LA GRECIA TRA ORIENTE E OCCIDENTE
Storia ed evoluzione della Grecia classica


STRUTTURA ECONOMICO-SOCIALE DEGLI STATI ELLENISTICI

L'AFFERMAZIONE DELL'ECONOMIA OCCIDENTALE IN ASIA, LA NASCITA DI UN'ECONOMIA "MISTA"

Introduzione - Le esigenze degli Stati ellenistici - Sviluppi imprenditoriali e commerciali del mondo greco ed ellenistico - Caratteri dell'ellenismo nelle regioni asiatiche - Introiti statali ed economia ellenistica - Conclusioni sintetiche - Gli Stati ellenistici occidentali - Il mondo egeo e mediterraneo: Grecia e Rodi - I nuovi centri di potere del Mediterraneo orientale: Rodi - La decadenza del mondo ellenistico. Roma. Bisanzio - La dominazione romana dell'Oriente - La rinascita dell'Oriente e il declino dell'Impero romano occidentale - Conclusioni sintetiche e bibliografia

Atleta

Mentre in Grecia, e più in generale nelle regioni occidentali europee ed egee, era in vigore la proprietà privata delle terre (tanto che, nelle città-stato greche, valeva per principio un'equivalenza giuridica tra libero cittadino e proprietario terriero), al contrario negli Stati vicino-orientali gran parte - se non tutto - il territorio statale era solitamente proprietà del Sovrano.

L'economia greca del resto, proprio in virtù della libertà di appropriazione delle terre (che aveva permesso la nascita di patrimoni privati), si era sviluppata col tempo sempre di più in senso capitalistico, verso cioè l'imprenditoria privata, l'industria (sia agricola che cittadina) e il commercio, il tutto ad opera di imprenditori privati.

Viceversa, la società asiatica era rimasta pressoché congelata e ferma a un tipo di organizzazione verticistica e statica, ovvero sul piano economico a un tipo di produzione agraria e di autoconsumo, le cui cellule essenziali erano i villaggi, piccole unità produttive pressoché autonome tra loro. Ciò era avvenuto chiaramente a causa della scarsa possibilità di trasformazione delle forze produttive, dovuta a sua volta ad un tipo di organizzazione sociale (basata sulle caste) ostile a qualsiasi tipo di innovazione, e fondamentalmente orientata a una mera riproduzione di se stessa.

L'esistenza inoltre di vasti e dispendiosi apparati statali (emanazione del potere del Re, e come tali costituenti la sua "longa manu") rendeva necessaria una riscossione - periodica e consistente - di tributi da parte di funzionari appositamente preposti a tale mansione, ciò che avveniva a spese dei contadini, ovvero di quelle unità produttive (villaggi) attorno alle quali era organizzata la stessa vita produttiva.

Pur essendosi col tempo sviluppata una classe mercantile e artigianale (solitamente controllata o comunque fortemente condizionata dai poteri statali) con sede nelle città, gli stati asiatici - ancora nel periodo del grande Impero persiano - erano fondamentalmente caratterizzati da un tipo di economia agraria e di villaggio che si contrapponeva nettamente a quella greca e occidentale: sin dall'inizio privatistica, ed in seguito inoltre sempre più fondata sui mercati e su attività di carattere affaristico.

La conquista, da parte delle popolazioni greco-macedoni, dei vertici del potere politico e militare degli stati orientali comportò per questi ultimi una notevole trasformazione, ovvero la nascita di un nuovo tipo di società, detta "ellenistica". I nuovi conquistatori, infatti, in virtù dei forti poteri dirigistici di cui la tradizione statale asiatica li dotava, ebbero relativa facilità a convertire (quantomeno in parte) l'organizzazione economica originaria di tali regioni, agli stili delle proprie zone d'origine - e ciò a vantaggio, chiaramente, sia proprio che propri loro connazionali.

Come mostreremo meglio più avanti infatti, i Regni ellenistici costituirono - da un punto di vista sociale, politico ed economico - un originale "esperimento di innesto", su un terreno ancora essenzialmente vergine, di tecniche produttive (e più in generale di una cultura sia materiale che spirituale) tipicamente greche e occidentali. Certo, un tale innesto e una tale "conversione", lungi dal coinvolgere l'intera popolazione e l'intero sistema produttivo asiatico, riguardarono soltanto una parte (peraltro molto difficile da quantificare, ma probabilmente piuttosto marginale) di esso.

