativa", cioè in sostanza di leggi, statuti ecc., ma gli ostacoli non erano solo di natura giuridica, come se le autorità costituite volessero impedire la spontaneità di certi processi: erano proprio di natura culturale, nel senso che erano condivisi dalle masse, le quali accettavano usura e capitale commerciale solo in via del tutto straordinaria, eccezionale, non come regola sociale che avrebbe dovuto imporsi contro le disposizioni legali dominanti.

Questo significa che nel passaggio dal feudalesimo al capitalismo devono essersi sviluppate culturalmente delle idee favorevoli alla generalizzazione delle eccezioni, qualche tempo prima che ciò avvenisse. La storia anzi dimostra non solo che i fautori di queste generalizzazioni (che al loro tempo erano eccezioni) di regola morirono prima della realizzazione delle loro idee, ma anche che la realizzazione di queste idee non fu quasi mai del tutto conforme alle loro aspettative originarie.

Marx può tranquillamente constatare che nell'affermazione del capitalismo e del correlato colonialismo, l'ideologia che gli ha fatto da supporto è stata quella cristiana. "Quei sobri virtuosi del protestantesimo -dice con la sua solita ironia- che sono i puritani della Nuova Inghilterra misero nel 1703, con risoluzioni delle loro assembly, un premio di 40 sterline su ogni scalp d'indiano e per ogni pellerossa prigioniero..."(p. 47). Detto questo però egli non scava in profondità e non si preoccupa di verificare quale tipo di ideologia cristiana e soprattutto quale tipo di rivoluzione culturale ha portato una certa corrente del cristianesimo: quella euro-occidentale (cattolica e soprattutto protestante) a trasformare il cristianesimo in una religione neo-schiavista.

La successione cronologica dell'accumulazione originaria ha visto paesi cattolici e protestanti fare a gara nell'uso dei mezzi e metodi più brutali con cui saccheggiare risorse e uomini dei continenti extra-europei: Spagna, Portogallo, Olanda, Francia, Inghilterra... "L'Olanda -dice Marx-, che è stata la prima a sviluppare in pieno il sistema coloniale, era già nel 1684 all'apogeo della sua grandezza commerciale"(p. 48). E non dimentichiamo che l'Olanda veniva considerata "terra di libertà" per gli intellettuali cattolici inseguiti dalla Controriforma.

"Oggigiorno la supremazia industriale porta con sé la supremazia commerciale. Invece nel periodo della manifattura in senso proprio è la supremazia commerciale a dare il predominio industriale. Da ciò la funzione preponderante che ebbe allora il sistema coloniale"(p. 48). Marx tuttavia non spiega il motivo per cui nazioni cattoliche come Spagna e Portogallo non arrivarono mai a trasformare la supremazia commerciale in predominio industriale.

Constata cose che da sole meriterebbero trattazioni a parte, per le loro implicazioni e risvolti culturali, come p.es. questa: "Il sistema del credito pubblico, cioè dei debiti dello Stato, le cui origini si possono scoprire fin dal Medioevo a Genova e a Venezia, s'impossessò di tutta Europa durante il periodo della manifattura..."(p. 49). Di nuovo il primato storico dell'Italia cattolica...

Nell'elencare i punti salienti della nascita del capitalismo: sistema coloniale, del debito pubblico, tributario e protezionistico, Marx afferma che il ruolo dello Stato (quello che appunto mancò all'Italia rinascimentale) era diventato prioritario: "Tutti si servono del potere dello Stato, violenza concentrata e organizzata della società, per fomentare artificialmente il processo di trasformazione del modo di produzione feudale in modo di produzione capitalistico e per accorciare i passaggi"(p. 45).

Il debito pubblico trasforma il denaro in capitale "senza che il denaro abbia bisogno di assoggettarsi alla fatica e al rischio inseparabili dall'investimento industriale e anche da quello usuraio. In realtà i creditori dello Stato non danno niente, poiché la somma prestata viene trasformata in obbligazioni facilmente trasferibili, che in loro mano continuano a funzionare proprio come se fossero denaro in contanti..."(p. 49).

