SCOPERTA E CONQUISTA DELL'AMERICA

Dall'avventura di Colombo alla nascita del colonialismo


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IL TESTAMENTO DI COLOMBO
LA SUA MORTE
LE SUE TOMBE
I PROCESSI CONTRO LA CORONA
LA QUESTIONE COLOMBIANA
SCOPERTA O INCONTRO?

Indigeni americani piangono i loro morti (xilografia del XVI sec.)
Indigeni americani piangono i loro morti (xilografia del XVI sec.)

Cap. XI

Mentre Colombo si recava a Siviglia per motivi di salute, il 26 novembre 1504 moriva la regina Isabella a Medina di Campo. Era stata sempre la sua protettrice e lo aveva difeso contro tutti rispettando i suoi diritti ed ora restava in balia di Fernando che aveva dato ordini severi contro di lui, che dava ascolto ai pettegolezzi cortigiani, al risentimento e all'invidia di quelli che s'erano ribellati nella Spagnola. Un Re che lo ricevette, come sempre, con scuse ipocrite. Il ricevimento ebbe luogo a Segovia nei primi giorni del 1505 e come scrisse Fernando Colombo: "Il Re fu molto gentile, ma era evidente che avrebbe voluto toglierselo dai piedi una volta per tutte, se non glielo avesse impedito quel poco di decenza che gli restava ancora".

Colombo gli chiese di confermare i suoi diritti, di liquidare tutte le sue percentuali (che avrebbero dovuto servire, in parte, per organizzare la crociata), di pagare i salari dovuti ai marinai, promessi e mai pagati, del suo ultimo viaggio (che da ben due anni li stavano aspettando e qualcuno di loro chiedeva l'elemosina per poter sopravvivere), e finalmente di permettere a suo figlio Diego di essere inviato alla Spagnola come viceré, dato che era sicuro che a lui non gli sarebbe più stato dato il permesso di ritornare nelle terre scoperte.

Il re Fernando gli rispose che gli proponeva di nominare un arbitro che giudicasse le sue richieste; Colombo rifiutò sdegnosamente. Allora il Re gli propose che se rinunciava ai suoi diritti, titoli e percentuali (1), gli avrebbe dato in cambio un castello con rendite adeguate alla sua condizione. Colombo rifiutò nuovamente, considerandola una proposta disonesta e arbitraria. Allora il Re approfittò l'opportunità per non dargli nulla.

La Corte si trasferì a Siviglia, quindi a Valladolid. Colombo la seguì, anche se le sue malattie si aggravavano sempre più.

Ad un certo momento vi giunse la principessa Giovanna reclamando a suo padre il suo diritto d'occupare il trono di Castiglia, Colombo le inviò suo fratello Bartolomeo affinché le presentasse il suo caso. Ma Giovanna la Pazza non volle o non potette occuparsene.

Il 19 maggio 1506 Colombo ratificò il testamento (2), nominando suo figlio Diego come erede principale. Il 20 ricevette i sacramenti, gli erano vicini i suoi due figli, suo fratello Diego e pochi amici, tra i quali Diego Méndez e Bartolomeo Fieschi. Le sue ultime parole furono: "In manus tuas, Domine, commendo spiritus meum".

Sembra che morì per insufficienza cardiaca, a causa della gotta (sindrome di Reiter).

Nessuna autorità fu presente al funerale, che passò inavvertito alla maggioranza della gente ed anche alla cronaca.

Il 21 fu sepolto nella cappella di Santa María de la Antigua, nella chiesa di san Francesco a Valladolid.

In aprile del 1509, per desiderio di suo figlio Diego, la sua salma fu trasportata a Siviglia e collocata nella certosa di Santa María de las Cuevas, nella cappella di Santa Anna, più tardi vi si appose una lapidetta con queste parole: "A Castiglia e a Leone, Nuovo Mondo dette Colombo" (che rimano in spagnolo 'A Castilla y a León, Nuevo Mundo dio Colón').

