TEORICI
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IMMANUEL KANT (1724-1804)
I - II - III - IV - V - VI - VII - VIII - IX - X - XI - XII - XIII - XIV - XV - XVI - XVII - XVIII - XIX - XX - XXI - XXII - XXIII - XXIV - XXV - XXVI - XVII KANT PRECRITICO Nonostante la varietà delle sue meditazioni ed il carattere enciclopedico dei suoi corsi, dovuti alla viva sensibilità nei confronti delle manifestazioni spirituali del suo ambiente, da questa sconcertante varietà si sviluppano certe linee convergenti inequivocabili: Kant perseguiva senza posa un disegno unico e preciso, che è necessario mettere in evidenza preliminarmente, per poter poi penetrare nella storia del suo pensiero. Anche se la lettura positivistica di Kant ha posto unilateralmente l'accento sul criticismo kantiano facendone il paladino di quella metodologia scientifica che è culminata nel limitarsi della scienza al fenomeno, non bisogna dimenticare che l'attacco kantiano alla metafisica è sempre accompagnato da uno sforzo costruttivo; proclamare la rovina della metafisica equivale, per lui, a sospenderla temporaneamente, con lo scopo di assicurarne l'avvenire, grande sogno e grande disegno nutrito da Kant per circa 50 anni. Gli attacchi, egli li dirige a una metafisica e a un metodo determinato, mentre egli stesso costruisce, almeno schematicamente, un'altra metafisica e mentre elabora un altro metodo. Raggiungere, in conclusione, il metodo filosofico e costruire per mezzo di questo la metafisica eterna: queste sono le aspirazioni dello spirito di Kant. Il dramma kantiano consiste precisamente nel doloroso dovere di sopprimere la metafisica wolfiana per amore e a vantaggio della metafisica eterna. Kant non si è mai posto sotto la protezione di Hume. La grande cesura nell'evoluzione del pensiero kantiano si colloca nel 1781 con la Critica della ragion pura. Fin dall'inizio egli non nascondeva la sua profonda avversione per la compattezza del wolfismo. La boa di salvataggio alla quale egli si aggrappa nei primi tempi, consiste in una critica diretta di alcune tesi principali di questo sistema, e questa critica assume contorni mirabilmente precisi se confrontata con le discussioni filosofiche e scientifiche del momento. Egli cercherà in seguito la panacea nel criticismo, scoperto non con un'intuizione improvvisa e geniale, ma maturato lentamente e faticosamente elaborato. La fiducia assoluta in questo fondamento critico della metafisica si fonderà, dal 1781, con l'avvenire della metafisica stessa. I 20 anni che precedono la Critica della Ragion Pura (1761-81) costituiscono un periodo preparatorio, se paragonati post factum alla sintesi critica. Kant cerca la sua strada nel dedalo della vita scientifica della sua epoca e partecipa a tutti i movimenti di essa. Da questo lavoro di informazione Kant sviluppa i principi critici fondamentali. Nel periodo che va dal 1781 al 90, in cui Kant ci dà la trilogia critica, egli si preoccuperà di mettere al sicuro la metafisica mediante l'elaborazione completa della filosofia critica. Questo periodo è quindi essenzialmente costruttivo. Il terzo periodo, che ha inizio dal 1790, è dominato dalla confusione sorta nello spirito di Kant fra l'avvenire della metafisica e l'avvenire del suo sistema. Tale periodo è caratterizzato da un atteggiamento difensivo: Kant dovette tutelare l'integrità del suo pensiero, contemporaneamente, sia dall'assalto dei wolfiani che dall'apostasia dei suoi allievi, che preannunciano lo slancio romantico della filosofia tedesca. Kant fece il suo ingresso nel mondo scientifico in occasione del 1 centenario della morte di Cartesio (1750). E' il secolo del maestoso spiegamento della fisica che, in tutti i paesi di cultura avanzata, sta provocando uno dei più clamorosi conflitti della storia delle idee in Occidente. Si verifica una fioritura di sistemi filosofici che derivano direttamente da Cartesio (Spinoza, Malebranche e Leibniz). La loro comune origine spiega come tutti siano animati dallo stesso orgoglio, quello della fisica, e perché tutti, indistintamente, siano galvanizzati dall'insperata efficacia del metodo deduttivo. Se è vero che Cartesio ha portato all'Europa un messaggio, questo non può consistere che nel miraggio di un metodo che fosse guida dello spirito. Il suo metodo doveva essere destinato a premunire lo spirito dalla sua imperfezione discorsiva e dalla fede ingenua nell'informazione sensibile. Partendo da un'unica evidenza originale, il metodo cartesiano si propone di far partecipare tutto il concatenamento deduttivo delle nostre conoscenze a questa evidenza prima, grazie alla loro perfetta coesione razionale, al pari della matematica che trova nella connessione razionale delle sue proposizioni la sua certezza suprema e la sua alta autorità spirituale. Da Cartesio a Leibniz, lo spirito umano aspira a costruire more geometrico un sistema metafisico e fisico del mondo. La fede in questo procedimento genera un grande rispetto per le matematiche che, in virtù dell'analisi cartesiana stessa, discendono dalle altezze ideali della pura quantità per esprimere dei valori fisici. Fu ancora Cartesio a realizzare il riavvicinamento fra la scienza della materia e quella dello spazio, dato che quest'ultima stabilisce le basi delle altre nelle sue linee generali. Cartesio proiettava i suoi sogni e le sue arditezze matematiche nella realtà fisica e la riduceva ad elementi matematici semplici. Tuttavia sappiamo che la fisica cartesiana non resistette alla prova dei fatti e alla lezione dell'esperienza. Christian Huyghens lo dimostrò chiaramente a proposito di alcuni argomenti importanti e, da allora, il dubbio circa la rigorosità delle deduzioni cartesiane crebbe incessantemente fino al momento in cui i Principia mathematica (1687) giunsero a chiudere la dinastia dei grandi fisici che, usando il metodo baconiano-galileiano, completano l'immagine fisica del mondo. Tuttavia la scuola di Newton, proprio come quella di Cartesio, esaltava la priorità del metodo. Anch'esso, come quello cartesiano era universalmente applicabile. Partire dall'osservazione dei fenomeni, ricercare attraverso la loro costante manipolazione il nesso causale prossimo che li determina e stabilire la classificazione definitiva del comportamento delle cose che costituisce la trama di tutta l'esistenza fisica: ecco il vero metodo del dominio dei fatti concreti e osservabili. Esso vuol fare qualcosa di più che descrivere: tende a spiegare attraverso le cause e questa spiegazione salva la parte di verità che è presente nella matematizzazione della materia, anche se si rifiuta come abusivo il matematismo cartesiano. L'induzione newtoniana, essendo agli antipodi del metodo cartesiano, doveva scontrarsi con quest'ultimo. Essa vieta di trattare la natura osservabile come una gigantesca opera geometrica e sostiene che la natura comporta degli elementi semplici, irriducibili al puro concetto matematico, e che solamente l'esperienza scopre. D'altra parte l'induzione è meno audace e più consona alla condizione umana. La metafisica spiega il visibile e l'osservabile con l'invisibile, cioè il fatto con il principio. Senza dubbio tale principio è una causa, ma non è assolutamente una causa prossima. La regressione causale usata dall'induzione è più modesta: essa concatena i fenomeni in un ordine causale semplicemente osservabile. Tutti gli scienziati positivi sparsi in Europa si schierano a favore di Newton e del metodo che ha fornito alla ricerca scientifica. L'antagonismo nato tra metodo cartesiano e newtoniano si andò sempre più acutizzando, fino a generare un conflitto fra le scienze che praticano questi metodi: le matematiche e la filosofia, la quale comprende anche la fisica, secondo l'uso allora in vigore. La fisica cartesiana si accaniva a scoprire gli elementi semplici e