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contaminazioni
Fin dalla sua scoperta nell'800, l'arte e la cultura mesopotamica
esercitarono un fascino irresistibile sull'Occidente. Ecco un mio breve excursus
sulle contaminazioni "assiro-babilonesi" nella
moda, la letteratura, il cinema, i fumetti e quant'altro.
Gilgamesh l'immortale
Gilgamesh ha
stuzzicato l'immaginario collettivo con la sua disperata ricerca del segreto
dell’immortalità. Un carattere distintivo talmente forte e caratteristico che
non poteva sfuggire agli autori di novelle d’ogni tempo. Lo scrittore Elias Canetti, premio Nobel per la letteratura
nel 1981, ricorda nella sua autobiografia (Storia di una vita 1921-1931) come da
giovane venne folgorato dalla potenza arcaica di Gilgamesh, "eroe babilonese",
durante una piece dell'attore Carl Ebert in un teatro di Francoforte. Sentite
che prosa da brivido:
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«Grazie all'infatuazione per il mio attore preferito incontrai
Gilgamesh, che più di ogni altra cosa ha determinato la mia
vita, il suo senso più segreto, la sua fede, la sua forza e le sue
attese. Il lamento di Gilgamesh per la morte di
Enkidu mi penetrò nel cuore. E poi viene l'impresa di Gilgamesh
contro la morte fino a quando raggiunge il suo avo Utnapishtim.
Da lui Gilgamesh vuol sapere come potrà attingere la vita eterna. Gilgamesh, è
vero, fallisce e muore. Ma proprio questo esito non fa che rafforzare il
sentimento della necessità della sua impresa. In questo
modo sperimentai su me stesso l'azione di un mito: come qualcosa su cui, durante
il mezzo secolo che da allora è trascorso, ho riflettuto in molti modi diversi,
voltandolo e rivoltandolo dentro di me, senza mai seriamente metterlo in dubbio
neppure una volta». (Elias Canetti, Il frutto del Fuoco, p. 61, Adelphi
1982)
Già prima di Canetti, il poeta Rainer Maria Rilke nel 1916
era stato preda di una fascinazione irreversibile ("intossicazione da
Gilgamesh", p. xiii Geo 1999). Ma
Canetti subirà un'impronta profonda a livello filosofico in tutte le sue opere
(da Auto da fè al Cuore segreto dell'orologio,
come mostra una recente
indagine di Fabio Brotto). Questo passo testimonia, inoltre, che oltre 70
anni fa, Gilgamesh aveva già aperto una breccia nel cuore del grande pubblico,
uscendo dalla semplice cerchia dei dibattiti degli studiosi. Il salto nelle
pagine di narrativa sarebbe stato breve.
Gilgamesh, per
esempio, è protagonista del fanta-romanzo di Wilson Tucker Signori del
Tempo (The Time Master, 1954; catalogo Urania n. 615). Qui Gilgamesh è
un naufrago dello spazio precipitato sulla Terra che, grazie a un metabolismo
più lento, riesce a vivere più a lungo degli esseri umani anche se non
all'infinito. Giunto ai giorni nostri egli assume l'identità di Gilbert
Nash, professione investigatore privato! Il passo più intrigante è quello dove il signor Nash affascina un'agente
federale sfoggiando erudizione sui sumeri al tavolo di un ristorante. Il
misterioso Nash mostra di saperla lunga sia sull'assiriologo
George Smith che sugli
archeologi Henry
Layard e Leonard Wooley, senza peraltro mai nominarli. Ma ecco il punto
culminante:
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- Non avete mai sentito parlare dell'epica di
Gilgamesh? - Gilgamesh? - ripetè Shirley. - No. Nash scrollò il
capo con amara riprovazione. - Ah, le donne moderne. - E va bene, ormai sono
in trappola. Parlatemi dell'epica di Gilgamesh. - [...] Il poema parla di un
eroe straordinario, simile a un dio, chiamato Gilgamesh. - Ah... - Lei lo
interruppe. Aprì la bocca come per dire qualcosa, poi cambiò idea. Adesso lo
osservava attentamente. - Le origini di quell'uomo erano ignote ed egli
percorse la terra compiendo grandi imprese. Gilgamesh era una sorta di
avventuriero che visitò l'intero mondo conosciuto a quei tempi. Compariva prima
di qua poi di là, sconvolgendo tiranni e reami. Alla fine si incontrò con un
uomo preistorico dal nome impronunciabile e... - Impronunciabile? - lo
interruppe lei. - Ut-napishtim.
