Quinta sequenza


Libro X dell'Odissea
La liberazione dei compagni di Ulisse

G. Stradano, Circe e i compagni di Ulisse (part.)

E' difficile dire se la richiesta di liberare i compagni dalla schiavitù sia precedente o successiva al rapporto sessuale di Ulisse con Circe.
Qui i tempi, ovvero la sequenza delle azioni, potrebbero anche avere un certo peso nel determinare la psicologia dell'eroe, la sua scala di valori.
Non sarebbe infatti stata la stessa cosa vederlo chiedere quella liberazione dopo un certo tempo passato tra le braccia della maga, e vederlo invece porre come condizione dell'amplesso proprio quella liberazione.
E' intanto possibile anticipare che Ulisse e i suoi compagni rimasero con Circe per più di un anno e, secondo una leggenda, egli ebbe da lei un figlio, chiamato Telegono. Costui, successivamente, sarebbe stato mandato da Circe alla ricerca del padre, che, dopo l'approdo a Itaca, non s'era fatto più vedere nell'isola di Eea (a parte il breve soggiorno di XII,1-141); e, senza saperlo, Telegono sarebbe sbarcato proprio a Itaca, dove avrebbe saccheggiato l'isola insieme ai suoi compagni, imitando, in questo, le gesta di chi l'aveva generato.
Assalito ad un certo punto da Ulisse e da Telemaco, egli avrebbe ucciso lo stesso Ulisse, dopodiché, per ordine di Atena, avrebbe sposato Penelope, da cui avrebbe avuto Itaco, fondatore di Tuscolo e di Preneste (ma altre leggende sostengono che non ci fu alcun matrimonio e che il fondatore di Tuscolo fu lo stesso Telegono).
Una versione, questa, che viene per così dire incontro alla tesi di un ennesimo risentimento, peraltro giustificato, che Circe provò nel momento in cui, dopo essersi concessa nonostante le numerose delusioni, dovette nuovamente subire l'amarezza dell'abbandono.
Amarezza tanto più grande quanto più si considera che le parole che lei dice a Odisseo (378-381), con "soave voce" o "alate parole", standogli a fianco, sono indubbiamente qualcosa di molto poetico, che lascia presumere un'intesa forte di coppia, come se le due rispettive intelligenze e sensibilità non avessero avuto bisogno di molto tempo prima di intendersi.
Circe parla come se Ulisse fosse già divenuto il padrone di casa, l'amante fedele, l'amico fidato, il partner da lei sempre desiderato.
In realtà Ulisse è troppo pieno di sé per potersi fermare in un medesimo luogo ed amare chi gli sta vicino. La richiesta di ritrovare la patria nasce in realtà dall'insoddisfazione di una vita non abbastanza movimentata.
Non a caso quando tornerà a Itaca, il suo volto, il suo stesso corpo saranno talmente sfigurati che stenteranno a riconoscerlo. Sarà il ritorno di un uomo senza pace, sconfitto dalla sua stessa ansia di vivere, dalle sue insondabili contraddizioni. Ulisse non può amare nessuno, proprio perché ama solo se stesso, che è un sé vuoto di vero contenuto umano.
La richiesta di liberare i compagni s'interseca, qui come altrove, con la sua insoddisfazione per la vita in generale, con la sua incapacità a vivere relazioni stabili, normali. Egli sembra già essere stanco di Circe, al punto che non vede l'ora di andarsene. Il fatto è però che le esigenze narrative dell'episodio impongono coerenza con la trama apologetica di questo eroe (di carta).
Quando Circe ritrasforma i porci in esseri umani vien detto, stranamente, che gli animali erano di "nove anni"(390), cioè piuttosto anzianotti, e che i marinai tornarono "più giovani di come erano prima, e molto più belli e più grandi a vedersi"(395-6). Evidentemente avevano riacquistato la virilità perduta.
E' comunque da escludere che dal primo amplesso con Circe alla richiesta di liberare i compagni sia passato molto tempo, poiché l'altra metà della ciurma lo attendeva al largo. E quando lo vedrà ritornare saranno tutti così contenti - scrive Omero - come se fossero già arrivati a Itaca (415 ss.). Il che fa appunto pensare che un certo tempo dovette essere trascorso.
Non solo, ma è evidente che se Ulisse ha preteso la liberazione dei compagni come condizione per restare sull'isola per non più di un certo tempo, il suo scopo era quello di far innamorare Circe di lui, o comunque quello di far credere che lui lo era di lei, e anche questo, naturalmente, per essere dimostrato, avrebbe richiesto del tempo.
Interessante è notare che Circe per la prima volta qualifica con l'appellativo di "astutissimo"(401) il laerziade solo dopo che questi le aveva chiesto di liberare i compagni, i quali, in seguito, gli moriranno tutti, a testimonianza che Ulisse non nutriva nei loro confronti una stima superiore o anche solo uguale a quella che nutriva nei confronti di se stesso.
I suoi compagni d'avventura sono tutte comparse mediocri, scarsamente caratterizzate sul piano psicologico e che nel complesso hanno una funzione strumentale all'esaltazione delle sue virtù individuali.
