STORIA ROMANA |
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L'IMPERO E IL CRISTIANESIMO3. Costantino e la 'conversione' dell'Impero (305-337)A. La lunga lotta per il potere (305-324)Personaggi della lotta per il potere imperiale
Nel 305, allo scadere cioè dei vent'anni del proprio principato, Diocleziano stabilisce (in linea con le decisioni prese all'inizio della Tetrarchia) di abdicare e porre fine alla propria reggenza, convincendo il suo socio Massimiano (seppur con difficoltà) a fare lo stesso. Tale decisione è da ascriversi con ogni probabilità, oltre che alla stanchezza senile di Diocleziano, anche al bisogno di mettere alla prova la resistenza e la solidità della costruzione tetrarchica. Come sappiamo, tale "prova" si concluderà negativamente, e già nei primi anni dopo l'abdicazione dei due vecchi Augusti sarà visibile a tutti l'impossibilità per i vari contendenti (tra i quali compaiono anche i due 'Cesari mancati': il figlio di Cloro e quello di Massimiano) di mettersi d'accordo sulla distribuzione delle cariche. Da questa situazione deriverà una nuova divisione dell'Impero in regioni indipendenti, ognuna comandata da un proprio capo e in guerra (più o meno esplicitamente) con tutte le altre. Tale condizione di competizione generalizzata avrà termine soltanto con la vittoria finale di uno di essi, cioè di Costantino, e con il ritorno alla soluzione imperiale classica, che prevede un unico capo supremo. Ma la storia di questi anni ci porta una volta di più a fare una considerazione. Il fatto che la Tetrarchia (pur 'moribonda' già nei primi anni dopo il 305) venga costantemente rispolverata e chiamata in causa nei decenni seguenti, ogni qual volta ciò serva a conferire una parvenza di legittimità ai precari equilibri stabilitisi tra i competitori, assieme al fatto della disgregazione pressoché immediata dell'Impero subito dopo l'abdicazione dei due anziani Augusti, dimostrano bene come l'anima più profonda della Tetrarchia si identificasse in realtà proprio con Diocleziano, il quale col suo impegno e la sua volontà ferrea aveva impedito che essa degenerasse e scadesse in poteri meramente particolaristici di tipo militare. Non è dunque un caso che, poco dopo la sua uscita dalla scena politica, ciò avvenga puntualmente. - Eventi principali tra il 305 e il 324 Qui di seguito si cercherà di descrivere gli eventi salienti di questa decennale lotta per il potere. [A tale scopo abbiamo inserito, all'inizio di questo paragrafo, un breve elenco dei personaggi più eminenti di questa competizione.] Nel 305, appena avvenuta la proclamazione dei due nuovi Augusti (Galerio e Cloro) e dei due nuovi Cesari (rispettivamente, Massimino Daia e Severo), Costantino e Massenzio - ovvero i due aspiranti al trono per diritto di nascita, in quanto figli di Cloro e di Massimiano - si ritirano l'uno presso il padre in Britannia, l'altro in Roma (avendo regnato il padre Massimiano, oramai destituito, sull'Africa e l'Italia). Nel 306 Costanzo Cloro muore, e lascia così vacante il posto di Augusto occidentale. Di una tale situazione ovviamente approfitta subito suo figlio Costantino, facendosi proclamare Augusto dalle truppe stanziate in Britannia. Tuttavia Galerio, erede di Diocleziano e quindi capo supremo della Tetrarchia, si oppone a una simile soluzione innalzando alla carica di Augusto Severo (insediato fino ad allora nelle zone sud occidentali come Cesare) ed eleggendo Costantino Cesare occidentale. Nel 307 scende in campo anche Massenzio, il quale appoggiato dai pretoriani e richiamando inoltre il padre Massimiano nell'agone politico e militare, si appropria della corona di Severo ingaggiando contro questi battaglia e sconfiggendolo. Dopo la sua cattura e uccisione, Massenzio regna (assieme a Massimino) sulle zone sud occidentali, pur non essendo tale potere né gradito né riconosciuto da Galerio. L'anno successivo Galerio decide perciò di passare all'attacco e di sfidare Massenzio e Massimiano sul loro stesso terreno. Egli avrà tuttavia la peggio. Questo indurrà lo stesso Diocleziano (che, soddisfatto del suo esilio dorato nel suo palazzo di Spalato, non rimpiange affatto, a differenza di Massimiano, la vita militare e non ha nessuna intenzione di tornare a governare) a intervenire, eleggendo contro gli