https://t.me/multipolare

 

Edizione 2021

 

Pubblicizza questo libro come credi, anche facendone oggetto di commercio, ma se lo modifichi non attribuire a me cose che non ho mai detto, a meno che tu non pensi di contribuire alla causa di un socialismo davvero democratico.

 

MIKOS TARSIS

 

DIARIO DI FACEBOOK

(2021)

 

L'insalata vuole il sale da un sapiente, l'aceto da un avaro, l'olio da un prodigo, essere mescolata da un matto e mangiata da un affamato.

 

(Proverbio)

 

Amazon

 

Nato a Milano nel 1954, laureatosi a Bologna in Filosofia nel 1977,

già docente di storia e filosofia, Mikos Tarsis (alias di Enrico Galavotti) si è interessato per tutta la vita a due principali argomenti:

Umanesimo Laico e Socialismo Democratico, che ha trattato in www.homolaicus.com

Per contattarlo:

info@homolaicus.com

Sue pubblicazioni su Amazon.it

 

Avvertenza

 

 

 

Sono stati riportati solo i post di una certa rilevanza che l'autore ha scritto su Facebook durante il 2021.

Ci siamo risolti a questo per non perdere il frutto di così tanta fatica, come abbiamo già fatto col libro precedente, che raccoglie i post migliori del periodo 2017-20.

Anzi, abbiamo deciso di creare un nuovo sito ove collocare questi articoli: diariofacebook.it. Il pdf sarà a disposizione di tutti. Anzi l'attuale pdf contiene sia i post del libro Diario di Facebook (gennaio-marzo 2021), che i post del secondo (aprile-dicembre 2021), per rendere più agevole la consultazione. Tuttavia in Amazon i libri restano separati.

Il lettore noterà che il globalismo ci costringe ogni giorno di più ad avere conoscenza di ciò che avviene in qualunque parte del pianeta. Come se ci fosse diventato sempre più stretto, sempre più fragile, sempre più indifeso. Come se avessimo la convinzione che qualunque cosa succede in qualunque parte della Terra può avere ripercussioni fin dentro le mura di casa nostra.

 

 

Gennaio

 

 

 

[1] Gibuti e Cina. Turchia. Vaticano. Arabia Saudita. Tunisia. Libia

 

La Cina investe a Gibuti un miliardo di dollari all'anno, ovvero metà del PIL del piccolo Stato del Corno d'Africa (23.000 kmq con meno di 900.000 ab.), ex territorio francese che ha conseguito l'indipendenza a partire dal 1977 e completata nel 1994.

Gibuti si trova sullo stretto di Bab-el-Mandeb, la quarta rotta marittima mondiale, che controlla l'accesso al Mar Rosso: 20.000 navi all'anno vi transitano (almeno il 20% dell'export globale). È una via commerciale che consentirebbe alla Cina di raggiungere l'Africa e l'Europa attraverso il Mar Cinese e l'Oceano Indiano, nell'ambito del progetto “Nuova via della seta”. Può favorire il commercio con 1/3 del continente africano. Ecco perché viene considerato di grande importanza strategica. Non a caso le relazioni bilaterali tra i due Paesi sono iniziate sin dal 1979.

Sotto il porto vi passano anche sette cavi sottomarini che sono strategici nel campo delle telecomunicazioni perché collegano Asia ed Europa. Tutte le grandi potenze competono per ottenere una base militare: quelle già presenti da tempo sono statunitense, italiana, francese, saudita e giapponese. Quella USA di Camp Lemmonier è l'unica base permanente americana sul continente africano, con uno stanziamento di 4.000 soldati.

Nel 2017 la Repubblica di Gibuti ha ospitato la prima base militare cinese all'estero. Supportata dall'enorme porto multifunzionale, anch'esso inaugurato nel 2017, questa base ha (ufficialmente) un contingente di 400 uomini incaricati di proteggere gli interessi e i cittadini del Dragone nella regione.

Infine, a luglio 2018, con lo scopo di consolidare il suo status di “hub economico regionale” Gibuti ha inaugurato la più grande zona franca internazionale in Africa, che ha richiesto un investimento di 3,5 miliardi di dollari e che copre una superficie di 4.800 ettari. Il governo è l'azionista di maggioranza con tre gruppi cinesi. L'area ha anche lo scopo di creare posti di lavoro e attrarre investimenti, consentendo alle società straniere d'essere esenti da tasse e ricevere supporto logistico.

Annunciata come “la prima perla” della collana che Pechino vuole creare lungo l'Oceano Indiano per proteggere una delle sue strade della seta, la costruzione della base militare cinese fa parte di una strategia economica che impone la Cina come partner privilegiato di Gibuti e solo in secondo battuta la Francia e gli Stati Uniti.

Questa crescita economica finanziata principalmente da Pechino solleva la questione della sovranità nazionale di fronte al rischio di controllo economico, politico e finanziario da parte di una superpotenza.

Le autorità gibutiane vogliono trasformare il loro Paese in una una sorta di “Singapore del Mar Rosso”. La Cina finanzia una marea di cose molto costose, come se il porto, anzi lo Stato, fosse di sua proprietà. Stando a dati ufficiali, tra il 2012 e il 2018, l'ammontare degli investimenti è stato intorno a 14 miliardi di dollari.

Tuttavia gli esperti internazionali hanno iniziato a mettere in guardia sulla capacità di rimborso del debito verso la Cina. Il debito pubblico sta infatti aumentando di parecchio: dal 43% del PIL nel 2014 all'84% nel 2018. Gibuti rischia di fare la fine dello Sri Lanka, che aveva preso in prestito dai cinesi 1,4 miliardi di dollari per costruire un porto di acque profonde, la cui gestione però, alla fine del 2017, ha dovuto cedere a Pechino per 99 anni perché incapace di rimborsarli.

La Cina è anche impegnata nel rinnovamento della vecchia linea ferroviaria francese che collega Gibuti ad Addis Abeba (l'Etiopia è priva di sbocco sul mare). Questo progetto è gestito da un consorzio di società cinesi per un periodo di sei anni. Costa 3,4 miliardi di dollari, è finanziato al 70% da una banca cinese e si affida esclusivamente a una forza lavoro cinese (il tasso di disoccupazione a Gibuti è del 50-60%, uno dei più alti al mondo).

La Cina detiene oltre il 60% del debito pubblico di Gibuti. Le autorità si stanno accorgendo solo adesso che il debito può diventare un'arma di ricatto. Di qui la decisione di stabilire legami sempre più stretti con gli indiani e di rinnovare buoni rapporti coi francesi o gli Emirati Arabi Uniti.

Lo stesso presidente Macron ha ricordato che la Francia ha ancora a Gibuti la sua più grande base militare all'estero (1.450 uomini) ed è abbastanza seccato che le aziende francesi non siano in grado di aggiudicarsi gli appalti pubblici solo perché le aziende cinesi fanno offerte imbattibili.

A tutt'oggi la presenza militare della Cina nel continente africano è di circa 2.000 soldati (700 in Sud Sudan e altri nella Repubblica Democratica del Congo, in Mali, in Liberia e in Sudan), schierati in missioni di mantenimento della pace delle Nazioni Unite.

Ricordiamo che, oltre a Gibuti, anche Egitto e Kenya sono inclusi nel progetto della “Nuova Via della Seta”.

 

Il Parlamento turco ha approvato una legge, proposta dal Partito della giustizia e dello sviluppo, del presidente Erdoğan, che rafforza il potere governativo di sorvegliare le fondazioni, le organizzazioni internazionali, le ong e in generale le organizzazioni della società civile. Sarà sufficiente accusarli di fiancheggiare il terrorismo. Detto da questo governo che ha appoggiato in tutte le maniere i jihadisti per abbattere il governo siriano e occupare i territori kurdi, è abbastanza ridicolo.

Sette organizzazioni internazionali e della società civile come Amnesty International e Human Rights Association hanno sostenuto che in Turchia le accuse di terrorismo vengono usate in maniera arbitraria dalle autorità per ragioni politiche: negli ultimi anni migliaia di attivisti, giornalisti, politici di opposizione e membri di organizzazioni professionali sono stati indagati per terrorismo. Le organizzazioni hanno sostenuto inoltre che la legge viola il principio di presunzione di innocenza, perché punisce anche persone che non hanno ancora ricevuto una condanna.

La società turca ogni giorno di più si allontana dalla democrazia e dallo stato di diritto. Il governo ambisce a tornare alla grandezza dell'impero ottomano di un secolo fa. Non a caso Ankara ha messo in atto operazioni militari nel nord della Siria, in Libia, nel Mediterraneo orientale e nel conflitto tra l'Azerbaigian e l'Armenia per il controllo del Nagorno Karabakh, facendo vincere gli islamici azeri.

Il ministro della difesa turco si è recato in Libia per raccogliere la sfida lanciata dal maresciallo Khalifa Haftar, il capo militare che controlla l'area orientale del paese e che aveva invitato i suoi sostenitori a imbracciare le armi per opporsi “all'occupazione turca”.

Erdoğan non ha paura delle sanzioni europee, perché ritiene la UE incapace di imporsi a causa delle sue interne divisioni, e a causa della paura dell'immigrazione proveniente dal Medio Oriente, che la Turchia frena grazie ai capitali europei.

Non ha paura neppure delle sanzioni degli USA, come dimostra l'acquisto di potenti missili antiaerei russi S-400. D'altra parte Barack Obama gli aveva negato i missili Patriot per non scontentare Israele.

L'unica potenza a cui la Turchia si piega è la Cina. Qualche anno fa Erdoğan aveva denunciato il trattamento riservato agli uiguri turcofoni nell'ovest del paese definendolo un “genocidio”. Oggi però tace, in cambio di vantaggi economici.

 

Dopo lo scandalo finanziario del cardinal Becciu e del palazzo di Londra e di altre operazioni poco chiare, il papa ha tolto alla Segreteria di Stato, guidata da mons. Parolin, i soldi e il potere. Diventa un dicastero come gli altri. Non gestirà nemmeno un euro senza autorizzazione. Si occuperà di politica estera e magari interna, ma non sarà più una sorta di ministero delle finanze onnipotente.

La gestione di tutti i fondi della Segreteria di Stato passa sia all'Apsa di mons. Nunzio Galantino, guardiano bergogliano della cassaforte patrimoniale della Santa Sede; sia alla segreteria per l'Economia affidata al gesuita Juan Antonio Guerrero Alves, che svolgerà anche la funzione di Segreteria papale per le materie economiche e finanziarie.

Tuttavia il Vaticano si sta impelagando in un nuovo scandalo. È di recente infatti il coinvolgimento della Santa Sede nel Council for Inclusive Capitalism with the Vatican (Consiglio per un Capitalismo Inclusivo in accordo col Vaticano). Una organizzazione dichiaratamente pro-capitalismo che sancisce una collaborazione storica di amministratori delegati e leader globali che lavorano con la guida morale di papa Francesco (e del cardinale ghanese Peter Turkson, prefetto del Dicastero per la promozione dello sviluppo umano integrale).

Parliamo del Gotha del capitalismo mondiale, inclusi nella lista denominata Fortune Global 500, che dicono d'essersi dotati di un nuovo strumento per portare avanti i loro interessi celandoli dietro attività filantropiche e di sviluppo sociale: “costruire una base economica più giusta, più inclusiva e sostenibile per il mondo attraverso la governance ambientale, sociale e aziendale”.

Personaggi che privandosi del 30% delle loro ricchezze avrebbero potuto sradicare la fame nel mondo, ci vengono a parlare di equità nella distribuzione della ricchezza.

Che senso ha fare il testimonial dei super ricchi? Se anche le finalità sono etiche, non è da ingenui? Davvero si pensa che il capitalismo di stato, un tempo chiamato corporativismo, possa risolvere i problemi del neoliberismo globalistico? O possa costituire un'alternativa vincente al socialismo di mercato sviluppato dalla Cina? Da tempo il Gruppo Bilderberg e altre organizzazioni transatlantiche stanno lavorando col Vaticano per riformare il capitalismo americano in qualcosa di più simile all'economia mista cinese, visto l'incredibile successo planetario di questa economia nell'arco di un ventennio.

Il suddetto Consiglio è guidato da un gruppo ristretto di 27 leader noti come “Guardians for Inclusive Capitalism”. I tutori includono gli amministratori delegati di Mastercard, Visa e Bank of America; i presidenti della Fondazione Ford e della Fondazione Rockefeller, i Rothschild, i grandi potentati bancari e finanziari e molti altri, che dovrebbero regolare “giusti salari, prezzi e quote”.

Insieme, il Consiglio rappresenta 200 milioni di dipendenti in 163 paesi e ha 2,1 trilioni di dollari di capitalizzazione di mercato. Se il Consiglio per il capitalismo inclusivo con lo Stato Pontificio fosse una nazione, il suo valore di mercato sarebbe superiore al valore di mercato del Regno Unito.

 

Il 28 dicembre è stata condannata da una Corte anti-terrorismo di Riyad a 5 anni e 8 mesi di carcere Loujain Al-Hathloul, una delle attiviste più in vista per i diritti umani in Arabia Saudita.

Al-Hathloul, 31 anni, era stata arrestata, insieme ad altre attiviste, a maggio del 2018, perché anni prima aveva iniziato una campagna contro il divieto di guida per le donne in Arabia Saudita e per la fine del sistema di tutela maschile, con cui si era procurata l'accusa di aver violato le norme sulla “sicurezza nazionale”, di aver passato informazioni a Paesi “non amici” dell'Arabia Saudita, di aver parlato con giornalisti e diplomatici e di aver fatto domanda per un impiego presso le Nazioni Unite. Insomma, una “terrorista”.

Amnesty International e altre organizzazioni per i diritti umani avevano chiesto inutilmente la sua scarcerazione e documentato le torture e violenze sessuali che Al-Hathloul aveva subito fin dall'inizio della sua detenzione. Poche settimane dopo il suo arresto, in Arabia Saudita era stato tolto il divieto che impediva alle donne di guidare.

La notizia della condanna è stata confermata anche dalla sorella di Loujain, Lina, che sul suo profilo Twitter ha spiegato che nella sentenza il giudice ha previsto anche una sospensione della pena di 2 anni e 10 mesi. Quindi, visti i 2 anni e 7 mesi di pena già scontati, dovrebbe uscire dal carcere nel marzo del 2021.

Il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti delle donne (Cedaw) aveva già lanciato l'allarme per il peggioramento progressivo delle sue condizioni di salute, anche a causa dello sciopero della fame per protesta contro le condizioni carcerarie.

Secondo quanto raccontano i parenti, è stata costretta in regime di isolamento per tre mesi, senza poter comunicare in modo regolare con la famiglia e con l'avvocato, ed è stata oggetto di elettroshock, frustate e abusi sessuali. I suoi carcerieri le avrebbero addirittura offerto la possibilità di uscire dal carcere se avesse dichiarato di non aver subito torture.[1]

L'ONU dovrebbe espellere l'Arabia Saudita dalla propria assemblea, perché questo Paese non sa neanche lontanamente cosa siano i diritti umani.

Ricordiamo tutti anche il caso di Jamal Khashoggi, il giornalista dissidente su varie testate saudite, ucciso e smembrato nel Consolato saudita di Istanbul.

Khashoggi aveva lasciato l'Arabia Saudita nel settembre 2017, andando in esilio negli USA. Si era opposto all'intervento militare saudita in Yemen.

 

Il 17 dicembre 2010 il giovane fruttivendolo Mohamed Bouazizi, di 26 anni, si dava fuoco davanti alla sede del governo provinciale della sua città in Tunisia, per protestare contro i vigili che gli avevano sequestrato il carretto coi suoi prodotti: lui che guadagnava poco più di due euro al giorno per sfamare una famiglia di otto persone.

L'azione sconvolgente di Bouazizi generò un effetto a catena: in Tunisia esplose la più drammatica insurrezione degli ultimi decenni, mettendo in ginocchio il governo del dittatore Zine al Abidine Ben Ali, costretto a lasciare il potere il 14 gennaio 2011 e a fuggire in Arabia Saudita.

Di lì a poco si sarebbero scatenati eventi di portata ancora maggiore: le vicende in corso nel piccolo Paese affacciato sul Mediterraneo diedero il via a rivolte in vari Paesi del Nordafrica e nel Medio Oriente.

Ben presto le proteste diventarono delle rivoluzioni attive (Primavere Arabe) negli Stati di polizia della regione: Egitto (fu rovesciato Mubarak, autocrate da quarant'anni), Yemen (Saleh cedette il potere a Hadi), Libia (gli Stati arabi si schierarono a favore di un intervento militare a sostegno dei ribelli contro Gheddafi, guidato dalla Francia, dal Regno Unito e dalla Danimarca e sottoscritto da Washington) e Siria (dove Hafez al Assad aveva lasciato in eredità lo Stato di polizia più duro della regione al figlio Bashar al Assad, che si è trovato a fronteggiare una minaccia concreta al dominio dinastico della sua famiglia).

Gli allarmi suonarono anche in Arabia Saudita e in Iran, che temevano si potesse scatenare una grande rivolta della popolazione.

Assad è ancora al potere, in quanto l'alternativa jihadista era semplicemente mostruosa. La Russia, l'Iran e la Turchia hanno avuto il loro ruolo in un conflitto che da allora ha distrutto gran parte del Paese e ha costretto metà della popolazione a fuggire all'estero o in altre aree interne. Anche l'Egitto ha attraversato un periodo di caos che ha visto la fine di Mubarak, sostituito dal breve e disastroso governo del presidente islamista Mohamed Morsi, rovesciato a sua volta da un colpo di stato militare guidato da Abdel Fattah al Sisi, che ha imposto di nuovo l'autorità degli apparati di sicurezza egiziani e ha soffocato la società civile.

Sia in Siria sia in Egitto il dissenso fiorito nei primi mesi delle rivolte è stato regolarmente represso e oggi il numero di detenuti politici nelle prigioni di entrambi i paesi è molto più alto rispetto al 2011.

In pratica le popolazioni islamiche hanno dimostrato di non saper creare un'alternativa al capitalismo. Non hanno saputo approfittare né della decolonizzazione né della grande ricchezza di idrocarburi per creare società più giuste e democratiche. L'occidente, abbattendo i dittatori che esso stesso aveva sponsorizzato, ha enormemente destabilizzato sia il Medio Oriente che il Nord Africa, nella speranza di impadronirsi, come nel passato, delle loro risorse. E oggi se ne pente, sia perché tutto è diventato più instabile e pericoloso, sia perché le guerre producono flussi migratori che non finiscono più.

 

Per la prima volta dal 2014 rappresentanti di alto livello dell'Egitto si sono recati a Tripoli, intenzionati ad aprire un'ambasciata, oltre a offrire collaborazione in materia di intelligence e cooperazione. Un'apertura inaspettata, dato che Il Cairo ha sempre sostenuto il generale Haftar, in guerra contro l'attuale governo di al-Sarraj.

Da dove viene questa decisione? Dal fatto che l'Egitto vuole allontanare da Tripoli il Paese che costituisce una seria minaccia ai propri interessi in Nord Africa e nel bacino del Mediterraneo, cioè la Turchia di Erdoğan. E con l'Egitto di al-Sisi sono fortemente preoccupati anche la Francia, la Russia e gli Emirati Arabi, tutti coinvolti nella questione libica e tutti preoccupati per le milizie turche composte da jihadisti. L'instabilità in Libia favorisce la nascita e il radicarsi di fenomeni di fondamentalismo di matrice jihadista.

Haftar, nella futura amministrazione della Libia unita, vorrà sicuramente il controllo delle forze armate ed essere ministro della Difesa.

L'Italia sembra essere fuori da questi giochi di potere. Con l'Egitto la situazione è al momento piuttosto tesa, per i casi di Regeni e Zaky, che richiederebbero il ritiro del nostro ambasciatore, e per l'interruzione della fornitura di armi all'Egitto, sono segno del deterioramento di questi rapporti. Contro la Russia continuiamo a sostenere l'embargo voluto dagli USA e dalla UE, che danneggia il nostro settore agroalimentare. I capi di Stato e di governo della UE han deciso di prorogare le sanzioni contro Mosca fino al 31 luglio 2021.

Nei confronti della Turchia noi non facciamo certamente parte del blocco più aggressivo, composto da Francia, Grecia e Cipro. A noi piace essere equidistanti da tutti o eseguire ordini superiori provenienti da chi riteniamo più potente di noi.

 

[2] Debito pubblico. Uiguri. Turchia

 

Il rischio legato all'enorme debito pubblico italiano (2.600 miliardi, oltre il 160% su PIL) oggi sembra inesistente ma rischia di esplodere.

La BCE attualmente lo copre. Le banche d'affari addirittura pagano per acquistare i nostri titoli di Stato che fino a 5 anni di scadenza offrono rendimenti nulli. I mercati sono rassicurati dal fatto che lo Stato italiano ha sufficienti risorse fiscali per servire il suo debito.

Il problema si presenterà invece se partirà l'inflazione in Italia e in Europa a causa delle spese supplementari di 750 miliardi di euro previste con il Recovery Fund. In tal caso la BCE non potrebbe più coprire i debiti pubblici dell'eurozona.

Per evitare il rischio occorre che il governo italiano spenda bene e rapidamente i 209 miliardi del Recovery Fund, soprattutto per investimenti pubblici ad alto moltiplicatore.

Speriamo che non si mettano di traverso i parlamenti di Danimarca, Finlandia, Olanda e Svezia, i Paesi cosiddetti “frugali” che già si erano opposti al Recovery Fund.

D'altra parte non possiamo fare come la Bank of England (BoE), che acquista direttamente dal Tesoro i titoli pubblici per miliardi di sterline da spendere subito per affrontare l'emergenza coronavirus e che stampa dal nulla sterline e così “monetizza” il deficit di Stato e contribuisce a salvare l'economia britannica dal disastro. Nell'eurozona la monetizzazione dei debiti non è permessa dal Trattato di Maastricht.

Potrebbe però esistere un'altra strada: basterebbe che BCE e Banca d'Italia rinnovassero all'infinito l'acquisto dei titoli di debito che hanno già in bilancio per “cancellare” in un colpo solo circa il 20% del nostro debito di stato. A fine settembre il valore dei titoli pubblici italiani detenuti dalla BCE e Banca d'Italia era di 506 miliardi e, poiché il debito pubblico italiano è pari a circa 2.600 miliardi, se l'Eurosistema s'impegnasse a rinnovare sempre gli acquisti di debito nazionale, 1/5 del debito pubblico italiano verrebbe praticamente cancellato. Ovviamente la stessa operazione potrebbe essere fatta per gli altri Paesi dell'eurozona.

Se la BCE non accetta, alcuni economisti dicono che si potrebbe creare una quasi-moneta complementare all'euro. I governi potrebbero emettere – ovviamente nel rispetto delle regole dell'eurozona – dei titoli di stato che fungano da moneta complementare all'euro, come i Titoli di Sconto Fiscale, TSF. I governi potrebbero distribuire TSF in tre anni direttamente a famiglie, imprese e enti pubblici per un importo pari ad almeno il 4-5% del PIL.

Questi titoli pubblici danno diritto a una riduzione fiscale, ma solo dopo tre anni dall'emissione, in modo da non creare subito deficit pubblico; alla scadenza, al quarto anno, si ripagherebbero grazie all'aumento del PIL reale e nominale. Come tutti i titoli i TSF saranno negoziabili e convertibili in euro.

 

I vaccini anti-Covid ordinati alla Cina sono finalmente arrivati in Turchia. Alcuni media turchi hanno rivelato che il carico delle prime dosi del vaccino era rimasto per giorni fermo alla dogana di Pechino.

Motivo? Tutto politico. Il governo cinese vuole che Ankara ratifichi il trattato di estradizione dei profughi Uiguri che vivono in Turchia: 50 milioni di dosi di Sinovac per 50.000 Uiguri.

La Turchia li ha infatti accolti per decenni, proteggendoli. Adesso deve finirla.

Gli Uiguri sono abitanti della regione autonoma del Turkestan orientale, nella quale Pechino da decenni sta attuando una politica di cinesizzazione forzata. Quella regione montuosa (ribattezzata col nome di Xinjiang) è abitata da 11 milioni di persone di lingua turcofona e di religione musulmana e costituisce circa il 45% dell'intera popolazione. Gli Uiguri denunciano da tempo le autorità cinesi per le feroci pratiche di discriminazione culturale, religiosa ed economica che subiscono e perché sono sottoposti ad arresti arbitrari, a torture e al lavaggio del cervello da indottrinamento politico in campi di internamento e nelle prigioni.

Si ritiene che più di un milione di persone siano detenute in tali campi. Diversi report di Human Rights Watch parlano di programmi di rieducazione, di divieto di pratiche religiose e culturali, di lavoro forzato, di sorveglianza di massa e di sterilizzazione forzata delle donne.