A questo punto il signor Nash riferisce la storia del diluvio così come la
narrano le tavolette argillose scoperte nella biblioteca di Assurbanipal e al
termine del racconto...
...la ragazza alzò gli occhi dal tovagliolo per guardare gli
occhi di lui. Rimaneva sempre colpita, ogni volta che li vedeva. - Vorrei
farvi ancora una domanda - azzardò, dopo un momento. - Avete già accennato
all'argomento, ma poi l'avete lasciato cadere. Nash si
fermò, con la forchetta a mezz'aria. - E cioè? - Gilgamesh, alla fine, trovò
l'immortalità? Nash rimase per un secondo con la forchetta
per aria, poi lentamente infilò il boccone in bocca. Dopo una brevissima
esitazione, osservò la faccia attenta della ragazza. - Trovò quel che cercava.
Ma era troppo tardi per salvarsi la vita. (da I signori del tempo, ed. Urania
1973 pp. 75-78, adattamento T. Porzano)
Gilbert Nash tornerà in un altro romanzo di Tucker, L'uomo che veniva
dal futuro (Time Bomb, 1955; catalogo Urania No. 743) di qualità
inferiore rispetto al precedente. Gilgamesh è frettolosamente tirato in causa
solo in due punti del libro (p. 45 e p. 87). Ma l'evocazione dell'eroe sumerico
è spogliata di alcun intento di plausibilità al punto che il romanzo potrebbe
benissimo fare a meno del personaggio di Mr. Nash! Ugualmente curiosa è
l'opinione che ha Gilgamesh dei libri scritti su di lui:
...è tutto contento quando trova errori nei testi scientifici e
sghignazza leggendo romanzi pseudostorici dove vive le più ridicole e
incredibili avventure. (da Time Bomb, ed. Urania 1978 p. 87, adattamento T.
Porzano)
Non a caso una nota antologia di fantascienza si intitolava The Road
to Science Fiction: from Gilgamesh to Wells. La lista degli autori di
"romanzi pseudostorici" che ricostruiscono con eccesso di fantasia le peripezie
di Mr. Nash annovera
Robert Silverberg, Angelo R. Mazzarese, Theodor H. Gaster, Mario Pincherle,
Paola Capriolo e chissà quanti altri ancora...
L'italiano Cesare Ossicini ha immaginato e messo sul Web una
meravigliosa serie di racconti
filosofici con Gilgamesh protagonista. La semplicità dello stile e la
solenne brevità producono uno stato di magica sospensione. L'indagine filosofica
di Ossicini si sviluppa prima nei dialoghi tra un dio e un semidio (Utnapishtim
e Gilgamesh) e poi nei "dialoghi tra un semidio e un uomo" (Gilgamesh e
Siddharta, Gilgamesh e Che Guevara, ecc.).
Negli anni '80 lo
sceneggiatore paraguaiano Robin Wood creò per il fumetto un
Gilgamesh che finalmente ottiene l’immortalità, dopo aver soccorso l’alieno
Utnapistim precipitato sulla terra. Questa versione “apocrifa”, magistralmente
disegnata dall’argentino Lucho Olivera in stato di grazia,
segna la storia del fumetto. Ancora oggi non si contano le ristampe di questa
lunghissima saga a fumetti (in Italia edita dalla Eura Editoriale). Wood immagina che la vita eterna di Gilgamesh sia vissuta dai sudditi di Uruk
come in uno stato di oppressione. Tutti i vantaggi che essa potrebbe portare
sono vanificati dal pregiudizio. Solo immaginando che il loro sovrano sia morto,
gli abitanti di Uruk si sentono liberi dal giogo e riprendono a vivere
serenamente. Ma Gilgamesh non può morire e abbandona Uruk per vivere avventure
in tutte le epoche come un highlander ante litteram.
