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CORTÉS, DIO E DISTRUTTORE: IL GENOCIDIO DEGLI AZTECHI
possedevano
un impero che si estendeva dalla capitale Tenochtitlàn (con
300.000 abitanti) fino all'Atlantico. Era salito al trono nel
1502, quando l'impero viveva un periodo di decadenza a causa
di frequenti rivolte dei popoli subordinati, tenuti a freno
dalla sola forza militare[2].
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Così si legge ne "La conquista del
Messico"[6],
la cronaca di una vittoria annunciata scritta dallo stesso Cortés, che giunse a Tenochtitlàn l'8 novembre 1519, dopo un
viaggio durato sei
mesi. Arrivò in una città di circa 300.000 abitanti, più
grande di Londra o Parigi in quel tempo, con strade ampie e
pulite, canali percorsi incessantemente da canoe che la
rifornivano di tutti i beni dell'Impero. Proprio nel 1519,
secondo le credenze azteche, era predestinato il ritorno del
Dio Quetzalcoatl atteso ogni 52 anni, il famoso Serpente
Piumato, che, dal caos primitivo aveva creato gli uomini e la
Terra ( un disco con 9-13 cieli e mondi sotterranei), poi si
era consumato tra le fiamme, ma era destinato a tornare per
redimere gli uomini sotto forma di "nuvola bianca".
Il "popolo del Sole"
era rimasto sconcertato da questa serie di presagi e
prodigi che avevano preannunciato ciò che sarebbe accaduto:
quando nel Golfo del Messico comparvero navi "grandi come
montagne", che trasportavano "cervi enormi" (i cavalli) con in
groppa uomini armati di cui si scorgevano solo i volti,
l'impressione che il destino si stesse per compiere fu
notevole. Quetzalcoatl era venuto da Est: ad Est era tornato;
era bianco e barbuto. E l'Est era il luogo di origine degli
eroici antenati dei Maya. Gli Aztechi scorsero nei Castigliani
gli dei che tornavano. Nella fattispecie si trattò dell'arrivo
di Cortés che, inizialmente, fu accolto come un Dio: Moctezuma
gli offrì doni e vittime da sacrificare, rifiutate, queste
ultime, dallo sdegnato Cortés.
"Per il fatto
che voi dite di venire da quella parte del mondo dove si
leva il Sole, e per tutto quello che raccontate del potente re
che vi ha mandati, siamo convinti che egli sia il nostro
antico signore"
[7].
Cortés non perse tempo a far valere l'autorità di Carlo V,
imperatore di Germania e cristianissimo re di Spagna[8]:
esortò i sudditi a giurare fedeltà alla Spagna, fece abbattere
gli idoli, ponendo, al loro posto, nei templi, le immagini
della Vergine, non prima di aver fatto lavare il sangue dei
sacrifici. Mise al potere i suoi uomini e, il 22 maggio del
1520, data della Festa di Toxcal, Pedro De Alvarado, braccio
destro di Cortés, massacrò l'intera nobiltà messicana,
disarmata, riunita per celebrare il Dio Huitzilpochtli: 10.000
morti.
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Moctezuma venne preso in ostaggio nella
cittadellasacra. L'orgoglio azteco rifulse. Tenochtitlàn
insorse, liberando il suo re, che rimase ucciso negli scontri
(27 giugno 1520) e gli Spagnoli furono costretti a fuggire
dalla città, assediati da forze preponderanti. Durante la
ritirata, sulla grande massicciata che congiungeva
Tenochtitlàn con la terraferma, gli Spagnoli ed i loro alleati
indigeni di Tlaxcala furono assaliti e, in parte, massacrati
in un feroce corpo a corpo notturno nella notte senza
luna o Noche triste del 30 giugno del 1520. Presero
il potere il fratello del re, Cuittlahuac, ed il nipote,
Cuauhtemoc. Ormai la "triplice alleanza" era in pezzi. La
città di Texcoco passò dalla parte dei conquistatori. Con
l'aiuto degli alleati traditori, la capitale venne assediata,
riconquistata e distrutta, cadendo il 13 agosto del 1521, a
due anni dall'arrivo degli europei, con perdite umane che
ammontavano a 120.000 uomini.