Gli attivisti Uiguri e le loro famiglie in fuga dalle persecuzioni delle autorità cinesi avevano trovato rifugio in Turchia, ma ora anche qui non possono più considerarsi al sicuro.

La loro situazione è drasticamente peggiorata da quando la Turchia ha stretto maggiori legami economico-commerciali con la Cina. Siccome però sono musulmani, Erdoğan sta attento nella politica di espulsione di questa etnia. Non li rimpatria direttamente in Cina, ma si libera di loro espellendoli in Paesi terzi, come p.es. il Tagikistan, dove l'estradizione presenta meno difficoltà e dove non si ha alcuno scrupolo a rinviarli in Cina. In questo modo fa apparire in patria tale pratica più accettabile dalla comunità musulmana turca.

Erdoğan non ha un vero Parlamento a cui dover rendere conto e la sua politica estera risponde prevalentemente alla sua agenda interna. Il trattato di estradizione è frutto di un accordo del 2017 ed è stato recentemente ratificato da Pechino, dal Congresso nazionale del popolo. Il governo turco, invece, ha dovuto affrontare una forte opposizione da parte di alcuni circoli islamisti. I media statali hanno supportato fortemente la retorica del presidente che ha presentato questo accordo di estradizione come necessario nella lotta al terrorismo.

E pensare che lo stesso Erdoğan nel 2009 aveva denunciato come genocidaria la pratica cinese di persecuzione degli Uiguri.

Ora invece è costretto, per fare uscire dalle sabbie mobili la sua economia in crisi, a un'alleanza coi circoli dell'estrema destra ultranazionalista, che sostengono, in politica interna, una linea fortemente repressiva e anticurda e, in politica estera, in particolare con gli eurasisti, un riorientamento anti-occidentale della Turchia. Propugnano l'uscita dalla NATO e guardano a est, all'entroterra dell'Asia centrale e orientale, puntano a strette relazioni con la Russia e vedono nel sistema cinese un modello da adottare.

D'altra parte tutti i circoli dell'estrema destra, del nazionalismo estremo, persino del kemalismo maoista di estrema sinistra, eurasista, sono ora in stretta alleanza con l'AKP di Erdoğan, da quando, dopo il tentato golpe del 2016, hanno occupato i gangli vitali dello Stato, in particolare le Forze Armate, la Magistratura, la Polizia e l'Istruzione.

Ankara ha già aperto le porte alla Cina in ogni campo e ha ricevuto 3,6 miliardi di dollari in prestito dalla Banca industriale e commerciale di Pechino per investimenti nel settore dell'energia e dei trasporti. Ora i due Paesi sono in accordo per la conquista dei porti del Mediterraneo. Per es. a Taranto la compagnia turca Yılport ha una concessione portuale di 49 anni, dietro investimenti garantiti per 400 milioni di euro.

Non dimentichiamo che il corridoio anatolico è indispensabile ai cinesi per il progetto faraonico della Road Belt Initiative (la Nuova via della seta).

 

Nel giugno 2018 il presidente Erdoğan, al potere dal 2003, era stato rieletto a suffragio universale. Un voto che gli ha consentito di istituire il regime presidenziale che aveva approvato con il referendum l'anno precedente, un sistema autocratico che gli ha consentito un processo decisionale rapido ed efficace.

In Turchia non esiste una vera separazione dei poteri, poiché tutto è concentrato nelle mani del presidente turco, il quale ha il diritto di nominare e revocare i ministri, e soprattutto può governare attraverso l'uso del decreto.

In campo giudiziario è proprio il presidente che nomina direttamente la maggior parte dei membri del Consiglio giudiziario supremo e del Consiglio costituzionale, proprio allo scopo di controllare il potere giudiziario in termini politici. Sotto il profilo ideologico è stata siglata una vera e propria alleanza di tipo politico tra i nazionalisti e gli islamisti.

In un primo momento Erdoğan sembrava un musulmano conservatore con una certa aspirazione democratica. Oggi invece cerca il consenso degli ultranazionalisti, anche perché il suo partito non può più garantirgli una maggioranza parlamentare senza stringere un'alleanza coi partiti nazionalisti, di destra e di sinistra.

Con questi partiti Erdoğan sta perseguendo una politica chiaramente anti-occidentale e anti-europea, collaborando con Russia e Cina, anche allo scopo di rivedere il Trattato di Losanna del 1923 che ridisegnò i confini dell'Impero ottomano. E delle minacce della UE non gli importa nulla, perché sa di avere il coltello dalla parte del manico: infatti può sempre inviarci i 2-3 milioni di migranti che vivono nel suo Paese a nostre spese.

Lo jihadismo ceceno è stato a lungo un ostacolo tra Russia e Turchia. Mosca sapeva bene che Ankara sosteneva la ribellione cecena. Poi Erdoğan si convinse a non rinnovare una serie di visti per i rifugiati politici ceceni. In cambio i russi informarono i turchi dell'imminente colpo di stato del 2016.

Dopodiché la rottura col movimento gulenista ha spinto il presidente Erdoğan tra le braccia di ultranazionalisti ed eurasiatici per la maggior parte anti-Nato, filo-russi e pan-turchi.

L'intesa russo-turca è servita per definire uno spazio di collaborazione sia in Siria che in Libia, anche se nel Caucaso, nella guerra azero-armena, la tensione è aumentata, perché la Turchia vuole un accesso diretto al Mar Caspio. Difficile però che Erdoğan riuscirà a installare una base militare in Azerbaijan senza il consenso di Putin, anche perché i russi non hanno permesso agli azeri di vincere a costo zero: hanno infatti imposto un grande dispiegamento delle loro forze militari in alcuni punti strategici. Putin ha rimproverato con decisione gli armeni di non aver mai riconosciuto l'indipendenza e la sovranità del Nagorno-Karabakh.

Non dimentichiamo comunque che Erdoğan non riconosce la Crimea come russa, e mantiene buoni rapporti con la Bielorussia e la Moldavia.

Tuttavia Ankara dipende dal gas russo e i due paesi hanno in comune il gasdotto Turkish Stream. La Turchia, che importa il 99% del suo gas, vuole diventare un hub energetico per controllare il più possibile le forniture per l'Europa.

 

[3] Turchia. Brexit. Cina

 

Scegliendo luoghi che simboleggiano l'islam sunnita europeo, la Turchia intende affermarsi come una potenza culturale di primo piano anche nei Balcani. L'Agenzia per la cooperazione e lo sviluppo, con i suoi sei uffici, è il più grande donatore di aiuti nella regione. Finanzia la costruzione di scuole e università ed è anche interessata al patrimonio (come p.es. la ricostruzione del ponte di Mostar). Su 23 centri culturali turchi nel mondo, non meno di 12 sono presenti nei Balcani, diffondendo la lingua e la cultura turca.

A livello educativo, scuole finanziate dal movimento güllenista e che sviluppano un islam sunnita sono state costruite non solo in Albania e Bosnia-Erzegovina, ma anche in Kosovo, Macedonia del Nord e Romania. Infine, più di dieci università sono finanziate e controllate dal governo turco.

La Turchia di Erdoğan sta sfruttando il fallimento del progetto del gasdotto South Stream per investire, insieme al suo partner strategico Putin, nel progetto Turkish Stream. Come noto, il South Stream fallì per colpa degli USA di Obama e fu soprattutto il nostro Paese a rimetterci.

Alla fine del 2019, il partenariato turco-russo, nonostante le resistenze della UE, sembra occupare definitivamente il territorio dell'Europa sud-orientale. Nel settembre 2019 gli operatori energetici bulgari Bulgartranz e la saudita Arkad hanno firmato un accordo di investimento che estenderà Turkish Stream in Europa.

Sulla base di questo dispiegamento strategico, Ankara ha pesantemente investito nel territorio balcanico negli ultimi dieci anni. La Bulgaria si colloca al primo posto nel sistema turco nei Balcani: 14 miliardi di investimenti in 10 anni, 5 miliardi di scambi bilaterali nel 2018, con un'azione nei settori dell'energia, della salute e dell'industria elettrica.

In Bosnia-Erzegovina i tratti di autostrada dalla capitale Sarajevo a Belgrado e Budapest sono stati affidati a compagnie turche ed è in corso con Ankara un progetto di ammodernamento del suo aeroporto.

In Kosovo la Turchia è tra i primi investitori (38 milioni di euro all'anno), che ha permesso a banche, come Teb e Ziraat, ma anche alle industrie eoliche ed elettriche, di stabilirsi in questo piccolo Stato.

La presenza turca sul piano economico produttivo è cresciuta in modo impressionante in Montenegro, in Albania, nella Macedonia del Nord. Sono stati firmati molti accordi economici anche tra Turchia e Serbia. Oggi quasi 800 aziende turche sono installate in Serbia e il commercio è quintuplicato dal 2010. Si sta concretizzando un asse Ankara-Belgrado-Sarajevo. Riunendo questi tre Paesi, nel 2013 è stato costituito un “comitato commerciale” e poi un'area di libero scambio nell'agosto 2015. L'accordo dell'ottobre 2019 prevede relazioni commerciali tra la Serbia e le due nazioni musulmane. Erdoğan sta utilizzando la leva dell'economia per porre in essere una zona di libero scambio nei Balcani.

L'Italia è completamente fuori da queste dinamiche. Come lo è in Libia. Da anni non perseguiamo alcuna strategia coordinata e riconoscibile verso i Balcani occidentali (l'etichetta che raggruppa Montenegro, Serbia, Macedonia del Nord, Albania, Bosnia-Erzegovina e Kosovo). Ci siamo soltanto preoccupati di permettere agli americani di distruggere la Jugoslavia usando le basi NATO sul nostro territorio. I sei Stati dei Balcani occidentali sembrano addirittura destinati a restare fuori dalla UE perché nessuno li vuole (abbiamo fatto entrare soltanto Croazia e Slovenia). La Turchia lo sa e ne approfitta per proiettarsi come potenza neo-ottomana.

 

Con la Brexit finisce la libera circolazione di merci e persone tra UE e Regno Unito.

Ora è necessario il passaporto (senza visto) per restare in quel Paese fino a un massimo di tre mesi.

Per un periodo più lungo, dovuto a ragioni di lavoro o di studio, occorreranno invece dei visti, analoghi a quelli richiesti attualmente agli stranieri non comunitari.

Per limitare gli ingressi, anche dalla UE, vengono poi introdotte liste di priorità legate al possesso di un contratto di lavoro già garantito, con un salario minimo annuo lordo di almeno 25.600 sterline (oltre 28.000 euro). Il tutto all'interno di un sistema di filtro degli ingressi a punti, in cui si valuterà fra l'altro il livello di specializzazione e la padronanza della lingua inglese.

È prevista invece una corsia preferenziale per ottenere il visto per i lavoratori del settore sanitario.

La questione del visto non coinvolge gli oltre 4 milioni di europei, tra cui 700.000 italiani, che già vivono e lavorano nel Regno Unito. Ma dovranno iscriversi in un apposito registro. Gli italiani già residenti possono ottenere la residenza permanente solo se dimostrano di aver vissuto in UK per almeno 5 anni.

Chi si iscriverà all'università dal 2021 pagherà una retta piena, al pari degli extracomunitari, che, a seconda degli atenei, può arrivare fino all'equivalente di oltre 30.000 euro per anno accademico. Inoltre la Gran Bretagna esce dal programma Erasmus di scambi fra studenti europei, utilizzato finora più dai ragazzi continentali per periodi di studio sull'isola che non dai giovani britannici attratti dagli atenei dei Paesi UE. Per gli studenti italiani già presenti nel Regno Unito (circa 16.000) non cambia niente.

Per l'uso del cellulare gli italiani quando andranno nel Regno Unito per turismo, dovranno pagare addebiti roaming nei loro piani tariffari, perché non beneficeranno della legge europea entrata in vigore tre anni fa.

Sarà evitata in modo quasi completo l'applicazione di dazi alle frontiere su merci e prodotti esportati da Regno Unito ed Europa e non ci sarà un limite alla quantità di prodotti commerciabili tra i due Paesi. Ma sarà più gravoso fare affari, anche perché torneranno i controlli alle dogane. Infatti tutti i prodotti esportati nell'uno e nell'altro mercato dovranno essere conformi alle normative tecniche richieste, e per questo saranno soggetti a qualsiasi verifica e controllo di conformità.

Le aziende britanniche dovranno certificare l'origine delle loro prodotti, e sono previsti dei limiti sulla proporzione di manufatti con parti pre-assemblate all'estero. Il governo britannico schiererà altri 1.100 funzionari per i controlli doganali e dell'immigrazione.

Molte società e aziende di Londra hanno già trasferito parte delle attività e degli staff in Paesi della UE, soprattutto a Dublino, ma anche in Lussemburgo, Francoforte e Amsterdam.

Quanto alla pesca l'Europa rinuncia a 1/4 (in valore) della quota di pesce catturato nelle acque del Regno Unito. Il sistema sarà in vigore per 5 anni e mezzo, dopodiché le quote saranno riesaminate.

L'Irlanda del Nord sarà parte di tutti i futuri accordi commerciali britannici (come quello siglato con la Turchia). Tuttavia il territorio nord-irlandese continua ad adottare le regole del mercato unico della UE sui prodotti (inclusa l'Iva) al fine di prevenire un confine fisico all'interno dell'isola irlandese, cioè rimane un punto d'ingresso nell'unione doganale europea. Il risultato è la presenza di un confine giuridico tra le due entità statuali dell'isola d'Irlanda, ma nei fatti inesistente, mentre il confine reale (con controlli e regolamenti) corre lungo il tratto di mare che separa l'Irlanda del Nord dall'Isola della Gran Bretagna.

Gibilterra, quella vergognosa colonia britannica in Spagna di 34.000 ab., resterà libera di far parte di alcuni programmi della UE, tra i quali Schengen per lo spostamento delle persone e delle merci. Inoltre dovrà continuare a rispettare le regole sulla concorrenza e quelle fiscali comunitarie. Sono 15.000 le persone che vivono in Spagna ma lavorano a Gibilterra, e ogni anno la località viene visitata da circa 10 milioni di turisti, per lo più escursionisti spagnoli. Londra però ha preteso che ai britannici non residenti che si recano a Gibilterra passando dalla Spagna, o in Spagna passando da Gibilterra, verrà chiesto il passaporto.

Stanley Johnson, padre del premier britannico, chiederà la cittadinanza francese per mantenere la libertà di movimento in Europa, che i cittadini britannici perderanno con la Brexit.

Intanto la Scozia ha fatto sapere di non aver mai votato per la Brexit (il 62% si oppose nel referendum del 2016), e che ha intenzione di rientrare nella UE come Stato indipendente. Le prossime elezioni locali saranno nel maggio 2021. E hanno intenzione di fare un nuovo referendum, perché quando nel 2014 il 55% disse no all'indipendenza dal Regno Unito, si temeva di uscire dalla stessa UE, in quanto gli inglesi avrebbero impedito agli scozzesi di farvi parte. Ma ora le cose si sono rovesciate. Sta per frantumarsi l'Acts of Union del 1707?

 

La Cina sta realizzando una strategia marittima di grande respiro, volta ad aggirare la potenza americana, in modo particolare nel Mar Cinese meridionale (una sorta di porzione dell'Oceano Pacifico che si allunga dallo stretto di Malacca fino allo stretto di Taiwan). Il 90% delle importazioni petrolifere cinesi passa proprio attraverso questo Mare. Ecco perché Pechino pretende di controllarlo per circa l'80%, scontrandosi con gli interessi di Vietnam, Taiwan, Filippine, Brunei e Malaysia.

Appare infatti chiaro che le principali rotte commerciali marittime a livello mondiale dipendono in larga misura da certi “passaggi stretti”, naturali o artificiali: Malacca, Hormuz, Bab el-Mandeb, Gibilterra, il Canale di Suez e il Canale di Panama.

Gli americani, grazie a una flotta navale altamente sviluppata e alle loro alleanze, riescono a controllare tutti questi passaggi.

Anche il sostegno di Washington ad alcuni Stati chiave è importante: l'Egitto è il secondo più grande destinatario dei suoi aiuti militari in Medio Oriente, dopo Israele, col Canale di Suez nel mirino.

Sul versante dello Stretto di Malacca (la principale via di comunicazione tra l'Oceano Indiano e l'Oceano Pacifico) si possono citare gli accordi con Singapore, che danno alla US Navy l'accesso alle infrastrutture navali e aeree di questa città-stato, che è anche uno dei luoghi portuali più importanti del pianeta. Il commercio petrolifero che passa attraverso lo stretto di Malacca è superiore a quello che attraversa sia il Canale di Suez sia il Canale di Panama.

Gli USA hanno anche una base militare a Gibuti, sullo stretto di Bab el-Mandeb, dove possono controllare la via che congiunge il Mar Rosso col Golfo di Aden e quindi con l'Oceano Indiano.

Vi è poi il Canale di Panama, costruito dagli americani (separando la relativa Repubblica dalla Colombia) e ampiamente sfruttato ancora oggi (il transito di beni da e per gli USA rappresenta il 60% del transito totale attraverso Panama), benché dal 1999 la gestione del canale sia stata consegnata alla Repubblica. Qui gli USA hanno un'importante base militare.

La Cina però si vuole sentire coinvolta in tutti i luoghi strategici del mondo. Sa che se controlla il Mar Cinese avrebbe facilmente accesso ai flussi intra-asiatici. Ha persino creato isole artificiali su alcuni atolli negli arcipelaghi Spratly e Paracel allo scopo di sorvegliare la sua principale rotta petrolifera.

La strategia nota come “collana di perle”, consistente nell'avere infrastrutture sulla strada tra Cina e Medio Oriente, in particolare in Cambogia, Birmania, Bangladesh, Sri Lanka e in Pakistan, le permette di avere accesso ai mari asiatici, destando grandi preoccupazioni anche all'India.

La realizzazione di un'infrastruttura a Gibuti (Corno d'Africa) incrementa la sua proiezione di potenza marittima in Africa orientale.

Per aggirare l'egemonia statunitense sulle rotte marittime, la Cina può fare affidamento anche sulla sua natura continentale, creando corridoi di trasporto terrestre, affidandosi in particolare al trasporto ferroviario. Pensiamo prima di tutto al corridoio di Gwadar, tra Pakistan e Xinjiang, per connettere il Golfo Persico col Mar Arabico, nonché a quello di Sittwe, tra Birmania e Yunnan, ma anche ai corridoi eurasiatici, come la Transiberiana o la nuova Via della Seta. Pechino considera quella vasta area geografica che passa da Gwadar (Pakistan), Hambantota (Sri Lanka), Chittagong (Bangladesh) e arriva fino a Sittwe (Myanmar) come una propria zona di influenza. Gwadar è motivo di forte contrasto tra India e Cina.

La Cina si sta posizionando anche sull'Artico, per vedere come dare accesso alle risorse naturali abbondanti nell'estremo nord russo. Sono state proprio le sanzioni occidentali imposte alla Russia che hanno indotto i cinesi a subentrare agli europei.

Farà fatica la Cina ad avere la meglio sugli USA in tempi brevi. Ci vogliono cento treni per trasportare una quantità di merci equivalente alla capacità di un Ultra Large Container Ship, le navi che dominano il commercio marittimo. Non solo, ma il costo per container trasportato coi treni è cinque volte superiore a quello per nave. Unico vantaggio di questo modo di trasporto è la maggiore velocità, ma questo lo colloca in una nicchia più complementare che competitiva al trasporto marittimo.

Anche per questo la Cina è impegnata a costruire nuovi canali, come quello del Nicaragua, in alternativa a quello di Panama, seppur recentemente ristrutturato per le navi moderne, o quello del canale di Kra, per collegare il Mar delle Andamane al Golfo di Thailandia, cioè l'oceano Pacifico a quello Indiano, in modo da aggirare lo stretto di Malacca.

Il canale di Kra garantirebbe alla Cina di accorciare le rotte marittime di 1.200 km, le consentirebbe un maggiore controllo sotto il profilo del commercio dell'Indo-Pacifico, renderebbe certamente più sicure dal punto di vista logistico le forniture energetiche e le consentirebbe di aumentare la sua influenza sulle Filippine, su Singapore e soprattutto sulla Thailandia.

Tutti questi progetti faraonici hanno dei costi che nessun Paese occidentale, in questo momento, potrebbe permettersi.

 

[4] Turchia. San Patrignano

 

Si comporta come la Cina nel Terzo mondo, che ha un grande successo perché si vanta di non essere mai stata una potenza colonialistica. La Turchia si sta infatti presentando come una potenza anti-occidentale, che vuol diventare un punto di riferimento obbligato nel Caucaso, in Medio Oriente e nel Mediterraneo. Sta ponendo in essere una politica di proiezione di potenza lineare e spregiudicata, facendo ricorso ai miliziani siriani e avendo anche come obiettivo il rafforzamento della Fratellanza musulmana. In Libia, p.es., i veri player non sono l'Italia, né la UE, ma il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti, l'Egitto, la Turchia e la Russia. Se non ci sarà una guerra civile di lunga durata, ci sarà una spartizione del territorio libico, che consentirà loro non solo il conseguimento di un'egemonia energetica, ma soprattutto di ricattare l'Europa, come d'altronde sta già facendo Erdoğan con la questione dell'immigrazione.

Al peggio la Libia rischia di diventare un hub non solo energetico, ma anche terroristico e proprio per colpa della Turchia, il cui governo dittatoriale non ha avuto scrupoli nel contrastare Assad, finanziando militarmente i gruppi integralisti islamici, grazie ai quali è riuscito anche a impossessarsi delle città di Suluk e Tel Abyad.

D'altra parte la Turchia supportò militarmente il califfato dal 2014 al 2016 in funzione anti-curda e per avere in cambio, clandestinamente, il petrolio estratto dall'Iraq e dalla Siria, come documentato nel 2015 dall'Aeronautica russa. Ora la politica di proiezione di potenza turca in Siria ha nuovamente consentito alle milizie dell'Isis di collaborare con Ankara.

Se l'intervento militare paventato da Erdoğan in Libia, a supporto di Fayez al-Sarraj, dovesse concretizzarsi per contrastare quello di Khalifa Haftar, sostenuto da Egitto, Emirati Arabi, Francia e Russia (con il contributo dei mercenari Wagner, un'organizzazione paramilitare russa), è difficile negare che una tale operazione militare implicherebbe da parte della Turchia il ricorso ai gruppi integralisti islamici, come quello p.es. di Al-Nusra.

È questo ciò che vuole l'Europa?

Lo stato islamico, noto anche come Stato Islamico dell'Iraq e della Siria (Isis), si è riarmato e le sue forze stanno pattugliando attivamente quasi tutto il nord dell'Iraq. Tempo fa controllava un territorio che eguagliava le dimensioni della Germania. Ma le sue forze erano state respinte da una coalizione internazionale di eserciti e milizie statali. Tuttavia l'Isis sta risorgendo: ha tecniche migliori, tattiche migliori e molti più soldi a sua disposizione, rispetto alla vecchia al Qaeda. È in grado di effettuare pattuglie quotidiane in quasi tutto il nord dell'Iraq.

Una grande parte delle forze dell'Isis sembra avere sede nelle montagne irachene di Hamrin, che sono piene di grotte profonde e burroni. Inoltre il gruppo mantiene quasi 10.000 combattenti in tutto l'Iraq, di cui 5mila operano come membri di cellule dormienti e altri 5.000 sono membri armati e attivi dell'Isis.

 

Consiglio di guardarsi la miniserie “Sanpa” per iniziare a capire qualcosa della comunità per drogati di San Patrignano, senza aspettarsi chissà quali giudizi critici circa i presupposti di fondo su cui ancora oggi si basa quella struttura residenziale.

Nulla infatti è stato detto su due aspetti fondamentali: il primo è che le droghe non sono tutte uguali e, in ogni caso, non è vietandole che si elimina la tossicodipendenza (anzi, quello è il modo più sicuro per favorire la criminalità organizzata); il secondo è che non si può costruire una cittadella permanente per i drogati, facendoli passare da una dipendenza a un'altra.

Ciò che più sconcertava di quella esperienza, al tempo del suo fondatore, era la pretesa di trasformare il drogato, una volta disintossicato, in un lavoratore schiavizzato, privo di diritti umani, la cui prestazione d'opera, totalmente gratuita, fece arricchire notevolmente tutta la famiglia Muccioli.

Il fondatore era una specie di santone che si serviva di uno staff di ex tossici dalla dubbia moralità, i quali, man mano che la comunità s'ingrandiva, ricorrevano a metodi gestionali e punitivi tutt'altro che leciti.

