L'EPOPEA DI GILGAMESH
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Giuda e Israele Lo scenario biblico
I patriarchiLa Genesi racconta di come Abramo, primo "patriarca", partì da Ur, nella Bassa Mesopotamia, fino a raggiungere la Terra di Canaan per qui stabilirsi con la sua tribù. Per la precisione leggiamo che «Terach prese Abramo, suo figlio, e Lot, figlio di Aron, cioè
figlio di suo figlio, e Sara sua nuora, moglie di Abramo, suo figlio e con loro
partì da Ur dei Caldei per andare nel paese di Canaan. Giunti a Harran vi presero
dimora. Terach morì in Harran...» Harran (o Charan), crocevia commerciale posto alla congiunzione tra Siria e Mesopotamia, era, insieme a Ur, centro supremo del culto di Sin, il dio Luna. Sin era ritenuto dai sumeri (presso i quali si chiamava Nanna) capo supremo degli dei, più tardi sostituito nei culti mesopotamici da triadi divine. La tendenza a un primitivo monoteismo nella vita religiosa di Harran può forse avere avuto influenza sulle azioni successive di Abramo (1) «E Abramo se ne partì come gli aveva detto il Signore, e Lot con
lui. Abramo aveva 75 anni quando partì da Harran, e prese con sè sua moglie
Sara, e Lot, figlio di suo fratello, e tutte le sostanze che possedevano e i
servi acquistati in Harran, e partirono per andare nella terran di Canaan.» La Terra di Canaan era così chiamata perché i Cananei furono tra le prime etnie semitiche che vi si stanziarono. Questa regione comprendeva gli altopiani e le colline che, a sud della Fenicia, digradano a ovest verso il Mediterraneo e a est dominano la depressione formata dal lago di Tiberiade, dal fiume Giordano e dal Mar Morto. Essa è nota anche col termine greco Palestina derivante dal nome del popolo stabilitosi lungo la costa mediterranea, i Filistei (p. 98 Pro 1986). Cananei, moabiti, aramei, amaleciti, madianiti, ebrei... (2) erano popolazioni semitiche (quindi appartenenti allo stesso ceppo linguistico) che praticavano in antichità il seminomadismo e presso le quali vigeva un regime patriarcale. Che cos'era dunque il patriarca? Il più anziano o il più autorevole dei capifamiglia e dei capitribù, che esercitava la suprema autorità religiosa, civile e militare (p. 3 Fir 1999) sull'intera comunità. Primio patriarca dell'etnia ebraica di cui si abbia notizia è quindi Abramo, figlio di Terach. Successore di Abramo sarà il figlio Isacco e, dopo di questo, Giacobbe. Il terzo patriarca, Giacobbe, fu detto anche Israele e i suoi dodici figli (Giuseppe, Levi, Beniamino, Giuda, Ruben, ecc.) furono assunti come capostipiti delle dodici tribù in cui il popolo di Israele era suddiviso. Al racconto biblico sui patriarchi, passato attraverso una lunga trasmissione orale, non si può certo richiedere la completezza e la coerenza di una relazione storica. Tuttavia i fatti si possono iscrivere in una situazione generale della periferia del mondo mesopotamico tra la fine della III dinastia di Ur e il regno di Hammurabi (2000-1700 a.C.) quale risulta dai documenti cuneiformi, in particolare dagli archivi di Mari (città dell'Eufrate siriano e grande potenza fino all'epoca di Hammurabi), in cui si parla spesso degli spostamenti delle tribù nomadi amorrite e si citano nomi personali ed etnici confrontabili con quelli che troviamo nella Genesi. Per esempio, un documento dalla biblioteca di Mari parla esplicitamente di una delle tribù d'Israele. Un alto funzionario chiede a Zimri-Lim sovrano di Mari (sec. XVIII a.C.) se ci si debba fidare o meno dei Benianimiti: «I capi dei Benianimiti e le loro genti L'autore della TorahAi tempi di Giacobbe una tremenda carestia spinse il patriarca e la sua gente a riparare in Egitto, dove gli ebrei ricevettero in assegnazione un territorio, si moltiplicarono, godendo per generazioni di notevole prosperità