In altre parole,
l'imperatore Moctezuma non era riuscito ad inserire
l'arrivo di Cortés nel suo universo mentale e, di conseguenza,
non era riuscito a comprenderlo. Ma, di fronte alla cupidigia
ed alla furia devastatrice degli Spagnoli, presto si
ricredette, ma a nulla servì. Gli storici aztechi riferiscono
del trauma profondo che investì la popolazione dopo una
conquista drammatica e tragica, come testimonia il "canto
triste" degli ultimi difensori della capitale Tenochtilan. Per
gli Aztechi la caduta della città non fu un semplice episodio
militare, ma la fine del "regno del Sole", nato per
sottomettere i popoli che, ai quattro punti cardinali,
circondavano il Messico, disfatta, comunque, subita con
rassegnazione, in quanto voluta dagli Dei.
Entrambi gli eserciti coprivano il loro busto con una tunica di pelle imbottita (escaupil) che
resisteva alla freccia scagliata dalla balestra castigliana. I
conquistatori, inoltre, impiegavano nei combattimenti i
cavalli ed i cani addestrati. I primi, sconosciuti nelle
Americhe, potevano essere utilizzati solo in campo aperto a
differenza dei cani utilizzabili soltanto sugli altipiani
scoscesi. Anche in questi casi la resistenza amerindiana seppe
trovare soluzioni adeguate. Per fermare la corsa dei cavalli
furono introdotte le baleadoras (fasce di cuoio cui
erano legate dei sassi) lanciate tra le zampe dei cavalli. Si
tenga anche presente la diversa tecnica di combattimento degli
Aztechi rispetto a quella dei popolacas (barboni venuti
dal mare).
La conquista
non si limitò al piano militare:
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Lasciando dietro di sé una popolazione stremata
dalla guerra e dimezzata dalle stragi e dalle malattie
portate dagli Europei, Cortés partì con le sue truppe alla
conquista di tutte le terre dominate un tempo dall'Impero
azteco, spingendosi fino in Honduras. Nel 1528 Cortés, ormai
ricco, ma poco stimato per il suo carattere indisciplinato e
per alcune presunte irregolarità amministrative, fu richiamato
in Spagna, dove gli venne tolta la carica di governatore. Dopo
pochi mesi ripartì per il Messico con il titolo di Marchese
della Valle di Oaxaca. Il nuovo Vicerè aveva poca simpatia per
lui, che preferì imbarcarsi con le sue truppe alla ricerca di
nuove terre e, nel 1535, raggiunse la California. Ma il Re lo
rivolle in Spagna per combattere in Algeria, una sfortunata
spedizione che vide l'esercito spagnolo sconfitto nel 1541.
Cortés decise, allora, di ritirarsi a vita privata nella sua
proprietà a Castileja di Cuesta, dove morì nel 1547. La sua
salma, come egli stesso aveva chiesto prima di morire, fu
inviata a Città del Messico e tumulata nella chiesa di Gesù
Nazareno. Di lui rimangono le cinque lunghe lettere inviate a
Carlo V, che compongono la Relazione della conquista del
Messico, redatte tra il 1519 ed il 1526.
