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IL QUARTO VIAGGIO
SOSTA OBBLIGATA IN GIAMAICA
APPAIONO LE AMERICHE
LA SPAGNA E L'AMERICA
I CONQUISTATORI
LA FEBBRE DELL'ORO
LE LEGGENDE
CONSEGUENZE DELLA SCOPERTA
Costruzione del villaggio e del forte di Navidad a Hispaniola (xilografia del 1493-94)
Cap. X
Era già l'anno 1501 e i Re Cattolici non si decidevano ancora ad autorizzare la partenza di Colombo verso le isole che aveva scoperto.
Nicolás de Ovando, commendatore di Lares, era salpato da Cadice con cinque navi e 2.500 soldati e coloni, con l'ordine di sostituire Bobadilla come governatore della Spagnola, togliendo definitivamente anche a Colombo tale privilegio. All'Ammiraglio si concesse solo di nominare un suo uomo di fiducia nella persona di Alonso de Carvajal, onesto e pignolo, affinché controllasse la quantità d'oro e le percentuali degli affari commerciali che gli spettavano.
Finalmente i Re Cattolici dettero l'autorizzazione a Colombo di partire dal porto di Cadice, in compagnia di suo figlio Fernando, per un nuovo viaggio; ma con una condizione: per nessuna ragione doveva toccare l'isola della Spagnola. Così il 9 maggio 1502 la flottiglia salpò. Diego Tristán prese il comando della 'Capitana' (chiamata così dato che non si conosce il suo vero nome); Bartolomeo Colombo (che non voleva tornare nelle Indie, ma che ubbidì l'ordine di suo fratello), comandava 'La Santiago' (Giacomo), di Palos, chiamata anche 'La Bermuda' dal nome del suo padrone Francisco de Bermúdez; Pedro de Torreros, che aveva preso parte alle tre spedizioni precedenti, comandava 'La Gallega' (La Galiziana), il cui padrone era Juan Quintero; finalmente l'italiano Bartolomeo Fieschi comandava 'La Viscaína' (La Biscagliese). Il cappellano della flottiglia era il frate Alejandro (Alessandro); Francisco Porras era il capitano e controllore della Corona. Il tesoriere reale Morales fece pressione su Colombo affinché imbarcasse Francisco Porras e suo fratello Diego, dato che era l'amante d'una loro sorella.
In totale erano 140 uomini, il 90% dei quali andalusi, la maggioranza del 10% restante era genovese.
Il 24 maggio la flottiglia giunse a Las Palmas, nelle Canarie, per rifornirsi, ma non toccò Gomera, Beatriz s'era risposata...
In venti giorni appena Colombo arrivò alla Martinica, quindi alla Spagnola gettando le ancore di fronte a Santo Domingo, malgrado la proibizione reale, dato che voleva cambiare la 'Santiago' che faceva acqua e, allo stesso tempo, avvisare Ovando che non rimandasse in Spagna la sua flotta perché si stava avvicinando un tifone.
Ovando gli proibì di sbarcare e si burlò di lui e della sua presunzione di essere anche un indovino...e la flotta di trenta navi, con quasi tutti i nemici di Colombo a bordo, tra i quali Bobadilla, Roldán e i suoi seguaci, ricevette l'ordine di salpare.
Colombo si rifugiò con le sue navi in una piccola insenatura vicina, mentre il tifone giunse improvvisamente investendo la flotta di Ovando e affondando 19 navi coi loro equipaggi, altre otto affondarono, ma gli equipaggi si salvarono, soltanto tre, malconce, riuscirono a sfuggire alla furia del tifone, una delle quali era la piccola "Aguja" (Ago), che con Carvajal trasportava l'oro di Colombo.
Bobadilla, Roldán e i suoi perirono e si perdette anche tutto l'oro che spettava ai Re.