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Gilgamesh ha ispirato anche l'immaginazione di Ludmila
Zeman, scrittrice per l'infanzia e ottima illustratrice purtroppo mai
apparsa in Italia. Ecco alcuni dei suoi titoli più famosi: Gilgamesh the King
(1999), The last Quest of Gilgamesh (1998), The revenge of Isthar (1998). Tutti
i titoli sono editi dalla Tundra
Books.
Magari vi chiederete perché non ho ancora parlato del Gilgamesh di
Franco Battiato (1992). Personalmente trovo molto noiosa
quest'opera più portata al misticismo che all'indagine filosofica. Ugualmente
contiene brani meritevoli fra cui "Il diluvio" e "Solo". Una migliore versione
in musica di Gilgamesh è l'oratorio Epos O Gilgamesovi (1955)
del ceco Bohuslav Martinu, meno reperibile nei negozi di dischi
rispetto al lavoro di Battiato. Un Gilgamesh atipico ed idolatra è invece quello
portato sulle scene dall'autore/regista Romeo Castellucci.
Infine non è per censura che taccio in questa sede i risvolti omofiliaci del
personaggio poiché sono già stati affrontati in una mia
nota
all'analisi comparata Gilgamesh-Iliade.
La moda "assira" nella Londra vittoriana
Tra il 1847 e il 1851 le esibizioni al British Museum dei
capolavori assiri scoperti dalle missioni inglesi a Calah e Ninive crearono una
nuova moda "assira" tra i londinesi. L'arredamento vittoriano
si arricchì d'imitazioni kitsch dei bassorilievi e delle sculture assire ad uso
domestico (soprammobili, scrigni, gioielli, ecc.). La ditta Henry
Wilkinson & Co. produceva mediante galvanotecnica coppe da vino che
recavano incisioni di tori con testa umana e re assiri. Il toro e il leone alato
divennero figure architettoniche molto comuni in Inghilterra e in Francia. Un
«toro alato di Ninive» fece anche la sua comparsa in una canzone popolare.
Il libro di Henry Layard
dedicato ai suoi scavi a Ninive (1849) vendette quanto un best-seller
il che, secondo il suo stesso autore, «lo metteva alla pari del testo di cucina
di Mrs. Rundell» (p. 16 McCall
95). Persino Henry
Rawlinson, traduttore delle iscrizioni di Behistun, fu
simpaticamente preso in giro da Gilbert e Sullivan
nell'operetta The Pirates of Penzance dove un suo alter-ego
cantava: «posso scrivere la lista del bucato in babilonese cuneiforme».
Assurbanipal il "crudele"
Su Assurbanipal
e il crollo dell’impero assiro molti scrittori hanno inevitabilmente ricamato le
loro opere, spesso con fantasia spregiudicata. L'ambientazione suggestionò la
stessa Agatha Christie, moglie dell'archeologo Max Mallowan che
nel 1950 ca. lavorò ad Nimrud. Robert E. Howard, creatore del
personaggio heroic fantasy Conan il cimmero, scrisse intorno al
1930 un racconto dal titolo Il Fuoco di Assurbanipal (lo
trovate nel V volume dei Cicli fantastici di Howard, ediz. Newton
Compton 1995, pp. 197-215).
Qui si narra come Assurbanipal conquistò il mondo antico grazie all’aiuto di
un mago e della sua gemma scolpita dalle fiamme dell’inferno (sic!).
Naturalmente la gemma attira un'orrenda maledizione su Assurbanipal e, trascorsi
i millenni, addosso ai cacciatori di tesori sulle tracce dell’inestimabile
gioiello. Ecco dal racconto, la fantasiosa descrizione della città assira
sepolta dalle sabbie del deserto e tomba del "crudele" sovrano:
«I tori alati di Ninive! I tori con testa umana!