Sono indubbiamente ancora molto moderne le seguenti osservazioni di Marx sul debito pubblico (p. 50), che ha fatto nascere:
- una "classe di gente oziosa vivente di rendita";
- la "ricchezza improvvisata dei finanzieri che fanno da intermediari fra governo e nazione";
- la ricchezza degli "appaltatori delle imposte, dei commercianti, dei fabbricanti privati, ai quali una buona parte di ogni prestito dello Stato fa il servizio di un capitale piovuto dal cielo";
- le società per azioni;
- "il commercio di effetti negoziabili di ogni specie";
- l'aggiotaggio;
- il gioco in borsa;
- la bancocrazia moderna.

"Le bassezze del sistema di rapina veneziano sono ancora uno di tali fondamenti arcani della ricchezza di capitali dell'Olanda, alla quale Venezia in decadenza prestò forti somme di denaro. Altrettanto avviene fra l'Olanda e l'Inghilterra. Già all'inizio del sec. XVIII le manifatture olandesi sono superate di molto, e l'Olanda ha cessato di essere la nazione industriale e commerciale dominante. Quindi uno dei suoi affari più importanti diventa, dal 1701 al 1776, quello del prestito di enormi capitali, che vanno in particolare alla sua forte concorrente, l'Inghilterra. Qualcosa di simile si ha oggi fra Inghilterra e Stati Uniti..."(p. 51). Qualcosa di simile domani si avrà tra Stati Uniti e Cina?

Ovviamente "il debito pubblico ha il suo sostegno nelle entrate dello Stato che debbono coprire i pagamenti annui d'interessi..."(p. 51). Queste pagine sono attualissime perché descrivono molto bene l'essenza finanziaria della situazione dei tre poli dell'imperialismo mondiale: Stati Uniti, Europa occidentale e Giappone.

Non faremmo citazioni così lunghe se non fossimo convinti della loro importanza. "I prestiti mettono i governi in grado di affrontare spese straordinarie senza che il contribuente ne risenta immediatamente, ma richiedono tuttavia un aumento delle imposte in seguito. D'altra parte, l'aumento delle imposte causato dall'accumularsi di debiti contratti l'uno dopo l'altro costringe il governo a contrarre sempre nuovi prestiti quando si presentano nuove spese straordinarie. Il fiscalismo moderno, il cui perno è costituito dalle imposte sui mezzi di sussistenza di prima necessità (quindi dal rincaro di questi), porta perciò in se stesso il germe della progressione automatica"(p. 52). "Questo sistema è stato inaugurato per la prima volta in Olanda..."(ib.).

E che dire del protezionismo? "Il sistema protezionistico è stato un espediente per fabbricare fabbricanti, per espropriare lavoratori indipendenti, per capitalizzare i mezzi nazionali di produzione e di sussistenza, per abbreviare con la forza il trapasso dal modo di produzione antico a quello moderno. Gli Stati europei si sono contesi la patente di quest'invenzione e, una volta entrati al servizio dei facitori di plusvalore, non solo hanno a questo scopo imposto taglie al proprio popolo, indirettamente con i dazi protettivi, direttamente con premi sull'esportazione, ecc., ma nei paesi da essi dipendenti hanno estirpato con la forza ogni industria; come p.es. la manifattura laniera irlandese è stata estirpata dall'Inghilterra"(p. 53).

E della schiavitù? Non c'è stupirsi, leggendo queste frasi così esplicite, che ancora oggi Marx sia bandìto dai centri della cultura dominante in occidente: "L'industria cotoniera, introducendo in Inghilterra la schiavitù dei bambini, dette allo stesso tempo l'impulso alla trasformazione dell'economia schiavistica negli Stati Uniti, prima più o meno patriarcale, in un sistema di sfruttamento commerciale. In genere, la schiavitù velata degli operai salariati in Europa aveva bisogno del piedistallo della schiavitù sans phrase nel nuovo mondo"(p. 56).

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26/04/2015