LA GRECIA TRA ORIENTE E OCCIDENTE
Storia ed evoluzione della Grecia classica


STRUTTURA ECONOMICO-SOCIALE DEGLI STATI ELLENISTICI

INTROITI STATALI ED ECONOMIA ELLENISTICA

Introduzione - Le esigenze degli Stati ellenistici - Sviluppi imprenditoriali e commerciali del mondo greco ed ellenistico - Caratteri dell'ellenismo nelle regioni asiatiche - L'affermazione dell'economia occidentale in Asia, la nascita di un'economia "mista" - Conclusioni sintetiche - Gli Stati ellenistici occidentali - Il mondo egeo e mediterraneo: Grecia e Rodi - I nuovi centri di potere del Mediterraneo orientale: Rodi - La decadenza del mondo ellenistico. Roma. Bisanzio - La dominazione romana dell'Oriente - La rinascita dell'Oriente e il declino dell'Impero romano occidentale - Conclusioni sintetiche e bibliografia

Dario e Alessandro

Si è finora parlato dell'economia ellenistica, sottolineandone due aspetti fondamentali:

  1. il fattore di compresenza tra forme produttive asiatiche, agrarie e di autoconsumo (nelle quali un ruolo abbastanza marginale era svolto, soprattutto dal punto di vista produttivo, dai centri urbani - le cui attività avevano difatti una natura più amministrativa e politica che non economica), e forme privatistiche e di mercato d'importazione occidentale: un aspetto questo, che potremmo definire come "economia a due tempi";
  2. il fattore di implicita alleanza tra poteri statali (di stampo tipicamente orientale, in quanto dotati di grandi poteri dirigistici) e forze privatistiche e imprenditoriali d'origine occidentale (importate dai nuovi dominatori): un'alleanza da cui entrambe le parti traevano notevoli vantaggi.

Vogliamo ora cercare di affrontare, in modo più chiaro e organico di come non si sia fatto finora, il tema dei benefici che lo stato traeva dalla conversione di alcuni dei propri territori a modalità di gestione più moderne, d'origine occidentale.

Abbiamo già più volte detto come la produzione basata su stili economici occidentali (fondata cioè sulla produzione per il mercato - e quindi sulla competizione di mercato -, nonché implicitamente su un maggior avanzamento delle tecniche produttive e su una maggiore specializzazione e divisione del lavoro) portasse con sé una maggiore presenza di beni di consumo rispetto al passato, e come lo stato si avvantaggiasse di tale situazione sia attraverso la possibilità di acquistare sempre nuovi prodotti, sia attraverso misure di carattere fiscale sui proventi delle attività dei privati imprenditori.

Da tutto ciò appare dunque chiaro come esso avesse vantaggio a stimolare la crescita e l'impianto di un tale tipo di attività sui propri territori, e con ciò anche lo sviluppo di una classe affaristica e imprenditoriale d'origine occidentale, ciò che spesso faceva attraverso vere e proprie misure di politica economia (a tale proposito, è utile ricordare la nascita in età ellenistica di una sorta di ministero dell'economia, retto da un ministro chiamato "dioikétes" o diocete). Ed è appunto in ragione di tali misure, che si è a volte parlato di una pianificazione statale dell'economia, sottolineando così la centralità del ruolo dello stato e dei suoi apparati amministrativi nello sviluppo dell'economia: un fattore questo che, pur essendo nelle regioni asiatiche un dato d'antica tradizione, mai prima di allora aveva raggiunto un simile grado di sviluppo.

Abbiamo inoltre già accennato al ruolo economico assolto dallo stato, oltre che sul piano dell'amministrazione e della tassazione delle attività private, anche su quello della produzione e del commercio, laddove (ad esempio nel caso delle aziende di stato) esso diveniva un agente economico in prima persona.

Approfondiremo qui avanti questi due aspetti - fiscale l'uno, imprenditoriale l'altro - della vita degli organismi statali delle zone ellenistiche extra-europee.

-- Misure tributarie --

Cominciamo dal primo argomento, quello cioè inerente le misure di carattere fiscale attraverso cui lo stato si riappropriava di parte della ricchezza prodotta - o comunque circolante - nei propri confini.

Prima di tutto, si deve ricordare come quella asiatica fosse sin dalla notte dei tempi un'economia tributaria, basata cioè sulla riscossione periodica di contribuzioni da parte della macchina statale, la quale in tal modo manteneva se stessa (ovvero i propri apparati) consolidando al tempo stesso - attraverso opere di pubblica utilità - la capacità produttiva dei villaggi, isole produttive di base del sistema, che tali tributi pagavano.

In età ellenistica un tale aspetto non solo non venne superato, ma fu al contrario potentemente perfezionato e rafforzato, al fine di poter garantire all'enorme macchina amministrativa e militare dello stato una sempre maggiore disponibilità di fondi, nonché di conseguenza una sempre maggiore efficienza e solidità.

Le entrate tributarie degli stati ellenistici erano essenzialmente di due tipi: a) le tasse; e b) i dazi.