NOTE [1] Di grande aiuto, per la stesura di questo saggio, sono stati due articoli pubblicati su Specchio della Stampa N. 132 di sabato 1 agosto 1998: La fine degli Aztechi. Anche il Dio piange, di Piero Soria, e Cortés, destino che veniva dall'Est, di Giordano Stabile. [2] Gli Aztechi erano giunti in Messico da nord verso il 1100, guidati, secondo la leggenda, da Hiutzilopochtli, un dio tribale, e si erano sovrapposti alla preesistente civiltà dei Toltechi. Più precisamente, per ragioni misteriose, nel 1168, l'ultimo sacerdote ed il dio stesso, abbandonarono Tula, capitale tolteca, favorendo la dispersione dell'intero popolo. La città venne inghiottita dalla foresta. Le prime tribù azteche si stanziarono vicino all'antica Tula, sulle sponde della laguna di Mexico. I nuovi arrivati si ritagliarono uno spazio vitale tra le tante città-Stato che componevano il mosaico mesoamericano. Soltanto nei primi decenni del XV secolo riuscirono ad assoggettare tutti i popoli che abitavano la regione, fondando saldamente il loro dominio. La svolta si ebbe nel 1428, quando i tre principali centri aztechi, Tenochtitlàn, Texcoco e Tlacopàn, fondarono la 'triplice alleanza'. In pochi decenni le tre città sottomisero quasi tutti i piccoli Stati dell'attuale Messico meridionale. Grande artefice dell'espansione fu Moctezuma I, bisnonno di quello che incontrò Cortés. Vi erano oltre 317 città tributarie con un efficiente sistema di tassazione; i registri erano tenuti da un grande Cacique. L'aristocrazia esercitava il potere politico attraverso cariche amministrative e religiose e la carica di sovrano era elettiva. Le strutture di base della società azteca erano i calpulli, ossia delle entità amministrative che possedevano la terra, essendo la società azteca fondata sull'agricoltura; gli Aztechi facevano oggetto di culto un dio-mais. C'era un fiorente artigianato che alimentava il commercio con i paesi vicini, effettuato per mezzo del baratto, senza l'uso della moneta. Nel codice Mendoza, nella pagina di apertura, si racconta la fondazione di Tenochtitlán da parte degli Aztechi-Mexica nel 1325. Essi terminarono la loro migrazione quando giunsero su un'isoletta della laguna di Texcoco e videro un'aquila (simbolo del Sole) appollaiata su una pianta di cactus, il cui frutto è una rappresentazione del cuore umano. Gli Aztechi-Méxica, dediti a sacrifici umani durante i quali alle vittime veniva strappato il cuore, videro nella scena il simbolismo riguardante proprio le loro pratiche sociali e religiose. [3] Con il nome di Conquistadores erano noti gli avventurieri spagnoli che, nel XVI secolo, esplorarono e conquistarono gran parte dell'America centrale e meridionale. Spesso di umili origini, ma nella maggior parte dei casi appartenenti alla piccola nobiltà, essi costituivano in Spagna un gruppo sociale abbastanza numeroso che aveva fatto per secoli della guerra il proprio mestiere, impegnandosi contro gli Arabi nella reconquista della Penisola Iberica. Rimasti privi d un ruolo dopo la caduta di Granada (1492), ultimo baluardo musulmano, trovarono nell'impresa americana un'occasione per arricchirsi. Spietati e coraggiosi seppero approfittare delle proprie capacità come soldati per imporsi alle popolazioni amerinde. Spesso in queste imprese erano finanziati dalla Corona, ma, ancora più frequentemente, come era nella loro natura di mercenari, da privati. Non avendo alcun interesse ad instaurare metodi di convivenza pacifica con i nativi, il loro unico scopo fu sfruttare le risorse umane e materiali delle zone assoggettate. L'avidità li pose spesso in contrasto fra loro e li rese assai poco affidabili come amministratori delle colonie. Furono, pertanto, subito rimpiazzati dai funzionari regi e non ottennero mai cariche di rilievo nei territori conquistati. [4] Gli Hidalgos erano membri della piccola nobiltà spagnola che si distingueva dalla grande aristocrazia dei ricoshombres. Al titolo erano connessi una serie di privilegi che lo rendevano molto desiderabile, ma raramente ad esso erano associate grandi ricchezze. Anzi gli hidalgos, per la loro povertà, vennero chiamati 'affamati'. [5] Il Templo Mayor, così soprannominata dagli Spagnoli, era un'imponente costruzione costruita nel 1486 e dedicata a Huitzilopochtli (dio del Sole) e Tlaloc (dio della pioggia), con una