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Il narratore e il personaggio
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Anche dal punto di vista tematico La vita interiore è in diretto
rapporto con Gli indifferenti, ed è stato proprio Moravia a parlarne in
alcune fra le sue più preziose indicazioni di autore reale, almeno finora
abbastanza trascurate, così mi pare, dalla critica.
Nella Breve Autobiografia letteraria, che apre il volume Opere 1927/1947 (58), egli afferma che "La vita interiore si ricollega a Gli indifferenti [...] in quanto risolve un problema che ne Gli indifferenti era rimasto insoluto", e prosegue così: |
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Un problema molto in voga nella letteratura degli inizi del secolo: il problema del rapporto con il reale attraverso l'azione e poi della giustificazione morale dell'azione. Questo problema, naturalmente, è sempre esistito ma Dostoevskij che, in qualche modo, è stato uno dei miei maestri, l'ha posto con grande precisione e lucidità ne I fratelli Karamazov: "Se Dio non esiste, tutto è possibile", intendendo con questo che senza una giustificazione superiore e assoluta, l'azione diventa gratuita e insensata, cioè praticamente impossibile. [...] Bisogna notare [...] che il problema della giustificazione assoluta dell'azione si configura fin dal principio come problema della giustificazione dell'omicidio: la vita umana è la pietra di paragone suprema. Ora, ne Gli indifferenti c'è lo stesso problema anche se i termini sono rovesciati: "Se non c'è una giustificazione assoluta, niente è possibile". [...] Il giovane Michele vorrebbe uccidere l'uomo che è l'amante al tempo stesso di sua madre e di sua sorella. Ma, essendo indifferente, cioè privo di una giustificazione assoluta, dimentica di caricare la pistola. [...] ne La vita interiore la pistola spara e uccide. E spara e uccide perché la protagonista, Desideria, ha una "voce" (presa in prestito dagli interrogatori di Giovanna d'Arco ma che, in realtà, è il "super ego" di Freud) che la consiglia e la dirige.
Ritroviamo qui da un punto di vista tematico la lezione di Dostoevskij, ma soprattutto: centralità, autonomia, funzione del personaggio acquistano uno spessore contenutistico ed ideologico, mentre si affaccia una problematica che non poteva essere ignorata da chi aveva considerato Dostoevskij come proprio 'maestro': la problematica della rivolta e dell'acte gratuit (59).
Dunque, il modo in cui Moravia sin dall'inizio pose il problema della crisi del rapporto fra individuo e realtà, problema che, si può dire, costituisce il grande tema di tutta la sua narrativa, ha come perno l'azione, il dramma, in modo coerente con la forte simpatia dello scrittore per il teatro.
Più che puntare sulla vita della coscienza e sull'annullamento del personaggio, Moravia punta sul valore di testimonianza del personaggio ed in particolare sul suo tentativo di agire, di compiere qualcosa che - si potrebbe dire da un punto di vista metanarrativo - valga la pena di essere narrato (60).
L'azione tuttavia - in particolare nella sua manifestazione estrema: l'omicidio - ha bisogno di una motivazione, di una giustificazione assoluta (61): perché il personaggio deve agire ed eventualmente uccidere, per raggiungere quale fine, secondo quali parametri, secondo quale visione del mondo?
Ne Gli indifferenti questa problematica si incarna e si sdoppia nei personaggi di Michele e della sorella, Carla. Michele si propone di uccidere Leo Merumeci, l'amante della madre e di Carla, ma non riesce a farlo, non riesce ad agire perché 'indifferente', cioè privo di una ragione assoluta d'azione (62).
Tale 'indifferenza' è segno di una rivolta impotente (63) nei confronti della realtà circostante, che è essenzialmente la realtà della sua famiglia (64), ed è segno di mancanza di una fede, di una visione del mondo alternativa a quella di casa Ardengo. Per uccidere Merumeci, Michele avrebbe dovuto avere come ragione assoluta proprio quella della famiglia borghese, che a lui - nei modi ipocriti in cui la vede realizzata - appare inaccettabile perché falsa. Di qui l'ironia e la freddezza del personaggio, la sua funzione critica che si concretizza proprio nella sua incapacità di agire (65).
