LA GRECIA TRA ORIENTE E OCCIDENTE
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I METECI E LA CITTA'LA CONDIZIONE DEGLI STRANIERI RESIDENTI NELL'ATENE DEL PERIODO CLASSICO (VI - IV SECOLO) Motivi d'interesse - Il ruolo economico dei meteci nell'Atene del periodo classico (VI - IV secolo) - Il "meteco ideale" - Due atteggiamenti verso i meteci
Proprio svolgendo un tale tipo di occupazioni, i meteci costituirono un po’ ovunque nel mondo greco una risorsa decisiva - e a volte perfino insostituibile - per lo sviluppo di una più moderna "economia di mercato", in contrapposizione a (o, sarebbe meglio dire, ad integrazione di) quelle attività agrarie e di consumo praticate, soprattutto inizialmente, dalla totalità o quasi dei cittadini a pieno titolo. Ad Atene (e nell'Attica) tuttavia, i meteci costituirono non tanto - come invece accadde nel resto degli stati greci - un decisivo fattore di integrazione e di potenziamento delle attività mercantili e artigianali (queste ultime da intendersi peraltro in senso proto-industriale, in quanto già finalizzate alla commercializzazione - spesso su larga scala - dei propri prodotti, più che a un'utilizzazione di tipo familiare o "di villaggio" di essi) svolte da una parte pur esigua di cittadini, quanto piuttosto il vero e proprio motore del loro sviluppo e, con esso, quello di una modernizzazione ritardata di circa un secolo rispetto alle altre città-stato. Fu infatti a partire da Solone (il cui arcontato si collocò tra 594 e 593) che in Atene ebbe inizio per volontà dell'autorità statale una pratica sistematica di importazione (attraverso incoraggiamenti e agevolazioni) di stranieri specializzati in attività artigianali e commerciali, il cui fine era appunto quello di creare per queste ultime un più solido terreno, e superare così lo stato di arretratezza tecnologica e produttiva che gravava sulla città e sul suo territorio e che ne determinava un pericoloso isolamento rispetto agli altri stati greci. Ma fu soprattutto con Pisistrato (personaggio che dominò la politica ateniese all'incirca dal 550 alla sua morte, nel 527) che Atene riuscì non solo a colmare la distanza che la separava da questi ultimi, ma anche a 'sbaragliarne' la concorrenza coloniale, divenendo così la massima potenza marittima - politica, militare e commerciale - dell'Egeo settentrionale. Del resto, per la formazione di un tale impero marittimo (la cui nascita "ufficiale", o politica, sarebbe avvenuta solo con la fine delle guerre persiane, nel 478), un ruolo essenziale fu svolto - di nuovo - proprio da quelle attività commerciali e artigianali che per prime lo resero possibile, e che ne costituirono (come vedremo meglio più avanti) la premessa primigenia. Ma tali attività - come si è già osservato - furono alimentate, almeno nei primi decenni dell'età classica, in modo quasi esclusivo proprio dai meteci: cioè da quegli stranieri 'd'impotazione' la cui presenza si doveva, almeno inizialmente, all'iniziativa di Solone. E con ciò dunque il cerchio si chiude: i meteci difatti, si mostrano qui in tutta la loro importanza e centralità, non solo dal punto di vista della vita economica della città, ma anche da quello della sua trasformazione in senso imperialista! Prima di trattare più in dettaglio l'apporto dato dai meteci alla vita della polis ateniese, cercheremo però di dare uno sguardo d'insieme a quei due tipi di economia (quella agraria e di consumo e quella cittadina/affaristica) che a partire soprattutto dal periodo classico - nonché in quelli successivi, ellenistico e romano - convissero all'interno delle città-stato greche. Solo dopo aver definito questi due differenti "paradigmi" economici e produttivi (l'uno chiaramente di matrice più arcaica, l'altro invece legato ai nuovi orizzonti di sviluppo aperti dalla grande colonizzazione dell'VIII secolo) avremo modo di affrontare il difficile tema del ruolo assolto dagli stranieri nella vita sociale e economica delle poleis classiche. (a) Economia agraria e chiusa (periodo arcaico: IX-VII sec.) Nel periodo arcaico - e ancor di più in quello precedente, comunemente definito come Età oscura (XII-IX sec.) e caratterizzato da un notevole arretramento delle forze produttive rispetto al precedente periodo miceneo - il complesso delle attività produttive che si svolgevano all'interno della comunità, era di natura quasi interamente agricola. La comunità infatti, frazionata al suo interno tra diversi lotti di terra (i cui proprietari erano