Per tutti i santi, le vecchie leggende sono vere! Sono stati gli assiri a
costruire questa città! È tutto vero! Devono essere giunti qui quando i
babilonesi hanno devastato l’Assiria. Avanzarono per l’ampia
via. Steve percepiva la lugubre antichità di quel luogo e quasi temeva di veder
comparire fragorosi carri da guerra o di udire l’improvviso
squillo minaccioso di trombe bronzee. I costruttori della città
dovevano essere di tutt’altro stampo rispetto alle genti odierne. La loro
architettura era repellente: poderosa, e tuttavia così massiccia, tetra e
brutale da apparire addirittura incomprensibile per i contemporanei». [ibid pp.
202-204].
L'illustrazione sottostante è tratta dall'adattamento Marvel a fumetti di
questo racconto.
© Editoriale Corno,
1981
Un'immagine più rassicurante di Assurbanipal è data da Robin Wood
che lo fa incontrare addirittura con Gilgamesh nella
saga a fumetti omonima (ne abbiamo già parlato). L'incontro è, per noi lettori
moderni, di sapore surreale dato che le storie di Gilgamesh hanno riposato per
millenni sotto la sabbia tra le rovine della biblioteca di Assurbanipal a
Ninive. Assurbanipal appare a Gilgamesh come un pensatore a capo di un governo
assassino, un uomo debole, non tagliato per l'esercizio del potere ma per le
lettere. Una visione riveduta del più sanguinario tra i sovrani assiri ma di
enorme suggestione.
© Eura Editoriale,
1991
Riparliamo di Robert E. Howard che aveva una sincera
predilezione per l'epica e la storia mesopotamica. Nel racconto intitolato
I figli di Asshur (pubblicato postumo nel 1968 e che trovate
nel IV volume dei Cicli fantastici di Howard, ediz. Newton Compton
1995, pp. 228-253) lo spadaccino puritano Solomon Kane trova
sugli altopiani del Nord Africa la città perduta di Ninn (Nuova Ninive?).
Sovrano della rocca è Asshur-ras-Arab (sic!), suo antagonista Yamen il persiano.
Solomon si troverà coinvolto nella lotta di potere che vede opposte
fazioni gli assiri (che parlano bantu!), gli elamiti e i Kaldii (caldei?). Sotto
il tempio di Baal si consumerà il bagno di sangue finale per assicurarsi il
dominio dell'ultimo impero assiro. Ahimè in questi frangenti perirà la bella
Siduri (la taverniera di Shamash, ricordate?) compagna di
Solomon. Ma il puritano al termine dell'avventurà si sveglierà come da un brutto
sogno nell'altopiano deserto.
Il demonio a Ninive!
Proseguendo in questa divagazione passiamo dal fantasy al puro horror.
William Peter Blatty ha terrorizzato milioni di lettori con il
best-seller L'Esorcista (1971). Nella finzione, lo scontro col
maligno inizia proprio nella reggia di Assurbanipal:
«Padre Lancaster Merrin era arrivato: si trovava sul terrapieno
dove un tempo splendeva Ninive dalle sette porte, covo
terrificante delle orde assire. Ora la città giaceva frantumata nella polvere
insanguinata della sua predestinazione. Il gesuita si aggirò tra le rovine come
in cerca di una preda. Il tempio di Nabu. Il tempio di
Ishtar. Vagliava le vibrazioni che gravavano nell'aria. Giunto al
palazzo di Assurbanipal si fermò e guardò in tralice una statua
di pietra calcarea che si ergeva sgraziata: il demone
Pazuzu...». (da L'esorcista, p. 15 ed. Mondadori
1986, adattamento T. Porzano)
Dal libro di Blatty il regista William Friedkin ricavò nel
1974 un celeberrimo adattamento cinematografico. Il prologo del film è appunto
ambientato in Iraq, al campo archeologico di Ninive:
Un dubbio mi assale: ma non era Tebe la città dalle sette
porte?