Bartolomeo morì nel 1515 e fu sepolto nella chiesa di San Francesco a Santo Domingo; Diego, figlio di Cristoforo, morì a Montalbán nel 1521, anche i suoi resti furono inviati a Santo Domingo, dove a poco a poco vi giunsero quelli degli altri Colombo. Ultimi furono quelli di Luigi e di suo fratello Cristoforo II, figli di Diego e nipoti di Cristoforo. Finalmente nel 1541 vi giunsero i resti di Cristoforo che furono collocati nella cappella dell'altar maggiore della cattedrale. Le tombe furono danneggiate a causa dei terremoti e saccheggi dei corsari, tra i quali Francis Drake; in ogni modo restarono al loro posto fino al 1795 quando la Spagna consegnò alla Francia una parte della Spagnola (oggi Haiti). In presenza dei duchi di Veragua, discendenti dell'Ammiraglio, le tombe furono trasportate nella cattedrale dell'Avana, Cuba, dentro le casse c'erano solo delle spoglie. Dopo il trattato di Parigi, del 1898, che segnò la fine della guerra tra la Spagna e gli Stati Uniti, le spoglie, da Cuba, ritornarono a Siviglia, a bordo della nave da guerra 'Conde de Venadito' fino a Cadice, poi da Cadice a Siviglia a bordo del panfilo reale 'Giralda'.

Però già dal 1877 cominciarono a sorgere dei dubbi se i resti che si trovano attualmente a Siviglia, in un mausoleo ideato da Arturo Mélida, erano realmente dell'Ammiraglio o di suo figlio Fernando, o di altri discendenti. Infatti s'era trovata una cassa di piombo, nella cattedrale di Santo Domingo, che conteneva delle ceneri e 69 frammenti ossei, su un lato della quale c'erano due targhe di piombo con le lettere: 'CCA' (Cristóbal Colón Almirante?) e sopra un'altra con le parole 'Illtre y Esdo.Varón Dn. Criztoval Colón.' (Illustre ed Esimio Uomo Don Cristoforo Colombo?). Finalmente dentro la cassa ce n'era un'altra d'argento con queste parole: 

Ua.pte.de los r.tos.
Del p.er. Al.te D
Cris.toval Colón.Desr.
U. Cristóval Colón.

(che significano forse 'una parte dei resti del primo ammiraglio Cristoforo Colombo')

A Santo Domingo si pensò che gli spagnoli, nella fretta, avevano portato via i resti di qualche altro membro della famiglia Colombo, probabilmente quelli di Diego, lasciando nella cattedrale quelli di Cristoforo, che furono collocati solennemente in un nuovo monumento nella stessa chiesa.

Il console genovese a Santo Domingo, Luigi Cambiaso, chiese ed ottenne una piccola porzione dei resti che divise in tre parti, una l'inviò a Genova, dove si conserva in un'urna nel palazzo Tursi, un'altra a Pavia, perché si credeva erroneamente (come aveva affermato Fernando Colombo), che avesse studiato nell'Università di codesta città, conservata tutt'ora in un'urna della biblioteca universitaria e, l'ultima parte, in Venezuela, che era stata la prima terraferma da lui scoperta. 

La Reale Accademia Spagnola di Storia decretò che le prove addotte dalla Repubblica Domenicana non erano valide e affermò che i resti autentici erano a Siviglia.

Molti studiosi credono che i suoi resti si trovino divisi tra Siviglia e Santo Domingo, mentre altri affermano che si trovano ancora a Santa María de las Cuevas, che oggigiorno è una fabbrica di ceramica, e altri finalmente che le sue spoglie non uscirono mai dalla primitiva tomba, nella chiesa di San Francesco a Valladolid, dato che i francescani lo veneravano tanto che mai avrebbero permesso di lasciarli in mano dei domenicani. Ma il convento e la chiesa furono distrutti durante l'occupazione napoleonica, ed oggi al suo posto esiste il 'Café del Norte' (Caffè del Nord), e molti abitanti della città sono sicuri che i resti si trovino ancora lí, nascosti in qualche parte dei sotterranei.

Diego Colombo s'era sposato con Maria di Toledo, duchessa d'Alba e nipote del re Fernando. Viveva a Corte e, dopo la morte di suo padre, continuò per conto suo a reclamare i diritti delle "Capitulaciones", soprattutto perché voleva essere inviato a Santo Domingo come viceré e governatore, e ne aveva tutto il diritto. Ma Fernando respinse la richiesta. Allora Diego pregò suo fratello Fernando di ricorrere ad un arbitraggio d'un tribunale. Il re Fernando accettò la sfida, sicuramente con la convinzione che avrebbe terminato d'una buona volta con questi litigi e pretese dei Colombo, e anche curioso di vedere se qualche giudice avessero osato opporsi alla Corona.

