b) DALLA BARBARIE ALLA CIVILTA',
DALLA SOCIETA' SENZA CLASSI ALLO STATO CLASSISTA
Marx e Engels descrivono le fasi attraverso cui è passata
l'umanità, dallo stadio selvaggio fino alla civiltà, chiamandole 'preistoria'.
Mostrano come l'unità alla base di tale periodo fosse la
comunità collettiva (di stampo comunistico) primitiva, la quale non conobbe né
lo Stato né l'antagonismo di classe.
Essa, basata su criteri naturali, come la comunanza parentale,
il linguaggio o i costumi, non è ancora comunità stanziale (tribù). E la prima
forma di proprietà che si presenta in tali società senza classi è quella
collettiva.
La prima forma di proprietà è proprietà collettiva (Stammeigetung).
Corrisponde a una fase primitiva dello sviluppo delle forze produttive, in cui
la comunità sopravvive grazie ad attività come la pesca e la caccia,
l'allevamento del bestiame o - nelle fasi più avanzate - l'agricoltura.
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In questa fase storica evolutiva la divisione del lavoro non
potrebbe svilupparsi molto oltre: essa rappresenta difatti una semplice
estensione della divisione di quelle mansioni che sono - per natura - interne
alla famiglia.
Vi serpeggia però una forma di schiavitù non esplicita, dovuta
all'incremento della popolazione e dei suoi bisogni, e all'esplosione dei
conflitti tribali.
L'unificazione dei clan, o i matrimoni tra elementi di
differenti clan (ecc.), trasformano questa comunità primitiva in una tribù o in
un'unione di tribù.
Tuttavia una tale organizzazione non va oltre la cornice delle
relazioni tra parenti (catena parentale) e non modifica perciò neanche la
struttura primitiva di tipo collettivistico. Né all'interno del clan né della
tribù vi è posto per la proprietà privata o per classi antagonistiche, né per lo
Stato.
Proprietaria della terra sulla quale si è temporaneamente
stabilita è la comunità stessa (proprietà collettiva). I suoi membri - individui
o famiglie - non possiedono difatti privatamente la terra su cui vivono, possono
soltanto essere autorizzati dalla comunità a utilizzarla, proprio in quanto
membri di tale comunità.
Oltre che la proprietà collettiva della terra vi è, in molte
comunità, anche quella dei prodotti stessi della terra. In altri casi invece, la
famiglia porta avanti indipendentemente il proprio sostentamento attraverso la
terra assegnatale, e i prodotti eccedenti (dopo che sono state soddisfatte le
esigenze di natura comune: templi, riti, guerre, ecc.) vengono raccolti e divisi
tra i componenti della famiglia patriarcale. Tuttavia, in altri casi, tutta la
produzione [comprese le eccedenze, n.d.t.] viene impiegata per il sostentamento
dei membri del gruppo e quindi per il gruppo stesso.
Le forme più antiche, vale a dire più pure di tali comunità
collettive, sono i comuni asiatici arcaici, che caratterizzano le società
orientali.
Postulando che l'origine di tutte le formazioni
socio-economiche precapitalistiche stia nelle comunità asiatiche primitive, Marx
stabilisce quanto segue riguardo all'evoluzione storica di tali comunità:
Quando finalmente esse divennero stanziali, la loro
trasformazione successiva dipese tanto da vari fattori esterni, ovvero climatici
geografici fisici ecc., quanto da fattori interni quali la loro predisposizione
particolare: il carattere di ogni clan.
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Difatti, negli stadi successivi dell'evoluzione sociale,
soprattutto durante il periodo della transizione dalla barbarie alla civiltà,
questa comunità primitiva appare in forme molto differenti da quelle dalla quali
è partita, avendo subito cambiamenti strutturali notevoli.
Marx distingue tre diverse forme di proprietà e di
organizzazione comunitaria all'interno delle comunità primitive che hanno
raggiunto la fase stanziale agricola, basandosi sui tipi di relazioni
intercorrenti tra gli individui componenti il gruppo e la terra, nonché tra essi
e la comunità.
La prima forma individuata è quella asiatica, nella quale la
proprietà delle terre è interamente collettiva. In secondo luogo, vi è la forma
delle più antiche comunità occidentali: essa contiene in sé tanto la proprietà
collettiva quanto quella privata. Infine vi è la forma germanica, in cui
predomina la proprietà individuale.
Ma in tutte e tre queste forme, l'individuo, se vuole
reclamare un diritto sulla terra (l'uso o il possesso vero e proprio), deve,
come pre-requisito indispensabile, appartenere alla comunità stessa.