irriducibili della materia nella quantità pura e, a questo scopo accordava al pensiero puro un potere di investigazione, mediante la sua analisi concettuale. La filosofia leibniziana non è altro che un modello grandioso di una fisica e una metafisica in cui la ragione coglie gli elementi semplici costituenti la realtà fisica. L'induzione newtoniana, passata nelle mani degli empiristi, cercava a sua volta il semplice, ma questo era l'elemento empirico ultimo, irriducibile, non-analizzabile. Al semplice matematico assoluto, si oppone ormai il semplice relativo dell'esperienza. Si faceva quindi urgente il dovere di delimitare con esattezza gli ambiti delle matematiche e della fisica. Tutti gli scienziati scorsero la necessità e tutti i filosofi il pericolo di una simile limitazione. Lo scopo era chiaro e preciso: impedire al filosofo l'uso del metodo cartesiano nella scienza del reale. Vedremo che questa proibizione sarà una delle preoccupazioni costanti del pensiero kantiano. Si può dire senza esitazione che Newton aveva riportato la vittoria verso il 1750, nel momento in cui Kant entra in scena. Filosofia e fisica adottano il canone newtoniano in Inghilterra, Francia e Germania. D'altra parte, il successo che il nuovo metodo ottenne in fisica testimoniava a favore della sua applicabilità universale, e questa fede diede origine a un vasto movimento di ricerche descrittive. Morale, psicologia, sociologia ed estetica, ne furono le grandi beneficiarie. E questa linea descrittiva, accessibile a tutti, utilizzabile in campo pratico, stringerà un'alleanza con le tendenze democratiche dell'illuminismo. A causa di tale alleanza con lo spirito democratico, la cultura scientifica si allontana sempre più dal suo ambiente naturale, l'università. La grande peculiarità in grazia della quale la Germania fa sentire la sua nota nazionale in questo concerto cosmopolita, è la presenza di un sistema di metafisica, ultimo sistema di ispirazione cartesiana per l'Europa: si tratta della metafisica di Leibniz, ridotta a manuale e resa popolare grazie all'instancabile attività di Cristiano Wolf. Il sistema di Leibniz aveva tutte le migliori possibilità, anche a prescindere dal valore intrinseco. Esso è saldamente impiantato nell'insegnamento accademico tedesco; è rafforzato grazie all'accordo concluso fra il protestantesimo ufficiale, il pietismo ed il liberalismo moderato dei suoi difensori; ed appariva, inoltre, in quell'epoca di incertezza intellettuale, di anarchia spirituale e di turbamento morale e politico, come elemento conservatore di ordine e di tradizionalismo. Tutto il XVIII sec. in Germania può essere condensato nella rivalità che oppone l'elemento leibniziano conservatore e l'elemento internazionale progressista, usato da tutti gli scienziati. I primi saggi fisico-metafisici (1746-) dimostrano come Kant abbia sempre affrontato la fisica da filosofo. La predominanza metodologica, infatti, conferisce fisionomia propria a ciascuna delle dissertazioni kantiane di questo periodo. Se egli affronta sempre la fisica da filosofo, lo fa con lo scopo dichiarato di mostrare come, sia in fisica che in metafisica, tutto dipenda dal metodo. L'attività fisico-matematica di Kant si confonde con il grande problema di Kant: il metodo della metafisica. Sotto la spinta di Knutzen, Kant tenta nella sua dissertazione di dottorato sulle forze vive, la conciliazione fra la formula cartesiana (mv) e quella leibniziana (mv.v) delle forze. Ma ciò che gli interessa non è la soluzione, d'altra parte errata, che egli ha dato la suo problema. Egli attribuisce, in effetti, le errate valutazioni cartesiano-leibniziane ad un errore di metodo e ciò lo induce a ricercare il vero modus cognoscendi di questi due pensatori: il vero scopo che persegue è quello di scoprire un metodo più appropriato. E per raggiungere tale scopo parte da una più accurata differenziazione fra i diversi