Può avere un qualche significato costruire una comunità di persone normali, che vogliono vivere un'esperienza basata sull'autoconsumo ecologico, in cui si possono ospitare dei drogati. Ma non ha alcun senso fare la stessa cosa solo per i drogati. O addirittura pretendere di fare con loro una struttura in grado di competere sul mercato capitalistico con alcuni particolari prodotti: cani e cavalli di razza, latte, vino e quant'altro. Tutte cose per cui occorrevano continui finanziamenti dall'esterno, dai coniugi Moratti ai contributi statali o regionali.

Una comunità terapeutica dovrebbe ospitare gente che soffre di dipendenza da qualunque cosa: droga, alcol, fumo, cibo, sesso, gioco ecc. Ma poi, dopo averti guarito fisicamente e aiutato psicologicamente, deve reinserirti in società e non dirti che, siccome la società fa schifo, è meglio che resti in comunità. In questa maniera la comunità stessa diventa una droga, e chi ci vive è una persona rassegnata, priva di senso critico, facilmente suggestionabile.

In questo sito www.sims.it/vmuccioli.htm è possibile leggere la sentenza del primo processo, in cui i giudici avevano già capito la pericolosità di quella struttura.

 

[5] Norvegia e Artico. Cina. Fiume Mekong. Nord Corea. San Patrignano

 

La Norvegia rappresenta la frontiera nord della Nato ed è l'unico suo membro, insieme ai Paesi Baltici e alla Polonia, ad avere un confine con la Russia.

Le esercitazioni dell'Alleanza Atlantica nel Grande Nord si sono moltiplicate per numero e intensità negli ultimi anni. La Trident Juncture 2018 è stata la più imponente esercitazione militare dell'Alleanza Atlantica dalla fine della Guerra Fredda: vi hanno partecipato 50.000 militari di 29 Paesi Nato – più Svezia e Finlandia – 250 aerei, 65 navi e oltre 10.000 mezzi. Subito dopo la Trident Juncture la fregata norvegese Knm Helge Ingstad si è scontrata con una petroliera, evitando per poco una grave catastrofe ambientale. La fregata comunque si danneggiò così gravemente che furono costretti ad affondarla.

L'esercitazione della Nato “Cold Response 2020”, che avrebbe dovuto riunire più di 15.000 soldati nella Norvegia settentrionale nel marzo 2020, è stata annullata a causa dell'epidemia del coronavirus.

Recentemente la Marina statunitense si è riaffacciata nei mari Artici quando i cacciatorpedinieri Uss Donald Cook, Uss Porter e Uss Roosevelt e la fregata britannica Hms Kent, con il supporto della Usns Supply, hanno fatto il loro ingresso nel Mare di Barents per affermare la libertà di navigazione e dimostrare una perfetta integrazione tra gli alleati.

L'Atlantico del Nord, insieme all'Artico, sono tornati prepotentemente, insieme ad altri teatri, al centro dell'agenda militare di Russia e Nato.

Il porto di Tromsoe, cittadina a circa 300 km a nord del Circolo Polare Artico, è stato ingrandito per farne un vero e proprio hub per i sottomarini nucleari d'assalto statunitensi, che così possono operare in un braccio di mare strategico, posto a poca distanza dalle unità subacquee russe, ovvero le basi di Murmansk-Poljarnyj nella penisola di Kola.

Col nuovo accordo (ancora ufficioso) tra USA e Norvegia pare che la sicurezza del Paese invece di aumentare stia diminuendo. Infatti una piccola flottiglia di 10 sottomarini russi ha forzato il GIUK Gap, il passaggio marittimo obbligato tra Regno Unito, Islanda e Groenlandia, come segnale agli Stati Uniti che Mosca non intende farsi chiudere nei suoi mari limitrofi.

L'Artico sta diventando sempre più teatro di scontro virtuale tra le varie potenze globali. Nonostante che i mari Artici siano limitati negli scali portuali, siano imprevedibili nelle condizioni meteorologiche, e difficoltosi nelle situazioni di emergenza e di soccorso, destano grande interesse anche per la Cina, che ha elaborato una Via della Seta Polare. Va infatti considerato che l'Artico si sta sciogliendo a causa del cambiamento climatico, e ciò attira l'attenzione economica delle grandi potenze. La Cina, poi, deve assolutamente trovare un'alternativa allo Stretto di Malacca.

 

Come tutti sanno la Nuova Via della Seta (BRI) mira a collegare più facilmente la Cina all'Europa mediante la costruzione di una rete di infrastrutture per il trasporto finanziata da Pechino.

La cosiddetta BRI ha un aspetto terrestre, la Silk Road Economic Belt, e uno marittimo, la Maritime Silk Road.

Il suo scopo non è solo quello di potenziare l'influenza commerciale delle merci cinesi nei Paesi attraversati dalla BRI, ma anche quello di garantire alla Cina una sicurezza energetica mediante l'apertura di nuove rotte di transito, controllate da Pechino, per le sue importazioni di idrocarburi.

Tuttavia la maggior parte del traffico marittimo da e verso i porti cinesi transita oggi da stretti controllati dalla Marina americana. L'apertura di nuove rotte deve quindi permettere alla Cina di ridurre sensibilmente le minacce alla propria economia in caso di blocco o chiusure degli stretti, e in primis quello di Malacca.

La Cina vuol superare i limiti dello Stretto di Malacca, un imbuto che si stringe fino a una sessantina di chilometri vicino a Singapore e che ha solo pochi chilometri utilizzabili dalle grandi petroliere per via della scarsa profondità dei fondali. Quello stretto raggiungerà la saturazione nel 2024, quando oltre 140.000 navi cercheranno di passare attraverso questa via di mare, a meno che le navi non usino vie alternative più lunghe, che passano attraverso gli Stretti di Sunda e Lombok, molto più a sud, tra le isole dell'Indonesia, allungando da 4 a 7 giorni i tempi di navigazione.

Oggi oltre 3/4 degli approvvigionamenti cinesi di idrocarburi provenienti dal Medio Oriente e dall'Africa transitano dallo Stretto di Malacca, la via d'accesso più breve per i propri porti. Il maggior timore dei dirigenti cinesi è che, in caso di crisi politica o militare, lo Stretto venga bloccato da Paesi ostili. Malacca costituisce il punto più vulnerabile e il maggior fattore di criticità della Strategia di Pechino.

Ecco perché, per rendere più sicura la rotta verso l'Oceano Indiano, Pechino ha proposto a Bangkok di costruire a sue spese un canale col quale “tagliare” l'istmo di Kra, che collega la penisola malese con l'Asia continentale: la sua parte orientale appartiene alla Thailandia, mentre la parte occidentale fa parte della Birmania. Il progetto avrebbe un costo di 28 miliardi di dollari in 10 anni per un canale largo 400 metri e profondo 25.

Ciò avrebbe conseguenze molto negative per alcuni porti della penisola malese, come Port Klang e, soprattutto, Singapore, che potrebbe perdere fino al 50% dell'attuale traffico marittimo.

Per Bangkok invece il canale di Kra sarebbe fondamentale per dare stimolo economico alla crescita del Paese. Anche lo Sri Lanka vede di buon occhio il progetto che permetterebbe all'isola situata in prossimità delle rotte tra Asia ed Europa di far valere la propria posizione geostrategica. Anzi lo Sri Lanka potrebbe diventare una seconda Singapore, mentre la Thailandia il nuovo punto di gravità geostrategico dell'Asia sudorientale, ovviamente sempre sotto il controllo del grande fratello di Pechino.

 

Il fiume Mekong è il più lungo e importante dell'Indocina e uno dei maggiori dell'Asia. È inserito nella lista dei 10 fiumi più inquinati al mondo, a causa degli scarichi di oltre 210 siti industriali. In Vietnam il problema dovuto all'arsenico interessa anche le acque di pozzo destinati all'uso potabile.

È anche considerato la più grande riserva di pesca nell'entroterra del mondo, secondo solo all'Amazzonia. Ma la pesca abbondante e l'attività di acquacoltura svolta nel delta, che confluisce nel Mar Cinese meridionale, non sono indici di salubrità delle sue acque.

Costituisce una fonte di sostentamento per circa 60 milioni di persone che vivono lungo il suo corso, relativamente agli altipiani tibetani, alla provincia cinese dello Yunnan, al Laos, Thailandia, Birmania, Cambogia e Vietnam.

Le forti variazioni stagionali della portata d'acqua e la presenza di rapide e cascate ne rendono difficoltosa la navigazione.

Negli ultimi decenni si è cominciato a sfruttare il fiume per ricavarne energia da centrali idroelettriche: l'ha fatto la Cina nell'alto corso e nel 2019 il Laos con la diga Xayaburi. Quest'ultima (la prima delle 11 dighe pianificate nel basso Mekong) rappresenta una minaccia per l'ambiente e per l'economia agricola e peschiera del fiume per milioni di persone che vivono lungo le sue rive, anche in Stati più a sud (Cambogia e Vietnam). Sono presenti però anche molte spinte per sviluppare nuove fonti di energia elettrica per le popolazioni che, nel sud-est asiatico, vivono tuttora senza accesso alla corrente elettrica in quanto troppo costosa.

Oggi lo scopo della Cina è di costruire la Sambor Hydropower Dam, una mega diga progettata dalla China Southern Power Grid Company, un'impresa che ha già costruito la Lower Sesan Hydropower Dam in Cambogia, una diga che ha aumentato la produzione di elettricità del Paese del 20%. In Cambogia la Cina è il principale investitore nello sviluppo di dighe idroelettriche e altri progetti infrastrutturali.

Ora questa nuova diga sarà la più grande in Cambogia. Costituirebbe una barriera completa per i pesci migratori, fonte di proteine ​​e di reddito per le persone in Cambogia, e bloccherebbe i sedimenti che ricostituiscono il delta del Mekong e nutrono la catena alimentare del Tonlé Sap, il più grande lago d'acqua dolce del sud-est asiatico e punto ecologicamente critico, in quanto riserva della biosfera.

Già nel 2014 Pechino ha portato a compimento la costruzione dell'infrastruttura idrica di Nuozhadu, nella provincia dello Yunnan (sud-ovest della Cina).

Cos'è che porta i cinesi a costruire dighe così gigantesche, anche in Stati stranieri, superando ogni problema finanziario?

1) Il bisogno di acqua determinato dell'enorme crescita economica e demografica sia cinese che asiatica nel suo complesso.

2) La scarsità dell'acqua dolce determinata dai mutamenti rapidi del clima.

3) La costruzione di infrastrutture idriche così imponenti permette alla Cina di controllare le risorse idriche di vari Paesi asiatici, per i quali la Cina è diventata il più importante investitore straniero per progetti infrastrutturali.

D'altra parte nel Mar Cinese meridionale passano merci per un valore complessivo di 5.000 miliardi di dollari ogni anno, di cui 1/4 di proprietà americana. Non a caso la cinese Export-Import Bank intende promuovere rilevanti investimenti infrastrutturali come installazioni portuali, ferrovie ad alta velocità in Laos, Singapore e Vietnam e un oleodotto che dal porto birmano di Kyaukpyu arrivi alla stessa Cina.

La dinamica conflittuale tra Cina e Stati Uniti sottolinea l'importanza del controllo del commercio non solo marittimo, ma anche fluviale.

 

Nella Corea del Nord, a causa della pandemia, sono state sospese le relazioni commerciali con la Cina, praticamente quasi le uniche intrattenute dal Paese, isolato internazionalmente per via del suo armamento nucleare missilistico iniziato nel 2006. Il governo non fa entrare neppure le 100.000 tonnellate di riso cinese.

Anche il traffico illegale di beni – una quota significativa dell'import per aggirare le sanzioni internazionali – si è ridotto in maniera significativa. Il regime ha ordinato alle guardie di frontiera di prendere ulteriori precauzioni per disinfettare le merci e di aumentare le sanzioni contro i trafficanti che fanno entrare beni non in sicurezza.

Nonostante il governo abbia sostenuto di non avere casi di coronavirus, negli ultimi mesi ha imposto dure restrizioni e prolungati lockdown sul suo territorio.

La pandemia sta provocando la peggiore crisi economica del Paese da decenni. Le restrizioni imposte dal governo guidato dal dittatore Kim Jong-un hanno praticamente bloccato le importazioni, complicato di molto l'export e chiuso il settore del turismo, una delle ultime fonti di entrate del Paese. Pyongyang ha rifiutato aiuti dall'esterno, tranne quelli in arrivo dalla Cina, come i kit dei test e altro materiale protettivo.

L'economia potrebbe crollare del 10%, una percentuale superiore a quella registrata nel 1992, quando il Paese fu colpito da una gravissima carestia, che innescò un esodo di massa verso Cina e Sud Corea (solo in quest'ultima vi sono 30.000 nordcoreani).

Nel corso del 2020 vi sono stati anche devastanti tifoni e alluvioni.

Il valore del won nordcoreano è aumentato due volte nel 2020 in relazione al dollaro statunitense, come risultato del tentativo del regime di prevenire un suo deprezzamento. Ma ciò ha contribuito a quadruplicare i prezzi di alcuni beni alimentari di base.

Le autorità hanno provato a limitare l'uso del dollaro e dello yuan cinese. Un importante operatore finanziario, responsabile della volatilità del won (moneta nazionale), che avrebbe scommesso sul dollaro al momento sbagliato quest'autunno, facendo perdere un bel po' di denaro al regime, e un ufficiale che avrebbe violato alcune restrizioni rispetto alle importazioni, sono stati condannati a morte. Stessa sorte è capitata a un pescatore di 40 anni per avere osato sintonizzarsi più volte sulle frequenze di una radio straniera.

Intanto hacker nordcoreani avrebbero tentato di penetrare nei sistemi di sette compagnie farmaceutiche e di ricercatori impegnati sul fronte dei vaccini in Corea del Sud, Canada, Francia, India e Stati Uniti.

 

Ha scritto Paolo Crepet sul docufilm “SanPa”: “Io appartengo a una generazione di operatori della salute mentale che ha creduto che la libertà rappresenta l'ingrediente fondamentale per un processo conoscitivo di se stessi, quindi di miglioramento delle proprie condizioni. Non può esistere processo terapeutico nella contenzione, nella negazione dei diritti della persona: è una semplice e fondamentale contraddizione di termini”.

“La cosiddetta lotta per il bene e la salute individuale, se passa attraverso la perdita o la sospensione dei diritti, porterà a una vittoria effimera che finirà per non cambiare nulla di ciò che si vuole combattere”.

“Eppure allora magna pars delle convinzioni pubbliche, supportate dalla stampa più blasonata e da firme illustri, aveva chiuso gli occhi su catene, prigioni, soprusi perpetuati sui più fragili figli della borghesia e delle periferie che aveva creato.”. (huffingtonpost.it)

Quella comunità, così com'è, va chiusa o completamente trasformata, a prescindere dalle violenze esercitate nel passato. Non ha alcun senso che si comporti come un'impresa privata capitalistica (sfruttando il lavoro altrui), né che possa diventare una residenza fissa per gli ex-tossici (diventando così una nuova forma di “droga”). Le droghe vanno legalizzate. I detenuti per spaccio vanno liberati. Alla criminalità organizzata va sottratta questa incredibile fonte di guadagno. E le comunità terapeutiche devono affrontare tutte le forme di dipendenza con personale specializzato e per un tempo limitato. Bisogna abituarsi a non fare differenza tra le dipendenze da droghe, sesso, alcol, fumo, gioco, cibo... Andrebbero curati persino coloro che mostrano dipendenze pericolose da religione, potere, soldi, sport... Tutto quanto crea “dipendenza” può diventare rischioso, per sé e per gli altri. E bisogna essere “rieducati” a vivere in maniera normale, nel rispetto dei valori umani e naturali.

Alcuni sostengono che all'inizio degli anni '80 i drogati, per disintossicarsi, non avessero molte alternative. In realtà il Coordinamento Nazionale delle Comunità d'Accoglienza e la Federazione Italiana delle Comunità Terapeutiche erano nate nel biennio 1980-81. Fu don Mario Picchi, fondatore del Centro Italiano di Solidarietà di Roma, già nel lontano 1969, tra i primi a interpretare il problema della droga come sintomo di un malessere di tipo esistenziale. E nel 1975 esisteva già la legge n° 685, che riconosceva la tossicodipendenza come patologia specifica, per cui necessitava di istituzioni di servizi sanitari appositi presso le USL. San Patrignano è nata nel 1979 e la sua filosofia di vita è sempre stata la stessa: “fuori la società fa schifo e tu qui, in cambio della sicurezza materiale in termini di vitto e alloggio, devi solo rinunciare a qualunque diritto”. Tant'è che preferivano i tossici in carcere, così se scappavano, potevano andarli a riprendere.

Ovviamente qui non ci si riferisce ai figli dei vip, che non potevano essere toccati, anche perché i genitori pagavano fior di quattrini. E neppure a quei drogati che, una volta guariti, han potuto andarsene liberamente (cosa accaduta solo dopo i due processi che ha subito Muccioli e solo dopo la sua improvvisa morte, si presume di Aids), bensì a quei tanti drogati misconosciuti dalle famiglie, figli di nessuno, frequentanti le carceri, costretti a rubare o a prostituirsi, cui in comunità non era permesso far nulla di autonomo. Se si andava a far visita alla comunità, non era neppure permesso parlare con loro, ma solo con lo staff di Muccioli.

Il problema di fondo è che non si può rinunciare a qualunque diritto pur di guarire. Se la struttura che ospita un drogato sa di questa rinuncia, chi la dirige può sentirsi autorizzato a comportarsi come gli pare. E il fatto che i genitori, l'intera società autorizzi questa licenza è inqualificabile.

Muccioli era un imbonitore, non sapeva nulla di psicopedagogia, non si volle mai circondare di un personale specializzato ad affrontare la problematica della dipendenza. Faceva fare carriera a elementi rozzi e violenti perché lui stesso lo era. Si arricchì in una maniera vergognosa sfruttando il lavoro gratuito di persone che non avrebbero potuto opporsi. Il figlio che lo sostituì era come lui. I metodi della sua comunità, la sua stessa impostazione di residenza fissa e commerciale, sono sempre stati rifiutati da tutte le altre comunità terapeutiche, che infatti non si sono mai definite “comunità di vita”, poiché questa definizione crea una nuova dipendenza.

 

[6] Mar Cinese Meridionale. Distruggi i testi. Reattori nucleari

 

Il Mar Cinese Meridionale (il Mediterraneo dell'Asia) è un'estensione dell'Oceano Pacifico compresa tra le coste della Cina meridionale e Taiwan, tra il Vietnam e le Filippine e delimitata a sud da Malesia, Singapore, Indonesia e Brunei. Si tratta di un'area strategica per la sua particolare collocazione geografica, a ridosso dell'Oceano Indiano, con il quale è collegata dallo Stretto di Malacca.

Le sue acque sono cariche di tensioni a causa di reciproche rivendicazioni, tanto sull'estensione dei confini territoriali quanto sulla sovranità su alcune isole.

La radice delle attuali dispute territoriali risale al 1947, quando i nazionalisti cinesi guidati dal Kuomintang realizzarono una cartina del Mar Cinese Meridionale. Questi disegnarono in 11 linee tratteggiate le rivendicazioni della Cina, che comprendevano acque situate tra Vietnam, Malesia e Filippine. Pochi anni dopo i comunisti di Mao salirono al potere, e negli anni '70 Zhou Enlai ridusse a nove le linee, scontentando i Paesi limitrofi, che comunque non subirono alcuna conseguenza. Oggi però la Cina non è più lo Stato povero e debole del periodo maoista, per cui si sente autorizzata a pretendere con la forza la propria area territoriale, compresa dalle nove linee (che prevedono un controllo di circa il 90% del Mare).

Le Filippine nel 2013 ricorsero al Tribunale Permanente di Arbitrato dell'Aja che, nel 2016, dichiarò la linea a nove tratti una violazione dei diritti internazionali. Ma la scorsa estate il Dragone è arrivata perfino ad affondare un peschereccio filippino.

La Cina ha inoltre firmato la Convenzione sul Diritto del Mare, che fissa la zona economica esclusiva di un Paese nello spazio delimitato entro le 200 miglia dalle sue coste. Ma in base a questo le isole rivendicate dalla Cina non le spetterebbero.

Dato che le nove linee tratteggiate s'intrecciano con le zone economiche esclusive di Filippine, Vietnam, Brunei, Malesia e Taiwan e dato che queste acque sono ricche di risorse naturali, tra cui quelle ittiche e gli idrocarburi, nessuno vuole regalare agli altri un solo miglio. Pare che il Mar Cinese Meridionale ospiti circa 10 miliardi di barili di petrolio, nonché 25.000 miliardi di metri cubi di gas. La Cina ha bisogno di queste risorse per competere con gli Stati Uniti: vuole diventare la prima potenza dell'Asia e quindi del mondo.

Inoltre è da questo Mare che le sue imbarcazioni cariche di merci approdano nell'Oceano Indiano attraverso lo Stretto di Malacca, che raggiungerà la saturazione delle navi circolanti nel 2024. Cosa che obbliga la Cina a cercare delle alternative, tra cui il taglio dell'istmo di Kra, che collega la penisola malese con l'Asia continentale.

Al fine di estendere ulteriormente il controllo nel Mar Cinese Meridionale, la Cina ha costruito isolotti artificiali depositando sabbia sopra la barriera corallina. Su di essi sorgono imponenti istallazioni militari: batterie anti-nave e piste di atterraggio per jet.

Tuttavia nel 2020 è aumentata la frequenza delle esercitazioni americane in questo Mare, anche all'interno delle 12 miglia dalle isole rivendicate dalla Cina, negando così le pretese di sovranità di Pechino e rinsaldando le alleanze strategiche con Giappone, Sud Corea, Australia e Regno Unito. Gli interessi degli USA nel Mar Cinese Meridionale sono stati annunciati per la prima volta nel 1995, e sono stati definiti di “interesse vitale e nazionale”.

Quanto alla UE, si è limitata ad approvare il verdetto dell'Aja.

 

Heather Levine, che insegna in un liceo di Lawrence, nel Massachusetts, ha detto di aver rimosso l'Odissea dal curriculum di studi degli studenti. Il motivo sta nel razzismo dell'opera.

La battaglia dei prof antirazzisti viene condotta sulla base dell'hashtag #disrupttexts, distruggi i testi (che poi sarebbero i classici).

I nostri giornali si sono naturalmente scandalizzati: parlano di follie antirazziste e filo Lgbt. Omero è sacro come Dante e Virgilio.

La censura si sta abbattendo sui capolavori della letteratura tacciati di razzismo o di omofobia, sempre secondo i canoni della cancel culture. Gli studenti non dovrebbero leggere storie scritte in altre epoche in cui il razzismo, il sessismo, l'antisemitismo e altre forme di odio sono la norma.

La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne è una di queste opere, ma anche Huckleberry Finn di Mark Twain e Le metamorfosi di Ovidio. Si giudica il passato con gli occhi del presente.

Ma che c'entra Omero? Omero è il capostipite della “mascolinità tossica”. Ma è anche razzista, visto che descrive i suoi eroi come uomini dalla pelle bianca e dai biondi capelli. Al centro della letteratura bisogna mettere quella afroamericana, quella indigena e quella degli altri “colori”.

Questa tendenza didattica è iniziata nel 1987, quando l'Università di Stanford pensò di escludere dai programmi Dante, Omero, Platone, Aristotele, Shakespeare e altri grandi autori della letteratura occidentale, perché venivano considerati “razzisti, sessisti, reazionari”, e andavano compensati con lo studio di autori che, al di là del loro talento e del loro peso nel panorama della letteratura mondiale, fossero rappresentanti delle “minoranze”.

La Yale University ha eliminato persino il suo celebre corso di “Introduzione alla Storia dell'arte, dal Rinascimento a oggi”, rinomato in tutte le università americane: è stato giudicato troppo bianco, troppo europeo, troppo maschile, troppo “problematico”, privo di una prospettiva “globale” dell'arte che sappia entrare in relazione con “genere, classe e razza” degli artisti.

L'università di Oxford ha reso facoltativi lo studio dell'Iliade e dell'Odissea di Omero e dell'Eneide di Virgilio, uno dei corsi più antichi dell'Università. Motivazione? “Basta con una istruzione ampiamente modellata dal colonialismo, che pone scrittori e pensatori bianchi eurocentrici al di sopra degli altri senza molta preoccupazione”. Oxford ha dovuto introdurre un esame obbligatorio sulla storia africana, mediorientale, indiana e asiatica.

Perché si è arrivati a questo? Perché nell'ambito del globalismo la cultura non può più essere solo occidentale, anzi, meno che mai può esserlo una cultura notoriamente razzista, paternalista e colonialista come la nostra.