Così cominciarono i processi che durarono 25 anni (1507-1532), e terminarono con Carlo V e con Luigi Colombo, figlio di Diego e nipote di Cristoforo. Solo una parte dei documenti di questi processi si è salvata, la censura reale fece distruggere il resto. Malgrado tutto risultano più che evidenti i sotterfugi, le diffamazioni, gl'inganni e le menzogne utilizzati dai giudici per dar ragione al Re. 

Il giudice Villalobos, tra tanti altri, cercò di screditare Colombo con tutti i mezzi possibili, utilizzando anche leggende e menzogne, facendo testimoniare i membri della famiglia Pinzón e perfino i marinai, già vecchi decrepiti, del primo viaggio.

Fu precisamente in quegli anni quando si creò la maggioranza delle calunnie, come quella di un Colombo plagiario di idee e progetti altrui, di straniero inetto, di pessimo marinaio (3), d'impostore che non scoprì mai nulla, di schiavista avido d'oro e di ricchezze di ogni tipo, d'assassino e di pessimo amministratore (4).

Il duca d'Alba riuscì a convincere il Re che nominasse Diego come governatore provvisorio della Spagnola, senza il titolo di viceré, ma quando salì sul trono Carlo V lo richiamò in Spagna immediatamente.

Nel 1539 quando morì Fernando Colombo, don Luigi restò come unico erede e s'arrese ai voleri dell'Imperatore, rinunciando a tutti i suoi diritti a cambio di essere insignito dei titoli di duca di Varagua, marchese di Giamaica, ammiraglio del Mar Oceano e una rendita adeguata a questi titoli. Poco tempo dopo, a causa della sua vita disordinata di libertino, don Luigi dilapidò tutto il patrimonio ereditato e vendette persino le lettere e altri ricordi di suo nonno.

Poi tutti si scordarono di Cristoforo Colombo e solo lo sviluppo poderoso degli Stati Uniti svegliò l'interesse generale su tutto ciò che era americano, e quindi sul suo scopritore.

In ogni modo per più di tre secoli non ci fu in tutta l'America un solo monumento che lo ricordasse, né esisteva alcuna biografia sua. 

Improvvisamente, dopo un lunghissimo letargo, cominciarono ad apparire le critiche, le investigazioni, le ricerche affannose e meticolose negli archivi di mezzo mondo e le interpretazioni più disparate. Tutto ciò provocò la nascita della chiamata 'questione colombiana', oggi giorno già quasi superata, se non fosse per articoli e libri scarsamente oggettivi o scritti con pessime intenzioni, pieni di pregiudizi, rispolverando perfino le menzogne utilizzate durante i processi (5).

Si è già detto, in vari paragrafi anteriori, che non esistono dubbi seri sull'origine italiana, e particolarmente genovese, di Colombo (6), in ogni modo non mancarono scrittori che cercarono di dimostrare che era castigliano, o quando meno catalano o di qualche altra regione spagnola; o magari di famiglia d'origine spagnola, espatriata perché ebrea. E se tutto ciò risultava impossibile da dimostrare, anche falsificando documenti, come successe, allora bisognava proprio cercar di distruggere la fama del personaggio, togliergli il merito della coperta, accusandolo dei peggiori misfatti e finalmente addossargli la colpa di come si sfruttano e si relegano gli indios attualmente in quasi tutte le Americhe. E le menzogne sempre lasciano un'impronta che mette radici nella credulità e ignoranza delle masse Ci sono stati scrittori che non contenti con i documenti trovati cercarono di modificarli a loro piacere, sfogando le loro lambiccate fantasie o di altri che sfacciatamente li falsificarono. S'inventò l'esistenza di uno spagnolo, amico di Colombo, imbarcato sulla stessa nave durante la battaglia di Cabo San Vicente, vedendo morire il suo amico ne prese il nome e i suoi ricordi d'infanzia. Altri si meravigliarono che i Colombo avessero cambiato i loro cognomi (7) e che conoscevano lo spagnolo, ed anche per altre dati assurdi, affermarono che, sebbene nati a Genova, dovevano discendere da una famiglia ebrea-spagnola (8), esiliata dal 1391. 

