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Passioni razionali e passioni irrazionali
Necrofilia e biofilia
Narcisismo
Fissazione incestuosa
Sindrome di decadimento e sindrome di crescita
Parlando di ‘passioni’, Fromm intende un concetto più vasto di quello di
impulso, istinto o pulsione. Mentre questi termini sono stati tradizionalmente
utilizzati per denotare spinte innate nell’individuo, intrinseche nella sua
natura, alla cui base Freud vede la necessità di riduzione di una tensione (7),
nella concezione di Fromm le passioni non sono spinte biologicamente innate, ma
derivano da tendenze sviluppate dall’uomo nel corso dell’evoluzione storica,
come conseguenza dell’interazione tra esigenze intrinseche alla sua natura (autoconservazione,
bisogno di crescita, di espressione delle proprie potenzialità, di libertà) e
condizioni ambientali. Tanto le passioni più nobili quanto le più aberranti non
sono dunque parte di una natura umana immodificabile, ma costituiscono piuttosto
il prodotto dell’evoluzione umana e della storia: l’uomo è la continua conquista
dello sforzo dell’umanità verso la propria individuazione e la stessa natura
umana si crea in tale processo.
L’uomo è dunque un prodotto della storia, ma nell’affermare ciò Fromm
puntualizza la necessità di evitare quell’errore in cui sono caduti certi
interpreti del marxismo (e contro il quale lo stesso Marx metteva in guardia):
l’uomo si crea, sì, nel corso della storia, ma non bisogna dimenticare che la
storia è creata dall’uomo, e che l’uomo stesso è la sua creazione più grande, il
prodotto del proprio adattamento dinamico a condizioni esterne, naturali e
sociali.
Per adattamento dinamico Fromm intende quel tipo di adattamento che comporti
una modifica nella struttura del carattere, mentre l’adattamento statico è
costituito dal semplice adattarsi a dei modelli, lasciando immutata la propria
struttura caratteriale.
Esempi di adattamento dinamico sono costituiti dalle nevrosi: esse sono
considerate da Fromm come il prodotto dell’adattamento dell’individuo a
condizioni esterne, specie quelle della sua fanciullezza, in se stesse
irrazionali e sfavorevoli al suo sviluppo.
Analogamente, vi sono fenomeni socio-psicopatologici che costituiscono
esempi di adattamento dinamico a condizioni sociali altrettanto dannose per gli
individui.
Ritengo che qui si possa parlare allora di due tipi di nevrosi o, meglio, di
due diversi modi di intendere la nevrosi:
a. come dovuta al mancato adattamento a condizioni esterne dannose;
l’individuo nevrotico apparirebbe in tal caso come moralmente superiore al
“normale”;
b. come dovuta all’adattamento dinamico, riuscito, a condizioni esterne
dannose; in tal caso l’inadattato è il sano, mentre il nevrotico è colui che
si adatta ad una società avente caratteristiche nevrotiche.
A prescindere dal fatto che non si possa parlare di società nevrotica se si
considera come nevrosi il mancato adattamento alla società (posizione della
psicoanalisi e della psichiatria ortodosse) od anche la conseguenza di tale
mancato adattamento (che non ritengo sia la stessa cosa), le possibilità
dell’individuo che viva in una società non ‘genetico-creativa’ (8), sono
obbligatoriamente due (non intendo dire con ciò che l’individuo possa sempre
effettivamente scegliere tra tali possibilità):
1. adattarsi alla società, e con ciò divenire nevrotici, anche se non si
sarà considerati tali rispetto ad essa;
2. Essere sani, ma restare dei disadattati, ed essere comunque definiti
come insani rispetto alla società.
Volendo stabilire quale delle due soluzioni possa essere preferibile, credo
che un criterio d’elezione debba essere, conformemente al pensiero di Fromm,
quello della felicità umana. Sembra dunque che qui possa crearsi una frattura
tra felicità dell’individuo e felicità dell’umanità in generale; ma, ad un esame
più approfondito, risulta come tale contrapposizione sia solo apparente,
infatti, come d’altra parte Fromm eloquentemente sostiene, le differenze tra le
varie società sono differenze etiche nella misura in cui pongono l’uomo e la sua
felicità come fine supremo.
