LE AVVENTURE DELL'AUTOBIOGRAFIA
quando la vita è un romanzo


INTRODUZIONE ALL'AUTOBIOGRAFIA

I - II - III - IV - V - VI

L'autobiografia moderna: gli stili

Quanto Cartesio aveva ignorato e Vico appena alluso nel breve e generalizzato ricordo della malattia puerile, cioè la puerizia, acquista consistenza nelle autobiografie di un filosofo incline ad opporre l’uomo naturale a quello civilizzato, come Rousseau, o di letterati quali Alfieri, Goldoni, Da Ponte e lo stesso Casanova, che non disgiungono i piaceri della tavola, gli amori incostanti e i rapidi viaggi nel cuore dell’Europa dalla frequentazione delle Muse.

P. Delvaux, Femme dans une grotte 1936 (part.)

Se nelle precedenti Vite e Memorie l’accenno ad aspetti simbolici dell’infanzia aveva costituito un anticipo della gloria futura dei loro protagonisti, quasi una sorta di augurio o di profezia, nelle autobiografie di fine secolo esso diviene l’occasione per approfondire la ricerca sugli istinti e i moventi dell’animo umano.

L’autobiografia del secondo Settecento, assemblata nel piacere del caso sulla scena dell’Europa da memorialisti avventurieri, fa emergere il ricordo di avvenimenti che si pongono nella sequenza di un lancio di dadi sul tavolo da gioco, ma che, esaminati da vicino, dimostrano come l’autore estenda al momento formativo dell’adolescenza l’analisi del proprio carattere.

P. Delvaux, Femme dans une grotte 1936 (part.)

Con l’autobiografia moderna prende pieno possesso della pagina e della storia una diversa, del tutto originale, rappresentazione dell’uomo nel rapporto con se stesso e con il mondo. Negli anni della rivoluzione americana e francese si contesta l’ancien régime e la sua rigida gerarchia sociale.

G. Casanova, Icosameron ou histoire d'Edouard et d'Elisabeth (Bib. Naz. Marciana, Venezia).

L’autobiografia, in stretta relazione con il romanzo, assorbe la spinta innovativa che viene dall’Illuminismo, per mutare in senso realistico e analitico la descrizione delle relazioni umane, studiate con l’occhio esperto di chi percepisce la vita da un duplice punto di vista: da una parte quello del seduttore e giocatore d’azzardo amante dell’esistenza dissipata, dall’altra quello dell’autore di opere teatrali che riporta sulla scena i personaggi e le movenze argute della conversazione da salotti.
Ma l’occhio dell’autore autobiografico si volge anche all’interno del proprio personaggio per approfondire, alla luce dei postulati della filosofia sensistica, le manifestazioni del carattere e le sue più segrete ed oscure motivazioni.

Alfieri

Nutrito nello stesso tempo dall’osservazione della realtà e dalla capacità di trasformarla in una sorta di rappresentazione aperta della commedia umana , il genere memorialistico allarga il suo campo di osservazione al mondo, producendo sia gli indimenticabili ritratti dei principali protagonisti del secolo, filosofi e regnanti, letterati e avventurieri, sia un’analisi interessante della società settecentesca interpretata dal punto di vista personale, ma non irrilevante, di chi la conosce nei teatri nelle alcove e nei caffè, dove i grandi argomenti della politica internazionale si mescolano alle passioni ai capricci e alle follie degli uomini.

E la storia che muta più in fretta del destino di chi la osserva ha cambiato, come una macchina di teatro, la scena del mondo, sicché i protagonisti delle memorie di fine secolo devono descrivere, da un certo momento in poi, un mondo che non conoscono. Ormai al modello antropologico del letterato viaggiatore, giocatore e uomo di mondo si è sostituito quello dei protagonisti della rivoluzione incombente, prima che si affacci dalle pagine di tanta letteratura ottocentesca il mito napoleonico come sintesi di virtù borghesi ed eroiche, genio militare e audacia nella scalata sociale.