Sembra proprio strano che un ebreo, che non voleva che si sapesse che era ebreo, si chiamasse Cristoforo, che significa "colui che porta Cristo", che era devoto di san Francesco d'Assisi, che apparteneva all'ordine dei terziari, che era continuamente aiutato ed amato dai francescani e dai domenicani, e che spesso viveva nei loro conventi. Tanto più che battezzò centinaia d'isole, cittadine, baie con i nomi di Cristo, della Madonna e dei santi, che volle una sepoltura cristiana e in un convento, che faceva pellegrinazioni continue, che si confessava giornalmente e pregava varie volte al giorno, che voleva liberare il Santo Sepulcro e che i suoi genitori e i suoi fratelli avevano nomi di santi.

Poi c'è un argomento determinante che smentisce quelle affermazioni: se Colombo fosse stato ebreo e per di più straniero il Re e la nobiltà l'avrebbero espulso dalla Spagna senza dargli nulla, evitandosi, tra l'altro, gli interminabili processi. Nessuno, quando viveva Colombo, insinuò che fosse ebreo, quando era facilissimo poterlo sapere, neppure fra' Bartolomeo de las Casas che era ebreo converso.

Con relazione allo spagnolo era una lingua già formata, conosciuta dai commercianti e marinai delle nazioni mediterranee, mentre l'italiano non esisteva ancora come lingua nazionale, tutti i suoi abitanti parlavano in dialetto e i pochi che sapevano scrivere utilizzavano generalmente il latino.

Celso García de la Riega cercò di provare, contraffacendo documenti (9), che Colombo era ebreo della Galizia, e precisamente della città di Pontevera.

Ramón Menéndez Pidal, a proposito della lingua che parlava e scriveva Colombo, pubblicò un libro dimostrando che lo spagnolo non era la sua lingua materna né somiglia per nulla all'ebreo-spagnolo conosciuto; neppure il portoghese lo era e il suo spagnolo è pieno di portoghesismi, ma non di parole gaglieghe. Conclude che il suo supposto ebraismo è solo un'ipotesi stramba.

Il peruviano Luis Ulloa, nel 1927, cercò di provare, senza nessun documento, che Colombo era catalano, parente del re Fernando, e che era già stato in Groenlandia coi danesi. 

Altri ancora odiano Colombo e lo tacciano di bugiardo, traditore della patria, ipocrita, ed altri epiteti che è meglio non ripetere.

Con certo spirito sciovinista e meschino anche qualche nordico volle dimostrare che Colombo non era arrivato per primo in America (come se le scoperte fossero corse ad ostacoli, e il fatto d'arrivare primo non avesse nulla a che vedere con l'esplorare, informare, allacciare comunicazioni, causare trascendenze mondiali, ecc.). Quindi l'11 ottobre del 1965 uscì un articolo nel "New York Times", il cui titolo era: "Una mappa del 1440 mostra il Nuovo Mondo". Prendeva la palla al balzo l'"Herald Tribune", con un altro titolo: "Nuove prove: i vichinghi vinsero Colombo". Il fatto era che gli studiosi dell'Università di Yale avevano scoperto una mappa, che dimostrava che i vichinghi avevano attraversato l'Oceano Atlantico e sbarcato in qualche luogo del Nordamerica, che chiamarono Vinland. Dopo tanto rumore e schiamazzi si dimostrò che gli studiosi erano stati ingannati , infatti la mappa era un falso, come i caratteri runici trovati 'per caso' in una pietra negli Stati Uniti. 

Certamente è possibile che, oltre agli indios, durante tanti secoli fossero arrivati altri europei, africani o asiatici? Non mancarono le ipotesi. Non era assolutamente improbabile che cinesi, giapponesi, etruschi, gallesi, arabi, fenici, ebrei, francesi, scandinavi, indù, irlandesi, polinesiani, australiani, olandesi, romani, portoghesi, spagnoli, tedeschi, turchi, veneziani, pisani o genovesi (e perché no monegaschi o sanmarinesi?) fossero giunti in America senza lasciar la minima traccia. Se ciò successe fu un'avventura completamente inutile e sterile. Resta solo un'ipotesi che ha solo il valore d'ipotesi.