campi d'indagine scientifica. Matematiche e fisica, matematiche e filosofia, corrispondono a differenti bisogni e differenti metodi. La confusione dei due metodi, quello matematico e quello fisico è la vera causa degli errori ai quali si espone la fisica deduttiva. La generalizzazione del metodo matematico conduce necessariamente alla errata valutazione cartesiana; il metodo fisico conduce alla formula di Leibniz. Del resto, egli giunge infine alla metafisica proprio generalizzando le analisi di metodo esposte in questa occasione. Egli non è soddisfatto del metodo della metafisica allora dominante, che, nel desiderio di essere una grande filosofia, trascura allo stesso tempo di essere ben fondata. L'ambizione di esaminare i metodi allora adottati e di porre un freno allo slancio con cui la metafisica voleva allargare sempre più la propria sfera a spese della fondatezza: ecco le motivazioni della richiesta di concretezza formulata da Kant nei confronti dei metafisici contemporanei. Se si prosegue nell'analisi dei suoi lavori fisici, si vede che ovunque viene attribuita la medesima importanza al problema metodologico. La Storia universale della natura (1755) ce ne fornisce una prima prova. Questa esposizione della sua cosmogonia è fatta avvalendosi come solo strumento del metodo newtoniano, di cui egli dà una sintesi introduttiva. La storia del mondo sarà dunque delineata in un ordine severamente meccanicistico, determinata dalle leggi naturali. Solo che, e qui il filosofo si scontra con il fisico, la fisica si arresta alle leggi naturali, ma queste stesse leggi rimangono incomprensibili se non sono collegate ad un principio teleologico e tale constatazione permette di conciliare Newton con Leibniz. Tutti gli altri scritti fisici sono ugualmente basati su Newton, ma si nota sempre il tentativo di correggere Leibniz con Newton. La Monadologia (1756), però non mira più semplicemente ad una conciliazione del metodo cartesiano-leibniziano con quello newtoniano nella costituzione della fisica, ma alla loro intima collaborazione. La filosofia naturale ha sofferto fin qui di due mali che bisogna evitare: quello di lasciarsi andare a congetture infondate e quello di non voler spingersi oltre i dati dell'esperienza interpretati dalla geometria. Si capisce che il primo difetto è quello di una metafisica lasciata a se stessa e che il secondo è quello della nuova fisica interpretata matematicamente, geometricamente. Ci vogliono, invece, per la filosofia naturale, sia metafisica che geometria, perché, con la sola esperienza, interpretata geometricamente, si possono descrivere le leggi della natura, ma non se ne può trovare l'origine e le cause: per conoscere queste ci vuole la metafisica. Il problema fondamentale della Monadologia fisica è quello della natura dello spazio: "fenomeno" delle relazioni fra sostanze inestese (Leibiniz), o estensione reale e vuota infinitamente divisibile (Newton)? Per Leibniz, lo spazio è una costruzione ideale che consiste nella conoscenza oscura dell'ordine esistente fra le monadi, ordine risultante dalla loro semplice coesistenza. Newton, al contrario, sostiene la realtà e la sostanzialità dello spazio, condizione di tutte le relazioni spaziali subalterne. Secondo Leibniz, lo spazio è l'effetto delle cose; per Newton, invece, è presupposto delle cose. Kant adotta una teoria intermedia: segue Leibniz nella relatività dello spazio come ordine realizzato dalle sostanze, ma nondimeno si avvicina a Newton negando che quest'ordine sia l'effetto della pura coesistenza. Per lui, sostenitore dell'influsso fisico, le monadi sono capaci di azioni transitive, e la loro interazione determina l'ordine e le relazioni spaziali. Lo spazio è dunque l'effetto delle leggi dinamiche della materia. Quindi Kant è per Leibniz e contro Newton riguardo alla relatività, ma è con Newton e contro Leibniz per ciò che concerne la realtà dello