LA GRECIA TRA ORIENTE E OCCIDENTE
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I METECI E LA CITTA'LA CONDIZIONE DEGLI STRANIERI RESIDENTI NELL'ATENE DEL PERIODO CLASSICO Motivi d'interesse - Il ruolo economico dei meteci nell'Atene del periodo classico (VI - IV secolo) - Il "meteco ideale" - Due atteggiamenti verso i meteci
Andiamo con ordine. Abbiamo già analizzato i due tipi di economie (coincidenti peraltro, almeno a grandi linee, con due distinte "fasi" evolutive) della storia non soltanto ateniese, ma - più in generale - greca: a) l'economia arcaica, di tipo fondamentalmente agricolo, e basata sull'autoconsumo (e che possiamo perciò anche definire come "chiusa"), e b) l'economia del periodo classico, all'interno della quale un ruolo sempre crescente finirono per svolgere le attività economiche cittadine (commerciali e artigianali), e nella quale - come scrive tra l'altro lo studioso D. Musti - le antiche strutture socio-produttive del periodo precedente, pur lungi dall'essere dominate o sradicate dalle nuove, furono comunque da esse fortemente vivificate e diremmo anche in qualche modo rinnovate. Possiamo dire d'altronde che, a tali periodi economici, corrisposero parallelamente due periodi "ideali": l'uno dominato pressoché interamente dall'idea della cittadinanza intesa come una realtà pressoché "impenetrabile dall'esterno", in quanto fondata su vincoli di sangue (ovvero sul mito - cui già abbiamo accennato in precedenza - di un'areté naturale condivisa dai componenti di un'unica stirpe od etnia); l'altro invece, in cui un tale atteggiamento finì per essere stemperato in misura sempre crescente da un'ideologia di segno opposto, originata dalle nuove pratiche economiche e dall'humus culturale e sociale da esse generato ed alimentato. All'antica mentalità gentilizia e agraria, fondata sull'idea di una comunità chiusa ed autosufficiente - anche, e prima di tutto, da un punto di vista economico e produttivo -, si affiancò difatti in questo secondo periodo un'altra concezione, espressione di quell'economia aperta (da una parte cioè, rivolta verso l'esterno attraverso i traffici, e dall'altra largamente promotrice dell'iniziativa individuale attraverso la libera impresa) che si andava lentamente affermando: una mentalità pragmatica e "opportunistica", come tale incline a emanciparsi dai pregiudizi dei periodi storici precedenti. Sarebbe tuttavia - come del resto abbiamo già accennato - decisamente semplicistico e fuorviante contrapporre una mentalità "fondiaria" e "corporativa" di epoca arcaica, ad una mentalità "imprenditoriale" e "individualistica" di epoca classica, quantomeno nella misura in cui volessimo vedere quest'ultimo atteggiamento come largamente predominante. Sinteticamente, possiamo forse dire che, anche se i pregiudizi "di casta" della cittadinanza vera e propria nei confronti della popolazione straniera non furono mai del tutto superati (non in ultimo, anche per ragioni di convenienza economica…), essi vennero tuttavia nel corso dell'evoluzione sociale del mondo greco ad assottigliarsi, e ciò nella misura in cui l'economia si emancipava (seppure mai in modo definitivo) dal predominio delle antiche strutture agrarie e fondiarie. Di conseguenza possiamo anche dire che, se in epoca arcaica nettamente dominante fu una mentalità di carattere separatistico (decisamente poco incline non soltanto a concedere diritti di qualsiasi natura agli stranieri che - stabilmente o comunque per lunghi periodi - risiedevano sul territorio cittadino, ma anche ad accettarne la presenza); in epoca classica invece, con il primo decollo dei mercati e della vita economica cittadina, un tale tipo di pregiudizi - e le limitazioni giuridiche a essi connesse - cominciarono notevolmente ad assottigliarsi (e ciò anche per motivi di ordine pratico, essendo oramai i meteci una presenza consistente e strettamente necessaria per la città!); e che infine, in epoca ellenistica, e successivamente in epoca romana (ovvero nel periodo della dominazione imperiale sulla parte occidentale delle aree prima interessate dalla cultura ellenistica), tali aspetti di chiusura e di marginalizzazione conoscessero - in conseguenza peraltro di un'ulteriore espansione e internalizzazione dei mercati [4] - un'ulteriore indebolimento.Sempre più facile insomma, divenne col tempo per i meteci, da una parte riuscire ad ottenere un riconoscimento e una accettazione da parte del corpo della cittadinanza vera e propria, e dall'altra - caso ancora più estremo, che riguardò, anche in epoca classica, casi rarissimi - un'equiparazione di tipo politico e giuridico ai suoi componenti (ovvero, il riconoscimento della cittadinanza a pieno titolo). Del pari, non è difficile immaginare come furono le forze produttive e sociali - nonché politiche - maggiormente legate all'antico mondo agrario, quelle che maggiormente osteggiarono l'integrazione e l'equiparazione dei meteci ai membri del corpo cittadino. Ciò chiaramente per ragioni soprattutto ideologiche, essendo tali forze rimaste molto legate a una visione fondamentalmente arcaica (basata cioè sull'idea "circolare" di produzione per il consumo, e affetta da una endemica diffidenza nei confronti di qualsiasi presenza esterna). Sarebbe anche esagerato però, vedere nella popolazione agricola (che peraltro