STORIA DELLA SPAGNA - Le origini sino al crollo dei Visigoti
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I primi ad arrivare in Spagna (zona sud-ovest) furono gli Iberi, un popolo del nord Africa. Successivamente, attratti dalle ricche miniere di argento e di rame e da un'agricoltura prospera della penisola, arrivarono i Fenici, i quali posero delle roccaforti commerciali lungo la costa (Cadice e Malaga). In seguito giunsero gli Egeo-Cretesi e, verso i sec. VIII-VII a. C., i Greci, che fondarono numerose città, tra cui Rosas, Ampurias e Sagunto. Nella loro lotta contro i Greci, i Fenici chiamarono in aiuto i Cartaginesi, i quali conquistarono gran parte della Spagna. I Greci furono sconfitti nella battaglia del 535 a. C. ad Alalia, nelle acque della Corsica.
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Intorno al sec. VI si ebbero dal nord verso la zona centro-occidentale della penisola immigrazioni di Celti, un popolo ariano di ceppo indo-europeo, che si fuse con gli Iberi dando origine alla popolazione mista dei Celtiberi (Cantabri, Asturiani, Lusitani).
Nel III sec. a.C. Roma iniziò una disputa per la difesa dei confini territoriali delle zone sotto influenza greca. Fu la seconda Guerra Punica (218-212 a. C.), che decise il destino del Mediterraneo, il mare più importante per i traffici commerciali. Dopo la vittoria di Roma contro Cartagine, Publio Scipione l’Africano iniziò la conquista della Spagna, che rimase sotto dominio romano per sei secoli, durante i quali la repressione contro la resistenza delle popolazioni locali fu sempre molto dura. Qualche decina di migliaia di privilegiati latifondisti prevalsero su almeno sei milioni di abitanti, i cui principali lavoratori erano schiavi (soprattutto minatori), semiliberi e pastori. Roma comunque portò in Spagna quattro istituzioni sociali: la lingua latina, il diritto, i municipi e, dopo la svolta costantiniana, la religione cristiana, che si diffuse tra gli abitanti delle città, funzionari, maestri di scuola, curiali arricchiti, uomini colti.
I primi Stati feudali in Spagna risalgono all'invasione di tre popoli cosiddetti "barbari": Vandali, Svevi e Visigoti, verso gli anni 40-60 del V sec. d. C., sullo sfondo della progressiva dissoluzione dell'impero romano d'occidente.
Col nome di "Vandali" s'intendono due tribù del gruppo dei germani orientali: Asdingi e Silingi, le cui antiche origini si perdono tra la Danimarca settentrionale e l'Uppland svedese (1)
Nel 375, sotto la pressione dei nomadi Unni, provenienti dalla Mongolia, Asdingi, Silingi, Alani e Svevi, stanziati nella regione danubiana, si spostarono verso ovest, varcando il Reno nel 406, superando la resistenza dei Franchi, alleati dei Romani, devastando buona parte della Gallia e varcando i Pirenei nel 409.
Il governo imperiale romano li riconobbe come foederati e assegnò agli Asdingi e Svevi la Galizia (quest'ultimi si allargarono fino a tutta la parte nord-occidentale della Spagna), agli Alani il Portogallo e la zona di Cartagena, ai Silingi l'Andalusia, finché nel 414-418 si permise ai Visigoti (altra popolazione balcanica oppressa dagli Unni) di entrare in Spagna per cacciare i Silingi e gli Alani. I superstiti di queste due popolazioni si unirono agli Asdingi, coi quali raggiunsero l'Andalusia.
Quindi quando si parla dei Vandali di Genserico, stanziati in Spagna, bisogna intendere una popolazione ben presto sconfitta dai Visigoti, che con gli Alani preferì trasferirsi nel nord Africa, fino alla Tripolitania, per non essere completamente decimata.
In Spagna i Vandali si erano costruiti una flotta per pirateggiare il Mediterraneo, e sotto la guida di Genserico occuparono (16.000 guerrieri su un totale di 80.000 persone) la Cartagine africana nel 439, facendone un centro d'irradiazione delle loro scorrerie (nel 455 riuscirono persino a saccheggiare Roma). Verranno sconfitti solo nel 533 dal generale bizantino Belisario, che permise all'imperatore Giustiniano di estendere il controllo militare fin sulle coste meridionali della Spagna, da Cadice a Valencia.
I Visigoti entrarono in Spagna seguendo un percorso alquanto tortuoso. Infatti, nel 402 cominciarono a minacciare Milano, inducendo l'imperatore a spostare la capitale d'occidente a Ravenna, protetta dalle paludi, e nel 410, con Alarico, erano riusciti a saccheggiare Roma, proseguendo sino in Calabria; qui, tuttavia, dopo la morte improvvisa di Alarico, decisero di ripercorrere l'Italia in senso opposto, approdando nella Gallia meridionale. Erano guidati da Ataulfo (410-415), che aveva sposato la sorella dell'imperatore Onorio, Galla Placidia, e fu ucciso in Spagna.
In Gallia, davanti alla forza burgunda e soprattutto franca, era impossibile ottenere per loro, che non superavano le 100.000 unità, un regno autonomo, tant'è che dovettero accontentarsi del cosiddetto regno di Tolosa, in Aquitania, da dove i Franchi li cacciarono verso il 507. Per un certo tempo essi riuscirono a conservare un piccolo territorio chiamato Settimania (dalle foci del Rodano a Narbona), grazie all'aiuto degli Ostrogoti di re Teodorico.