Colombo continuò il suo viaggio verso oriente, sperando di trovare il passo ad ovest che gli permettesse di arrivare in Cina e in India.. Toccò invece due isolette, Bonacca e Guanaja di fronte all'Honduras. Si rese conto che lì gli indios erano molto più civili degli altri incontrati fino allora: tessevano, fondevano il rame, usavano canoe ed armi. Giunto in Honduras decise di proseguire la navigazione verso sud, forse con il proposito di arrivare a Paria, dove aveva interrotto l'esplorazione nel suo terzo viaggio. Se invece avesse navigato verso nord avrebbe scoperto, con stupore, la civiltà maya. Continuò a costeggiare l'Honduras, il Nicaragua, il Costarica e il Panama, affrontando tempeste, attacchi degli indios e malattie, facendo voti e pregando continuamente. Trovò dell'oro in Veragua, ma con molte difficoltà se ne poteva ottenere in quantità considerevoli; lo informarono che oltre la stretta fascia di terra dove si trovava c'era un altro mare, ma non disponeva dei mezzi necessari per attraversare la selva che la ricopriva, seminata di pantani con coccodrilli ed altri animali. Continuava a soffrire, inoltre, dei suoi mali già cronici: dolori agli occhi, reumatismi e gotta, ed ora anche di malaria.
Vari marinai perirono a causa degli attacchi degli indios, tra i quali Diego Tristán, molti i feriti, incluso Bartolomeo.
'La Gallega' fu abbandonata, mentre le altre navi cominciarono ad essere sforacchiate da un verme, chiamato bruma, che riduceva la chiglia delle navi a un colabrodo. Nel golfo di Darién si perdette 'La Vizcaína' e gli equipaggi insistettero affinché si tornasse alla Spagnola. Il 22 giugno, dopo molte fatiche e sofferenze, giunsero a Puerto Bueno (Porto Buono), in Giamaica, dove s'arenarono le navi. I 116 marinai che restavano costruirono capanne e difese con i resti delle navi, dato che Colombo non volle che i suoi uomini abitassero nei villaggi degli indios, nel timore che si ripetessero i tragici fatti che erano successi nella Spagnola.
L'isola di Cuba non era lontana, ma siccome non vi avevano trovato dell'oro gli spagnoli non vi erano più tornati, dopo la sua scoperta. La Spagnola si trovava a 200 miglia di distanza e la Villa di Santo Domingo a 500 miglia.
Cercarono di chiedere aiuto: s'inviò Pedro Méndez de Segura in una canoa con sei indios, il quale sempre era restato fedele a Colombo, rischiando la sua vita per lui. Méndez, sfidando le forti correnti, con quella fragile imbarcazione, s'era appena allontanato dalla costa quando fu catturato da altri indios. Giorni dopo riuscì a fuggire e ritornò all'accampamento spagnolo. Nuovamente volle tentare l'avventura, in compagnia dell'italiano Bartolomeo Fieschi, altri sei spagnoli e una diecina d'indios.
Nell'accampamento si dormiva a turno, non fidandosi degl'indigeni. Le riserve d'acqua e di alimenti finirono presto e gli spagnoli cominciarono a morire di sete, d'insolazione o nei tentativi di attraversare il mare a nuoto.
Per ordine di Colombo Pedro Méndez, prima di partire, era riuscito a mettersi d'accordo con gli indios affinché provvedessero all'alimentazione degli spagnoli, a cambio delle solite cianfrusaglie.
Méndez e Fieschi tardarono due mesi ad arrivare a Santo Domingo ed altri nove dovettero restarci prima che Ovando permettesse loro di noleggiare una nave per salvare i superstiti in Giamaica, non volendo noleggiar loro una nave sua o alle sue dipendenze. In cambio, senza che Méndez lo sapesse, inviò a Giamaica una piccola caravella per vedere se Colombo era ancora vivo. Era la prima nave, in due anni, che gli spagnoli vedevano in Giamaica e fu grande l'allegria di tutti credendo che era arrivata a salvarli, ma il capitano della nave, Diego de Escobar, aveva ricevuto l'ordine di non imbarcar nessuno e se ne tornò indietro, lasciando a terra, in ossequio, due casse di carne salata di maiale e di vino.
Il 28 giugno 1504 giunse Diego de Salcedo, amico di Colombo, che aveva noleggiato due caravelle col denaro dello stesso Ammiraglio, e mise in salvo i superstiti, sbarcandoli a Santo Domingo, dove furono ricevuti con una certa cortesia da Ovando.
