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LE ORIGINI E LA NATURA DELLA DEMOCRAZIA IN GRECIA
1-2-3-4-5-6-7
IL PERCORSO CULTURALE E POLITICO DEI GRECI

(b) La civiltà greca arcaica
“Qualcuno dei Sai si vanta dello scudo,
arma perfetta, che presso un cespuglio
abbandonai non volendo;
ma ho salvato la vita. Che m’importa di quello
scudo!
Vada in malora! In seguito me ne procurerò uno
non peggiore.”
Archiloco
“Bella è la morte, nelle prime file
cadendo
d’un valoroso che pugna per la sua patria.”
Tirteo
“Lasciamo perdere le lotte dei
Titani o dei Giganti
o dei Centauri – vecchie favole –
o le contese civili. Non ci migliorano.
Occupiamoci sempre, invece, degli dei.”
Senofane
Abbiamo descritto l’età oscura come
un’era di frazionamento territoriale e di grande imbarbarimento della società.
Effettivamente lo fu, ma si deve anche dire che essa conobbe differenti fasi. In
particolare, a partire dal IX secolo iniziò per la civiltà ellenica una stagione
ascendente, una sorta di primavera che preluse alla vera e propria rinascita
culturale e politica dell’età arcaica che ebbe inizio con l’VIII
secolo.
Durante questa età, il mondo greco
conobbe alcune trasformazioni fondamentali, che possiamo così schematizzare: una
nuova espansione coloniale (le due precedenti ondate si erano
verificate l’una durante il periodo miceneo, l’altra nei secoli successivi alle
invasioni doriche ed essenzialmente come loro conseguenza); un potente sviluppo
dell’artigianato e del commercio; una rinascita dei contatti con
le vicine culture orientali, da cui la civiltà greca ricevette in particolare
due prodigiose invenzioni: la scrittura alfabetica (dai Fenici) e la
moneta (dai Lidi). Una delle conseguenze di questi cambiamenti fu la
rinascita, dopo i secoli oscuri segnati dalla barbarie, dello stato, nella forma
delle città-stato.
Quanto a queste ultime poi, cruciale
– come vedremo – nella loro storia fu l’apparizione degli eserciti
oplitici, che contribuirono in modo decisivo a mutarne la struttura politica
e sociale in direzione di una maggiore partecipazione delle classi popolari alle
attività di governo.
Anche se la presente ricerca vuole
soffermarsi essenzialmente sulle trasformazioni politiche avvenute nel mondo
greco tra VIII e VII secolo, questo argomento non può essere considerato
isolatamente dagli altri fattori che abbiamo appena menzionato. Non deve quindi
stupire il fatto che un grande spaziò sia qui dedicato ad essi, e che solo verso
la fine del capitolo ci si occupi di temi propriamente politici e
istituzionali.
(b.1) La trasformazione del
mondo greco tra VIII e VII secolo
(b.1.1) la
colonizzazione
Come abbiamo già accennato, verso il
IX secolo la Grecia conobbe un primo miglioramento delle proprie condizioni
economiche e sociali. Esso era dovuto probabilmente alla relativa
stabilizzazione della situazione politica, a qualche avanzamento nelle tecniche
agricole e a una conseguente crescita della produzione e del benessere. Ma tali
miglioramenti comportarono anche un aumento della popolazione e, con ciò, una
carenza ancora maggiore di terre rispetto ai periodi precedenti.
Da qui l’accrescersi dei conflitti
sociali, e non solo tra poveri e ricchi ma anche tra gli stessi membri
dell’aristocrazia, i quali spesso (ma questo era di sicuro un problema più
antico) vedevano assottigliarsi le loro proprietà terriere per questioni
ereditarie. Così, a un certo punto, l’emigrazione parve una soluzione naturale e
necessaria. Osserva Pierre Lévêque che nella storia greca:
“sotto l’apparente improvvisazione si
scorge una costante: la stretta necessità per il genio degli uomini di supplire
alla povertà delle risorse naturali, d’inventare nuovi mezzi per evitare
l’autarchia, generatrice di morte”
– un giudizio questo, che si adatta
benissimo anche all’evento della colonizzazione dell’VIII secolo, che fu appunto
una tra le più grandiose imprese poste in essere dai Greci per sfuggire alla
miseria e alla fame.