In ogni modo gli scandino-americani, e gli anglosassoni in generale, vollero il loro Pinzón e regalarono una statua di Leif Erikson (figlio di Erik il Rosso), esploratore vichingo dell'anno 1000 (di cui un'antica saga afferma che arrivò in Groenlandia e nell'attuale Canada e forse un po' più al sud, ma senza aver lasciato traccia alcuna), che si trova in un parco di Brooklyn, e ce n'è anche un'altra a Saint Paul, nel Minnesota. 

Finalmente ci sono molti altri investigatori e studiosi seri ed onesti, che fecero di tutto per scoprire e difendere la verità. 

Di questi ultimi il merito principale e i migliori elogi vanno a vari autori spagnoli, per aver scoperto e fatto conoscere la verità. 

E per concludere la 'questione Colombo' è necessario consigliare la lettura di alcuni tra i tanti scrittori seri, come gli spagnoli Antonio Ballesteros, Consuelo Varela, Pedro Voltes y Ramón Menéndez Pidal e tra i non spagnoli Samuel Eliot Morison, Paolo Taviani e Gianni Granzotto.

Un altro argomento polemico è quello della parola 'scoperta', che soddisfà gli europei, ma non agli americani.

Scoprire significa trovare cose ignorate o nascoste, cosicché 'la scoperta' fu degli europei che trovarono qualcosa e da loro comunicata al resto del mondo conosciuto, per gli indigeni americani fu un arrivo di estranei che vi rimasero, senza esserne invitati, e inoltre li dominarono.

Chissà l'interpretazione di Salvador de Madariaga come l'incorporazione d'una parte ignota del mondo, sia la più corretta e giusta; indipendentemente dal grado di cultura raggiunto dai diversi popoli che abitavano il Nuovo Mondo.

In generale gli spagnoli non vedono ragione alcuna per sostituire la parola scoperta con un'altra, mentre ai latinoamericani questa parola suona quasi offensiva, ma non si mettono d'accordo sul sostantivo che dovrebbe sostituirla. Il messicano Miguel León Portilla suggerisce 'incontro' dei due mondi (che sarebbe più appropriato se ci fosse stato realmente un incontro pacifico tra spagnoli e indios in mezzo all'Oceano). Ma un altro messicano illustre Edmundo O'Gorman rifiuta tale sostantivo, dato che non si trattò d'un incontro, ma d'un 'impossessarsi', cosicché suggerisce il termine 'invenzione' (dal latino invenire, che significa incontrar cercando o senza cercare, cozzare con qualcosa, scoprire, raggiungere, trovar una cosa nuova). 

Per l'italiano Taviani la vera scoperta fu quella dell'ignoranza degli abitanti del Vecchio Mondo.

Il problema è che si cerca di trovare un termine che piaccia a tutti, oltre che il più appropriato possibile e quello che meno risulti molesto per qualcuno.

Il 12 ottobre è festeggiato quasi in ogni parte, ma con nomi diversi: è il Giorno dell'Ispanità, in Spagna, il Giorno della Scoperta dell'America, in Italia, Il Giorno della Razza, in Messico (che secondo O'Goman è quello della razza ispanica, ma si toglie l'aggettivo perché suona troppo...spagnolo). Negli Stati Uniti, sebbene il Columbus Day sia dichiarato festa nazionale, soprattutto per le pressioni e l'insistenza delle comunità italiane, non è stato accettato da una dozzina di Stati, mentre in altri gli si danno nomi diversi, per esempio Discoverer's Day nelle Haway, Discovery Day nell'Indiana, Landing day nel Wiscounsin.