Che anche Omero non si sottraesse a questi limiti culturali è evidente. Basta vedere come raffigurò in maniera caricaturale (Polifemo) la civiltà agropastorale antecedente a quella urbano-schiavistica rappresentata da Ulisse. Ma al tempo dello schiavismo quale intellettuale era favorevole al comunismo primitivo?

In ogni caso la cultura, di qualunque tempo e luogo, va studiata con senso critico, non rimossa, altrimenti si passa inevitabilmente da un fanatismo a un altro.

 

Diversi reattori nucleari stanno venendo accesi e testati in tutto in mondo. Dopo la volta della Cina, questa volta tocca alla Corea, che recentemente ha acceso il Korea Superconducting Tokamak Advanced Research e ha stabilito un nuovo record mondiale: riuscendo a mantenere il plasma ad alta temperatura per 20 secondi a 100 milioni di °C.

Lo scorso anno l'esperimento era durato “solo” 8 secondi.

Gli esperti adesso hanno un altro obiettivo: raggiungere un funzionamento continuo di 300 secondi con una temperatura degli ioni superiore a 100 milioni di gradi entro il 2025.

La superficie del Sole ha una temperatura di circa 5500 °C, mentre quella interna raggiunge i 15 milioni di gradi. Il Sole è a metà della sua vita: 5 miliardi di anni.

Noi non avremo bisogno di aspettare né che il Sole esaurisca la sua carica propulsiva né che ci incenerisca. Faremo tutto da soli.

 

[7] Cina. USA, Pinocchio

 

Il 58enne Lai Xiaomin, miliardario cinese, ex banchiere ed ex funzionario del Partito comunista cinese, ma soprattutto ex presidente di China Huarong Asset Management, uno dei 4 colossi di gestione dei crediti deteriorati controllati dallo Stato, è stato condannato a morte per corruzione e bigamia.

Ha ricevuto 215 milioni di euro di tangenti e si è appropriato indebitamente di fondi pubblici per 3,1 milioni di euro tra il 2008 e il 2018. Tutti i suoi beni saranno confiscati.

È stato considerato dal tribunale “un fuorilegge estremamente avido”, in pratica il più corrotto tra i corrotti. L'han trovato in possesso di numerose proprietà immobiliari, lingotti d'oro, orologi di lusso, auto, preziosi vari e collezioni d'arte.

Si è visto aggravare la sua situazione con il verdetto di bigamia, per aver vissuto a lungo con altre donne, al di fuori del suo matrimonio, con le quali ha avuto figli illegittimi. Le sue amanti sono state oltre 100, mantenute con fondi illeciti e molte di esse assunte nel gruppo che presiedeva.

Che significato può avere una sentenza così dura?

Il governo deve far vedere che la campagna anti-corruzione del presidente Xi Jinping funziona. L'unica corruzione ammessa è quella che persegue politicamente il partito, intenzionato a impadronirsi del Mar Cinese Meridionale, di Taiwan, di non rispettare la democrazia a Hong Kong, di opprimere la minoranza Uiguri perché islamica, i Tibetani perché credono nel Dalai Lama, e così via. Il fatto stesso d'aver concesso a Xi Jinping una presidenza a vita non è forse una forma di corruzione?

 

Il film di Garrone su Pinocchio è stato “vietato” ai minori di 13 anni. La pellicola ha ricevuto l'etichetta PG13 (parental guidance) a causa della presenza di “immagini scioccanti”, motivo per cui la Motion Picture Association of America raccomanda la supervisione dei genitori. In particolare è stata riscontrata una leggera forma di violenza nella sequenza in cui Pinocchio lancia un martello in faccia al Grillo Parlante. Giudicata anche poco adatta ai bambini la parte in cui Pinocchio, dopo essere stato rapito da Mangiafuoco, fa fatica a nuotare in mare e viene inghiottito da una balena.

Negli USA ormai la violenza è così forte che per scongiurarla si aggrappano a qualunque pretesto. L'abbiamo visto anche ieri con l'assalto al Campidoglio da parte dei sostenitori di Trump, in cui in 5 ci hanno rimesso la vita e molti altri son rimasti feriti.

Un Paese che vende armi con estrema facilità, fa la morale a un film come Pinocchio: non è ridicolo? Davvero i bambini potrebbero essere indotti a comportarsi in maniera violenta guardando scene del genere?

Randal Olson, nel suo sito MovieBodyCounts, ha scritto che un film considerato per bambini, “Il Signore degli Anelli - Il ritorno del re”, è di gran lunga quello con più morti ammazzati della storia del cinema: ben 863!

Olson ha stilato un elenco non solo dei film con il numero maggiore di vittime, ma anche degli attori che le hanno causate. In testa c'è Arnold Schwarzenegger, grazie alla serie di Conan e ai micidiali Terminator. L'ex governatore della California ha ucciso nei film 369 persone!

E così via: Sylvester Stallone 267 vittime, Clint Eastwood 207... In soli otto film di Quentin Tarantino sono morte 560 persone! Molti di questi film potevano essere visti da chiunque. E, in ogni caso, anche se li vedi solo da adulto, un condizionamento resta sempre. Tra la vita e la morte la differenza diventa sempre più sottile, come tra reale e virtuale. Non a caso il rapporto annuale nel tasso di omicidi ogni 100.000 ab. tra USA e Italia è di circa 8 a 1.

 

[8] Italia, industria. Germania, parità di genere. Parlamenti occupati. Cina e UE. Indo-Pacifico

 

Secondo l'Associazione Italiana delle Aziende Familiari (AIDAF), l'83% delle piccole e medie aziende italiane è controllato da una famiglia, mentre nella classifica delle prime 100 società per fatturato, 42 sono tramandate di padre in figlio. La maggior parte dell'imprenditoria italiana è quindi formata da figli di imprenditori.

Circa 784.000 imprese familiari offrono il 70% dell'occupazione nazionale e costituiscono il 60% del mercato azionario italiano.

La differenza principale tra l'Italia e gli altri Paesi della UE è il minor ricorso a manager esterni. In 7 aziende su 10 l'intero management è espressione della famiglia, invece di essere reclutato sul mercato. Questo porta non solo a performance peggiori sotto il profilo della produttività, ma genera anche un impatto negativo sul livello di meritocrazia. Nelle imprese dove il controllo rimane saldamente in mano alla famiglia c'è meno mobilità professionale e le aspettative di carriera rimangono più basse.

La Campania guida la classifica per il più alto numero di aziende familiari (84%), seguita da Calabria (80%), Puglia (79,9%), Sicilia (79,8%), Marche (78,2%), Veneto (75,9%), Basilicata (73,8%), Abruzzo (71,8%) e Umbria (70,6%).

In un mercato nazionale ciò può non costituire un particolare problema, ma lo diventa a livello europeo. Per non parlare sul piano internazionale. Senza continui investimenti e ristrutturazioni e innovazioni, senza grande professionalità manageriale e di marketing oggi si fa presto a uscire dai mercati globali.

Da tempo il made in Italy più significativo fa gola alle aziende estere su tutti i settori. Ormai c'è rimasto ben poco. La prima importante azienda italiana a essere ceduta è stata Fiorucci, la Maison di moda fondata a Milano da Elio Fiorucci nel 1967 che raggiunse il successo tra gli anni '70 e '80: venne rilevata nel 1990 dalla Edwin International, società giapponese di abbigliamento. Da allora è stato un fiume in piena. Tutte le volte che ci hanno fatto proposte finanziarie che non potevamo rifiutare, non abbiamo avuto molti scrupoli. In fondo a chi non piace fare la bella vita, senza preoccupazioni di sorta?

Oggi tra i primi 10 gruppi in termini di fatturato vi sono Exor, Edizione, Ferrero, Luxottica Group, Italiana Petroli, Esselunga, Saras – Raffinerie Sarde, Salini Impregilo, Marcegaglia Holding e Fininvest. Ora anche FCA è passata ai francesi e Iveco ai cinesi.

 

La Germania ha appena approvato una legge che obbliga le più grandi società quotate in borsa ad avere almeno una donna nel Consiglio di amministrazione e nel Collegio sindacale. Questo perché nei CDA delle circa 100 maggiori società quotate in borsa, le donne rappresentano solo l'11,5% delle posizioni.

Mi chiedo che senso abbia una disposizione del genere, voluta con insistenza dai socialdemocratici del centro-sinistra (SPD). Anche in Italia esiste la legge Golfo-Mosca del 2011 che obbliga le società quotate in borsa e quelle controllate pubbliche a destinare alle donne almeno 1/3 dei posti di potere.

Se si voleva una obbligatoria parità di genere, non si sarebbe dovuto fare differenza tra società quotate in borsa e non.

Inoltre in un mercato capitalistico conta poco, per vincere la concorrenza altrui, essere uomo o donna. Se un'azienda non capisce da sola che sarebbe meglio p.es. avere nel CDA più donne che uomini, per poter vendere con più facilità un determinato prodotto, il suo destino sarebbe segnato. Non ci sarebbe bisogno di un'apposita legge (buonista) per farglielo capire. Semmai per il fatturato di un'azienda è importante tener conto delle esigenze femminili, che non possono ritenersi soddisfatte in maniera scontata semplicemente soddisfando quelle maschili.

E poi non capisco perché la sinistra ci tenga così tanto a far diventare le donne come gli uomini: cinici spietati crudeli... Perché se sul mercato non sei così, fanno presto a sbatterti fuori.

Mi sarei aspettato dalla gloriosa SPD un maggior senso del socialismo. Ormai invece l'uguaglianza sociale si è ridotta alla sola uguaglianza di genere, e non verso il meglio, sul piano etico, ma verso il peggio. In tal senso capisco di più le quote-rosa in politica, dove per essere eletta una donna non ha bisogno di dimostrare che è priva di valori come un uomo.

 

La portavoce del Ministero degli Esteri di Pechino, Hua Chunying, commentando i recenti fatti di Washington, ha accusato gli americani di “doppio standard” nella valutazione morale e politica dei propri e degli altrui comportamenti.

Come mai? Il motivo sta nel fatto che nel 2019 quando i manifestanti assalirono e devastarono il Campidoglio di Hong Kong, sia il Segretario di Stato Mike Pompeo che la Speaker della Camera dei Rappresentanti di Washington, la democratica Nancy Pelosi, applaudirono al comportamento violento dei manifestanti.

Adesso qualcuno dirà che il Campidoglio USA era democratico, mentre quello di Hong Kong no. Eppure in entrambi le elezioni si sono svolte democraticamente.

Anche nel 1814 il Campidoglio e la Casa Bianca vennero devastati dalle truppe britanniche, già in guerra con gli americani sin dal 1812, anno in cui negli USA si svolsero regolari elezioni.

Anche nel 1973 gli americani aiutarono Pinochet a bombardare il Palacio de La Moneda democraticamente eletto.

Anche la Duma di Stato dell'impero russo, assemblea legislativa liberamente eletta nel Palazzo di Tauride a San Pietroburgo, cessò di esistere con la nascita dell'Unione Sovietica.

Di per sé questi simboli della democrazia non vogliono dire nulla. Bisogna guardare gli obiettivi di chi li vuole abbattere. E quelli dei seguaci di Trump sono semplicemente vergognosi. Anzi ridicoli.

 

Il 30 dicembre 2020, dopo sette anni di negoziati, è avvenuto uno storico accordo tra Cina e Unione Europea in tema di investimenti: il “Comprehensive Agreement on Investments” (CAI).

La “Nuova Via della Seta” tra il Vecchio Continente e l'immenso mercato cinese ora è ufficiale.

Pechino si apre all'Europa in molti settori significativi, specie in quello manifatturiero e in quello dei servizi, impegnandosi a rimuovere le norme che fino a oggi hanno fortemente discriminato le imprese europee, garantendo certezze legali per chi intende produrre in Cina, allineando sul piano normativo le aziende europee e quelle cinesi e favorendo la costituzione di joint venture.

Nel campo manifatturiero verrà dato impulso al settore “automotive” con particolare riguardo alla produzione di auto elettriche, ma anche alla produzione di prodotti chimici, materiali per telecomunicazioni e strumenti sanitari di nuova generazione.

Per quanto attiene ai servizi, la Cina favorirà gli investimenti europei in tema di servizi “cloud”, servizi finanziari, sanità privata, servizi collegati al trasporto aereo e marittimo.

In tutti i settori coperti dal “CAI” gli investitori e produttori europei non subiranno più alcuna discriminazione rispetto ai concorrenti cinesi, comprese le aziende di proprietà dello Stato, né si vedranno proibire l'accesso a campi produttivi finora vietati agli stranieri.

L'accordo prevede anche garanzie che rendano più facili, per le aziende europee, le pratiche burocratiche che hanno tradizionalmente reso difficile l'operatività delle imprese europee in Cina. Indubbiamente è la prima volta che la Cina si apre così tanto alle aziende e agli investimenti stranieri. Per attrarre questi ultimi Pechino s'impegna ad allinearsi sul piano dei costi del lavoro (diritti sindacali) e sulla tutela dell'ambiente (lotta all'inquinamento). Non a caso ha aderito agli Accordi di Parigi sul clima e alla Convenzione europea sull'Organizzazione del Lavoro.

Non dimentichiamo che questo immenso Paese, per numero di abitanti, raggiungerà entro la fine del decennio il primo posto nella graduatoria mondiale in termini di PIL.

Il 25 novembre era già stato firmato dalla Cina il Partenariato Economico Globale Regionale (RCEP), un accordo d'importanza strategica coi 10 paesi dell'ASEAN (Brunei, Cambogia, Indonesia, Laos, Malaysia, Myanmar, Filippine, Singapore, Thailandia e Vietnam) e con Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. È il blocco commerciale e d'investimento più grande del mondo, in grado di coinvolgere 2,2 miliardi di persone che producono il 28% del commercio mondiale e oltre il 30% del PIL globale. I Paesi aderenti all'accordo RCEP coprono il 50% della produzione manifatturiera mondiale, il 50% della produzione di automobili e il 70% dell'elettronica. Il RCEP elimina il 90% delle tariffe sul commercio nell'area dei Paesi aderenti, creando un'enorme area di libero scambio asiatico che vede, da un lato, l'emarginazione dell'India, e dall'altro la crescita del ruolo di Pechino in tutta l'Asia Orientale.

Da tutti questi rapporti commerciali restano nettamente esclusi gli Stati Uniti, che pagano caramente la scriteriata decisione di Trump di porre alla Cina dei dazi doganali. Nessun partner degli USA ha seguito le direttive di Trump.

Nei confronti di un Paese enorme come la Cina parlare di sovranismo nazionale, come fanno gli inglesi e alcuni elementi della destra italiana, non ha alcun senso. Oggi bisogna muoversi come continente europeo.

 

Nella vasta area dell'Indo-Pacifico si affacciano i 2/3 della popolazione mondiale e si produce oltre il 50% del PIL globale. L'Oceano Indiano, attraversato ogni giorno dal 50% delle navi container, da 1/3 del traffico cargo e da 2/3 delle petroliere di tutto il commercio globale, è uno dei luoghi più dinamici del pianeta, nel quale si sperimentano anche nuove alleanze strategiche.

Lo scorso 19 dicembre la Francia è stato il primo Paese non rivierasco a essere ammesso come membro a pieno titolo dell'organizzazione regionale più importante dell'Oceano Indiano: l'Associazione dei Paesi costieri dell'Oceano Indiano (IORA), nata nel 1997, che adesso ha 23 Paesi membri. La Francia è stata ammessa grazie agli 850.000 cittadini francesi residenti nel dipartimento d'oltremare dell'isola di Reunion e grazie alle pressioni diplomatiche di Nuova Delhi, molto interessata a utilizzare le strutture logistiche francesi in Africa e Oceano Indiano.

L'India, uno dei paesi fondatori della IORA, ha avuto, fin dall'inizio, un ruolo di leadership dell'Associazione, dettandone l'agenda sui temi chiave della sicurezza della navigazione, del commercio e degli investimenti regionali, sulla cooperazione scientifica, industriale e militare.

Di tutti i Paesi che si affacciano sull'Oceano Indiano soltanto due non fanno parte dell'organizzazione: Pakistan e Myanmar. Questo perché è contraria l'India: con Islamabad per ragioni strategiche; con Yangon perché non vengono rispettati i diritti umani della minoranza Rohinga.

Se il 2020 è stato per l'India l'anno del rafforzamento della cooperazione strategica con gli Stati Uniti, il 2021 sarà l'anno del consolidamento dei rapporti con l'Europa.

L'accresciuta competizione con la Cina di Xi-Jinping (sfociata nel conflitto a bassa intensità sulle montagne himalayane del Ladakh) ha portato l'India di Narendra Modi ad abbracciare progressivamente il campo occidentale intensificando le relazioni con gli USA, le democrazie asiatiche di Giappone e Australia e i Paesi dell'ASEAN, e costruendo una serie di intese strategiche con diversi Paesi dell'Unione Europea, a partire dalla cooperazione nel settore della sicurezza.

L'interscambio commerciale fra Italia e India, oggi attestato a circa 9miliardi di euro, è ampiamente al di sotto delle potenzialità che i due Paesi potrebbero esprimere. Sono aumentati a 6,4 miliardi di euro gli investimenti italiani in diversi settori indiani (manifattura avanzata; automotive; transizione energetica; infrastrutture; agroalimentare e IT), ma l'Italia è soltanto il 5° Paese della UE per interscambio commerciale con l'India.

Il caso dell'Enrica Lexie (coi due “marò” incriminati) ha bloccato per diversi anni le relazioni bilaterali, ed oggi che la questione è sostanzialmente archiviata, il governo italiano dovrebbe incrementare la cooperazione bilaterale a tutto campo, anche nei settori strategici della sicurezza e della difesa, dove il nostro Paese ha una posizione ancora troppo debole.

Non dimentichiamo che l'India punta a diventare la terza economia planetaria entro quattro anni, con un PIL da 25 trilioni di dollari già nel 2025.

 

[9] Cina, Uiguri. Giappone e Sud Corea. Italia, nucleare

 

Il Centro di ricerca sullo sviluppo dello Xinjiang, una regione formalmente autonoma della Cina, controllata di fatto dal governo comunista, ha pubblicato un report sul cambiamento della popolazione, soprattutto in riferimento alla minoranza religiosa musulmana degli Uiguri.

In sostanza si afferma che la diminuzione del tasso di natalità della popolazione e l'aumento dell'urbanizzazione sono il risultato dell'eradicazione dell'estremismo religioso.

La “rieducazione” viene fatta in oltre 300 campi di detenzione, già tristemente noti per la repressione che vi si esercita. Il governo li definisce “comunità residenziali”, in cui, eliminata la religione, le donne uiguri appaiono più emancipate e sono disposte a fare meno figli (il limite massimo che devono rispettare è di due per famiglia, tre nelle aree rurali). I campi stanno “rieducando” oltre un milione di persone, uomini e donne, che, se rifiutano il lavaggio del cervello, potrebbero anche vedersi sottratti i figli.

Da più parti si denunciano pratiche abortive e di sterilizzazione forzata delle donne, nonché l'obbligo ad assumere anticoncezionali.

Non sarebbe ora che l'ONU pretendesse di verificare tali accuse? Qui si rischia il genocidio demografico e culturale.

Gli Uiguri sono circa 12 milioni di persone che vivono in quello che i cinesi definiscono Turkistan, una popolazione di origine turca e di religione musulmana. Soffrono della rieducazione forzata come altre minoranze attaccate alla loro tradizionale cultura. I ragazzi in età scolastica sono obbligati ad andare in scuole dove si censura completamente la loro appartenenza culturale e vengono indottrinati all'ideologia ateo-comunista del regime. Negli asili di stato il numero di iscrizioni a partire dal 2017 è aumentato moltissimo e il 90% di questi bambini appartengono alla minoranza musulmana. In queste scuole e asili è vietata la loro lingua madre.

Le autorità cinesi sarebbero impegnate anche in un'ampia attività di raccolta di Dna, impronte digitali, scansioni dell'iride e altri dati biometrici (tra cui i gruppi sanguigni e il riconoscimento facciale) di tutti i residenti dello Xinjiang, di età compresa tra i 12 ed i 65 anni. I dati raccolti di queste visite mediche obbligatorie potrebbero essere impiegati per sorvegliare gli individui in base a etnia, religione, opinioni politiche e altri diritti.

Secondo un'inchiesta del Washington Post e del Tech Transparency Project, all'interno delle fabbriche che sfruttano i lavori forzati degli Uiguri in Cina verrebbero costruiti componenti usati nell'assemblaggio di prodotti di grosse multinazionali, come Apple, Amazon e Tesla.

Si ricorda che la libertà religiosa è stata inserita nella Costituzione cinese nel 1982, ma da quando la Cina è intenzionata a diventare una potenza mondiale la tolleranza nei confronti dei credenti è diminuita drasticamente. Eppure lo scorso 13 ottobre la Cina di Xi Jinping è stata eletta nel Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani nell'area Asia-Pacifico.

 

Giappone e Corea del Sud sono ai ferri corti per il mancato riconoscimento delle cosiddette “Donne di Conforto”, schiave sessuali stuprate sistematicamente dalle truppe giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale e obbligate a dare “conforto” ai soldati. Un contenzioso legale che si trascina irrisolto e che riguarda un numero imprecisato di vittime: da 20.000 a 200.000.

Un tribunale sudcoreano ha appena ordinato al Giappone di risarcire le prime 12 donne sudcoreane. Il Giappone ha immediatamente protestato sostenendo che tutte le questioni relative ai risarcimenti in tempo di guerra sono già state risolte con un trattato del 1965, col quale sono stati normalizzati i rapporti diplomatici. Inoltre nel 2015 Tokyo ha formalmente chiesto scusa alla Corea del Sud, escludendo ogni forma di risarcimento.

Il tribunale del distretto centrale di Seoul ha invece stabilito che il governo nipponico è chiamato a risarcire con 91.360 dollari ciascuna delle 12 vittime che hanno fatto causa. Si tratta della prima sentenza di questo tipo.

Il tribunale ha aggiunto che le donne sono state vittime di violenze inenarrabili da parte delle truppe giapponesi, causando loro danni fisici, malattie veneree, gravidanze indesiderate e lasciando anche “grandi cicatrici mentali” nella vita di queste donne.

In passato altre controversie bilaterali tra i due Paesi sono sfociate in una sentenza del 2018 (della Corte suprema della Corea del Sud) che ha chiamato le aziende giapponesi a offrire un risarcimento agli ormai anziani querelanti sudcoreani per i loro lavori forzati in tempo di guerra. La controversia è degenerata in una guerra commerciale che si è poi estesa a questioni militari, quando Seoul ha minacciato di porre fine a un accordo di condivisione dell'intelligence militare con Tokyo.

Ricordiamo che è stato solo nel 1992, a fronte dei diffusi stupri di donne nella ex Yugoslavia, che il tema è giunto all'attenzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Lo Statuto del Tribunale Penale Internazionale per la ex Yugoslavia ha incluso nel 1993 lo stupro come crimine contro l'umanità, accanto ad altri crimini come la tortura e lo sterminio.

Nel 2001 il Tribunale Penale Internazionale per la ex Yugoslavia è stato il primo tribunale internazionale ad ampliare la definizione di schiavitù come reato contro l'umanità includendo la schiavitù sessuale. In precedenza il lavoro forzato era l'unico tipo di schiavitù ad essere considerato come reato contro l'umanità.

Nel 1998 il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda è stato il primo tribunale internazionale a paragonare gli stupri di massa a un reato di genocidio.

Lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, in vigore a partire dal 2002, comprende lo stupro, la schiavitù sessuale, la prostituzione forzata, la gravidanza forzata, la sterilizzazione forzata, o “qualsiasi altra forma di violenza sessuale di analoga gravità”, come crimine contro l'umanità qualora sia commesso in modo diffuso o sistematico.

Più volte l'ONU ha emesso risoluzioni contro questo vergognoso crimine, accusando le forze militari, le milizie cittadine e i gruppi armati d'esserne i peggiori responsabili.

 

Alla fine di ottobre la Commissione Europea ha inviato lettere di costituzione in mora all'Austria, alla Croazia e all'Italia per non aver adottato un programma nazionale per la gestione dei rifiuti radioattivi conforme ai requisiti previsti dalla direttiva sul combustibile nucleare esaurito e sui rifiuti radioattivi (direttiva 2011/70/Euratom del Consiglio).

Gli Stati membri erano tenuti a recepire la direttiva entro il 23 agosto 2013 e a notificare per la prima volta alla Commissione i loro programmi nazionali entro il 23 agosto 2015.

