TEORICI
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AGOSTINO D'IPPONA (354-430): contro Pelagio I - II - III - IV - V - VI - VII - VIII - IX - X - XI - XII
Impegnato nelle battaglie contro le eresie manichee e donatiste, Agostino, dopo il 410, deve fronteggiare anche il nuovo pericolo dell’eresia pelagiana. Nel prendere le distanze dal suo passato manicheo, Agostino aveva sottolineato la libertà e la responsabilità umana, ma, davanti all’eresia pelagiana si rende conto di quanto sia pericoloso, per un cristiano, mettere troppo l’accento sulle capacità umane di fare il bene e di vincere il male, di quanto le sue tesi filosofiche sostenute nel De libero arbitrio possano dar forza all’eresia. Pelagio è un monaco di origine britannica o irlandese, nato circa negli stessi anni di Agostino. Ha una solida cultura umanistica e un orientamento morale decisamente rigorista (un po’ la versione cristiana del rigorismo stoico). Se Dio chiede all’uomo la perfezione morale, sostiene, è perché lo ha dotato della libertà e della forza per conseguirla. È vero che c’è stato il peccato di Adamo, ma esso non ha compromesso irrimediabilmente la natura umana: pesa sull’umanità come un cattivo esempio non come un male ereditario. E il sacrificio di Cristo illumina la strada del bene. Pelagio predica a Roma, a partire dalla fine del quarto secolo, e il suo rigorismo morale si diffonde soprattutto tra il ceto senatoriale tra i cui membri è più forte l’influenza della cultura stoica. La diffusione della sua eresia viene favorita anche dalla lotta al fatalismo manicheo che mette l’uomo in balìa di forze metafisiche in conflitto. Nel 410, dopo otto secoli esatti dal sacco dei Galli di Brenno (390 a. C.), Roma cade in mano dei Goti di Alarico. Molti aristocratici abbandonano Roma e l’Italia e si rifugiano in Africa. Tra di loro c’è anche Pelagio, che insinua la sua eresia nella comunità guidata da Agostino. Agostino s’impegna in una lunga battaglia dottrinaria nel corso della quale elabora posizioni che, nei secoli successivi, piaceranno molto ai sostenitori del primato della Grazia e della predestinazione divina. La teoria cristiana dell’uomo è infatti caratterizzata, nel corso dei secoli, dalla disputa sul libero arbitrio e sulla Grazia: l’uomo è libero o predestinato? Se si salva, è per merito suo? Se si danna, è per colpa sua? Oppure è condannato per il peccato di Adamo alla dannazione eterna e si salva solo per grazia e predestinazione divina? Tra le due posizioni estreme c’è un ampio ventaglio di posizioni intermedie che si presentano già abbastanza definite ai tempi di Agostino e che saranno ricorrenti nel corso dei due millenni. E’ in ballo, in versione religiosa e cristiana, la questione della libertà dell’uomo, uno dei problemi fondamentali della filosofia, un campo di battaglie senza fine e con esiti ricorrenti.1 Pelagio appare subito molto pericoloso ad Agostino. La sua fiducia nelle capacità umane, derivata dalla sua formazione classica, e il suo rigorismo morale, di origine stoica, rendono superflua la funzione della Chiesa e riducono la figura di Cristo a quella di un maestro perfetto di vita, annullando la sua funzione fondamentale di salvatore divino del genere umano, dannato per il peccato di Adamo. La virtù che Pelagio predica maschera l’antica superbia dell’uomo pagano che conta sulle proprie forze. Agostino vive il tempo in cui il vecchio e il nuovo mondo non si scontrano più frontalmente ma si avvicinano, s’incontrano, lottando per l’egemonia, con effetti ora di paganizzazione del cristianesimo, ora di cristianizzazione del paganesimo. E’ in atto un gigantesco processo di mescolanza culturale. Pelagio paganizza il cristianesimo e Agostino si allarma. Nella lunga battaglia contro Pelagio, nel lungo sforzo di salvare il messaggio cristiano dall’abbraccio mortale con l’umanesimo classico, Agostino esaspera i tratti distintivi del cristianesimo e respinge ogni collusione con quella fiducia nell’uomo della cultura classica, che, pure, aveva valorizzato contro il manicheismo. La creazione divina del mondo e dell’uomo dal nulla e il peccato originale, le due novità bibliche e cristiane che distanziano abissalmente l’orizzonte cristiano da quello classico, vengono sottolineate con forza da Agostino contro Pelagio, insieme al perno dottrinario del cristianesimo: la morte e la resurrezione di Cristo, la seconda persona delle Trinità. La creazione dal nulla rende l’uomo totalmente dipendente da Dio, con possibilità di salvezza solo ancorandosi a Dio. Il peccato originale ha devastato irrimediabilmente la natura umana, rendendola incapace di tornare con le sole sue forze al vivificante rapporto con Dio, se la grazia divina non interviene a ristabilire il rapporto salvifico. La libertà umana, su cui tanto conta Pelagio, è stata irrimediabilmente compromessa dal peccato di Adamo. Non è vero, come sostiene Pelagio, che Adamo ha solo dato il cattivo esempio: ha, invece, corrotto la natura umana. Dopo Adamo l’uomo non è più libero, ha perso la capacità di fare il bene, sa fare solo il male, è diventato massa dannata. Solo la grazia divina può redimerlo, restituirgli la libertà, la possibilità di fare il bene. Ma la grazia è grazia, è gratuita, non è un diritto dell’uomo né una necessità per Dio. “Operibus enim debitum redditur, gratia gratis datur; unde etiam nuncupatur. Alle opere infatti si rende il dovuto, la grazia è concessa gratis; e proprio da questo trae il nome”.2 Il sacrificio di Cristo significa che l’uomo da solo non può che perdersi. Attribuire agli uomini la pelagiana capacità della perfezione morale e della salvezza significa vanificare il sacrificio di Cristo, azzerare la novità radicale, rivoluzionaria, dell’annuncio cristiano, fare di Cristo un nuovo maestro di moralità da aggiungere ai tanti della morale classica dell’autonomia umana. In un processo in Palestina, vengono rinfacciati a Pelagio dodici tesi che egli deve abiurare per non essere condannato. Agostino ricorda quelle tesi che, a suo parere, Pelagio continua ad insegnare, con qualche ambigua attenuazione. Ecco le tesi eretiche:
“Come attestano gli atti del processo, Pelagio condannò tutte queste tesi senza addurre alcun argomento per difenderle o discuterle minimamente”.3 Agostino, però, non crede a quell’abiura e pensa che la vera opinione di Pelagio sia che “l’aiuto della grazia ci venga concesso come un sovrappiù, in modo cioè che, se anche non ci venisse concesso, avremmo tuttavia, per non peccare, il libero arbitrio vigoroso e gagliardo”.4 Contro Pelagio, Agostino sostiene che, dopo il peccato di Adamo, tutta l’umanità è giustamente condannata a pena eterna e si salva solo chi sia redento dalla grazia divina. E non tutti sono redenti. Dio ha amato Giacobbe e non Esaù.5 Coloro a cui Dio non concede la grazia “non ne son degni né la meritano, o meglio son degni e meritano che non venga loro concessa. Se invece andiamo a cercare il merito della misericordia, non lo troviamo perché non ve n’è alcuno, affinché non sia distrutta la grazia qualora non fosse un dono gratuito, ma una ricompensa dovuta ai meriti”.6 Agostino torna sull’argomento in molte lettere per fare chiarezza su un argomento che ritiene molto difficile e sul quale nascono tanti equivoci.7 Anche nella Città di Dio, l’opera più impegnativa della sua vecchiaia, ribadisce la sua posizione in modo molto netto: per la prima colpa “fu condannato tutto il genere umano: perché colui che per primo commise questa colpa fu punito con tutta la discendenza che aveva in lui le sue radici, affinché nessuno venisse liberato da questo giusto e meritato supplizio, se non per misericordia e per grazia non dovuta, e il genere umano fosse diviso in modo che appaia in alcuni quanto valga la grazia misericordiosa e negli altri quanto valga la giusta vendetta. Ciò non apparirebbe se tutti fossero puniti con una giusta condanna, perché non si manifesterebbe in nessuno la grazia misericordiosa del Redentore, e non apparirebbe se tutti fossero trasportati dalle tenebre alla luce, perché non si manifesterebbe in nessuno la severità della vendetta. In questa perciò vi sono molti di più8 che in quella, affinché sia dimostrato ciò che sarebbe dovuto a tutti. Se tutti fossero puniti, infatti, nessuno potrebbe giustamente biasimare la giustizia di Dio vendicatore. Ma poiché molti sono liberati, si deve ringraziare infinitamente il Liberatore, per il suo dono gratuito”.9 I pelagiani “credono che si tolga loro il libero arbitrio qualora ammettano che non si può avere la stessa buona volontà senza l’aiuto di Dio; non capiscono che in tal modo non rafforzano il libero arbitrio ma lo gonfiano facendolo vagare nel vuoto invece di fondarlo in Dio come in una solida roccia”.10 Agostino fissa e commenta ampiamente11 “Dodici tesi contro Pelagio”:
Agostino conclude il lungo commento alle tesi riprendendo, ancora una volta, l’idea che solo la grazia restituisca all’uomo la libertà di fare il bene perduta con il peccato di Adamo. “Ti sarai accorto che in questi dodici articoli non ho avuto la pretesa di includere tutti i dogmi della fede cattolica, ma solo i punti relativi alla questione dibattuta tra noi sulla grazia. Insomma vogliamo sapere se la grazia precede o segue la volontà umana, anzi, per parlare più chiaro, se la grazia ci viene concessa in seguito al nostro desiderio di averla, o se questo stesso desiderio è prodotto dalla grazia di Dio. Se tu pure, o fratello, seguirai questi dodici articoli, che, lo sappiamo, appartengono alla vera fede cattolica, ne ringrazierò Dio, ma il mio ringraziamento a Dio non sarebbe sincero, se tu non te ne convincessi mediante la grazia di Dio. Se tu li accetti come veri, ogni dibattito fra noi sarà bell’e finito”. Note 1 Un campo di battaglia in cui si misura anche Benedetto Croce, in un saggio del 1929, La Grazia e il Libero arbitrio, convinto di aver trovato finalmente la soluzione capace di mettere fine alle tante battaglie. Ne scrivo in Viaggio nella filosofia europea, pagg. 358-368. 2 Lettera 186, 2, 6. La lettera è del 417. 3 Lettera 186, 9, 32-33. 4 Lettera 186, 10, 35. 5 Lettera 186, 5, 14. 6 Lettera 194, 3, 14. Scritta nel 418, è diretta a Sisto poi diventato papa. 7 Nella lettera 214, del 427, parla di “una questione molto difficile che solo pochi possono capire” (6). 8 Che i dannati siano “la maggior parte” lo dice anche in XIII, 23 di La città di Dio. 9 La città di Dio, XXI, 12. 10 Lettera 194, 2. 11 Lettera 217, 5-7, 16-29. Scritta forse tra il 426/428 contro Vitale, sul cui conto ha ricevuto “notizie non belle”. Fonte: ANNO ACCADEMICO 2009-10 - UNIVERSITA’ POPOLARE DI TORINO Torino 20 febbraio 2010 Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999. Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino. Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca. Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf) Plotino (pdf) L'altare della Vittoria e il crocifisso (pdf) Testi
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