Per tale ragione, tra VIII e VII
secolo, un po’ da tutta la Grecia (con la sola eccezione, forse, dell’Attica
edel Peloponneso) presero avvio spedizioni, capeggiate solitamente da nobili (i
quali ovviamente aspiravano a ricoprire nei nuovi territori un ruolo analogo a
quello ricoperto nelle terre d’origine), alla ricerca di luoghi favorevoli per
un insediamento stabile. Tali spedizioni si indirizzarono tanto a occidente
della Grecia (sulle coste italiane, siciliane e spagnole)
quanto a oriente (sia verso regioni già civilizzate come l’Egitto, dove
col consenso degli stati ospitanti furono fondate alcune città-empori, che
divennero floridi centri di interscambio con la madrepatria; sia verso regioni
ancora “vergini”, come ad esempio quelle situate in prossimità del Ponto Eusino,
dove su territori sottratti alle popolazioni locali furono fondati insediamenti
politicamente indipendenti).
(b.1.2) i traffici e la produzione specializzata
L’evento della colonizzazione fu la
premessa essenziale per la nascita della civiltà classica e, prima che si essa,
di quella arcaica o pre-classica, come ben dimostra il fatto che per molto tempo
le cosiddette colonie – soprattutto quelle asiatiche – costituirono l’avanguardia
stessa del progresso sociale e culturale ellenico.
Dalla fondazione delle colonie il
mondo greco ricevette un enorme impulso verso lo sviluppo dei traffici. Dal
Vicino Oriente infatti provenivano manufatti finemente lavorati che suscitavano
gli appetiti dell’aristocrazia, ma che richiedevano anche una classe mercantile
che si impegnasse ad acquistarli e trasportarli. Mentre da altre zone (sia
orientali sia occidentali), meno sviluppate ma spesso ricche di materie prime a
buon mercato, provenivano beni primari (ad esempio il grano delle regioni del
Ponto Eusino), che si riversavano poi sui mercati delle nascenti città-stato
aumentando la disponibilità di beni di consumo e abbassandone i
prezzi.
Ovviamente tali beni venivano
scambiati sia con prodotti agricoli sia con manufatti provenienti dalle regioni
della Grecia propriamente detta, o dalle sue colonie. Per questo il commercio
diede notevole impulso, oltre che alla nascita di una nuova classe mercantile e
affaristica, anche a quella di una classe di artigiani specializzati con
sede nelle nascenti città da una parte (celebri in tutto il mondo divennero, ad
esempio, i vasai attici e corinzi) e a quella di colture agricole
specializzate, in contrasto con la più antica economia di sussistenza,
dall’altra (la Grecia produceva grandi quantità di olio e vino che
scambiava poi soprattutto con granaglie).
(b.1.3) la scrittura e la moneta
Ma dalle più evolute e raffinate
civiltà del Vicino Oriente non giunsero in Grecia solamente prodotti di alto
artigianato, ma anche nuovi preziosi spunti culturali (come ad esempio i
rudimenti della scienza geometrica) e nuove e prodigiose invenzioni. In
particolare, come già detto, dal Vicino Oriente i Greci ricevettero la scrittura
alfabetica (e ciò anche se una più antica forma di scrittura, detta lineare A
e B, si era largamente diffusa nel mondo egeo già nel periodo minoico
e miceneo, eclissandosi poi completamente nelle epoche oscure del medioevo
ellenico) e la moneta (ovvero piccoli e maneggevoli blocchetti di metallo –
argento, oro, elettro, alle volte anche ferro – di forma cilindrica, il cui
valore di scambio era fissato con esattezza e garantito dall’autorità dello
stato).
Entrambe queste invenzioni ebbero
conseguenze epocali sulla civiltà ellenica, tanto da costituire – soprattutto la
seconda, dal momento che la prima in passato era già esistita – un vero e
proprio spartiacque nella sua storia.
La scrittura alfabetica, basata
anziché su simboli o ideogrammi sulla riproduzione diretta dei suoni linguistici
(e inventata, pare, dai fenici a partire dal XVIII secolo a.C.), si
caratterizzava rispetto alle precedenti forme di scrittura per una maggiore
velocità e praticità. Essa pose le basi non solo per una registrazione scritta
dei testi e delle idee (senza di essa, ad esempio, Omero o chi per lui non
avrebbe potuto comporre e tramandare le sue opere) ma anche, quantomeno sui
tempi lunghi, per una notevole democratizzazione della cultura. Tale
invenzione dunque, assieme agli elementi già analizzati sopra, contribuì a
favorire quel fondamentale processo di diffusione orizzontale del benessere e
della cultura che caratterizzò il mondo greco dal periodo arcaico in
avanti.