Noi non abbiamo fatto niente. Infatti la Sogin ha pubblicato la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee, ma si tratta di un progetto ancora in fase preliminare. Le aree individuate al momento sono 67, divise tra: Piemonte, Toscana, Lazio, Basilicata, Puglia, Sardegna e Sicilia.

In particolare:

PIEMONTE – 8 zone tra le province di Torino e Alessandria (Comuni di Caluso, Mazzè, Rondissone, Carmagnola, Alessandria, Quargento, Bosco Marengo)

TOSCANA-LAZIO – 24 zone tra le province di Siena, Grosseto e Viterbo (Comuni di Pienza, Campagnatico, Ischia e Montalto di Castro, Canino, Tuscania, Tarquinia, Vignanello, Gallese, Corchiano)

BASILICATA-PUGLIA – 17 zone tra le province di Potenza, Matera, Bari, Taranto (comuni di Genzano, Irsina, Acerenza, Oppido Lucano, Gravina, Altamura, Matera, Laterza, Bernalda, Montalbano, Montescaglioso)

SARDEGNA – 14 aree tra le zone in provincia di Oristano (Siapiccia, Albagiara, Assolo, Usellus, Mogorella, Villa Sant'Antonio, Nuragus, Nurri, Genuri, Setzu, Turri, Pauli Arbarei, Ortacesus, Guasila, Segariu, Villamar, Gergei)

SICILIA – 4 aree nelle province di Trapani, Palermo, Caltanissetta (Comuni di Trapani, Calatafimi, Segesta, Castellana, Petralia, Butera).

Il governo dovrà poi consultarsi con enti locali, associazioni di categoria, sindacati, università ed enti di ricerca. Ci vorranno degli anni per trovare un accordo.

Intanto la Sogin, nata nel 2001, ci costa di sole spese di gestione circa 130 milioni l'anno, pagati in bolletta, e finora ha speso, tutti prelevati sempre dalla bolletta elettrica, più di 4 miliardi di euro per completare solo il 30% dei lavori (che dovrebbero finire nel 2036).

Il nucleare è un disastro, sia civile che militare.

La Sogin ha pubblicato sul sito www.depositonazionale.it la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee.

 

[10] USA, valigetta nucleare

 

La Speaker della Camera dei rappresentanti USA, Nancy Pelosi, ha reso noto di aver parlato col capo degli stati maggiori riuniti, Mark Milley, per chiedergli d'impedire a Donald Trump di usare la valigetta nucleare nei suoi ultimi giorni da Presidente. È preoccupata perché, come noto, per scatenare una guerra nucleare il presidente non ha bisogno di consultare alcun organo politico della democrazia rappresentativa.

Una volta che il presidente ordina un attacco, i codici nucleari vengono confermati dal Pentagono e vengono tramandati lungo tutta la catena di comando, inclusi bombardieri, sottomarini e silos missilistici che compongono la triade nucleare. La regola dei “due uomini” durante ogni fase garantisce che nessuna singola persona sia mai responsabile del lancio di un attacco nucleare. Le prime bombe colpirebbero i loro obiettivi entro 30 minuti dall'ordine del presidente.

La “Nuclear football” viene consegnata al presidente degli Stati Uniti una volta insediatosi. Nel caso di Joe Biden sarà il 20 gennaio. Quindi Trump ha 10 giorni di tempo per utilizzarla. E ha già dichiarato che sarà assente al giuramento di Biden.

Essa non contiene il bottone che consente di lanciare missili ma una serie di oggetti.

– Un libro nero con testo bianco di 75 pagine nere in cui le opzioni di risposta ad un attacco nucleare sono scritte in rosso. Vi è anche la descrizione dei possibili obiettivi strategici e delle vittime che un eventuale attacco potrebbe causare.

– Un altro libro scritto in bianco su nero che contiene una lista dei luoghi sicuri per il trasferimento del presidente.

– Un documento che descrive le procedure per l'impiego del sistema radiotelevisivo d'emergenza. Quindi vi è anche un'antenna satellitare che si puo' estendere.

– Una tessera contenente i codici di autenticazione che deve essere sempre portata indosso dal presidente. È attraverso questi codici che si può dare l'ordine di lanciare i missili nucleari. I codici delle armi atomiche vengono attivati solo dopo il giuramento, poche ore prima dell'inaugurazione, nella Blair House, di fronte alla Casa Bianca.

– Un telefono da usarsi qualora il Presidente si trovi in viaggio: serve per mettersi in contatto attraverso una linea sicura e via satellite con il National Military Command Center, che gestisce tutti i lanci di ordigni nucleari.

Il presidente, nei suoi spostamenti, viene accompagnato sempre da un militare, a rotazione tra cinque indicati da Esercito, Aeronautica, Marina e Guardia costiera, che è armato e trasporta la borsa, legata con una catenina al polso.

Il sistema della “Nuclear football” venne introdotto da John Fitzgerald Kennedy durante la crisi dei missili di Cuba.

Nella storia alcuni presidenti si sarebbero accidentalmente separati dai codici: Jimmy Carter (la giacca finì in lavanderia), Ronald Reagan (finirono nella spazzatura insieme al vestito che aveva indosso al momento dell'attentato) e Bill Clinton (durante lo scandalo Lewinsky e anche in un vertice NATO).

Si racconta che nell'estate del 1974 Richard Nixon, quando era depresso e beveva molto a causa dello scandalo Watergate, avesse annunciato in una riunione coi leader del Congresso di essere in grado di “andare in ufficio e prendere un telefono, e in 25 minuti, milioni di persone sarebbero morte”.

Insomma siamo appesi a un filo. Che i presidenti siano pazzi o normali non fa molta differenza.

 

[11] Taranto. Dipendenze da sostanze. USA, sistema giudiziario

 

Dov'è che in Italia i bimbi muoiono, le donne non possono figliare e di morti di tumore ne abbiamo ogni giorno? A Taranto, è evidente. Ora si sono scoperti gravi danni anche al liquido seminale degli uomini. Si leggano gli articoli di Peacelink.it o di Tarantosociale.org

L'ultimo decreto del Ministero dell'ambiente (DM 1 marzo 2019 n. 46) non obbliga lo Stato a bonificare i pascoli dell'entroterra su cui si sono contaminate le pecore e le capre per colpa dell'ex-Ilva, il più grande stabilimento siderurgico d'Europa

Infatti questo decreto fissa a 6 nanogrammi per chilogrammo di terra il valore massimo da non superare per la diossina dei terreni. Ma le pecore si contaminaro con la diossina sotto i 6 nanogrammi e quindi c'è il divieto imposto dalla Regione Puglia.

Da notare che durante questa pandemia una delle poche aziende che ha continuato a funzionare senza interruzioni è stata proprio la ArcelorMittal, a Taranto, quel colosso mondiale dell'acciaio, nato dalla fusione di due tra le più grandi aziende del settore, la Arcelor (franco-ispanica) e l'indiana Mittal Steel Company, avvenuta nel 2006, il cui quartier generale si trova nel Lussemburgo.

La produzione a caldo (quella altamente inquinante) è stata chiusa a Genova e a Trieste per tutelare la salute di lavoratori e cittadini. Ma a Taranto no. Qui i cittadini chiedono di fare altrettanto. Hanno bisogno non solo di un piano di bonifica, ma anche di una no-tax area, almeno finché non si provvede a una riconversione economica. Cioè non vogliono l'acciaio tout-court, né privato, né statale, tramite Invitalia, né di proprietà mista, come adesso, in cui Arcelor-Mittel detiene una quota minoritaria.

L'obiettivo del governo è quello di realizzare, nei prossimi 5 anni, la più innovativa e verde centrale siderurgica d'Europa. La città è abituata alle promesse non mantenute e non si fida di nessun governo.

 

In Italia nel 2019 sono morte circa 17.000 persone per abusi legati agli alcolici. In Europa, nel 2016, l'alcol era il responsabile di circa il 5,5% di tutti i 300.000 decessi.

Nessuno potrebbe proporre una politica proibizionista dell'alcol. Eppure lo si fa con le droghe, come se l'alcol non desse dipendenza.

Nel 2019 le morti ascrivibili al consumo di oppiacei sono state da noi solo 187 (373 in totale quelle dovute a sostanze illegali). Nessun caso è ascrivibile al consumo di marijuana. Probabilmente buona parte di quelle morti avrebbe potuto essere evitata se quelle persone non avessero dovuto nascondersi da tutti per consumare la sostanza che avevano scelto di usare.

L'alcol è in tutte le nostre case, come vino o birra o aperitivo, digestivo, superalcolico, ingrediente di taluni dolci, o in certi prodotti cosmetici, persino in taluni farmaci. Chiunque abbia 16 anni può acquistarlo e se si ha meno di questa età la legge punisce solamente chi lo vende, non chi l'acquista o l'assume. E chi lo vende una tantum, cioè non in maniera reiterata, si prende una sanzione di 250-1.000 euro.

Gli ammiccamenti pubblicitari per acquistare vino o birra sono infiniti. Col vino addirittura si parla di una tradizione nazionale, un segno d'identità indiscutibile.

È fuor di dubbio che l'alcol è vissuto come meno pericoloso e i ragazzi si sentono autorizzati a berlo vedendo i genitori e gli amici che lo fanno e non sentendo una condanna sociale troppo pesante.

Perché in Italia è legale morire di alcol e di tabacco e non di eroina? Perché un alcolizzato può affrontare la sua dipendenza senza che ciò comporti il rischio di passare molti anni nelle patrie galere? Perché riteniamo che l'uso e la vendita di sostanze che provocano qualche centinaio di morti all'anno sia un'emergenza per la nostra comunità, mentre pensiamo che l'uso e la vendita di altre sostanze che ne provocano decine di migliaia non lo sia? Perché, nel caso delle droghe leggere, che di morti non ne fanno alcuno, pensiamo che vadano proibite e perseguite, mentre riteniamo normale il monopolio di Stato sui tabacchi, che sono causa di altre migliaia di vittime? Perché riteniamo che l'inizio di un percorso di cura e disintossicazione sia una scelta autonoma di un alcolista e invece un obbligo per un tossicodipendente?

La dipendenza da qualunque sostanza è sicuramente un problema ma perché la tossicodipendenza lo è più delle altre? Se si guarda il numero dei morti, la percezione della gravità del problema è completamente falsata. I morti per tabagismo ogni anno in Italia sono circa 80.000. Il fumo da sigarette, entro il 2030, ucciderà ogni anno nel mondo oltre 8 milioni di persone, contro i 7 milioni attuali. Eppure il problema n. 1 resta la droga.

Che senso ha che lo Stato costringa alla cura un consumatore di eroina e non uno di alcol o di tabacco? Non viene forse istintivo pensare che i proibizionisti delle droghe facciano un favore alla criminalità organizzata? Perché sulla mania proibizionistica delle destre e delle comunità terapeutiche la sinistra tace o non ha alcuna voce in capitolo? Perché è impossibile parlare di legalizzazione delle droghe? Il nostro Paese si è fermato alla depenalizzazione per casi molto particolari. E continua a pagare per i detenuti per droga il 35% dei costi totali della carcerazione nazionale. Non siamo certamente come i portoghesi, che nel 2000 han deciso di depenalizzare tutte le droghe.

Nel Medioevo lo speziale era un droghiere, una parola rimasta per indicare il bottegaio sotto casa nostra fino a pochi decenni fa. Oggi invece il “droghiere” legale è il farmacista che vende psicofarmaci prescritti dal medico al proprio paziente depresso o troppo euforico.

 

Per capire gran parte delle assurdità del sistema giudiziario americano basta guardarsi la serie di Netflix intitolata “Making a Murderer”, alle cui registe, Laura Ricciardi e Moira Demos, è costata oltre un decennio di fatiche. Il protagonista, Steven Avery, viene incastrato da due procuratori, Denis Vogel e Ken Kratz, e dalle forze dell'ordine ben due volte, la prima nel 1985 per uno stupro che non aveva commesso, per il quale si fece ben 18 anni di carcere (dei 36 previsti) solo perché, attraverso il DNA su un pelo pubico, si scoprì che apparteneva a un altro criminale, Gregory Allen; la seconda, nel 2005, per un omicidio che non aveva commesso (quello di una fotografa ch'egli conosceva, Teresa Halbach), per il quale sta scontando l'ergastolo senza condizionale (e con lui il nipote Brendon Dassey, che all'epoca aveva solo 16 anni e che ha sempre avuto un quoziente intellettivo molto basso. Nei confronti di questo ragazzo le autorità si limitarono a far coincidere la “verità dei fatti” con una “confessione” che poterono estorcere molto facilmente, anche perché nessun parente o avvocato era presente. Dassey potrà uscire solo nel 2048).

La seconda montatura, in cui si fece di tutto non per cercare la verità ma solo per condannare Avery, fu causata dal fatto che gli avvocati avevano intentato una causa civile per 36 milioni di dollari contro le autorità giudiziarie e poliziesche della contea di Manitowoc nel Wisconsin a titolo di risarcimento danni per la prima detenzione.

Intanto i produttori di “Convicting a Murderer”, nuova serie tv, hanno rivelato a “Newsweek” che un detenuto del Wisconsin, di cui non è stato rivelato il nome, ha confessato l'omicidio di Teresa Halbach. Alcuni però sostengono si tratti del serial killer Edward Wayne Edwards, morto in carcere nel 2011, che viveva non molto lontano dall'abitazione degli Avery.

Fu chiesta la grazia al presidente Obama, ma lui non poté concederla perché il caso di Avery non era federale. Tuttavia il procuratore Kratz si servì anche di un esponente dell'FBI per condannare Avery. Il governatore Scott Walker del Wisconsin ha già detto che non concederà alcuna grazia ad Avery. Sarebbe infatti uno smacco troppo grande per la contea di Manitowoc e anche per lo stato del Wisconsin.

 

[12] Paolo Barnard, Cina. Cina, militarismo. Italia, economia

 

Paolo Barnard sarà esagerato quando parla ma non si può dire che non si documenti. Ha scritto un ampio articolo sulle conseguenze, nel nostro Paese, dell'accettazione della “Nuova via della seta” che ci ha proposto la Cina, la cui economia ha una potenza di fuoco da circa 14.000 miliardi di dollari, mentre quella italiana è circa 1.900 miliardi di dollari.

In particolare prevede una situazione disastrosa per i porti di Trieste e Genova, che possono trasformarsi in cloache d'inquinanti cinesi, avvelenando i cittadini e costringendo le amministrazioni a costi per danni di centinaia di milioni.

Sostiene che un solo sciopero di lavoratori portuali italiani, una sola vertenza ambientale italiana, porterà gli investitori cinesi a farci causa per milioni o anche miliardi di euro.

L'Italia dal 1985 ha firmato un trattato bilaterale con la Cina, ancora valido, dove l'Italia s'impegna a rispettare la Risoluzione delle Dispute tra Investitore e Stato, dove qualsiasi investitore cinese può far causa all'Italia se ritiene che le sue leggi gli danneggino il business. I termini dei processi sono sbilanciati verso le mega aziende.

C'è il rischio che Genova e Trieste s'ingolfino di mega strutture portuali, spendano centinaia di milioni, e poi, dopo qualche anno i cinesi annunceranno d'aver trovato vie più economiche per le loro merci, come p.es. la “Via Polare della Seta”, cui sta già lavorando, poiché nell'Artico le temperature si sono alzate tre volte più che nel resto del globo, sciogliendo i ghiacciai. Oggi i cargo cinesi fanno la rotta del sud, dal Mar Cinese Meridionale al Mediterraneo: un tragitto di 13.000 miglia marittime. Ma se le navi partono dalla Cina verso il nord, e fanno Siberia, costeggiano la Russia, scavalcano la Norvegia e arrivano a Rotterdam, le miglia diventano 8.000 e tagliano i tempi di due settimane. Faranno questo in meno di 20 anni e senza sottostare, nella via del sud, ai diktat della potenza americana.

Comunque già adesso i 4 porti più inquinanti al mondo sono ad alta intensità di navi cargo cinesi: Singapore, Hong Kong, Tianjin (in Cina) e Port Klang (in Malesia).

I porti commerciali del mondo riempiono l'aria di milioni di tonnellate di CO2, Ossidi di Azoto, Ossidi di Zolfo, Diossido di Azoto, Metano e di PM10, materiale particolato. I cargo di containers sputano veleni anche se fermi in porto, e si calcola che queste emissioni terribilmente nocive per gli abitanti delle città portuali si quadruplicheranno entro il 2050.

Ecco perché il governo deve mettere regole ferree sulla compatibilità ambientale delle navi cinesi.

Nel porto greco del Pireo, ingigantito dal colosso cinese COSCO, che gestisce 5 milioni di cargo, i lavoratori portuali greci sono impegnati in mansioni usuranti e insalubri, quando addirittura non vengono assunti operai a contratto dall'Est Europa. I cinesi si sono inventati un sindacato fittizio che sorveglia su diritti fittizi, e pretendono la quasi totale esclusione del sindacato portuale ellenico. E quando si sciopera per l'alto tasso d'infortuni sul lavoro, l'ambasciata cinese ad Atene chiama il governo minacciando ritorsioni milionarie per danni al loro business.

Anche per gli Stati Uniti le scelte sono chiare in tema di Via della Seta: o si chiudono a riccio sul mercato interno con alto protezionismo, oppure accettano di abbassare il costo del lavoro e le protezioni sindacali dei propri lavoratori per competere coi cinesi.

Poi fa l'esempio di Saipan, territorio off-shore degli Stati Uniti, ma è America a tutti gli effetti, leggi incluse. Pochi anni fa gli americani concessero appalti a tre mega aziende cinesi per la costruzione di un enorme sito turistico con casinò. Ecco cosa successe: il 91% dei posti di lavoro fu importato dalla Cina, solo una minoranza di residenti fu assunto. Dopo le scadenze dei visti, i cinesi, piuttosto che pagare di più per impiegare operai americani locali, truffarono le autorità USA, importando lavoratori cinesi illegali con finti visti turistici. Li facevano lavorare 13 ore al giorno, con tariffe altamente illegali per un territorio americano. La sicurezza sul lavoro era inesistente.

Inoltre Barnard dice che la “Nuova via della seta” che utilizzerà la linea ferroviaria veloce, in grado di attraversare Asia Centrale, Turchia, Balcani, Grecia, arrivando in Europa occidentale, permetterà alle merci di giungere a destinazione in 10-14 giorni, cioè meno che in una rotta marittima.

Queste solo alcune cose dette nel suo sito paolobarnard.info

 

L'obiettivo del presidente cinese Xi Jinping, eletto nel 2013, è sempre stato quello di poter competere con gli USA non solo a livello economico, ma anche militare.

La Cina ha aumentato del 7% il suo budget di spesa militare per il 2017, per un valore complessivo di 151 miliardi di dollari. È al secondo posto a livello mondiale, perché gli USA spendono circa 600 miliardi di dollari, un record raggiunto anche grazie all'aumento di 54 miliardi voluto dal presidente Trump.

La Cina conta 1,6 milioni di soldati dell'esercito, 9.150 carri armati con artiglieria pesante e 6.246 cannoni e lanciatori. Gli USA hanno 460.000 soldati e 182.000 membri dell'aeronautica impiegati per le operazioni terrestri.

Se si guarda all'aviazione, gli USA dispongono di 13.000 aerei militari di ogni tipologia, mentre la Cina ne ha circa 3.000; gli elicotteri sono rispettivamente 6.000 per Washington e 802 per Pechino. La Cina riesce però a superare gli USA per il numero totale del personale impiegato nell'aviazione, rispettivamente 398.000 contro 308.000. Ma ha notevoli difficoltà nella produzione di efficienti motori da jet.

Nella marina, sebbene la flotta cinese conti in totale 714 navi contro le 415 americane, gli USA hanno una potenza navale di gran lunga superiore, dovuta alle 11 portaerei di cui dispongono e con cui controllano tutte le principali rotte commerciali del mondo.

La Cina ha due portaerei antiquate in servizio e una terza, completamente fatta in casa, è quasi pronta. Nessuna è a propulsione nucleare, quindi con un'autonomia di navigazione molto limitata. I marines statunitensi sono 323.000, mentre la marina cinese è composta da 235.000 persone.

Nel settore missilistico la Cina dispone di 260 testate nucleari; gli USA ben 1.740.

La Cina ha aumentato la partecipazione alle missioni di peace-keeping delle Nazioni Unite, il coinvolgimento nelle esercitazioni militari congiunte con la Russia e la costruzione di basi militari all'estero, di cui la prima è stata inaugurata nel 2017 a Gibuti, nel Corno d'Africa.

Gli USA hanno operazioni militari attive in più di 100 paesi con stanziamento di truppe. Gli USA sono in grado di controllare militarmente l'intero pianeta; la Cina assolutamente no.

Inoltre, mentre gli USA possono avvalersi di varie alleanze militari in tutto il mondo, la Cina invece è pressoché sola, non potendo contare su un patto come poteva essere per l'URSS quello di Varsavia, anche se la globalizzazione ha fatto sì che l'economia statunitense dipenda strettamente da quella cinese e viceversa, nonostante la dura guerra dei dazi. Non esiste, come al tempo della guerra fredda, una sorta di cortina di ferro che divida fisicamente la Cina dalle potenze occidentali. La Cina esporta nel mondo il 21% della sua produzione economica, ampiamente diversificata. L'URSS non esportava niente, se non idrocarburi, e ancora oggi è così.

 

Dal 1995 in poi la nostra economia cresce mediamente ogni anno un punto in meno dell'insieme dell'Eurozona. Nel periodo 1995-2019 l'Italia ha reinvestito in media, in beni non finanziari, soltanto il 19,5% del PIL: una quota superiore unicamente a quelle di Grecia e Regno Unito, la prima preda di una profonda crisi economica e il secondo caratterizzato da una forte preferenza per gli investimenti finanziari.

Gli investimenti italiani non solo sono più limitati rispetto a quelli dei concorrenti, ma anche meno efficaci, incapaci di generare un maggiore valore aggiunto, sia nel settore pubblico che in quello privato.

Per il settore pubblico si può capire, perché l'adesione all'euro ha comportato per l'Italia l'obbligo di sottostare ai vincoli stringenti del Trattato di Maastricht (1992), poi del Patto di stabilità e crescita (1997) e quindi del Fiscal Compact (2012), concepiti soprattutto per assicurare stabilità all'euro.

Ma il nostro Paese soffre anche di altri limiti: l'invecchiamento della popolazione, che impone costi sanitari e soprattutto pensionistici strutturalmente più elevati; un carico fiscale meno progressivo e più pesantemente evaso o eluso; un enorme debito pubblico che induce la UE a chiederci di investire di meno nel pubblico che comporta spese improduttive.

Oltre a ciò ci siamo illusi che il privato fosse effettivamente più efficiente del pubblico, ma così non è stato, anche perché è il privato ad aver bisogno del sostegno pubblico, soprattutto in presenza del globalismo, che ha visto crescere notevolmente la concorrenza internazionale e persino le guerre commerciali, senza considerare che noi siamo indietro sul piano delle nuove tecnologie informatiche.

Le nostre imprese private hanno solo sfruttato il fatto che il costo del denaro è diminuito di molto e i salari reali si sono bloccati. Ma non hanno approfittato di questi vantaggi. I bassi salari e i bassi investimenti hanno depresso la crescita, soprattutto dal 2008 in poi.

Va però notato che, nonostante il progressivo ed evidente declino dell'economia italiana nel contesto europeo, oggi il 20% più ricco delle famiglie italiane (al cui interno ricadono proprietari e amministratori delle imprese medio-grandi) possiede un patrimonio netto di 6.000 miliardi di euro (2/3 del totale del Paese), ossia tre volte e mezzo il PIL. Questo porta a pensare che, nonostante il significativo aumento della redditività degli investimenti (ottenuto da bassi salari, agevolazioni fiscali, irrisorio costo del denaro, ecc.), in realtà esiste una forte caduta della propensione delle imprese a reinvestire nell'economia reale italiana i profitti realizzati.

Gli economisti pensano che occorra approfittare del temporaneo rilassamento delle restrizioni di bilancio europee per riportare gli investimenti pubblici al 3% o più del valore aggiunto e costruire in questo modo una cornice particolarmente favorevole all'investimento privato. Il FMI ritiene che un aumento dell'1% del PIL negli investimenti pubblici, nelle economie avanzate e nei mercati emergenti, ha il potenziale di sospingere il PIL del 2,7% e gli investimenti privati del 10%.

Il problema però è che le imprese private più significative se ne fregano dell'Italia, che ha un settore finanziario di piccole dimensioni, una debole politica industriale e una presenza limitata dell'industria pubblica. Preferiscono sempre di più puntare all'estero.