usurpatori un nuovo Augusto, tale Licinio, cui viene affidato il compito di combattere Massenzio. Licinio però rinuncerà da subito a combattere i suoi avversari, accontentandosi di governare su una ristretta zona balcanica. Ora, tuttavia, anziché quattro, sono cinque i sovrani: Massenzio governa sull'Europa meridionale (di fatto, se non ufficialmente), Costantino su quella settentrionale, Licinio sulle regioni della Pannonia, Galerio sulle restanti zone balcaniche, Daia infine su quelle dell'estremità orientale. In seguito a dissapori esplosi tra Massenzio e Massimino, quest'ultimo verrà costretto a fuggire dall'Italia e cercherà rifugio presso Costantino, il quale tuttavia lo farà imprigionare e lo costringerà al suicidio (310). Nel 311 muore anche Galerio; ma, poco prima di lasciare il mondo, egli decide (forse per paura della divina collera) di revocare quegli editti di persecuzione verso i cristiani che lui stesso aveva promulgati nel 303 e che avevano dato inizio a un nuovo periodo di persecuzioni. Nel 312 finalmente, dopo un lungo periodo di preparazione, Costantino ingaggia battaglia contro Massenzio, sconfiggendolo presso il Ponte Milvio e divenendo in tal modo l'unico imperatore delle zone occidentali - primo passo verso la realizzazione di un progetto più ambizioso: la conquista anche dei territori orientali. Nel 313 Costantino tenta un avvicinamento politico a Licinio, con il matrimonio di quest'ultimo con sua sorella Costanza, e con la promulgazione comune presso Milano di un editto di tolleranza religiosa, teso essenzialmente a sospendere ogni ostilità da parte dello Stato romano nei confronti delle comunità cristiane (editto che riprende e sviluppa quello, del 311, di Galerio). Ma questa decisione non è casuale: a partire dalla battaglia del Ponte Milvio infatti, si ha notizia di una conversione di Costantino al Cristianesimo, un evento che - seppure non meramente politico, in quanto riguarda anche la sfera delle convinzioni personali dell'Imperatore - prelude a una nuova alleanza tra lo Stato e la Chiesa cristiana, e avrà per il futuro dell'Impero conseguenze di enorme portata. Sempre nel 313 Massimino Daia, reagendo a quella che sente - e non a torto - come una rottura degli equilibri politici a proprio sfavore, attacca Licinio. Sconfitto presso Adrianopoli, egli lascerà così l'Impero nelle mani di due soli reggenti, Licinio e Costantino appunto. Data inoltre l'ambizione di quest'ultimo, è certo che una tale situazione non possa essere considerata definitiva. Tuttavia, non è negli interessi di nessuno dei due contendenti, per il momento, combattersi reciprocamente. Per tale ragione, l'ostilità tra i due sarà rimandata di qualche anno, e si manifesterà a più riprese nel 316, nel 319 e nel 324. Fino al 316, varrà nell'impero una sorta di "pace tetrarchica", quella nata nel 313 a Milano con l'accordo e il matrimonio tra Costanza e Licinio Liciniano. Le ambizioni di Costantino sulle zone orientali però, sono già manifeste, come si può arguire dai seguenti aspetti della sua politica: a) prima di tutto la sua linea filo-cristiana, volta a compiacere le regioni a est e a fare in esse grandi proseliti (si ricordi che le comunità cristiane d'Oriente sono da sempre meglio organizzate e più agguerrite di quelle d'Occidente, e per tale ragione anche più problematiche per lo Stato, quindi anche oggetto di maggiori vessazioni e maltrattamenti); b) in secondo luogo l'opera di propaganda dinastica in proprio favore, secondo la quale egli sarebbe un discendente diretto dell'Imperatore Claudio il Goto, e come tale avrebbe diritto di governare sull'Impero nella sua interezza! Nel 316 si ha così la prima avvisaglia dei futuri conflitti tra i due Augusti. Nel corso di una battaglia Costantino si appropria di parte dei territori balcanici del suo avversario, volgendo in proprio favore la situazione. Ma sarà sul piano della propaganda religiosa che si giocherà la carta decisiva e finale del conflitto. Costantino difatti accuserà (ingiustamente!) il proprio nemico di portare avanti una politica persecutoria nei confronti della Chiesa cristiana, e si proporrà così come difensore dei cristiani orientali. La guerra vera e propria poi scoppierà nel 323, concludendosi l'anno seguente. Pretesto di essa, sarà un'intromissione