|
Contenuto del poema
Sarebbe ingiusto etichettare l'epopea solo come una parabola della ricerca
dell'immortalità. Le peripezie di Gilgamesh hanno risvolti etici, filosofici e
antropologici affrontati con una tale maturità e bellezza poetica, che da tempo
la critica letteraria ha elevato il poema al rango di capolavoro, accanto alle
opere di Omero, Virgilio e Dante (1). Un meritevole accenno ai suddetti temi sarebbe incauto senza tuttavia
conoscere di cosa parla l'opera. Veniamo pertanto subito alla trama dell'epopea
di Gilgamesh. L'opera è divisa in dodici
capitoli, detti "tavole".
|
|
Tavola I
L'opera inizia con un inno al re Gilgamesh e alla sua città, Uruk. I
sudditi, viene detto, sono però vessati dal loro sovrano e si
lamentano con gli dei. Il dio An, sovrano del firmamento, accoglie la supplica
e, per dare sollievo al popolo, dispone la nascita di Enkidu. Costui è l'uomo
selvaggio che vive con gli animali nella steppa, che potrà tenere a freno la
smisurata potenza di Gilgamesh ma anche stargli accanto nei momenti di
pericolo. Enkidu però deve essere prima educato alla civiltà. A questo compito
provvede la prostituta sacra Shamkhat che gli insegna le basi della vita
cittadina prima di condurlo a Uruk.
pagina dall'epopea:
Prologo, l'eroe Gilgamesh
Tavola II
Enkidu giunge a Uruk in tempo per evitare che Gilgamesh varchi la soglia di
una novella sposa. Infatti, a Gilgamesh, in quanto sovrano, spettava lo ius
primae noctis, uno dei maggiori fattori di lagnanza popolare. Gilgamesh e
Enkidu si fronteggiano ma la forza dei contendenti è paritaria, per questo
cessano le ostilità e i due diventano fraterni amici. Gilgamesh, in cerca di
fama e avventura, propone allora a Enkidu una spedizione nella foresta dei
Cedri dove mille pericoli li attendono.
pagina dall'epopea:
I giovani e gli anziani di Uruk
Tavola III
Gilgamesh convince gli anziani di Uruk ad appoggiare la missione. La madre Ninsun, sacerdotessa del tempio, tuttavia è angosciata della partenza del
figlio. Ninsun leva un’intensa preghiera a Shamash, dio del sole, affinché
protegga Gilgamesh dai pericoli. Dopo che gli artigiani di Uruk hanno forgiato
le armi della missione i due eroi si mettono in viaggio.
pagina dall'epopea:
La dea Ninsun e il dio Sole
Tavola IV (la "tavola dei sogni")
Il viaggio verso la foresta avviene in un clima di magica sospensione. Ogni
sera, i due eroi, prima di coricarsi dal lungo cammino eseguono un sacrificio
al dio Shamash. Un demone della sabbia, inviato dal dio, incanta Gilgamesh per
fargli avere sogni premonitori. Contemporaneamente il demone infonde a Enkidu
il potere di interpretare i sogni. I cinque sogni di Gilgamesh sono tutti a
tinte fosche, ma ogni volta Enkidu li interpreta come segnali di buon auspicio
da parte del loro dio protettore.
pagina dall'epopea:
Primo sogno premonitore di Gilgamesh
Tavola V
Gilgamesh e Enkidu giungono nella foresta dei cedri e cercano i tronchi
migliori da tagliare e portare a Uruk. Vengono scoperti dal mostro Khubaba,
posto a guardia della foresta dal signore degli dei, Enlil. Il mostro maledice
i due uomini, sperando d'impaurirli, ma gli eroi non indietreggiano e lo
scontro ha inizio. Con l’aiuto di Shamash, Gilgamesh e Enkidu riescono a
sopraffare il mostro che chiede pietà. Enkidu tuttavia avverte Gilgamesh che
le parole del mostro contengono menzogna e sprona l’amico a finire la
creatura. Il bottino è grande. Gli alberi sacri vengono tagliati e portati a
Uruk.
pagina dall'epopea:
La foresta dei cedri
Tavola VI
Gilgamesh è acclamato e Ishtar, dea dell'amore, osservando il sovrano in tutto
il suo splendore se ne invaghisce. La dea scende a Uruk e propone a Gilgamesh
di sposarla. L’eroe rifiuta la sua proposta in termini che oltraggiano la dea.