Quanto invece alle imprese piccole o medie (la stragrande maggioranza nel nostro Paese), solitamente non dispongono di risorse sufficienti a fare investimenti di rilievo e puntare sull'innovazione, a meno che non si uniscano in gruppi, consorzi, filiere ecc.

Qui l'art. di Leonello Tronti molto più complesso e dettagliato.

www.economiaepolitica.it

 

[13] Italia e USA. Cina e occidente

 

Carina la sintesi fatta nel sito laleggepertutti.it su alcune importanti differenze tra noi e gli USA.

A livello politico la nostra è una democrazia rappresentativa in cui gli elettori eleggono i membri del Parlamento, ma non possono decidere il proprio Presidente della Repubblica, che è invece nominato dalle Camere, né il capo del governo che viene scelto dal Presidente della Repubblica.

Negli Stati Uniti, invece, il popolo elegge solo i cosiddetti “grandi elettori”, che sono rappresentanti di ogni singolo Stato; sono poi questi a votare, a loro volta, il Presidente della Repubblica che ha funzioni anche di capo del Governo.

La pena di morte è illegale in Italia ma non negli USA (anche se ora gran parte degli Stati la sta cancellando).

La cannabis è vietata nel nostro Stato, anche se l'uso personale non costituisce un reato ma un semplice illecito amministrativo. Invece, alcuni Stati degli USA (Colorado, Alaska, Oregon, Washington, California, Massachusetts, Maine, Nevada e Vermont) hanno legalizzato la marijuana. Eppure loro vietano di fumare le sigarette a chi ha meno di 21 anni (e non 18 come da noi).

Gli USA sono il regno del culturismo. Se da noi non sono illegali gli anabolizzanti quando non usati per competizioni ufficiali, negli USA si possono trovare alcuni ormoni della crescita muscolare persino nei supermercati. La legge americana, in questa materia, è una delle meno restrittive che esistano.

La legislazione statunitense è molto permissiva quando si tratta di agenti chimici potenzialmente tossici. Si pensi all'amianto, vietato in Europa e, invece, consentito negli USA nell'edilizia.

Nei cosmetici americani si trovano parabeni, ftalati, formaldeide e altre sostanze nocive che in Italia sono vietate.

In Italia ci sono severe restrizioni su alcune sostanze chimiche che invece si trovano nel cibo americano. Senza contare gli ormoni nella carne, consentiti oltreoceano e vietati in tutta Europa.

Secondo le statistiche del Fondo Mondiale per la Ricerca sul Cancro, gli Stati Uniti, pur essendo il Paese in cui la cura dei tumori è più avanzata, sono il quinto Paese al mondo in cui ci si ammala di più. L'Italia è 24esima.

Negli USA si può chiamare il proprio figlio come il padre, aggiungendo Junior. In Italia è vietato.

Il taser, la pistola elettrica che lascia scariche in grado di stordire, negli Stati Uniti è legale. Da noi, invece, è considerata un'arma, oggi in dotazione solo a reparti speciali della polizia.

Avere una scimmia, un coccodrillo o una tigre in casa è cosa normale negli Stati Uniti. Da noi sono solo pochi gli animali esotici che si possono tenere in casa, tra cui l'iguana.

In buona parte degli Stati Uniti chiunque abbia più di 21 anni può acquistare una pistola e non c'è bisogno di autorizzazione per uscire di casa con un'arma del genere, mentre i maggiori di 18 anni possono acquistare un fucile a canna liscia. Addirittura è legale avere un lanciafiamme. Da noi è vietato uscire anche con un coltellino svizzero, a meno che non si abbiano valide ragioni.

Esaltare il fascismo in Italia è un reato, almeno quando lo si fa in pubblico e con lo scopo di ricostituire il disciolto partito di Mussolini. Tutto ciò invece non è illegale negli USA, né è illegale fare il saluto romano in pubblico (cosa ritenuta reato da qualche nostro giudice).

Negli USA chi si sposa può firmare un patto prematrimoniale e accordarsi sul mantenimento da assegnare al coniuge in caso di divorzio. Tutto ciò non è ammesso in Italia, dove gli alimenti possono essere determinati solo al momento della separazione.

Negli USA si può divorziare immediatamente. In Italia invece bisogna prima procedere con la separazione.

In Italia il lavoro a cottimo è vietato. Il lavoratore cioè deve essere pagato solo in base alle ore in cui lavora e non secondo quanto produce. Non è così negli USA, dove invece è possibile commisurare lo stipendio alla produzione.

Vi sono poi molte differenze – aggiungiamo noi – nel sistema giudiziario. Ma questo è argomento da trattarsi separatamente.

 

Nel gennaio 2017 il premier cinese Xi Jinping partecipò al Forum di Davos, il cuore del capitalismo internazionale. Era la prima volta di un leader cinese. Xi si presentò al mondo come il campione della globalizzazione, dei liberi commerci che avrebbero portato un miglioramento immenso ai rapporti internazionali.

Oggi invece molti Paesi sostengono, in maniera più o meno esplicita, la politica americana di controllo della libertà di navigazione nei mari circostanti la Cina; si stanno allineando alla decisione americana di escludere il gigante delle tecnologie di telecomunicazioni, Huawei, dal circuito internazionale; e non si oppongono al tentativo di isolare la Cina dal commercio globale.

Le accuse rivolte ai cinesi riguardano anche le responsabilità nel Covid-19, la situazione di Hong Kong e dello Xinjiang (con la questione degli Uiguri), le contese militari con l'India, la guerra commerciale con l'Australia, la questione del Tibet, della Chiesa cattolica, e così via. Si diffondono anche notizie false, come quella che Pechino avesse preso il controllo del porto di Mombasa in Kenya.

L'occidente ha fatto di tutto per abbattere il comunismo e ora che questo si è trasformato in capitalismo, non lo sopporta come concorrente.

Vengono qui in mente le parole dei vangeli: “È venuto Giovanni, che non mangia né beve, ed essi dicono: 'Egli ha un demone'. È venuto il Figlio dell'uomo che mangia e beve, ed essi dicono: 'Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori'. Ma alla sapienza è stata resa giustizia dai suoi figli”.

 

[14] Cina, Jack Ma. USA, pena capitale

 

Da quando Deng Xiaoping ha lanciato l'era delle riforme e delle aperture 40 anni fa, il partito comunista è diventato sempre più dipendente dalle società del settore privato per la crescita economica, la creazione di posti di lavoro e le entrate fiscali. Ma la fissazione del partito per il controllo innesca anche periodiche repressioni del settore e di importanti imprenditori. Ora la vittima di turno è Jack Ma, il magnate cinese fondatore di Ant e di Alibaba, colpevole del fatto che le sue società sono arrivate a sfidare il dominio statale in settori come banche e gestione del denaro.

La guerra contro le banche di Jack Ma, uno degli uomini più ricchi del mondo, è cominciata quattro anni fa, quando i colossi del credito della Cina hanno preso atto che i depositi segnavano il passo per colpa della concorrenza di Yu'e Bao, il sistema inventato dal fondatore di Alibaba, che consente di mettere soldi in un fondo d'investimento scegliendo la destinazione direttamente dal cellulare, senza passare da altri intermediari. Basta attivare un'app, Alipay, gestita da Ant group, che ha già 700 milioni di utenti. Un'alternativa a costo zero.

L'offerta ebbe un successo clamoroso. Nel 2018 i cinesi posteggiarono presso i fondi di Ma il corrispondente di 260 miliardi di dollari tra depositi, investimenti in azioni e altri asset, scatenando la reazione delle banche.

Il braccio di ferro si chiuse con un compromesso: Ant group accettò di porre un tetto alla raccolta e regole più severe. Così nel 2018 i depositi amministrati da Ant Group scesero di oltre 1/3, fino a 168 miliardi.

Tuttavia a Xi Jinping preoccupa il dinamismo e l'indipendenza del miliardario, che, nel frattempo, ha ceduto la guida di Alibaba ai collaboratori per concentrarsi su Ant Group, che dal 2013 ha raccolto più denaro dei fondi monetari di JP Morgan.

Sicché le autorità hanno sospeso la quotazione di Ant in borsa, innescando il calo anche delle azioni di Alibaba. Il comportamento monopolistico non piace proprio al partito.

Le ultime parole pronunciate da Jack Ma sono state: “innovare senza correre rischi equivale a non innovare”. Le ha pronunciate il 24 ottobre: da allora il miliardario non si è più visto in pubblico. Si sa solo che non è morto.

Negli ultimi anni almeno una mezza dozzina di altri miliardari cinesi (Hua Bangsong, Guo Guangchang, Zhou Chengjian, Ren Zhiqiang, Xiao Jianhua, Wong Kwong Yu), dopo essere stati accusati dal partito di insider trading, corruzione e altro, sono scomparsi dalla vita pubblica per un certo periodo di tempo (Xu Ming è morto).

Sembra di vedere qui un replay di quanto faceva in Italia la Chiesa romana durante il Rinascimento: grande apertura alla borghesia fino a quando per timore ch'essa diventasse protestante, scatenò la controriforma.

 

Speriamo sia l'ultima scempiaggine di Trump, che si diverte a far eseguire sentenze capitali.

L'ultima è stata quella di Lisa Montgomery (52 anni), condannata alla pena capitale nel 2007 per aver ucciso qualche anno prima la 23enne Bobbie Jo Stinnett, rimuovendo il bambino dal grembo della donna e poi tentando di far passare per suo il neonato.

È la prima donna per cui viene eseguita una condanna a morte negli Stati Uniti dal 1953.

D'altra parte agli americani interessa poco che il colpevole abbia subìto abusi sessuali durante l'infanzia e che sia affetto da gravi malattie mentali. Interessa che si faccia giustizia in modo plateale, illudendosi così di risolvere il problema della sicurezza.

Joe Biden ha dichiarato di voler bloccare tutte le esecuzioni federali con il proprio mandato. Bisogna risalire a 130 anni fa per trovare condanne a morte eseguite nella fase di transizione di un presidente uscente e sconfitto.

Da decenni si sostiene che non è mai stata dimostrata alcuna efficacia deterrente della pena capitale maggiore di quella di altre pene. Negli Stati Uniti i tassi di criminalità prescindono del tutto dal fatto che nei singoli Stati la pena di morte sia ancora prevista, sospesa di fatto, abrogata nel diritto. I reati più gravi sono a volte commessi sull'onda di un impeto, spesso causato da uno squilibrio o per necessità economiche o sotto l'effetto di droghe. Quando invece sono frutto di autentiche e organizzate attività criminali, si fondano sul presupposto di non essere individuati e non sarà la severità delle pene ad apportare dissuasione.

È il sistema che non funziona: un sistema basato su un esasperato individualismo, in cui l'unico vero valore che conta è la ricchezza patrimoniale.

 

[15] Cina e Taiwan. Uiguri

 

Il guerrafondaio Mike Pompeo, segretario di Stato, ha rimosso tutte le restrizioni autoimposte dagli USA nelle relazioni con Taiwan. Ha lasciato una polpetta avvelenata a Biden, forse in vista di una sua candidatura alle presidenziali del 2024.

Per diversi decenni il Dipartimento di Stato aveva creato complesse restrizioni interne per fare un favore al regime di Pechino. Ora è tutto cambiato. Fuck the appeasement: questo in sostanza il messaggio rivolto ai cinesi. Taiwan viene considerata dagli yankee come un partner privilegiato, che non può fare la fine delle colonie europee restituite alla Cina. Quindi è chiusa l'era in cui nel 1979 gli USA di Carter disconobbero Taiwan per fare un favore alla Repubblica Popolare Cinese, con cui stavano iniziando proficui affari, anche se, in realtà, le relazioni tra USA e Taiwan non s'interruppero mai. Semplicemente diventarono ufficiose, nel senso che, pur aderendo alla politica di “una sola Cina”, gli USA continuarono a sostenere militarmente Taiwan, rifornendola di armi sempre più sofisticate, indispensabili come deterrenza verso le mire che Pechino ha sempre nutrito nei confronti dell'isola. Ovviamente gli USA non hanno un trattato formale di difesa con Taiwan, come invece col Giappone, Corea del Sud e Filippine.

D'ora in poi i politici e i funzionari taiwanesi e americani per i loro meeting non saranno più costretti a scegliere anonimi hotel. Inoltre i membri del Dipartimento di Stato, nel visitare Taiwan, potranno utilizzare i loro passaporti ufficiali. Infine non sarà più inibito l'uso nei documenti ufficiali di espressioni come “il governo di Taiwan” o “il Paese di Taiwan”.

Quando qualche anno fa fece tappa a Taiwan il segretario alla salute Alex Azar, diventando il più alto politico americano a metter piede nell'isola dopo decenni, e quando, subito dopo, era stato il turno di Keith Krach, sottosegretario di stato per la Crescita, l'Energia e l'Ambiente, la Cina, a titolo dimostrativo, aveva spinto i propri jet fino ai confini dell'isola, minacciando gli USA di ritorsioni.

Ora Biden che farà? Sarà costretto a digerire il cambiamento o dovrà platealmente annullarlo esponendosi così all'accusa d'essere debole nei confronti della Cina? Terrà fede alla politica di una sola Cina? Continuerà a supportare una soluzione pacifica della disputa su Taiwan?

Di sicuro il governo cinese non permetterà a nessuno di arrestare il processo di riunificazione del Paese. Infatti la Cina considera Taiwan come una provincia separatista e non uno Stato sovrano a tutti gli effetti, come invece sostiene il governo di Taiwan.

Cina e Taiwan hanno governi separati dalla fine della guerra civile cinese nel 1949. Pechino non ha mai escluso l'uso della forza per riprendersi l'isola.

Taiwan è stata amministrata dalla dinastia cinese Qing dal 1683 al 1895. Poi, in seguito alla vittoria del Giappone nella prima guerra sino-nipponica, il governo Qing dovette cedere Taiwan a Tokyo.

Dopo la seconda guerra mondiale la Cina nazionalista iniziò a governare Taiwan col consenso dei suoi alleati, Stati Uniti e Regno Unito.

Tuttavia negli anni successivi scoppiò una guerra civile in Cina e il leader dell'epoca, Chiang Kai-shek, e le sue truppe furono respinti dagli eserciti comunisti al comando di Mao Zedong.

Chiang e ciò che restava del suo governo del Kuomintang fuggirono a Taiwan nel 1949. Questo gruppo, indicato come Cina continentale o Repubblica di Cina, era composto da 1,5 milioni di persone, e dominò in maniera autoritaria la politica di Taiwan per molti anni. Affermò di rappresentare l'intera Cina, che intendeva rioccupare. Tenne il seggio della Cina nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e fu riconosciuto da molte nazioni occidentali come l'unico governo cinese. Ma nel 1971 l'ONU trasferì definitivamente il riconoscimento diplomatico a Pechino. Da allora il numero di Paesi che riconoscono diplomaticamente il governo di Taiwan e che non potrebbero in alcun modo decidere il suo destino, è sceso drasticamente a 15: Belize, Guatemala, Haiti, Honduras, Isole Marshall, Nauru, Nicaragua, Palau, Paraguay, Saint Kitts e Nevis, Saint Vincent e Grenadine, Santa Lucia, Città del Vaticano, eSwatini e Tuvalu. La capitale è Nanchino, che però si trova nella Cina continentale, quindi la capitale provvisoria è Taipei.

Il che non impedisce al suo governo, democraticamente eletto, di tenere forti legami commerciali e informali con molti Paesi. Il processo di democratizzazione nell'isola fu attuato negli anni '70 e '80 dal figlio di Chiang, Chiang Ching-kuo.

Le relazioni tra Cina e Taiwan hanno iniziato a migliorare negli anni '80. La Cina ha presentato una formula, nota come “un paese, due sistemi”, in base alla quale Taiwan avrebbe una significativa autonomia se accettasse la riunificazione cinese. Il PC vuole ripetere l'esperimento già fatto con Hong Kong, ma siccome negli ultimi anni questa regione speciale è stata sottoposta a molte ingerenze da parte di Pechino, Taiwan ha respinto la proposta cinese, anche se ha allentato di molto le regole sulle visite e sugli investimenti in Cina. Sul piano economico gli scambi sono reciprocamente vantaggiosi. Le aziende taiwanesi hanno investito circa 60 miliardi di dollari in Cina, e fino a un milione di taiwanesi ora vivono lì. Tuttavia i colloqui continuano a essere non ufficiali perché nessuna delle due parti accetta la posizione dell'altra.

Il governo cinese è infatti intenzionato a intervenire militarmente se Taiwan continua a portare avanti l'idea di secessione. Ed è evidente che senza l'aiuto degli USA, il governo di Taipei, con le sue 300.000 truppe attive, potrebbe fare ben poco. Non dimentichiamo che nel 1996, quando la Cina condusse test missilistici provocatori per cercare d'influenzare le prime elezioni presidenziali dirette di Taiwan, il presidente Bill Clinton ordinò la più grande dimostrazione di potenza militare statunitense in Asia dalla guerra del Vietnam, inviando navi nello Stretto di Taiwan e un messaggio chiaro a Pechino.

Tuttavia nel corso del 2018 il Pcc ha fatto capire alle società economiche e finanziarie internazionali che se non considerano Taiwan come parte integrante della Cina, non potranno fare alcun business coi cinesi.

 

In un art. dell'“Espresso”, del 14 gennaio, si parla della vicenda di Gulbahar Haitiwaji, raccontata sulle pagine del “Guardian”. Era una Uiguri dello Xinjiang, ma da una decina d'anni vive col marito in Francia.

Ha raccontato che per i cinesi separatismo, islamismo e terrorismo sono un tutt'uno, per cui tutti gli Uiguri sono terroristi.

Ha parlato di come vengono trattati gli Uiguri nelle scuole di rieducazione, cioè nei campi di detenzione.

Ha parlato di deportazione di massa – la più grande dopo Mao – che viola in blocco tutti i diritti umani. Milioni di persone vengono internate, costrette all'indottrinamento e al lavoro forzato, controllate da telecamere in ogni movimento... Ma possono anche essere torturate, uccise, sterilizzate... Nel giro di poco tempo la personalità umana viene praticamente annientata.

Gulbahar Haitiwaji è la prima sopravvissuta a parlare senza filtri, e la sua testimonianza è un libro di prossima uscita in Francia.

 

[16] Brexit, Londra. Scandalo in Olanda

 

Come volevasi dimostrare la Brexit sta colpendo Londra. Sono già migliaia i professionisti del trading e della finanza bancaria che hanno lasciato la City, mentre è probabile che la prossima ondata di partenze includa gli esperti in strategia, fusioni e raccolta di capitali.

Si prevede che da 3.000 a 4.000 banchieri d'investimento e consulenti in materia di obbligazioni e assicurazioni azionarie, si trasferiranno in Europa, poiché la Brexit ha lasciato in sospeso il completamento dei colloqui sui servizi finanziari. E in questo campo, più che altrove, il tempo è denaro.

I funzionari della UE devono ancora stabilire se i regolamenti finanziari britannici sono abbastanza forti da creare condizioni di parità. Migliaia di posti di lavoro e oltre 1.000 miliardi di dollari di asset si stanno già trasferendo in Europa.

Londra, in questo quadro di grande incertezza, sta perdendo il suo ruolo di città finanziaria nel continente.

Da notare che la sola industria finanziaria impiega in England più di un milione di persone, cioè rappresenta circa il 7% dell'economia e rappresenta oltre 1/10 di tutte le entrate fiscali.

Strano che gli inglesi, inventori del capitalismo industriale, grandi scommettitori e maestri indiscussi in campo finanziario, non sappiano neppure fare i conti della serva e si siano impantanati in una situazione che li danneggerà sotto tutti i punti di vista. Ma forse saranno gli scozzesi a farglielo capire.

 

Si è dimesso il governo del premier olandese Mark Rutte, al potere dal 2010 con una coalizione di centro guidata dal suo Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia, di centrodestra. Un governo che ha sempre sostenuto il rigore di bilancio in Europa, capofila dei cosiddetti “Paesi frugali”, e che ha sempre praticato in casa: il debito pubblico dell'Olanda nel 2020 è arrivato al 60% del Pil, quello dell'Italia al 160%.

Rutte è stato il secondo leader europeo più longevo dopo la cancelliera tedesca Angela Merkel.

La decisione è stata presa dal Consiglio dei ministri in virtù di un'inchiesta parlamentare intitolata “Ingiustizia senza precedenti”, in cui risultava che i funzionari del fisco avevano accusato ingiustamente circa 26.000 famiglie di frode, relativamente ai sussidi per i minori tra il 2013 e il 2019. Il fisco aveva preteso la restituzione con gli interessi delle somme erogate, facendo indebitare molte famiglie. Il pretesto per i rimborsi erano piccoli vizi formali come firme mancanti o timbri poco leggibili. Ma quel che è peggio è che il fisco ha anche dovuto ammettere che almeno 11.000 persone erano state sottoposte a revisione per le origini etniche o la doppia nazionalità: una sorta di “profilazione su base etnica”.

Ora invece sarà il governo che dovrà restituire 30.000 euro a famiglia. Naturalmente il premier non ha avuto alcun coinvolgimento diretto in questo scandalo, ma appena ne è venuto a conoscenza si è dimesso. Ha anche annunciato che sarà introdotto un nuovo sistema di indennità.

Da noi un governo di centrodestra si sarebbe dimesso? Lo so, la domanda è retorica. D'altra parte noi non siamo normali. Quale Paese ha una destra che, finché governa il centrosinistra, è sempre in campagna elettorale e in Parlamento fa solo chiacchiere? In più ogni tanto riesce a convincere qualche politico della maggioranza, come p.es. Renzi, che vuol farsi notare a tutti i costi e non si fa scrupolo di aumentare i problemi invece di risolverli.

 

[17] USA, sistema giudiziario. Bill Gates

 

Tre serie di Netflix, “Innocente”, “Making a Murdered” e “The Staircase”, riferite a recenti casi giudiziari di omicidio di primo grado, hanno svelato i grandi limiti del modello americano. Soprattutto in due elementi: la pubblica accusa e la giuria.

Infatti la prima fa di tutto, anche in maniera illecita o illegale, per trovare un colpevole da condannare con la massima severità. Di fronte alla giuria l'Accusa svolge una specie di teatrino, con tanto di effetti speciali, toccando soprattutto i sensi e i sentimenti. Questo perché sa di avere a che fare con gente totalmente sprovveduta di diritto penale.

In genere le giurie popolari si fidano dei pubblici ministeri o dei procuratori generali, perché, siccome il problema della sicurezza è quello principale per i cittadini, danno per scontato che gli organi giudiziari e polizieschi abbiano sempre più ragioni di quelle degli imputati e dei loro difensori. Ecco perché non si fanno tanti scrupoli a comminare pene pesantissime per qualunque grave reato che minacci la sicurezza pubblica. Quindi in generale non c'è la presunzione d'innocenza, bensì di colpevolezza, né si fa leva sul ragionevole dubbio, bensì sulla singola prova che appare più convincente, a meno che l'imputato, spendendo cifre folli con avvocati di fama, non riesca a dimostrare il contrario.

La cosa curiosa è che nei processi americani la responsabilità dell'imputato solo in via di principio deve essere dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio: nei fatti anche un'accusa basata su prove indiziarie (le prove circostanziali) o anche solo su dichiarazioni o confessioni può portare a una dura condanna. L'Accusa lo sa, per questo sin dall'inizio cerca di interrogare le persone più sospette senza la presenza di avvocati o familiari, in modo da poter estorcere una qualche ammissione di colpa. Alla faccia della formale dichiarazione che le forze dell'ordine devono fare a chiunque venga arrestato, e cioè che può avvalersi di un avvocato e che, senza di questo, è meglio tacere.

La giuria popolare è l'organo che giudica all'unanimità i fatti in ultima istanza, senza la presenza del giudice, cioè quella che in camera di consiglio emana il verdetto finale a favore o sfavore dell'imputato. È composta da 12 cittadini locali, estratti a sorte prima del processo. È consentito agli avvocati dell'Accusa e della Difesa ricusare singoli giurati ritenuti non sufficientemente imparziali, senza obbligo di darne le motivazioni.

La giuria dovrebbe restare in isolamento per tutta la durata del processo, senza avere contatti con nessuno e senza parlare del caso al di fuori della stanza del tribunale ad essa riservata. In caso di processi estremamente delicati, il giudice può deliberare l'isolamento totale dei giurati, alloggiati in un luogo sicuro e segreto fino alla sentenza.

Tuttavia la giuria, non sapendo nulla di diritto, è facilmente influenzabile dai media (soprattutto dalle TV private), che si sentono protagonisti attivi nei casi di omicidio, e può avere pregiudizi riguardo a imputati ritenuti poco graditi alla collettività locale.

