STORIA ROMANA


IL CROLLO DELL'IMPERO ROMANO

Galata ferito (Museo Nazionale di Napoli)

I

Perché crollò l'impero romano, visto che era molto più avanzato, sotto vari aspetti tecnico-scientifici, del feudalesimo?

Se guardiamo i conflitti di classe, le insurrezioni schiavistiche e le ribellioni delle colonie di quel periodo, dovremmo dire che l'impero è crollato quando meno c'era da aspettarselo. Dal punto di vista della lotta socio-politica, la resistenza delle classi oppresse (se si escludono gli ebrei e i cristiani) era molto più forte tra il II sec. a.C. e il I sec. d.C. che non nel III e IV sec. d.C.

Se dovessimo pensare solo ai motivi endogeni dovremmo dire che l'impero è caduto non quando era più debole, ma quando sembrava più forte (almeno in apparenza). Certo, sotto l'impero era aumentata la corruzione, la decadenza dei costumi, l'immoralità, ma fortissimo era il potere politico, amministrativo e militare.

Un impero non può crollare solo perché i costumi sono corrotti. Né ha senso affermare che l'impero è caduto a causa della irriducibile resistenza dei cristiani, i quali tutto erano meno che “rivoluzionari”. Costantino, infatti, ad un certo punto lo comprese perfettamente.

Peraltro, va detto che non tutto l'impero crollò, ma solo la parte occidentale (quella più sviluppata), poiché quella orientale, ribattezzata nel nome di Cristo, sopravvisse per altri mille anni. Il che può forse indurci a credere che non tutto l'impero era uguale, cioè che la debolezza (più morale che politico-militare) della parte occidentale era maggiore di quella della parte orientale.

Uguali infatti erano l'odioso fiscalismo, la coscrizione militare, le leggi inique... Semmai anzi potremmo dire che le regioni orientali avrebbero avuto un motivo in più per distruggere le fondamenta dell'impero, poiché qui erano senz'altro maggiormente vessate da Roma.

Il motivo per cui la parte orientale dell'Impero non solo non sia crollata ma addirittura sia sopravvissuta per altri mille anni, non è mai stato sufficientemente spiegato dagli storici.

Probabilmente le popolazioni delle regioni orientali avevano nei confronti delle cosiddette “popolazioni barbariche” un atteggiamento meno ostile, più aperto di quello che avevano le popolazioni delle regioni occidentali, che erano più ricche e quindi meno disposte a dividere le loro ricchezze.

L'impero romano è crollato non solo per motivi interni (corruzione morale, fiscalismo, militarismo ecc.), ma anche perché, espandendosi, tolse ingenti beni e proprietà alle popolazioni limitrofe, che ad un certo punto ritennero opportuno ribellarsi.

Quando i valori morali di un impero si indeboliscono progressivamente, il rimedio che solitamente si prende è quello dell'autoritarismo istituzionale, che diventa tanto più forte quanto più è debole la coesione sociale sui valori comuni.

E' dunque probabile che le popolazioni occidentali, abituate a vivere anche in forza dello sfruttamento di quelle orientali (quest'ultime temute da Roma assai meno, essendo più lontane), non fossero ben disposte a lottare contro i cosiddetti “barbari” per difendere i “valori” della civiltà romana; si lottava contro il nemico (e solo i mercenari, peraltro, lo facevano) più che altro per difendere un certo livello di benessere.

Viceversa, le popolazioni orientali da tempo dovevano aver capito che il modo migliore per difendere i veri valori della vita non era quello di stare dalla parte di Roma, che, in cambio della difesa contro i nemici, non offriva che ulteriori vessazioni e soprusi, ma era quello di mettersi direttamente dalla parte degli invasori.

Quando un invasore vede che il nemico si arrende senza combattere, non ha motivo di infierire. E' stato forse questo che ha permesso una facile integrazione fra culture, etnie e religioni così diverse.

In occidente invece la resistenza all'integrazione culturale e sociale è sempre stata fortissima. Ciò non poteva che esasperare gli animi di quelle popolazioni che, costrette da secoli a vivere in condizioni precarie, premevano ai confini dell'impero.

Roma dunque è caduta non solo per motivi endogeni, dovuta alla grande corruzione che la caratterizzava, ma anche per motivi esogeni, dovuti all'incapacità di gestire democraticamente i rapporti con le popolazioni confinanti.

Quando queste popolazioni entrarono nell'impero distrussero praticamente tutto, anche quello che avrebbero potuto utilizzare per migliorare i loro standard vitali. Ciò sta a significare che l'odio accumulato nel corso dei secoli nei confronti della potenza romana, specie di quella dell'area occidentale, aveva raggiunto livelli altissimi.

II

Il declino dell'impero romano non è iniziato sotto l'impero, perché questo è stato soltanto una soluzione militare alla crisi della repubblica. Una crisi sociale ed economica molto forte, in quanto la grande proprietà, già nel corso delle guerre puniche, s'era mangiata quella piccola. E in una condizione del genere non potevano certo i senatori, che difendevano la grande proprietà, trovare una soluzione ai problemi che loro stessi avevano creato o che avevano permesso che si formassero.

Se il popolo non avesse avuto la percezione della totale inutilità del Senato per la risoluzione dei problemi sociali, non avrebbe cercato in un imperatore, cioè sostanzialmente in un generale, che si pensava super partes, la soluzione estrema alla propria miseria.