spazio. Anche se queste problematiche rimangono ancora legate all'ambito cosmologico, il pensiero di Kant, negli anni che vanno dal 1762 al 1764 prende risolutamente la direzione epistemologica. Kant si eleva poco a poco al di sopra dei problemi filosofici particolari; un problema più decisivo lo avvince: la possibilità della metafisica. Kant risolve questo problema attraverso il ricorso al metodo newtoniano. Kant, in quel periodo, secondo la testimonianza di Herder, che partecipò tra il 1762 e il 1764, alle sue lezioni, si dichiarava allora seguace di Newton e dei fisici, mentre criticava Leibniz e i wolfiani ed inoltre stimava il lavoro di Rousseau. Gli anni che vanno dal 1755 al 1764 sono caratterizzati quindi da un avvicinamento generale del pensiero kantiano alle posizioni di Newton. Il metodo della metafisica non è il metodo sintetico, matematico, cartesiano di Wolf, ma il metodo analitico della fisica newtoniana. Già nel piccolo scritto sul sillogismo (1762) si manifesta questa tendenza, soprattutto nella conclusione, che porta il pensiero kantiano a gravitare fuori dell'orbita wolfiana: l'esistenza reale non è dimostrabile per mezzo del giudizio, dell'analisi concettuale, del pensiero puro, e neppure la causalità a sua volta può esserlo con gli stessi mezzi. In ambedue i casi, solo la constatazione sperimentale ci garantisce circa l'una e l'altra. Nei due casi noi abbiamo dei dati che, innalzati al piano della conoscenza, sono concetti ultimi non-analizzabili. Ne segue che la metafisica, scienza delle cose esistenti, non può essere costruita secondo il dispositivo wolfiano corrispondente al metodo sintetico-matematico. Tale sarà il risultato al quale Kant giunge nella Indagine sulla distinzione dei principi della teologia naturale e della morale (1764), il vero trattato metodico del periodo precritico. Fino ad ora, gli scritti di Kant che vanno dal 1762 al 1764 ci hanno insegnato, a proposito di alcuni problemi particolari, come la metafisica non debba essere costruita. Nell'Indagine egli ci dimostra come bisogna costruirla e qual è il vero metodo da seguire. Kant stabilisce il metodo metafisico, opponendolo, come numerosi suoi colleghi di quest'epoca, a quello delle matematiche e separa questo problema metodologico da ogni considerazione fisica. Kant è unicamente e definitivamente filosofo. Le matematiche costituiscono la scienza del pensiero puro: i loro oggetti sono esistenze ideali e il loro principio conduttore è quello del fondamento e della conseguenza logica. Ma la metafisica non è una scienza ideale; l'oggetto della sua indagine sono esistenze reali, assolute; il suo principio è quello della causalità. Le matematiche sono la tipica scienza concettuale, la quale ha la funzione di chiarire un concetto, di stabilirne ogni contenuto oggettivo, in una parola, di definirlo. La prima esigenza è dunque la definizione. La filosofia, invece, parte da dati, li analizza fedelmente con un lavoro di riflessione e conduce, se possibile, ad una definizione. Il punto di partenza empirico è d'obbligo; la constatazione di fatto nell'ordine della trascendenza è il solo mezzo che ci possa avvicinare alle cose esistenti. Le cose sono date, ma sono date in modo rozzo e indistinto, come del resto l'esperienza non rende conto alcuno dei rapporti metasensibili nel cui contesto essi si trovano. Bisogna renderle chiare per renderle assimilabili all'intelletto. E' questo il ruolo del lavoro riflessivo che procede con lo stesso procedimento razionalista dell'analisi. Infatti la metafisica, come ogni altra scienza, tende a rendere chiari i dati indistinti, attraverso una loro divisione in elementi semplici, non ulteriormente analizzabili. Questo tipo di analisi corrisponde al metodo newtoniano: il vero metodo della metafisica è lo stesso che Newton ha introdotto in fisica. In questo caso Kant fa sua la posizione assunta dal pensiero tedesco e in