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Tavola IX
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Gilgamesh, per Enkidu, il suo
amico, piange amaramente, vagando per la steppa:
"Non sarò forse, quando io morirò, come Enkidu? Amarezza
si impadronì del mio animo, |
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la paura della morte mi sopraffece ed io ora vago per la
steppa; verso Utnapishtim,
il figlio di Ubartutu, ho
intrapreso il viaggio, mi muovo veloce colà.
Di notte ho raggiunto passi montani. Ho visto leoni e ne ho avuto
paura, |
5 |
ho alzato allora la mia testa rivolgendo la mia preghiera
a Sin; al più
grande tra gli dei è rivolta la mia prece: [ ] da questo pericolo fammi
uscire sano e salvo!" Di notte egli dormì ma fu svegliato di
soprassalto da un sogno:
[ ] gioivano della vita alla luce di Sin. |
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Allora egli prese l'asta nella sua mano estrasse la
spada dalla sua guaina, e si buttò su di essi come una freccia, li
colpì e li disperse. Allora [ ] a mezzogiorno. |
15 |
Egli gettò via [ ] vi scolpì [ ] il nome del primo [
] il nome del secondo [ ]
lacuna di 13 righe |
20 |
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Il nome della montagna è Mashu. Appena
egli giunse alla montagna Mashu:
- coloro che giornalmente sorvegliano l'uscita e l'entrata: sopra di
loro grava la volta celeste, |
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al di sotto l'Arallu tocca il
loro petto - uomini-scorpione
stanno a guardia della sua porta, la paura che essi incutono è enorme,
nel loro sguardo c'è la morte, il loro grande terrore riempie le
montagne, essi stanno a guardia del Sole nel suo
sorgere |
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e nel suo tramontare.
Allorché Gilgamesh li
vide, per la paura e per il terrore il suo sguardo si annebbiò. Egli
si fece forza e si chinò davanti a loro.
L'uomo-scorpione
si rivolge a sua moglie: |
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"Colui che è venuto da noi: il suo corpo è carne degli
dei".
La moglie
dell'uomo-scorpione
gli risponde: "Per due terzi egli è dio, per un terzo è uomo".
L'uomo-scorpione
dice, a Gilgamesh,
progenie degli dei, rivolge la parola: |
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"Chi sei tu che hai percorso vie lontane, hai
girovagato, finché non sei giunto alla mia presenza, attraversando con
affanno persino correnti d'acqua travolgenti? Vorrei volentieri sapere
il perché del tuo viaggio; colui verso il quale il tuo sguardo è
rivolto, |
55 |
[vorrei] volentieri conoscere".
lacuna di 13 righe
Gilgamesh [
]: |
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"Da Utnapishtim,
mio antenato voglio recarmi; colui che entrò nella schiera degli dei,
che trovò la vita, sulla vita e sulla morte voglio interrogare".
L'uomo-scorpione
aprì la sua bocca e disse, così parlò a Gilgamesh [
]: |
75 |
"O Gilgamesh, a
nessun uomo ciò è mai riuscito! della montagna nessuno ha mai
attraversato le sue viscere, il suo cuore è buio per dodici doppie
ore, densa è l'oscurità, non vi è la luce! Verso il sorgere del Sole [ ] |
80 |
verso il tramonto [ ] verso il tramonto [ ] hanno
fatto uscire [ ]
lacuna di 38 righe
(parla Gilgamesh)
"I miei muscoli sono rigidi, il mio volto, per il caldo e per il
freddo, è livido, per la fatica ho perduto le mie forze, ed ora tu [
]". |
85 |
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L'uomo-scorpione
aprì la sua bocca, e rivolse a Gilgamesh, re
di Uruk, la
parola:
"Va', Gilgamesh,
non temere! Le montagne Mashu ti
apro, le montagne, le colline attraversa senza paura! |
130 |
Sano e salvo possano i tuoi piedi portarti a casa; alla
grande porta di Uruk tu possa
ritornare".