In quei due anni di permanenza obbligata erano successe molte cose in Giamaica: i fratelli Porras, con la metà degli equipaggi, s'erano ribellati a Colombo (I 'levantamientos' sono stati sempre una 'specialità della casa' spagnola e delle sue antiche colonie). In un primo momento tentarono di andarsene in canoa, ma non ebbero il coraggio di sfidare le correnti e preferirono affrontare gli indios che derubavano, torturavano e uccidevano.
Bartolomeo Colombo li perseguì con gli altri marinai che erano restati fedeli e li sconfisse catturando e incatenando Francisco e Diego Porras e perdonando gli altri. Più tardi Ovando li liberò.
Gli indios s'erano proprio stancati di dar da mangiare agli spagnoli, tanto più che ognuno di questi divorava in un giorno di più di quello che una famiglia india mangiava in un mese.
Colombo approfittò dell'eclisse lunare, della notte del 29 febbraio, per spaventarli, dicendo loro che Dio era amico degli spagnoli, quindi dovevano continuare a dar loro gli alimenti come era stato deciso. Gli indios, spaventati e tremanti, cominciarono a piangere e promisero che avrebbero continuato a servirli per non offendere Dio. E il Dio di Colombo continuò a sorrider loro, riapparendo la luna più luminosa che mai.
Malato, afflitto, sfiduciato, amareggiato per le continue insubordinazioni, i tradimenti, le invidie, gli odi e le calunnie, oltre all'impossibilità di trovare un cammino verso le Indie e la Cina, Colombo sembrava essere diventato il centro della vendetta di quelle terre misteriose che aveva bruscamente svegliate dal loro isolamento secolare e paradisiaco.
L'Ammiraglio partiva per la Spagna il 12 settembre 1504 per non ritornar mai più in America, giungendo a Sanlúcar de Barrameda il 7 novembre: "Che il cielo abbia pietà di me e pianga per me la terra. Sono solo tra tanti mali, ammalato e aspettando la morte. Sono così lontano dai Santissimi Sacramenti che se l'anima mia lasciasse il corpo, Dio non si ricorderebbe di lei. Pianga per me chi è caritatevole e chi ami la verità e la giustizia" (1).
A poco a poco, come un rompicapo, si delineava il contorno delle terre che si scoprivano: nel sud, dopo il terzo viaggio di Colombo e del primo di Vespucci, risultava sempre più evidente che si trattava di un continente nuovo e grandissimo, sconosciuto dagli antichi e incluso da Marco Polo.
Nel suo quarto viaggio Colombo si rese conto che la massa di terra del sud era unita a un'altra massa di terra nel nord per mezzo di una striscia di terra nel centro, e che non esisteva un passaggio per poterla superare, sempre convinto che si trattasse del Chersonneso Aureo (Malacca) di Marco Polo.
Vespucci vide chiaramente che le terre del sud facevano parte d'un continente australe nuovo e che doveva cercarsi un passaggio da quelle parti.
Nel 1497, come s'è già detto, il veneziano Giovanni Caboto (che gli inglesi chiamano John Cabot), scoprì Terranova ed esplorò le coste dell'America del nord; suo figlio Sebastiano, nel 1498, penetrò nella baia di Chesapeake.
Nel 1509 lo spagnolo Vasco Núñez de Balboa attraversò la selva dell'istmo di Darién e giunse sulle soglie d'un'altro mare, che chiamò Mare del Sud e che posteriormente fu denominato Oceano Pacifico.
Nel 1519 Hernán Cortés partiva per la conquista del Messico. Magellano circumnavigò l'estremo sud dell'America passando dall'Atlantico al Pacifico. Le terre del nord erano ancora avvolte nel mistero.
Nel 1524 il fiorentino Giovanni da Verrazzano giunse nelle Caroline e nella Nuova Scozia; dieci anni più tardi il francese Jacques Cartier entrava nel San Lorenzo, in Canada.
Gli olandesi Le Maire e Schouten, nel 1616, arrivarono allo stretto di Hornos.
Ma ancora nel 1515 si pensava che l'America del nord e del centro fossero un prolungamento dell'Asia, della Cina del sud (il Mangi di Marco Polo). Finalmente nel 1540 queste terre apparvero come un altro continente, separato dalla Cina, da uno 'stretto' braccio di mare, ma, nel 1728, il danese Bering, al servizio della Russia, scoprì lo stretto che ha il suo nome, esplorando l'Alaska e la costa occidentale del Canada.