Qualora la giuria non raggiunga l'unanimità (in taluni stati basta il 75%), il giudice deve annullare il processo, ma questo è raro, perché allo Stato non piace spendere soldi nei processi e ai giurati non piace non essere unanimi, in quanto la popolazione della contea dove il crimine è stato compiuto, si aspetta una sentenza più di condanna che di assoluzione. E comunque, in assenza di unanimità, l'Accusa potrà istruire un nuovo processo con una diversa giuria. Se questa lo dichiara non colpevole, l'imputato non potrà più essere processato per il medesimo fatto, neanche se sorgessero nuove prove. Ecco perché si cerca di essere molto severi nel processo di primo grado, che va fatto celermente (la prescrizione non esiste per i reati gravi). Semmai sarà l'accusato a cercare nuove prove per appellarsi a un nuovo giudice o avvalersi di eventuali gravi vizi di forma che il giudice precedente ha tollerato. Nel frattempo se ne sta in carcere.

Prima e nel corso del processo il giudice ha grande discrezionalità, ma di regola sta dalla parte dell'Accusa, poiché il giudice non è vincitore di un concorso ma viene eletto dalla popolazione locale, che ha sete di “giustizia sommaria”.

Gli USA sono un Paese molto violento: 690 individui ogni 100.000 abitanti finiscono in galera, cioè attualmente più di 2 milioni di persone. Non esiste neppure un database federale che censisce gli omicidi causati dalle forze dell'ordine, ma secondo varie stime sono più di 1.000 all'anno. A questi bisogna aggiungere gli oltre 16.000 omicidi, colposi o dolosi, che avvengono ogni anno.

Generalmente comunque solo un'infima minoranza di casi arriva al processo in presenza di una giuria. Di regola, dopo che il giudice ha deciso se esistono cause probanti per incriminare un soggetto, avvocati e accusatori patteggiano sui capi di accusa e sulla pena da infliggere. Cioè il dibattimento può svolgersi anche unicamente dinanzi al solo giudice, se l'imputato si priva della presenza di una giuria. In tal caso il giudice, come “ricompensa” per l'imputato, che ha fatto risparmiare tempo e denaro, può stabilire una sentenza meno grave.

In Italia è il contrario: è sempre più bassa la percentuale dei processi che si concludono con riti alternativi e sempre più alta la percentuale dei dibattimenti e la decisione di sfruttare tutti i gradi dei processi. Qui risiedono le lungaggini della giustizia italiana e il rischio che il reato finisca in prescrizione.

Negli USA la giuria, qualunque sia il suo verdetto, non deve motivarne le ragioni, che riguarderanno sempre una delle prove esibite o dall'Accusa o dalla Difesa. D'altra parte quando una giuria rappresenta il “popolo”, che bisogno ha di giustificarsi?

Nei casi penali è comunque il giudice che si occupa della commisurazione della pena, che in caso di omicidio di primo grado è quasi sempre quella dell'ergastolo senza condizionale, se non addirittura la pena capitale.

I testimoni vengono ancora fatti giurare sulla Bibbia e si dà per scontato che non mentano.

Si noti che da noi, in teoria, persino l'Accusa potrebbe chiedere l'assoluzione dell'imputato: negli USA sarebbe impensabile. E in ogni caso un nostro giudice deve sempre motivare la sentenza di un processo, poiché essa andrà vagliata da giudici superiori se viene sfruttata per l'appello.

Nell'ordinamento italiano si dà inoltre per scontato che il cittadino comune non sia in grado di giudicare. La ricerca della verità è affidata al giudice, anche se Accusa e Difesa giocano un ruolo importante. E il giudice si deve attenere alla legge, senza lasciarsi condizionare da sentenze precedenti emesse da altri giudici su casi analoghi, come invece fanno negli USA, dove, essendo basati sul common law, si attribuisce meno rilevanza al diritto scritto e alla norma legislativa, e molta di più alle decisioni dei giudici, alle sentenze dei processi, che diventano punto di riferimento vincolante per i futuri casi a venire. Questo modello è diventato famoso in tutto il mondo grazie ai film e telefilm americani, ma nel mondo è di gran lunga prevalente il sistema del civil law.

Anche in Italia, per i reati più gravi, tra i quali la strage, l'omicidio volontario, la riduzione in schiavitù, è prevista la presenza della giuria. Ma nei processi della Corte di Assise la giuria è composta da 2 magistrati di carriera e da 6 cittadini estratti a sorte. I due magistrati hanno un'importanza fondamentale su tutte le decisioni da adottare, sia di diritto che di fatto, sia procedurali che di merito.

Al termine dell'istruttoria dibattimentale la Corte di Assise decide a maggioranza dei suoi componenti in merito alla colpevolezza o all'innocenza dell'imputato: nel caso in cui 4 giudici votino per la condanna mentre 4 giudici votino per l'assoluzione, l'imputato deve essere assolto.

Infine va ricordato che mentre in Italia ogni anno vengono risarcite 1.000 persone circa per ingiusta detenzione (e la cifra non prevede un limite prefissato), negli USA invece solo 35 stati su 50 prevedono una legge che impone di farlo e con cifre, in genere, assolutamente irrisorie.

 

Bill Gates, che già nel 2015 aveva ipotizzato che un semplice virus avrebbe potuto uccidere migliaia di persone, creando una enorme perdita finanziaria in tutto il mondo, oggi dice nel suo blog che sta per arrivare una nuova pandemia.

Questa volta sarà portata dalle zanzare e si chiamerà malaria. Infatti, a causa del coronavirus in questo periodo è stata interrotta la fornitura di farmaci anti-malaria. In Africa ogni due minuti un bambino muore a causa di questa malattia. Nell'area subsahariana non si erano registrati numeri così alti dal 2000. In 20 anni il numero delle vittime per la malaria si era dimezzato. Attualmente la situazione è drasticamente peggiorata.

Bisognerà fare rifornimento di tutti quei prodotti che...

Oggi siamo così spaventati che bastano notizie come queste per allarmare subito milioni di persone (influenzando notevolmente le borse, tra l'altro). Come quando Orson Welles, nel 1938, pochi mesi prima dello scoppio della guerra, disse alla radio ch'erano sbarcati i marziani, scatenando l'isteria collettiva.

Magari alla fine sono zanzare geneticamente modificate in laboratori finanziati dallo stesso Gates. “A pensar male del prossimo si fa peccato ma ci si indovina”, diceva quel catto-mafioso di Andreotti.

 

[18] Francia, Rimbaud e Verlaine. USA, Xiaomi. Uganda

 

Il presidente Emmanuel Macron ha negato la sepoltura nel Pantheon parigino a due grandissimi poeti: Arthur Rimbaud e Paul Verlaine. Ha dato retta a dei bigotti, invece che a centinaia di personalità di spicco. Infatti i discendenti di Rimbaud temono che vengano considerati gay.

I due poeti “maledetti”, simbolo di libertà e dolore, sregolatezza e rivolta, colpiti duramente dall'omofobia implacabile della loro epoca, vissero una storia d'amore fra le più laceranti e passionali di tutta la letteratura francese.

Per Macron, Rimbaud e Verlaine restano due grandissimi poeti e i loro nomi rimarranno per sempre nella storia, ma non rappresentano, per la vita “eccessiva” e scandalosa che hanno condotto, un esempio che lo Stato possa glorificare. Come se nel loro Pantheon siano tutti santarellini: tra le figure più eminenti, Mirabeau tradì la rivoluzione, Rousseau abbandonò i suoi 5 figli negli orfanotrofi... O personaggi davvero significativi per la Francia, come p.es. la moglie dell'ambizioso Marcellin Berthelot.

La vicenda che vide coinvolti i due grandi poeti, durata quattro anni, fu senza dubbio caotica e spregiudicata, vissuta nei fumi dell'alcool e dell'assenzio, in condizioni quasi di miseria, ma fu nobilitata dall'estasi della poesia e dell'arte. Insieme a Baudelaire e Mallarmé rivoluzionarono completamente la poesia francese, portandola a livelli mondiali.

Quando si conobbero Rimbaud aveva 18 anni e Verlaine 28. Quest'ultimo era già sposato, ma rimase stregato dal fascino del giovane Rimbaud. Dopo che la moglie chiese il divorzio se ne andò col suo amante in Inghilterra e in Belgio.

Vissero periodi di grande esaltazione e di scenate terribili, distacchi dolorosi, riappacificazioni e minacce di suicidio, fino a quel terribile mattino del 10 luglio 1873 in cui, quando erano sbronzi tutti e due, Rimbaud annunciò la decisione di chiudere il rapporto. In un accesso di follia Verlaine estrasse una pistola (che aveva comprato per uccidersi) e sparò due colpi. Il primo finì sul polso di Rimbaud, il secondo andò a vuoto. Lo scandalo fu enorme. Verlaine finì in prigione per 18 mesi e Rimbaud, che aveva appena terminato Une saison en enfer, gliene mandò una copia con la dedica: “Senza rancore”.

Quando Verlaine finisce di scontare la pena, s'incontra un'ultima volta con l'amico, ma litigano. Rimbaud a quel punto non ha neanche più voglia di scrivere poesie e, tramite dei ricchi mecenati, si fa finanziare il viaggio per andare a vivere nelle colonie, dove si dice abbia anche fatto traffico di schiavi e di armi.

Mantennero un contatto epistolare ma non si rividero più e furono sepolti in posti diversi. Rimbaud, continuamente in viaggio come mercante, morirà nel 1891 a 37 anni per un cancro alle ossa. Verlaine invece morirà 5 anni dopo, a 51 anni, di polmonite, ma era già drogato, alcolizzato e sifilitico. Da giovane aveva partecipato alla Comune di Parigi.

Nel 1995 la regista Agnieszka Holland racconterà la loro storia nel film “Poeti dall'inferno”, con David Thewlis nel ruolo di Verlaine e Leonardo Di Caprio in quello di Rimbaud.

 

Il Dipartimento della Difesa USA ha inserito Xiaomi, terzo produttore al mondo di smartphone, nell'elenco delle società che sarebbero collegate all'esercito cinese, con cui collaborerebbero fornendogli tecnologie avanzate e consulenze. Oltre a Xiaomi vi sono anche altre otto aziende cinesi.

L'amministrazione di Donald Trump aveva già messo 35 aziende cinesi nella blacklist del Pentagono, tra cui Huawei.

L'ordine vieta agli investitori con sede negli USA d'investire in società ritenute controllate dall'esercito cinese e dal partito comunista al governo. Pertanto gli investitori sono ora costretti a vendere le loro quote. Ecco perché il prezzo delle azioni Xiaomi è crollato di oltre il 10%.

Tutto ciò è semplicemente ridicolo. La Cina se ne frega di queste bassezze. Xiaomi ha iniziato a vendere anche uno smartwatch molto potente.

Gli USA si dovrebbero piuttosto preoccupare dei loro F-35, giudicati “aerei di merda” da Christopher Miller, l'attuale ministro della Difesa a interim, che tra qualche giorno lascerà l'incarico. Un assurdo caccia multiruolo, con gravi problemi tecnici, che costa da 82 milioni a 103 milioni di dollari. Il più costoso nella storia dell'aviazione di tutti i tempi, che noi italiani, proni alla NATO, abbiamo naturalmente comprato subito.

Entro il 2022 dovremo spendere 368 milioni di dollari per averne altri sei (circa 61 milioni di dollari a velivolo), e dobbiamo arrivare a 90!

 

Yoweri Museveni, il generale ex-marxista che governa l'Uganda da 35 anni, è stato rieletto presidente con quasi il 59% dei voti. Ha 76 anni e questo è il suo sesto mandato. Ha modificato la Costituzione per potersi candidare.

Durante la campagna elettorale aveva schierato l'esercito nella capitale Kampala e limitato Internet per bloccare le comunicazioni (già meno della metà della popolazione può accedere alla rete). È sostenuto soprattutto dagli abitanti delle campagne (l'80% della forza-lavoro).

Il principale rivale di Museveni, il cantante e parlamentare Robert Kyagulanyi, detto Bobi Wine (icona per i giovani del paese), ha ottenuto il 35% dei voti.

Ha votato solo il 52% dei 18 milioni di persone aventi diritto (l'80% dell'intera popolazione ha meno di 30 anni: una delle più giovani del mondo). Approfittando del Covid-19 (che ha causato solo 250 morti) il regime aveva vietato i comizi in alcune regioni e impedito agli avversari d'incontrare la popolazione.

Le elezioni si sono tenute dopo una campagna elettorale molto movimentata e violenta, durante la quale decine di persone sono state uccise (tra cui un addetto alla sicurezza di Bobi Wine), altre sono sparite o rapite (le carceri sono piene di prigionieri politici). Fatta eccezione per una missione dell'Unione Africana, non ci sono stati organi internazionali a monitorare lo svolgimento del voto.

Lo stesso Bobi Wine, nonostante goda dell'immunità parlamentare, era stato arrestato e picchiato dai militari più volte, i quali, col pretesto di proteggerlo, avevano posto la sua casa sotto controllo, mettendolo agli arresti domiciliari. I giornalisti internazionali, recatisi nel Paese, non hanno potuto contattarlo.

I suoi concerti sono diventati dei raduni politici. Perciò il governo li ha proibiti. Nemmeno le radio possono trasmettere i suoi brani. Il suo partito, la Piattaforma per l'unità nazionale, ha puntato sui social network: i suoi profili su Facebook e Twitter sono seguiti da milioni di persone.

Il regime ha privatizzato e affidato a investitori stranieri tutti i servizi, dall'acqua all'elettricità. Solo una piccolissima parte della popolazione, vicina al presidente, trae vantaggio da questa situazione.

Le disuguaglianze saltano agli occhi a Kampala, dove i centri commerciali all'ultimo grido si affiancano alle abitazioni in lamiera sparse lungo strade non asfaltate. Dicono che l'Uganda sia più capitalista degli Stati Uniti.

Il 20% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Grazie a questa politica improntata a un neoliberismo estremo, il Paese si è conquistato nel 2017 la definizione di “storia di successo africana” da parte dell'allora direttrice generale del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde.

La comunità internazionale sostiene il clan Museveni, formato in gran parte da suoi familiari, con interessi nei principali gruppi e posizioni chiave della vita politica: sua moglie è ministra dell'educazione e suo figlio consigliere sulla sicurezza (e responsabile delle elezioni).

L'Uganda ha una posizione strategica. Sorge nel cuore della regione dei Grandi laghi e confina con Paesi estremamente instabili. È anche per questo che Museveni ha il sostegno di molti Paesi occidentali, che lo considerano una garanzia di stabilità.

La Francia ha molti interessi economici nel Paese. L'azienda francese Total ha vinto un appalto per esplorare le risorse petrolifere del paese. Un mercato ancora emergente, ma che promette bene: sono stati scoperti giacimenti che potrebbero fornire 6,5 miliardi di barili di greggio.

Il regime sta svendendo tutte le risorse del Paese senza curarsi minimamente dell'ambiente: ha già i laghi inquinati e tra qualche anno non avrà più le foreste.

 

[19] USA, Mike Pompeo. USA, inquinamento. Italia, Comuni sciolti

 

Altra scemenza fatta da Mike Pompeo, che avrà conseguenze nefaste, soprattutto sul piano degli aiuti umanitari.

Il Segretario di Stato USA ha inserito il gruppo degli Huthi yemeniti nella lista delle organizzazioni terroristiche.

Gli Huthi sono coinvolti nella guerra che da quasi 6 anni sta distruggendo lo Yemen e che ha causato oltre 12.000 vittime civili. Ma non sono terroristi.

La guerra in Yemen è stata portata dall'Arabia Saudita, alleata degli USA. Gli Huthi hanno combattuto contro il governo di Saleh nello Yemen del Nord per rivendicare la loro autonomia etnica (35% della popolazione). Furono loro a dare origine alla cosiddetta “Primavera araba”. Contro Saleh avevano condotto ben sei guerre, tra il 2004 e il 2010. Gli Huthi sono un movimento politico nato nel 1992, molto armati e finanziati dall'Iran. Odiano mortalmente gli USA e Israele.

Ora avranno a che fare con l'aumento della fame estrema. Infatti già 24 milioni di persone (85% della popolazione, di cui la metà minori) dipende dagli aiuti umanitari. A questo flagello, causato dalla guerra, si aggiunga la più grave epidemia di colera di sempre e adesso il Covid-19.

Ancora la UE non si è sentita. Forse aspetta di vedere cosa farà Biden, tanto una politica estera autonoma di sicuro se la sogna.

 

Alcuni scienziati della California han scoperto che delle circa 7,2 migliaia di miliardi di particelle sintetiche che si riversano ogni anno nella baia di San Francisco, quasi la metà non provengono da tubi di scappamento ma da pneumatici, poiché hanno la caratteristica di essere nere e gommose. Già si sapeva che l'usura degli pneumatici contribuisce al particolato trasportato dall'aria, che è tossico per l'uomo, aumentandolo fino al 30% in alcune aree ad alto traffico. Ma sono due cose diverse.

In California il problema dell'inquinamento è molto grave: la maggior parte dei pendolari si sposta con la propria auto. E i veicoli elettrici sono venduti come soluzione al problema delle emissioni delle auto. Ora hanno scoperto che gli pneumatici rilasciano particelle vicino alle masse d'acqua. In genere un'auto perde in media, ogni anno, tra 0,22 e 1,88 kg di frammenti di pneumatici. Ma negli USA, dove l'uso dell'automobile è molto diffuso, la quantità sale a quasi a 5kg.

Sono particelle più dense dell'acqua di mare, per cui tendono ad affondare e ad accumularsi nei sedimenti presso le coste, dove vivono piccoli pesci, ostriche e altri animali alla base della catena alimentare che arriva all'uomo. Gli organismi marini vengono danneggiati proprio come fanno le altre microplastiche.

Fino ad oggi si pensava che il problema più grosso, riguardo ai 51 milioni di pneumatici di scarto generati ogni anno in California, fosse quello di come riutilizzarli, visto che si sfaldano piuttosto velocemente sull'asfalto.

Una volta gli pneumatici erano interamente di gomma naturale. Oggi contengono tra il 20 e il 60% di gomma sintetica fatta di polimeri plastici. Solitamente includono anche zolfo, usato per vulcanizzare la gomma; ossido di zinco, per velocizzare la vulcanizzazione; cariche di rinforzo quali silice e nero di carbonio; e olii (idrocarburi policiclici aromatici) che aiutano la lavorazione. Fili d'acciaio e tessuto sono aggiunti per dare corpo agli pneumatici. Tutti ingredienti cancerogeni. Contengono anche metalli pesanti, come cadmio e piombo, che sono altamente tossici. Ecco perché uno pneumatico dismesso oggi si fa fatica a riciclarlo in un altro pneumatico. In genere vengono trasformati in asfalto caldo per ottenere una pavimentazione gommata, che riduce il rumore del traffico. Ma i manti stradali gommati rilasciano il 40% in più di ossido di zinco rispetto a quelli non gommati. Quindi non se ne esce.

Da notare che già nel 2017 l'Unione internazionale per la conservazione della natura aveva stimato che almeno il 28,3% delle microplastiche nell'oceano proviene dagli pneumatici. I frammenti si riversano nell'oceano non solo attraverso fiumi e corsi d'acqua, ma anche attraverso l'aria, e possono raggiungere località molto lontane da quelle dove sono stati rilasciati: persino nell'Artide, dove la tundra nevosa ha già una tonalità di bianco meno riflettente.

Ora stanno pensando di chiedere alle aziende di produrre auto più leggere e con limiti significativi alla velocità, per ridurre la dispersione di pneumatici. Meri palliativi. Fino a quando non si capirà che l'ecologia è più importante dell'economia non usciremo dal tunnel.

 

Pur nell'eccezionalità pandemica del 2020 non si è arrestato il fenomeno dei Comuni o degli Enti sciolti o commissariati prima della scadenza naturale (in tutto 208). Ciò avviene – secondo OpenPolis – non sempre a causa della criminalità organizzata che vi si infiltra (in tutto 11), ma anche perché i conflitti politici nazionali si riflettono a livello locale ed esasperano sindaci o maggioranze, che si dimettono, oppure non si riesce ad approvare il bilancio.

I commissariamenti per mafia hanno registrato un calo netto rispetto al triennio 2017-19, ove erano stati 21 all'anno in media (quindi l'anno scorso 47,6% in meno). Però sono aumentati gli scioglimenti per tutti gli altri motivi (+20%).

È molto probabile che la frustrazione dei vari lockdown, imposta a livello nazionale, abbia avuto pesanti riflessi nella dialettica politica locale, tra favorevoli e contrari.

Il nostro Paese non tollera le imposizioni dall'alto. Anche la crisi di governo attuale è il riflesso di questa tendenza anarcoide che ci affligge. E di questa tendenza i politici danno sempre l'esempio peggiore.

 

[20] Francia, islam. Oceani, inquinamento. Brexit, Eurostar

 

L'islam in Francia mette nero su bianco l'impegno a non strumentalizzare la fede a fini politici, la compatibilità della religione musulmana coi princìpi laico-democratici della Repubblica e l'uguaglianza tra uomo e donna.

Sono i contenuti principali della Carta dei valori che i leader del Consiglio francese del culto musulmano del Paese hanno adottato. Il documento era stato richiesto dal presidente Emmanuel Macron, con l'obiettivo di tentare di sradicare estremismo e settarismo dalla Francia.

Nel documento vengono denunciate le pratiche delle infibulazioni, dei matrimoni forzati, dei “certificati di verginità” per le spose, e si rifiuta esplicitamente il razzismo e l'antisemitismo. Inoltre, si stabilisce che le moschee “non sono create per diffondere discorsi nazionalisti in difesa dei regimi stranieri”. Sarà vietata anche l'interferenza dello Stato nell'esercizio del culto musulmano.

Peccato che tutto ciò è stato ottenuto dopo che Macron aveva minacciato di chiudere tutte le moschee e le associazioni islamiche del Paese, giudicate estremiste di per sé. Siccome il rischio era che circa 300 imam, inviati a predicare dalla Turchia, dal Marocco e dall'Algeria, se ne tornassero a casa, le comunità islamiche han firmato quel che, in nome della laicità e della democrazia, veniva imposto.

La Germania è invece più politicamente corretta: ha deciso di sostenere la prima scuola per Imam tedeschi presso l'Università di Osnabruck. L'idea è quella di permettere la formazione di guide spirituali che siano più radicate nella cultura della nazione.

E da noi? Agli italiani piace il kebab di pollo, pollo e tacchino, tacchino e vitello. Per il resto ognuno può pregare il Dio che vuole.

 

Secondo un recente report dell'OCSE (2020), il destino di sopravvivenza di oltre tre miliardi di persone dipende dagli oceani, per una serie di motivi: alimentari, climatici, energetici, biotecnologici, oltre ovviamente ai trasporti marittimi.

I ricercatori hanno identificato le 100 società transnazionali che assorbono gran parte dei profitti derivanti dall'economia dell'oceano: solo nel 2018 hanno monetizzato il 60% dei 1,9 triliardi di dollari ottenuti dalle principali industrie legate all'economia dell'oceano. Se il gruppo di aziende fosse un singolo Stato, esso rappresenterebbe la 16ma economia mondiale.

I maggiori guadagni derivano dalle trivellazioni offshore. E qui solo una decina di imprese prevale sulle altre.

Secondo la classifica stilata dal “Financial Times” nel 2007 le “nuove sette sorelle” sono:

– Saudi Aramco, dell'Arabia Saudita;

– JSC Gazprom, della Russia;

– China National Petroleum Corporation;

– Iranian Oil Company;

– Petróleos de Venezuela, S.A.;

– Brasile Petrobras;

– Malaysia Petronas.

Nel 1962 le principali erano 2 inglesi e 5 statunitensi.

Tuttavia la stampa economica italiana considera come maggiori compagnie produttrici di petrolio le seguenti: BP del Regno Unito, ExxonMobil degli USA, Total della Francia e Shell dei Paesi Bassi.

Cosa fanno queste multinazionali per impedire la devastazione degli oceani, visto e considerato che solo l'8% degli oceani è protetto e conservato grazie a politiche mirate?

Tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare.

 

L'Eurostar, il treno sotto il tunnel della Manica, ha perso l'85% dei suoi passeggeri nel 2020. Ora chi lo salva finanziariamente?

È stato realizzato da un'azienda francese in Inghilterra, quindi non può essere aiutato dagli inglesi, ma neppure dai francesi, perché è in Inghilterra. Ecco un bel risultato della Brexit!

Ma allora chi ha chiesto di salvarlo? Sono stati 25 imprenditori e accademici britannici, dopo che l'azienda ha ammesso di essere vicina al default a seguito della chiusura delle frontiere per contenere le nuove varianti di Covid-19.

