STORIA ROMANA


L'IMPERO E IL CRISTIANESIMO

I - II - III

2. L'Impero sotto Diocleziano (284-305)

A. Le ragioni della scelta tetrarchica

I cinquant'anni di anarchia militare hanno dimostrato a tutti come il principale nemico dell'ordine interno e della stabilità politica dell'Impero sia costituito - oramai - dagli eserciti.

Dotati di grande autorità, in quanto divenuti mezzi indispensabili per la sopravvivenza stessa di Roma, attraverso la salvaguardia dei confini dai nemici esterni, essi però sempre più spesso sono all'origine di rivolte e di disordini che minano l'autorità del potere centrale, ovvero in sostanza dell'Imperatore, giungendo alle volte a proclamare l'indipendenza delle zone su cui sono insediati.

Diocleziano (Villa Doria-Pamphili, Roma)

Ai nemici esterni (i Barbari e i Persiani) si sommano dunque anche quelli interni - tra cui vi sono appunto, in primo luogo, le milizie.

Inevitabilmente, priorità assoluta per lo Stato diviene quella di riacquistare un pieno controllo su tutto il territorio dell'Impero.

Già alcuni imperatori come Aureliano, Gallieno e Valeriano avevano dimostrato - con le loro scelte - di aver compreso chiaramente tale problema.

Sarà tuttavia Diocleziano a porre in essere una vera, radicale ristrutturazione dell'Impero, che costituirà peraltro il coronamento delle iniziative di riforma cui, nei decenni precedenti, i suoi predecessori avevano dato vita.

Tale riassetto ruoterà attorno al principio secondo cui, per mantenere l'ordine e il controllo delle province (Italia compresa), è necessario ridurre drasticamente la distanza tra le maggiori autorità imperiali e i poteri particolaristici e locali costituiti dalle truppe. Ciò, ovviamente, al fine di render più difficile a queste ultime l'attribuirsi dei poteri che oltrepassino le proprie effettive competenze, e intraprendere azioni contrarie all'autorità del princeps.

Ma per ottenere un tale obiettivo non vi è, allo stato attuale, che una via: quella di frazionare l'autorità somma dell'Imperatore in una pluralità di poteri, capaci (seguendo un fine comune e concertato) di porre in atto un'opera di mantenimento della compagine imperiale, impedendone la divisione in sotto-stati e soprattutto in stati indipendenti.

"Moltiplicando" gli imperatori infatti, Diocleziano ottiene un controllo - seppur fragile e precario - della situazione politica, determinando così un'ultima ripresa di vitalità dell'Impero.

Per favorire e rendere possibile, pur tra tante spinte separatistiche, un tale predominio politico, è indispensabile poi cercare di assoggettare anche psicologicamente e moralmente i soldati, nonché - in generale - i sudditi dell'Impero, rendendo quindi più difficile ad alcuno il sostituirsi all'Imperatore (o meglio, agli Imperatori) e in generale alle autorità statali.

Anche in questo frangente, non è possibile che un solo escamotage, che consiste in sostanza: nell'aumentare il prestigio pubblico dell'Imperatore/i obbligando i sudditi a prosternarsi e ad adorarlo/i; nell'affermare - come già molti hanno fatto - l'origine divina e trascendente di tale potere; e nel circondarsi di un fasto e di uno sfarzo fino a allora estranei alle tradizioni politiche e culturali occidentali e romane. Una trasformazione in senso orientale, insomma, un dispotismo politico di stampo asiatico, che appare come l'unico mezzo rimasto per conservare e rafforzare la precaria situazione di dominio che lo Stato ancora conserva sui poteri particolaristici (miliari, ma anche fondiari) a esso ostili.

E' facile capire come tali soluzioni non siano affatto 'definitive', dal momento che non possono in alcun modo modificare la condizione di fatto dell'Impero, bensì soltanto cercare di contenerne gli effetti più distruttivi.

Non a caso, dopo l'abdicazione di Diocleziano - e quella a essa contemporanea del suo 'socio' Massimiano -, l'Impero piomberà nuovamente in una situazione di divisione interna e di guerre civili per il potere!

B. Le campagne contro i nemici esterni e interni

Sin dall'inizio del suo mandato, risulta chiara al nuovo imperatore l'impossibilità di reggere da solo l'intera compagine degli stati che rientrano formalmente sotto il dominio di Roma. Come vedremo infatti, i problemi cui egli sin dai primi anni deve dare una risposta, oltrepassano di gran lunga le capacità di un unico - per quanto abile - condottiero.

Ad esempio, egli dovrebbe misurarsi con Carino, uno dei figli di Caro - il precedente imperatore - e arginare contemporaneamente in Gallia le rivolte dei contadini Bagaudi (ovvero di fasce della popolazione gallica allo stremo della sopravvivenza, a causa della povertà dilagante nelle campagne).