grazie al favore dei faraoni (esemplare la scalata al potere di Giuseppe). Ma quest’ultimo elemento di sicurezza a un certo punto viene meno: gli ebrei furono costretti a prestazioni di lavoro coatto, assoggettati ad altre vessazioni, in una parola asserviti. Secondo la Bibbia, sorse allora tra gli Ebrei un capo carismatico, Mosè, che li liberò dalla servitù e guidò il loro esodo (=" uscita ") fuori dell’Egitto. Ovvero: approfittando del periodo di instabilità politica del governo centrale egizio, causata dalla minaccia degli Hyksos, gli ebrei ritornarono nella terra d'origine. La marcia degli Ebrei verso la Terra Promessa durò, secondo la tradizione, 40 anni. Traduzione: dopo circa mezzo secolo di vita nomade nella penisola del Sinai (3) gli ebrei vennero a stanziarsi nuovamente nella terra di Canaan (XIII secolo a.C.) . Iniziò così una lunga fase storica, caratterizzata da attriti incessanti per la conquista del territorio con le popolazioni cananee che non avevano abbandonato la regione o con alcuni "popoli del mare" (ovvero i filistei) stanziatesi nel frattempo. Progressivamente gli ebrei consolidarono una rispettabile potenza regionale che permise loro di conservare indipendenza politica, tradizioni culturali e costumi religiosi condensati nella Torah. A Mosè la tradizione sinagogale e paleocristiana attribuì la paternità dei primi cinque libri della Torah, ossia del Pentateuco. Vedremo più avanti come questa credenza sia stata superata dall'ipotesi documentaria. I giudiciGli Ebrei, trasformatisi da pastori in agricoltori, mantennero tuttavia a lungo le loro strutture politiche su base tribale. La lega delle 12 tribù era incentrata su un santuario federale presso il quale si discutevano periodicamente i problemi riguardanti l'intera comunità. Non era quindi ammesso l'istituto monarchico, in quanto per antico precetto, si riteneva che solo Dio potesse essere re del suo popolo. Solo in casi di emergenza il comando di tutto il popolo veniva assunto da un giudice. Gli screzi sempre più violenti con le popolazioni confinanti convinsero tuttavia gli ebrei della necessità di un baluardo di difesa contro le minacce esterne e di un comando unificato permanente. La monarchiaTale trasformazione politica così rilevante non poteva che avvenire col consenso divino e, infatti, la Bibbia narra come Dio inviò l’ultimo dei giudici, Samuele, a "ungere", ossia consacrare re di Israele, Saul, della tribù di Beniamino. Saul (1020-1000 a.C.) combatté a lungo contro i Filistei, ma sarà David, suo successore, a sconfiggerli e a strappare ai Cananei una delle loro ultime roccaforti, Gerusalemme, che diverrà capitale del regno. Il primo tempio di Gerusalemme verrà edificato sotto Salomone (970-930 a.C. ca.), figlio di David. Il regno di Salomone fu essenzialmente pacifico e volto al consolidamento dei territori e dell’economia del paese. La fama della potenza del nuovo regno travalicò i confini della regione, estendendosi a terre lontane: l'esempio più noto è la visita resa a Salomone dalla regina di Saba, una regione dell'Arabia sud-occidentale corrispondente all'attuale Yemen. I profetiAlla morte di Salomone prevalsero le forze centrifughe tribali e lo stato si
scisse in due regni di debole struttura: Israele a nord,
formato da dieci tribù e con capitale prima a Sichem poi a
Samaria, e Giuda a sud, formato dalle tribù di
