LE AVVENTURE DELL'AUTOBIOGRAFIA
quando la vita è un romanzo


INTRODUZIONE ALL'AUTOBIOGRAFIA

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L'autobiografia nel Novecento: l'autobiografia della gioventù bruciata

Complesso e variegato risulta il percorso dell’autobiografia nel Novecento, mentre l’ansia di confessione sembra invadere ogni genere letterario, dal romanzo alla poesia.

Definire i limiti di queste tendenze, scegliere risolutamente che cosa sia nel nostro tempo diario, autobiografia, confessione involontaria, è arduo e forse non del tutto legittimo. Comunque si può scegliere di leggere alcune delle tendenze più vistose della scrittura di sé nel nostro tempo.

L’aspetto più vistoso da segnalare è la trasformazione in negativo del mito della giovinezza. Dall’Altrieri di Carlo Dossi alla autobiografie vociane, cioè pubblicate sul periodico letterario la Voce, gli autobiografi sono giovani letterati impegnati a demitizzare il loro tempo attraverso un rifiuto ironico o drammatico, caustico, o rassegnato. Sembra venire meno la reazione ottimistica tra adolescenza e maturità, la trasformazione degli impulsi della prima negli ideali della seconda, che ancora era stata confermata nella Giovinezza di De Sanctis.

Era stato sufficiente passare a un autore scapigliato come Carlo Dossi, per trovare nelle memorie pubblicate con il titolo programmatico dell’Altrieri il naufragio della giovinezza nella precoce consapevolezza del dolore osservato nella sorte tragica di Lia, minata dalla malattia e destinata a una morte prematura, mal mascherata dagli eufemismi consolatori degli adulti registrati dall’autore.

E se arriviamo dopo Ragazzo di Jahier e il Mio Carso di Slataper ad un Uomo Finito di Papini, il senso di autodistruzione non è più velato dai personaggi secondari e passa direttamente all’autore che registra a trent'anni la caduta del proprio cielo, il venire meno delle proprie risorse ideali e artistiche. L’intento è dichiaratamente polemico nel rapporto con il lettore, che è chiamato in causa con un titolo non lusinghiero, che è invitato a subire lo sfogo dei conati autobiografici, ad assistere alla fine in diretta dello scrittore.

G. Papini

Di quanto scriverà l’autore fa promesse poco rassicuranti, per non dire provocatorie: "No, signori, nulla di delicato uscirà dalla mia bocca". Si pensi poi alla titolazione dei capitoli che incoraggia il sovvertimento dell’immagine del letterato: "Che cosa volete da me? Sono un imbecille e un ignorante".

Scrittura di intemperanze, di sfoghi di amare considerazioni, quella del Papini lascia però il posto alla tecnica del ritratto che deriva direttamente dalle autobiografie del Settecento, anche se ormai alla verosimiglianza psicologica si è sostituito l’enigma di sé non risolto, proposto da una vecchia fotografia ingiallita dalla quale prende avvio la narrazione.

L'autobiografia nel Novecento: le nuove autobiografie intellettuali

Con il contributo alla Critica di me stesso di Benedetto Croce, l’autobiografia sembra riprendere la funzione di chiarificazione del pensiero della vita e delle opere dei letterati e dei filosofi che aveva avuto fin dal Seicento con Cartesio e Pascal e che era stata ripresa nel Settecento dallo stesso Hume di My own Life.

Sotto il titolo di autobiografia si nasconde in realtà una tensione saggistica, che porta l’esame di coscienza a diventare una critica del proprio pensiero come delle opinioni degli avversari ideologici. Alla cronaca della vita succede l’indice bibliografico dei libri letti, i giorni si confondono con le letture.

Croce non si rivolge ad un lettore qualsiasi ma ai propri critici, invitati a prendere nota di quanto egli viene osservando, chiamati a rispettare l’interpretazione "autentica" elaborata dal filosofo. Il lettore comune viene anzi scoraggiato, perché non troverà nel libro né confessioni, né ricordi, né memorie della sua vita.

Benedetto Croce

Tale percorso autobiografico prende ulteriore consistenza quando si passa all’Esame di coscienza di un letterato di Renato Serra, una sorta di testamento spirituale scritto poco prima di morire sul Podgora e che pare nelle sue più profonde ragioni più vicino al saggio che al diario di guerra, in quanto contiene riflessioni che sebbene appuntate a margine degli avvenimenti bellici, riguardano in senso più ampio il ruolo del letterato.

