Seconda sequenza


Libro X dell'Odissea
L'incontro di Ermes con Ulisse

G. Stradano, Ermes offre il moly a Ulisse (part.)

Il "fermo" o "duro dovere"(273) che impone a Ulisse di andare - da solo - a recuperare i compagni, non è che un mix di responsabilità nei confronti dei suoi subordinati e di spirito d'avventura, la ricerca di emozioni forti, la curiosità di misurarsi con un nuovo pericolo, di mettersi alla prova. (1)
L'incontro con Ermes (Mercurio), protettore dei ladri e dei mercanti, servo fedele e anzi figlio di Zeus, è significativo, perché qui Ermes rappresenta il rivale n. 1 di Circe, colui che le ha già prospettato la fine sicura dei suoi poteri, l'inutilità della sua resistenza (331).
Ulisse sa avvalersi dei nemici di Circe, specie di quelli che conoscono bene il territorio in cui essa opera: una conoscenza che è scienza delle cose evolute, opposta alla magia, all'animismo o alla conoscenza del mondo naturale data da tradizioni secolari. (2)
Ermes non ha paura di Circe perché conosce l'antidoto alle sue erbe paralizzanti e nel contempo presume di possedere una visione religiosa superiore a quella naturalistica di lei, sebbene sia, la sua, una visione "di primo pelo, la cui giovinezza è leggiadra"(279), cioè una visione per così dire "neonata", che ha bisogno di tempo per imporsi e che comunque sa riconoscere in Ulisse un validissimo supporto.
L'eloquente Ermes, colui che conduce le anime dei morti sino alla barca di Caronte, non ha una spada ma una "verga d'oro": egli infatti è la neovisione intellettuale e individuale che, per imporsi, ha qui bisogno della volontà forte di un eroe. Ed è proprio lui che, per primo, svela a Ulisse che i suoi compagni sono stati narcotizzati, metaforicamente trasformati in maiali.
Mentre con la vicenda di Polifemo si era in presenza di uno scontro globale di civiltà: mercantile-schiavistica da un lato, agricolo-pastorale dall'altro, qui invece lo scontro è di un solo elemento di quelle civiltà: la religione, impersonata da una donna, che è antica, ancestrale, primordiale, la cui cultura deve essere superata da una nuova religione, più astratta, più ambigua, più moderna, in quanto ha come scopo la legittimazione di rapporti sociali fortemente antagonistici.
Ulisse, non essendo ateo coerente, dichiarato (come Prometeo che, guarda caso, fu incatenato proprio da Ermes), non può vincere da solo la forza di Circe; essendo un uomo formalmente religioso, cioè devoto alla religione dei potenti, anche se nella pratica è artefice di inganni, ha necessariamente bisogno di un alleato, che, quanto a scaltrezza, simbolicamente gli somiglia.
Pur essendo un giovincello, Ermes è già abbastanza smaliziato, com'è giusto che sia nelle civiltà più avanzate; pertanto non ha difficoltà, conoscendo le umane debolezze, a mettere in guardia Ulisse dalle provocazioni erotiche di Circe, che si difenderà invitandolo a giacere con lei (296). Potrà sì accettare il suo letto (297), ma a certe condizioni, quelle per cui riuscirà ad ottenere i compagni sani e salvi.
Tuttavia questo, di coricarsi con lei, era stato il desiderio anche dei suoi compagni: dunque perché lui sì e loro no? Per il semplice motivo che qui il "saggio" Omero insegna che il passato va superato rispettandolo formalmente: non ci può essere rottura violenta.
I compagni d'Ulisse s'erano comportati in maniera precipitosa, irruente; lui invece, che è astuzia per antonomasia, non avrà bisogno che del proprio self-control, non gli servirà neppure di sguainare la spada, gli basterà minacciare di farlo: gli argomenti per vincere saranno altri.
Da notare che esistono interessanti sfumature tra ciò che gli chiede di fare Ermes e quanto Ulisse effettivamente farà. Ermes dice testualmente: "lei impaurita t'inviterà a coricarti; tu non rifiutare, né allora né dopo, il letto della dea, perché i compagni ti liberi e aiuti anche te. Ma imponile di giurare il gran giuramento dei beati, che non ti ordirà nessun altro malanno: che appena nudo non ti faccia vile e impotente"(296-301).
Ora, posto che per un tipo come Ulisse la fedeltà coniugale doveva essere un valore alquanto relativo, indubbiamente gli sarà apparsa con un certo favore la prospettiva di potere ottenere da Circe quanto desiderato semplicemente andandoci a letto. Tuttavia, ciò che più stupisce, ma sino a un certo punto, è che qui Ermes fa passare Circe per una ninfomane o, se si preferisce, per una prostituta di lusso (e c'è chi l'ha scambiata per la tenutaria di un bordello da marinai), anticipando per così dire il fatto ch'essa deciderà di liberare i compagni solo dopo aver soddisfatto la propria libido. E siccome Ermes presume di conoscere le debolezze dell'uomo "civilizzato" e di Ulisse in particolare, lo invita a chiedere a Circe il solenne giuramento. Vedremo però che Ulisse si comporterà diversamente.
Il farmaco-antidoto che Ermes suggerisce a Ulisse di mangiare non era che una pianta officinale del Circeo, già conosciuta dagli antichi romani: il suo nome, "moly", indica semplicemente un'erba dalla radice nera e dal fiore color latte. Era chiamata così dagli dèi (305), perché qui deve apparire chiaro che se Circe possiede la conoscenza dei poteri della natura, non può però competere con la nuova civiltà che avanza, basata sulle scienze e le arti e soprattutto sull'astuzia e sull'inganno. Ulisse sa più cose di quanto lei possa immaginare e può persino ucciderla.
Anche Circe è dea, ma limitata nei suoi poteri: "gli dèi invece possono tutto"(306).