La moneta invece (inventata, secondo
Erodoto, da Creso, re della Lidia, nel VII secolo) rese molto più
semplici e agevoli rispetto al passato gli scambi commerciali, soprattutto
quelli di carattere internazionale, accelerandone notevolmente lo sviluppo.
Quanto all’importanza di questi ultimi per il mondo greco, giova qui citare
ancora una volta un passo di Lévêque, che scrive: “la Grecia, del tutto incapace
di vivere con un’economia autarchica, che le avrebbe procurato un tenore
di vita miserabile, si apriva largamente [al commercio internazionale], in tutte
le direzioni. Il movimento portava in sé la forza di un’espansione indefinita.
[…] L’industria e l’agricoltura erano parimenti stimolate ed il commercio
diventava la base di un’economia in continuo sviluppo.” [corsivi
miei]
(b.1.4) i nuovi orizzonti del mondo greco; l’emergere della lotta di classe e della
politica
A partire dall’VIII secolo dunque,
nuovi orizzonti sia mentali sia fisici, si aprirono al mondo greco, che ne uscì
inevitalmente completamente trasformato.
Ma, oltre a quello appena citato e ad
esso molto vicino, vi è anche un altro aspetto su cui è bene soffermarsi, e che
Starr così riassume:
“nella vita greca entrò [nei periodi
successivi alla grande colonizzazione] un nuovo elemento: lo sforzo
consapevole di guadagnare vantaggi economici. Da allora in poi lo spirito
economico, se così si può chiamare, diventò un fattore costante e di
considerevole importanza nella civiltà ellenica, libera, com’essa era,
dal peso di re assoluti e di potenti sacerdoti.” [corsivi
miei]
Differenza essenziale tra la civiltà
greca quale si andò sviluppando da questo periodo in avanti, e molte delle
vicine civiltà asiatiche, non fu infatti la presenza e la centralità dei
commerci (i quali infatti, si erano sviluppati molti secoli prima nel mondo
asiatico, dove da sempre assolvevano un ruolo economico indispensabile), ma la
struttura sociale ad essi sottesa.
Mentre infatti, i grandi stati come
l’Egitto avevano sviluppato una vera e propria casta di funzionari
preposta allo svolgimento delle attività mercantili (le quali, per tale ragione,
rimanevano in gran parte sotto la tutela dello Stato), popoli come i
Fenici, caratterizzati da ancora più antiche tradizioni commerciali,
avevano sviluppato sin dai tempi più remoti un’aristocrazia mercantile
che, attraverso i propri poteri economici e istituzionali, dirigeva le
attività commerciali inquadrandole in una struttura sociale già
consolidata.
Diversamente in Grecia, almeno in
questo periodo, una vera e propria organizzazione statale non era ancora sorta,
mentre l’aristocrazia (di carattere ancora essenzialmente guerriero e fondiario)
non aveva particolari inclinazioni per i traffici. Essa di solito li disdegnava,
tanto da preferire di finanziare le spedizioni altrui piuttosto che farsene
direttamente carico (anche se, ovviamente, vi furono numerose eccezioni a questo
trend generale!) Del resto, delegando tali attività ad altri soggetti sociali,
essa non faceva altro che ribadire il proprio disprezzo nei confronti di ogni
occupazione manuale e pratica.
Inoltre, almeno inizialmente, i ceti
aristocratici dimostrarono scarso interesse anche per i guadagni
derivanti dal commercio, che con piacere lasciavano quindi a quei plebei che
si specializzavano in attività di mercato, preferendo ad essi le proprie antiche
rendite fondiarie. Questi avventurieri del commercio avevano così la possibilità
di arricchirsi attraverso la propria iniziativa economica indipendente, e di
porre di conseguenza le basi della propria emancipazione dallo strapotere dei
ceti nobiliari.
È dunque evidente, che gli
sconvolgimenti economici conosciuti dalla civiltà greca a partire dall’VIII
secolo in conseguenza dell’affermazione di queste trasformazioni di carattere
mercantilistico, portarono tale civiltà a svilupparsi in direzione di un
dinamismo sociale fino ad allora sconosciuto non solo ad essa ma anche al vicino
mondo orientale: in direzione cioè di una accentuata lotta politica e sociale
tra l’antica aristocrazia terriera e i ceti commerciali e artigianali
emergenti, nonché (lo vedremo tra poco) tra queste due classi e una sempre più
consistente fascia di popolazione (teti) espropriata dei propri già
modesti appezzamenti terrieri. Tutti meccanismi questi, che rimasero
fondamentalmente estranei alla storia delle vicine regioni orientali, nelle
quali, per tutta una serie di ragioni già sommariamente delineate, non ebbero
mai luogo turbamenti dell’organizzazione politica e sociale paragonabili a
quelli appena descritti.