Ishtar allora fa liberare il Toro Celeste che come una calamità si abbatte
sulla città. Intervengono Gilgamesh e Enkidu che come in una corrida riescono
a bloccare e uccidere il mostro. La gloria di Gilgamesh raggiunge l’apoteosi e
mentre tutto il popolo lo acclama, Ishtar piange il Toro con le sue
ancelle.
pagine dall'epopea:
Gli amori di Ishtar, Uccisione del toro Celeste
Tavola VII
Spente le libagioni, Enkidu sogna il consiglio degli dei. L’olimpo non è
contento ma offeso dai ripetuti sacrilegi. Enlil decreta che uno dei due
eroi muoia. Poiché Gilgamesh ha sangue divino nelle vene, la pena ricade su Enkidu che cade in agonia. Gilgamesh è disperato, perché non può fare nulla per
il moribondo che, vaneggiando, maledice la porta costruita col cedro della
foresta e la prostituta che lo aveva introdotto alla civiltà. Shamash però
rincuora Enkidu preparandolo al trapasso. In un ultimo sogno Enkidu ha la
visione della Casa della Polvere, il regno dei morti dove è destinato.
pagina dall'epopea:
Enkidu sogna il regno dei morti
Tavola VIII
Enkidu muore e Gilgamesh lo piange intonando un lamento funebre al quale si
unisce tutto il popolo in lutto. Viene preparato un regale corredo funebre che
accompagnerà il defunto nell’aldilà.
pagina dall'epopea:
Il pianto di Gilgamesh per la morte di Enkidu
Tavola IX
Gilgamesh è sconvolto dalla morte del compagno e s’interroga se anche lui
dovrà un giorno perire nello stesso modo. In cerca di una risposta abbandona
Uruk disperato, vagando per la steppa affamato e derelitto. Giunge fino alla
porta di una montagna sorvegliata da creature metà uomo e metà scorpione. I
guardiani mostruosi riconoscono in lui carne divina e lo lasciano passare. Gilgamesh attraversa l’oscurità della montagna e all’uscita si ritrova nello
splendente giardino di Shamash dove diamanti e lapislazzuli crescono sugli
alberi.
pagina dall'epopea:
Incontro con gli uomini-scorpione
Tavola X
Il giardino di Shamash è sorvegliato dalla vivandiera Siduri che commossa
dalle implorazioni di Gilgamesh gli spiega come raggiungere l’antenato
Utnapishtim, reso immortale dagli dei per aver superato la prova del diluvio
universale. Incontrato il traghettatore Urshanabi, Gilgamesh può attraversare
le acque della morte che separano la dimora di Utnapishtim dal resto
dell’umanità. Gilgamesh infine raggiunge l’antenato che però non ha alcun
segreto di lunga vita da rivelare.
pagina dall'epopea:
Il destino dell'uomo nelle parole di Utanapishtim
Tavola XI (la "tavoletta del Diluvio")
Gilgamesh non crede a Utnapishtim. L’antenato racconta allora come riuscì a
salvarsi dal grande diluvio. Fu solo al termine di questa calamità, scagliata
dagli dei per sopprimere gli uomini, che si creò l’unica situazione in cui fu
garantita vita eterna ad un mortale. Gli dei, infatti, riunitisi in consiglio
per decidere il destino di Utnapishtim, lo elessero a loro pari destinandolo a
vivere lontano dal mondo. Fu quindi grazie a un consiglio divino che
Utnapishtim divenne immortale, ma tale consiglio non potrà mai ripetersi per Gilgamesh. Il re di Uruk prova allora a sottoporsi alla prova del sonno per
mostrare di meritare una simile possibilità, fallendo però miseramente. Gilgamesh si
sente sconfitto, ma Utnapishtim gli fa un ultimo dono prima del viaggio di
ritorno: la pianta dell’irrequietezza che restituisce vigore al
fisico. Sulla strada per Uruk, Gilgamesh fa una
sosta in un'oasi lasciando incustodita la pianta magica. Quanto basta affinché
un serpente, possa avvicinarsi e divorare la pianta, perdendo la pelle e
ridiventare giovane. A Gilgamesh non rimane che accettare il suo destino
mortale e tornare a Uruk dove riprende l’esercizio del potere con i suoi
strumenti: il pukku e il mekku (il tamburo e la bacchetta della guerra).
