AGOSTINO D'IPPONA (354-430): LA VITA

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AGOSTINO D'IPPONA (354-430): LA VITA

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Giuseppe Bailone

Nasce nel 354 in Africa romana, a Tagaste (oggi Souk Arhas in Algeria).

Il padre, Patrizio, nonostante la modesta condizione sociale, gli assicura una buona formazione scolastica. La madre, Monica, cristiana, esercita su di lui una profonda influenza. In occasione di una grave malattia infantile, il piccolo Agostino chiede di essere battezzato, ma, nel corso dei preparativi, il pericolo di vita viene superato e il battesimo viene rimandato.

Il primo incontro con la scuola non è positivo: “Nella fanciullezza io non amavo lo studio e non potevo sopportare di esservi costretto”.1

Negli studi medi e superiori, Agostino si appassiona alla letteratura latina e acquisisce una buona competenza retorica, ma non impara il greco.

“Per quali motivi io non potessi soffrire lo studio del greco al quale venni iniziato da fanciullo, anche oggi non so capire esattamente. Amavo con passione il latino, non quello insegnato dai maestri elementari, ma quello dei grammatici. Quei primi elementi del leggere, dello scrivere, del far di conto mi erano non meno pesanti ed invisi di tutto quanto il greco”.2

A diciannove anni legge l’Ortensio di Cicerone, un’esortazione alla filosofia che ha su di lui uno straordinario effetto. Nelle Confessioni ricorda quella lettura come una svolta importante della sua vita, a due anni dalla morte del padre, cui dedica solo un cenno.

Il primo incontro con la Bibbia è deludente: abituato ormai a testi di alto livello intellettuale, quel libro gli sembra rozzo, oscuro e pieni di miti ingenui.

“Quando abbordai la lettura della sacra Scrittura non ne ebbi certo l’impressione che ne ho ora che ne parlo: mi pareva che non reggesse il confronto con la signorilità ciceroniana. La mia boria rifuggiva da quelle forme letterarie, il mio sguardo non vi penetrava in profondità”.3

Trova, invece, nel manicheismo la risposta ai suoi nuovi entusiasmi filosofici e vi aderisce per nove anni. Il manicheismo, allora molto diffuso in Africa, deve il suo nome al persiano Mani (216 – 277), che, presentandosi come apostolo di Cristo, aveva fondato una religione in cui confluivano elementi dell’antica dottrina di Zoroastro ed elementi gnostici. Il dualismo di quella religione sembrava ad Agostino capace di dare una risposta convincente al problema, per lui fondamentale, del male.

“Ero convinto che non siamo noi a peccare, ma non so quale altra natura dentro di noi, e il mio orgoglio si rallegrava all’idea di essere immune da colpe, sì che quando avessi commesso un fallo qualsiasi non dovevo confessare di esserne il responsabile e chiedere che Tu4 risanassi la mia anima che aveva peccato, ma mi riusciva piacevole scusarmene accusando quel non so che che era in me e non ero io (…) la mia empietà creava in me quella divisione contro me stesso”.5

L’identificazione manichea della corporeità, e in particolare della sessualità, con il male offre sollievo a chi come lui che ha gravi difficoltà a governare le passioni, in particolare quella sessuale.

“Per tutto il corso di quei nove anni fui insieme sedotto e seduttore, ingannato ed ingannatore in ogni genere di passioni; pubblicamente con l’insegnamento delle cosiddette scienze liberali, occultamente con la pratica di una falsa religione (…) Insegnavo retorica in quegli anni: io vinto dalle passioni, vendevo l’arte di vincere con le chiacchiere (…) Convivevo allora con una donna, non venuta a me attraverso la legittimità del matrimonio: scovata invece da un fuoco inquieto ed imprudente; ma una sola, e le ero fedele come ad una moglie. Ma in quella mia esperienza dovevo imparare quanta differenza passi tra la misura di un patto coniugale stretto per la procreazione dei figlioli e un accordo frutto di amore sensuale, nel quale la prole viene al mondo anche non desiderata. Nata però che sia si fa amare per forza”.6

Dal rapporto con questa donna, che Agostino non nomina mai, nasce un figlio, che chiama Adeodato.

La passione per la ricerca filosofica lo porta a maturare dubbi sulla dottrina manichea, che neppure l’incontro con Fausto, il più autorevole dei capi manichei, riesce a sciogliere. Agostino, però, ammira in Fausto la virtù di riconoscere i propri limiti.