Nergal e il pulp
E' davvero curioso come la mitologia mesopotamica sia divenuta fonte
inesauribile di nomi e fatti per il genere pulp. Si pensi solo alla migliore
invenzione di Lovecraft: il Necronomicon, spunto per
un'infinità di storie e film horror. Ma è Nergal,
signore dell'ade, che più di ogni altro dio mesopotamico ha fatto furore nella
letteratura popolare. A tal proposito ricordo con piacere il racconto La
mano di Nergal di Lin Carter su materiale di Robert E. Howard (in
Conan il Cimmero, editrice Nord 1989, p. 85-102). In questa
fosca storia sword & sorcery Conan il barbaro deve spaccare molti
crani prima di impossessarsi dell'amuleto del dio... Mi chiedo se l'allusione
alla «la mano di Ishtar», sinonimo di sventura secondo il Libro dei
Sogni assiro, sia voluta o casuale. L'illustrazione sottostante è
tratta dall'ennesimo adattamento Marvel:
© Editoriale
Corno,1981
In una altra celebre finzione fantasy, il dio Nergal è
oggetto di venerazione dei troll in una guerra di religione contro gli uomini
che adorano Tammuz (lo ricordate? è la versione accadica di
Dumuzi). Con ironica e disincantata allusione alle discordie
del presente l’estroso Frank Thorne, nella saga a fumetti
Ghita di Alizarr (stampata in Italia dalla Editrice Nord, 1981)
narra del culto di Nergal nel mondo “antidiluviano”:
«Dilagano in città le schiere troll. Le truppe umane sconfitte
dai servi di Nergal fuggono verso i monti. I cittadini inermi, se scampano allo
sterminio, vedono le case incendiate, le donne violentate. La foresta dei
simulacri di Tammuz è abbattuta! Presto li sostituirà Nergal,
dio dei troll, e una nuova foresta di idoli verrà adorata. Così capita alle dee
e agli dei antidiluviani. Tanti saluti e buon viaggio Tammuz. Ma rimanga il tuo
spirito, poco lontano dalle tue città. L’immagine di
Nergal, l’essere anormale, gonfio e tozzo dio dei Troll,
lampeggia nella mente di Ghita. “La deità più orrenda dopo Baal. Ma Tammuz o Nergal che differenza fa?” sbuffa. “Qua come là, i sacerdoti sono sempre i
maiali più ricchi e più grassi”» (ibid pp. 3, 17. Adattamento T. Porzano).
© Editrice
Nord,1980
Il fascino di Ishtar
L. Sprague de Camp nel suo dizionario dei Nomi
Hyboriani (appendice al volume Conan il barbaro, AA.VV.
Mondadori 1980) annota che Ishtar è una
dea shemita pure adorata nelle nazioni hyboriane (sic!). Ricordo che
effettivamente Ishtar è la dea di maggior successo in Mesopotamia che travalica
differenze culturali e riassume in sé prerogative divine femminili da numerosi
culti. Il sincretismo tra credenze immaginarie è proposto con somma plausibilità
in Colosso Nero (1937) di Robert E. Howard. Da questo racconto
sword & sorcery (pp. 135-187, L'era di Conan, Mondadori 1989) leggiamo
questo passo sulla dea Ishtar:
«Principessa, l'incantesimo che i sacerdoti di
Ishtar ti hanno dato è inutile, quindi non ti resta che
consultare il perduto oracolo di Mitra» Yasmela
rabbrividì. Gli dèi di ieri erano diventati i demoni di domani e i kothiani
avevano abbandonato da tempo il culto di Mitra, dimenticando gli attributi della
divinità universale iboriana. Yasmela aveva la vaga sensazione che, essendo
molto antico, il dio fosse per ciò stesso terribile. Ishtar,
d'altro canto, era paurosa come le altre dee della religione kothiana, perché la
cultura del paese aveva subito la sottile contaminazione di elementi shemiti e
stigiani: i semplici costumi degli iboriani erano stati profondamente modificati
dalle sensuali, lubriche, dispotiche abitudini
dell'oriente. «E Mitra mi aiuterà? In
fondo adoriamo Ishtar da tanto tempo...» (ibid. p. 146)
Lo scontro tra divinità è una fissa dei narratori. Dopo quello tra Nergal e
Tammuz, e quello tra Mitra e Ishtar, mi piace ricordare quello tra Bel-Marduk
(sic!) e Ishtar (“dea della gioia”). Teatro dell’azione è la Babilonia di
Intolerance (1916) del noto regista-pioniere D.W.