Si delineava sempre più chiaramente tutto il continente americano, spalancato all'esplorazione e alla conquista.
I Re Cattolici, dopo l'entusiasmo iniziale e la delusione che ne seguì, che causò la loro indifferenza e disinteresse, tornarono a interessarsene quando cominciarono ad arrivare prove tangibili della ricchezza delle nuove terre; allora presero in mano le redini di tutte le iniziative e le relazioni commerciali. In un primo momento per mezzo della Casa di Contrattazione, fondata a Siviglia, poi, durante l'impero di Carlo V, questa Casa passò di proprietà diretta della Corona, e i guadagni si distribuirono tra i numerosi creditori, in particolare i banchieri tedeschi e italiani, come i Fugger, Welser, Grimaldi, Fornario, Ballaci, Martini ed altri.
Carlo V, indebitato fino al collo, si dichiarò in bancarotta, e posteriormente anche suo figlio, Filippo II, per ben due volte, e la loro insolvenza mandò in rovina vari banchieri importanti (2).
Sebbene si proibì l'entrata alle colonie americane e commerciare con esse (3) ai mori, ebrei, zingari, conversi e stranieri in generale, includendo gli spagnoli che non potevano dimostrare la loro 'purezza di sangue' dai loro quattro nonni in giù (4). Anche i catalani, valenziani, aragonesi e baleari erano considerati stranieri e in un principio solamente un 0.8% di loro riuscirono a filtrarsi tra le maglie della legge. Però tutte le leggi s'emendavano continuamente, la maggior parte delle volte per le proteste dei poderosi perché danneggiavano i loro interessi, conseguentemente si facevano numerose eccezioni e si emettevano permessi speciali; per esempio ai tedeschi si permise la partecipazione al commercio ed anche alla conquista, soprattutto ai Fugger e ai Welser (6).
Ad un certo momento francesi, inglesi, genovesi, fiamminghi e tedeschi cominciarono a controllare tutto il commercio e le miniere americane a causa della quantità di danaro che avevano prestato alla Corona.
Così mentre gli stranieri e la nobiltà castigliana s'arricchivano (7), la Spagna s'impoveriva terribilmente, incluso a causa dello spopolamento causato dall'emigrazione verso le Americhe. Indebitata e impoverita la Spagna vide diminuire a poco a poco la sua popolazione dagli 11 milioni, che aveva nel 1500, ai 5 milioni 700 mila nel 1700.
I conquistatori, in maggioranza spagnoli e portoghesi, ma anche inglesi, francesi, olandesi, tedeschi, italiani, fiamminghi ed altri, giungevano in America per arricchirsi e vivere poi senza più servire per il resto della loro vita (8).
L'oro, benedizione e maledizione degli uomini, fu la causa principale della scoperta, della rapidità della conquista e della maggioranza dei massacri e rapine, ma, allo stesso tempo, rese possibile la cristianizzazione di popolazioni intere e aprì il cammino al progresso tecnico-scientifico.
Il miraggio dell'oro fece sì che la Corona autorizzasse tale impresa, e che i ricchi la finanziassero. La febbre dell'oro spinse una massa di gente armata a conquistare e colonizzare. La conquista fu eccezionalmente rapida dal 1520 al 1550, e s'è anche scritto che rappresentò una vera crociata, mossa dal bottino militare e dalla fede religiosa.
La maggior parte dei conquistatori era rappresentata dai peggiori elementi che l'Europa aveva in quell'epoca.
I testimoni della conquista, da Bartolomé de las Casas a Pietro Martire, sono più che eloquenti: "è notorio che la maggioranza della gente spagnola che è qui è di bassa condizione, piena di diversi vizi e peccati".
"Si rovinarono o distrussero essi stessi con le loro discordie e le loro pazzie, senza poter mai raggiungere quella grandezza che ci si aspettava da uomini che avevano realizzato imprese così meravigliose".
è una storia di sangue, di sofferenze, di rapine in una lotta per la sopravvivenza. Lotta di tutti contro tutti.