In Francia i Visigoti cercarono d'integrarsi con la popolazione locale adottando il latino come lingua ed evitando d'infierire sulla popolazione, benché volessero imporre il sistema dell'attribuzione a loro stessi dei 2/3 delle terre. Dopo essere giunti in Castiglia e nella valle dell'Ebro, dilagarono in tutta la Spagna, guidati dal re Leovigildo (568-586), riuscendo a imporsi su tutte le autonomie aristocratiche romano-iberiche (escluse quelle basche), compresa la dominazione sveva, dalla Galizia al Tago. I centri urbani principali furono quelli di Barcellona, Saragozza, Merida, Siviglia e soprattutto Toledo.
Sul piano economico il regno si reggeva sul lavoro delle comunità agricole libere, la cui durata però fu relativamente breve, in quanto la preesistente aristocrazia romana, da sempre grande latifondista e abituata a imporre un regime di forte sfruttamento, condizionò pesantemente le relazioni sociali.
La massa principale dei lavoratori spagnoli, prima dell'arrivo dei Visigoti, era composta da schiavi e coloni locali. La situazione di questi lavoratori, nel centro-sud, non migliorò sensibilmente con l'arrivo dei Visigoti, anzi peggiorò sensibilmente quella, al nord, dei contadini e pastori visigoti liberi, che si trasformarono in servi della gleba. Si formò insomma una nuova gerarchia sociale, favorevole sia alla monarchia visigota che alla classe feudale ispano-gotica. Il re inoltre voleva imporre la successione dinastica e la preminenza della tradizione militare gotica su quella nobiliare latina.
Sul piano religioso i Visigoti in un primo momento non vollero rinunciare al
loro arianesimo (2), che favoriva la
subordinazione della chiesa allo Stato, ma col re Recaredo si decise nel terzo
concilio di Toledo (589) di accettare il cattolicesimo, ovvero il credo di
Nicea, nella speranza di poter assicurare meglio la propria politica
centralistica e di imporre una legislazione unica in tutto il paese. Nel quarto
concilio (633) emergerà il metropolita di Siviglia, Isidoro, le cui opere di
erudizione enciclopedica si diffusero per secoli in tutto l'occidente latino.
Fiero della propria “vittoria”,
Isidoro esaltò i Goti come simbolo dell'unità della “nazione ispana”, che aveva
trovato la propria capitale a Toledo, centro anche geografico del Paese, e
conferito autorità ufficiale e legislativa ai vescovi riuniti nei concili
toledani.
Ma la religione non poté risolvere il problema del persistere dei rapporti schiavili, né poté impedire lo sviluppo di quelli servili presso la popolazione gotica. E' vero che la chiesa continuava ad elaborare gli strumenti legislativi (culminanti nel Liber Iudiciorum del 654) che avrebbero dovuto unificare, parificandoli, Goti e Romani. Ma, legandosi allo Stato, la chiesa stessa aveva perso gran parte della sua libertà e iniziato una tradizione di servile compromesso che sarebbe durata a lungo nella storia spagnola. L'unità politico-religiosa idealizzata e propagandata da Isidoro restò sempre molto più teorica che reale.
L'oligarchia gota (poche migliaia di persone in tutto) assommava di fatto enormi poteri e privilegi, dominando le masse sottomesse, mentre era ormai quasi del tutto estinto il ceto urbano e commerciale.
Se a questo si aggiungono le rivalità tra le due diverse aristocrazie (gota e romana) e tra queste e la monarchia visigota, si comprende facilmente quanto fosse debole la penisola iberica nei confronti dell'avanzata islamica, le cui popolazioni arabo-musulmane e berbere (Mauri) penetrarono in Spagna nel 711, chiamate da Achila, legittimo successore al trono regale, ostacolato dalla fazione di Roderigo, duca della Betica (Andalusia), che voleva spodestarlo. Dopo la battaglia del Guadalete, i musulmani rimarranno in Spagna per quasi otto secoli.
Solo presso i monti delle Asturie, intorno a Oviedo, si conservò un piccolo regno ispano-visigoto (718).
(1) Un famoso vandalo fu il generale Stilicone, che dal 395 divenne uno dei personaggi più potenti nell'organizzazione politico-militare dell'area occidentale dell'impero romano, e la cui strategia d'integrazione pacifica delle popolazioni barbariche con quelle latine portò ottimi risultati, finché una congiura di palazzo non vi pose fine in modo violento, aprendo la strada al saccheggio di Roma nel 410 da parte dei Visigoti di Alarico. (torna su)
(2) Generalmente le popolazioni barbariche (Visigoti,
Ostrogoti, Vandali, Svevi, Burgundi, Longobardi...) preferivano convertirsi
all'arianesimo per poter meglio conservare le proprie tradizioni, al cospetto
delle popolazioni greco-latine, che avevano accettato il credo niceno.
Il concilio di Nicea del 325 aveva proclamato l'identità di sostanza tra Cristo
e Dio, pur nella diversità delle persone. Ario invece sosteneva che il Cristo,
pur avendo una natura divina, era stato creato da Dio e quindi gli era
subordinato. Questa teoria permetteva ovviamente allo Stato (e quindi anche ai
barbari che andavano sostituendosi alla compagine romana o bizantina) di poter
meglio dominare la chiesa cristiana. Viceversa, il cristianesimo ortodosso
obbligava lo Stato a tener conto di una diversità di ruoli di pari dignità, il
che voleva dire affermare in sede politica il concetto di "diarchia", quel
concetto che successivamente la chiesa romana rifiuterà, rivendicando
addirittura una propria superiorità, anche politica, sui sovrani, re o
imperatori che fossero. L'arianesimo fu condannato nel concilio di
Costantinopoli del 381. (torna
su)
Bibliografia
- Stampa pagina Aggiornamento: 01/05/2015 |