Queste tre forme sociali rappresentano delle società
egualitarie, che non lasciano posto né a distinzioni di classe né - quindi - a
forme di espropriazione. In esse il fine della produzione è il sostentamento
della vita comunitaria: produrre ricchezza non è un fine primario. All'interno
della comunità infatti non c'è scambio o attività commerciale, poiché non c'è
divisione del lavoro.
Nonostante una prima divisione di ricchezza inizi a
svilupparsi tra gli esponenti della comunità, essa non determina ancora alcuna
forma di espropriazione. Ciò perché ogni singolo membro della società - o
dell'unità familiare - possiede le condizioni obiettive del proprio lavoro e non
dipende dal lavoro di qualcun altro per la propria produzione.
Tuttavia nei periodi storici seguenti, nel corso della
transizione alla civiltà, tali società subiscono differenti tipi di
trasformazioni, che le portano a sviluppare differenti modalità di classe e di
Stato.
Una delle più importanti scoperte introdotte da Marx nella
scienza storica fu la seguente: anziché un'unica forma di transizione dalla
società senza classi a quella classista, ovvero dalla barbarie alla civiltà, ve
ne furono due.
La prima rappresenta la linea evolutiva asiatica, la
seconda quella occidentale. Ciò dimostra quindi che vi furono due
modalità di sviluppo dello Stato.
1) Le comunità urbane antiche (greche e romane) e quelle
rurali tedesche dell'inizio del Medioevo si collocano sulla linea di sviluppo
occidentale, e rappresentano quindi il tipo di passaggio verso lo Stato proprio
dell'Occidente.
Entrambe culminarono con la vittoria della proprietà privata,
quindi furono società classiste (l'una schiavista e l'altra feudale/servile),
ovvero basate sulla proprietà privata.
2) Dall'altra parte invece, le comunità agricole asiatiche,
appartenenti alla linea evolutiva dell'Est, rimasero immutate per migliaia
d'anni, essendo base della lunga tradizione del dispotismo asiatico.
Nelle zone orientali infatti, il passaggio verso la civiltà
(la società classista) non si basò sulla proprietà privata ma su quella statale
collettiva. Per primi Marx e Engels capirono che questa differente evoluzione
storica tra Est e Ovest dipendeva dalla differenza tra forme di proprietà,
rapporti produttivi e modi dell'organizzazione collettiva.
I fattori essenziali determinanti la linea evolutiva
occidentale sono stati: la proprietà privata della terra, lo svilupparsi e
diffondersi della divisione del lavoro e degli scambi commerciali, e il
diffondersi della pratica dell'espropriazione individuale (ovvero del lavoro
schiavile).
A esempio di questo tipo di sviluppo Marx indica gli antichi
comuni urbani (propri dell'antica Grecia e dell'antica Roma), situati sulla
linea evolutiva occidentale, nonché rappresentazioni classiche della transizione
verso una società di tipo occidentale.
L'esempio più puro di una comunità antica e di un modo di
produzione precedente quello schiavista (e che peraltro rappresenta un momento
di transizione verso tale modalità), la troviamo nella storia di Roma.
Lì la primitiva comunità urbana (la città) non era prodotto di
un processo naturale bensì dell'unificazione delle precedenti comunità agrarie
(parecchie tribù) in una singola città, sia per accordo che per conquista.
Socialmente più vivace e organizzata secondo criteri più
democratici (partecipativi) rispetto alle società asiatiche, tale città era un
agglomerato volontario di liberi individui dotati del diritto alla proprietà
individuale.
Contrariamente che nelle regioni orientali, non vi era lì un
esasperato senso del sacro: di un'autorità suprema e di una suprema unità, che
fosse posta al di sopra della comunità cittadina, e che avesse quindi il diritto
d'appropriarsi delle eccedenze produttive.
Dopo la deduzione delle spese comuni (legate a cerimonie
religiose, costruzione di edifici sacri, di difese e preparativi bellici, ecc.)
tutto il rimanente veniva accumulato nelle mani dei liberi produttori
(proprietari delle terre su cui risiedevano).
Una tale accumulazione portò a un rapido sviluppo della
divisione del lavoro e degli scambi commerciali all'interno della comunità.
Creando, da una parte, una differenza in termini di ricchezza e di accumulazione
dei beni all'interno del gruppo dei liberi cittadini, questo processo d'altro
canto portò a un incremento del numero degli schiavi, che divennero elemento
fondante della produzione e la classe più estesa dell'intera società.
Ciò determinò la dissoluzione delle antiche tradizioni
egualitarie e la divisione della società in classi differenti: ricchi e poveri,
padroni e schiavi.
Divenuta economicamente dominante, sulla base dei nascenti
rapporti di produzione, la classe dei grandi proprietari terrieri, padroni di
schiavi, cominciò a riorganizzare la società secondo strutture favorevoli al suo
ruolo dominante.