(b.1.5) la nascita della polis
Riflesso in gran parte delle
trasformazioni alle quali si è appena accennato, fu la nascita delle
poleis, ovvero delle città in senso proprio: luoghi di aggregazione di
una parte sempre più consistente della popolazione per lo svolgimento sia di
alcune attività economiche (artigianato, traffici e mercati) che di quelle
politiche.
Polis era in origine il nome
dato alla cittadella fortificata nella quale si rifugiavano gli abitanti delle
campagne circostanti in caso di guerre e assedi. Al di fuori di essa non vi
erano, appunto, che campagne e villaggi. Essa inoltre, probabilmente, era anche
sede delle attività decisionali dell’aristocrazia e delle cerimonie di culto
dedicate alle divinità del territorio.
Il fattore che conferì sempre maggior
peso a una tale realtà fu senza dubbio, almeno inizialmente, la crescita delle
attività di scambio, riflesso dell’aumento della produttività e del benessere
che prese avvio nelle ultime fasi dell’età oscura.
L’agorà o piazza pubblica, che
nei secoli successivi sarebbe divenuta il centro nevralgico della città-stato,
sorse appunto come luogo di commercializzazione del surplus prodotto nelle
campagne e nei villaggi. Con la colonizzazione inoltre, il flusso delle merci
aumentò in modo notevolissimo, e con esse aumentarono anche la produzione
artigianale e agricola specializzate, finalizzate in buona parte
all’esportazione.
Attorno alla cittadella antica (la
quale nei periodi successivi sarebbe divenuta l’acropoli, ovvero la città
alta) si andarono così sviluppando sia un’intensa vita sociale che una serie di
nuove strutture architettoniche. Proiettandosi oltre la dimensione dei semplici
villaggi, il mondo greco iniziava ora a sviluppare delle vere e proprie
città.
Le trasformazioni economiche appena
descritte inoltre, portarono alla nascita di nuovi ceti, sia
commerciali/artigianali che nullatenenti. Un fenomeno questo, che portò a
un’ulteriore crescita dei centri urbani, i quali divennero tra l’altro la sede
della lotta politica tra le due principali forze sociali del tempo: la classe
dei nobili da una parte, e quella dei “nuovi ricchi” (cioè di quel ceto
emergente che attraverso la propria iniziativa indipendente aveva
conquistato un consistente potere economico e una decisa autonomia e che,
proprio per tale ragione, si accingeva ora a rivendicare anche maggiori diritti
decisionali o politici) dall’altra.
Proprio una tale situazione di
accresciuta conflittualità e complessità sociale fu la base dei primi tentativi
di pianificazione, attraverso leggi scritte, della vita politica
del mondo greco. Le istituzioni ancora primitive dell’età tribale, nella quale
era la forza più che la legalità a contare, iniziavano ora a lasciare il posto a
quelle della polis, della città-stato vera e propria. Contemporaneamente,
sorgeva il concetto stesso di cittadinanza: ovvero dell’essere cittadini,
del godere del diritto di decidere assieme ad altri cittadini in merito alle
sorti dello stato.
Oltre che centro economico, la
polis diventava dunque gradualmente anche il luogo dello scontro e della
concertazione degli interessi soprattutto dei ceti più influenti della società,
il centro politico in cui venivano prese le decisioni riguardanti la
città e i suoi territori circostanti. Nasceva così la
città-stato.
(b.1.6) gli eserciti oplitici
Ma l’emergere dei profondi
cambiamenti nella vita sociale e politica del mondo arcaico ai quali abbiamo
appena accennato (e cioè, in sintesi, la nascita di veri e propri centri
urbani e il progressivo ampliamento sociale della base politica) non
deve essere imputato soltanto, e forse neanche principalmente, a fattori di
carattere economico, ovvero all’estendersi dei mercati e della produzione
specializzata. Sarebbe una indebita forzatura voler vedere in atto, nei secoli
di cui stiamo parlando, meccanismi eccessivamente simili a quelli che, sul
finire del moderno medioevo, portarono alla nascita di una vera e propria
borghesia mercantile, base con le proprie attività di un radicale
rivoluzionamento della mentalità e degli stili di vita del mondo
europeo.
