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La politica religiosa di Luigi XIV e la chiesa gallicana
La fortissima centralizzazione dei poteri, voluta dal re francese Luigi XIV, le cui spoglie, da quanto era odiato, furono disperse durante la rivoluzione del 1789, aveva trovato la sua espressione anche sul piano religioso, in quanto il motto della Corona era: "Un solo re, un solo Dio, una sola religione". Il Re-Sole, che amava identificarsi completamente e in via esclusiva con lo Stato (L'Etat c'est moi), non si era accontentato della sottomissione degli ugonotti (calvinisti), ma aveva voluto anche quella dei giansenisti cattolici e della stessa chiesa cattolica nazionale. La persecuzione contro gli ugonotti, iniziata nel 1661, fu sistematica e si concluse con l'editto di Fontainebleau del 1685, che annullò gli effetti del precedente editto di Nantes (1598), inducendo 200-300 mila calvinisti a emigrare in Inghilterra, Olanda, Svizzera, Germania..., nonostante vigesse il divieto di espatrio. Si trattò di un esodo oneroso per l'economia del paese, in quanto generalmente si trattava di famiglie borghesi dedite ad attività finanziarie, commerciali e artigianali. Il resto dei calvinisti preferì convertirsi. D'altra parte l'intangibilità dell'autorità della fede cattolica non poteva tollerare d'essere incrinata dalla presenza del protestantesimo degli ugonotti: l'esistenza nel paese di due fedi religiose ammesse dalla legge apriva le porte allo scetticismo e indeboliva il cattolicesimo. Naturalmente questa politica d'intolleranza religiosa non giovò affatto al rafforzamento del potere del cattolicesimo sugli animi dei francesi, anche perché gli scrittori ugonotti diffondevano dall'estero i loro libelli e le loro opere, nelle quali stigmatizzavano con grande energia l'assolutismo e il cattolicesimo. Polemizzando con gli ideologi dell'assolutismo (tra i quali vi era il vescovo Bossuet, col suo libro La politica, tratta dalla Sacra Scrittura), un autore anonimo (probabilmente l'ugonotto Pierre Jurieu) scriveva nel pamphlet I sospiri della Francia asservita, pubblicato in Olanda nel 1689: “il popolo francese conserva nel cuore il desiderio di scrollarsi di dosso il giogo, e questo è il seme delle rivolte. Perché il popolo si rassegni alla violenza che subisce, gli somministrano prediche sul potere del re. Ma in qualunque modo predichino e dicano al popolo che ai sovrani tutto è permesso, che occorre ubbidire loro come a Dio, che il popolo non ha alcun altro mezzo per combattere la loro violenza se non pregare e ricorrere a Dio, nel fondo dell'animo nessuno crede a tutto questo”. Pensatori progressisti come Claude Joly (1607-1700) e Pierre Jurieu (1637-1713) elaborarono la teoria della sovranità popolare: quando ancora gli uomini si trovavano alla condizione naturale - essi scrivevano - non esisteva il potere dell'uomo sull'uomo; il potere del re è il risultato di un contratto tra il re e il popolo, e quest'ultimo ha il diritto, tramite i suoi rappresentanti, di limitare le azioni del re. Alcuni pensieri di Jurieu, ideologo dei protestanti francesi, anticipavano la teoria del contratto sociale di Rousseau. La chiesa cattolica, i gesuiti, la corte, la nobiltà si sforzavano di suscitare una “rinascita del cattolicesimo”, ricorrendo in particolare a quel potente mezzo d'influsso sulla psicologia delle masse ch'era la filantropia religiosa: la “società dei santi doni” si batteva con ogni mezzo contro la mancanza di fede e la decadenza della “devozione”, creando una rete di nuove organizzazioni religiose nell'ambiente dei bassi strati popolari. Una parte del clero, appoggiata dalla borghesia degli uffici, ricercava la rinascita del sentimento religioso del popolo attraverso il rinnovamento del cattolicesimo. Questa corrente, nota con il nome di “giansenismo” (dal nome del teologo olandese Cornelius Jansen), aveva il proprio centro nel monastero di Port-Royal, nei pressi di Parigi. I giansenisti tuttavia non acquisirono alcuna influenza sul popolo, restando una specie di setta aristocratica, nota soprattutto per la sua avversione ai gesuiti. E comunque anche loro furono oggetto di persecuzione, in quanto troppo vicini alle idee protestantiche. Il sovrano infatti si avvalse di tre condanne papali (1643, 1653, 1713) e arrivò a distruggere il convento di Port-Royal, facendo contenti i gesuiti controriformisti, loro principali avversari. Il giansenismo criticava non solo la Controriforma, ma anche l'idea di Chiesa di stato, di Stato della chiesa e di Stato confessionale (tra i più famosi esponenti