“Non rassomigliava ai molti venditori di parole che avevo dovuto subire altre volte, pretenziosi maestri che non dicevano niente. Egli aveva una coscienza, purtroppo non orientata verso Te, ma nello stesso tempo, non incauta verso se stesso. Ben conoscendo la sua ignoranza, non volle lasciarsi trascinare leggermente a una discussione che lo avrebbe spinto in un vicolo cieco da cui non sarebbe stato facile l’uscita o il ritorno. Per questo mi piacque anche di più. La modestia di un animo che si apre con sincerità mi riuscì più bella delle cognizioni che desideravo: e sempre così lo trovai in tutte le questioni alquanto difficili e sottili”.7

Agostino vacilla per qualche anno: s’allontana poco a poco dalla religione manichea, subisce il fascino dello scetticismo, senza aderire coerentemente ad esso, s’avvicina al cristianesimo, ma non si decide a farsi cristiano.

A ventinove anni, con un sotterfugio per sfuggire alla madre molto contraria al suo allontanamento, s’imbarca per Roma, dove va ad insegnare retorica.

“Giunse in quel tempo a Roma, al prefetto della città, la richiesta di un docente di retorica per quella città [Milano, allora sede della corte imperiale]: il viaggio a spese dello Stato. Io mi diedi subito da fare per mezzo proprio dei Manichei infatuati di vanità – e me ne andavo per allontanarmene definitivamente, ma né essi né io lo sapevamo – affinché Simmaco, il prefetto di allora, se approvava un mio saggio di declamazione, desse a me quell’incarico”.8 E Simmaco sceglie Agostino.

A Milano, il trentenne Agostino è al culmine del successo.

A Milano conosce Ambrogio, figura decisiva per la sua conversione.

Ambrogio, oltre ad una straordinaria abilità nell’esercizio del potere, è in possesso di una solida cultura: conosce bene i testi classici, coniuga neoplatonismo e cristianesimo, pratica l’interpretazione allegorica della Bibbia; la sua buona conoscenza del greco gli permette di sfruttare l’ampia letteratura religiosa orientale, di adattare al suo gregge milanese sermoni e scritti di padri orientali, in particolare di Basilio, vescovo di Cesarea.

Agostino ne subisce il fascino: “La dolcezza del suo dire mi dava piacere. Più erudito di quello di Fausto, ma meno brillante e meno seducente quanto alla forma. Quanto alla materia trattata, nessun confronto: quello si smarriva tra le bubbole manichee, questi dava i più salutari precetti della salvezza”.9

Resta sorpreso dalla sua abitudine alla lettura silenziosa: “Quando leggeva, l’occhio correva lungo le pagine e l’intelletto ne scrutava il significato, voce e lingua stavano in riposo. E, poiché a nessuno era precluso l’ingresso in casa sua, né si usava annunciare chi sopraggiungeva, molte volte ce ne stavamo seduti in lungo silenzio – chi avrebbe osato disturbare tale raccoglimento? – e lo vedevamo sempre leggere a quel modo silenzioso, mai altrimenti”.10

In particolare trova nella sua lettura allegorica dei testi sacri l’aiuto ad andare oltre l’ingenuo antropomorfismo e la forma rozza del racconto biblico che l’avevano respinto in passato.

A Milano lo raggiunge la madre.

L’animo di Agostino è diviso: vorrebbe cambiar vita, dedicarsi solo alla ricerca della sapienza e aderire pienamente alla religione cattolica, ma è distratto da troppi impegni sociali e la tentazione di godersi il successo è irresistibile.

Il tempo che vorrebbe dedicare alla ricerca della verità gli manca: Ambrogio non ha tempo per lui e lui non ha tempo per la lettura, deve rendere visita ad amici altolocati della cui protezione ha bisogno, deve preparare le lezioni. Potrebbe mollare tutto e ritirarsi in meditazione, ma “le cose terrene sono belle ed hanno una loro non piccola dolcezza”.

La prospettiva del successo lo affascina: “Ho molti amici potenti; anche senza darmi molto da fare, una presidenza posso averla. E allora potrò sposare una donna con buona dote perché non gravi sul mio bilancio. Ben molti grandi uomini, degni di essere imitati, anche nello stato coniugale seppero consacrarsi allo studio della sapienza”.

Sa di non essere pronto per la castità, praticata alla perfezione dal suo caro amico Alipio, e di essere “troppo infelice senza l’amplesso femminile”.11

Non ha molto interesse “alla dignità del matrimonio nel suo fine di creare una famiglia e di avere figlioli”: “Prima di tutto e sopra tutto io ero tenuto legato e tormentato dall’abitudine di saziare la mia insaziabile concupiscenza”.

La madre preme per il matrimonio, non con la concubina, però: viene fatta “la richiesta ufficiale di una fanciulla a cui mancavano però due anni ancora per essere nubile; ma piaceva e si era disposti ad attendere”.12

Agostino allontana la concubina con tormento della carne.