pagina dall'epopea: Il
racconto del diluvio (vedi anche la pagina
Giuda-Israele)
Tavola XII
I lamenti delle vedove fanno cadere il pukku e il mekku agli inferi. Enkidu
(di nuovo vivo, come in un flashback) si accolla il compito di recuperare gli
arnesi del potere. Gilgamesh raccomanda a Enkidu di rispettare tutti i tabù
degli inferi per garantirsi il ritorno. Purtroppo Enkidu infrange i tabù e
viene intrappolato. Gilgamesh riesce a far liberare Enkidu grazie all’aiuto di
Shamash che intercede presso Nergal, signore dell’oltretomba. Ma Enkidu è già
morto come apprende Gilgamesh quando al suo cospetto torna solo un’ombra. Nel
corso dell’ultimo incontro col vecchio compagno di avventure, Enkidu spiega il
destino degli abitanti dell’oltretomba.
pagina dall'epopea:
La sorte dell'uomo nell'aldilà
L'immortalità e i temi connessi sono frequenti nella
letteratura mesopotamica come spiega il signore degli Dei nel celebre mito di Adapa: «Non sognano forse tutti gli uomini di
diventare immortali?».
In epoca moderna l'argomento è stato affrontato, per esempio,
nel racconto di Jorge Luis Borges, L’immortale
(da L’Aleph, 1949, Tutte le Opere di J.L. Borges, pp.
773-788 vol. I, Mondadori ed. 1985).
Altre splendide pagine dedicate all'immortalità si trovano nel
viaggio di Gulliver a Luggnagg (capitolo X,
parte III del noto romanzo di Jonathan Swift). Qui Gulliver
aspira a diventare uno struldbrugg (= immortale in
balnibarnese), in modo da avere tutto il tempo per
arricchirsi o per studiare tutte le arti e le scienze diventando "oracolo"
d'Inghilterra. Gulliver cambierà presto idea apprendendo quale triste
destino tocca agli struldbrugg sopra i 30 anni.
Nel capolavoro di Michail Bulgakov, il
Maestro e Margherita, l'immortalità turba Ponzio Pilato
subito dopo avere condannato al supplizio il Nazareno: «L'immortalità... è
venuta l'immortalità. L'immortalità di chi? Non riusciva a capirlo, ma il
pensiero di questa misteriosa immortalità gli mise freddo sotto quel
gran sole» (dall'ediz. Rizzoli 1977, p. 68).
A teatro, il tema dell'immortalità è stato recentemente
affrontato nello spettacolo-installazione Infinities diretto
da Luca Ronconi (scritto da John D. Barrow)
in scena alla Bovisa di Milano in via Baldinucci 85 tra l'8 e il 28
marzo 2002. La rappresentazione ripartita tra cinque
stanze toccava con ironia e intelligenza alcune tipologie di
infinito. La seconda stanza, dal titolo Vivere in
eterno, era tra le più suggestive. Il
pubblico, guidato da un dottore e due assistenti, imperscrutabili sotto
pallide maschere, attraversa una claustrofobica scenografia: la
clinica dell'immortalità. Un invito poco rassicurante
accoglie gli spettatori: “Aaah! vivere in eterno! L'argomento è affrontato
rappresentando una serie di reazioni umane paradossali all'idea di vivere per
sempre. Prego, accomodaaatevi!”. Nella clinica,
l'immortalità è descritta nei suoi risvolti più complicati: immaginate di
poter vivere in eterno senza poter evitare l'invecchiamento (gli struldbrugg
ne sanno qualcosa). Risvolto che già suggestionò gli antichi nel mito di
Aurora e Titone (citato da Dante nella
Commedia). Al termine della quinta stanza, agli spettatori
si offrono due opzioni: infinito lineare (tornare a casa) o circolare
(ricominciare dalla prima stanza). (torna su) |