Le prime si applicavano al complesso delle attività economiche interne (di qualsiasi natura esse fossero: agricole, artigianali, commerciali, ecc.) ed erano giustificate dall'idea che, in quanto sudditi, i singoli membri della comunità statale erano tenuti a versare al Sovrano una parte della ricchezza ricavata attraverso le proprie attività.

Come già in passato, anche adesso i lavoratori agricoli - servi della gleba o coloni - teoricamente insediati su territori ricevuti in concessione dal Re, dovevano versare contributi stabiliti sulla base di criteri quali la quantità di terra posseduta, la produzione annua, ecc. E tuttavia questo tipo di tassazione, data la maggiore capacità produttiva dei suoli (dovuta a una loro parziale conversione a tecniche agricole più progredite) nonché, e soprattutto, data la maggiore esosità della macchina statale, conobbe in epoca ellenistica un certo appesantimento, peggiorando (anziché migliorando) le condizioni di vita della classi lavoratrici.

A tali forme di tassazione se ne aggiunsero poi delle altre, più specificamente connesse con le forme di organizzazione economica di recente importazione. Tra esse ricordiamo: le imposte sui mestieri (…si noti che, in età ellenistica, si formarono nei centri cittadini delle "corporazioni" volte - un po' come quelle del nostro medioevo europeo - a prestare sostegno e aiuto ai loro aderenti), le imposte patrimoniali (legate al possesso di case, e di proprietà di varia natura), e in genere nuovi e vecchi tipi di imposte, finalizzati al finanziamento sia di opere di carattere pubblico e di interesse collettivo (ad esempio, la millenaria pratica di manutenzione degli impianti per l'irrigazione), sia di opere di carattere voluttuario o comunque non strettamente necessarie, sia infine al mantenimento degli apparati statali (quali, per esempio, quelli preposti alla registrazione catastale delle proprietà fondiarie)

Se attraverso questi tipi di imposte lo stato si riappropriava di parte della ricchezza prodotta e circolante sul proprio suolo, attraverso i dazi doganali (ovvero di solito portuali, svolgendosi al tempo la maggior parte del commercio lungo le vie marittime) esso si appropriava di una parte delle merci e delle ricchezze monetarie che dall'esterno affluivano entro i suoi confini.

Certo, non è necessario ricordare che i dazi e le imposte sui prodotti di altri paesi non furono assolutamente un'invenzione "ellenistica". Al contrario, tali pratiche erano in atto già da molto tempo un po' in tutti gli stati antichi, ciò che vale sia per il Vicino oriente (Siria, Egitto, ecc.) sia per la Grecia classica (si pensi, a tale riguardo, ai dazi portuali in vigore in stati commerciali quali Atene e Corinto, e all'importanza da essi rivestita per i loro bilanci). Ma in epoca ellenistica - in concomitanza con l'esplosione dei traffici e della produzione per il mercato, oltre che con l'emergere di nuove esigenze negli stessi organismi statali - essi conobbero una vera e propria impennata. Così, dal 2-3% del periodo precedente, essi giunsero a volte fino al 25 o addirittura al 50% sul valore dei carichi commerciali!

Si è molto discusso riguardo alle possibili motivazioni alla base di simili provvedimenti, e le risposte al problema sono state essenzialmente di due tipi: o a) si è creduto di scorgere in essi una sistematica volontà, da parte dello stato, di proteggere le proprie merci e le proprie industrie dall'assalto economico degli altri stati (e ciò secondo pratiche protezionistiche e mercantilistiche tipicamente moderne, quali quelle del sedicesimo e diciassettesimo secolo della storia europea), anche se tale ipotesi presuppone forse per l'epoca un'eccessiva consapevolezza delle dinamiche alla base dell'economia di mercato; o b) le si è interpretate, in modo più semplice e senza dubbio più realistico, come il prodotto della volontà degli stati di capitalizzare cospicui guadagni a partire dai sempre più intensi flussi di carattere internazionale.

Altra consistente fonte di entrate - seppure questa di carattere non strettamente tributario - era poi per gli stati quella legata alla facoltà di imporre ai commercianti stranieri l'impiego di moneta nazionale (ogni stato aveva ormai difatti un suo conio…) sul proprio territorio. In tal modo, sulla base di un'attività di cambio delle monete straniere in monete locali gestita da banche pubbliche, e con margini ad esse largamente favorevoli, esso riusciva a guadagnare ulteriormente dalla presenza sui propri territori di mercati internazionali, rifornendosi contemporaneamente di monete utili - in un secondo tempo - allo svolgimento dei commerci con altri paesi.

-- Attività economiche dello Stato --

Ma lo stato non traeva vantaggio soltanto dallo sviluppo sui suoi domini di una classe imprenditoriale agiata, capace di reinvestire i proventi delle proprie attività ai fini di un loro futuro accrescimento, col conseguente incremento e della propria ricchezza privata, e dei prodotti (merci) circolanti sui territori dello stato stesso. Molto spesso difatti, esso diveniva imprenditore a propria volta, seppure - di solito, se non sempre - a partire da posizioni di forte privilegio rispetto a eventuali imprese concorrenti, se non addirittura (nel caso dei monopoli statali) dopo una semplice rimozione di esse.