Filippo d'Hutten, tedesco, narrò: "Solo Dio e noialtri sappiamo la miseria, le privazioni, la fame, la sete y gli sforzi che noi poveri cristiani abbiamo sofferto in questi tre anni. Causa orrore pensare ciò che abbiamo mangiato: serpenti, vipere, rospi, lucertole, vermi, erbe, radici e qualcuno anche il cuoio reso tenero con l'acqua e cotto, e perfino carne umana".
Si uccidevano tra conquistatori e indios, e anche conquistatori coi conquistatori e indios con indios. Le circostanze lo permettevano e lo rendevano necessario, ma ci furono anche atti d'eroismo, d'abnegazione, di misericordia e di bontà, da una parte e dall'altra.
In generale gli spagnoli nelle loro conquiste si comportarono in modo migliore degli altri e, in questo caso specifico, va alla Spagna il merito di aver governato apportando anche dei benefici agli indios, come nessun'altra nazione, senza contare l'attuazione meritevole ed eccezionale della maggioranza degli umili frati. La loro opera fu ancora più eroica ed ammirevole dato che era contraria alla mentalità dell'epoca e agli interessi creati dai poderosi, che avevano dalla loro la legge e la forza.
Quando gli arabi conquistarono la Spagna la massa del popolo spagnolo cadde nell'indifferenza e nell'apatia; perdette la forza di protestare, di far valere i suoi diritti, il loro mondo stava scomparendo e ne arrivava un altro strano, spesso incomprensibile. Nelle manifestazioni religiose cominciò ad apparire il sincretismo e numerosi casi di apostasia, per convenienza o per convinzione, ed anche incluso per indifferenza.
Gli arabi erano giunti quasi senza donne, e spesso ne avevano bisogno di molte per i loro harem, quindi ebbero relazioni con donne spagnole, formarono famiglie, si strinsero legami di parentela tra dominatori e dominati.
Questa storia si ripeté in America, tra spagnoli ed indios, questi, per la loro natura docile e impotenza, si rassegnarono, diventarono malinconici, apatici e a volte si sfogavano in feste e ubriacamenti.
Salvo eccezioni, come quelle delle piccole élites europeizzanti delle nuove nazioni americane, gli indios conservarono le loro idiosincrasie, molte loro usanze, i loro alimenti, e qualche rito religioso, anche se sincretizzandolo. Molti sono gli studiosi occidentali che affermano che tutta questa antica cultura india servì di base per la nascita di altre culture, più orientali che occidentali nella loro essenza e manifestazioni.
Particolarmente le donne vi contribuirono in maniera determinante, quantunque incoscientemente, data la facilità degli spagnoli di aver relazioni sessuali con loro, e queste con quelli, che preferivano sempre l'uomo bianco conquistatore (e in molti casi anche i negri, che giudicavano più forti e più allegri), infatti l'avere un figlio meticcio era considerato un privilegio nelle famiglie indie. Inoltre la poligamia di determinate tribù americane e il ricordo degli harem arabi in Spagna consentì agli spagnoli e ai portoghesi ad adattarsi con piacere alle nuove usanze tentatrici, e i meticci, delle numerose concubine, si moltiplicarono rapidamente, dominando presto come elemento di maggioranza (9).
Gli indios, allo scopo di contentare e calmare gli spagnoli, inventarono leggende, che si sommarono o mischiarono con delle altre antiche portate dall'Europa dai conquistatori, alcune con lo scopo di far credere che si erano trovati favolosi giacimenti d'oro e giustificare le spese e i sacrifici che tutto ciò comportava, ed anche per infondere coraggio, far nascere il desiderio di nuove conquiste, ravvivare speranze.
Chissà mai le menzogne e le illusioni ebbero tanta forza motrice come in questi casi. I conquistatori attraversavano selve e fiumi, solcavano mari e acquitrini, scalavano montagne, attraversavano pianure infinite, lasciando dietro di sé una scia di morti, ma i superstiti continuavano ad andare avanti, cercando l'oro maledetto, più in là, sempre più in là..., con una decisione e una forza di volontà sbalorditive (10).
Ci furono casi in cui gli indios, catturando qualche spagnolo, gli facevano ingoiare oro fuso, affinché se ne saziasse, dato che lo desiderava così tanto.