[1] Prima di questo episodio Ulisse è sì rammaricato quando perde qualcuno dei suoi compagni, ma certamente non esita a trascinarli con sé nel pericolo, anche quando questo è perfettamente evitabile (come nel caso dell'incontro con Polifemo), proprio allo scopo di dimostrare, come esigenza vitale irresistibile, la sua superiorità sotto ogni aspetto. Tuttavia Ulisse non ha mai avuto occasione di salvare i suoi compagni da una situazione pericolosa ormai compiuta, nella quale lui stesso non sia causa o concausa. In questo episodio non è stato lui ad aver trascinato loro nei guai, ma il contrario, sicché qui viene rappresentato l'eroe che rischia la vita per il bene dei suoi compagni. (torna su)
[2] Da notare che quando Ermes scenderà dall’Olimpo per parlare con Calipso avrà prima consultato gli altri dèi e agirà per volere di Zeus; in questo episodio invece troviamo un Ermes assai poco definito e molto irreale. Non è tipico degli dèi omerici, e dell’Odissea in particolare, apparire all'improvviso, apparentemente senza una ragione, per aiutare un personaggio o un eroe. Qui la figura di Ermes è quindi un espediente narrativo per far sì che Ulisse riesca a superare la sua “prova”.
Vi è comunque una certa differenza di stile tra l’Ulisse che attribuisce le proprie vittorie al favore degli dèi, anche se in definitiva se la cava con la propria astuzia, e questo Ulisse, un po’ fiabesco, che sarebbe finito richiuso in un porcile se non avesse ricevuto un aiuto privilegiato dal cielo.
A dir il vero tutto l’episodio di Circe sembra immerso in un'atmosfera fiabesca, che forse riprende tradizioni secolari di narrazione orale di favole con al centro maghe e incantesimi. Il che non significa che non vi sia un fondo di realtà vera. (torna su)

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Ultimo aggiornamento: 01 maggio 2015