STORIA ROMANA


LE OPPOSTE STRATEGIE DI DIOCLEZIANO E COSTANTINO

I - II - III

Diocleziano (Villa Doria-Pamphili, Roma)

Ci si può chiedere se la parte orientale dell'impero romano, quella che durò sino al 1453, sia esistita per altri mille anni grazie all'apporto del cristianesimo o per tutt'altre ragioni. Se fosse stato solo per l'apporto del cristianesimo, non si capisce perché non abbia resistito all'avanzata dei Germani anche la parte occidentale dell'impero.

Costantino, esattamente come Diocleziano, voleva governare senza i lacci e lacciuoli del Senato, senza dover rendere conto alle istituzioni dello Stato (1): come lui era un perfetto autocrate, con la differenza che riuscì nel suo intento, mentre l'altro, che pur impostò le basi delle riforme amministrative e militari che Costantino andò a completare, vide fallire tutti i suoi progetti politici ed economici, a partire da quello della tetrarchia. Perché?

Diocleziano non fu quell'uomo crudele che la storia ci ha tramandato: certamente fu severo, autoritario, ma anche onesto, fedele ai propri impegni. Quale imperatore s'è mai dimesso spontaneamente dalla propria carica, nel pieno delle proprie funzioni, solo per tener fede a una regola stabilita preventivamente? E Costantino, che la tradizione ci ha voluto far ricordare come un santo, non fu forse più spietato di lui?

Diocleziano non era neppure un anticristiano in senso ideologico. Nella fase iniziale del suo principato non aveva intenzione di compiere alcuna persecuzione, ritenendo prioritarie ben altre riforme; vi consentì solo per le pressioni di Galerio, che vedeva nei cristiani un avversario politico della teocrazia imperiale e della centralizzazione statuale (la prima per giustificare la seconda).

Costantino invece fu più astuto, e là dove i suoi predecessori vedevano un problema, lui seppe vedere un'opportunità. Capì cioè che per poter far meglio l'autocrate, doveva diventare "cristiano". In realtà non si convertì mai, ma volle emanare un editto che permetteva la piena libertà di culto a qualunque confessione (e persino la restituzione dei beni confiscati ai cristiani). Quello fu l'unico momento in cui lo Stato, in materia di religione, si dichiarò in sostanza "laico", cioè indifferente all'atteggiamento personale che un cittadino poteva avere verso la questione religiosa. Infatti, già col successivo Concilio di Nicea, presieduto da lui stesso, si posero le basi del confessionismo di stato, in quanto si bandì dall'impero l'arianesimo, giudicato eretico. Poi con Teodosio si tornò ufficialmente alla religione di stato, questa volta però non più pagana ma cristiana.

Costantino, come Diocleziano, seppe tenere il Senato sottomesso, ma, a differenza di quello, permise al cristianesimo di esprimersi liberamente. Le conseguenze furono opposte: con Diocleziano il Senato poté continuare a tramare, con Costantino non vi riuscì, perché la forza della chiesa era troppo forte. Alla morte dell'uno il Senato fece in modo di far saltare le sue riforme; alla morte dell'altro fu la stessa chiesa romana che cercò di approfittarne per rivendicare un proprio potere politico superiore a quello dello stesso Senato. Tra l'uno e l'altro si decide il destino dell'impero.

Quando Costantino trasferì la capitale a Bisanzio, in maniera definitiva, facendo capire a Roma che in questa città non vi avrebbe mai messo piede, si costruì un Senato a proprio uso e consumo. Perché questa cosa funzionò a Bisanzio e non a Roma, con Diocleziano, che pur vi entrò solo alla fine della sua carriera politica?

Anzitutto va detto che fino a Diocleziano lo spostamento del centro vitale dell'impero, Roma, verso alcune città, come p.es. Milano, Nicomedia, Treviri, Sirmio, era stata interpretata dal Senato romano esattamente come quando era avvenuta coi precedenti imperatori, cioè come un'esigenza dettata da questioni di ordine militare, che non mettevano necessariamente in discussione la centralità politica (almeno formale) dello stesso Senato. I senatori continuavano a beneficiare di ampi privilegi.

Solo quando essi s'accorgono che con l'abolizione della divisione territoriale dell'impero, decisa tre secoli prima da Augusto, tra province senatorie e imperiali, Diocleziano aveva intenzione di diventare, in nome dell'unità dell'impero e della sua salvaguardia dalle invasioni straniere, l'unico vero arbitro politico, decidono di assumere un atteggiamento disfattista e gli boicottano tutte le riforme. I senatori da tempo non avevano più un potere effettivo, politico-militare, però riescono lo stesso a intervenire efficacemente quando i loro interessi rischiano di essere seriamente minacciati; tant'è che subito dopo le dimissioni di Diocleziano la tetrarchia va in crisi, e Costantino capì subito che se voleva eliminare gli intrighi del Senato doveva ripristinare la monarchia assoluta di un solo principe, trasferendo definitivamente la capitale a Bisanzio e cercando nella chiesa cristiana il consenso di cui aveva bisogno. Solo quando la chiesa s'accorse che il trasferimento a Bisanzio era davvero definitivo, cominciò a pensare che forse nella parte occidentale dell'impero essa avrebbe potuto sostituirsi allo stesso Senato e forse allo stesso imperatore.