Giuda e Beniamino, con capitale Gerusalemme. L’azione del profetismo e il consenso che raccoglie si spiegano solo in una società dalle strutture poco rigide, con un’autorità civile priva di efficaci strumenti coercitivi. Così Elia, Eliseo, Amos, Isaia (secoli IX-VIII a.C.), più tardi Geremia ed Ezechiele (secoli VII-VI) si scagliano contro i re e contro il popolo, corrotti dai costumi idolatri, sforzandosi di restaurare nella sua purezza la tradizione mosaica, che essi stessi contribuiscono a definire, e annunciando l’incombente castigo divino. Una delle vicende più drammatiche e appassionanti di questo periodo è il colpo di stato di Iehu (ca. 840 a.C.). Unto dal profeta Eliseo, Iehu soppresse la dinastia di Acab, ristabilendo il culto di Iahvè (II Re 9, 1-37). La "purga" di Iehu travolse Ioram, re di Israele, che tante energie aveva speso nella difesa da Hazael re del confinante Aram, e Acazia, nipote di Ioram e re di Giuda. Inutile ricordare che il colpo di stato di Iehu provocò un forte indebolimento politico di entrambi i regni. La dominazione assiraNon è un caso che Iehu, padrone in casa, fosse inerme di fronte al colosso assiro che impose pesanti dazi agli ebrei. Nel celeberrimo obelisco nero di Salmanassar III, conservato al British Museum, ci sono cinque registri scolpiti, rappresentanti il tributo al monarca assiro da differenti paesi. Apposta al secondo registro vi è un’iscrizione che suona: «Tributo di Jehu, figlio di Omri, io ho ricevuto». George Smith, primo interprete della saga di Gilgamesh, dimostrò che questo Jehu era proprio lo Iehu della Bibbia. Infatti, nella Collezione Kouyunjik, egli scoprì un altro documento, col resoconto della guerra fra Assiria e Siria (ovvero l'Aram, confinante col regno di Israele, e terra degli aramei) che confermava i tributi di Hazael e Iehu ricevuti da Salmanassar III (858-824 a.C.) nel diciottesimo anno del suo regno. Quali erano i tributi di Israele al sovrano di Assiria? Sono elencati nell’iscrizione dell'obelisco nero: oro, argento, oggetti preziosi, stagno e armi. La debolezza politica della nazione ebraica coincise con l’affermarsi della monarchia assira. Dal IX sec. a.C. si può seguire parallelamente il corso degli avvenimenti sui libri biblici e sugli annali epigrafici assiri. Naturalmente se il racconto biblico illustra soprattutto le vicende interne dello stato, gli annali assiri sono intesi per celebrare le glorie di Assur. Cosa avveniva quando il regno di Israele non poteva (o non voleva) pagare i tributi? La minaccia assira si tramutava in aggressione militare. Molti furono i sovrani assiri a condurre spedizioni punitive nella terra di Canaan. Più esposto a nord e vulnerabile attraverso la Siria, il regno di Israele ricevette per primo l’onda delle invasioni, come narra un celebre passo dall'Antico Testamento. I personaggi che vi compaiono, Osea e Salmanassar V, sono i rispettivi discendenti di Iehu e Salmanassar III: «Nel dodicesimo anno di Acaz, re di Giuda, divenne re in
Samaria, su Israele Osea, figlio di Ela. Regnò nove anni. Fece
ciò che è male agli occhi del Signore, ma non come i re di Israele suoi
predecessori. Contro di lui marciò Salmanassar, re di
Assiria; Osea divenne suo servo e gli pagò un tributo. Ma il re
di Assiria scoprì una congiura di Osea che gli aveva inviato messaggi a So, re
d’Egitto, e non spediva più il tributo al re d’Assiria come
faceva prima annualmente. Perciò il re di Assiria lo fece imprigionare e lo
chiuse in carcere.» E il regno di Giuda? Un po' a spese del regno di Israele e un po' attraverso
una buona politica di alleanze riuscì a sopravvivere al giogo assiro. Ricordiamo
Acaz, undicesimo re di Giuda secondo una linea dinastica
ininterrotta dai tempi di Salomone. Egli riuscì a salvare il regno dall'attacco
concertato dei sovrani di Israele e di Aram
