TEORICI
|
|
|
AGOSTINO D'IPPONA (354-430): la giusta persecuzione dell’eresia donatista I - II - III - IV - V - VI - VII - VIII - IX - X - XI - XII
Dopo l’ultima persecuzione anticristiana di Diocleziano del 303, finito il pericolo, molti lapsi, cioè coloro che per paura e per viltà avevano abiurato, chiedono di rientrare nella comunità cristiana. Tra i lapsi che vogliono rientrare ci sono anche vescovi traditores1, così chiamati perché avevano consegnato alle autorità imperiali i libri sacri. Il problema del rientro dei lapsi non è nuovo, ma, con Costantino, la religione cristiana gode della protezione e di favori imperiali e la tendenza al rientro di chi aveva ceduto è più ampia che in passato. Inoltre, i nuovi rapporti della Chiesa col potere politico complicano le cose: dissenso religioso e opposizione politica, adesso, s’intrecciano e tendono a confondersi. Come considerare i lapsi che vogliono rientrare? Si può accettarne il rientro previa penitenza o ci vuole intransigenza rigorosa? C’è divisione tra chi vuole una chiesa aperta tendenzialmente a tutti, anche a chi non ha una fede eroica e una moralità esemplare, e chi vuole una chiesa di puri, di martiri e di santi. E’ il problema organizzativo fondamentale di ogni nuova forza religiosa: aprirsi il più possibile o chiudersi in pochi ma buoni, chiesa o setta? La questione organizzativa mette anche in questione il valore dei sacramenti. Chi ha ricevuto i sacramenti da ministri rivelatisi lapsi può considerarli validi o deve farseli di nuovo impartire da un ministro degno della sua funzione? La consacrazione sacerdotale o vescovile ricevuta da un lapsus è valida? Donato (270-353), in Africa romana, capeggia la fazione dei più intransigenti. Sostiene che i sacramenti impartiti o ricevuti dai lapsi non sono validi. Nega valore oggettivo anche al battesimo e avvia la pratica del ribattezzare. Se il valore dei sacramenti è subordinato al valore di chi lo amministra, se il valore della chiesa e delle sue funzioni dipende dal valore dei suoi membri, la sua realtà istituzionale viene interamente annullata. L’eresia donatista mina alla base la chiesa come istituzione. Ma non si tratta solo di un problema religioso. Il potere politico non è indifferente ad un problema dottrinario ed organizzativo che sembra tutto interno alla chiesa: esso cerca nella nuova religione un sostegno alla propria riorganizzazione ed ha forte interesse ad una sua organizzazione aperta e capace di raccogliere maggioranze ampie il più possibile, tendenzialmente onnicomprensive; una chiesa cristiana minoritaria e settaria, per quanto virtuosa, sarebbe per il potere politico più un elemento di divisione che di coesione sociale. La posizione donatista assume subito anche i tratti della contestazione del nuovo privilegiato rapporto dell’istituzione religiosa col potere politico. Non solo: la contestazione politica trova nell’eresia religiosa una efficace e popolare ideologia di legittimazione. Si incontrano e fanno sinergia l’opposizione religiosa ai compromessi politici e l’opposizione sociale e politica al potere imperiale. In Africa il movimento donatista si lega agli atteggiamenti antiromani mai del tutto spenti delle popolazioni locali e alle proteste sociali che la crisi economica e politica rende sempre più ampie. Il settarismo donatista non insidia solo la dottrina dei sacramenti ma è anche rivolta sociale e politica. L’eresia minaccia non solo l’unità religiosa, ma anche l’unità politica. La gerarchie cattoliche, difendendo il valore oggettivo dei sacramenti e la realtà dell’istituzione che dirigono, sostengono anche, indirettamente, le ragioni e le istituzioni del potere politico in crisi. Anche il potere politico ha interesse alla repressione del movimento ereticale. Costantino, infatti, si