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IL PORTOGALLO: OLANDA IBERICA
Enrico il Navigatore, ritratto da Nuño Gonçalves
Agli inizi del 1400 esistevano nella penisola iberica cinque Stati: Castiglia, Aragona, Navarra, Granada (che poi formeranno l’odierna Spagna) e il Portogallo. L’inizio dell’autonomia politica del Portogallo è legato alla vittoria sugli arabi riportata nel 1139. Prima di allora il Portogallo era stato una contea dipendente dal regno di Leòn-Castiglia (e per un certo periodo di tempo dipendente anche dalla Borgogna francese). Dopo quella vittoria il conte Alfonso Enriquez venne proclamato re del Portogallo, anche se, per conservare il titolo, osteggiato dalla Castiglia, il re dovette dichiararsi, almeno formalmente, «vassallo» del papato, pagando annualmente una determinata somma di denaro. Era l’anno 1179. Da allora e per circa tre secoli i re portoghesi (memori, in questo, dell’antico costume visigoto) lottarono contro le pretese dei papi, e solo all’inizio del XV sec. riuscirono a sottomettere il clero nazionale alla corona.
Alcuni storici si sono chiesti il motivo per cui la Castiglia non riuscì ad assoggettare il Portogallo. Sono state date diverse spiegazioni e forse le più convincenti sono le seguenti: a) quando il Portogallo proclamò l’indipendenza nazionale, i vari regni spagnoli erano impegnati in dure lotte dinastiche e nella guerra contro i mori; b) il Portogallo era sotto uno speciale protettorato della Chiesa di Roma; c) la Spagna possedeva le terre migliori, non era priva di porti sull’Atlantico e considerava prioritari i suoi interessi con l’Italia e l’Africa. Oltre a ciò va considerato che la Castiglia appariva al Portogallo più arretrata economicamente, perché sostanzialmente estranea ai commerci, almeno sino ai secoli XIV e XV. Si può anzi dire, in questo senso, che l’unione della Castiglia con l’Aragona, dalla quale nacque la Spagna, fu facilitata dal fatto che fallirono tutti i tentativi di unificare Portogallo e Castiglia.
Il Portogallo, in un modo o nell’altro, con tempi più o meno lunghi, ha sempre avuto la forza di opporsi ai tentativi egemonici della Castiglia prima e della Spagna dopo. E questo nonostante che le molte analogie tra i due Paesi avrebbero potuto rendere relativamente facile la conquista del «piccolo» Portogallo da parte della «grande» Spagna. Ci si riferisce cioè al fatto che le differenze culturali non sono mai state molto forti: entrambi possedevano valori cattolici comuni; le istituzioni e le forme sociali erano nate da più di un millennio di esperienza comune (le più importanti erano state quelle sotto la monarchia visigota); i nobili spagnoli e portoghesi viaggiavano liberamente da una corte all’altra; i rispettivi sovrani si univano in matrimonio e possedevano feudi nei territori reciproci; marinai spagnoli e portoghesi navigavano sulle stesse navi; le leggi spagnole erano alla base dell’istruzione dei magistrati «lusitani» («Lusitania» è l’antico nome del Portogallo).
Le differenze tra i due Paesi non erano sostanziali ma formali, in quanto nel rapporto tra «ideali religiosi» e «interessi commerciali», cioè tra necessità della tradizione ed esigenze della modernità, il Portogallo, favorito in questo anche dalla sua posizione geografica, cercherà di realizzare un maggiore compromesso. Al pari della Spagna, non permetterà mai alla borghesia di costituirsi come classe autonoma, ovvero che il capitalismo da commerciale si trasformasse in industriale, ma quando a tutta la penisola iberica subentreranno, nel dominio mondiale dei commerci, Inghilterra, Olanda e Francia, il Portogallo reagirà in maniera meno scomposta, meno convulsa della Spagna, la quale invece si lancerà nell’avventura dell’Inquisizione e della Controriforma. Il Portogallo subirà un’involuzione neo-feudale sostanzialmente perché vi sarà costretto dalle pressioni politico-militari della Spagna.