che si erano nel frattempo alleati. Fu così che, sia a causa della perdita di buona parte del suo territorio in seguito all'incursione di Tiglat-Pileser, sia a causa di una serie di congiure di palazzo che aveva cambiato per cinque volte la dinastia regnante nello spazio di pochi decenni, fu minata alla radice la solidità del regno di Israele. La Bibbia interpretò i fatti alla luce di Dio: il regno d’Israele si era reso a lui infedele in modo insanabile nonostante gli ammonimenti dei profeti. Perciò Dio aveva abbandonato Israele proseguendo la storia della salvezza con la tribù di Giuda, perché da essa dovrà sorgere il Messia. La Bibbia non cita espressamente il nome del sovrano assiro che abbatté il regno di Israele conquistandone la capitale e deportandone la popolazione. Tuttavia gli studiosi (p. 115, Pet 1992) sono d’accordo nel ritenere che fosse Sargon II nel primo anno del suo regno (4): «Il re di Assiria invase tutto il paese, salì in
Samaria e l’assediò per tre anni. Nell’anno nono di Osea il re
di Assiria occupò Samaria, deportò gli israeliti in Assiria
destinandoli a Calach, alla zona intorno a Cabor, fiume di Gozan, e alle città
della Media. Di Sargon parla anche il profeta Isaia nelle sue sentenze (20, 1). Sul luogo di Samaria Sargon II insediò altre genti, deportate da più lontane regioni dell’impero che, mescolandosi con elementi israeliti, costituirono poi la popolazione dei samaritani, invisa ai giudei per la loro origine mista. Da questo momento delle dieci tribù settentrionali non esisteranno che residui, aggregatisi col tempo alla tribù di Giuda o assorbiti alle altre popolazioni. Sopravvissuto al crollo di Israele, il regno di Giuda provò a scrollarsi di dosso il giogo assiro con Ezechia, figlio di quell'Acaz che aveva giurato fedeltà a Ninive. L'idea non piacque al successore di Tiglat-Pileser, Sennacherib, che con le sue truppe espugnò Gerusalemme imponendo pesanti sanzioni: «Nell'anno quattordicesimo del re Ezechia, Sennacherib, re d'Assiria, assalì e prese tutte le città fortificate di Giuda. Ezechia mandò a dire al re di Assiria: "Ho peccato, allontanati da me e io sopporterò quanto mi imporrai". E il re d'Assiria impose a Ezechia, re di Giuda, trecento talenti d'argento e trenta talenti d'oro. Ezechia consegnò tutto il denaro che si trovava nel tempio del Signore e nei tesori del palazzo reale.» (II Re 19, 13) Fu grazie a questi compromessi che il Regno di Giuda sopravvisse al crollo assiro avvenuto nel 612 a.C. Ovviamente anche la caduta dell'impero assiro trova giustificazione nel disegno divino. Nella Bibbia il giogo assiro è visto come instrumentum dei invocato dai Profeti per punire i peccati del popolo d'Israele. Ma la forza assira è effimera e destinata a soccombere - come il Nimrod della Torre di Babele - al provvidenziale disegno divino per mano di altre genti (Fal 1992 p.9-10). Egizi e babilonesiLa successiva dominazione egizia fu breve perché nel 605 a.C. il sovrano del neo-impero babilonese Nabucodonosor sconfisse il faraone Necao a Karkemish assicurandosi così il possesso della Siria-Palestina. La Giudea da regno tributario divenne vero e proprio stato vassallo. Per due volte il regno di Giuda si ribellò a Nabucodonosor ma con esito disastroso: la prima volta (598 a.C.) Gerusalemme venne risparmiata ed il re Ioakin, gli alti funzionari e le famiglie aristocratiche deportati a Babilonia; nella seconda occasione (587 a.C.) la capitale fu saccheggiata, il tempio distrutto, la città abbandonata alle fiamme e tutta la popolazione deportata in Babilonia. La vita degli ebrei di Babilonia, sotto Nabucodonosor e i suoi discendenti, è raccontata nel libro di Daniele (redatto molto più tardi all'epoca dei Maccabei). Con la fine della monarchia davidica, la Giudea divenne una provincia dell'impero ed iniziò l’esilio (o cattività) babilonese che durerà 50 anni. Nel 538 a.C. il re persiano Ciro, abbattuto il regno Neo-babilonese, emana un editto con cui consente il ritorno in patria dei deportati e la riedificazione del Tempio di Gerusalemme che fu infine consacrato nel 515 a.C. La Palestina divenne una divisione territoriale dell’Impero Persiano, sottomessa