NOTE

  1. Colombo, prevedendo già l'ostilità del Re, aveva consegnato, nel 1502, gli originali o le copie dei documenti più importanti al delegato della Repubblica di Genova Nicola Oderigo, affinché li depositasse nella Banca di San Giorgio. La lettera che li accompagnava comincia così: "Nobilissimi Signori, sebbene il mio corpo si trova qui, il mio cuore è sempre costì (a Genova)".
    Fondata nel 1407 quella di San Giorgio fu la prima banca pubblica nel mondo.
  2. Il testamento originale andò perduto, ma ne esistono trascrizioni.Comincia invocando la Santissima Trinità e vi ricorda tutti i diritti a lui concessi nelle "Capitulaciones" e le terre da lui scoperte. Stabilisce l'ordine di successione cominciando dai suoi figli e terminando con i suoi fratelli:"Che mio figlio Diego tenga e sostenga sempre nella città di Genova una persona della nostra stirpe che abbia costì casa e moglie, e gli si conceda una rendita per mezzo della quale possa vivere onestamente... ...infatti da essa (Genova) partii e in essa nacqui... ...che si depositi il denaro nella Banca di San Giorgio a Genova, città nobile e potente sul mare". Ricorda inoltre ai Re che il suo desiderio è quello di liberare il Santo Sepolcro e che lui metterà a disposizione il suo danaro per una crociata, e che suo figlio Diego dovrà parteciparvi, difendendo sempre la Chiesa dagli scismi e dalle eresie e cercando di convertire alla fede cristiana tutti i popoli delle Indie. Ordina a suo figlio Diego "che procuri e lavori per l'onore e il bene e lo sviluppo della città di Genova e inverta tutte le sue forze e i beni per difendere ed accrescere il bene e l'onore della sua Repubblica... ...che abbia e mantenga nella Spagnola una cappella con tre cappellani che dicano tre messe al giorno, una in onore della Santissima Trinità, un'altra alla Concezione di Nostra Signora e l'altra per l'anima di tutti i fedeli defunti, e per l'anima mia, e di mio padre e madre e moglie". Ricorda ancora a suo figlio che paghi tutti i debiti suoi, gli raccomanda Beatriz Enríquez affinché possa vivere onestamente. Finalmente lascia del danaro, senza che loro sappiano da chi proviene, a Gerolamo dal Porto, cancelliere a Genova, ad Antonio Vazo, mercante genovese che vive a Lisbona, agli eredi dei Centurione, degli Scoto, e di Paolo di Negro, genovesi, a Battista Spìnola o ai suoi fratelli, nel caso in cui fosse già morto, ed a un ebreo che viveva vicino alla porta del ghetto di Lisbona. Nel testamento ringrazia i Re e riafferma la sua lealtà e obbedienza.
  3. Giovanni Prezzolini afferma che dubitare delle sue delle sua capacità, delle sue scoperte e della sua italianità è degno di commiserazione...
  4. Tra le tante leggende ridicole inventate per screditare Colombo bisogna ricordare che Gonzalo Fernández de Oviedo nella sua "Storia Naturale delle Indie", pubblicata a Siviglia nel 1535, scrisse che le Indie erano appartenute alla Corona castigliana da tempi molto remoti, sin dal 1558 a.C., secondo ciò che affermavano cinque scrittori diversi. Cosicché da 3050 anni le isole scoperte da Colombo erano già dei Re di Spagna e Dio, senza un gran mistero, gliele aveva restituite... è curioso che anche Carlo V gli credette (o chissà si stava afferrando a qualsiasi pretesto, per assurdo che fosse, per non dar a Colombo ciò che gli spettava), e mandò a dire a Oviedo che voleva conoscere i particolari, testimoni, scrittori o i libri dove aveva letto ciò che affermava, e che gli rispondesse subito. Logicamente non ricevette mai nulla.
  5. Tra i luoghi comuni che qualche editore continua a pubblicare, malgrado si sappia che si tratta di menzogne o di leggende, si trovano ancora: A) il priore Juan Pérez ricevette Colombo in gran miseria. B) il 12 ottobre Colombo scoprì Cuba. C) Colombo nacque a Genova, sicuramente da famiglia ebrea-spagnola D) Colombo morì povero e non si può dimostrare dove nacque. E) a bizzeffe si trovano ancora le leggende dei gioielli impegnati della Regina, che Colombo morì povero e incatenato, che l'equipaggio del primo viaggio era composto in maggior parte da galeotti, che i marinai i Palos si burlavano di Colombo che lo avevano visto, anni prima, mendicare, se era genovese o catalano, ecc.