tuttavia legati tra loro dal senso di appartenenza a un'unica etnia, dall'uso di un medesimo linguaggio e da una storia in gran parte condivisa), viveva quasi esclusivamente dei frutti del proprio lavoro agricolo. Un ruolo del tutto marginale vi svolgevano quindi le attività commerciali o di scambio, di carattere più che altro stagionale e volte inoltre, più che ad un vero e proprio arricchimento, ad integrare le risorse create internamente con un afflusso parziale di beni dall'esterno. Caratteristica essenziale di questo tipo di economia era - almeno qualora essa venga paragonata alle epoche successive - la povertà. Il debole avanzamento delle forze produttive (un fattore legato soprattutto a un basso avanzamento tecnologico) e la staticità stessa delle gerarchie sociali (un fattore tipico di tutte le società arcaiche, nelle quali molto esigua è per i singoli individui la possibilità di un miglioramento della propria condizione patrimoniale e sociale) determinavano infatti una notevole stagnazione produttiva. Quasi del tutto secondaria e incidentale, quindi, era in esse qualsiasi incrementazione della ricchezza prodotta. Molto più frequenti invece, erano i periodi di carestia e di penuria. In più, quando si parla della Grecia arcaica (e non solo di essa…), bisogna tenere presente anche un altro elemento d'attrito rispetto all'avanzamento delle forze produttive. Tali erano i frequenti conflitti locali che esplodevano tra quelle piccole "isole produttive e sociali" che erano le poleis (o, se vogliamo esser più precisi, tra le aggregazioni o federazioni di villaggi che ne furono le antesignane), fra loro quasi sempre divise da opposte mire territoriali e da radicati antagonismi nazionalistici. Vedremo più avanti le implicazioni spirituali e ideologiche di una simile situazione materiale. Ma dovrebbe comunque essere chiaro come essa finisse per originare, da una parte, una forte autonomia produttiva e politica tra i vari centri locali; e dall'altra, un basso livello di produttività, e - sua inevitabile conseguenza - una endemica povertà! (b) L'economia del periodo classico (VI-IV secolo) Se quella arcaica fu un'economia fondata (quasi) esclusivamente sul ciclo produzione-consumo, e perciò anche pressoché priva di sbocchi commerciali, diversamente l'economia del periodo classico e preclassico (che qui facciamo iniziare con la Grande colonizzazione dell'VIII/VII secolo, e con le sue importanti conseguenze sulle strutture interne delle poleis da essa interessate) fu caratterizzata da forti spunti mercantilistici e "capitalistici". Quel che ci interessa qui di seguito, è comprendere tanto le modalità quanto le ragioni di fondo di una simile evoluzione. Senza dubbio, un grande contributo ed impulso allo sviluppo delle attività artigianali fu dato inizialmente dall'instaurazione di un florido commercio tra le colonie di più recente fondazione (VIII-VII sec.) e le zone a esse limitrofe. Da queste ultime difatti, le città coloniali acquistavano consistenti quantità di materie prime in cambio dei propri manufatti. Fu un tale tipo di attività di scambio quindi, ciò che pose le basi stesse dello sviluppo di una nuova economia, di tipo cittadino, che si poneva in netta antitesi rispetto all'economia agricola delle campagne (chorai) in un periodo in cui le città erano ancora essenzialmente sedi residenziali o luoghi di aggregazione di natura politica - ma molto poco sedi di attività economiche e produttive! E' ovvio inoltre che, dati i notevoli benefici procurati di solito da tali attività, esse conoscessero nel corso di pochi decenni un imponente sviluppo, divenendo col tempo un importante complemento delle attività agrarie e "tesaurizzatrici" arcaiche praticate invece nelle campagne (… come prova - tra l'altro - il fatto che lo stesso Aristotele, filosofo pienamente classico, e strenuo difensore di una visione tradizionalista e "autarchica" della polis, riconoscesse comunque ai traffici - o meglio al mare, come base indispensabile per il loro sviluppo - un ruolo fondamentale, in quanto "garanzia di sicurezza e insieme di abbondanza dei prodotti necessari" per la città.) Lo sviluppo insomma dei commerci e di attività artigianali altamente specializzate (la sede delle quali erano appunto le città), portò come principale conseguenza ad una sempre maggiore quantità e qualità di beni prodotti, nonché - attraverso rotte commerciali sempre più estese - ad un maggiore afflusso di beni di consumo (comprese varie