Griffith. Un film da non perdere (la cassetta si trova in molte
videoteche) per la smisurata messa in scena. La capitale babilonese pare
Metropolis con torri degne della skyline di Chicago, mura di cartapesta e
abbondanza di decorazioni egizie e assire!
Arriva il toro del cielo
Splendide ed evidentissime contaminazioni letterarie del Toro
Celeste, emissario del dio del cielo An nella celebre
tav. VI dell'Epopea di
Gilgamesh, sono rintracciabili nel racconto Intrusi a palazzo
di Robert E. Howard (incluso nella raccolta Conan il
Cimmero, editrice Nord 1989, p. 65-84). Dall'adattamento Marvel a
fumetti, splendidamente disegnato da Barry Smith, ho tratto
l’illustrazione che qui potete ammirare.
© Editoriale
Corno,1980
La caduta di Babilonia
Babilonia è rappresentata in modo irresistibile nella Bibbia. Ricordo ad
esempio il lirismo del Salmo 137 (i famosi salici
quasimodiani), le beffarde profezie di Isaia ("ti salvino ora i
tuoi magi, impegnati a contemplar le stelle!"), e naturalmente la coloratissima
visione dell’Apocalisse di San Giovanni (la Grande meretrice
che fornica coi i re della terra, seduta sopra una fiera scarlatta piena di nomi
di bestemmia, avente sette teste e dieci corna. Sulla sua fronte un mistero:
“Babilonia, la grande”).
Essa costituisce dunque lo scenario ideale per storie ricche di catastrofi,
lussuria ed enigmi. Ecco pochi esempi per suggerirvi quale fascino abbia
esercitato l'esotismo scintillante di Babilonia sull'immaginario di ieri e di
oggi.
Senza scomodare le Storie di Erodoto (pratica ormai abusata), possiamo subito
rivolgerci ai tragediografi greci, per cogliere le prime "suggestioni
babilonesi". Cominciamo con il prediletto Euripide. Il prologo
dionisiaco delle Baccanti dispiega nell'immaginazione dello
spettatore gli orizzonti cangianti dell'Oriente:
Dioniso: «Ho percorso i campi dalle infinite ricchezze dei
Lidi e dei Frigi, ho attraversato le pianure di Persia sferzate dal
sole, le rocche della Battriana, e la terra tempestosa dei Medi, e
l'Arabia Felice, e tutta l'Asia che si estende di fronte all'acqua salsa del
mare, dove si ergono maestose di torri le città in cui barbari e
Greci si confondono». (Euripide, Baccanti, vv. 13-18, traduz.
Giorgio Ieranò, Mondadori 1999)
Nulla sfugge alla suggestione. Dai regni costieri dell'Asia Minore (Lidia e
Frigia) all'Anatolia (Asia), dalla Mesopotamia e oltre (Persia, Media Bactriana
= Afghanistan) allo Yemen (Arabia Fenice). E più avanti la parodo delle baccanti
orientali prorompe:
«Io vengo dalla terra d'Asia lasciato il sacro Tmolo
accorro per Bromio (=Dioniso) a un dolce tormento». (Euripide,
Baccanti, vv. 64-66, traduz. Giorgio Ieranò, Mondadori 1999)
Il monte Tmolo riecheggia nei Persiani portati in scena ad
Atene nel 472 a.C. Il soggetto di questa tragedia di Eschilo
era, per l'epoca, d'attualità. Greci e persiani si erano infatti affrontati
pochi anni prima a Salamina. La minaccia dall'Oriente è magnificamente evocata
nei versi che seguono:
Gli abitanti del sacro Tmolo hanno giurato di aggiogare la
Grecia, di farla schiava. E Babilonia ricchissima fa
avanzare in lunga fila una schiera confusa: guerrieri che affollano le
navi o che confidano nella forza dell'arco che si tende. E tutte le stirpi
dell'Asia si accodano con la spada sguainata, spronate dai vigorosi comandi
di Serse. (Eschilo, Persiani, vv. 49-58, traduz.