Diversamente da quella portoghese, la stessa espansione coloniale spagnola fu, sin dall’inizio, un modo «feudale» d’impedire alla borghesia nazionale di diventare politicamente forte (economicamente lo era già). L’altro modo, precedente al colonialismo, fu l’espulsione dal Paese di mori ed ebrei o la loro conversione forzata al cattolicesimo.
L’antisemitismo portoghese è posteriore a quello spagnolo. Le numerose comunità ebraiche che vivevano nelle principali città, avevano posizioni solidissime nel commercio, nelle attività bancarie e finanziarie, nell’amministrazione pubblica. Mentre in Spagna gli ebrei cercavano di fuggire dalle persecuzioni e i viaggi oltreoceano poterono essere finanziati anche con i beni loro confiscati, in Portogallo invece le prime spedizioni commerciali ebbero il pieno appoggio degli ebrei. Solo quando il re portoghese Manuel I sposò la figlia di Isabella di Castiglia e dopo che la corona spagnola aveva cacciato gli ebrei dal Paese, furono promulgati, negli anni 1496-97, i decreti di espulsione o di forzata conversione al cattolicesimo, mentre l’inquisizione verrà introdotta nel 1547 (in Spagna già nel 1480).
La «Riconquista» lusitana
In Portogallo la cosiddetta «Riconquista», cioè la cristianizzazione dell’intero Paese, si concluse prima che in Spagna, verso la metà del XIII sec., e in maniera meno traumatica: i vincitori, infatti, concessero a mori ed ebrei di conservare la loro fede e le loro proprietà, purché riconoscessero la sovranità dei re cristiani e pagassero dei tributi supplementari. Naturalmente i più fedeli alla propria religione abbandonarono il Paese, ma molti accettarono le condizioni, continuando a svolgere importanti funzioni economiche: i mori nell’artigianato e nell’agricoltura, gli ebrei nel commercio e nella finanza.
La «Riconquista» fu comunque un danno per lo sviluppo dei rapporti borghesi: essa creò una società in funzione della guerra e un sistema di valori dove l’intraprendenza economica godeva di scarsa reputazione. Fonte primaria del prestigio sociale era sempre il possesso di terre e di persone: commercio, artigianato, attività bancarie e finanziarie si preferiva lasciarle in mano agli ebrei e agli stranieri. Per queste ragioni non pochi borghesi benestanti investivano i profitti delle loro attività nell’acquisto di proprietà che garantivano redditi, e aspiravano allo status di «cavaliere» (cioè di funzionario statale). I rapporti borghesi più sviluppati erano quelli lungo la costa atlantica.
In ogni caso alla fine del XIII sec. l’economia portoghese presentava un bilancio migliore di quella spagnola. Vi era maggiore equilibrio tra agricoltura e allevamento, anche se la corona non riuscì mai a smembrare i possessi di nobiltà e clero (che erano peraltro esenti da tasse) a vantaggio dei piccoli proprietari. La ricchezza economica del Portogallo dipendeva molto dal commercio delle città sulla fascia costiera: esse ricevevano da re e feudatari ogni sorta di privilegi. Lisbona, già allora, era uno dei maggiori porti europei: insieme a Oporto e a Venezia, essa garantiva gli scambi commerciali fra Nordeuropa e Mediterraneo. Le abilità finanziarie degli italiani, che avevano costituito sul litorale numerose colonie commerciali, indussero i sovrani a garantire loro immunità fiscali e giurisdizionali.
La nobiltà cittadina e la corona s’impegnavano spesso in vantaggiose attività economiche (in particolare nel commercio con le Fiandre), dimostrando così di non vivere solo delle proprie rendite e di non avere pregiudizi contro il profitto economico. In ciò utilizzavano gran parte del denaro ebraico e dell’Italia settentrionale. Molta di questa nobiltà diventò «capitana di velieri», quando il Portogallo cominciò a espandersi oltreoceano (vedi ad es. il figlio del re Giovanni I, Enrico, detto il Navigatore, che aprì a Sagres un osservatorio astronomico e un’accademia navale, avvalendosi dell’assistenza di geografi, astronomi, matematici, cartografi e di esperti navigatori genovesi e catalani, per dare adeguata preparazione tecnica alle spedizioni marinare da lui promosse). Viceversa, i numerosi piccoli nobili portoghesi che consideravano intollerabile per il proprio onore un’occupazione diversa da quella militare, si trovarono praticamente «disoccupati» dopo l’avvenuta «Riconquista», per cui, una volta decisa l’espansione, passarono direttamente all’attacco degli arabi e dei berberi sulle coste africane. Questo, peraltro, era anche un modo per saldare i molti debiti che avevano contratto presso gli usurai delle città.