schiera subito contro questo estremismo perfezionista e convoca un concilio ad Arles, già nel 314, per condannarlo. La lotta della Chiesa contro l’eresia gode del sostegno politico e diventa, a sua volta, sostegno politico. Agostino, approdato alla fede dopo un lungo e tormentato cammino di dubbi e di ricerca, vorrebbe contrastare l’eresia solo con la forza persuasiva degli argomenti razionali, ma la gravità della minaccia finisce per convincerlo della necessità della coercizione. Fino al 405 pensa che i donatisti vadano corretti con la persuasione e che la forza si debba usare solo contro i violenti, ma poi teorizza la legittima coercizione. Agostino stesso racconta come abbia cambiato orientamento in una lunga lettera2 del 417 a Bonifacio, il capo militare che deve far applicare le leggi imperiali contro i Donatisti. Poiché Bonifacio è un generale di mercenari gotici ariani, Agostino apre la lettera spiegandogli che l’eresia donatista non va confusa con quella ariana: “Alcuni donatisti, come ho potuto sentire io stesso, nell’intento di procurarsi le simpatie dei Goti, poiché li vedono abbastanza potenti, affermano d’avere la loro stessa fede”. Ma non è affatto così e, quindi, i militari di Bonifacio non abbiano timore di dover usare la forza contro dei correligionari. Risponde, poi, in termini più generali, a chi non condivide l’uso della forza politica e militare in questioni di fede religiosa. E’ vero che non si può costringere nessuno alla verità e al bene, ma si devono creare le condizioni oggettive perché tutti possano mettersi in salvo per fede. E’ quindi legittimo e giusto, per la stessa salvezza degli eretici, agire anche contro la loro volontà. “Si usa loro una grande misericordia quando, anche per mezzo delle leggi imperiali, vengono strappati, dapprima loro malgrado, dalla setta … affinché un po’ alla volta siano guariti con l’abituarsi ai sani precetti e costumi della Chiesa Cattolica. Molti di essi, già tornati all’unità cristiana, ci danno un meraviglioso esempio d’ardore nella fede e nella carità … Cosa dire poi di coloro che ci confessano ogni giorno che già da tempo desideravano di diventare cattolici, ma non avevano potuto farlo per pusillanimità e paura, perché, nella condizione in cui erano, se avessero detto una sola parola a favore della Chiesa Cattolica, sarebbero stati completamente rovinati insieme alle loro famiglie. Chi è così pazzo da pensare che non fosse doveroso aiutare costoro ricorrendo alle leggi imperiali, per liberarli da sì gran male? Adesso sono costretti ad aver paura quelli che incutevano paura agli altri, e spinti dalla medesima paura tornano anch’essi sulla retta via o, almeno, anche se fanno solo finta di essere convertiti, non recano più molestia ai veri convertiti, ai quali prima incutevano paura”.3 Le persecuzioni non sono tutte uguali. Ci sono persecuzioni giuste e persecuzioni ingiuste. Sara perseguitava giustamente Agar che, invece, la perseguitava ingiustamente. “Se vogliamo riconoscere e proclamare la verità, v’è una persecuzione ingiusta inflitta dagli empi alla Chiesa di Cristo e v’è una persecuzione giusta inflitta agli empi dalle Chiese di Cristo … La Chiesa perseguita per amore, quelli per ferocia; questa per correggere, questi per distruggere … essi, ricambiando male per bene, poiché ci preoccupiamo per la loro vita eterna, tentano di toglierci anche quella temporale, poiché amano l’omicidio al punto di compierlo contro se stessi, allorché non possono perpetuarlo contro altri. Come l’amore della Chiesa s’affanna a liberarli da tale perversione, affinché nessuno di essi vada incontro alla morte, così il loro furore s’affanna a uccidere noi per saziare la libidine della loro crudeltà o anche ad uccidere se stessi per non dar l’impressione d’aver perduto il potere