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E' difficile dire se la richiesta di liberare i compagni dalla schiavitù sia
precedente o successiva al rapporto sessuale di Ulisse con Circe.
Qui i tempi, ovvero la sequenza delle azioni, potrebbero anche avere un certo
peso nel determinare la psicologia dell'eroe, la sua scala di valori.
Non sarebbe infatti stata la stessa cosa vederlo chiedere quella liberazione
dopo un certo tempo passato tra le braccia della maga, e vederlo invece porre
come condizione dell'amplesso proprio quella liberazione.
E' intanto possibile anticipare che Ulisse e i suoi compagni rimasero con
Circe per più di un anno e, secondo una leggenda, egli ebbe da lei un figlio,
chiamato Telegono. Costui, successivamente, sarebbe stato mandato da Circe alla ricerca del padre, che, dopo
l'approdo a Itaca, non s'era fatto più vedere nell'isola di Eea (a parte il
breve soggiorno di XII,1-141); e, senza
saperlo, Telegono sarebbe sbarcato proprio a Itaca, dove avrebbe saccheggiato
l'isola insieme ai suoi compagni, imitando, in questo, le gesta di chi l'aveva
generato.
Assalito ad un certo punto da Ulisse e da Telemaco, egli avrebbe ucciso lo stesso
Ulisse, dopodiché, per ordine di Atena, avrebbe sposato Penelope, da cui avrebbe
avuto Itaco, fondatore di Tuscolo e di Preneste (ma altre leggende sostengono
che non ci fu alcun matrimonio e che il fondatore di Tuscolo fu lo stesso
Telegono).
Una versione, questa, che viene per così dire incontro alla tesi di un
ennesimo risentimento, peraltro giustificato, che Circe provò nel momento in
cui, dopo essersi concessa nonostante le numerose delusioni, dovette nuovamente
subire l'amarezza dell'abbandono.
Amarezza tanto più grande quanto più si considera che le parole che lei dice
a Odisseo (378-381), con "soave voce" o "alate parole", standogli a fianco, sono
indubbiamente qualcosa di molto poetico, che lascia presumere un'intesa forte di
coppia, come se le due rispettive intelligenze e sensibilità non avessero avuto
bisogno di molto tempo prima di intendersi.
Circe parla come se Ulisse fosse già divenuto il padrone di casa, l'amante
fedele, l'amico fidato, il partner da lei sempre desiderato.
In realtà Ulisse è troppo pieno di sé per potersi fermare in un medesimo
luogo ed amare chi gli sta vicino. La richiesta di ritrovare la patria nasce in
realtà dall'insoddisfazione di una vita non abbastanza movimentata.
Non a caso quando tornerà a Itaca, il suo volto, il suo stesso corpo saranno
talmente sfigurati che stenteranno a riconoscerlo. Sarà il ritorno di un uomo
senza pace, sconfitto dalla sua stessa ansia di vivere, dalle sue insondabili
contraddizioni. Ulisse non può amare nessuno, proprio perché ama solo se stesso, che è un
sé vuoto di vero contenuto umano.
La richiesta di liberare i compagni s'interseca, qui come altrove, con la
sua insoddisfazione per la vita in generale, con la sua incapacità a vivere
relazioni stabili, normali. Egli sembra già essere stanco di Circe, al punto che
non vede l'ora di andarsene. Il fatto è però che le esigenze narrative
dell'episodio impongono coerenza con la trama apologetica di questo eroe (di
carta).
Quando Circe ritrasforma i porci in esseri umani vien detto, stranamente,
che gli animali erano di "nove anni"(390), cioè piuttosto anzianotti, e che i
marinai tornarono "più giovani di come erano prima, e molto più belli e più
grandi a vedersi"(395-6). Evidentemente avevano riacquistato la virilità
perduta.
E' comunque da escludere che dal primo amplesso con Circe alla richiesta di
liberare i compagni sia passato molto tempo, poiché l'altra metà della ciurma
lo attendeva al largo. E quando lo vedrà ritornare saranno tutti così contenti -
scrive Omero - come se fossero già arrivati a Itaca (415 ss.). Il che fa appunto
pensare che un certo tempo dovette essere trascorso.
Non solo, ma è evidente che se Ulisse ha preteso la liberazione dei compagni come condizione per restare
sull'isola per non più di un certo tempo, il suo scopo era quello di far
innamorare Circe di lui, o comunque quello di far credere che lui lo era di lei,
e anche questo, naturalmente, per essere dimostrato, avrebbe richiesto del
tempo.
Interessante è notare che Circe per la prima volta qualifica con
l'appellativo di "astutissimo"(401) il laerziade solo dopo che questi
le aveva chiesto di liberare i compagni, i quali, in seguito, gli moriranno tutti, a
testimonianza che Ulisse non nutriva nei loro confronti una stima superiore o anche solo
uguale a quella che nutriva nei confronti di se stesso.
I suoi compagni d'avventura sono tutte comparse mediocri, scarsamente
caratterizzate sul piano psicologico e che nel complesso hanno una funzione
strumentale all'esaltazione delle sue virtù individuali.