Sebbene infatti fossero ricchi e potenti dal punto di vista
economico, i grandi proprietari costituivano in ogni caso una minoranza rispetto
alla popolazione complessiva.
Per poter quindi preservare i propri privilegi di natura
economica essi avevano bisogno, oltre che di quella economica, di un'altra
struttura: un'organizzazione che difendesse gli interessi comuni dei grandi
proprietari terrieri e dei possessori di manodopera schiavile, assicurando la
continuità del loro dominio.
Questo particolare strumento della classe dominante si chiamò
Stato.
Di conseguenza, nel caso dello sviluppo occidentale, questa
particolare forma di organizzazione sociale chiamata Stato, appare come
risultato inevitabile della divisione della società in classi, divisione fondata
su quei rapporti di espropriazione il cui fondamento stava nella proprietà
privata.
In tale contesto lo Stato nell'antica Grecia e nell'antica
Roma si basò sul potere dei grando proprietari terrieri e dei proprietari di
schiavi, essendo un organo politico costruito ad hoc da quelle stessa
classi per se stesse.
L'Impero romano si basò difatti sulla schiavitù e dovette
organizzarsi secondo una struttura burocratica e centralizzata.
Poiché all'origine della ricchezza dei nobili romani vi era
l'espansionismo, in queste zone le conquiste territoriali e l'agricoltura
intensiva dei latifondi, fondata sul lavoro estensivo schiavile, si svilupparono
ampiamente.
E la politica, essendo il suo ruolo quello appunto di
assicurare il mantenimento di una tale superiorità economica, necessitava di un
enorme apparato burocratico e militare.
Un altro esempio dello sviluppo - fondato sull'idea di
proprietà privata - di società classista e statalista occidentale lo si può
trovare nella nascita dei rapporti feudali all'inizio del Medio Evo, nel periodo
di dissoluzione delle antiche comunità germaniche.
Tali relazioni si formarono a causa della disintegrazione
delle comunità rurali germaniche, risultato di migrazioni e guerre, e col tempo
della loro subordinazione a una nuova classe di nobili (i capi militari), con la
perdita delle proprie terre e della propria indipendenza personale.
La proprietà della terra, all'interno di questo sistema, è
monopolio dei nobili (signori) i quali sono organizzati in base a una gerarchia
di ranghi. Questa forma di proprietà della terra inoltre, rappresenta la
distanza che sussiste tra la collettività dei signori feudali ed i semplici
contadini.
Quanto a questi ultimi, essi sono decaduti a lavoratori
dipendenti o servi, schiacciati dagli obblighi che li legano ai loro signori
feudali.
Il sistema feudale delle terre nel Medioevo ha creato comunità
isolate e di livello locale. L'economia feudale è un'economia naturale [ossia
primitiva, n.d.t.] con limitazioni tali da poter venire incontro solo ai bisogni
dei produttori diretti e a quelli dei signori feudali (attraverso il surplus
produttivo o il surplus di lavoro), che detengono un ruolo di comando sulle
comunità locali.
Data la propria natura essenzialmente agricola, la società
feudale si sviluppa in differenti regimi feudali (rurali) fondamentalmente
indipendenti e autonomi l'uno dall'altro.
Chiaramente tale Stato non riuscì mai a divenire uno Stato
veramente centralizzato, come invece in passato l'Impero romano, e rimase a un
livello di organizzazione così limitato da potere assicurare solo il
funzionamento delle unità socio-economiche (basate sull'espropriazione dei
servi) in funzione degli interessi dei signori feudali.
Dunque, all'interno della linea di sviluppo occidentale
vediamo in primo luogo l'emergere della proprietà privata e del commercio
(relazioni di tipo commerciale) e dipoi, su tali basi, la divisione della
società in classi, infine la nascita dello Stato come strumento di dominio a
livello politico.
Tuttavia, nel caso dello sviluppo asiatico la nascita di
un'elite dirigente e dello Stato avvenne e si sviluppò in modo completamente
differente, su basi assolutamente diverse. Gli stati orientali antichi (ad
esempio, Sumer, l'antico Egitto, l'India, la Persia, ecc.) sorsero non sulla
base della proprietà privata e dei rapporti di espropriazione di carattere
individuale (ovvero su base schiavile), come appunto in Occidente, bensì
piuttosto avendo come base la proprietà collettiva e i rapporti di
espropriazione collettivi.
La classe dirigente emerse nella società orientale come
risultato del fatto che tali funzioni, inizialmente pubbliche, divennero
col tempo posti di comando, e che coloro che inizialmente erano al servizio
della società trasformarono la propria facoltà di servire in facoltà di
dominare.
3
Marx and Engels, Selected Works, Vol. I, p.21
4 Marx, Grundrisse, Penguin, 1973, p. 472
Traduzione di
Adriano Torricelli