Una delle prime decisioni prese da Diocleziano è quindi quella di incoronare Cesare un altro condottiero, un certo Massimiano - anch'egli come lui di origini illiriche, nonchè come lui uomo di umili natali - per avere avuto il merito di sedare tali rivolte.

Oltre alla guerra contro Carino poi, Diocleziano dovrà portare avanti, sempre coadiuvato da Massimiano, alcune campagne nelle zone danubiane contro i Sarmati, in quelle retiche contro i Franchi, ecc.

Galerio e Costanzo, i due Cesari nominati da Diocleziano

Ma la situazione ormai si dimostra tale da non consentire più una gestione adeguata dell'Impero nemmeno con il lavoro coordinato di due principi, richiedendo perciò un'ulteriore frazionamento del potere imperiale.

Per tale ragione, nel 290 Massimiano e Diocleziano optano per una soluzione ancora sconosciuta alla storia di Roma, la scelta tetrarchica, dividendo ulteriormente i loro poteri con l'elezione ciascuno di un proprio "vice". Ne risulta così uno Stato retto contemporaneamente da due Augusti (dei quali Diocleziano si pone come quello superiore) e da due Cesari, nelle persone di Galerio (vice di Diocleziano) e di Costanzo Cloro (vice di Massimiano).

Sebbene poi tale divisione non implichi ufficialmente una spartizione dei territori imperiali, Galerio e Massimiano governeranno principalmente sulle regioni a est e su quelle danubiane, mentre gli altri due si occuperanno essenzialmente di quelle occidentali.

Uno dei problemi più gravi con i quali l'Impero, nella persona di Cloro, deve scontrarsi, è la ribellione di un certo Carausio - ufficiale romano - al dominio di Roma, con la costituzione di un regno autonomo che va dalla Britannia alla Gallia settentrionale.

Tale questione, iniziata nel 286, si concluderà soltanto nel 296 con la sconfitta degli avversari (sconfitta causata anche da lotte intestine sul fronte britannico) e con la presa di Londra da parte di Costanzo Cloro e il ripristino dell'autorità imperiale.

Diocleziano e Galerio riusciranno invece, sul fronte orientale, a contenere le spinte dei popoli barbarici sul fronte danubiano e quelle dei Persiani (guidati da un nuovo imperatore, Narsete) sull'estremo confine orientale. E' da notare che, al termine di questa seconda guerra, i confini e le influenze politiche dei Romani in tale area torneranno a essere ancora quelle dei tempi migliori, cioè all'incirca quelle del periodo traianeo.

Un'altra impresa di Diocleziano in questi anni è la sconfitta di Achilleo, un generale che - barricatosi nella città di Alessandria - si è fatto promotore e interprete delle istanze indipendentiste (molto antiche) dell'Egitto.

Questi i risultati più eclatanti, da un punto di vista bellico, non solo della scelta di dividere l'Impero, ma anche dell'abilità di Diocleziano nel dirigere le azioni belliche e nell'eleggere i propri collaboratori.

Assieme a tali successi - e da essi resi possibili - riscontriamo inoltre un fenomeno generale di rafforzamento dei confini e delle milizie, e un riassesto generale di molte delle vie di transito, sia di quelle marittime sia di quelle sulla terra ferma.

C. Le riforme amministrative dell'Impero

Abbiamo già parlato del tipo di organizzazione instaurata da Diocleziano. Possiamo ora schematizzarla come segue:

DIOCLEZIANO
ZONE A EST
< Augusti >
MASSIMIANO
ZONE SUD-OCCIDENTALI
GALERIO
ZONE DANUBIANE
< Cesari >
CLORO
ZONE NORD-OCCIDENTALI

Dal momento che, come si è già detto, Diocleziano rimane istituzionalmente l'Imperatore più importante, anche nei confronti del suo collega Massimiano, l'Impero - pur diviso al proprio interno - si può considerare ancora (almeno in un certo grado) una costruzione politica unitaria.

A ciò, poi, si aggiunga il carisma personale dell'Imperatore e la sua abilità nello scegliere dei collaboratori che condividano con lui una comune visione dell'Impero. Si avranno così le ragioni dell'effettiva solidità di quest'ultimo negli anni di Diocleziano.

La scelta tetrarchica però non trae origine solo dall'esigenza di controllo e difesa dei vastissimi territori imperiali, ma anche dal fatto di offrire - almeno sulla carta - la possibilità di appianare un problema molto antico e pressante, causa da sempre di tanti dissidi, quello della successione.

Il meccanismo istituito da Diocleziano vorrebbe difatti che, dopo la morte o con l'uscita di scena dei due Augusti, i due Cesari prendessero il loro posto, designando al tempo stesso i loro successori.

[E, come vedremo più avanti, sarà proprio questo secondo punto, quello della designazione dei Cesari, l'anello più debole della catena, che determinerà l'inizio di nuove lotte per il potere].