rimase sempre - rispetto a quella delle città - largamente maggioritaria), un nemico e un avversario implacabile del mondo cittadino, del commercio e con ciò - in ultima analisi - degli stessi meteci. Se da una parte difatti, la prospettiva di un tale tipo di occupazioni rappresentò - soprattutto nei primi periodi dello sviluppo dei mercati - per i piccoli proprietari di terre, nonché per i cittadini nullatenenti (teti), una realistica speranza di emancipazione dalla tirannia delle élites nobiliari; dall'altra, e in un momento più tardo dello sviluppo dei mercati, anche queste ultime - vinte, almeno in parte, le già ricordate resistenze di carattere ideologico - mostrarono di non essere affatto indifferenti al fascino del nuovo mondo cittadino: un fatto dovuto chiaramente alle molteplici occasioni di arricchimento che, soprattutto attraverso il reinvestimento delle proprie eccedenze produttive, tale mondo presentava anche per loro. Sempre per tale ragione, sarebbe abbastanza semplicistico considerare tutti i meteci come democratici e di orientamento anti-aristocratico. L'alleanza sempre più frequente dei poteri economici e finanziari cittadini – molto spesso appunto nelle mani degli stranieri - con i più antichi poteri fondiari portò infatti spesso i primi ad "aristocraticizzarsi", mentre avvicinò i secondi alla nuova mentalità affaristica cittadina. Una tale alleanza poi - unitamente ad altri fenomeni di lunga durata, dovuti all'evoluzione intrinsecamente selettiva dei mercati - portò come conseguenza alla formazione sempre più evidente di una nuova élite di notabili, il cui carattere distintivo non era più il "sangue blu" (ovvero l'appartenenza alle casate di più antica nobiltà), bensì piuttosto le ricchezze personali acquisite con i commerci e le attività industriali, che si traducevano poi in forme sia monetarie sia fondiarie. Ma anche lo sviluppo a livello globale di mentalità e di pratiche affaristiche non riuscì mai a cancellare del tutto le resistenze di un'antica mentalità campanilistica e collettivistica, la cui persistenza si esplicò tra l'altro nel perdurare nella mentalità comune di pregiudizi anti-affaristici e anti-individualistici - come largamente attestato, tra l'altro, da molte fonti letterarie. E' noto ad esempio come - secondo un'etica ampiamente condivisa, ancora in epoca classica - profondamente immorale dovesse ritenersi l'atteggiamento di colui che mirava a un arricchimento personale indefinito (anche magari, attraverso azzardate manovre speculative). Onorevole - o comunque più onorevole - era invece il tentativo di perseguire, attraverso gli affari, un arricchimento moderato e "onesto", i cui proventi fossero devoluti in buona misura a vantaggio dell'intera comunità (secondo la cosiddetta pratica dell'evergetismo o delle benemerenze). In conclusione, possiamo dire che i meteci furono, nel corso di tutta l'epoca classica - ma anche probabilmente, nella successiva età ellenistica e romana - una presenza considerevole e costante ma anche decisamente marginalizzata all'interno del tessuto sociale della polis, una presenza resa dai suoi stessi caratteri tanto indispensabile quanto negletta, tanto affascinante (data la notevole capacità di adattamento sociale di cui essi spesso davano prova, e che era una delle ragioni della loro predisposizione per gli affari) [5] quanto deprecata dal punto di vista morale. E non può non balzare all'occhio, dopo una tale osservazione, il possibile parallelo a livello storico con più di un'altra condizione di marginalità. Si pensi ad esempio a ciò che furono gli ebrei nell'Europa cristiana, o i liberti (schiavi affrancati) nel mondo romano. Anch’essi infatti, pur svolgendo un ruolo indubbiamente vivificatore per l'economia e per gli scambi (ed anche spesso per la vita culturale), furono sempre oggetto di sospetti e pregiudizi, e con ciò anche di ingiuste limitazioni di carattere politico e morale, divenendo inoltre - nei casi più drammatici - dei comodi capri espiatori per i problemi che affliggevano la società. [4] Giova qui ricordare, una volta di più, l'enorme sviluppo dei traffici avvenuto in epoca ellenistica, quando la continuità politica e - almeno a livello di élite dirigenti - culturale del vastissimo territorio interessato dalle conquiste alessandrine, favorì l'istituirsi di relazioni commerciali tra regioni anche enormemente lontane tra loro. Un'eredità questa, che fu poi raccolta e sviluppata ulteriormente dalla dominazione romana. (torna su) [5] Anche la testimonianza di Platone, un autore le cui tendenze politiche (decisamente conservatrici) non portavano certamente a essere tenero nei confronti degli stranieri, avvalora la tesi del fascino esercitato dal "meteco" sul cittadino ateniese. Ne è prova soprattutto il primo libro della "Repubblica", ambientato nella casa di un ricco e celebre meteco, Cefalo, che fu tra l'altro padre del celebre oratore Lisia (il quale infatti, compare sia in questo che in altri dialoghi platonici, pur senza mai parlare). E' appunto in casa di Cefalo, che Socrate e i suoi interlocutori (tra cui il sofista Trasimaco) si riuniscono a discutere: un fatto che non può non far riflettere sul ruolo non secondario assolto dai meteci all'interno della vita sociale e culturale ateniese. (torna su) |
a cura di Adriano Torricelli