Già si è detto che nella loro espansione coloniale, gli elementi borghesi lusitani si univano «pacificamente» alle forze dinastiche e feudali: questo naturalmente favorì la coesione interna. La borghesia era debole ma protetta dalla corona, che se ne serviva anche per tenere a freno la nobiltà. La collaborazione tra mercanti e nobiltà era stata molto forte nel sec. XIII, allorché si aveva l’ambizione di impadronirsi delle proprietà arabe in Africa, insediando scali commerciali sulle coste di Tunisia, Algeria e Marocco: regioni, queste, ove era possibile trovare anche l’oro, divenuto particolarmente scarso in Europa.
Tuttavia, ogniqualvolta la borghesia dava l’impressione di volersi rendere autonoma, la nobiltà ne frenava gli entusiasmi. Infatti, durante la lotta contro la corona di Castiglia, i nobili lusitani avevano sostenuto il pretendente castigliano alla corona del Portogallo, mentre i ceti medi si erano schierati con Giovanni, che fu poi eletto nel 1385. La nobiltà perse credito nel XIV sec., e la monarchia, appoggiata dalla borghesia, consolidò il vantaggio ottenuto concludendo con l’Inghilterra un trattato commerciale e di assistenza militare. Sarà anche questo trattato che indurrà la Castiglia a rinunciare a ogni pretesa sul Portogallo. I mercanti di Lisbona videro confermato il loro statuto di «privilegiati», in grado di garantire loro la protezione dalla concorrenza dei gruppi mercantili stranieri. Fu appunto dopo la «rivoluzione» del 1385 che il Portogallo riprenderà le spedizioni navali lungo le coste africane. Questa espansione servirà anche a risolvere, seppure temporaneamente, i conflitti sociali interni tra borghesia e aristocrazia.
Nascita e sviluppo del colonialismo
Inizialmente il Portogallo pensò di colonizzare l’Africa per paralizzare il commercio carovaniero musulmano che attraverso l’Africa settentrionale e il Sahara portava oro, schiavi e avorio dai grandi mercati del Sudan, di Timbuktu e del Senegal, ai porti del Mediterraneo occidentale. Ma dopo che i turchi occuparono Costantinopoli, i mercanti lusitani pensarono fosse indispensabile raggiungere direttamente le fonti orientali ed estremorientali della ricchezza musulmana, circumnavigando la costa occidentale dell’Africa e aggirando lo sbarramento islamico dal Nordafrica fino al Levante.
La prima tappa del colonialismo portoghese fu la conquista di Ceuta, nel 1415, che era una fortezza di pirati arabi posta sullo stretto di Gibilterra, in Marocco. Nel 1432 s’impadronirono delle isole Azzorre, nel ‘34 doppiarono il capo Bojador, a sud del quale si riteneva che la vita fosse impossibile. L’uso della caravella s’impose proprio per verificare direttamente se ciò era vero: occorreva, a tale scopo, uno strumento che permettesse di allontanarsi di molto dalle coste. Nel 1441 una spedizione fece ritorno col primo carico di schiavi neri di cui si sia a conoscenza. Intorno al 1450 la loro importazione in Portogallo toccò le 700-800 unità all’anno. Molti di questi schiavi finivano col lavorare nelle piantagioni della canna da zucchero presenti nelle colonie. Nel 1442 i portoghesi importarono dalla Guinea il primo quantitativo di oro (nei 20 anni seguenti essi divennero i maggiori fornitori d’Europa). Oltre all’oro giungevano in Europa dalle loro colonie: pepe di Cayenna, cotone, avorio, olio di balena, pesce da salare, legno pregiato e molti prodotti esotici. Nel 1443 la corona cominciò a regolamentare questo commercio.