Il popolo doveva per forza essere convinto, vista l'esigenza che l'imperatore si attribuisse grandi poteri, con cui poter contrastare efficacemente quelli non meno grandi del Senato, che il ritorno di Roma alla monarchia costituisse il prezzo da pagare per vedere risolti i propri problemi.

Tuttavia la soluzione militare, che probabilmente all'inizio si considerava provvisoria, per il tempo utile a sistemare le situazioni più urgenti, e che invece divenne definitiva, non riuscì mai a realizzare alcuna uguaglianza sociale.

Gli imperatori si limitarono soltanto:

  • a estendere il diritto della cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell'impero;
  • a favorire lo sviluppo economico dei ceti commerciali e imprenditoriali (soprattutto quelli delle province);
  • a permettere qualunque tipo di carriera militare anche ai ceti subalterni o marginali;
  • a concedere l'accesso alle maggiori cariche burocratiche anche ai candidati non provenienti da ambienti di tipo aristocratico-senatoriale;
  • a riconoscere all'esercito ampi privilegi, facendo in modo che di questi privilegi potessero fruire anche determinate unità barbariche, integrate nei ranghi militari, a condizione che difendessero i confini dell'impero.

Indirettamente i militari, limitandosi più che altro a reprimere le sollevazioni interne, avendo l'impero, già sotto Traiano, raggiunto la sua massima espansione, favorirono la trasformazione dello schiavismo (l'abbondanza di reperire manodopera schiavile sui mercati era stata più che altro una prerogativa della repubblica) in colonato (schiavi semi-liberati, incentivati a lavorare le terre dei latifondisti dietro un compenso).

Tuttavia gli imperatori non riuscirono mai a spezzare il latifondo, né a eliminare i rapporti sociali schiavili, né a impedire il dilagare della corruzione, né a favorire un'equa tassazione dei cittadini, né ad assicurare il legittimo esercizio di qualunque fede religiosa.

Probabilmente fu proprio l'inversione di rotta su quest'ultimo punto che permise a Costantino di realizzare un inedito e fortunato compromesso con la chiesa cristiana (che venne però rifiutato dalle forze conservative e pagane residenti a Roma): quel compromesso che favorì per un altro millennio la prosecuzione dell'impero su basi romano-cristiane, in quell'area orientale che gli storici chiamano, con una semplificazione, "bizantina".

Molti storici tuttavia ritengono che l'impero sia crollato non tanto per le intrinseche contraddizioni interne, ma soprattutto a causa delle sempre più forti pressioni barbariche. Ciò dicendo non si rendono conto di due cose:

  1. che le pressioni erano legittimate dal fatto che Roma cercava di esportare al di fuori dei propri confini il peso delle proprie contraddizioni interne, il modello del proprio antagonismo sociale;
  2. che se queste contraddizioni fossero state ridotte al minimo, probabilmente Roma avrebbe avuto la forza per resistere all'urto di quelle pressioni.

Non solo, ma tutti gli storici, indistintamente, vedono il progressivo ritorno all'economia naturale, iniziato praticamente già nel III secolo, in cui la città prende a essere abbandonata a favore della campagna, come un indizio di sicura decadenza, quando invece quella tendenza poteva essere l'occasione per dire basta al potere della città sulla campagna, al dominio del centro sulla periferia, all'egemonia della rendita sul lavoro...

Non fu forse proprio in quel periodo che gli schiavi si trasformarono massicciamente in coloni, disposti a difendere personalmente i loro appezzamenti? Semmai ci si sarebbe dovuti opporre in massa alla riforma fiscale voluta da Diocleziano, che voleva approfittare di quella situazione per sfruttare al massimo la rinata attività agricola, imponendo odiose tasse non in rapporto all'effettiva produzione, ma in rapporto alla superficie coltivata e al numero dei coloni, obbligando persino ogni cittadino a restare per sempre legato alla propria "gleba" (pezzo di terra).

Quando gli imperatori iniziarono ad accettare il cristianesimo, illudendosi di poter risolvere la crisi dell'impero, non si rendevano conto che una contraddizione antagonistica di tipo sociale ed economico non può essere risolta in maniera meramente culturale. Gli imperatori arrivarono a fare la cosa giusta solo sul piano sovrastrutturale, ma saranno i barbari che porranno fine allo schiavismo, all'economia di mercato e al dominio della città sulla campagna.

Resta tuttavia il fatto che l'impero bizantino è durato fino al 1453, mostrando in un certo senso che si potevano creare delle condizioni di vita relativamente accettabili, pur senza l'aiuto dei barbari.

Giustiniano

La Renovatio imperii di Giustiniano fallì nell'Europa occidentale perché egli costatò che concedendo ampi poteri politico-economici alla chiesa romana, questa, invece che sostenere il suo progetto, faceva di tutto per ostacolarlo. Quanto più la chiesa romana riceveva poteri da Bisanzio, tanto più se ne serviva in funzione anti-imperiale e anti-ortodossa.

L'ingenuo ottimismo del monofisita basileus s'incontrò con la disponibilità cattolico-romana al monofisismo, ma non tenne conto che tale chiesa, per affermare il proprio potere politico, aveva necessità di staccarsi dalla rivale chiesa ortodossa.


Introduzione

1. I cinquant'anni di anarchia militare (236-284)
2. L'Impero sotto Diocleziano (284-305)
3. Costantino e la 'conversione' dell'Impero (305-337)
4. La fine dell'unità imperiale
6. Il V sec. in Oriente

Enrico Galavotti

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 11/09/2014