Come vedremo, la grande massa dei produttori asiatici continuò difatti a lavorare e a vivere secondo i criteri della propria millenaria civiltà. Ciò non toglie tuttavia, che una parte della produzione venisse allora convertita - di solito con l'appoggio dei poteri statali - a modalità di produzione tecnologicamente più avanzate, e finalizzate, anziché ad attività di consumo o di tesaurizzazione, all'impiego dei prodotti su mercati sia interni che esteri, secondo stili tipicamente occidentali.

Sotto la reggenza dei sovrani ellenistici dunque, si sviluppò un'economia di mercato e monetaria, basata sull'industria e, alle volte, perfino su lavoratori liberi e stipendiati, anziché su quella più antica forma di organizzazione - detta colonato - in cui il contadino dava al sovrano, in quanto proprietario delle terre su cui risiedeva, una certa quantità dei prodotti ricavati dai propri raccolti, quando non addirittura - come molto più spesso avveniva in occidente - su una manodopera di carattere schiavile.

Di nuovo però, ci pare opportuno sottolineare come la maggior parte della popolazione continuasse comunque a vivere dei frutti del proprio lavoro (autoconsumo) o - attraverso i piccoli scambi a livello locale - di quello dei vicini villaggi, anche se parallelamente si sviluppò una produzione di carattere "intensivo" - risultato dell'impiego di più moderne tecniche agricole e artigianali d'origine occidentale - finalizzata al mercato, e alla quale si aveva di solito accesso attraverso la moneta.

Un altro fattore da considerare, è poi la scarsa capacità produttiva dell'industria dell'epoca (pur considerando l'impiego di tecniche per quel periodo molto avanzate). Un fattore questo, che rendeva il numero delle merci estremamente ridotto rispetto al volume dell'intera popolazione, e che impediva quindi sviluppi anche solo lontanamente paragonabili a quelli dell'odierna società dei consumi.

In ragione di tale scarsità difatti, l'accesso ai mercati era un fatto pressoché interamente riservato a individui (o ad enti) dotati di grandi risorse finanziarie: cioè a dire, da una parte alle èlites economiche occidentali (che tenevano le redini della maggior parte degli affari e dei mercati, oltre che della produzione a monte di essi), e dall'altra allo stato stesso (sia a esso direttamente, sia a coloro che per esso lavoravano e che - soprattutto se alti funzionari, o alti membri dell'esercito - ricevevano cospicui stipendi, oltre spesso a concessioni di varia natura).

Sorgeva in tal modo una sorta di "società a due livelli" nella quale, se da una parte i produttori e i lavoratori più umili non vedevano in sostanza migliorate (bensì al limite peggiorate, date le accresciute esigenze della produzione) le proprie condizioni di lavoro, né i loro livelli di reddito (spesso anzi resi più bassi che in passato da una più forte fiscalità), dall'altra le varie èlites sociali - quelle economiche e imprenditoriali da una parte, quelle amministrative e militari dall'altra - vedevano al contrario effettivamente accrescersi il proprio tenore di vita, in ragione della possibilità di accedere - attraverso i propri più alti redditi - agli avanzamenti produttivi determinati dai nuovi stili produttivi.

E tuttavia, era soprattutto per il funzionamento dell'enorme macchina statale che la maggior parte delle nuove ricchezze veniva impiegata. Quest'ultima richiedeva infatti enormi stanziamenti di capitali sia per il finanziamento degli eserciti (mercenari e quindi stipendiati) e in generale degli affari bellici, sia per il pagamento degli stipendi dei molti - anzi moltissimi… - funzionari statali, sia infine per soddisfare le esigenze di una corte opulenta e dissipatrice, che spesso faceva erigere opere la cui utilità pratica, seppure esisteva, non era in ogni caso immediata.