particolare da Crusius, nel conflitto internazionale Cartesio-Newton. A questo punto, in cui Kant sembra aver ridato rigore metodologico alla metafisica, uno scritto come Sogni di un visionario chiariti con sogni della metafisica (1766) sembra riportare Kant ad un distacco scettico nei confronti della metafisica. Tuttavia, c'è da dire che la metafisica che qui Kant assolutamente sconfessa è quella wolfiana e nonostante tutto egli manifesta il suo amore per la metafisica, anche se nutre una certa esitazione per la sua possibilità come scienza. Ma la metafisica di cui è ancora appassionato è ben altro da come la si intende comunemente: è infatti per lui la "scienza dei limiti della ragione umana". Quindi, se il metodo analitico è rimasto la panacea di Kant, noi assistiamo in quest'opera ad una profonda modificazione del tema della metafisica. L'oggetto della speculazione wolfiana è condannato senza pietà, e la metafisica che conserva agli occhi di Kant il suo valore è quella che esamina i limiti imposti alla ragione dal carattere sperimentale dei dati di cui dispone. Si leva all'orizzonte il problema della limitazione della ragione e al newtonismo si è impercettibilmente sostituito il tema precorritore del fenomenismo. Si può ora, in qualche modo, fare l'inventario del periodo precritico. Esso è compreso nei tre punti seguenti: 1) le cose rivelano la loro presenza e la loro natura nei dati dell'esperienza; non esiste dunque sapere senza tali dati; 2) la conoscenza reale è limitata al contenuto dell'esperienza; 3) la ragione non è limitata in sé, ma è limitata nel suo contenuto dall'esperienza. Dunque non c'è conoscenza a priori delle cose: essa è sempre a posteriori. Ciò solleva un problema molto grave. Il vero fondamento della scienza oggettiva è a posteriori; ora questo non soddisfa affatto tutte le esigenze della scienza che è tale solo a partire dal momento in cui appaiono la necessità e l'universalità dei suoi elementi costitutivi. Ma l'esperienza non è l'organo del necessario e dell'universale. D'altra parte la soluzione razionalista è, a sua volta, insoddisfacente; essa rende conto della necessità, ma non può aspirare ad un valore di realtà. Kant non sa come uscire da questa difficoltà e neppure riesce a considerarla con tutta la chiarezza desiderabile. Intanto, nel 1768 Kant riscopre le ragioni dello spazio assoluto newtoniano, inteso come ricettacolo delle cose, ma di lì a poco nel 1769, la ricerca kantiana giungerà ad un esito diverso, in quell'anno che gli diede una "grande luce". La svolta viene elaborata l'anno successivo nella cosiddetta "Dissertazione del '70": La forma e i principi del mondo sensibile ed intellegibile. Lo spazio è sì l'ordine assoluto cui è sottoposta ogni relazione delle cose, ma la sua natura è ideale. Esso costituisce con il tempo, lo schermo ricettivo dei nostri rapporti col mondo. Spazio e tempo sono intuizioni pure: rappresentazioni singolari che non risultano dalle sensazioni ma costituiscono la forma fondamentale di ogni sensazione, di ogni apparenza esterna ed interna. Le leggi della sensibilità sono perciò leggi della natura, in quanto questa può cadere sotto i sensi; ed è per tale ragione che la natura è soggetta ai precetti della geometria. La Dissertazione del '70 non si limita ad affrontare la conoscenza sensibile, ma esamina anche le superiori possibilità conoscitive dell'intelletto. Kant distingue un uso logico da un uso reale dell'intelletto. Con l'uso logico l'intelletto ordina i dati della sensibilità secondo note comuni e li confronta secondo le regole dell'identità e dell'opposizione. E' da quest'uso dell'intelletto che nasce l'esperienza, la quale consiste dunque in una generalizzazione di dati sensibili. Con l'uso reale, invece, l'intelletto penetra nello status ontologico delle cose. Kant parla di una conoscenza intellettuale, il cui oggetto sarebbe l'intellegibile, le cose come