Sul piano etico-giuridico, la conquista di tutte le coste africane libere dalla presenza islamica, determinò un problema: quale giustificazione dare all’occupazione di territori dove vivevano popolazioni pagane che non avevano mai conosciuto Cristo? Si poteva parlare di «guerra giusta» come nel caso dei mori? Dopo ampio dibattito teologico, si arrivò alla seguente conclusione, avvallata dall’autorità pontificia: Cristo ha la signoria materiale e spirituale su tutti i popoli; questo potere lo ha trasmesso ai pontefici, i quali, a loro volta, lo possono delegare a sovrani cristiani, che lo esercitano sulle terre degli «infedeli». Tali sovrani hanno la responsabilità di convertire i pagani: se questi rifiutano, può essere condotta contro di loro una «guerra giusta», con tanto di riduzione in schiavitù della popolazione e di confisca delle sue proprietà.
La collaborazione coi capi berbero-arabi (da tempo razziatori) e la collusione di capi-tribù indigeni si rivelarono subito proficui nella caccia all’uomo nelle zone dell’interno. In cambio di cavalli e generi di lusso, i sovrani dei grandi regni africani (Mali, Benin, ecc.) misero i portoghesi in condizioni di spezzare il controllo arabo sulle rotte di terraferma e costiera del traffico degli schiavi. Naturalmente i meccanismi della schiavizzazione portoghese erano molto diversi da quella africana pre-europea: in quest’ultima lo schiavo poteva sposarsi, possedere beni, prestare giuramento, essere un testimone valido, diventare persino erede del suo padrone... In quella europea tutto era strettamente finalizzato all’accumulo di capitali.
Il Portogallo - a differenza della Spagna - evitò sempre d’avanzare nel retroterra dei paesi conquistati. Nel 1415 aveva tentato di invadere il Marocco, sotto il pretesto di una crociata antislamica, ma fu un fallimento quasi totale (ci riproverà, ma inutilmente, nel 1578). Le forze colonialiste portoghesi capirono ben presto che per loro era meglio controllare lo smercio dei prodotti piuttosto che la produzione vera e propria. Questo non solo perché disponevano di pochissime forze numeriche (la popolazione nazionale nel 1450 non superava le 800.000 unità: un secolo dopo era sui 1,5 milioni: il numero delle navi che ogni anno il Portogallo inviava nelle colonie non era superiore a 20 e quello degli uomini non superava i 1500); ma anche perché le civiltà con cui vennero a contatto non erano di livello culturale e tecnologico inferiore a quelle europee. India, Indocina e Cina erano allo stadio del feudalesimo avanzato e, sul piano militare, erano certamente più agguerriti degli indigeni incontrati dagli spagnoli. Da notare che, proprio per questa incapacità di organizzare politicamente l’entroterra, il colonialismo portoghese risulterà meno odioso di quello spagnolo, anche se, inevitabilmente, lasciò tracce meno profonde.
Nel 1483 Colombo presentò a Lisbona il progetto di periplo terrestre in direzione d’occidente: in tal modo cercava di rispondere all’idea di raggiungere l’India per mare, strappando ai musulmani il monopolio del commercio coll’Oriente. Il progetto, come noto, venne respinto: i portoghesi preferirono proseguire nei loro tentativi, giudicati più sicuri, di circumnavigazione africana. Infatti, quando nel 1487 Bartolomeo Diaz raggiunse l’estremo lembo meridionale dell’Africa, da lui battezzato Capo tempestoso e più tardi detto di Buona Speranza, la possibilità di raggiungere le coste dell’India era diventata reale: Diaz però fu costretto a ritornare a Lisbona, perché l’equipaggio era allo stremo delle forze. Sarà la spedizione di Vasco de Gama, nel 1498, a gettare l’ancora nella città di Calcutta, riportando in patria, dopo due anni di viaggio e con un equipaggio dimezzato, il primo carico di spezie.