In sostanza dunque, se le classi affaristiche e proto-capitalistiche occidentali trovarono alimento nello stato e nelle sue esigenze (in virtù delle quali esse ricevevano, ad esempio, appalti molto lucrativi), quest'ultimo a propria volta trovava nelle prime (cioè nelle ricchezze da esse prodotte, e delle quali si riappropriava in vari modi, ma soprattutto attraverso le tasse) un alimento indispensabile per il proprio sostentamento.

L'alimentare le attività di mercato che si svolgevano entro i propri confini (e assieme a esse, la ricchezza delle classi imprenditoriali e borghesi) era quindi per lo stato, seppure forse in modo non del tutto consapevole, un modo per arricchire in primis i propri cittadini e - in secondo luogo e come logica conseguenza - se stesso.

Per tale ragione nel periodo ellenistico si sviluppò un'attività di tutela - spesso addirittura di carattere dirigistico e pianificatore - dell'economia da parte dei vertici statali, quale mai si era sviluppata in precedenza, e a proposito della quale taluni studiosi sono giunti a parlare, non senza forse un po' di esagerazione, di un'economia pianificata dallo stato. [1]

D'altronde - è bene ripeterlo a scanso di equivoci - traffici e mercati, anche nella loro massima estensione, non potevano certo riguardare - se non in piccola parte - le grande massa della popolazione, rimanendo più che altro un privilegio di quelle classi alte o comunque benestanti che le recenti trasformazioni economiche avevano contribuito a produrre. Immaginare una moderna "società dei consumi" sarebbe qualcosa di assolutamente fuorviante! Piuttosto, si può parlare di una crescita dei mercati e del consumo per quelle élite coloniali che la trasformazione dell'economia e della produzione in senso greco e occidentale (cioè "ellenistico") aveva creato.

Nonostante difatti la logica stessa dell'economia di mercato, basata per propria natura sull'iniziativa di singoli imprenditori alla ricerca - anche se ovviamente in modo più o meno costante e razionale, a seconda soprattutto delle diverse epoche e dei diversi contesti - di un aumento dei propri profitti, porti sempre come conseguenza un aumento tendenziale del volume delle merci prodotte e dei mercati di scambio, nonché quindi dei beni e dei servizi in circolo nella società, un tale fattore di crescita (date soprattutto le limitate capacità produttive della tecnologia dell'epoca) non poté mai arrivare, se non in modo davvero marginale, ad estendere i propri vantaggi anche alle classi sociali più basse.

Non deve quindi stupire il fatto (sul quale peraltro ritorneremo più avanti) che il divario tra poveri e ricchi, tra élite coloniali occidentali e masse contadine e lavoratrici asiatiche, costituisse uno dei principali fattori di debolezza degli stati ellenistici.

-- Modalità d'innesto in Asia dell'economia occidentale --

Vogliamo ora descrivere (nei limiti delle nostre possibilità) le modalità attraverso le quali, concretamente, lo stato poté operare l'innesto di stili produttivi occidentali, su un tessuto fino ad allora rimasto pressoché estraneo al concetto e alla pratica stessa dell'imprenditoria privata, e a tutto ciò che essa comportava (dai mercati, all'uso della moneta, alla tendenza all'avanzamento delle tecniche produttive, alla concorrenza commerciale).

Per descrivere tali modalità è innanzitutto necessario individuare quelli che furono i punti di sovrapposizione tra due idee di economia e di società in se stesse così differenti da poter essere definite antitetiche: quelle "zone" insomma, in cui le tradizioni e le istituzioni peculiarmente asiatiche poterono "ospitare", e quindi sostenere, le pratiche economiche peculiarmente occidentali.

Per farsi un'idea - seppure, come si è già accennato, molto vaga e imprecisa - di come funzionasse nel concreto l'economia del mondo ellenistico, in particolare nelle zone orientali, dobbiamo riferirci in primo luogo alla situazione dell'Egitto nel periodo della dominazione dei Tolomei (i componenti appunto, della dinastia egizia nel periodo ellenistico). E ciò per una ragione essenziale, che l'Egitto (grazie soprattutto ai numerosi ritrovamenti papiracei, e pure nella nostra profonda ignoranza in materia) rimane in ogni caso lo Stato ellenistico che meglio conosciamo.