In tali circostanze, nonostante - come si è appena detto - gli enormi privilegi di cui poteva avvalersi, lo stato diveniva un agente economico equiparabile per molti versi a tutti gli altri, almeno nella misura in cui, attraverso le proprie attività di produzione e di vendita, ricavava profitti che poteva poi utilizzare per il finanziamento delle proprie peculiari esigenze (amministrative, militari, pubbliche, ecc.) o ai fini di un reinvestimento in mezzi strumentali.

Abbiamo già parlato dell'opera di parziale conversione delle terre reali, oltre che di quelle dal Re date in concessione ai propri "amici" (e sulle quali egli continuava a godere di notevoli diritti), a modi e a criteri di gestione più moderni ed efficienti rispetto al passato: un fatto questo, che permetteva - in conseguenza di una loro maggior redditività, ma anche spesso di una più forte pressione tributaria - di ricavarne eccedenze più consistenti. Parte delle ricchezze create, veniva poi solitamente impiegata nei traffici internazionali.

Del pari, si è già accennato all'esistenza delle cosiddette manifatture di stato (o manifatture reali), il fine delle quali era - di nuovo - quello produrre beni destinati agli scambi sia con i paesi esteri che nei propri confini, e che costituivano a loro volta una fonte di un arricchimento di tipo "capitalistico", anziché tributario.

Ancora non abbiamo tuttavia parlato di due altri aspetti dell'economia degli stati ellenistici, entrambi peraltro estremamente importanti per conoscere le fonti di ricchezza e di autofinanziamento di essi: i monopoli e le attività bancarie.

Quanto ai primi, ricordiamo innanzitutto che si crea una situazione di monopolio qualora la produzione e/o la vendita di un certo tipo di prodotti divenga prerogativa esclusiva di un dato ente economico, il quale - in assenza di concorrenza - ha facoltà di fissare i prezzi a suo piacere, oltre a non dover spartire con alcuno la fetta di mercato interessata alle proprie merci. I monopoli possono essere di due tipi: a) privati (ed è questa una forma, di solito, messa al bando per legge); b) pubblici o statali.

Mentre in epoca ellenistica il primo tipo di monopoli era ancora semplicemente impossibile (dal momento che mancavano quelle grandi imprese che sole possono effettivamente giungere a posizioni monopolistiche, e la cui esistenza richiede concentrazioni di capitali del tutto impensabili per gli strumenti finanziari dell'epoca), al contrario già molto diffusi erano i monopoli pubblici. Lo stato difatti era solito - attraverso provvedimenti "d'ufficio" - appropriarsi di settori della produzione nazionale particolarmente redditizi, quali ad esempio nell'Egitto ellenistico, quelli del vino, dell'olio e del grano.

Se poi il monopolio di merci di larga diffusione (sia nazionale, che internazionale) era un fatto soltanto possibile, quello della coniazione delle monete era al contrario un fatto certo e scontato. Era cura esclusiva delle zecche statali infatti, quella di fabbricare le monete da utilizzare nei confini dello stato stesso, mentre la produzione di monete da parte di privati era un reato severamente perseguito.

Tale operazione ovviamente, aveva delle implicazioni economiche non indifferenti, in gran parte legate al fatto di poter "lucrare" sul prezzo dei metalli preziosi (oro e argento) impiegati per la coniazione. Lo stato infatti, produceva monete di cui si serviva per acquistare merci e servizi con un certo margine di profitto, cosa resa possibile dal fatto di attribuire alle monete prodotte un valore superiore a quello del metallo utilizzato per la loro produzione. Inoltre, attraverso tali transazioni, lo stato metteva in circolo le monete appena coniate, dando così impulso e alimento alle attività di traffico (non bisogna dimenticare che gi stati ellenistici diedero vita a delle vere e proprie politiche monetarie, orientate a impedire la svalutazione monetaria o a risolvere problemi analoghi)

Un altro fattore di arricchimento per le finanze statali era quello derivante dalla gestione di buona parte delle attività bancarie svolgentisi sui propri territori. Ovviamente, il decollo di un'economia privatistica aveva comportato anche in Asia - come, secoli prima, nella Grecia classica - lo sviluppo di attività bancarie di carattere privato, accanto alle quali si ponevano quelle dei templi (centri predisposti da sempre, in ragione del grande afflusso di donazioni, concessioni, ecc., a divenire grandi collettori di ricchezze). Accanto a questi tuttavia, anche lo stato svolgeva delle floride attività di carattere creditizio (ovvero di prestito), godendo in più - come si è appena accennato - dell'esclusiva del cambio delle monete estere in valuta locale.

E come le banche in generale godevano di un certo margine di interesse sulle ricchezze prestate ai privati, nello stesso modo le banche statali godevano di un certo margine di guadagno sulle attività di cambio delle valute straniere.

Anche le attività bancarie dunque, costituirono per gli stati ellenistici una consistente fonte di entrate, e furono un importante strumento di autofinanziamento delle loro attività.


a cura di Adriano Torricelli

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Antica
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Aggiornamento: 01/05/2015