Appena Gilgamesh
ebbe udito ciò, seguì il consiglio dell'uomo-scorpione, egli
entrò nella porta della montagna seguendo la via di Shamash. |
135 |
Egli ha percorso una doppia ora: densa è l'oscurità,
non vi è alcuna luce. Non gli è concesso di vedere nulla dietro di sé.
Egli ha percorso due doppie ore: densa è l'oscurità, non vi è alcuna
luce. |
140 |
Non gli è concesso di vedere nulla dietro di sé.
Egli ha percorso tre doppie ore: densa è l'oscurità, non vi è alcuna
luce. Non gli è concesso di vedere nulla dietro di sé.
Egli ha percorso quattro doppie ore: |
145 |
densa è l'oscurità, non vi è alcuna luce. Non gli è
concesso di vedere nulla dietro di sé.
Egli ha percorso cinque doppie ore: densa è l'oscurità, non vi è
alcuna luce. Non gli è concesso di vedere nulla dietro di
sé. |
150 |
Egli ha percorso sei doppie ore: densa è l'oscurità,
non vi è alcuna luce. Non gli è concesso di vedere nulla dietro di sé.
Egli ha percorso sette doppie ore: densa è l'oscurità, non vi è
alcuna luce. |
155 |
Non gli è concesso di vedere nulla dietro di sé.
Dopo aver percorso otto doppie ore, egli prosegue: densa è
l'oscurità, non vi è alcuna luce. Non gli è concesso di vedere nulla
dietro di sé.
Dopo aver percorso la nona doppia ora, egli avverte il vento del
nord; |
160 |
gioisce la sua faccia ma densa è l'oscurità, non vi è
alcuna luce. Non gli è concesso di vedere nulla dietro di sé.
Dopo aver percorso la decima doppia ora, egli comprende che l'uscita
è vicina; |
165 |
ma gli restano ancora da percorrere quattro doppie ore.
Dopo aver percorso l'undicesima doppia ora, egli uscì davanti al Sole.
Dopo aver percorso la dodicesima doppia ora, ecco risplende la
luce! |
170 |
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Egli è sbalordito di vedere ogni specie di alberi di
pietre preziose:
la corniola porta i suoi frutti, |
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una vite è appesa ad essa, bella da ammirare. Il
lapislazzuli porta foglie, anch'esso porta frutti piacevoli da
ammirare.
Lacuna di 7 righe |
175 |
[ ] cedri le sue fronde sono piene di pietre
bianche, legno di mare [ ] calcedonio, come fossero arbusti e
cespugli fiorisce la corniola, il carrubo egli prende in mano ed ecco è
calcedonio, |
185 |
gemme, ematite [ ] dovizia e ricchezza egli può
ammirare come [ ] turchese; del canneto [ ] in riva al mare ha [
] pieno di abbondanza. |
190 |
Gilgamesh
gironzolando per questo boschetto, alza i suoi occhi verso di [ ]
lei, Siduri, la
taverniera che vive (lontano), sulla riva del mare. |
195 |
Ma perché Gilgamesh cerca Utnapishtim? Davvero egli aspira all'immortalità?
Le sue intenzioni all'inizio del viaggio non sembrano chiarissime. Il re di Uruk
è sconvolto dalla morte dell'amico Enkidu e quest'evento ha generato in lui
profondi interrogativi. La realtà ineluttabile della morte deve avere una
spiegazione.
L'evoluzione del personaggio, la maturazione di questo semidio picaresco a
uomo colpito negli affetti più cari, è di certo l'aspetto più innovativo
dell'epopea ninivita rispetto alla tradizione più antica. Un colpo di genio del
redattore assiro (o redattori?) è consistito nel conservare le motivazioni che
gettano Gilgamesh e compagni nell'avventura ma conferendo loro diverso spessore
drammaturgico.