al satrapo di Damasco ma sempre con una certa autonomia. L'amministrazione sociale e religiosa passò in mano alla casta sacerdotale di Gerusalemme, al cui vertice si trovava il sommo sacerdote coadiuvato da un consiglio di anziani, il sinedrio. Dopo più di due secoli di dominio persiano verranno altri padroni: Alessandro Magno (332 a.C.), i Tolomei d'Egitto (301 a.C.), i Selèucidi di Siria (200 a.C.) e i Romani (64 a.C.). Il Pentateuco«L'opera di George Smith fa epoca per la storia culturale e letteraria dell'antichità, e soprattutto per la scienza biblica, in special modo per la comprensione e l'apprezzamento delle storie che hanno preceduto la Genesi e forse anche per la critica del Pentateuco» (F. Delitzsch citato in Dag 1997, p. 44). Così scriveva Friedrich Delitzsch, nella prefazione all'edizione tedesca di Smi 1876, venticinque anni prima della conferenza "Babel und Bibel" che dimostrò al mondo accademico l'influenza mesopotamica sulla Bibbia. Questa influenza si disvela a molti livelli. Per semplicità ridurrò l'esame a due soli livelli. Il primo è quello storico ed è quanto visto finora spulciando qua e là nel secondo libro dei Re. Il secondo, particolarmente evidente nei libri più antichi della Bibbia, è quello letterario. I due livelli riflettono due coinvolgimenti distinti da parte dei redattori finali della Bibbia. Il primo è accidentale. Il redattore biblico prende atto dell'entrata in gioco di Giuda e Israele nella "politica internazionale" dell'epoca anche se lo interpreta alla luce dei peccati commessi dalle case reali ebraiche e alla luce dell'esegesi della salvezza (filo conduttore dell'intera Bibbia). Il secondo è intenzionale. Per rendere comprensibile il messaggio delle origini del patto tra Dio e il suo popolo, gli autori della Bibbia si servirono del genere letterario più in voga tra i loro contemporanei, il mito. La tradizione mitico-letteraria del popolo dominatore (assiro o babilonese) fu certamente materiale accessibile sia nella terra di Canaan prima dell'esilio, sia - direttamente - durante e dopo l'esilio a Babilonia. Per esempio il Libro di Giobbe è accostabile al poemetto del Giusto Sofferente di Nippur del XIII sec. a.C. (vedi trascrizione integrale in Pon 1996 pp.73-82; in Sap 1996 pp. 102-103 sono commentati alcuni passi) oppure la nascita di Mosè è praticamente identica a quella riportata nelle leggende di Sargon di Akkad. I celebri giganti (rephaim) della Genesi sono un'alterazione semantica degli antenati regali (rapi'uma) il cui culto era diffuso presso gli Amorrei (p. 185 Mat 1995) Ma consideriamo un caso esemplare, il Pentateuco. Proprio al periodo del post-esilio babilonese si può ascrivere il completamento del Pentateuco. Quella sacerdotale fu infatti l'ultima, in ordine di tempo, tra le numerose tradizioni che contribuirono alla redazione del "libro più antico del mondo". Prima di affrontare la cosiddetta "ipotesi documentaria" che spiega questa affermazione sarà bene rivedere qualche concetto chiave. Il Pentateuco è la prima sezione della Bibbia. Esso è suddiviso in cinque libri: Genesi (o Bereshit), Esodo, Levitico (che è la sezione più antica della Torah), Numeri, Deuteronomio. Senza dubbio costituisce una pietra miliare della letteratura e della riflessione religiosa dell'umanità. Esso è basato in parte su ricordi della tradizione orale, su leggende, su racconti mitici delle origini elaborati da altre culture ma soprattutto su riflessioni teologiche e liturgiche nate dalla profonda fede in un Dio unico e universale. Il Pentateuco è certamente molto antico e, in virtù della sua sacralità, fu attribuito al personaggio più carismatico della tradizione ebraica («Mosè scrive ciò che Dio gli rivela»). La paternità di Mosè venne però letteralmente smantellata