sono in se stesse (i noumeni), qualcosa di non contaminato dalla mondanità dei sensi e che funge da misura comune di tutte le cose. L'uso reale dell'intelletto è presentato come quell'uso per cui l'intelletto produce, acquisisce, riflettendo sulle proprie operazioni "in occasione dell'esperienza", i concetti necessari per conoscere la realtà: i concetti di possibilità, esistenza, necessità, causa ecc. Tuttavia, se Kant qui attribuisce all'intelletto poteri che sembrano superiori ai limiti proclamati nel 1766 con i Sogni è anche perché vede che solo l'intelletto può e deve comunque fornire quelle funzioni di unità, quelle perfezioni, che consentono di connettere i dati in un organismo propriamente razionale. Il noumenismo non va visto tanto come un passo indietro di Kant, quanto piuttosto come il tentativo di superare una concezione dell'esperienza come generalizzazione di fatti sensibili. Rimaneva però da spiegare come fosse possibile l'uso reale dell'intelletto se questo non ha una materia, distinta da quella sensibile. Infatti, per Kant la materia di ogni nostra conoscenza è data solo dai sensi ed il noumeno non si concepisce mediante rappresentazioni derivate dai sensi. Questo problema viene delineato nelle Lettere ad Herz del 1771-2, in cui Kant affronta il problema del fondamento del rapporto tra rappresentazione ed oggetto. Kant fa esplicitamente notare che nella Dissertazione del '70 egli passò sotto silenzio il problema di come le rappresentazioni intellettuali possano rappresentare le cose come sono senza tuttavia essere intuitive, cioè affette da alcuna modificazione dei sensi. Che cosa pensare della conformità degli assiomi della ragion pura con l'esperienza, se l'esperienza è per principio esclusa dalla loro costituzione? Il problema cruciale dunque rimane la spiegazione dell'accordo tra la facoltà intellettiva e le cose. Per renderci conto del problema kantiano dobbiamo sempre tener presente i presupposti da cui Kant prende le mosse in questo stadio della sua ricerca: 1) il soggetto può essere affetto, modificato dall'oggetto solo mediante la sensibilità; dunque solo mediante la sensibilità un oggetto è dato; dunque l'intuizione può essere soltanto sensibile; 2) con l'intuizione sensibile si coglie soltanto il singolare, il puro dato di fatto, dunque ogni concetto astratto dai dati dell'intuizione sensibile è un concetto empirico, incapace di generare scienza rigorosa; 3) un concetto puro è, per definizione, indipendente dai dati della sensibilità; dunque è nel nostro spirito indipendentemente da ogni influsso degli oggetti. Dati questi presupposti, come può un concetto puro rappresentare un oggetto? Kant esclude nelle Lettere ad Herz le due possibilità contrapposte di un intellectus archetypus, che è causa dell'oggetto stesso della rappresentazione e di un intellectus ectypus, che attinga i concetti puri dall'intuizione sensibile. L'unica strada percorribile resta quindi il caso in cui l'intelletto non produce l'oggetto nella sua determinatezza, ma lo produce in altro senso, in quanto si trova ad essere la condizione necessaria del suo riconoscimento come oggetto. In questa eventualità l'intelletto non è costitutivo dell'oggetto in sé, ma è costitutivo dell'oggetto in quanto conoscibile. I concetti puri, a priori dell'intelletto costituiscono in oggetti i fenomeni dati dall'esperienza e solo in questo senso, in quanto conferiscono struttura relazioni e necessità al materiale fenomenico, si può dire che "creino" da un corteo di apparenze un mondo obiettivo. Questa soluzione verrà adottata coscientemente e coerentemente da Kant solo verso il 1775. A questo punto si porrà anche il problema di delimitare in modo chiaro e netto il campo e le partizioni dei concetti puri della ragione, attraverso quella che chiamerà Critica della ragion pura. Angelo Papi - Contatto Fonti
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