“Strappata dal mio fianco, come un ostacolo al matrimonio, la donna che mi era stata compagna di vita, il mio cuore che le era stato molto legato rimase straziato come da una ferita e dava sangue. Ella era ritornata in Africa facendo voto a Te di rinunciare sempre all’uomo, e mi aveva lasciato il figliolo naturale che io avevo avuto da lei.

Ed io, miserabile, che non riuscivo ad imitare una donna, insofferente dell’attesa, poiché solo fra due anni avrei avuto quella che avevo richiesto, ed ero non tanto attaccato all’idea del matrimonio quanto schiavo dei miei sensi, me ne procurai un’altra, non già come moglie, per alimentare, quasi, l’infermità della mia anima, per trascinarmela ininterrotta o aggravata dalla custodia di una ostinata abitudine fino alla conquista della sposa. Ma la ferita inflitta dallo strappo precedente non si rimarginava, anzi dopo bruciori e dolori acutissimi incancreniva; poi il dolore divenne quasi più cupo ma più disperato”.13

Il progetto di matrimonio viene però travolto da quella che Agostino chiama “la conversione”, una svolta radicale filosofica e religiosa insieme, preparata dalla lettura di Plotino e di Porfirio, tradotti in latino da Mario Vittorino, dal racconto della spettacolare conversione dello stesso Vittorino, avvenuta qualche decennio prima e narratagli da Simpliciano (“io fui preso da grande desiderio di imitarlo”14), e dai rapporti con il vescovo di Milano, Ambrogio.

La filosofia di Plotino lo aiuta a superare il materialismo, spingendolo alla ricerca di una “verità incorporea”15, gli propone una concezione del male che lo libera dalle difficoltà in cui era finito seguendo i Manichei, gli parla dell’assoluta trascendenza dell’Uno, della conversione e del ritorno dell’anima all’Uno. Trova, cioè, una filosofia che gli sembra compatibile col messaggio cristiano e capace di portarlo ad un alto livello di dignità culturale.

Abbandona l’insegnamento di retorica, “mercato di chiacchiere”, e si ritira, con la madre, il figlio e pochi amici, a Cassiciaco (probabilmente l’attuale Cassago in Brianza), a meditare, scrivere (in particolare scrive il Contra academicos, di polemica contro lo scetticismo, e i Soliloquia che inaugurano la scrittura come dialogo interiore) e preparare il battesimo.

Nella Pasqua del 387 riceve il battesimo, insieme al figlio ormai quindicenne.

La religione cristiana è ormai saldamente al potere: è religione dello Stato.

Agostino abbandona ogni prospettiva di carriera alla corte imperiale e decide di tornare in Africa e di dedicarsi a vita monastica.

Durante il viaggio muore ad Ostia la madre e lui si ferma un anno a Roma.

Alla fine del 388 arriva in Africa e si stabilisce a Tagaste. Gli muore il figlio.

Vive per due anni con alcune persone in comunità di tipo monastico.

Nel 391 diventa sacerdote e nel 396 vescovo di Ippona e guida la comunità cristiana in anni molto agitati da tensioni sociali, eresie e invasioni barbariche.

Gli sviluppi del suo pensiero risentono profondamente delle battaglie che, alla guida della sua comunità, deve condurre contro il manicheismo e contro due insidiose eresie, quella donatista prima e quella pelagiana poi.

Muore nel 430 nella città di Ippona, assediata dai Vandali.

Note

1 Confessioni, libro primo, cap. XII.

2 Confessioni, libro primo, cap. XIII.

3 Confessioni, libro terzo, cap. V.

4 Quel “Tu” è Dio: le Confessioni sono, infatti, un dialogo autobiografico con Dio.

5 Confessioni, libro quinto, cap. X.

6 Confessioni, libro quarto, cap. I e cap. II.

7 Confessioni, libro quinto, cap. VII.

8 Confessioni, libro quinto, cap. XIII.

9 Confessioni, libro quinto, cap. XIII.

10 Confessioni, libro sesto, cap. III.

11 Confessioni, libro sesto, cap. XI.

12 Confessioni, libro sesto, cap. XII e Cap. XIII.

13 Confessioni, libro sesto, cap. XV.

14 Confessioni, libro ottavo, cap. V.

15 Confessioni, libro settimo, cap. XX.


Fonte: ANNO ACCADEMICO 2009-10 - UNIVERSITA’ POPOLARE DI TORINO

Torino 25 gennaio 2010

Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999.

Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino.

Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca.

Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf)

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L'altare della Vittoria e il crocifisso (pdf)


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Aggiornamento: 26-04-2015