LA TRAGEDIA DELLE BACCANTI
OVVERO LA COSCIENZA INQUIETA DI EURIPIDE

Quando un uomo è abile nel parlare, su qualunque argomento può sostenere una lotta di parole

Euripide


Euripide

EURIPIDE: CONCEZIONE DI POESIA E CULTURA 1-2-4

La decisione di Euripide di trasferirsi in Macedonia, alla corte di Archelao, fu il segno evidente della sua rinuncia a dialogare col pubblico ateniese. Se n'era andato tra il secondo esilio di Alcibiade e il processo degli strateghi delle Arginuse, in uno di quei momenti di grave oscurantismo. Quando si accorse che la città democratica lo aveva respinto, egli perse progressivamente contatto con la politica.

La sua presa di posizione rispetto alla democrazia non fu accompagnata da una adesione al partito avverso, quello dei conservatori: Euripide tenne una posizione autonoma, orientata alla critica radicale del sistema politico istituito.

A partire dalle Troiane il disimpegno diviene più radicale: la poesia si afferma come valore autonomo; si ampliano le rievocazioni mitiche e si manifestano, nei canti lirici, desideri di evasione in luoghi remoti (nonché la tendenza a dare più importanza alla musica che alle parole).

Anche l'emergere del motivo dei legami familiari e dell'amicizia, l'invito a vivere giorno per giorno, indicano la rinuncia a qualsiasi progettualità etica e politica.

Nel terzo stasimo della Medea Atene è esaltata come la città in cui Armonia ha generato le Muse, e gli ateniesi si nutrono di "gloriosissima sapienza". Questa idealizzazione della città appare però in contrasto con alcuni versi della stessa tragedia, in cui Medea riflette sulle conseguenze della sofia: "se esponi a gente ignorante novità sapienti, passerai per uomo inutile non per uomo sapiente".

Siamo ancora lontani dall'esaltazione di un ideale di vita dedita solo alla poesia e alla cultura, ma sembra che già affiori nel poeta la consapevolezza di un distacco dalla "città".

Dopo la morte di Pericle i contrasti tra "moderati" e "radicali" divennero sempre più gravi: non era più possibile vedere nella polis un organismo unitario. La concezione di una vita disancorata da ideali a lunga scadenza ha modo di svilupparsi in Euripide negli anni successivi all'Ippolito, come conseguenza di un'accentuazione del pessimismo.

Già nel terzo stasimo dell'Ippolito il coro esprime il proprio sgomento per l'assenza di un ordine razionale nella vita umana: "ma quando guardo le vicende e le azioni degli uomini non riesco a scorgere in esse quell'ordine razionale che la mia mente nella sua speranza nasconde". Di qui la tensione a credere nella giustizia divina e la delusione che nasce dall'analisi della realtà.

Nel frammenti dell'Eretteo al rifiuto della guerra e al desiderio di pace si associa un'apertura verso un modo di vita in cui la "cultura" tende a diventare l'elemento esistenziale. L'ideale di una vita dedicata alla cultura e alla poesia è espresso con particolare chiarezza e intensità nel secondo stasimo dell'Eracle: il coro si augura di non vivere mai senza la poesia e di poter sempre godere del canto. Eracle condanna la poesia che attribuisce azioni turpi agli dèi.

Molto importanti sono anche i frammenti di un'altra opera perduta, l'Antiope, in cui i due fratelli Anfione e Zeto difendono rispettivamente l'ideale della vita contemplativa e quello della vita dedicata all'azione. Anfione era per Tebe il maestro del canto, l'inventore della musica. Zeto accusa il fratello di mollezza effeminata, che rende inclini solo al godimento e inetti alla vita pratica, per l'utilità dello Stato, della famiglia e degli amici. Anfione obietta che certamente il servitore delle Muse non produce beni materiali, ma a che giovano la ricchezza e il potere se mancano l'arte e la gioia del bello?

In Anfione è altresì evidente l'interesse per la conoscenza della natura come oggetto precipuo dell'attività intellettuale dell'uomo. Il rifiuto dell'azione viene presentato come il presupposto indispensabile per la realizzazione di un ideale che ha il suo centro nel piacere.

Anche Ione nella tragedia omonima esalta la tranquillità e il disimpegno: "i migliori, i saggi che non parlano e odiano gli affari e la politica rideranno di questo sprovveduto che in una così temibile città se ne sta tranquillo".

Lo Ione appartiene all'ultima fase della produzione euripidea, al gruppo delle tragedie "di intrigo". Al rigore e alla lucidità interiore di Alcesti e Medea fa riscontro l'abilità di organizzare intrighi in vista della propria salvezza. In queste tragedie di intrigo i personaggi hanno uno spessore molto più sottile che non nelle precedenti tragedie di Euripide.

Nelle Baccanti, l'opera più complessa ed enigmatica di Euripide, non c'è posto per le riflessioni sulla poesia o per l'esaltazione di una vita dedicata alle Muse. La tranquillità non appare ora come presupposto di una vita dedita allo studio e alla poesia, ma come frutto della scelta di una sofia che si tiene lontana dal pensiero. "Scienza non è saggezza né (è saggezza) il pensiero che va al di là del limite umano segnato dalla morte". Il poeta rinnega la sua stessa vita.

Rispetto al passo della Medea in cui la protagonista sostiene che l'uomo fornito di ragione non dovrebbe mai istruire fuor di misura i propri figli, i passi citati dalle Baccanti si collocano in una dimensione apolitica che non dipende solo dalla differente vicenda che vi è rappresentata.

Le Baccanti invitano a seguire i costumi e le norme del popolo incolto, rifiutando il sapere di chi si distingue dalla massa, e accettando l'ideale di una vita vissuta giorno per giorno. E' forse l’opera più tragica della letteratura mondiale.

Nell'ultimo Euripide si assiste a una profonda sfiducia nelle capacità degli uomini. Egli non crede più in quella cultura periclea che era stata alla base della sua stessa formazione intellettuale: il riconoscimento dell'estrema instabilità delle vicende umane e della necessità di vivere senza ideali, appariva più come un ripiegamento che come la conquista di un nuovo equilibrio culturale.

Tuttavia il mondo poetico dell'ultimo Euripide, visto globalmente, è molto più articolato e complesso che non quello di Menandro, che pure deve tanto alle ultime tragedie di Euripide. Egli esprimeva talmente a fondo le contraddizioni della sua epoca in crisi da diventare il più tragico dei tragici.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 01/05/2015