dagli studiosi biblici a cavallo tra '800 e '900 in seguito alle scoperte dell'archeologia mediorientale e della nascente assiriologia (in proposito si riveda la sezione Babel un Bibel). L'ipotesi documentariaI maggiori risultati sull'origine filologica del Pentateuco sono condensati nella cosiddetta ipotesi documentaria, elaborata da Julius Wellhausen (1844-1918) e K. H. Graf (1815-1869). L'ipotesi documentaria è stata nei decenni rivista, messa in dubbio o accettata in modo oltranzista (vedi le Bibbie protestanti con passi stampati in colore diverso a seconda della tradizione alla quale vengono ricondotti!). Nonostante le controversie (tesi di Klostermann, di Gunkel, di Bultmann, ecc.) essa resta l'ipotesi più accreditata dagli studiosi - come mostra una recentissima edizione Einaudi della Genesi (Gen 2000). Tuttavia, secondo un documento redatto dalla Pontificia Commissione Biblica sull'interpretazione della Bibbia (1993), l'ipotesi documentaria è solo una delle fasi del metodo storico-critico che sarebbe ...il metodo indispensabile per lo studio scientifico del significato dei testi antichi. Poiché la Sacra Scrittura, in quanto «Parola di Dio in linguaggio umano», è stata composta da autori umani in tutte le sue parti e in tutte le sue fonti, la sua giusta comprensione non solo ammette come legittima, ma richiede, l’utilizzazione di questo metodo (Interpretazione della Bibbia nella Chiesa 1993, sez. 1-A). Il metodo storico-critico attuale per comprendere l’intenzione degli autori e redattori della Bibbia, come pure del messaggio da essi rivolto ai primi destinatari è sommariamente costituito dalle seguenti fasi: 1) analisi del testo (filologia, morfologia e sintassi) 2) analisi letteraria (ipotesi documentaria), 3) analisi delle forme (identificazione del "genere" del passo biblico: liturgico, mitico, giuridico, ecc.), 4) analisi della redazione (contributo personale del redattore e suoi orientamenti teologici nel lavoro di compilazione). L'applicazione del metodo storico-critico allo studio della Bibbia non è però invenzione moderna. Già nel XVII secolo Richard Simon evidenziava la presenza di doppioni con divergenze nel contenuto e di stile osservabili nel Pentateuco. Nel XVIII secolo Jean Astruc poneva la questione in termini simili. Questi doppioni (e vedremo degli esempi) mostravano che
Nel XIX secolo, con Graf prima e Wellhausen dopo, si sviluppò la critica letteraria della Bibbia. Essa mirava a individuare l’inizio e la fine delle unità testuali e di verificare la coerenza interna dei testi. L’esistenza di doppioni, di divergenze inconciliabili costituiva l'indizio del carattere composito di certi testi, che venivano allora divisi in piccole unità, di cui si studiava la possibile appartenenza a fonti diverse. Da qui nacque l'ipotesi documentaria delle quattro fonti del Pentateuco (p. 135 Gen 2000):
Alla fonte P apparterrebbe il redattore finale che diede struttura in un corpus unitario alle cinque sezioni del Pentateuco. Le prime due tradizioni prendono nome dal modo con cui, in ciascuna di esse, ci si riferiva tipicamente a Dio. Nella Y, Dio è indicato dal tetragramma JHWH («io sono colui che è») che, per il precetto dell'impronunciabilità, veniva letto Adonai o Kyrios (signore). Nella fonte E, Dio è indicato dal plurale ebraico di El: Elohim. El indicava il signore degli dei nella tradizione pagana di Aram (Siria), di Ugarit e dei fenici. Una figura non lontanissima da quella degli ebrei se leggiamo nella Storia di Re Kerret (XIV sec. a.C.) da Ugarit: «nel sogno di Keret apparve El, padre di tutti gli uomini...» (citato in Sap 1996 p. 109) e in un poemetto del XIV sec. a.C. sempre da Ugarit: «El il benigno, El il misericordioso, il Creatore delle creature (ibid. p. 162). Gli indizi e le fonti