materie prime: un esempio per tutti, il grano proveniente dalle regioni del Ponto Eusino, che ebbe per la Grecia e per il suo sviluppo un'importanza davvero primaria…), determinando così un notevole innalzamento del livello di vita della popolazione greca. D'altra parte, essendo i grandi proprietari fondiari (la nobiltà) maggiormente vincolati alla terra (tanto per ragioni pratiche o "di rendita", quanto per ragioni di prestigio), furono soprattutto - almeno all'inizio - i piccoli proprietari e i cittadini più poveri o teti (accanto, ovviamente, agli stessi meteci) a inserirsi più di frequente in questo nuovo tipo di attività. Si formò così una nuova classe sociale, cittadina e affaristica, alternativa - sia sul piano delle attività produttive e delle fonti di ricchezza, che su quello della mentalità - alle classi arcaiche, economicamente ancora legate alla campagna. Inoltre, un fattore essenziale di questo nuovo tipo di economia era il dinamismo sociale: un nuovo elemento prodotto sia dell'iniziativa individuale (ora liberatasi, almeno in parte, dagli opprimenti vincoli della comunità arcaica) che della libera competizione commerciale - ma anche, alle volte, della cooperazione - tra i diversi agenti economici. Si costituiva così un mondo nuovo, sia da un punto di vista sociale che da un punto di vista economico, il quale andava progressivamente ad affiancarsi a quello - pur sempre esistente, ed anzi prevalente - del periodo arcaico. A proposito di una tale convivenza scrive lo studioso italiano, Domenico Musti: << dovrebbe essere chiaro che una tale cesura [quella tra mondo arcaico e classico, nel quale un ruolo essenziale è assolto appunto dalle attività di scambio, n.d.r.] (da intendere però non come un taglio netto […]) è se mai rappresentata dal passaggio da una struttura (e da una mentalità) acquisitiva, tesaurizzatrice, conservatrice, a una struttura fortemente animata (anche se mai propriamente dominata) dal valore di scambio, dai processi di trasferimento di proprietà, dalla produzione di oggetti destinati alla vendita, nonché dal rapido consumo e trasferimento, e perfino dall'investimento, del danaro>>.E' chiaro poi come, col tempo, ovvero con l'estensione progressiva dei traffici e delle aree da essi interessate, i vecchi pregiudizi "agrari" finissero, soprattutto nel popolo minuto - che, come si è visto, era maggiormente interessato e coinvolto in tali attività - per attenuarsi notevolmente. Ad Atene - per esempio - i lavori manuali e commerciali, da una prerogativa quasi esclusiva degli stranieri residenti, sempre più di frequente divennero un valido sbocco occupazionale anche per consistenti fasce di cittadini, e ciò chiaramente in ragione delle vaste opportunità di arricchimento e di affermazione che essi presentavano. Ed è del pari molto probabile che, nell'Atene del periodo classico, la vecchia mentalità agraria - che, come si è visto, costituiva una pesante ipoteca per lo sviluppo delle occupazioni cittadine, viste come altamente dequalificanti - fosse oramai, almeno tra la gente comune, qualcosa di pressoché sorpassato. [1] Né fu un caso che ad Atene, dalla società agraria e fondiaria del periodo arcaico (e di quello precedente), si fosse giunti oramai nel IV secolo a una società di carattere "plutocratico", nella quale sempre più spesso la fonte di ricchezza e di predominio politico non era più costituita - quantomeno in modo precipuo - dalle rendite fondiarie, bensì appunto dai proventi di attività di carattere affaristico. Il che non toglie tuttavia, che gran parte di una tale ricchezza venisse di solito reinvestita nel possesso di terre (in quanto queste costituivano ancora la forma di investimento più sicuro) e con ciò nuovamente quindi, nella rendita fondiaria. Si assisté così, nel corso dei decenni, a una sostanziale convergenza tra gli antichi poteri nobiliari e i nuovi poteri economici di carattere finanziario e commerciale (le nuove élites di notabili), attraverso un processo nel quale questi ultimi o gradualmente si sostituivano ai primi, oppure li riassorbivano al proprio interno (e ciò dal momento che, come si è appena detto, sempre più aristocratici sceglievano di reinvestire parti consistenti delle proprie eccedenze produttive in attività di natura commerciale e imprenditoriale). (c) L'apporto dei meteci alla vita economica ateniese Fin qui, abbiamo analizzato la trasformazione delle poleis greche da una fase economica ancora essenzialmente basata sull'autoconsumo (…ovvero "chiusa") ad una mista, nella quale - come sottolinea anche Musti - un ruolo non secondario e decisamente "vivificatore" svolgevano i traffici e le attività - a essi strettamente connesse - di carattere artigianale e proto-industriale, secondo peraltro un trend di crescita che sarebbe rimasto costante fino all'incirca al IV secolo. Qui avanti, invece, vogliamo soffermarci sul ruolo svolto dai meteci in una tale trasformazione, in particolare per ciò che concerne l'evoluzione di Atene. Con un occhio quasi esclusivo a tale realtà, divideremo un tale apporto tra una componente diretta (i tributi) ed una indiretta (legata invece al mutamento sociale ed economico da essi impresso - e in seguito sempre potentemente sostenuto - alla città e al suo territorio). --- Apporto finanziario --- Per quanto concerne l'apporto finanziario - ovvero, potremmo anche dire, più diretto e "a breve termine" - dato dagli stranieri residenti all'economia cittadina ateniese (nonché più in generale a quella delle varie poleis), possiamo affermare che esso consisté essenzialmente nel pagamento di speciali tributi, particolarmente onerosi, detti "tasse sui meteci". Tali tributi difatti - in modo simile a quanto accadeva alle città-stato aderenti alla Lega marittima capeggiata da Atene, a loro volta tributarie verso quest'ultima - costituivano per l'Attica una fonte di ricchezza davvero enorme, e venivano in massima parte reimpiegati in attività di interesse comune: quali ad esempio costruzioni pubbliche di vario tipo (civili, militari, ecc.), elargizioni, speciali concessioni a vantaggio dei ceti meno abbienti, ecc. Così, a partire dal periodo classico (VI/V secolo), con la crescita delle finanze statali (dovuta appunto a un sempre maggiore afflusso di ricchezze dall'esterno del corpo della cittadinanza), la condizione dei cittadini ateniesi - e soprattutto di quelli meno abbienti - conobbe un lento ma costante innalzamento e miglioramento: un processo questo, il cui estremo esito si collocò nel periodo di maggior splendore della potenza politica e militare ateniese, quello pericleo, in cui - tra le altre cose - il numero delle clerucùhie (ovvero delle colonie o distaccamenti di territorio ateniese fuori dei confini della città, che significa nei territori delle sue alleate, e il cui fine era quello di ricollocare i cittadini ateniesi caduti in disgrazia) raggiunse il suo apice. La grande massa di benefici ricevuti dall'esterno - e, non certo in ultimo, dagli stessi meteci - veniva insomma (coerentemente peraltro con una concezione solidaristica di origine arcaica e, ancor prima, gentilizia, fondata sull'idea di un'eguaglianza sostanziale tra liberi cittadini, in quanto discendenti da una medesima famiglia) impiegata in favore o dell'intera comunità o - il che è poi lo stesso - dei membri meno abbienti del suo corpo. L'afflusso di tributi, sia dall'interno delle mura (ad esempio dai meteci…) che dal loro esterno (soprattutto dalle città alleate), costituì dunque, per tutto il periodo classico, una delle principali fonti di prosperità per lo Stato e - attraverso di esso - per i suoi cittadini. --- Apporto economico-politico --- Ma i meteci non furono fonte di ricchezza e prosperità soltanto attraverso il pagamento di tasse speciali, bensì anche attraverso le conseguenze - di ampiezza peraltro ancora maggiore - delle proprie attività economiche. Con queste ultime difatti, essi in un primo momento avviarono, e in un secondo momento sostennero in modo decisivo, quel processo di rinnovamento sociale e produttivo che, nel corso di qualche decennio, portò l'Attica oltre la fase (prevalentemente) agraria del periodo arcaico, dando avvio ad una nuova era, sempre più caratterizzata dalla presenza di mercati e da una produzione di carattere "industriale": in una parola, al periodo più propriamente classico della sua storia. Oltre a un contributo diretto di carattere finanziario quindi, i meteci ne fornirono ad Atene anche un altro: essi diedero infatti inizio a un profondo cambiamento strutturale senza il quale tale città non sarebbe mai potuta diventare - come invece avvenne - il maggior polo economico e politico/militare dell'Egeo. Costretti infatti - come si è già più volte detto - dal non poter possedere terre (…potevano al limite esserne meri affittuari) a dedicarsi ad attività il cui sbocco, diretto o indiretto, erano sempre i mercati, i meteci posero le basi stesse della centralità economica e marittima di