Un evento che invece, nel corso del
VII secolo, diede un apporto decisivo ai cambiamenti di cui abbiamo appena
parlato (e dei quali parleremo ancora avanti) fu la nascita di una nuova tecnica
di combattimento, che si contrapponeva in modo radicale a quella, ancora
incentrata sul ruolo della cavalleria e della nobiltà, dei secoli precedenti.
Essa fu molto probabilmente inventata in Laconia, a Sparta, uno
stato la cui espansione coloniale – a differenza di quella degli altri stati
greci – fu diretta essenzialmente verso l’interno, anziché verso l’esterno,
della madrepatria.
Al contrario di altre, la Laconia era
infatti una regione abbastanza ricca e fertile da bastare a se stessa, seppure
senza poter garantire ai suoi abitanti un tenore di vita eccessivamente alto.
Esisteva però, ad ovest di essa, un’altra regione fertile, la Messenia.
Anziché partire alla ricerca di terre remote, gli spartani preferirono dunque
con una lunga guerra sottomettere gli abitanti di questa regione,
appropriandosi, attraverso tributi, di una parte consistente dei prodotti del
loro lavoro. (Anche se, per precisione, va detto che anche Sparta conobbe una
sia pur modesta espansione coloniale in Italia, dove fondò la città di
Taranto).
Per raggiungere questo traguardo gli
spartani non soltanto lottarono stoicamente conto i propri nemici, ma
escogitarono anche un nuovo tipo di formazione militare, la falange
oplitica. Basata su una fortissima coesione tra i propri membri, che non
erano più nobili cavalieri armati alla leggera bensì soldati appiedati e
protetti con uno scudo e una pesante corazza di metallo, la falange oplitica
ebbe, oltre all’effetto di rivoluzionare il modo di fare la guerra, anche quello
di imprimere una svolta decisiva all’organizzazione interna delle
nascenti città-stato.
Accadde infatti, che la parte di
popolazione che poteva pagarsi l’attrezzatura necessaria per entrare a fare
parte della falange oplitica, e che apparteneva appunto a quelle fasce
benestanti che insidiavano il predominio della nobiltà, potesse in
conseguenza di tale rivoluzione rivendicare diritti politici molto più ampi
rispetto al passato. Il fatto di costituire un baluardo essenziale (soprattutto
da che la falange oplitica si diffuse in tutto il mondo greco) per la difesa e
la tutela dell’integrità della comunità e dei suoi territori, dava difatti a
essa una “forza contrattuale” che in passato, anche considerato il maggior
potere economico raggiunto, non aveva mai avuto.
Possiamo quindi affermare,
riassumendo quanto abbiamo detto fin qui, che nel periodo arcaico i fattori
economici, legati all’emergere di sempre più vaste attività di mercato, e quelli
militari, legati alla nascita e all’affermazione della falange oplitica come
nuova base dell’organizzazione bellica, contribuirono parallelamente
all’estensione della base politica e decisionale della società e all’ampliamento
della città come luogo di nuove attività economiche e politiche, nonché come
centro direttivo dell’intero territorio statale.
In più, è bene osservare come gli
eserciti oplitici contribuissero, in ragione dell'etica egualitaria che vi era a
base, a rafforzare il senso di solidarietà e di reciproca identificazione tra i
membri di quelle classi medie che ne componevano le fila. Tali eserciti erano
infatti strutturati in modo che ogni soldato proteggesse il fianco del suo
vicino, e ciò al fine di mantenere intatta la solidità della falange contro la
forza d'urto del nemico. Attraverso l'appartenenza a un tale organismo perciò,
le classi medie riaffermavano ulteriormente quei valori legalitari ed egualitari
dei quali si facevano fautrici anche a livello politico e che costituivano la
base della loro etica e della loro condotta di vita.