R. Serra

In tempi più recenti l’autobiografia intellettuale tende a degradare nel sottogenere dell’intervista, testimoniato da vere e proprie raccolte in cui possiamo trovare Il sogno del centauro (interviste a Pasolini), Per favore mi lasci nell’ombra (interviste a Carlo Emilio Gadda), Montale (interviste a Montale), La Sicilia come metafora (interviste a Sciascia).

L'autobiografia nel Novecento: l'autobiografia selfhelpista

Questo tipo autobiografico viene dal mondo protestante e più precisamente dall’applicazione di quel principio calvinista secondo il quale il successo e la ricchezza sono i segni visibili della grazia divina.

Le radici del modello sono ottocentesche e più precisamente risalgono al momento in cui viene pubblicato di Samuel Smiles Self Help tradotto in Italia con Chi si aiuta Dio l’aiuta ovvero Storia degli uomini che dal nulla seppero innalzarsi ai più alti gradi. Si tratta del mito dell’ascesa sociale del self made men che verrà rappresentato a livello romanzesco nelle Confessioni di un Cavaliere di industria di Thomas Mann.

Con queste memorie, l’autobiografia si democratizza ancora di più, perché permette l’accesso al mondo letterario di uomini che hanno svolto attività del più svariato genere. Sono però testi nei quali ritorna il senso del cursus honorum, cioè la percezione della vita come carriera scandita dalle tappe del successo, che portano il protagonista da una condizione spesso avversa, talvolta favorevole al momento dell’inevitabile successo.

Attori, industriali, calciatori e uomini politici scrivono autobiografie per scopi molteplici e variegati, non ultimo quello di costruire una sorta di romanzo d’appendice in cui momenti privatissimi s'intersecano alla narrazione di aspetti pubblici già parzialmente noti al lettore, che vede in essi una conferma o una smentita di quanto già conosce.

Poiché questi testi appartengono ad una vera e propria autobiografia di appendice, il loro tenore letterario risulta assai basso, uniformandosi alla scrittura giornalistica e alle sue dominanti finalità comunicative. Ma non si può pensare che le autobiografie del selfhelp mirino soltanto a informare, poiché in esse è forte la necessità di rispondere a un’esigenza di divismo che non è se non l’ultimo approdo del mito della gloria e della fama delle epoche antiche.

Apparentemente democratiche, perché i loro protagonisti sono spesso di umili origini, esse fissano in modo assai drastico il confine tra la vita del divo e quella del lettore che può solo sperare di compensare la sua esistenza mediocre con quella assai più affascinante dei loro protagonisti.

L'autobiografia nel Novecento: il frammento poetico dell'autobiografia

Il terreno più scivoloso nel quale entrare è quello della poesia, poiché qui è lecito chiedersi se l’io lirico (cioè chi dice io) voglia davvero confessarsi o raccontare qualcosa di sé.

La poesia è fatta di un dialogo tra un io e un tu che solo con qualche forzatura si può motivare come confessione di sé, perché il soggetto tende a trasformarsi in un polimorfismo di simboli poetici. E un fatto però che esistono notissimi modelli di autobiografia in versi, quali il Canzoniere di Petrarca e la stessa Vita nova di Dante (questo testo è forse più una biografia di Beatrice che un’autobiografia di Dante) che aprono una strada al nostro ragionamento.

Come tutti sappiamo, la guerra del 1915-18 fu notoriamente una tragica fonte d'ispirazione per i diari dei letterati che si trovarono in essa impegnati. Nella raccolta Allegria di Ungaretti e nella sezione Porto sepolto c’è una poesia, Fiumi, che ricostruisce il percorso della vita dell’autore mediante i fiumi della sua esistenza. Ad ogni fiume rievocato, mentre il poeta si bagna nelle acque dell’Isonzo, appartiene non solo una fase della vita, ma la principale passione che l’ha ispirata, quasi a formare una sorta di memoria istantanea del vissuto, distribuito però in momenti diversi.

Si passerà poi con l’Attilio Bertolucci di Camera chiara alla rievocazione poetica della giovinezza ambientata tra le due guerre, sebbene questi versi siano stati scritti negli anni '90. In essi la poesia non ignora il dettaglio realistico, l’annotazione plastica dei volti e dei caratteri, ma li supera sempre, in una visione del mondo alta e vertiginosa al tempo stesso.


Ideazione e testi di Bruno Capaci

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 22/04/2012