Atene. Inoltre, dedicandosi alla formazione di un tessuto produttivo di carattere cittadino e "industriale", essi crearono i presupposti materiali di un'altra fonte di ricchezza per lo stato ateniese (complementare peraltro tanto alle attività mercantili quanto a quelle di tipo agrario), la cui sede - come avveniva del resto anche per i mercati - era prevalentemente la zona portuale della città, dagli ateniesi chiamata Pireo. Non basta tuttavia, ricordare tali cambiamenti per esaurire il contributo "indiretto" fornito dai meteci alla città, alla sua economia e al suo stile di vita. Non si devono difatti nemmeno dimenticare altri apporti ad essa derivanti dalla loro presenza: apporti che, seppure di natura ancor più indiretta rispetto a quelli appena descritti, ebbero per essa e per i suoi abitanti riflessi altrettanto essenziali. Volendo elencare sommariamente tali apporti, possiamo dire che essi consisterono: a) nella possibilità per la città di porsi a capo una Lega marittima - di natura militare e politica, ma anche dalle fortissime implicazioni commerciali - la quale, pur con alterne vicende, rese possibile per alcuni decenni il suo incontrastato dominio dei mari; b) nel fatto che l'apertura di questi nuovi orizzonti di impiego (che andavano ben oltre quelli tradizionali, di carattere strettamente agrario) finisse col tempo per costituire un richiamo sempre più potente per gli stessi cittadini ateniesi, i quali in tal modo andarono a incrementare il volume dei traffici della città, accrescendo così, oltre alle proprie ricchezze private, anche quelle della loro comunità; c) nella pratica della tutela protezionistica spesso svolta dalle istituzioni cittadine nei confronti delle proprie imprese: una tutela che (come vedremo tra poco) fu resa possibile, in ultima analisi, proprio dalle enormi ricchezze d'origine tributaria di cui la città poteva usufruire. Quanto al primo punto (la Lega marittima), abbiamo già accennato a come essa - oltre a essere la base di un mercato vastissimo e fondamentalmente unitario, nel quale Atene si inseriva da protagonista, in qualità di maggior centro di scambio tra mondo asiatico e entroterra caucasico, e mondo greco ed occidentale - costituisse per Atene (soprattutto nel periodo pericleo) una sorgente pressoché inesauribile di ricchezze non solo attraverso la riscossione dei tributi imposti alle alleate, ma anche attraverso le ingenti ricchezze accumulate dai privati cittadini impegnati in tali attività. Riguardo al secondo punto, cioè l'inserimento graduale dei cittadini ateniesi nelle attività imprenditoriali e affaristiche, va notato ancora una volta come, mentre inizialmente furono i cittadini "non nobili" a inserirvisi, in un secondo momento - anche forse, a causa di un parziale superamento dei pregiudizi e delle ipoteche culturali nei confronti di tali occupazioni - anche i ricchi proprietari finirono per prendervi parte attivamente, sia attraverso il finanziamento delle imprese cittadine sia con il reinvestimnento di parte almeno delle proprie (vaste) eccedenze produttive. Un tale fenomeno d'altra parte, accanto a un autonomo processo di selezione delle imprese più forti (che erano in genere, ovviamente, quelle con a disposizione maggiori capitali), portò - già a partire del quarto secolo - alla formazione di una nuova "aristocrazia" di notabili, frutto in gran parte della fusione dell'antica aristocrazia terriera con le nuove élites commerciali e finanziarie, quando non di una sostituzione delle prime (ormai spesso decadute) da parte delle seconde. Quella visione retrograda, insomma, che portava l'autore (peraltro ignoto) della Costituzione d'Atene a descrivere la città fisica come un luogo di corruzione nel quale l'ingenua semplicità del nobiluomo di campagna non poteva che smarrirsi e cadere vittima di perfidi raggiri, fu presto affiancata - seppure mai realmente rimpiazzata - da una nuova impostazione, molto più favorevole ad un incontro e ad un'alleanza strategica tra i grandi poteri agrari e gli interessi delle classi commerciali e imprenditoriali. Non va infine dimenticata l'inversione di tendenza subita dall'economia greca nel periodo propriamente ellenistico. Il declino dei traffici a livello egeo (in particolare per ciò che riguarda la Grecia e le zone limitrofe) riportò difatti in auge in tale periodo l'antica economia fondiaria, mentre l'impoverimento medio della popolazione - priva di gran parte dei precedenti sbocchi occupazionali - rafforzò