momentanea di Costantino nei territori di Licinio a fini puramente difensivi (egli infatti sta combattendo una guerra contro i Goti). Nel 324 infine, Licinio subirà la sconfitta definitiva presso Crisopoli, e verrà costretto dal vincitore a ritirarsi a vita privata, per poi essere assassinato l'anno seguente. In questo modo, Costantino diviene Imperatore unico di Roma e può dare inizio a una nuova fase della sua storia: l'ultima, quella cristiana. B. Costantino e la Chiesa Al di là degli aneddoti e delle leggende sulla conversione dell'Imperatore (la quale pare sia avvenuta, se non alla vigilia, quantomeno nel periodo della guerra contro Massenzio), al di là del problema posto dalla sincerità di tale vocazione religiosa (che oggi si tende a non escludere, anche data l'indole emotiva e superstiziosa di Costatino), è comunque un fatto indiscutibile che scegliendo d'abbracciare la fede cristiana Costantino compie un passo le cui implicazioni sul piano organizzativo e politico saranno, nei decenni seguenti, enormi. Prescindendo di nuovo dagli aspetti personali della scelta religiosa, da un punto di vista meramente storico si vede come, nelle mani dell'Imperatore d'Occidente, la chiesa cristiana divenga da subito un mirabile strumento politico, e ciò sia a breve termine (costituendo - come si è appena visto - un eccellente mezzo di propaganda politica anti-orientale), sia sui tempi lunghissimi (dal momento che tale sodalizio segnerà per Roma una svolta epocale dal punto di vista religioso, culturale e organizzativo). - La Chiesa in Oriente e in Occidente Si è detto nel paragrafo precedente, che le accuse di persecuzioni ai danni delle comunità cristiane rivolte da Costantino a Licinio siano fasulle e del tutto strumentali. Anche se ciò è vero, esse tuttavia non contengono solo menzogne. Nonostante difatti tali addebiti amplifichino molto la realtà della situazione, si può scorgere in essi anche un nucleo di verità. Da sempre infatti nelle regioni orientali (nelle quali peraltro il culto cristiano ha avuto origine) le comunità cristiane sono meglio organizzate e più agguerrite, ragion per cui anche l'azione repressiva dello Stato nei loro confronti è in linea di massima più profonda e radicale. Sebbene - dopo gli editti di Galerio e di Costantino - non si possa più assolutamente parlare di vere e proprie persecuzioni nei confronti delle comunità cristiane, è un fatto comunque che da parte di Licinio e di Massimino Daia permanga verso di esse un atteggiamento di maggiore diffidenza che in Occidente, e che i due Imperatori orientali portino ancora avanti misure che, in qualche misura, cercano di scoraggiare e di ostacolare le riunioni e le attività di tali comunità. Tale politica - che, lo ripetiamo, non si può certo definire persecutoria - sarà in ogni caso un valido pretesto per aggredire militarmente Licinio, presentandosi Costantino come difensore della causa cristiana. D'altra parte, è sempre la minore conflittualità tra Stato e Chiesa d'occidente, a rendere in questi territori più facile (anche se non inevitabile né necessaria) una loro riunificazione! Tuttavia sarebbe un errore anche credere che, all'indomani della conversione imperiale al Cristianesimo, l'Impero subisca una svolta repentina e totale verso questo nuovo culto. E' chiara difatti la volontà di Costantino di rispettare molte delle antiche usanze pagane (conservando ad esempio la carica di Pontifex Maximus), così come è certo che da un editto di tolleranza verso i Cristiani non si passa - quantomeno subito - a un editto di tolleranza verso i pagani. Abilità di Costantino, il quale dimostrerà durante tutto il suo regno di possedere vere doti di stratega e di politico, sarà quella di portare avanti un processo graduale di conversione, anche attraverso misure che favoriranno l'affermazione sociale della nascente Chiesa cattolica. - Costantino "tutore" della Chiesa cristiana L'alleanza tra Stato e Chiesa (alleanza a fini politici e di governo) richiede tuttavia che quest'ultima si organizzi in modo da diventare sempre di più una realtà unitaria, cioè priva di divisioni interne - specialmente laddove queste ultime implichino contrasti violenti e conflitti inconciliabili. Ciò di cui l'Impero ha infatti bisogno è, nella visione di Costantino, una