Uno dei primi testimoni indigeni è quello dei messaggeri inviati a Veracruz da Moctezuma a Cortés. Essi ossequiarono degli oggetti d'oro e vedendo le facce avide degli spagnoli presenti, riferirono posteriormente che: "Come maiali affamati bramavano l'oro".
Però l'oro era più avaro di loro, credevano di trovarne molto, ne trovarono poco e a prezzo d'enormi sacrifici.
Michele da Cuneo scrisse: "29 giorni trascorsi in balia d'un pessimo tempo, mangiando male e ancor peggio bere, ma per l'avidità eravamo forti e pieni di speranza, ma non trovammo mai neppure un grammo d'oro".
Finalmente l'oro apparve, molto al principio dato che era quello che gli indios avevano riunito nel trascorso dei secoli: in un principio ne potettero inviare in Spagna 1.300 chili annuali, e mezzo milione annuale d'argento, però dal 1503 al 1530 l'oro diminuì fino a 700 o 800 chili annuali (11).
In conclusione l'oro americano non fu molto, mentre fu molto più importante per gli europei ciò che in un principio non interessò loro, come l'agricoltura, le miniere d'altri metalli, il legno, il tabacco, il petrolio.
Come disse il ministro francese Giovanni Battista Colbert: "Le colonie devono essere le mucche della loro madre patria, affinché si mungano e si porti via tutto ciò che hanno".
La patata, la tapioca, il cacao, il granturco, il tacchino, il chinino, i fichi d'India, l'ananasso, l'avogado, la papaia, la coca, la cocciniglia, vari tipi di fagioli, la guaiaba, la zucca, vari tipi di peperoncini, il caucciù, l'agave tessile, i cactus, le noccioline americane, il tabacco, il pomodoro furono i principali prodotti della flora e della fauna americane che si cominciarono a conoscere in Europa, alcuni dei quali riuscirono a cambiare le abitudini dei suoi abitanti. Soprattutto la patata si convertì nel cibo più economico dei poveri in varie nazioni del nord d'Europa. Il granturco non ebbe molta fortuna, con eccezione della Romania, poco usato come alimento per le persone fu generalmente utilizzato come mangime per gli animali d'ingrasso.
"Il cacao tostato non ha un cattivo sapore- scrisse Pietro Martire -ci si può fare una bevanda che chiamano cioccolato, che lo bevono ghiottamente da quelle parti da dove viene, però che qui fa schifo a qualcuno".
Nel 1700 la cioccolata diffusa dai gesuiti raggiunse la sua meritevole fama e conquistò i delicati palati europei che la elogiarono grandemente (12).
Il pomodoro fu usato in Europa come pianta ornamentale per più d'un secolo, i primi che l'usarono per fini commestibili furono i siciliani, ad ogni modo servì come elemento principale per il sugo solo nel 1700 e apparve sulle famose pizze napoletane soltanto a fine del secolo XIX.
Il tabacco rivoluzionò di più, disgraziatamente, la vita e le abitudini europee e mondiali.
De las Casas lo definì come un vizio odioso; Giacomo Benzoni come: "Popolare veleno pestilenziale e nocivo"; John Barclay: "Spaventosa pianta perniciosa, il cui vapore pestilenziale esala morte".
Lo zar di Russia, il sultano di Turchia e lo scià di Persia decretarono la pena di morte per i fumatori, però presto si ricredettero, troppi erano i danari che entravano nelle casse dello Stato a causa di questo vizio.
In cambio dall'Europa giunsero successivamente in America capre, cani, gatti, pollame, caffè, bachi da seta, piccioni, conigli, lana, lino, olivi, fragole, pesche, fichi, meloni, cocomeri, limoni, ciliege, castagne, pere, noci, mandorle, avellane, lattuga, cavolfiori, raperosse, bietole, carote, agli, cipolle, lenticchie, piselli, carciofi, fave, avena, orzo, ecc.
Nel bene e nel male era cominciata una nuova era in America, ed anche nel resto del mondo.
Tommaso Campanella scrisse con acume: "Il nostro secolo ha più storia in cent'anni che il mondo intero nei quattromila anni passati".
NOTE
prof. Giancarlo von Nacher Malvaioli
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