Profitto e religione
In un primo momento i portoghesi tentarono d’inserirsi pacificamente nei circuiti commerciali asiatici. Ma ben presto, anche per non lasciarsi precedere dai rivali spagnoli, decisero d’intraprendere una vasta azione militare (pirateria, saccheggi e distruzioni di città costiere) per controllare tutto il commercio asiatico, via mare, sino all’Estremo Oriente. Che il primo obiettivo dei portoghesi fosse quello economico e non quello religioso, è documentato anche dal fatto che la diffusione della fede cristiana (scopo principale, teoricamente, delle imprese d’oltremare) fu centrata dapprima sull’Asia e solo nel XVII anche sull’Africa. Le terre e le città conquistate in India furono il punto di partenza per la loro ulteriore espansione in Asia. Venezia fece di tutto per impedire che il Portogallo modificasse lo status quo. Questo non deve apparire strano. È vero infatti che su tutti i trasporti gravavano le tasse e i dazi doganali dei turchi ottomani e dei mamelucchi d’Egitto, ma è anche vero che l’importazione dei prodotti orientali in Europa costituiva la fonte principale delle ricchezze di Venezia. Nel 1509, sfruttando il vantaggio della superiorità navale, la flotta portoghese inflisse una pesantissima sconfitta alla coalizione di navi arabe ed egiziane, determinando la fine del monopolio arabo, dando inizio alla decadenza di Venezia e trasformando il Mediterraneo in un «mare interno», tagliato fuori dalle nuove, grandi vie commerciali. Lisbona era praticamente diventata la capitale mondiale del commercio delle spezie e degli schiavi.
Già nel 1454 i portoghesi avevano ottenuto da papa Nicola V il diritto alle spedizioni militari contro i musulmani e al monopolio commerciale sulle coste africane del Mediterraneo. In seguito, con la bolla Aeterni Regio Clementia, ottennero dal papato il riconoscimento del possesso di tutti territori africani conquistati. La dottrina nata per santificare la conquista della Terrasanta aveva esteso la sua applicazione sino a giustificare la conquista di regni e popolazioni che mai avevano minacciato il Portogallo, sconosciuti anzi a tutta l’Europa. Nel 1493, con un’altra bolla, Inter Caetera, il papato fu costretto a rispondere alla seguente domanda: per «costa dell’Africa», a sud delle Canarie, doveva intendersi tutto l’Oceano Atlantico? Naturalmente i portoghesi pensavano di sì e se fosse passata la loro opinione, la Spagna avrebbe dovuto loro restituire l’America.
Gli spagnoli invece ritenevano appartenesse alla Castiglia ciò che si trovava a ovest e a nord delle Canarie. Papa Alessandro VI, che aveva già riconosciuto i diritti di conquista alla Spagna sulle «Indie occidentali», stabilì, per evitare conflitti tra le due potenze cattoliche, che i territori a oriente di un linea ideale (100 leghe = circa 600 km, a ovest delle isole di Capo Verde) restassero sotto l’influenza portoghese, mentre quelli a occidente dovevano restare sotto l’influenza spagnola. Ogni altro Stato veniva escluso, a priori, da qualunque conquista coloniale. L’anno seguente però il trattato di Tordesillas, firmato dai sovrani portoghese e spagnolo, spostava la linea di demarcazione a 370 leghe = oltre 2000 km, a ovest delle suddette isole, sicché la zona d’influenza del Portogallo arrivava a includere persino il Brasile. L’ultimo trattato bilaterale sarà quello di Saragozza nel 1529, determinato dal fatto che con la prima circumnavigazione americana di Magellano e la conquista spagnola delle isole Filippine, si riproponeva il problema di una diversa spartizione delle sfere d’influenza nel Pacifico. La Spagna tuttavia, nonostante quest’ultimo trattato, si rifiuterà di restituire le Filippine al Portogallo.