Il massimo esempio in tal senso ci è dato da questa tavola. Per comprendere
facciamo un passo indietro alla Foresta dei Cedri. Secondo il poema
paleobabilonese (tavoletta di Yale) la Foresta era chiamata
kurlùtila (Sap 2001, p. 70), ovvero "il paese (o montagna) del
vivente". Gilgamesh spiega a Enkidu che vi è diretto alla ricerca di qualcosa
che dia senso alla sua vita: la gloria. Ma "paese del vivente" indica anche un
luogo dove trovare qualcosa che genera vita o che faccia vivere in eterno. E la
fama, cos'è se non una possibile forma di immortalità? Quindi, anche se a
livello embrionale, la tradizione aveva già assegnato a Gilgamesh, nei modi e
nei luoghi, la ricerca della vita eterna.
Ebbene questa ricerca e il suo motivo scatenante vengono ripresi,
approfonditi e sviluppati nell'epopea ninivita. Qui Gilgamesh non cerca più la
vita eterna nella Foresta dei Cedri che quindi non ha più motivo di chiamarsi
"paese del vivente". Nell'avventura contro Khubaba (tav. V) si dispiega "solo"
la volontà di gloria. Il concetto dell'immortalità verrà introdotto molto più
avanti, lasciando posto all'illusione di imbattibilità che nutre i due
eroi fino al momento in cui gli Dei toglieranno di mezzo Enkidu quasi per
capriccio.
Il dolore di Gilgamesh, introdotto da uno struggente lamento funebre di
ineguagliata potenza lirica, è a questo punto un dolore reale, quasi palpabile.
L'autenticità delle esequie per Enkidu genera in Gilgamesh autentici
interrogativi "sulla vita e sulla morte". Le risposte, ritiene Gilgamesh, potrà
darle solo colui che ha vinto la morte. Attenzione! Gilgamesh si pone
interrogativi non obiettivi, ma ci stiamo ugualmente avvicinando al tema
dell'immortalità tramandato dalla tradizione. Infatti, Gilgamesh va a cercare le
sue risposte presso Utnapishtim che vive - udite, udite - nel "paese del
vivente".
Il cerchio si chiude. Gilgamesh raggiunge il "paese del vivente", ma è un
luogo geograficamente molto diverso rispetto a quello della tradizione
paleobabilonese. Il paese del vivente è spostato a Sud-Est di Sumer,
verosimilmente in qualche lembo di terra che si affaccia sul Golfo Persico, e
non più sugli altopiani del Libano a Nord-Ovest. La trasposizione del teatro
dell'azione non è solo formale. Infatti è stata ottenuta, o voluta, amplificando
il respiro epico della vicenda.
Casi del genere sono frequenti nell'epica classica come esposto nel mio
saggio sugli eroi
omerici. Si pensi per esempio a quanto rapidamente muti la topologia delle
avventure di Odisseo col cambiare del teatro delle
colonizzazioni nel Mediterraneo e nel Mar Nero.
Gilgamesh patisce lo smarrimento, la fame, il freddo, la paura delle belve,
il buio, il caldo soffocante, perché vuole interrogare Utnapishtim sulla vita e
sulla morte. E quante volte Gilgamesh ripete lo stesso discorso a chi gli
chiede il perché del suo cammino! Sappiamo che, nella letteratura mesopotamica,
esisteva la prassi di ripetere parola per parola i brani importanti, a fini
liturgici (se questo era il loro scopo) o semplicemente come prassi mnemonica.
Ma, pur non caricando di troppi significati le ripetizioni, nella finzione
drammaturgica si dispiega la crescita interiore del personaggio.
Questo viene avvertito con esemplare chiarezza nell'incontro con Utnapishtim
dove, al primo motivo del viaggio, si sostituisce con fermezza la volontà di
vita eterna. Con superbo tocco di classe dell'autore, tutto avviene quando
Gilgamesh scoprirà la sua forte somiglianza con l'antenato.
I II
III IV
V VI
VII VIII
IX X
XI XII
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