Giorgio Ieranò, Mondadori 1997. Adatt. T. Porzano)
Ma le cose si metteranno male per i persiani... La parabola della fragilità
del potere si era già proposta un secolo prima quando l'antenato di Serse,
Ciro, strappò Babilonia all'ultimo re caldeo
Baltazar (discendente del famoso Nabucodonosor). Se ricordo
bene, il sogno di Baltazar che preannuncia al velleitario sovrano la
perdita di Babilonia è descritta nel libro di
Daniele (in realtà la Bibbia confonde Baltazar con Nabonedo, ma non
sottilizziamo). Questa sarà riproposta a teatro da Calderòn de la
Barca e Goethe, in pittura da
Rembrandt, in musica da Haendel e
Sibelius, solo per citarne alcuni.
Celebre è la visione di S. Agostino ne De Civitate
Dei. Babilonia è la città terrena contrapposta alla città celeste. Essa
poggia sull’amore egoistico, opposta alla città celeste poggiata sull’amore di
Dio. Babilonia è insomma toponimo di male e di confusione per tutto il medioevo
e i suoi sovrani sono demoni o pazzi. Nel Paradiso di Dante e
anche nell’Orlando Furioso di Ariosto, il più
grande dei sovrani di Babilonia, Nabucodonosor, è ricordato
come il folle che muove la sua ira contro Daniele. Dante insulta i fiorentini
chiamandoli “novelli babilonesi”.
Ritroviamo Nabucodonosor protagonista del Nabucco (1842) di
Giuseppe Verdi. Il celeberrimo coro ‘Va pensiero’, ispirato al
citato Salmo 137, esprime il dolore dell’esule popolo ebraico e l’acredine verso
il dominatore caldeo. Molto buffa, se vogliamo, è la conclusione dell’opera di
Verdi dove Nabucodonosor ‘rinsavito’ fa infrangere la statua di Belo (Marduk) e
libera gli ebrei unendosi a loro festanti la gloria di Yehova! La
reinterpretazione del giovane Verdi (su libretto di Solera) rivela l’interesse
verso temi patriottici, all’epoca particolarmente sentiti, attraverso
rivisitazioni del passato (come già nei Lombardi alla prima
crociata, con stesso librettista).
Facciamo un salto di duemila anni per ritrovare Babilonia archetipo di
civiltà, lusso, progresso e inevitabile declino. L'energica Berlino
pre-hitleriana è vissuta dall'anti-eroe Franz Biberkopf come una Babilonia
prossima alla catastrofe:
Con gli occhi scintillanti il vecchio rabbino guardò lo straniero
[Franz]. Disse Geremia, noi vogliamo salvare Babilonia, ma Babilonia non voleva
essere salvata. Abbandonatela e ognuno di noi ritornerà alla sua casa. La spada
scenda sui Caldei, sugli abitanti di Babilonia. Il vecchio uscì senza dire più
una parola. (da Berlin Alexanderplatz, Alfred Döblin, ed. Rizzoli 1995, p.
25)
Ho prima accennato alla Babilonia di D.W. Griffith
(Intolerance, 1916). La sua fu forse la rappresentazione migliore di cosa
divenne, di lì a pochi anni, la mecca del cinema nell'immaginario collettivo.