i rapporti di dipendenza dei ceti medi e piccoli nei confronti di quelli più ricchi, la fonte di benessere dei quali era oramai ritornata in gran parte a essere appunto la rendita fondiaria! Comunque, l'estensione sia dei traffici che della stessa cultura dei traffici (ovvero di una mentalità di tipo imprenditoriale e cittadino) non poté, a partire dalla diffusione e dal graduale affermarsi di essi in età classica e poi ellenistica, non determinare una progressiva integrazione dei meteci in seno alla società, ovvero a un graduale superamento delle antiche resistenze nei confronti di una loro accoglienza nel seno della cittadinanza. (Ma questo argomento verrà approfondito in un prossimo paragrafo.) Riguardo infine all'ultimo punto, in merito cioè alla pratica protezionistica portata avanti dalle istituzioni cittadine nei confronti delle proprie imprese (pratica che ebbe, senza dubbio, un effetto fortemente consolidante per il tessuto economico e produttivo della città), possiamo dire che essa si esplicò fondamentalmente attraverso la consuetudine dei pubblici appalti. Se difatti dai tributi e in genere dalle cospicue ricchezze affluenti nelle casse dell'erario provenivano allo Stato (ovvero alla comunità dei liberi cittadini) i fondi necessari per quelle grandi opere che facevano (e fanno ancor oggi) grande Atene, sia dal punto di vista culturale ed artistico, che da quello economico e commerciale, dall'altra era quasi sempre cura dello Stato di appaltare tali opere ai suoi stessi cittadini (ovvero alle loro imprese) : una pratica questa, che ebbe come risultato quello di rafforzare ulteriormente il già florido mercato artigianale e commerciale interno. Ancora una volta quindi, vediamo qui come la città reimpiegasse le proprie ricchezze al fine di incrementare il suo stesso benessere, rafforzando al contempo la propria economia. Possiamo allora concludere il nostro discorso affermando che, tutto sommato, quello dato dai meteci a partire dal VII/VI secolo alla vita economica della città di Atene fu un apporto a dir poco indispensabile. Senza di loro difatti, non sarebbe mai stato possibile lo sviluppo di una civiltà quale quella ateniese classica. E tuttavia, dobbiamo anche rilevare come gli Ateniesi (pur pienamente consapevoli - come dimostra tra l'altro, un celebre testo di Senofonte sull'economia - della funzione vivificatrice e apportatrice di benessere degli stranieri) fossero alquanto riluttanti a dimostrare verso di essi una vera gratitudine, preferendo mantenerli in una condizione di isolamento e marginalità, soprattutto dal punto di vista politico. Nei prossimi paragrafi analizzeremo perciò, sia gli aspetti e le coordinate fondamentali di un simile atteggiamento (che potremmo tranquillamente definire xenofobo), sia le ragioni ideologiche che - assieme ad altre pratiche, in quanto legate a interessi di natura materiale - vi furono a base. [1] Una prova a favore di tale tesi, ce la fornisce ad esempio il discorso attribuito a Pericle da Tucidide, laddove lo storico ateniese fa dire al grande politico che, nella città, è dovere di ognuno conciliare i propri affari privati (cioè - con ogni probabilità - quelle attività di carattere commerciale ed imprenditoriale a cui sempre più cittadini si dedicavano) con quelli inerenti alla collettività (quelle questioni politiche cioè, che riportavano il singolo individuo nell'ambito della comunità). Se ne evince quindi che la vita sociale dalla polis ateniese del periodo classico costituì un felice incontro tra una più moderna mentalità, individualista e affarista, che trovava la sua espressione nel mondo delle imprese commerciali e artigianali, e un'opposta mentalità di stampo collettivistico, che tendeva a riportare l'individuo nell'alveo del suo gruppo di appartenenza. Dato interessante della biografia di Pericle inoltre, è il modo in cui egli amministrava la sua tenuta di campagna: un modo che dimostra la diffusione - a cavallo tra quinto e quarto secolo - delle attività capitalistiche e affaristiche ormai almeno tra una parte della nobiltà agraria (classe alla quale egli apparteneva). E’ difatti, attestato come Pericle concepisse le attività della propria tenuta come interamente finalizzate ai mercati, in contrapposizione ad una mentalità economica arcaica, basata sull'idea e sulla pratica dell'autoconsumo e della tesaurizzazione delle eccedenze sotto forma di ricchezza monetaria e/o di beni di lusso. (torna su) |
a cura di Adriano Torricelli