Ma bisogna fare anche una precisazione: l'Egitto, per ragioni legate soprattutto alla conformazione dei territori, fu lo stato non occidentale che meglio e più a lungo conservò i propri caratteri originari: vale a dire la struttura verticista e statalista della propria organizzazione. Mentre difatti le regioni mesopotamiche e gli stati costieri (come ad esempio la Siria) avevano ormai conosciuto al tempo della rivoluzione ellenistica consistenti sviluppi privatistici (attraverso la nascita di una vasta classe mercantile e imprenditoriale indipendente dal potere statale, oltre che dalle comunità di villaggio), con il conseguente ridimensionamento dell'autorità dello stato, in Egitto quest'ultima aveva invece conservato pressoché inalterati i suoi antichi caratteri autocratici. Qui per esempio, anche a quei tempi, il Faraone rimaneva, se non forse l'unico, quantomeno di gran lunga il maggior proprietario delle terre.

Proprio per tale ragione, è presumibile che molti dei processi che andremo a descrivere qui avanti, si verificassero nelle altre regioni orientali in maniera a volte più, a volte meno attenuata. E' tuttavia anche presumibile che la situazione dell'Egitto possa essere estesa - almeno in una certa misura - anche alle altre regioni orientali, e ciò in ragione delle profonde affinità strutturali e storiche che tra esse sussistevano.

Come si è già detto, l'assetto istituzionale dell'Egitto era caratterizzato dalla proprietà esclusiva (o quasi) delle terre da parte del Faraone. Se si eccettuano infatti le città coloniali fondate da Alessandro Magno (peraltro non solo lì, ma un po' in tutte le regioni del suo vastissimo dominio) e i territori ad esse circostanti (anch'essi proprietà dei coloni), le terre rimanenti cadevano tutte - seppure alcune più, altre meno direttamente - sotto la giurisdizione del Re.

Divideremo secondo i seguenti tipi i territori del suolo egiziano: a) quelli che rientravano sotto la diretta giurisdizione del Sovrano ("terre del Re"); b) quelli - sempre peraltro, come i precedenti, di grandi dimensioni - dati in concessione dal Faraone ad altissimi funzionari o a uomini di sua fiducia (ad esempio, generali distintisi in azioni militari…); c) i più modesti appezzamenti assegnati ai soldati in congedo, peraltro non sempre ereditari; d) le terre dei santuari, le quali - pur sempre proprietà del re - godevano rispetto ai precedenti territori di una maggiore autonomia dai poteri centrali dello stato (data la tendenza del clero indigeno a costituire una forza alternativa rispetto a quella del Sovrano e dei suoi apparati); ed infine e) le terre delle colonie - associate, come si è detto, alle colonie stesse - sulle quali l'autorità del Faraone era, quantomeno teoricamente, pressoché inesistente.

Già sulla base di questo breve e impreciso resoconto, si può intuire facilmente come il Faraone dovesse godere, data l'estensione dalla propria autorità amministrativa sulla maggior parte delle terre del regno, di una relativa facilità nell'operare una loro (peraltro parziale) conversione verso modalità di sfruttamento più moderne e redditizie.

Per quanto concerne le "terre del Re", ovvero quelle terre che cadevano sotto il suo diretto dominio, come anche per quelle da questi date in concessione a personaggi - detti appunto gli "amici del Re" - a lui personalmente vicini, era cura diretta del sovrano fare in modo che esse venissero gestite secondo criteri produttivi più 'moderni', al fine di poter poi reinvestire i prodotti eccedenti in attività di natura commerciale (una cosa che, del resto, si era sempre fatta, seppure non con la stessa intensità e frequenza, data la maggiore redditività agricola dell'età ellenistica).

Tali traffici d'altronde, avvenivano solitamente con altri paesi più che all'interno dei confini della nazione stessa, ed erano parte di una tradizione consolidata in tutti gli stati antichi (non soltanto in quelli asiatici…): quella cioè di ovviare alle proprie carenze produttive con lo scambio dei propri prodotti con quelli - a loro volta eccedenti - di altre regioni.