Il romanzo che non c'è: l'autobiografia

L’autobiografia ha un rapporto fisiologico, cioè del tutto naturale, con i generi minori della narrazione personale, come gli epistolari e i diari, dai quali assume il ritmo temporale del vissuto, ma guarda nello stesso tempo alla finzione realistica del romanzo.

Nel Settecento la relazione tra i due generi giunge ad una apparente confusione, perché se è vero che alcune autobiografie vengono pubblicate sotto il travestimento romanzesco, è altrettanto vero che un romanzo come la Vie de Marianne di Marivaux, il grande commediografo che rinnova e raffina il contenuto psicologico delle commedie francesi e si pone in una linea di continuità fra Molière e Goldoni, appare al pubblico in qualità di racconto memorialistico.

A partire dalla descrizione realistica degli avvenimenti appartenenti al privato borghese, esaltata nella Clarissa di Richardson, il contenuto dei romanzi approfondisce l’analisi delle dinamiche sociali e dei caratteri individuali sullo sfondo di una società osservata sotto il profilo dei mutamenti storici che l'attraversano.

D’altra parte, all’eroe romanzesco corrisponde per certi aspetti quello autobiografico, non tanto perché la narrazione dei romanzi di Marivaux, Prevost, (Manon Lescaut), Defoe (Robinson Crusoe) e Swift (Viaggi di Gulliver) avviene spesso in prima persona, quanto perché l’uno e l’altro sono accomunati dalla passione per un racconto al limite della verosimiglianza, cioè incredibile e avventuroso, esaltato dalla descrizione del tutto realistica dei particolari e delle vicende della loro esistenza.

Serve a tracciare una fondamentale distinzione tra i due generi sia il fatto che il nome dell’autore di un'autobiografia deve sempre coincidere con quello di una persona realmente vissuta, anche se nascosta sotto il nome d’arte - p. es. Moravia per Pincherle o, nel cinema, Loren per Scicolone - (patto autobiografico), sia l’impegno dell’autore protagonista dell’autobiografia a rendere credibile il suo racconto, costellando la descrizione dei fatti con continue affermazioni di veridicità, veri e propri giuramenti prestati davanti al giudice-lettore, (alla lettera: "io giuro di dire tutta la verità, nient’altro che la verità"), allo scopo di stringere ancor più il legame di complicità che lo lega ad esso (patto referenziale).

Insomma, sebbene l’autore di un’autobiografia possa mentire quanto quello di un romanzo, entrambi producono menzogne diverse. Mentre il primo fa sempre riferimento ad una esistenza storica, il secondo è condannato alla dimensione dell’invenzione letteraria che, per quanto ben orchestrata, non può permettere al lettore di risalire dall’esistenza letteraria del personaggio a quella storica, quindi reale del suo autore.

In questo senso, le inesattezze o le palesi bugie di un eroe autobiografico possono essere utili alla stregua dei lapsus freudiani, per rivelare al lettore più attento il desiderio di ritagliarsi un ruolo particolarmente avvincente nello spazio della pagina.

Davanti al racconto di un’impresa amorosa di dubbia credibilità o di un’avventura al limite del temerario e del verosimile di un incontro del tutto imprevedibile, chi legge può intuire lo sforzo dell’autore di attribuire al proprio personaggio una vita più incredibile e affascinante di quella che ha davvero vissuto.

Del resto la propensione dell’autobiografia a portare alla luce anche i particolari più "sconvenienti" della vita dell’autore, tanto più enfatizzati quanto più si vogliono far credere come veritieri e assolutamente realistici, mette in luce il piacere provato dal narratore nel rievocare per se stesso ed il lettore il carattere eccentrico, eccitante e a volte palesemente oltraggioso ed inverosimile della propria esistenza.

D’altra parte, come le autobiografie riprendono a fine secolo il realismo descrittivo del romanzo, così cedono ad esso il racconto in prima persona che, in quanto formula di confessione privata, avvince il lettore perché richiede la sua complicità nel seguire una narrazione dal tono intimo e scandaloso, lacrimevole e turpemente veritiero.


Ideazione e testi di Bruno Capaci

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
 - Stampa pagina
Aggiornamento: 22/04/2012