d’uccidere gli uomini”.4 C’è nei donatisti un’insana ricerca del martirio, con effetti nefasti. “Coloro che non conoscono le loro abitudini credono che questa loro pratica di darsi la morte sia cominciata solo dopo che furono promulgate le leggi in favore dell’unità dei Cristiani, che hanno permesso a tanti popoli di liberarsi dalla furiosa e pazza oppressione di costoro. Chi però conosce il loro abituale modo d’agire, anche prima di tali leggi, non si meraviglia delle loro morti, ma si ricorda delle loro abitudini, particolarmente quando ancora si praticava il culto degli idoli. Allora, grandi turbe di donatisti si recavano alle feste più frequentate dai pagani, non tanto per abbattere gli idoli, quanto piuttosto per lasciarsi uccidere dai loro adoratori. Se avessero voluto far ciò in virtù di un ordine delle legittime autorità e se fossero stati vittime di qualche incidente, ciò avrebbe potuto avere una qualche parvenza di martirio, mentre al contrario ci andavano solo per farsi uccidere senza che gli idoli fossero minimamente danneggiati, né mancava loro l’occasione, poiché ciascuno dei più gagliardi giovani idolatri aveva l’abitudine d’immolare agli stessi idoli quanti più donatisti riuscisse ad uccidere. Ve n’erano altri che arrivavano a gettarsi in mezzo a comitive di viandanti armati per farsi uccidere, minacciando terribilmente di caricarli di bastonate se rifiutavano di ucciderli. Altri poi, incontrando per caso sulla loro strada dei giudici, strappavano loro con la forza la sentenza di essere uccisi dai carnefici o dagli ufficiali di polizia. Si racconta, a proposito, che un giudice riuscì a beffarsi di loro facendoli legare come se li volesse far giustiziare, ma poi li rilasciò così legati e in tal modo evitò di essere maltrattato e di versare sangue umano. Sopprimersi gettandosi in precipizi scoscesi, nelle acque, nelle fiamme, era per loro un gioco d’ogni giorno. Queste tre maniere d’uccidersi le avevano imparate dal demonio; quando avevano deciso di morire e non trovavano chi costringere con minacce a ucciderli con le sue mani, si gettavano nei precipizi oppure nell’acqua o nel fuoco”.5 Non solo. I donatisti sono anche socialmente eversivi e pericolosi. “Quale padrone non fu costretto a temere il proprio schiavo, che si fosse messo sotto la protezione di costoro? Chi mai avrebbe osato minacciare un perturbatore dell’ordine pubblico o istigatore dei disordini? Chi mai avrebbe potuto scacciare un servo addetto alla guardia dei magazzini che gli divorasse le provviste? Chi mai avrebbe osato sollecitare il credito da un debitore che avesse chiesto aiuto e protezione a questi? Per non correre pericolo di bastonate, d’incendi, d’una pronta morte, venivano spezzate le tavole dei contratti degli schiavi più facinorosi per lasciarli andar liberi; si restituivano ai debitori scritture delle obbligazioni private estorte ai creditori”.6 Se si aggiunge il terrorismo psicologico che i donatisti praticano nei confronti di chi vorrebbe abbandonare la setta, si hanno ragioni più che sufficienti per invocare l’intervento della forza militare dello Stato. Se al tempo degli Apostoli i sovrani facevano ancora “vani progetti contro Dio e contro il suo Cristo”, adesso sono al servizio della fede e di Dio, non possono restare indifferenti di fronte ad un’eresia così pericolosa. Certo, sarebbe meglio “condurre gli uomini all’amore di Dio con l’istruzione e la persuasione, piuttosto che costringerveli col timore o col dolore del castigo”, ma solo i migliori si lasciano guidare dall’amore, i più “si lasciano correggere solo col timore”.7 Del resto, anche Paolo di Tarso è stato costretto alla conversione solo con la forza: è stata la luce accecante di Dio a fermare la sua furia di persecuzione e ad avviarne la crisi spirituale di