Tipologia del colonialismo lusitano
I portoghesi arrivarono in Cina nel 1513 e in Giappone nel 1541. Quando nel 1521 gli spagnoli, circumnavigata l’America meridionale, giunsero nell’odierno arcipelago malese, lo trovarono già in mano dei portoghesi. Sintetizzando tutta l’attività coloniale dei portoghesi, si può dire ch’essi, nel primo ventennio del XVI sec., istituirono una serie di basi militari-navali lungo le coste occidentali e orientali dell’Africa (imitando, in questo, la strategia delle città cristiane del Mediterraneo nei riguardi dell’Islam afro-asiatico, ai tempi delle crociate); poi occuparono alcune isole presso Ormuz, per impedire che le vie del Mar Rosso e del Golfo Persico potessero essere utilizzate dai turchi o dagli egiziani (le spezie andavano convogliate esclusivamente sulla rotta del Capo di Buona Speranza); infine bloccarono tutti i passaggi obbligati del commercio asiatico: Birmania, Malacca, Macao, Taiwan, isole Molucche, Goa e Bombay, ecc. Praticamente l’espansione seguì, oltre alle direttive della corona, anche le vie battute dall’Islam, che da secoli conosceva l’Oceano Indiano. I piccoli signori feudali dell’Asia erano costretti a concedere gratuitamente o come tributo o a prezzi fissi gran parte dei raccolti di spezie pregiate.
Il Portogallo, come del resto la Spagna, considerava di suo dominio anche le acque territoriali di tutte le zone scoperte, per cui ogni nave che entrava in queste acque, senza il relativo permesso, veniva confiscata e il suo equipaggio era condannato a morte o ridotto in schiavitù. A queste condizioni qualunque concorrente del Portogallo appariva un alleato desiderabile. Anche per questa ragione i commercianti lusitani, in cambio di oro, argento, rame e spezie, ad un certo punto saranno disposti ad offrire armi da fuoco, tessuti di lana, velluti, tabacco, orologi, vetro, lenti per gli occhiali, ecc.
Dunque, a partire dagli inizi del XVI sec. sino all’apertura del canale di Suez (1869), la via marittima aperta dai portoghesi rappresenterà la strada principale del traffico commerciale tra Europa e Asia. Tuttavia, il blocco totale del Mar Rosso, pur tentato a più riprese, non riuscirà mai completamente: gli stessi buoni rapporti con la Persia implicavano che i mercantili mori continuassero a giungere quasi regolarmente nel Golfo Persico. Si può stimare che il monopolio lusitano del commercio delle spezie s’aggirasse sul 60-70% (il pepe costituiva i 2/3 di tutte le spezie).1
Per valutare bene lo sforzo lusitano di espansione commerciale si deve tener conto anche di un altro fattore: le grandi distanze che separavano la metropoli dalle colonie, che erano causa di naufragi (almeno il 10-15%) e di notevoli perdite umane (almeno il 15-25% su un viaggio di due anni). Non dobbiamo infatti dimenticare che se dalla Spagna a Cuba (e viceversa) bastavano meno di 5 mesi, da Lisbona a Goa (in India) occorrevano, per andata e ritorno, almeno 18 mesi, e da Goa al Giappone (andata e ritorno) almeno tre anni, senza considerare che la via del Capo dipendeva dai venti stagionali: alisei sull’Atlantico e monsoni nell’Oceano Indiano. Anche per questo motivo le spezie che passavano dal Capo di Buona Speranza erano di qualità inferiore rispetto a quelle del Mar Rosso. Le enormi distanze che dividevano la metropoli dalle colonie indurranno, col tempo, il Portogallo (ma anche altri Paesi europei) ad abbandonare, in gran parte, i vascelli di un centinaio di tonnellate, per impiegare sempre di più quelli sulle mille: ciò permetteva un risparmio relativo di circa la metà dei costi, grazie alla riduzione del numero degli uomini e della quantità dei viveri. Inoltre s’imporrà il sistema dei «convogli».