Anche nell'organizzazione militare
dunque, troviamo in atto trasformazioni volte a limitare la disparità tra i
membri della comunità, ovvero a rafforzare il sentimento d'appartenenza dei
singoli individui a un corpo sociale basato su una fondamentale parità di
diritti e di doveri, in opposizione all'etica individualistica ed elitaria
prevalente nei periodi precedenti. “Il combattimento è ormai possibile solo in
formazione serrata: per il guerriero non si tratta più di far rifulgere il
proprio valore personale con grandi prodezze, ma di tenere bene il proprio posto
tra i due vicini, brandendo la lancia con la destra e proteggendosi con lo
scudo tenuto nella sinistra.” (Lévêque)
(b.1.7) i teti e il diffondersi della povertà
Fin qui abbiamo parlato della
trasformazione economica del mondo greco tra VIII e VII secolo soprattutto in
termini di estensione della ricchezza e del benessere. Ma non fu affatto
soltanto così. Anzi, proprio nel VII secolo si collocò il momento culminante di
un processo di impoverimento dei piccoli proprietari terrieri le cui origini –
come vedremo – risalivano ancora all’età oscura.
Molti si sono chiesti come mai un
tale fenomeno di pauperizzazione si collochi proprio in un periodo di
fondamentale arricchimento sia spirituale che materiale della civiltà greca.
Tra le tante spiegazioni che si è
tentato di dare, vi è quella legata all’emergere dell’economia monetaria.
Secondo alcuni infatti, la diffusione della moneta e del calcolo economico
sarebbero stati all’origine di una maggiore inflessibilità in campo tributario.
Coloro che avevano contratto dei debiti – cioè di solito i piccoli possidenti –
si sarebbero in altri termini trovati in una posizione sempre più difficile,
sempre più pressati a saldare i loro debiti da parte dei loro creditori e, di
conseguenza, sempre più spesso ridotti in miseria. È tuttavia difficile scorgere
in un tale fattore, che comunque molto probabilmente ebbe un suo peso, la causa
più profonda del drastico impoverimento dei piccoli proprietari terrieri
verificatosi nel VII secolo.
Piuttosto si può ipotizzare che esso
costituisse un elemento peggiorativo di un problema molto più profondo e antico,
quello cioè della divisione ereditaria delle terre, il cui inizio
coincise con l’inizio dello stesso periodo oscuro, e che nel corso dei secoli
conobbe un costante inasprimento.
Un tale problema (che peraltro non
riguardò solo la gente comune, ma anche la nobiltà) trovò, come si è visto, una
parziale soluzione nel fenomeno della colonizzazione. Ma mentre gli
aristocratici, anche quando perdevano parte della loro eredità, ne conservavano
comunque largamente a sufficienza per il proprio mantenimento, al contrario la
povera gente per le stesse ragioni andava incontro ad una serie di sempre più
gravi difficoltà di sopravvivenza. Perciò molto spesso i piccoli proprietari si
indebitavano con quelli più grandi (e i prestiti, al tempo, erano di solito
fatti a tassi di usura) finendo in seguito, data l’impossibilità di
saldare le proprie pendenze, per perdere il possesso delle proprie terre, a
volte divenendone semplici gerenti, altre volte essendone allontanati e altre
ancora venendo addirittura venduti come schiavi.
Mentre quindi le proprietà dei ricchi
e dei nobili tendevano ad ampliarsi, quelle della gente comune finivano
inesorabilmente per contrarsi e molti piccoli possidenti si riducevano al rango
di nullatenenti. Da qui la nascita e lo sviluppo di un vastissimo problema
sociale, che proprio nel VII secolo conobbe il suo apice. In un tale
secolo infatti, il fenomeno dei proprietari caduti in miseria (i cosiddetti
teti) ridotti a mendicare un salario come lavoratori a giornata nelle
campagne o nelle città, conobbe il suo momento di massima gravità, contribuendo
inoltre ad incrementare la popolazione dei nascenti centri urbani.
Il peso di queste crescenti masse di
poveri non poté peraltro non farsi sentire, e anche pesantemente, nelle scelte
politiche delle classi dirigenti, ovvero della cittadinanza ufficiale. I teti
infatti, pur privi ovviamente di diritti politici, non mancavano di far
pesare le proprie rivendicazioni in vari modi, a volte anche con la violenza.
Quel che essi giustamente chiedevano (e che qualche volta, come vedremo,
riuscirono ad ottenere) era: una redistribuzione più equa delle terre,
un annullamento anche solo parziale dei debiti e l’abolizione
della pratica abominevole della schiavitù per debiti.
Quanto ora detto ci permette dunque
di aggiungere un altro importante tassello al ritratto precedentemente fatto
della vita politica greca (descritta come una lotta tra la vecchia nobiltà
terriera e le nascenti classi “borghesi” e imprenditoriali). Anche le classi
povere infatti, seppure in modo non ufficiale, ebbero un loro peso
nella vita politica del mondo greco arcaico e, successivamente, di quello
classico ed ellenistico.
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