di questa comunità vi era il filosofo e scienziato Blaise Pascal). Pierre Bayle (1647-1706), un emigrante ugonotto, si rese famoso per la sua critica dell'intolleranza religiosa e la propaganda dello scetticismo religioso, che trovò la sua più chiara espressione nel suo famoso Dizionario storico e critico, che fu la prima enciclopedia della storia moderna. Un altro filosofo, Bernard Fontenelle (1657-1757), nel corso di tutta la sua lunga vita fu un entusiastico combattente della scienza contro l'ignoranza e il pregiudizio. Le sue opere popolari, come p.es. il Dialogo sulla moltitudine dei mondi, scritte con grande arguzia e brio letterario, anticipano le idee illuministiche degli enciclopedisti, mentre i suoi lavori filosofici, indirizzati contro le concezioni idealistiche nelle scienze naturali, prepararono la vittoria del materialismo meccanicistico nella letteratura scientifica dell'epoca illuministica. Infine dalle file del popolo uscì il prete di campagna Jean Meslier (1664-1729), che riuscì a dare una sistemazione organica dal punto di vista filosofico all'ateismo e al materialismo. Per la sua serrata critica dei presupposti evangelici del cristianesimo, Meslier può essere considerato l'equivalente francese del capostipite dell'ateismo tedesco, Hermann S. Reimarus, vissuto anche lui nel Settecento e anche lui destinato a diventar famoso solo dopo morto. * Non per questo, tuttavia, Luigi XIV voleva mostrarsi ossequioso nei confronti della volontà pontificia. Tutt'altro. Nel 1673, siccome aveva bisogno di denaro per le dispendiose guerre che stava conducendo, aveva esteso unilateralmente a 59 diocesi, che ne erano esenti, la cosiddetta "regalìa", cioè il diritto del sovrano di percepire le rendite di ogni singola diocesi in caso di "vacanza" della sede episcopale, fino alla nomina del nuovo vescovo. Di fronte alle ferme proteste del pontefice Innocenzo XI, la chiesa francese si schierò compatta dalla parte del sovrano, ribadendo nel 1682, con la Dichiarazione dei quattro articoli, il cui estensore fu il vescovo Jacques-Bénigne Bossuet, alcuni punti fondamentali: 1) la chiesa non ha alcun potere politico e il sovrano che lo esercita non può sottostare al potere ecclesiastico; 2) il papato non è superiore al concilio; 3) la chiesa cattolica francese si considera paritetica rispetto a quella romana; 4) il papa può legiferare, ma se pretende che i suoi decreti siano universalmente validi, deve prima ottenere il consenso della chiesa universale. In pratica si era riaffermata la tradizione gallicana francese, la cui dottrina era stata elaborata in Francia alla fine del XIII sec., al tempo del conflitto tra Filippo IV il Bello e papa Bonifacio VIII. I cattolici gallicani infatti non solo ritenevano che il sovrano dovesse ritenersi del tutto autonomo rispetto alle pretese politiche del papato, ma non sopportavano neppure che il papa rivendicasse un primato assoluto rispetto a organi collegiali come i sinodi e i concili. Nessuna disposizione pontificia poteva essere accettata senza una discussione pubblica. Erano in sostanza arrivati a dire che mentre la sovranità ecclesiastica doveva spettare a tutti i sacerdoti, il potere legislativo era prerogativa dei sinodi e dei concili, mentre per quello esecutivo papi e vescovi dovevano considerarsi in maniera paritetica. Il gallicanesimo iniziò a venir meno quando, nel 1801, Napoleone Bonaparte sottoscrisse un Concordato con papa Pio VII. In quell'occasione il papa, su richiesta dell'imperatore, depose l'Assemblea dell'episcopato francese composta dai vescovi eletti in virtù della Costituzione civile del clero (promulgata durante la rivoluzione) e dai prelati dell'ancien régime superstiti. Questo segnò la fine dei princìpi della chiesa gallicana, e il riconoscimento implicito del primato del papa. Alcuni vescovi e preti refrattari, di ideali gallicani, rifiutarono di sottomettersi al papa e fondarono la "Piccola Chiesa". Dopo la Restaurazione del 1815, l'ultimo sussulto del gallicanesimo politico si manifestò con la comparsa nel 1844 del Manuale di diritto ecclesiastico francese di Dupin. Il cattolicesimo francese progressivamente si uniformò alla chiesa di Roma, sancendo la vittoria dei cosiddetti "ultramontani". La fine del gallicanesimo ecclesiastico fu però segnata dalla progressiva laicizzazione dello Stato. Nel 1905 la legge relativa al regime di separazione recise ogni legame tra la chiesa francese e lo Stato. La chiesa gallicana, che ancora oggi sussiste, separata da quella cattolica, dispone di un clero che non supera le cinquanta unità. |