conversione. Il Signore stesso ha detto: ”Costringi la gente a entrare, affinché si riempia la mia casa”8. Chi è lasciato nell’errore non può ravvedersene. Il vero amore non è la tolleranza, ma, come nella giusta punizione inflitta al bambino, può essere coercizione, anche politica e militare. Il ricorso all’immagine del bambino9 punito per amore è molto significativo: l’umanesimo classico, ancora ben presente in Plotino, cede, in Agostino, alla nuova concezione dell’umanità peccatrice che solo la Madre Chiesa può portare alla salvezza. Alla logica della normalità razionale subentra quella dell’emergenza. Il problema esistenziale per l’uomo non è più la realizzazione, a livello più alto possibile, della propria umanità, proposta dai filosofi greci con la loro concezione della virtù come eccellenza umana. Il problema è adesso quello della salvezza eterna: la posta in gioco è infinita e i mezzi dell’uomo sono finiti e compromessi dal peccato originale; l’uomo resta irrimediabilmente minorenne e solo la cura amorevole della Chiesa può salvarlo. Affidarsi alla sola ragione e alle sue regole non basta. Ci vuole la fede e bisogna salire sull’unica nave della salvezza, la Chiesa. Fuori dalla Chiesa non c’è salvezza. “La Chiesa cattolica sola è corpo di Cristo, essendo egli il capo e il salvatore del proprio corpo. All’infuori di questo corpo, lo Spirito non vivifica nessuno … Ora, non può essere partecipe della divina carità chi è contro l’unità. Di conseguenza, quelli che son fuori della Chiesa non hanno lo Spirito Santo, poiché di essi sta scritto: Quelli che si separano sono come animali, privi dello Spirito. Ma non lo riceve neppure chi è entrato con finzione nella Chiesa, poiché a proposito sta scritto: Lo Spirito Santo fugge l’ipocrisia della dottrina. Chi dunque vuol avere lo Spirito Santo, si guardi dal rimanere fuori della Chiesa o di entrarvi con finzione, oppure, se v’è già entrato con finzione, si guardi bene dal persistere nella finzione, se vuole veramente crescere con l’albero della vita”.10 La Chiesa è l’unica nave della salvezza, è strumento di grazia: i sacramenti hanno valore perché impartiti all’interno della Chiesa, non dipendono dal valore morale dei ministri. Ma, per salvarsi, ci vuole la fede senza ipocrisia. La salvezza è frutto di condizioni istituzionali, oggettive, e di fede soggettiva. La Chiesa, tendenzialmente aperta a tutti, è comunità di santi e di peccatori: spetta a Dio il giudizio finale sugli eletti. Non si può, in questa vita, giudicare al posto suo e puntare su una comunità di perfetti e di puri. “Come vi sono pastori buoni e cattivi, così anche nei greggi vi sono buoni e cattivi; i buoni sono indicati col nome di pecorelle, i cattivi con quello di capri; essi pascolano mescolati insieme, fino a quando non verrà il principe dei pastori, colui che è chiamato unico Pastore e, così come lui stesso promise, separerà come pastore le pecorelle dai capri. Egli infatti a noi ha ordinato di stare uniti, mentre ha riservato a se stesso la separazione, poiché il compito di separare spetta a colui che non può sbagliare. Ora invece, certi servi superbi, che si sono arrogati con leggerezza il compito di fare, prima del tempo, la separazione che il Signore ha riservato a se stesso, sono stati proprio loro a separarsi dall’unità cattolica”.11 L’estremismo perfezionista dei donatisti li porta a macchiarsi gravemente di superbia e di scissionismo. L’ultima citazione è tratta da una lettera che Agostino scrive, nel 423, alla vergine Felicia, turbata dai cattivi esempi d’alcuni pastori della Chiesa. Agostino la esorta a non lasciarsi turbare dagli scandali interni alla Chiesa: “Restiamo nell’unità senza lasciarci indurre dagli scandali della paglia ad abbandonare l’aia del Signore, ma continuiamo piuttosto a