In questo libro X l'unico vero compagno di Ulisse è Circe, nei cui confronti egli si deve sforzare di trovare delle giustificazioni almeno formalmente etiche, per potersi "liberare" di lei e riaffermare così il proprio egocentrismo.
Circe, che qui rappresenta il rifiuto di una civiltà più "moderna" della sua, vive in una sorta di riserva naturale, lontana dal mondo cosiddetto "civilizzato", arroccata in una specie di fortilizio, in cui cerca di portare avanti un'ultima disperata difesa.
Tutto sommato Omero è piuttosto indulgente nei confronti di questa "amica-nemica" del protagonista, che presenta molti lati affascinanti, capaci di giustificare l'atteggiamento remissivo di Ulisse e che, se fosse stata di sesso maschile, probabilmente avrebbe ricevuto un trattamento meno riguardoso.
In effetti Circe non è una figura come le altre, è un personaggio centrale del poema (più di 700 versi le vengono dedicati), in quanto rappresenta la possibilità di una sintesi, di una mediazione, nello scontro tra le due civiltà rivali. E' lei che spiegherà a Ulisse come comportarsi nell'Ade, per interrogare Tiresia, come agire con le Sirene, come difendersi da Scilla e Cariddi, come comportarsi nell'isola di Trinacria dove pascolano le mandrie eterne del Sole, che lei conosce bene, essendo figlia stessa del Sole.
Circe toglie a Ulisse gli atteggiamenti violenti, vendicativi, maschilisti e Ulisse fa uscire Circe dall'isolamento, riconciliandola con la nuova realtà ch'egli stesso, insieme ad Ermes, rappresenta.
Tuttavia, e su questo Omero difficilmente avrebbe potuto transigere, Circe non ha la forza di trattenere Ulisse, perché Ulisse non può essere trattenuto da nessuno, essendo egli l'archetipo di una civiltà senza pace, che insegue la pace come appagamento della sete di dominio, di conoscenza, di avventure, in cui poter misurare le proprie risorse, fisiche intellettuali morali.
Ulisse è colui che sospetta la presenza di "inganni"(380): Circe lo conosce di fama ed ora ha la conferma di quanto egli sia incredibilmente "astuto"(401). Lo è talmente tanto ch'egli non si fida neppure del giuramento che da lei ha preteso, la quale, proprio per questo, non può che rimproverarlo; al che Ulisse ribatte dicendo d'essere sì convinto che lei non voglia più raggirarlo, ma al tempo stesso di non essere del tutto persuaso che il giuramento abbia un effetto positivo sui compagni che languiscono nel porcile.
Cioè in sostanza Ulisse non riesce a dare per scontata l'efficacia estensiva del patto con la maga e vuole per così dire mettere nero su bianco.
Volendo restare fedele al suo clichè di uomo accorto sino all'inverosimile, Ulisse deve continuare a sospettare, perché il "sospetto" e non tanto l'astuzia è il leit-motiv del poema. E' proprio questa caratteristica psicologica dominante che rende Ulisse un personaggio modernissimo.
Essendo abituato a vedere il prossimo come un potenziale nemico, Ulisse era diventato un maestro nel tendere tranelli, nel tramare complotti e terribili vendette. Il suo atteggiamento ha fatto ricche le classi mercantili e le strategie politico-militari di ogni epoca e latitudine.
Anche Circe è una donna sospettosa, ma perché vorrebbe rimanere quel che è, strettamente legata al proprio passato. A differenza di Ulisse, che è sempre in "posizione di attacco" e tutto quello che tocca subisce spesso radicali trasformazioni, Circe si pone invece sulla "difensiva", anche se qui gli eventi la portano a un ripensamento notevole della propria concezione di vita.
La liberazione dei compagni di Ulisse dalla schiavitù (dei sensi) comporta infatti una grande metamorfosi, che non riguarda soltanto il loro aspetto fisico, di nuovo umano e ringiovanito, ma anche la coscienza morale della maga, poiché se nei compagni il pianto liberatore ha la funzione di esprimere chiaramente gioia per il "corpo" ritrovato, in lei invece ha come una funzione catartica, di liberazione dal pregiudizio anti-maschile, di riconciliazione morale col sesso opposto, che va oltre l'attrazione fisica, che pur essa provava per Ulisse, intenzionata com'era a volerlo sposare (IX, 31-32).
Tant'è che appena liberati i compagni, propone a Ulisse di andare a prendere gli altri e di restare tutti ospiti della sua reggia. E' evidente ch'essa può aver pensato alla porcilaia come arma di ricatto contro eventuali ripensamenti da parte di Ulisse a suo danno. Ed è altresì evidente il suo timore di perderlo, ora che ha voluto soddisfare quello che per lui era il desiderio principale.
Ma Circe è una "gran signora"(394), sia nei poteri della conoscenza che nella profondità d'animo, qui testimoniata dalla commozione interiore. E' capace di rischiare una soluzione a lei sconveniente, proprio perché in fondo sa come rispettare la libertà umana.

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Ultimo aggiornamento: 01 maggio 2015