Anche Carla è mossa da ribellione nei confronti della realtà familiare (66), e riesce ad agire, cioè accetta il rapporto erotico con Leo, non tuttavia in nome di una ragione assoluta, in nome di una fede alternativa, ma spinta da un impulso oscuro, distruttivo, che le fa desiderare di creare uno scandalo, di finirla in qualche modo con quella realtà (67).
Paradossalmente però l'azione porterà il personaggio non a finirla con quella realtà, ma ad integrarvisi: Carla sarà come la madre, anzi di più: diventerà la moglie di Leo, istituzionalizzerà, regolarizzerà, per così dire, con il matrimonio la posizione di amante della madre (68). L'atto di Carla è un acte gratuit, "die Auflehnung eines einzelnen gegen eine Mehrheit und gegen eine Realität" (69), "Akt einer isolierten Person, die in einer anarchistischen Revolte in einer individuellen Form sich befreien will" (70), un atto destinato naturalmente a fallire (71). (Per una analisi de Gli indifferenti si veda Il bisogno di personaggi e la tragedia impossibile)
Il rapporto con il reale filtrato dall'azione si connota come rapporto antagonistico, caratterizzato da un atteggiamento di rivolta nei confronti della realtà. Carla e Michele - come gli 'eroi' di Pirandello (72) - si ribellano agli schemi imposti dalla realtà ed oscillano fra 'indifferenza' e cieca ed inutile rivolta. L'indifferenza si rivela incapacità di agire, rivolta impotente priva di azione, l'azione d'altra parte si rivela cieca, autodistruttiva, inutile.
Tale problematica assume uno spessore particolare quando l'ambiente in cui il personaggio si muove non è la famiglia ma un regime totalitario.
Vi è un'osservazione di Zima che merita di essere riportata. Dopo aver notato che Leo Merumeci "verkörpert" ne Gli indifferenti "das indifferente Marktgesetz [...], das alle Wertunterschiede und Ideologeme negiert", aggiunge:
Man stelle sich aber einen Roman vor, in dem Leo Merumecis Position von einem mächtigen Parteiapparat (oder Parteiideologen) eingenommen wird. Auch ihn hätte sich der im bürgerlichen Geplauder aufgewachsene, gleichgültige und charakterschwache Michele unterworfen: nicht aber um sich für Monatsrente zu verkaufen, sondern um für eine bestimmte Ideologie und deren manichäische Gegenstände zu agieren. (73)
Secondo Zima questo "Übergang von der Gleichgültigkeit zum Konformismus" è rappresentato dal romanzo Il conformista (1951). E' questa un'osservazione di notevole rilievo critico, che tra l'altro ha il merito di rivalutare ed inserire pienamente nel continuum di Moravia un romanzo molto sottovalutato dalla critica (e dallo stesso autore), appunto Il conformista.
Ciò che qui mi preme rilevare è che vi è un'altra opera, prima de Il conformista, che segna una tappa importante nell'itinerario di Moravia: La mascherata (per un'analisi de La mascherata si veda La modellizzazione del totalitarismo). Anche perché è soprattutto - anche se non solo, naturalmente - nella fase più cupa del periodo fascista (verso la fine degli anni Trenta e gli inizi degli anni Quaranta, La mascherata è del 1941) che la problematica letteraria dell'azione del personaggio si incontra con il particolare impegno "contro voglia" di Moravia, la ribellione del personaggio, creato dall'artista, si incontra con la ribellione dell'intellettuale Moravia: tra cittadino e scrittore si crea ora un dialogo particolare.