E' probabile che le persecuzioni anticristiane dei tetrarchi servissero non solo a requisire beni di valore e a dare una caratterizzazione ideologica allo Stato centralista, ma anche a creare quel clima di terrore che persino i senatori avrebbero dovuto respirare. Non dimentichiamo che Diocleziano volle creare una propria amministrazione i cui burocrati potevano provenire da qualunque categoria sociale, ed essi, proprio perché funzionari imperiali, avevano gli stessi titoli e gli stessi privilegi dei senatori, e forse anche di più, visto e considerato che rendevano conto solo alle figure imperiali.

Probabilmente Diocleziano aveva messo come regole le dimissioni automatiche dopo un ventennio di governo, al fine di togliere al Senato il pretesto d'intervenire mestando nel torbido. In fondo era un ingenuo idealista, e non si sarebbe mai aspettato che dopo quel gesto senza precedenti storici, l'impero ripiombasse nuovamente in un'assurda guerra civile, durata quasi vent'anni (305-323), prima che Costantino vi ponesse termine. Quello che lui aveva costruito in un ventennio era stato distrutto dal Senato nel ventennio successivo. Quali conclusioni poteva trarre Costantino?

Una sola, molto semplice e dolorosa: Roma andava completamente sostituita da un'altra capitale, i cui senatori e funzionari (civili e militari) permettessero all'imperatore di governare con un consenso sicuro, basato sul cristianesimo, e fu scelta Bisanzio. Dopodiché Costantino poté riprendere le riforme amministrative e militari di Diocleziano, riconoscendone il valore strategico, e cercò di completarle per tutto l'impero.

Costantino morì nel 337, a 64 anni, mentre stava preparando una missione contro i Persiani, che di tutti i cosiddetti "barbari" erano quelli che combattevano meglio. Finché lui restò in vita non ci furono invasioni straniere, anzi, dopo aver sconfitto Goti e Sarmati, cercò di federare quest'ultimi all'impero permettendo di accedere ai ranghi dell'esercito romano e di stanziarsi lungo i confini contro altri "barbari". La stessa cosa era già stata fatta da Diocleziano.

Dopo la morte di Costantino (che senza l'appoggio indiscusso dei militari non avrebbe potuto far nulla, come d'altra parte Diocleziano), si ripiombò nel caos, grazie alle mene del Senato romano, che riuscì addirittura a mandare sul trono il neopagano Giuliano l'Apostata (361-63), senza rendersi conto che il paganesimo aveva fatto il suo tempo.

Anche dopo l'effimera sceneggiata di Giuliano, il Senato, che pur cominciò a rassegnarsi all'importanza del cristianesimo, non volle accettare l'idea di non poter mandare al governo degli imperatori ariani, che appunto in quanto ariani non permettevano alla chiesa di aver alcun peso politico. Fu solo sotto Teodosio (379-95) e Graziano (375-83) che il Senato dovette definitivamente rinunciare sia al paganesimo che all'arianesimo, anzi dovette addirittura accettare che l'unica religione ammessa fosse quella cristiana "ortodossa" (secondo l'Editto di Tessalonica del 380).

A quel punto sembrava che per lo Stato cristiano assolutista non dovessero esserci più nemici interni. Invece l'occidente non ne voleva sapere di lasciare il testimone alla parte orientale. E chi cominciò a opporsi a una gestione "bizantina" dell'impero fu questa volta la stessa chiesa romana, che già col vescovo Ambrogio, ai tempi di Teodosio, pretendeva un'obbedienza di tipo politico. Il "nemico interno" per l'imperatore non era più il Senato di Roma ma la Chiesa di Roma, la quale si sentiva "erede", se non legittima, almeno "naturale", degli imperatori d'occidente e quindi prima sede ecclesiastica dell'ecumene cristiano.

Questa opposizione fu fatale alle sorti dell'area occidentale dell'impero, perché la indebolì enormemente nei confronti delle popolazioni che premevano sui confini. Questa parte dell'impero non crollò tanto sotto la pressione dei Germani, quanto piuttosto a causa delle proprie interne contraddizioni.

(1) Il primo imperatore che non cercò il consenso formale del Senato per la sua carica, voluta dai militari, fu Caro nel 282.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 11/09/2014