La fortuna del Portogallo declinò molto presto per due fondamentali ragioni: a) Inghilterra, Olanda e Francia erano diventate delle nazioni militarmente forti, soprattutto sul piano navale, in grado di minacciare tutte le colonie del Portogallo, b) la Spagna assolutista degli Asburgo lo occupò nel 1580, portandolo in breve tempo al dissesto economico e finanziario, tanto che moltissime delle sue colonie (a causa della guerra tra Spagna e Olanda) gli vennero sottratte dagli olandesi. Non solo, ma nel 1654 la Spagna, in guerra anche con l’Inghilterra, sarà costretta a firmare un trattato in virtù del quale quest’ultima si assicurerà il controllo politico-economico dello stesso Portogallo. Tuttavia, nel 1640, approfittando della rivolta antigovernativa della Catalogna, nobiltà e borghesia portoghesi, appoggiati dall’arcivescovo di Lisbona, riuscirono a organizzare una congiura, occupando il palazzo reale di Lisbona. Ebbe così inizio la sollevazione nazional-popolare che, sostenuta da Francia e Inghilterra, costringerà la Spagna a riconoscere definitivamente l’indipendenza del Portogallo nel 1668. Ciò tuttavia non permetterà al Portogallo di risollevarsi economicamente.
L’unico vasto territorio che il Portogallo cercò di colonizzare non solo sulla costa ma anche all’interno fu il Brasile, occupato nel 1500. Allora il Brasile era povero di popolazione e di ricchezze sfruttabili (i giacimenti di oro e diamanti vennero scoperti solo verso la fine del XVIII sec.). Qui i portoghesi metteranno in piedi una serie di piantagioni (soprattutto dello zucchero) e un mercato di schiavi (gli indios brasiliani che non volevano lavorare vennero sostituiti con schiavi negri importati dall’Africa), adottando gli stessi metodi di sfruttamento esistenti nelle colonie spagnole. Con una differenza però: i profitti derivati dai beni di commercio più vantaggiosi finivano nelle casse dello Stato, poiché erano di monopolio reale. Lo Stato prelevava i diritti di dogana e delle contrattazioni commerciali e incamerava i diritti (5%) delle licenze reali. Per poter riscuotere con sicurezza i dazi sul commercio, la corona aveva designato Lisbona come unico porto per i viaggi in partenza e in arrivo.
I metodi amministrativi portoghesi furono meno efficaci di quelli spagnoli, poiché il governo di Lisbona era molto autocratico e non permetteva ai funzionari presenti nelle colonie di poter controllare quest’ultime autonomamente. Lo sfruttamento delle colonie portoghesi avveniva mediante un apparato statale burocratico di tipo feudale. Il potere dei funzionari era enorme, poiché erano responsabili solo di fronte al re. Le nomine restavano in vigore per un triennio ed erano molto ambite. Questa burocrazia, che ebbe meno problemi con la corona di quanti ne ebbero i conquistadores col governo spagnolo, svolgeva funzioni amministrative, giudiziarie e commerciali. Essa acquistava o raccoglieva come tributi le merci per la madrepatria. L’eccesso di quanto poteva essere caricato sulle navi, veniva distrutto. Ogni singola colonia era direttamente collegata con la metropoli: non esistevano legami tra colonie. Il commercio tra singoli porti delle colonie era un monopolio concesso come privilegio solo agli alti funzionari. Tutte le colonie vennero chiuse al commercio degli stranieri nel 1591.
Da ultimo si può far notare che il Portogallo non è mai stato in grado di smistare, da solo, tutte le merci che acquistava. Non disponendo di una vasta rete commerciale e avendo una scarsa popolazione, esso era costretto a servirsi d’intermediari (anche italiani), che naturalmente assorbivano una buona parte dei profitti. Gran parte delle spezie e del pepe finivano all’emporio reale di Anversa, dove vigeva la piena libertà commerciale e finanziaria. Qui la Borsa fu istituita nel 1531. Quando le fortune di questa città fiamminga cominciarono a declinare, salirono quelle di Genova, che per mezzo secolo saprà attirare l’oro e l’argento, mentre le spezie e lo zucchero convergeranno su Amsterdam. Saranno i portoghesi i primi a introdurre ufficialmente il sistema monetario basato sull’oro, rinunciando all’argento.
1) Da notare che il livello commerciale raggiunto dal Portogallo nel 1515 non sarà più superato in seguito.
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I testi di Nacher non sono inclusi nel libro, ma possono essere scaricati da questo pdf
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