Quando Moravia pubblica nel 1941 il romanzo breve La mascherata (74), i suoi rapporti con il fascismo sono diventati ormai molto critici (75), e La mascherata difatti è una satira del fascismo, esprime il desiderio dell'autore di scrivere qualcosa contro il regime (76).
Ma non è solo questo. Il romanzo è ambientato in un'immaginaria nazione centro-americana. Il potere è nelle mani del dittatore Tereso. La dittatura è evidentemente 'di destra' ed allude al fascismo, nel dittatore è adombrato Mussolini. Il nucleo dell'azione ruota intorno ad una provocazione, un finto attentato a Tereso organizzato dal capo della polizia. La responsabilità dell'attentato dovrà ricadere su un rivoluzionario tanto estremista quanto sprovveduto, Saverio.
L'ambiente in cui il personaggio si trova ad agire è, ora, un regime totalitario e le ragioni per cui egli agisce sono costituite da un'ideologia. La coppia Michele-Carla, infatti, è ne La mascherata la coppia Saverio e il fratellastro Sebastiano (77). Questi disprezza la dittatura e disprezza le masse che ritiene in parte responsabili della dittatura, ma, come Michele, rifiuta l'azione; Saverio, come Carla, agisce, e come Michele si propone di uccidere: appunto il dittatore.
Questa volta, però, il personaggio ha una ragione assoluta per cui agire: un'ideologia rivoluzionaria, populista 'di sinistra', settaria, 'pura', che sembra alludere all'ideologia marxista, così come veniva recepita dal Partito comunista italiano nel periodo della così detta "vigilanza rivoluzionaria" (78).
Sicché la trasparente satira di una dittatura reazionaria (fascista) e di una possibile dittatura rivoluzionaria (comunista, ma sarebbe meglio dire stalinista) da una parte pone una questione che sarà spesso al centro dell'attenzione dello scrittore: quella dell'ideologia fideistica, su cui si dovrebbero fondare l'azione e la testimonianza del personaggio; dall'altra parte richiama alla mente le parole con cui Moravia ha parlato dei problemi nei quali in quegli anni un antifascista, stretto fra fascismo, 'imperialismi democratici' e stalinismo, si dibatteva (79). |
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Ne La mascherata, dunque, il problema letterario dell'azione del personaggio si incontra con i problemi dell'intellettuale antifascista che si interroga sulle possibili alternative al fascismo, sui motivi ideologici su cui dovrebbe fondarsi l'attività antifascista.
L'azione di Saverio tuttavia, come quella di Carla, è inutile, e non solo perché la bomba non uccide il dittatore, né solo perché Saverio è in realtà un mezzo nelle mani del provocatore - così come in un certo senso Carla era un mezzo nelle mani di Leo - (80), ma soprattutto perché ciò che accadrebbe se persone come Saverio ottenessero il potere, viene mostrato da Moravia in un raccontino scritto nello stesso arco di tempo: Mamamel e Vusitel (81).
Vi si narra di due paesi limitrofi, appunto Mamamel e Vusitel: nel primo regnano i morti, nel secondo quelli che non sono ancora nati, nel primo conta più il passato del futuro, nel secondo più il futuro del passato, in entrambi il presente non conta nulla. Di fatto gestiscono il potere due caste burocratiche: a Mamamel quella degli "storici", incaricati di perpetuare gli insegnamenti dei morti; a Vusitel quella degli "indovini", incaricati di interrogare sul da farsi le personalità per il momento non ancora esistenti.
La condizione dei vivi è in entrambi i paesi molto miserabile, e tuttavia, ancora in entrambi i paesi, non c'è delitto più grave che volerla migliorare. I pochi pazzi che si sono azzardati a manifestare in piazza, gridando "Viva il presente!", "Basta con i morti!" o "Basta con l'avvenire!", sono stati chiusi in celle, con applicazioni di docce e camicie di forza, e le poche "persone savie", cioè i pochi intellettuali, che hanno sostenuto le ragioni del presente sono state condannate a morte. I due paesi, tra i quali vi è peraltro uno stato di guerra perpetua, hanno votato di comune accordo una "legge contro il godimento del presente".