base di 100 metri per 80 ed era alta 40 metri. Era formata da 4 o 5 gradoni con le pareti molto inclinate, con una scalinata laterale con oltre 100 gradini, in cima alla quale venivano sacrificate agli dei le vittime umane. Gli Aztechi ritenevano che il ciclo del Sole potesse fermarsi in assenza di sacrifici umani. I cuori delle vittime erano considerati il 'nutrimento' del dio-astro, che così poteva continuare il suo corso. Gli annali registrano che l'inaugurazione richiese 84.000 sacrifici umani. La Grande Piramide, come veniva anche definito, era stata costruita su una piramide precedente più piccola. Cortés scriveva a Carlo V: 'Sia la parte in muratura sia le parti di legno sono lavorate in modo perfetto e non credo che se ne trovino di migliori in alcuna città del mondo'. [6] Hernàn Cortés, La conquista del Messico, Rizzoli, Milano. [7] William H. Prescott, La conquista del Messico, Einaudi. [8] I Conquistadores spagnoli imposero un pendente, il Chimalli, sullo scudo, come simbolo di guerra, con il monogramma di Carlo V e del Sacro Romano Impero con le C coronate. Alcuni esemplari, insieme ad oltre 350 capolavori dell'arte azteca provenienti dai Musei di Città del Messico, si possono ammirare alla mostra 'I tesori degli Aztechi', a Palazzo Ruspali, Roma, via del Corso 418, dal lunedì al sabato fino al 18 luglio 2004. [9] Già l'arrivo di Cristoforo Colombo ad Hispaniola aveva significato anche l'apertura di immensi spazi all'evangelizzazione. Colombo stesso diede risalto all'aspetto religioso della Conquista, allorché si firmava orgogliosamente Christum ferens (Colui che porta il Cristo). La religione imposta dai Castigliani si rivelò, in effetti, una forma complementare della Conquista, tanto più sofisticata ed incisiva perché affondava nella coscienza degli uomini , ne ridisegnava la geografia interiore. Insomma venne fuori la diversa concezione religiosa esistente fra il cattolicesimo mediterraneo e le credenze, i triti, la concezione della morte degli amerindi. Di fronte all'assalto della religione dei conquistatori, i popoli indigeni riuscirono a far sopravvivere i loro dei e le loro credenze, dando vita ad un cattolicesimo latinoamericano sincretistico. Nell'adorazione della Vergine di Guadalupe, ad esempio, sopravvive la credenza 'Madre Terra' e presso i popoli degli altipiani andini l'adorazione di Inti Illimani si confonde con la Resurrezione. Processi di osmosi, quindi, come nelle festività religiose in Guatemala o come nell'universo sincretistico della religiosità brasiliana. [10] Bernal Diaz Del Castillo, Storia della conquista del Messico, Tea. [11] I possedimenti spagnoli in America furono organizzati in viceregni: ne furono immediatamente creati due, la Nuova Spagna del Mare Oceano (1535), che comprendeva tutto il territorio spagnolo a nord dell'istmo di Panama, ed il Perù (1542), che copriva tutta la parte a sud dell'istmo, ad eccezione della costa venezuelana. Il viceré che dominava era soggetto al controllo di un visitador, un ispettore mandato all'improvviso dalla Corte. Alla fine del mandato il viceré si sottoponeva alla residencia, una revisione giudiziaria imposta dalla Corona. Sotto l'autorità del viceré erano collocate le Audiencias, ossia dei tribunali locali sorti allo scopo di porre un freno all'eccessiva indipendenza degli adelantados, i conquistatori. [12] L'encomienda era la cessione, da parte della autorità spagnole, di una comunità o di un gruppo indio ad un unico conquistatore (encomiendero), che aveva il diritto di riscuotere quelle tasse che gli amerindi erano tenuti a pagare in qualità di sudditi del Re. Era un sistema di tipo feudale, essendo gli indigeni legati alla terra come i servi della gleba: infatti, le tasse potevano esser riscosse sotto forma di danaro, beni o, addirittura, lavoro. Questo sistema distrusse l'economia indigena, in quanto gli amerindi abbandonarono ogni cura anche delle opere pubbliche che costituiva forma di pagamento dei tributi dovuti alla Corona, in particolar modo quelle di irrigazione. Conseguenza di ciò fu l'abbandono della produzione di beni essenziali per le popolazioni indigene, che ne accelerò la distruzione ed il completo assoggettamento al modo di produzione europeo. |
Testo concesso dal sito Storiain.net
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