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LE ORIGINI E LA NATURA DELLA DEMOCRAZIA IN GRECIA
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“Democrazia” è un termine di cui
oggigiorno si tende ad abusare, soprattutto per alludere alla superiorità
della civiltà europea rispetto al resto del mondo, nonché talvolta come
giustificazione di azioni militari ai danni di stati “pericolosi” per la salute,
la stabilità e l’avanzamento della civiltà (ovvero, di nuovo, della democrazia)
dell’intero pianeta.
Anche per questa ragione, ci sembra
interessante cercare di delineare il percorso che nel corso dei secoli portò
alla nascita dei primi regimi democratici nell’antica Grecia. Comprenderlo
infatti, non significa soltanto comprendere le lontanissime origini delle
attuali forme di governo democratiche, ma anche mettere a fuoco alcuni aspetti
peculiari della cultura e della società occidentali, che con una tale forma di
organizzazione politica ebbero ed hanno una relazione molto forte, costituendone
sia l’humus generatore sia – e in misura per nulla trascurabile – un
effetto o una conseguenza.
Un altro aspetto che cercheremo di
mettere in luce, sono le profonde differenze che – pur nell’indiscutibile
continuità storica – separano le democrazie attuali da quelle delle origini.
Soprattutto, balza all’occhio come le democrazie odierne tendano a spostare
sempre di più il concetto di libertà individuale dall’ambito della
partecipazione politica (dimensione collettiva) a quello della libertà
personale (dimensione privata), in particolare – secondo l’esplicita
teorizzazione di alcuni economisti e sociologi moderni – a quello dei consumi. A
questo proposito, vogliamo citare a mo’ di esempio un brano di un grande
sociologo austriaco, Ludwig von Mises, che nel suo celebre saggio
Socialismo affermava:
“La società capitalistica è la
realizzazione di ciò che potremmo chiamare la democrazia economica. [...]
Quando diciamo che la società capitalista è una democrazia di
consumatori, noi intendiamo affermare che il potere di disporre dei mezzi di
produzione, che appartengono agli imprenditori e ai capitalisti, può essere
acquisito solamente attraverso la consultazione dei consumatori,
consultazione che si tiene ogni giorno sulla piazza del mercato.
Ogni bambino che preferisce un giocattolo a un altro mette il suo voto
nell’urna, ed è questo che alla fin dei conti decide chi sarà eletto capitano
d’industria. Certo, in questa democrazia non c’è l’uguaglianza di voto; alcuni
hanno più voti. Ma il maggiore potere elettorale, derivante dalla maggiore
disponibilità di reddito, può essere acquisito e mantenuto solo mediante la
prova dell’elezione.[...] La ricchezza degli uomini d’affari è, pertanto, sempre
il risultato di un plebiscito dei consumatori. [...] Nelle decisioni che
prende come consumatore l’uomo medio è più informato e meno corruttibile di
quanto non lo sia come elettore alle elezioni politiche. Ci sono, si dice, gli
elettori che quando devono decidere tra il libero scambio e il protezionismo, il
gold standard e l’inflazione, non sono capaci di valutare tutte le implicazioni
della loro decisione. Il compratore che deve scegliere tra diversi tipi di
birra o marche di cioccolato ha sicuramente un compito più facile.” [corsivi
miei]
D’altronde, tra una simile idea di
democrazia (democrazia di consumatori) e la tendenza teorica cui fa
riferimento Moses Finley nel suo La democrazia degli antichi e dei
moderni, laddove parla delle moderne teorie elitiste della democrazia,
secondo le quali, ad esempio,
“l’apatia politica è un “segno di comprensione
e di tolleranza nei confronti della diversità degli uomini” e ha “un
benefico effetto sul tono della vita politica” perché “più o meno
efficacemente fa da contrappeso a quei fanatici che rappresentano il vero
pericolo della democrazia liberale” “[Finley cita qui W. H. Morris]
esiste un’evidente affinità.
Se la prima idea difatti tende a
trasportare la decisionalità popolare dall’ambito propriamente politico (Mises
si affretta a sottolineare poco più avanti come certe difficili questioni di
politica economica non possano essere risolte dalla gente comune!) a quello
economico inteso essenzialmente come libertà di consumo, la seconda afferma
invece l’inevitabilità e la necessità dell’esistenza di una massa politicamente
apatica e, complementariamente, di ristrette oligarchie politiche nei confronti
delle quali la prima gode di uno sporadico e infondo velleitario diritto di
scelta attraverso le consultazioni elettorali.
A proposito di questa tendenza della
democrazia verso l’apatia politica, ne vedremo le prime manifestazioni proprio
nel mondo greco, quando parleremo degli sviluppi delle città-stato a partire
dalla tarda classicità. In tali periodi infatti, anche se un numero sempre
maggiore di stati si munì di una costituzione democratica, si svilupparono in
realtà delle oligarchie cittadine sempre più chiuse e la politica, richiedendo
competenze sempre più specifiche, tese a divenire una vera e propria professione
anziché, come in passato, un’attività alla portata dell’intera
popolazione.
Qui avanti dunque, cercheremo
anzitutto di ripercorrere il cammino che portò la civiltà ellenica a
“scoprire” la democrazia come soluzione di governo statale. Per fare questo,
dovremo prendere in considerazione anche gli altri sistemi politici che presero
piede in Grecia, e da cui appunto la democrazia sorse. Riserveremo inoltre
un’occhiata veloce anche alle strutture e alle tradizioni politiche dominanti
nel Vicino Oriente, rispetto alle quali la democrazia si pose in un’antitesi
ancora più forte rispetto agli altri sistemi politici
ellenici.
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