L'EPOPEA DI GILGAMESH
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Significato del poema
Il tema del viaggioMolti critici vedono nell'opera un percorso educativo del protagonista attraverso i luoghi del poema. La parabola di Gilgamesh evidentemente doveva essere d'insegnamento per i destinatari dell'opera. Leggiamo nel bellissimo prologo: Gilgamesh vide ogni cosa, ebbe esperienza di ogni cosa, in ogni cosa raggiunse la completa saggezza...(tav. I) E' inteso che questo è un giudizio a posteriori del narratore dato che, inizialmente, Gilgamesh è
La società di Uruk si lamenta invocando addirittura l'intervento di An, dio del firmamento, affinché Gilgamesh la lasci in pace. L'ego prevaricatore del sovrano impedisce il corretto svolgersi delle attività commerciali (perché i sudditi sono impegnati nella guerra o nel consolidamento della mura della città) e sociali (perché al sovrano spetta lo ius primae noctis). Gilgamesh è assetato d'azione e d'avventure ma a metà del poema perde la sua spavalderia. Uruk non è più un ovile accogliente (appellativo frequente della città sumerica) perché non ha saputo proteggere l'amico Enkidu dal "destino dell'umanità". L'eroe deve abbandonare Uruk perseguitato da profonde inquietudini. E' uno strappo antropologico denso di significati. A Uruk tutto era agio e sicurezza; fuori da Uruk c'é solo fame, freddo e solitudine. Gilgamesh deve viaggiare a lungo, perché lontana è la dimora di chi può dargli delle risposte. L'oracolo è un antenato, Utnapishtim, reso immortale dagli dei per meriti eccezionali. La necessità del viaggio è enunciata persino con ridondanza, come suggerisce l'appellativo di Utnapishtim, "il lontano". La metafora del viaggio educativo si dispiega anche attraverso la scansione del tempo. Prima smisurata e mitica (vedi la rapidità con cui Gilgamesh ed Enkidu procedono verso la Foresta dei Cedri), poi umanizzata e resa con enorme precisione (vedi le "doppie ore" che scandiscono il faticoso cammino attraverso l'oscurità per giungere alla luce di Shamash, tav. IX). Nella prima parte del poema Gilgamesh vive quindi in una dimensione irreale e appartata dal resto della società che non lo comprende. Per contrasto, la seconda parte del poema ci presenta un Gilgamesh in una dimensione reale e soprattutto sociale. Rivelatore è il discorso di Gilgamesh al battelliere Urshanabi durante il viaggio di ritorno a Uruk. Un discorso fatto di inedite buone intenzioni verso i sudditi: «Urshanabi, questa è la pianta dell'irrequietezza; Il viaggio dell'eroe culmina con la conquista (o la consapevolezza) della dignità del sovrano. Il re sumerico non deve mai prescindere dai propri doveri, da cui dipende l'esistenza stessa della comunità. Il tema culturaleIl buon governo è solo uno dei due effetti dell'eredità di Utnapishtim. Infatti il prologo anticipa come la saggezza acquisita da Gilgamesh al termine dell'epopea si manifesterà in un puro gesto culturale: egli fece incidere tutte le sue fatiche su una stele di pietra (tav. I) Nell'atto della scrittura, la cui invenzione è attribuita secondo un mito a Enmerkar, nonno di Gilgamesh, si condensa tutta la sapienza sumerica. Con la scrittura nasce la storia, non solo quella di Gilgamesh, ma di tutto il genere umano: solleva la tavoletta di lapislazzuli e leggila: Il senso della storia traspare non solo nella registrazione scritta degli eventi ma anche nel recupero dei templi distrutti dal Diluvio (di cui Utnapishtim fu testimone oculare): dopo aver raggiunto Utnapishtim, che abita in un lontanissimo
luogo, In conclusione l'epopea è un viaggio di formazione durante il quale un eroe mitico diventa eroe culturale. L'esperienza di Gilgamesh condensa conquiste storico-culturali dei sumeri. Egli sa scavare pozzi nel deserto dopo trenta leghe di marcia si fermarono per la notte taglia i cedri dei Monti Libano per usarli come materiale da costruzione a Sumer Gilgamesh abbattè gli alberi ed Enkidu raccolse i
ciocchi inventa la corrida Enkidu affrontò il Toro Celeste si improvvisa speleologo Gilgamesh entrò nella porta della montagna escogita la navigazione a vela Gilgamesh e Urshanabi fecero salpare la nave e si misero in