Chiesa universale che funga da complemento e da collante culturale e sociale per un Impero universale! E inoltre, egli sa fin troppo bene che il permanere di dissidi nella Chiesa fungerebbe da deterrente nei confronti di essa, favorendo in più le critiche dei suoi detrattori. Per tali ragioni, è nell'interesse di Costantino cercare di appianare - in veste di Imperatore e di capo supremo dell'Impero - le dispute che nascono in seno alla Chiesa. Inoltre, con tali azioni di pacificazione, egli si pone implicitamente come il "tutore" stesso dell'istituto ecclesiastico, affermando quindi il proprio potere su di esso (e dando vita così a una politica che nei prossimi anni si affermerà sempre di più, quella cesaro-papista). Eventi fondamentali di questa politica di mediazione e di conciliazione saranno sia l'intervento nelle dispute sulle dottrine donatiste (313, nelle regioni africane), sia quello nelle dispute - i cui effetti sono ancora più gravi - sull'arianesimo (325, in Oriente). In entrambi i casi vediamo una posizione forte (che in futuro dovremo definire 'cattolica') scontrarsi con un'altra, la quale nel primo caso è caratterizzata da un atteggiamento di fondo decisamente integralista (i donatisti difatti negano che coloro i quali, al tempo delle persecuzioni, hanno ceduto alle minacce dell'Impero, abbiano ancora il diritto di far parte della Chiesa), e che nell'altro caso invece (la dottrina ariana) nega la natura divina di Cristo. Bisogna notare inoltre come fine di Costantino non sia tanto l'affermazione di una o di un'altra tesi teologica, quanto la pacificazione dei dissidi e attraverso essa il ritorno della Chiesa nell'ordine e nella legalità. In questi anni, poi, vediamo affermarsi e consolidarsi alcuni di quei dogmi che in futuro costituiranno lo spartiacque tra i cattolici e gli eretici. Una prova evidente di tale atteggiamento 'pragmatico' dello Stato nei confronti dei dogmi di fede, la sia ha se si considera la vicenda che sta alla base della conversione dei popoli Goti al Cristianesimo. In essa, infatti, non si esiterà a favorire l'eresia ariana, come unico strumento efficace al fine di ottenere la conversione di tali popoli. Il che ci fa riflettere inoltre in merito al ruolo unificatore e pacificatore che la Chiesa comincia a assolvere in questi anni, all'interno dell'orizzonte sempre più variegato e tormentato dell'Impero romano. - Provvedimenti sulla Chiesa Come si è detto, Costantino cercherà in molti modi di favorire l'affermazione a tutti i livelli delle comunità cristiane, attraverso quella delle istituzioni ecclesiastiche. Questi i provvedimenti più importanti in favore di esse: a) la concessione dell'immunità fiscale ai chierici (in seguito parzialmente revocata); b) la possibilità giuridica del ricorso al tribunale ecclesiastico nei casi dubbi e oggetto di contestazione (il che favorisce un alleggerimento del lavoro per i tribunali dello Stato); c) la concessione dei trasporti gratuiti per le più alte gerarchie ecclesiastiche (equiparate da questo punto di vista all'alta burocrazia imperiale). Si afferma infine, l'usanza da parte della corte imperiale e della nobiltà cristiana, di fare elargizioni e donazioni in favore della Chiesa (cosa che ne aumenterà la ricchezza e il potere economico e politico). C. Le riforme amministrative, politiche e finanziarie di Costantino Ma oltre a tali aspetti di carattere religioso e rivoluzionario, nell'azione di Costantino si trovano anche dei provvedimenti tendenti a sviluppare l'idea di organizzazione imperiale promossa precedentemente già da Diocleziano. Ovviamente, rispetto a quest'ultimo, egli rinunzia alla concezione tetrarchica del potere, portando avanti comunque quelle idee in merito alla gestione imperiale, che mirano a rafforzare i poteri centrali dello Stato, a scapito di quelli particolaristici. Egli continua cioè nel processo di formazione dello Stato Assoluto, a scapito delle forze particolaristiche e locali dell'Impero, in modo tale da concentrare i poteri decisionali esclusivamente nelle mani delle alte sfere statali, e in modo che la sottomissione dei sudditi e soprattutto degli eserciti a queste ultime sia più rigidamente garantita e tutelata che in passato. Riguardo agli eserciti, Costantino prosegue nell'incremento