Lo stato dunque, impiegava le nuove tecniche e i nuovi stili produttivi al fine di produrre una maggior quantità di beni, avendo così a disposizione una maggiore quantità di merci da scambiare sui mercati internazionali, ricevendone in cambio una ricchezza che, almeno orientativamente, era tanto più grande quanto maggiore era la quantità di beni prodotti e venduti.

Accanto a queste "aziende agricole di stato", vi erano poi le cosiddette "manifatture di stato", realtà all'interno delle quali si producevano prodotti finiti, anch'essi in gran parte finalizzati alla vendita.

Anche se - come ricorda Pekàry - la produttività reale non garantiva con costanza nemmeno la presenza di merci da impiegare in attività di mercato, è comunque già evidente in un tale tipo di gestione la ricerca sistematica di una produzione più consistente rispetto al passato, e in gran parte orientata, anziché a un mero consumo interno, ad essere impiegata in attività mercantilistiche, volte cioè all'ottenimento di un profitto commerciale. Quest'ultimo poi, era utilizzabile tanto per il soddisfacimento delle esigenze della vita di corte, quanto per il mantenimento dei vastissimi apparati statali (amministrativi o militari), quanto infine per un eventuale reinvestimento in mezzi strumentali, nell'ottica cioè di un potenziamento delle stesse attività produttive statali.

Passando poi alle proprietà che i soldati in congedo - tra l'altro, molto spesso d'origine greca o macedone - ricevevano dallo stato, anche queste ultime venivano spesso gestite secondo stili tipicamente occidentali, ovvero impiegando almeno una parte dei beni prodotti in attività di mercato (…ovviamente più sui mercati locali, che non su quelli internazionali), e utilizzando le prestazioni dei contadini locali a volte in qualità di lavoratori salariati, altre volte affittando loro le terre dietro pagamento di tributi periodici, ed altre volte infine - anche se questo, contrariamente che in occidente, era un caso piuttosto raro - impiegando manodopera di tipo schiavile.

Sulla scorta di quest'ultima notazione, possiamo osservare di passaggio come la presenza di occidentali sui territori asiatici favorì l'instaurarsi anche diretto (senza cioè alcun aiuto o mediazione da parte dello stato) di stili economici privatistici e affaristici d'origine occidentale. Un fattore questo, che si affiancò all'apporto che lo stato - in qualità a volte di acquirente, altre volte di appaltatore - dava allo sviluppo di imprese di tipo occidentale.

La crescita poi di un'imprenditoria borghese, e quindi di una ricchezza meramente privata anziché pubblica e statale, favorì col tempo la nascita e lo sviluppo di mercati - sia interni che internazionali - integralmente privatistici, all'interno dei quali cioè non soltanto i produttori ma anche gli acquirenti erano costituiti da privati cittadini.

L'espansione infine di una fiorente classe imprenditoriale "borghese" soprattutto cittadina - che spesso reinvestiva la propria ricchezza commerciale ai fini di un ulteriore sviluppo della propria produzione e dei propri affari, e quindi di un'ulteriore crescita dei profitti - favoriva lo stato in due modi: a) poiché in tal modo veniva prodotta e resa disponibile una sempre più consistente ricchezza e sempre nuovi beni, che esso (e non solo esso) poteva poi acquistare e utilizzare, b) poiché una tale espansione accresceva le finanze statali tramite la riscossione di tributi, tanto maggiori ovviamente quanto maggiore era il volume degli affari.

E tuttavia, come già si è detto, nonostante l'indubbia spinta "modernizzatrice" portata avanti tanto dalle élite borghesi greco-macedoni quanto dagli stati, le forze della conservazione dell'antica società rimanevano in gran ancora parte prevalenti.

Un tale discorso trova - peraltro non solo in Egitto - una particolare conferma nella situazione delle cosiddette terre dei templi: quelle cioè gestite dalla potente casta dei sacerdoti, la quale - in quanto simbolo stesso della tradizione religiosa e delle radici storiche della comunità - costituiva da sempre lo strisciante rivale del potere autocratico del Faraone e, al di fuori all'Egitto, dei Sovrani.