Qui la satira di fascismo e stalinismo è ancora più esplicita e definitiva, ed inoltre si chiarisce in questo racconto (e ne La mascherata) la polemica di Moravia contro qualsiasi ideologia (anche, e per certi aspetti soprattutto, l'ideologia marxista, in particolare nella concretizzazione staliniana) totalitaria, che pretenda di spiegare tutta la realtà in modo univoco e lineare, privo di dubbi, e su questa spiegazione pretenda di basare l'azione, un'azione di fatto gratuita così come quella cieca e priva di ideologia di Carla, perché destinata a realizzare un conformismo tanto oppressivo ed inumano quanto quello contro cui si batte.
E' da tali le premesse che dipende il successivo atteggiamento di Moravia, negli anni '42-'45, nell'immediato dopoguerra e poi durante la contestazione studentesca. Antifascismo, impegno (82), simpatia per il mondo popolare, ma al tempo stesso cautela, scetticismo, talvolta aperto rifiuto nei confronti di qualsiasi ideologia normativa, in modo particolare poi se tali norme riguardano l'arte (83); simpatia nei confronti della contestazione studentesca, adesione alle ragioni degli studenti, ma anche critica (84), ed infine rifiuto netto quando "dalla disubbidienza giovanile e amabile della contestazione nacque per filiazione diretta la truce e pedantesca violenza del terrorismo" (85).
Nel terrorismo Moravia vede "una forte carica moralistica, fideistica, parareligiosa" (86), l'annullamento della ragione a favore della fede (87), il ritorno degli aspetti peggiori dello stalinismo (88). Già nel 1953, nelle note su Il comunismo al potere e i problemi dell'arte, egli osservava che "Per i comunisti l'ideologia è la realtà, e quella che la gente comune chiama realtà non è nulla. Se la realtà non dà ragione all'ideologia, tanto peggio per la realtà" (89), e al tempo stesso sottolineava "il persistente carattere religioso assunto dall'ideologia marxista in Russia e nel mondo intero." (90)
Tale ideologia totalitaria, di tipo 'religioso', che sostituisce la mitizzazione e la fede alla conoscenza e alla ragione, che vuole cambiare la realtà con la violenza senza conoscere effettivamente la realtà, è quanto Moravia rileva anche, in parte, nel movimento del '68, e soprattutto nelle contestazioni successive fino al terrorismo (91). Ne La vita interiore tutte queste questioni si incontrano ancora una volta con il problema dell'azione del personaggio: la ragione suprema d'azione è qui un'ideologia impazzita, nella sua più delirante manifestazione: il terrorismo delle brigate rosse.
Desideria, figlia adottiva della ricchissima Viola, mette in pratica, guidata da una "Voce" interiore, un programma di disubbidienza (92) e di dissacrazione. Dissacrazione della proprietà, della religione, della cultura, della vita umana. La ragazza conosce un tale Erostrato che è in contatto con un gruppo eversivo; la "Voce" la spinge a proporre ad Erostrato di rapire Viola.
E' necessario tuttavia aspettare uno dei capi del gruppo. Questo 'mitico' rivoluzionario, che Desideria aspetta con fede 'religiosa' ed al quale vota la sua verginità, di fatto si rivela ad un tempo uno squallido piccolo borghese ed un burocrate stalinista, il quale non solo non prende sul serio il progetto di rapimento di Viola, ma, dopo aver violentato Desideria, è - forse - disposto a portarla nella sua 'pulita' casa d'operaio a fare la casalinga. |
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A questo punto la "Voce", il 'super io' rivoluzionario che guida la ragazza, impazzisce, nel suo delirio non vede altra soluzione che la violenza (93), la spinge a prendere la pistola del giovane, giacché "La pistola è 'sempre' una soluzione" (94): la realtà non ha dato ragione all'ideologia, tanto peggio per la realtà. Insieme con l'amante della madre adottiva, simbolo di una borghesia conservatrice e sadica, la ragazza uccide anche il rivoluzionario che l'ha delusa (95).