A livello di amministrazione territoriale, Diocleziano - nel segno di una sempre maggiore razionalizzazione nella gestione dei territori imperiali - porta fino a cento le province dell'Impero, e divide quest'ultimo in dodici diocesi, ognuna governata da un proprio vicario imperiale, alle dipendenze di uno degli oramai due prefetti del pretorio.

Quanto agli eserciti, negli anni della tetrarchia essi vengono rafforzati ulteriormente, sia con l'aumento complessivo dei soldati, sia con quello dei contingenti mobili di cavalleria e fanteria - i quali, oltre a tutto, hanno il vantaggio di essere controllati direttamente dagli Imperatori e dai Cesari, e di non dipendere quindi dai capi militari locali (garanzia di indipendenza da eventuali cattive influenze…)

Il Senato invece, espressione - come noto - di una classe fondiaria e nobiliare sempre più influente a livello locale, vede ridimensionarsi a livello statale il proprio ruolo politico, divenendo un'istituzione essenzialmente giudiziaria e perdendo molte delle sue antiche prerogative (come ad esempio quella dell'elezione dei consoli).

Di contro, è il "Consilium principis" (organo privato dell'Imperatore) che tende a sostituirsi a esso nelle questioni politiche.

Altre riforme importanti di questi anni sono: la riforma monetaria (con la nascita di una nuova moneta); la riforma tributaria (basata su una più rigorosa valutazione della proprietà dei singoli cittadini, con l'invenzione di nuove unità di misura del 'reddito' procapite; e sulla fine del privilegio italico di esenzione dalle tasse); i vari interventi statali per fissare i prezzi (con pene severissime per i trasgressori) e contenere in tal modo il fenomeno inflattivo; l'inizio della pratica di vincolamento delle persone alle attività tradizionalmente svolte dalla propria famiglia (la nascita in pratica delle caste professionali chiuse, dovuta alla tendenza, diffusa sia tra i cittadini medi che tra i piccoli agricoltori, a cercare rifugio nelle grandi proprietà e a fare propria la scelta del colonato, che offre loro maggiori garanzie di sopravvivenza, privando però lo Stato del loro contributo fiscale).

D. Il conflitto tra lo Stato e il Cristianesimo

Cresce, in questi anni, il divario tra lo Stato (sempre più invasivo nei confronti dei cittadini, e sempre più limitante delle loro libertà personali) e quel tipo di sensibilità che ruota attorno al concetto del valore della personalità umana e alla speranza di una sua liberazione dai vincoli sensibili, idee la cui diffusione è testimoniata tra l'altro dal consenso ottenuto dal messaggio cristiano un po’ a tutti i livelli e tra tutti gli strati sociali.

Stato e chiesa, quindi, si fronteggiano come due opposte concezioni dell'uomo e della vita (nonché, implicitamente, della società) entrando drasticamente in conflitto tra loro.

Tale fenomeno sarà alla base di un nuovo periodo di persecuzioni religiose, inaugurato nel 297 con un editto di Diocleziano ai danni delle comunità manichee (un culto di origine persiana) e proseguito con un altro editto del 303, ai danni questa volta delle comunità cristiane.

Alcuni storici, inoltre, attribuiscono la responsabilità di questi provvedimenti all'influenza esercitata sull'Imperatore dal suo 'vice' Galerio. E' certo, in ogni caso, che tali decreti siano stati attuati in modo molto più rigoroso nelle zone orientali dell'Impero, che in quelle occidentali.

E. Conclusioni

Gli anni del consolato di Diocleziano costituiscono indubbiamente per l'Impero un momento, per quanto effimero, di ripresa.

Merito fondamentale di Diocleziano è senza dubbio l'aver rinnovato l'Impero sul piano amministrativo, rafforzando lo Stato e la sua autorità sul territorio, e ponendo un argine sia ai moti indipendentisti sia ai sempre più diffusi tentativi d'invasione; dall'altro lato tuttavia il suo intervento non ha affatto mutato (né poteva farlo) la situazione reale, sociale e culturale, dell'Impero.

L'azione di Diocleziano, dunque, è stata fondamentalmente un'azione di tipo repressivo, con tutti i limiti che ne conseguono.

D'altra parte, gran parte dell'efficacia dei suoi provvedimenti deriva in realtà - più che dalla costruzione politica in sé - dal carisma personale dell'Imperatore e dalla sua abilità nel porre in atto i propri progetti di rinnovamento.


Introduzione
1. I cinquant'anni di anarchia militare (236-284)
3. Costantino e la 'conversione' dell'Impero (305-337)
4. La fine dell'unità imperiale
5. Il crollo dell'impero romano
6. Il V sec. in Oriente
cfr La nascita del Cristianesimo e Storia del cristianesimo primitivo
Adriano Torricelli

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 11/09/2014