In questo libro X l'unico vero compagno di Ulisse è Circe, nei cui confronti
egli si deve sforzare di trovare delle giustificazioni almeno formalmente
etiche, per potersi "liberare" di lei e riaffermare così il proprio
egocentrismo.
Circe, che qui rappresenta il rifiuto di una civiltà più "moderna" della
sua, vive in una sorta di riserva naturale, lontana dal mondo cosiddetto
"civilizzato", arroccata in una
specie di fortilizio, in cui cerca di portare avanti un'ultima disperata difesa.
Tutto sommato Omero è piuttosto indulgente nei confronti di questa
"amica-nemica" del protagonista, che presenta molti lati affascinanti, capaci di
giustificare l'atteggiamento remissivo di Ulisse e che, se fosse stata di sesso maschile,
probabilmente avrebbe ricevuto un trattamento meno riguardoso.
In effetti Circe non è una figura come le altre, è un personaggio centrale
del poema (più di 700 versi le vengono dedicati), in quanto rappresenta la possibilità di una sintesi, di una
mediazione, nello scontro tra le due civiltà rivali. E' lei che spiegherà a
Ulisse come comportarsi nell'Ade, per interrogare Tiresia, come agire con le
Sirene, come difendersi da Scilla e Cariddi, come comportarsi nell'isola di
Trinacria dove pascolano le mandrie eterne del Sole, che lei conosce bene,
essendo figlia stessa del Sole.
Circe toglie a Ulisse gli atteggiamenti violenti, vendicativi, maschilisti e
Ulisse fa uscire Circe dall'isolamento, riconciliandola con la nuova realtà
ch'egli stesso, insieme ad Ermes, rappresenta.
Tuttavia, e su questo Omero difficilmente avrebbe potuto transigere, Circe non ha
la forza di trattenere Ulisse, perché Ulisse non può essere trattenuto da
nessuno, essendo egli l'archetipo di una civiltà senza pace, che insegue la pace
come appagamento della sete di dominio, di conoscenza, di avventure, in cui
poter misurare le proprie risorse, fisiche intellettuali morali.
Ulisse è colui che sospetta la presenza di "inganni"(380): Circe lo conosce
di fama ed ora ha la conferma di quanto egli sia incredibilmente "astuto"(401).
Lo è talmente tanto ch'egli non si fida neppure del giuramento che da lei ha
preteso, la quale, proprio per questo, non può che rimproverarlo; al che Ulisse ribatte dicendo
d'essere sì convinto che lei non voglia più raggirarlo, ma al tempo stesso di
non essere del tutto persuaso che il giuramento abbia un effetto positivo sui
compagni che languiscono nel porcile.
Cioè in sostanza Ulisse non riesce a dare per scontata l'efficacia estensiva
del patto con la maga e vuole per così dire mettere nero su bianco.
Volendo restare fedele al suo clichè di uomo accorto sino all'inverosimile,
Ulisse deve continuare a sospettare, perché il "sospetto" e non tanto l'astuzia
è il leit-motiv del poema. E' proprio questa caratteristica psicologica
dominante che rende Ulisse un personaggio modernissimo.
Essendo abituato a vedere il prossimo come un potenziale nemico, Ulisse era
diventato un maestro nel tendere tranelli, nel tramare complotti e terribili
vendette. Il suo atteggiamento ha fatto ricche le classi mercantili e le
strategie politico-militari di ogni epoca e latitudine.
Anche Circe è una donna sospettosa, ma perché vorrebbe rimanere quel che è,
strettamente legata al proprio passato. A differenza di Ulisse, che è sempre in
"posizione di attacco" e tutto quello che tocca subisce spesso radicali
trasformazioni, Circe si pone invece sulla "difensiva", anche se qui gli eventi
la portano a un ripensamento notevole della propria concezione di vita.
La liberazione dei compagni di Ulisse dalla schiavitù (dei sensi) comporta
infatti una grande metamorfosi, che non riguarda soltanto il loro aspetto
fisico, di nuovo umano e ringiovanito, ma anche la coscienza morale della maga,
poiché se nei compagni il pianto liberatore ha la funzione di esprimere
chiaramente gioia per il "corpo" ritrovato, in lei invece ha come una funzione
catartica, di liberazione dal pregiudizio anti-maschile, di riconciliazione
morale col sesso opposto, che va oltre l'attrazione fisica, che pur essa provava
per Ulisse, intenzionata com'era a volerlo sposare (IX, 31-32).
Tant'è che appena liberati i compagni, propone a Ulisse di andare a prendere
gli altri e di restare tutti ospiti della sua reggia. E' evidente ch'essa può
aver pensato alla porcilaia come arma di ricatto contro eventuali ripensamenti
da parte di Ulisse a suo danno. Ed è altresì evidente il suo timore di perderlo,
ora che ha voluto soddisfare quello che per lui era il desiderio principale.
Ma Circe è una "gran signora"(394), sia nei poteri della conoscenza che
nella profondità d'animo, qui testimoniata dalla commozione interiore. E' capace
di rischiare una soluzione a lei sconveniente, proprio perché in fondo sa come rispettare
la libertà umana.
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