mesopotamicheSarà utile fornire qualche esempio dei doppioni su cui si basa l'ipotesi documentaria, perché alcuni di essi riconducono a tradizioni culturali mesopotamiche. Nella Genesi troviamo per due volte un racconto della creazione, per due volte Agar viene allontanato, per tre volte incontriamo la situazione di un patriarca che spaccia per sorella propria moglie. Per casa vi assegno il compito di rintracciare questi doppioni sul testo e di provare inoltre ad assegnare ciascuna versione alla fonte originaria (le "risposte" sono consultabili nell'appendice storico-critica di Gen 2000). Le divergenze più interessanti compaiono nell'episodio biblico del diluvio. Si dice che gli animali per ciascuna specie sono due (Genesi 6, 19) ma poi si afferma che sono sette (Genesi 7, 2). Oppure si dice che la calamità durò quaranta giorni (Genesi 7, 17) per poi rettificare a centocinquanta giorni (Genesi 7, 24). Queste incongruenze sono chiaramente dovute al fatto che nell'episodio si intrecciano due diverse tradizioni (Y e P secondo l'ipotesi documentaria). O meglio molte più di due dato che il mito del diluvio era noto da secoli nella terra di Canaan prima ancora che venisse redatta la versione biblica! Ecco quali secondo un recentissimo articolo apparso, udite udite, su Famiglia Cristiana nel marzo 2003: «Forse qualche lettore si sorprenderà sentendo dire che Noè non
era un ebreo. In realtà egli è una figura nota - sia pure con nomi diversi - ad
altri popoli della Mesopotamia e la storia del "diluvio", che è connessa a lui,
è proposta anche da antichissimi testi babilonesi di quella
regione...» Possiamo agevolmente ricordare alcuni di questi testi (e citati nel suddetto articolo), che sovente incontriamo nelle altre sezioni di questo sito:
(p. 138 Gen 2000) Queste narrazioni sono utilizzate nella Bibbia a volte nei minimi dettagli. Tuttavia il discorso biblico parla di un unico Dio creatore, non di un olimpo litigioso che crea l'uomo per proprio tornaconto. Il Dio degli ebrei promette che non distruggerà più l'universo dopo il diluvio universale, catastrofe dovuta non a un cavillo divino (la rumorosità umana?) ma alla malvagità del genere umano: «Noè è in realtà l'emblema dei giusti che sono presenti pure nel
mondo pagano. Abramo verrà molti secoli dopo. Dio con Noè stabilisce già
un'alleanza che anticipa quella che stipulerà poi con Israele sul Sinai (). E'
appunto questo l'atto culminante del diluvio. Il Signore nella sua giustizia
irrompe e colpisce il male dilagante e lo fa con le acque impetuose che sono per
l'antico Vicino Oriente il simbolo del nulla e del caos. Ma egli salva tutti i
giusti, incarnati in Noè...» La Bibbia trasmette un messaggio universale di speranza e di salvezza attraverso miti famosi che nella trasposizione biblica assumono un significato del tutto nuovo. Le narrazioni mesopotamiche non vengono semplicemente riciclate ma in buona misura demitizzate, riconducendole a una dimensione realmente umana. Ringraziamenti: vorrei ricordare sentitamente Antonio G. dell'Università Statale di Milano per i preziosi suggerimenti e correzioni. Naturalmente tutti gli errori che doveste trovare in questa pagina sono miei. APPENDICE: Paralleli nelle storie del diluvioSono riportate le pagine 219-220 da Il Diluvio, mito e realtà del più grande cataclisma di tutti i tempi, Massimo Baldacci, edizioni Mondadori 1999. Ecco la chiave delle abbreviazioni: Gn (Genesi), Gilg (edizione ninivita dell'epopea di Gilgamesh), A-h (poema del Grande Saggio o 'Atramkhasis'). Per completezza ricordo i nomi degli epigoni mesopotamici di Noè: Atramkhasis nella versione accadica del diluvio, Ziusudra nella versione sumerica del diluvio, Utnapishtim nel Gilgamesh. pag. 219
pag. 220
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