  6. Tutti i cronisti, senza eccezioni, dell'epoca scrissero che era uno straniero e genovese, o genericamente ligure, come s'è detto.
    Lui si dichiara genovese nelle lettere scritte ai Re, nei documenti e in altri suoi scritti.
    Lo affermano e confermano le cronache di Bartolomeo de las Casas, di Gonzalo Fernández de Oviedo, di Andrés Bernáldez, ed altri.
    Alcuni scrittori, per corroborare i loro dubbi sulla sua origine, s'afferrano a questa frase di Fernando Colombo: "...volle che la sua patria e la sua origine fossero meno sicuri e conosciuti, al punto tale che alcuni lo fanno di Nervi, altri di Buyasco, altri ancora di Savona, o di Genova o di Piacenza".
    A parte il fatto che le reticenze dell'Ammiraglio si dovevano alla sua umile origine e non gli piaceva parlare o sentir parlare della sua famiglia di cardatori, tutte le città che Fernando cita sono italiane. Senza contare che in quell'epoca 'patria' significava cittadina o paesetto natale, e non nazione. Quando nacque Colombo l'Italia non era neppure una nazione, però esisteva geograficamente con questo nome e tutti quelli che nascevano nella penisola si consideravano italiani, anche se spesso nemici uno dell'altro.
    Neppure la Spagna era una nazione e passarono molti anni prima di esserlo.
    Dopo il suo ritorno dal primo viaggio tutti, in Spagna e fuori, lo considerarono 
    genovese, cominciando dai registri reali e dalle ricevute dei pagamenti riscossi.
    Le cronache del portoghese Joao de Barros e di Pietro Martire lo citano come genovese, e il turco Piri Reiz dice che è un 'infedele genovese'.
    A Genova Antonio Gallo scrisse che Colombo era nato in quella città da famiglia plebea; il vescovo Agostino Giustiniani, il cronista Bartolomeo Sanarega e gli inviati veneziani affermarono la stessa cosa nelle loro relazioni e corrispondenze.
    Torquato Tasso, nella sua "Gerusalemme Liberata", scritta tra il 1570 e il 1575, si legge:: "Un uom de la Liguria avrà ardimento a l'incognito corso esporsi in prima: né 'l minaccevol fremito del vento, né l'inospito mar, né 'l dubbio clima, né s'altro di periglio o di spavento più grave e formidabile or si stima, faran ch'el generoso entro a i divieti d'Abila angusti l'alta mente acqueti. Tu spiegherai, Colombo, a un nuovo polo lontane sì le fortunate antenne...", (canto XV, versi 31,32).
    Nel secolo XX l'ammiraglio e scrittore Samuel Eliot Morris affermò che dubitare dell'italianità e della fede cattolica di Colombo era come dubitare dell'americanismo e anglicanesimo di George Washington.
    Antonio Ballesteros, uno degli scrittori spagnoli più seri, lasciò scritto che non si può avere la minima ombra di dubbio sulla nazionalità genovese di Colombo.
    Mese più, mese meno, Colombo trascorse 25 anni a Genova, 8 in Portogallo, 16 in Spagna e 6 viaggiando.
  7. Il fatto poi di cambiare il suo cognome o adattarlo alla grafia o alla fonetica delle lingue dove si trovava, è comunissimo tra gli emigranti di qualsiasi nazione.
    Inoltre lo stesso Fernando Colombo da una spiegazione nel suo libro: 
    "Mio padre volle cambiar di cognome affinché da lui cominciasse un'altra stirpe, diversa da quella dei Colombo in Italia". Tutto ciò potrebbe spiegare il perché i suoi parenti Giannantonio e Andrea conservarono i loro cognomi italiani pur restando in Spagna, mentre lo cambiarono Bartolomeo e Diego, fratelli di Cristoforo.
  8. A parte il fatto che essere ebreo non significa né razza né nazionalità, ma semplicemente l'appartenenza a una determinata religione. Cosicché ciò che importa è il luogo dove si nasce, si cresce e si vive, per lo meno durante i primi anni della fanciullezza, dove s'impara la lingua e soprattutto dove ci si sente e ci si vuole appartenere. Cosicché, anche se si accetta, per assurdo, che discendeva lontanamente da famiglia ebrea-spagnola, lui si considerava genovese, era nato a Genova, come i suoi genitori e i suoi nonni, quindi era italiano al cento per cento.
  9. L'Accademia di Storia spagnola fece esaminare i documenti dai periti paleografi Manuel Serrano e Elardio Oviedo y Arce che li dichiararono in parte falsi, e in parte interpolati e modificati.

prof. Giancarlo von Nacher Malvaioli

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Moderna
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