Qualsiasi tipo di felicità individuale che possa ottenersi dall’adattamento
dinamico ad una società che sia d’ostacolo alla crescita umana non può
considerarsi dunque felicità autentica, ma ne costituisce un surrogato, legato
alla soddisfazione psicologica derivante dall’adempimento di esigenze sociali in
conformità alle quali si sono modellati i propri desideri; d’altra parte, in
modo analogo, l’infelicità che può derivare dall’essere inadattati ad una
società che sia d’ostacolo allo sviluppo degli individui è una falsa infelicità
e può, a patto che non si soccomba dinanzi ad essa, tramutarsi in vera felicità,
propria e collettiva, se si riesce a sviluppare la propria individualità a
dispetto dell’influsso sociale ed a indirizzare le proprie energie nello sforzo
di contribuire a realizzare quelle condizioni, caratteristiche di una società
genetico-creativa, che possano favorire la vera felicità nella maggior parte
degli individui. Non bisogna infatti dimenticare che la società esercita sì, per
effetto del sistema socioeconomico e del modo di vita e di produzione ad essa
sotteso, una influenza preponderante sugli individui, ma al tempo stesso i
singoli individui, che di tale società fanno parte, hanno la facoltà, in una
certa misura per ognuno diversa, di sfuggire al suo influsso deterministico ed
al tempo stesso di influire su di essa, contribuendo ad indirizzare il processo
sociale di modo che la stessa società possa essere adattata alle esigenze umane.
Con ciò non intendo affermare l’opinione che la propria incapacità di
adattarsi alla società non possa essere causa di autentica sofferenza, così come
non ritengo che l’adattamento faccia soffrire le persone coscientemente.
L’adattamento dinamico, infatti, comporta che nell’agire in conformità con le
esigenze sociali la persona provi soddisfazione, appunto in virtù delle
conseguenze che tale tipo di adattamento hanno sul suo carattere; d’altra parte
un adattamento statico può mantenere la persona sana (con sana intendo sana
nell’ottica frommiana), a patto che questa possa “fingere” così a lungo di
essersi adattata (in senso dinamico). Ritengo (mia opinione personale) che anche
tale situazione risulti alla lunga insostenibile e che tale persona possa essere
considerata una “bomba ad orologeria” che può scoppiare in ogni momento o che
comunque, nel migliore dei casi, alla lunga soffra più o meno coscientemente
della repressione dell’espressione del proprio pensiero critico e della
mutilazione della sua vita autentica.
D’altra parte, ritengo che, qualora il non adattamento dell’individuo alla
società sia supportato da una certa subcultura o comunque da un gruppo di
individui sufficientemente vasto ad evitare che il singolo possa percepire
un’eccessiva solitudine morale come conseguenza del proprio dissenso, tale
disadattamento potrebbe non essere causa di sofferenza e tra l’altro potrebbe
contribuire, tramite l’azione degli appartenenti a tale gruppo o subcultura, ad
esercitare una attiva influenza sull’intera struttura sociale, seppur con il
rischio del crearsi di una situazione fortemente conflittuale che a certe
modalità di azione di una tale minoranza può essere connessa. E seppur con il
rischio, per gli appartenenti a questa stessa minoranza, di incombere nelle
conseguenze della più cruda repressione che l’apparato statale utilizza nei
confronti di chi sfugge a quella repressione assai efficace, ma più sottile,
esercitata per tramite dei mezzi di creazione del consenso.
Le passioni irrazionali, quelle tendenze dirette contro la vita costituenti
la necessaria conseguenza della frustrazione dell’innata tendenza umana allo
sviluppo delle proprie potenzialità, sono il narcisismo, la fissazione
incestuosa e la necrofilia.
Tutte e tre queste passioni hanno forme benigne, non necessariamente
patologiche, che possono presentarsi isolate ed attenuate da tratti produttivi
nella struttura caratteriale della persona, ma nelle loro forme più gravi esse
convergono, a formare quella che Fromm definisce ‘sindrome di decadenza’.
(7) Vedi la differenziazione tra psicologia dei fenomeni di carenza e di
abbondanza in E. Fromm, “Fuga dalla libertà”, op. cit., pag. 230.
(8) E. Fromm, “Die Entdeckung des gesellschaftlichen Unbewuten: zur
Neubestimmung der Psychoanalyse” a cura di R. Funk (1990); trad. italiana
“L’inconscio sociale. Alienazione, idolatria, sadismo”, Mondadori, Milano
(1992).
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