dei reparti mobili alle dirette dipendenze dello Stato; ma prosegue anche nella pratica del vincolamento professionale (che oramai si estende non solo ai mestieri più umili, ma anche a quelli più alti - come ad esempio quelli concernenti le cariche pubbliche che, pur prestigiose, sempre più spesso divengono troppo onerose, anche per i cittadini ricchi). Importante è poi la riforma monetaria, con l'introduzione di una nuova moneta: il 'solidus aureus', interamente in oro e dotata perciò di un forte potere d'acquisto e di una notevole stabilità. Demerito di essa sarà tuttavia la scarsa - o nulla - accessibilità ai ceti medi e bassi, la quale contribuirà ad aumentare ulteriormente il divario tra ricchi e poveri. Tuttavia, nella visione di Diocleziano, ciò non costituisce affatto un problema primario, dal momento che una delle tendenze della sua politica consiste nell'affidare la sorte di questi ultimi alle pratiche assistenzialistiche della Chiesa (la quale, attraverso questa attività, trova un potente strumento di affermazione sociale). D. La nascita di Costantinopoli A coronamento della grande trasformazione dell'Impero da lui stesso inaugurata, ma anche della tendenza dei sovrani - in atto oramai da decenni - a disinteressarsi alla capitale storica, Roma [si ricordi, per esempio, che Diocleziano l'ha visitata solo una volta nel corso del suo mandato], Costantino fonderà e inaugurerà tra il 324 e il 331 una nuova città, Costantinopoli, seconda capitale - e a prevalenza cristiana - dell'Impero. Posta in un punto strategico (laddove cioè sorgeva la vecchia città di Bisanzio, collocata in un punto di snodo tra le zone d'Oriente e quelle d'Occidente), essa diverrà in futuro la capitale dell'Impero Bizantino, il quale sopravvivrà per più di mille anni al suo 'gemello' occidentale. CONCLUSIONI (236-337) I cento anni che abbiamo qui analizzato conoscono essenzialmente due fasi distinte. - In una prima fase (236-284), il progressivo spostamento dei pesi politici nelle mani delle milizie (avvenuto soprattutto a partire dal principato di Settimio Severo) porterà l'Impero a un passo o quasi dalla dissoluzione, in quanto le forze centrifughe in esso presenti - che si identificano principalmente con gli eserciti locali - non troveranno più nell'autorità centrale dello Stato un efficace deterrente e un adeguato contrappeso. Saranno gli sforzi eroici di imperatori quali Gallieno e Aureliano a impedire che questo movimento disgregativo giunga alle sue estreme conseguenze, determinando così la fine dell'Impero stesso. - In un secondo periodo (284-337) le forze centralistiche dello Stato torneranno ad avere la meglio su quelle particolaristiche e militari, ma a prezzo di assottigliare ulteriormente la libertà d'azione dei cittadini (e in primo luogo, ovviamente, quella degli eserciti). In tal modo, l'Impero romano perderà per sempre quei connotati politici che lo legano alla tradizione occidentale - vale a dire, almeno in un certo grado, il pluralismo e la partecipazione assembleare -, qualità dalle quali fino ad allora esso era stata caratterizzato, avvicinandosi sempre di più a uno Stato assoluto di matrice orientale. In entrambi questi periodi inoltre, si assiste alla demolizione di quell'antica concezione del potere imperiale d'origine augustea, basata anche sul principio della concertazione politica tra le parti sociali, per la quale quello dell'Imperatore non era ancora un governo di tipo pienamente autocratico. Il declino dell'Impero romano, difatti, porterà con sé anche quello di tutte quelle forze che fino ad allora avevano avuto un peso politico sulle decisioni del princeps: sia cioè delle antiche istituzioni d'origine repubblicana, quali il Senato (fino ad allora rimaste attivamente al fianco delle più giovani istituzioni imperiali), sia di quei ceti commerciali, finanziari e affaristici che, nel periodo di maggiore fortuna dell'Impero, costituivano ancora una componente irrinunciabile della vita sociale e politica di esso. A guida di un tale Stato, infatti, si porranno fondamentalmente da una parte l'Imperatore e la sua corte, e dall'altra gli eserciti. Introduzione1. I cinquant'anni di anarchia militare (236-284)
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- Stampa pagina Aggiornamento: 11/09/2014 |