L'appellativo Hollywood Babilonia, fu coniato dal giornalista
Kenneth Anger per descrivere lo stato di corruzione e immoralità dell'ambiente
cinematografico americano. Il periodo di massima sregolatezza si ebbe appunto
negli anni '20 dove una sequela vertiginosa di scandali (il caso 'Fatty'
ne fu l'apice) condusse l'America puritana a darsi un codice di
autoregolamentazione (o meglio autocensura), il celeberrimo Codice Hays.
Babilonia, nel cinema come nei libri. L'arcipelago letterario di
Abarat immaginato da Clive Barker (HarperCollinsPublishers
2002) è un luogo magico dove ogni ora del giorno corrisponde ad un'isola. L'ora
sesta coicide con l'isola di Babilonium, dove è possibile
incontrare una moltitudine di artisti (mimi, musici, maghi) e attraversare
luoghi di piacere (arene, ippodromi). Ma per arrivare a Babilonium dovrete prima
incrociare la grande Ziggurat di Noè di Soma Plume (sic!).
"Ziggurat", a
Babilonia sinonimo di Esagil (ovvero la torre di Babele), è - guarda un po' - il
grattacielo sede del partito di Marduk (dio di Babilonia...)
nell'affresco animato Metropolis (regia di Rintaro, 2002). E
"marduk" è il nome dato ai funzionari super-armati pronti a farvi fuori se vi
intercettano nel coprifuoco vigente in città. Il monito contro il totalitarismo
ipertecnologico è allegoricamente rappresentato nel crollo finale della
Ziggurat, che ricalca in modo agghiacciante quello del WTC dell'11 Settembre,
mentre placidamente suona una ballata di Ray Charles.
Ma tutto era già stato previsto dalla sconfinata fantasia di Georges
I. Gurdjieff nel quinto viaggio di Belzebù sulla Terra! E' in
quell'occasione che Belzebù ode l'anatema dell'assiro Hamolinadir contro la
torre di Babele, simbolo della follia umana:
«Noi innalziamo in questo momento qui, nella città di Babilonia,
una 'torre di Babele' internazionale, con la speranza di salire fino al cielo e
vedere coi nostri propri occhi che cosa capita lassù. E' una torre composta da
mattoni di aspetto simile in apparenza ma fatti in realtà dei materiali più
vari. Fra questi mattoni ce ne sono di ferro, di legno, di
'pasta', e ce ne sono persino di 'piuma'. Ebbene [...] qualsiasi uomo più o meno
cosciente deve ammettere che prima o poi la torre crollerà e schiaccerà non solo
tutti gli abitanti della città, ma tutto quello ch'essa
contiene. Quanto a me, io voglio ancora vivere; non voglio
finir schiacciato dalla torre e me ne vado al più presto. Voialtri fate come vi
pare!» (da I racconti di Belzebù a suo nipote, Neri Pozza Editore,
1999, pp. 290-291)
Chissà se anche Babylon 5, sorta di la base spaziale delle
Nazioni Unite ipergalattiche, collasserà su sé stessa nell'ultimo episodio, non
ancora uscito, della omonima serie televisiva di fantascienza. Il pubblico
americano va pazzo per questi affreschi pieni di alieni in doppio petto. La cosa
più divertente della serie di Babylon 5, sfacciatamente ispirata al Deep Space 9
di Star Trek, sono i nomi dei personaggi. Uno fra tutti: Garibaldi...
Ma concludo osservando che l’esotismo multietnico di Babilonia, più che la
sua depravazione, pare tornato in auge nelle contaminazioni. Si pensi ai recenti
film Matrix dove la navicella degli artefici della resistenza
contro le macchine si chiama Nab ovvero Nabucodonosor (e
l'ammiraglia si chiamava Ninive!). Un omaggio, forse
involontario, al vero spirito libertario, esploratore ed innovatore della
civiltà babilonese.
Ringrazio sentitamente Luigi R., Cesare O., Mauro B., Stefano C. e Vittorio
A. senza i quali questo articolo sarebbe stato molto più breve e meno
interessante. |