Desideria riassume compiutamente in sé Carla e Michele: si ribella come Carla, uccide come avrebbe voluto fare Michele, e al tempo stesso il suo gesto è la massima manifestazione dell'acte gratuit, l'atto gratuito per eccellenza nell'opera di Moravia. E tuttavia è forse qualcosa di più, giacché il doppio delitto è anche una specie di suicidio: segna la scomparsa della "Voce" (96), ed è questa probabilmente l'unica larvata speranza del messaggio di Moravia: la morte definitiva dell'ideologia totalitaria.
Dopo La vita interiore Moravia ha scritto ancora, ma, con ragione, egli ha notato che dopo questo romanzo, "tra i più importanti che ho scritto", in un certo senso la sua narrativa è cambiata (97). Un nuovo impegno, l'unico che "non sembrava 'contro voglia'" (98), l'impegno antinucleare che ha portato lo scrittore nel parlamento europeo, si intreccia con una narrativa nuova e tuttavia caratterizzata, come sempre, dalla ripresa ed espansione di altre antiche tematiche.
Parlando dei saggi contenuti in Impegno contro voglia, Nello Ajello osserva che vi si può cogliere "quel tipico suo [di Moravia] metodo dialogico che si esprimeva in domande che egli faceva a se stesso, a bruciapelo, e in risposte che si dava." (99)
In effetti il metodo dialogico era quello che Moravia privilegiava: esemplare è proprio la Vita di Moravia, autobiografia fondata su un'intervista, oltre al bellissimo Dialoghi confidenziali (100). Il metodo "dialogico" consisteva in pratica nel porsi dinanzi alla realtà con un atteggiamento 'aperto', dialettico, di rispetto, profondamente laico, privo di ideologie precostituite, anticonformista, un atteggiamento cui corrisponde, sul piano artistico, la "contemplazione" cui perviene il protagonista de La noia, che non vuole essere rinuncia aprioristica all'azione, bensì apertura "intellettualistica" (101) nei confronti del reale, rinuncia a qualunque tentativo di spiegare completamente e in modo totale la realtà, e di fondare su ciò l'azione.
Da questo punto di vista la struttura de La vita interiore assume un'importanza notevolissima: l'IO che non agisce, che interroga la realtà, che esprime le sue perplessità dinanzi ad un personaggio talora sicurissimo di sé, senza tuttavia che al personaggio vengano negate dignità, funzione e autonomia, che anzi vengono esaltate, racchiude in sé l'intellettuale e l'artista, è il momento più alto dell'incontro fra cittadino e scrittore: è la risposta dell'intellettuale al terrorismo, in quanto è la rappresentazione dell'atteggiamento "dialogico" opposto a quello "monologico" del terrorismo e di ogni ideologia totalitaria, ed è al tempo stesso la metafora di ciò che l'artista ha cercato di realizzare in tutta la sua carriera di narratore: l'autonomia del personaggio, il fantasma artistico che gli è stato più caro.
Desideria tuttavia conclude il suo racconto e il suo romanzo con queste straordinarie parole (102) (tutt'altro che una "trovata moderna"! [103]):
La tua immaginazione mi ha bruciata, consumata. Alla fine non esisterò più, se non nella tua scrittura, come impronta, come personaggio.
Emerge qui l'aspetto implicitamente metanarrativo che percorre tutto il romanzo e che meriterà ben ampia analisi in altra sede: il personaggio lascia intendere che la sua autonomia è alquanto problematica, giacché destinata comunque a scontrarsi con la fantasia dell'autore, a bruciarsi in essa, in un disperato atto gratuito.
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