Le vaste proprietà dei templi difatti, mantenevano di solito una struttura economica di tipo tradizionale, nella quale la produzione, più che a un reinvestimento affaristico della ricchezza, era finalizzata alla sussistenza dei contadini (autoconsumo) con una riscossione periodica di tributi da parte delle autorità sacerdotali.

Per finire, un'ultima osservazione va fatta in merito al ruolo economico degli eserciti.

Data infatti la costante necessità di soldati da utilizzare in azioni belliche esterne (così come, del resto, in azioni interne, volte soprattutto a sedare i frequenti disordini sociali), quella per il loro mantenimento era per lo stato una delle fonti primarie di spesa, se non la prima in assoluto. Il costante bisogno di soldati poi (secondo la più nota delle leggi di mercato: quella cioè della domanda e dell'offerta) rendeva gli stipendi di questi ultimi sempre decisamente alti, tanto che l'impiego nelle milizie mercenarie divenne (in epoca ellenistica, ancor più che in epoca tardo-classica) uno sbocco occupazionale molto comune ed ambito.

Per tale motivo i soldati - i cui battaglioni erano di solito itineranti, dovendosi muovere costantemente lungo i confini per assolvere a mansioni di vario genere - costituirono in epoca ellenistica un ulteriore incentivo allo sviluppo di un'economia che, se anche non propriamente capitalistica, era comunque già monetaria e di mercato. Le popolazioni dei piccoli villaggi locali difatti, desiderose di appropriarsi della moneta, prezioso strumento di approvvigionamento dei prodotti in vendita sui mercati cittadini, erano fortemente stimolate dalla presenza delle milizie a potenziare i propri mercati e le proprie attività produttive - un fatto che, come si può facilmente immaginare, costituì per esse un notevole stimolo verso un miglioramento della produttività.

Volendo trarre delle conclusioni da quanto si è finora detto, possiamo dunque affermare che quello ellenistico orientale fu - quantomeno se paragonato ai periodi precedenti - un mondo dominato dall'industria e dalle attività di mercato, nel quale presero piede nuove tecniche produttive, assieme - e complementariamente - a nuove forme di organizzazione economica.

Ciò non significa però, che un tale mondo vedesse un sostanziale innalzamento del livello di vita delle popolazioni autoctone. Al contrario infatti, vi fu in esso una recrudescenza delle antiche pratiche di sfruttamento delle classi alte ai danni di quelle basse: il tutto però, rispetto al passato, ai fini di una produzione maggiormente orientata verso il mercato.


[1] E' tuttavia necessario mitigare la portata di alcuni concetti, espressi sia qui sia più avanti: lo stato difatti (nonostante parte dei suoi sforzi fosse effettivamente diretta in tal senso), non svolse soltanto un ruolo vivificatore per l'imprenditoria privata. Un difetto tipico delle politiche economiche statali fu, ad esempio, quello di vessare eccessivamente gli imprenditori con le tasse, al fine ovviamente di ottenere facili guadagni. Altre volte, invece, lo stato si appropriava di interi settori della produzione (…un argomento, quello dei monopoli, del quale si parlerà di nuovo più avanti), limitando così la vivacità della propria economia (l'iniziativa privata è infatti capace, rispetto a una gestione di carattere pubblico e monopolistico, e in ragione ovviamente delle esigenze determinate dalla concorrenza, di maggiori progressi sia tecnici che produttivi).

Scrive ad esempio, a un tale proposito, Michail Rostovtzeff: "Quasi tutta l'entrata dello stato era assorbita dalla preparazione militare. Questo stato di cose spinse inizialmente i sovrani ellenistici a fare sani sforzi per accrescere, in rivalità scambievole, la produzione dei rispettivi paesi […] ma a poco a poco questa maniera salutare e progressiva di accrescere le entrate dello stato fece posto a una serie di provvedimenti più agevoli e più immediatamente proficui, il più importante dei quali fu la nazionalizzazione della produzione e dello scambio, […] che sboccò a poco a poco nella disonestà e illegalità e nella quasi completa scomparsa della concorrenza e del libero dispiegamento di energia individuale da parte della popolazione". (torna su)


a cura di Adriano Torricelli

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Antica
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Aggiornamento: 01/05/2015