rimanere frumento fino alla fine della vagliatura … E lo stesso nostro Pastore … parlando dei cattivi pastori esorta le pecorelle: Siedono sulla cattedra di Mosè; fate quel che vi dicono ma non fate quel che fanno, perché dicono ma non fanno. Dopo aver udito questi avvertimenti, le pecorelle di Cristo ascoltano le sue parole anche dalla bocca dei cattivi pastori e non abbandonano la sua unità, poiché il bene che sentono proclamare da essi, non è di loro, ma di lui. In tal modo esse pascolano in sicurezza poiché, anche sotto la guida di cattivi pastori, sono nutrite dai pascoli del Signore: non compiono però la azioni che compiono i cattivi pastori, poiché tali opere sono di quelli e non di lui”.12 Non solo il valore dei sacramenti non dipende dal valore dei ministri che li impartiscono, ma anche il valore delle parole dei cattivi pastori interni alla Chiesa non dipende dal loro valore! Fuori della Chiesa, invece, non c’è vera bontà né salvezza: “Nella Chiesa cattolica, ch’è diffusa non solo in Africa, come la setta di Donato, ma è sparsa e diffusa fra tutte le genti, ci sono sia i buoni che i cattivi; ma quelli che si sono separati da essa, fin quando la pensano in modo contrario ad essa, non possono essere buoni, poiché, anche se alcuni di loro possono sembrare buoni per la lodevole condotta, sono resi cattivi proprio dallo scisma, dato che il Signore dice: Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie disperde”.13 Note 1 Termine che segnala la loro azione di consegna. Tra i martiri e coloro che rinnegano apertamente la fede cristiana c’era un ampio campionario intermedio. Come sempre, tra i santi e i cattivi veramente tali c’era tutta l’umanità grigia e maggioritaria. C’erano, ad esempio, i libellatici, che, per salvare vita e fede, s’erano procurati una falsa certificazione di compiuto sacrificio alle divinità romane. C’era anche chi, sempre per non tradire e non patire il martirio, aveva consegnato libri eretici o falsi. Tra costoro c’era anche Mensorio, il vescovo di Cartagine contro cui si scaglia Donato, avviando la sua operazione scismatica. 2 Lettera 185, La correzione dei Donatisti. Ha forma di lettera ma è un vero e proprio trattato. 3 Lettera 185, 3, 13. 4 Lettera 185, 2, 11. La distinzione tra persecuzione giusta e persecuzione ingiusta si trova espressa molto chiaramente nella lettera 93, scritta tra il 407 e il 408. Nel 410, sempre in polemica con i donatisti, nella lettera 108, scrive che non basta essere perseguitati per diventare martiri: è la causa giusta a far la differenza. 5 Lettera 185, 3, 12. 6 Lettera 185, 3,15. 7 Lettera 185, 6, 21. 8 Luca 14, 21-23. Siamo all’interno della parabola del grande banchetto, al quale non si presentano i primi invitati perché occupati in propri affari. Il padrone di casa, adirato, manda allora il suo servo a far entrare chiunque incontri per le via e le piazze. 9 In verità Agostino usa anche quella delle bestie curate dal veterinario: “Il cavallo e il mulo privi d’intelligenza si oppongono con morsi e calci agli uomini che medicano le loro ferite per curarle e, sebbene gli uomini spesso corrano il rischio di essere morsi o colpiti dai calci e talvolta ne escano davvero malconci, non per questo abbandonano le bestie finché non le guariscano mediante interventi dolorosi e cure moleste” (2, 7). 10 Lettera 185, 11, 50. 11 Lettera 208, 3. 12 Lettera 208, 4-5. 13 Lettera 208, 6. Fonte: ANNO ACCADEMICO 2009-10 - UNIVERSITA’ POPOLARE DI TORINO Torino 13 febbraio 2010 Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999. Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino. Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca. Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf) Plotino (pdf) L'altare della Vittoria e il crocifisso (pdf) Testi
Download
|