viaggio. e la pesca sottomarina Gilgamesh aprì un foro e si legò ai piedi grandi pietre, Ma l'epopea è ricchissima di dettagli che ne fanno un'enciclopedia di Sumer. Il testo spiega (o suggerisce) come i templi accoglievano gli orfani, perché sul calendario c'erano due feste di Anno Nuovo, perché i pastori vivevano in tende. Si affrontano la prostituzione e i costumi sessuali, la pratica oracolare dell'incubazione (tav. IV) e non mancano dimostrazioni eziologiche (perché i serpenti fanno la muta, ecc.). Il senso della vitaAbbiamo accennato al passo dove Siduri redarguisce Gilgamesh su come dovrebbe comportarsi piuttosto che dar la caccia a segreti divini senza risposta. Il destino dell'uomo è segnato dalla mortalità (come racconta il finale dell'Atramkhasis, poema babilonese del diluvio) e Utnapishtim lo ricorda nei seguenti versi: tutto assomiglia alle libellule che sorvolano il fiume anche se Gilgamesh medesimo ne ha sentore all'inizio del poema L'umanità conta i suoi giorni Nessuno può oltrepassare i limiti della vita, e si sa dall'etimologia che limite è in corrispondenza biunivoca con necessità. La necessità (ananke) non è una divinità vera e propria, quanto piuttosto il riconoscimento di una forza cosmica superiore alle cose, superiore allo stesso destino di uomini e dei (fato = Namtar in Mesopotamia, la Moira in Grecia, poi personificata in tre entità: Atropo che fila, Cloto che avvolge e Lachesi che recide il filo della vita umana). Tuttavia Gilgamesh non accetta questa situazione, forse ingannato dalla somiglianza fisica con l'antenato. Ma Utnapishtim vuole convincere Gilgamesh con la parabola del diluvio, al termine della quale si svolse l'emblematica adunanza divina che promuove Utnapishtim tra gli dei. (Enlil) ci benedisse: Ma nessuna sessione di Anunnaki si può tenere per Gilgamesh, negandogli d'ufficio l'immortalità! Rimprovera infatti l'eroe del diluvio a Gilgamesh: ...ed ora chi potrà far radunare per te gli dei La volontà di sopravvivenza di Gilgamesh è rivelatrice di uno stato d'animo che vive la precarietà quotidiana con ansia di sopravvivenza. Questo stato d'animo è comune in Mesopotamia come in Grecia. Ricordo l'esempio di Admeto che inseguito da Thanatos chiede al padre di rinunciare alla vita in vece sua ma il rifiuto del vecchio padre Ferete non ammette repliche: “la vita è breve ma è così dolce” O nelle parole di Eracle: Tutti gli uomini devono soggiacere alla morte, e non c’è uno tra i mortali che sappia se domani sarà ancora vivo: perché l’oscuro cammino della sorte non è cosa che si possa insegnare, ne si coglie grazie a un’arte. Dunque ora che hai ascoltato e appreso da me tutto questo, cerca di divertirti, bevi, pensa alla tua vita giorno per giorno e affidati alla sorte. (v. 785-… Alcesti) Di stesso tenore è l’ammonimento dei cittadini ateniesi a Ioalo, vecchio compagno di avventure di Eracle: Il tempo non ha ancora spento il tuo ardore: esso è giovane, ma il corpo è sfinito. Perché ti affatichi inutilmente in imprese che ti nuoceranno e ben poco potranno giovare alla nostra città? All’età che hai, devi riconoscere l’errore e rinunciare all’impossibile: la giovinezza non troverai modo di riacquistarla (702-708 Eraclidi) Sono ammonimenti che ricordano da vicino le parole di Siduri nel poema paleobabilonese. L'adunanza divina che Gilgamesh auspica è tuttavia di cattivo auspicio. Gilgamesh dovrebbe ricordarsi di Enkidu che, prima di cadere in agonia, chiese di spiegargli l'incubo presagio di morte: Amico mio, perché i grandi dei erano a consulto? Nei miti sumeri la riunione degli dei a consiglio è generalmente fonte di sventure! La cronaca del consiglio è interpolat nella tav. VII dal canto ittita di Gilgamesh: An, Enlil, Ea e Shamash erano radunati a consiglio e An disse a
Enlil: "Poiché hanno ucciso Humbaba, che custodiva la foresta dei Cedri, uno dei
due dovrà morire". Allora Shamash rispose a Enlil, all'eroe: "Fu per tuo ordine
che uccisero il Toro Celeste e Humbaba: dovrà dunque Enkidu morire benché sia
innocente?". Enlil si rivolse furibondo a Shamash: "Proprio tu osi dire questo,
che te ne andavi con loro tutti i giorni come uno di loro?". Come sottilmente ha osservato Jan Kott il porre in questione l'equità di un verdetto emanato degli dei riuniti in consiglio - come Shamash - è molto umano e umanamente toccante. |