Simbolo fino a poco tempo fa della semplicità e dell'accessibilità dei viaggi ferroviari ad alta velocità in Europa, i treni Eurostar sono rimasti fermi a causa della crisi del coronavirus. Le stazioni coi binari e le sale dedicate a Parigi, Londra e Bruxelles sono vuote.

Il gruppo attualmente gestisce solo un collegamento al giorno tra Parigi e Londra; prima del Covid-19, nelle ore di punta, c'erano due treni ogni 60 minuti.

La società è di proprietà al 55% dell'azienda ferroviaria di stato francese, Sncf, e al 45% di società private, a cui il Tesoro britannico ha ceduto la propria quota nel 2015.

Le restrizioni di viaggio continuano a essere inasprite dalla Francia, che ora chiede a chi arriva dal Regno Unito di osservare una quarantena di sette giorni e di eseguire un test per il Covid, mentre la Gran Bretagna ha a sua volta introdotto nuove misure di quarantena.

Questo è il momento buono che vendano tutto ai cinesi.

 

[21] Vietnam, economia. Egitto, donne. Calabria, 'Ndrangheta

 

La Repubblica socialista del Vietnam è uno dei pochi Stati al mondo a registrare una crescita del 4-5% del PIL nel 2020. Merito del fatto: ha saputo contenere meglio l'espansione della pandemia, grazie a test rigorosamente mirati, un programma di quarantena centralizzato e la chiusura anticipata delle frontiere. Poco più di 1.500 casi e 35 morti fino a oggi sono una scemenza, soprattutto rispetto ai 97-98 milioni di abitanti. Il Covid ha dimostrato che le economie emergenti asiatiche si sono rivelate più efficienti rispetto a quelle dei Paesi occidentali a capitalismo avanzato.

Lo sviluppo dell'economia vietnamita è stato stimolato anche dagli accordi commerciali firmati nel corso del 2020. Il primo di questi è l'accordo di libero scambio con la UE (Evfta), seguito dal Regional Comprehensive Economic Partnership, il più grande blocco commerciale del mondo, promosso dalla Cina, e dall'accordo di libero scambio con il Regno Unito, firmato poco prima dell'uscita di Londra dalla UE. Il Vietnam ha inoltre stipulato accordi bilaterali con la Corea del Sud e col Giappone, oltre a far parte del Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership, al quale aderiscono 11 Paesi dell'area del Pacifico. In genere gli accordi servono per eliminare i dazi sulle importazioni per i Paesi firmatari nell'arco di un certo numero di anni. Il Vietnam esporta soprattutto frutti di mare, riso, tessuti, legno, verdure e calzature.

Grazie a questi accordi l'economia del Vietnam quintuplicherà entro il 2035, passando dal 37° al 19° posto nel mondo, scavalcando Thailandia e Taiwan. Il PIL arriverà al 7%, come nel 2018-19, tra i più alti al mondo.

I tre maggiori partner commerciale del Vietnam in Europa sono Germania, Paesi Bassi e Regno Unito.

Gli USA invece han voluto sanzionare la Vietnam Gas and Chemicals Transportation Corporation per “essersi consapevolmente impegnata, a partire dal 5 novembre 2018, in una transazione significativa per il trasporto di prodotti petroliferi dall'Iran”. Il governo di Hanoi ha detto che non può sottostare alle imposizioni di terzi, se non a quelle dell'ONU, che vietano i commerci con l'Iran unicamente per quanto riguarda il materiale bellico.

Inoltre Trump aveva ritirato gli USA dalla suddetta Trans-Pacific Partnership e stava per mettere alte tariffe alle merci vietnamite. Chissà se Biden si renderà conto che il mondo è multipolare. Da notare comunque che la riapertura delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi è avvenuta solo nel 1995, dopo 20 anni dalla fine della guerra! E ancora oggi hanno buone relazioni solo perché il Vietnam ha delle dispute territoriali con la Cina (nel Mar Cinese Meridionale e riguardo alla costruzione di nuove dighe nel fiume Mekong da parte della Cina, che riduce il flusso di acqua potabile verso il Vietnam). Ciò tuttavia non ha impedito agli USA la realizzazione di progetti di cooperazione per la bonifica del territorio vietnamita dagli ordigni inesplosi rimasti sotterrati in seguito alla lunga e sanguinosa guerra.

Il Vietnam si trova al quinto posto nel mondo alla voce riguardante lo “slancio dell'evoluzione digitale”. Tale classifica è nettamente dominata dalla Cina, che con 85,51 punti su 100 stacca tutti gli altri concorrenti. Alle spalle di Pechino si trovano Azerbaigian (65,28), Indonesia (64,03), India (62,95) e Vietnam (62,37).

Il Vietnam si sta ora avvicinando all'accesso quasi universale al 4G e sta dando il via alla diffusione della rete 5G, prevista per la metà del 2021 e da concludersi entro il 2030, risultando uno dei Paesi più avanzati da questo punto di vista dopo la Cina.

E pensare che questo Paese ha subìto nel 2020 ben 14 tempeste tropicali che gli hanno causato circa 1,6 miliardi di dollari di danni (il quintuplo rispetto ai danni subiti nell'anno precedente), nonché 357 morti contro i 133 del 2019.

Il Paese sta sviluppando molto anche le energie rinnovabili e pulite, poiché la domanda di energia elettrica cresce del 10% all'anno e si teme molto un ulteriore aumento del tasso di inquinamento atmosferico, già molto elevato in alcune metropoli. Attualmente le energie rinnovabili rappresentano il 9% della produzione energetica vietnamita.

Ormai siamo consapevoli del fatto che il centro di gravità economica globale continua a spingersi senza sosta verso oriente. Il Vietnam ha aderito al Partenariato Economico Globale Regionale, che include, oltre alla Cina, che l'ha promosso, Corea del Sud, Giappone, Australia e Nuova Zelanda, nonché tutti i dieci paesi dell'Asean (l'Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico). Cioè in pratica il 45% della popolazione mondiale, al centro del 40% del commercio globale.

Come reagiranno gli USA alla progressiva perdita di controllo di quella che può essere considerata come la regione geopoliticamente più importante del XXI sec. Naturalmente Paesi come Corea del Sud, Giappone, Australia e Nuova Zelanda resteranno ancora fortemente legati agli USA, ma solamente fino a poco tempo fa avrebbero considerato come un tabù la firma di un simile accordo con la Cina. Evidentemente han capito che l'egemonia statunitense mondiale non è più solida come un tempo, anche se gli USA hanno il controllo di tutti i principali sbocchi commerciali marittimi.

 

In Egitto l'avvocato Ahmed Mehran, per far fronte all'aumento dei divorzi, ha proposto il ricorso a contratti civili allegati al contratto di matrimonio, al fine di obbligare i coniugi a non separarsi per un periodo massimo di 3-5 anni, dopo i quali i coniugi possono decidere se proseguire col matrimonio oppure lasciarsi per l'impossibilità della convivenza.

In pratica ha proposto il cosiddetto “matrimonio sperimentale a tempo”.

L'Università al Azhar, la massima autorità dell'Islam sunnita, considera l'iniziativa “un'offesa della donna”. Ha detto che “Il matrimonio è un patto solido che non può essere manomesso. Pensare al contratto matrimoniale a scadenza è una condizione nulla e vietata dall'Islam”.

Queste dichiarazioni fanno un po' ridere. Lo sanno tutti che in Egitto non ci si sposa per la maggior parte delle volte per amore ma per interesse. Infatti la donna, in una società conservativa come quella, è più che altro destinata a sposarsi con un uomo che conoscerà qualche giorno prima del fidanzamento. Se già lo conosce è perché si tratta di un cugino o un vicino di casa. Questo perché non è ben visto che due persone si conoscano fuori di casa senza che il futuro marito non passi prima a chiedere il permesso ai parenti di lei.

Di solito l'uomo ricorre alla madre sia per cercarsi una sposa sia per chiedere la mano a qualche ragazza specifica che lui ha visto, altrimenti si ricorre alle sensali.

Quando avviene il primo incontro e lei, davanti al proprio padre, accetta, si stipula un primo contratto ufficiale dove vengono decise la dote e le spese per casa, mobili, festa nuziale ecc. I fidanzati si possono conoscere anche tramite fotografia o per sentito dire.

Quindi la proposta suddetta viene più incontro agli uomini che alle donne, che possono sì rifiutare il fidanzamento e il matrimonio, ma il più delle volte non si oppongono alla volontà del padre, anche perché praticamente passano da una tutela patriarcale a un'altra. Non a caso, una volta sposate, di solito vanno ad abitare presso la famiglia dello sposo, nella stessa casa o nello stesso edificio. Le donne possono divorziare senza il consenso dell'uomo solo a partire dal 2000 e devono comunque rinunciare ai propri diritti patrimoniali, cioè di regola la dote ricevuta al momento del matrimonio. Questo perché nel mondo islamico tradizionale il contratto di matrimonio viene cancellato definitivamente solo dopo che la donna restituisce al marito quanto questi aveva dato per ottenere i suoi diritti coniugali. E solo dal 2004 è stato previsto in Egitto un fondo di assicurazione familiare, chiamato Banca Nasser, per il mantenimento della donna e dei figli in caso di divorzio. La custodia dei figli viene concessa alla donna divorziata solo fino all'età di 15 anni.

C'è da dire inoltre che per la donna l'età è molto importante: si sposano in fretta perché hanno paura di rimanere nubili e di essere derise. In molti ambienti a 23-24 anni non essere sposate è una vergogna: molti pensano che abbiano dei difetti.

Infine per una donna è meglio essere vedova che divorziata: la donna che divorzia deve risposarsi il più presto possibile, e di solito gli uomini che accettano di sposare una divorziata sono o vecchi o poligami.

Attualmente lo stato dei diritti femminili in Egitto è molto povero: con la presenza di mutilazioni genitali femminili, delitti d'onore, matrimoni forzati e molestie sessuali, nel 2013 il Paese è stato classificato come il peggiore nel mondo arabo per quanto riguarda la condizione delle donne.

Di recente ha fatto scalpore la vicenda dell'attrice Rania Youssef che nel 2018 è stata citata in giudizio da due avvocati egiziani a causa di un vestito nero semi-trasparente indossato durante l'International Film Festival del Cairo. Per non rischiare 5 anni di carcere, ha dovuto scusarsi pubblicamente.

 

In Calabria, tra misure di sicurezza eccezionali e giornalisti da ogni parte del mondo, è in corso il maxi-processo più imponente degli ultimi 30 anni, detto “Rinascita-Scott” contro la ‘ndrangheta del Vibonese. I numeri sono impressionanti:

– oltre 400 capi d'imputazione;

– quattro magistrati (il procuratore capo della Dda di Catanzaro, Nicola Gratteri, e i pm Antonio De Bernardo, Annamaria Frustaci e Andrea Mancuso) pronti a rappresentare l'accusa;

– oltre 325 imputati solo per il troncone con rito ordinario, cui si aggiungeranno i quattro che hanno scelto il giudizio immediato, tutti presenti in aula o con 150 collegamenti videoconferenza in diretta;

– più di 600 legali chiamati a rappresentarli;

– una sessantina tra pentiti e testimoni di giustizia, oltre a centinaia di testimoni tra accusa e difese.

Le udienze a Lamezia Terme si terranno tutti i giorni, sei giorni alla settimana su sette e il Tribunale collegiale sarà esonerato dal trattare altri procedimenti penali. Solo così si potrà evitare la scadenza dei termini massimi di custodia cautelare degli imputati ed una loro scarcerazione.

Per rendersi conto della pericolosità degli imputati (la maggior parte dei quali sono stati catturati non solo in Italia, ma anche in Germania, Bulgaria e Svizzera) basta citare Gennaro Pulice, 41enne, collaboratore di giustizia. È stato un killer: sei omicidi li ha compiuti quando ancora era minorenne. Ha contribuito a disarticolare la 'ndrangheta lametina e vibonese, quali “Andromeda”, “Rinascimento-Scot” e “Imponimento”. Era diventato un consulente finanziario a Lugano, dove in una ventina di mesi, prima d'essere arrestato nel maggio 2015, era riuscito a riciclare oltre cinquanta milioni di euro, facendo investimenti che spaziavano da Las Vegas ai Paesi dell'Est europeo.

Quello dei Mancuso di Limbadi è considerato dalla Commissione Antimafia come “il clan finanziariamente più potente d'Europa, grazie ai professionisti organici alle cosche”. Il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, ha disegnato un triangolo tra Calabria, Lombardia e Sud America, una rete di narcotrafficanti collegati alla cosca dei Mancuso.

Preoccupante il silenzio dei mass-media.

 

[22] Thailandia. Brexit. Mongolia, Covid-19. USA, Biden. Francia e Algeria

 

Un tribunale thailandese ha condannato una ex funzionaria pubblica, Anchan Preelert, a 43 anni e 6 mesi di carcere per aver violato la rigida legge del paese che vieta di criticare o insultare la corona, soprattutto se si usano i social. È la pena più lunga inflitta per il reato di lesa maestà, che rientra nel codice penale, prevedendo fino a 15 anni di carcere per ciascuna critica o diffamazione. La legge è stata impiegata di frequente per limitare la libertà di espressione e reprimere il dissenso.

Il suo caso risale al 2014, quando in Thailandia ci fu un colpo di stato dell'esercito guidato dal generale Prayuth Chan-ocha contro un governo legittimamente eletto: per via dei commenti sgraditi, la donna era già stata incarcerata dal 2015 al 2018. Inizialmente il tribunale aveva imposto una pena di 87 anni, ma oggi ha dimezzato la condanna a 43 anni e 6 mesi perché la Preelert si è dichiarata colpevole.

Fino a poco tempo fa in Thailandia era molto raro che ci fossero critiche così aperte al re, che pretende d'essere considerato come una specie di divinità. Ma l'anno scorso sono aumentate notevolmente le proteste contro il governo autoritario guidato da Prayuth, e contro i poteri eccessivi della monarchia, tant'è che il re Maha Vajiralongkorn passa gran parte del suo tempo in Baviera, dove il figlio quindicenne va a scuola. Praticamente fa politica stando in Germania. Gli attivisti chiedono che cessino le violenze dello Stato e che venga riscritta la Costituzione, emanata dal governo militare. Il governo ha già messo fuorilegge il Partito del Futuro Nuovo, un movimento d'opposizione molto popolare fra i giovani. Negli ultimi 15 anni le manifestazioni di protesta han fatto cadere quattro governi.

Maha Vajiralongkorn ha 68 anni ed è re dal 2016; suo padre, il re Bhumibol Adulyadej, era abbastanza rispettato dai thailandesi. Oggi si fatica ad apprezzare un monarca per il quale i diritti umani sono relativi; anzi ha preteso una specie di corso di aggiornamento per dipendenti pubblici, poliziotti e insegnanti in cui, all'interno di un campo militare, per un periodo compreso tra le due e le sei settimane, ci si addestra a dimostrare e diffondere la fedeltà nei confronti della monarchia. Tra gli obiettivi dei volontari c'è quello di far piangere di commozione le persone a cui parlano del re, anche quando si tratta di bambini nelle scuole. Neanche ai tempi della monarchia assoluta, finita nel 1932, si faceva una cosa del genere. Dal 1932 ad oggi ci sono stati 12 colpi di stato organizzati dall'esercito.

L'Unione Europea ha ripreso l'anno scorso le trattative commerciali con la Thailandia, interrotte dopo il colpo di stato del 2014. Sarebbe ora che pretendesse qualcosa di più per poter commerciare con questo Paese.

 

Più di cento artisti, tra cui Sting, Elton John, Bob Geldof, Brian May dei Queen, Robert Plant dei Led Zeppelin, Peter Gabriel, Liam Gallagher ed Ed Sheeran, hanno accusato il governo britannico di aver reso la vita impossibile ai musicisti e agli artisti in generale che si esibiscono in tour in Europa, soprattutto ai giovani emergenti, che stanno già lottando per restare a galla a causa del divieto di musica dal vivo dovuto alla pandemia di Covid-19. Chiedono un visto speciale per una libera circolazione, altrimenti molti dovranno rinunciare a suonare in Europa.

Infatti Londra e Bruxelles non sono riuscite a raggiungere un accordo specifico per il settore. Gli artisti inglesi in un tour musicale europeo sono costretti a costosi permessi di lavoro e a una montagna di documenti per la loro attrezzatura: i costi extra renderanno impraticabili molti tour.

In particolare gli artisti e il personale tecnico hanno ora bisogno di visti separati per ogni Paese in cui vorranno fare il tour, nonché di permessi di 350 sterline per strumenti musicali e altre attrezzature. Gli autotrasportatori che trasportano attrezzature di scena potranno andare solo in tre città. In questo modo i costi saliranno e l'organizzazione sarà molto più difficile.

L'Unione dei musicisti ha chiesto la creazione di un “passaporto dei musicisti” che duri almeno due anni, dai costi ridotti o nulli, che comprenda tutti gli Stati membri della UE e che possa essere usato anche dai membri dello staff degli artisti, dai tecnici e da tutto il personale necessario per portare a termine un tour.

Secondo quanto rivelato dall'“Independent” e sostenuto anche da funzionari comunitari, sarebbe stato il Regno Unito a rigettare l'offerta europea che prevedeva la possibilità per gli artisti per 90 giorni non solo di girare per tutta Europa, ma anche di non dover richiedere permessi speciali per contratti di lavoro legati al tour.

Ecco un altro bel risultato della Brexit! In questi giorni infatti si sta parlando delle imprese di pesca britanniche, che hanno subito ritardi alla frontiera nell'attività di esportazione di prodotti freschi, a causa dell'applicazione di più rigide regole sull'importazione in Europa, tanto da costringere alla distruzione di alcune spedizioni perché non più fresche.

Le imprese scozzesi hanno già organizzato una protesta per il modo in cui la Brexit ha gravemente interrotto le loro esportazioni di prodotti ittici, guidando più di 20 camion attraverso il centro di Londra con lo slogan: “Governo incompetente distrugge l'industria dei molluschi!”

I ritardi alle dogane, la carenza di personale addetto al controllo di igiene ambientale del Regno Unito e l'applicazione estremamente rigorosa delle nuove regole d'importazione della UE, di fronte a cui il personale britannico si è dimostrato del tutto impreparato: ecco, la burocrazia sta uccidendo l'economia della Gran Bretagna.

La pratica precedente consentiva di inviare pesce nella UE in casse di plastica aperte. Ora, però, questo sistema è stato respinto dalle autorità comunitarie, le quali richiedono che i prodotti dei cosiddetti Paesi terzi siano collocati in scatole di polistirolo sigillate, il che naturalmente ha un costo aggiuntivo. Si fa strada la proposta di un sostegno alle imprese colpite per almeno 23 milioni di sterline.

Commerciare con l'Europa diventa un problema enorme. Cosa credevano gli inglesi, che li avremmo favoriti solo perché appartengono geograficamente al continente?

 

Il primo ministro della Mongolia, Khurelsukh Ukhnaa, si è dimesso a seguito delle proteste che si sono scatenate per il trattamento subìto da una giovane mamma positiva al Covid.

Come l'aveva trattata il personale sanitario? Frettolosamente l'aveva trasferita dall'ospedale dove aveva partorito a un centro per malattie infettive per la quarantena, mentre indossava solo un pigiama e delle pantofole di plastica, nonostante le temperature nel Paese fossero scese di parecchio.

Ma ciò che ha più scatenato le critiche sono state le immagini della donna in ambulanza che stringe il suo bambino. Questo perché la tradizione mongola impone alle neo-mamme di evitare di uscire al freddo durante il primo mese dopo la nascita del figlio.

Quando il premier ha visto che fuori dai palazzi del governo della capitale Ulan Bator, si erano raccolti circa 5.000 manifestanti a protestare, ha deciso di dimettersi.

Non l'ha fatto solo lui, ma anche il vice primo ministro (a capo della commissione nazionale di emergenza che si occupa della pandemia), nonché il ministro della Salute e il direttore dell'Ospedale che ospita la donna.

E pensare che dall'inizio della pandemia, la Mongolia, grazie ai severi controlli alle frontiere, ha registrato solo 1.584 casi e solo due morti!

La Mongolia, che fu del terribile Gengis Khan, presenta aspetti di etica e di sensibilità democratica assai rari al giorno d'oggi. Coi disastri che han fatto Fontana e Gallera in Lombardia, avrebbero dovuto, come minimo, suicidarsi.

 

Chissà perché il nuovo presidente USA, Joe Biden, ha una fretta così incredibile di rimediare ai guasti provocati dall'amministrazione Trump. Che tema un qualche attentato? O ci tiene a far vedere che non è il vecchietto che sembra?

Infatti ha firmato nel giro di poche ore ben 17 decreti!

Ha introdotto l'obbligo della mascherina anti-Covid al chiuso e sui mezzi di trasporto pubblico e il rispetto del distanziamento sociale. Ha naturalmente fatto rientrare gli USA nell'Organizzazione mondiale della sanità. Trump, da spaccone qual era, aveva sottovalutato completamente la pandemia, che nel Paese ha provocato più morti di quelli avuti durante la seconda guerra mondiale. Ed è stato soprattutto questo a fargli perdere il secondo mandato.

Gli altri decreti riguardano:

– la proroga della moratoria sia sugli sfratti che sui pagamenti degli interessi per i prestiti federali agli studenti;

– la revoca del divieto d'ingresso negli USA ai cittadini di alcuni Paesi musulmani (Iran, Libia, Somalia, Siria e Yemen, oltre a quelli provenienti dal Venezuela e dalla Corea del Nord);

– lo stop al muro col Messico e alle espulsioni degli immigrati clandestini che sono arrivati negli USA da bambini. Biden vuole annullare anche le iniziative legali intraprese da Trump che prevedono l'esclusione dal censimento statunitense di tutti gli immigrati non provvisti di regolari documenti ma che risiedono negli USA.

Poi ha deciso di far rientrare il Paese negli accordi di Parigi sulla lotta al cambiamento climatico (Biden vuole che le emissioni nette americane siano azzerate entro il 2050).

Per questo motivo ha bloccato la costruzione dell'oleodotto Keystone XL, che avrebbe dovuto collegare il Canada al Golfo del Messico. Questo decreto ecologista non piacerà di sicuro al Canada, che, grazie soprattutto alla provincia dell'Alberta, è diventato il quarto maggiore produttore di greggio del pianeta.

Il Keystone XL è un progetto fondamentale per lo sviluppo del settore energetico canadese (petrolio, gas e minerali) che vale l'8% del PIL, ma il 27% di quello dell'Alberta.

È un oleodotto lungo 1.900 km e dalla capacità di trasporto di 830.000 barili di petrolio al giorno, per un costo stimato inizialmente in 8 miliardi di dollari. Dovrebbe collegare la città di Hardisty nell'Alberta fino a Steele City in Nebraska, passando attraverso gli stati di Montana e South Dakota. Da Steele City la condotta potrebbe allacciarsi alle tubature già esistenti, permettendo così il trasporto del greggio canadese fino alle raffinerie americane sulla costa del golfo del Messico.

Il Keystone XL aveva ricevuto l'approvazione delle autorità canadesi già nel 2010. Tuttavia nel 2015 l'allora presidente Obama l'aveva bloccato per motivi ecologici. La decisione venne ribaltata nel 2017 da Trump, che invece lo riteneva positivo per l'occupazione e per il benessere delle economie locali.

Biden non vuole neppure discutere col governo canadese, perché sa bene che l'opera incarna la ritrosia degli USA a distanziarsi dalle fonti fossili. Eppure la provincia dell'Alberta ha investito già 1,1 miliardi di dollari nel progetto e non vuole che vadano in fumo.

È anche vero però che il petrolio prelevato dai giacimenti dell'Alberta è un bitume denso e viscoso. Il processo di estrazione è complicato e richiede il consumo di molta energia: si stima che un barile di bitume produca il 30% di emissioni di gas serra in più rispetto a un barile di petrolio convenzionale.

 

Sulla colonizzazione francese e la guerra di Algeria tra 1954 e 1962 niente scuse da parte del presidente Emmanuel Macron, che opterà invece per atti simbolici in segno di riconciliazione, che sono comunque necessari, in quanto da allora non si sono mai completamente normalizzati i rapporti bilaterali.

Cosa intende per “atti simbolici”? P.es. farà entrare al Pantheon le spoglie dell'avvocatessa femminista Gisèle Halimi (che però era una ebreo-tunisina deputata francese); farà inserire nei programmi scolastici maggiori elementi sulla storia di Francia in Algeria (in che senso?); darà il via liberà alla costruzione di un monumento commemorativo ad Amboise dell'emiro Abd el-Kader (che però morì nel 1883 e che aveva già avuto la Legion d'onore per aver compreso la “vocazione civilizzatrice della colonizzazione”); faciliterà l'accesso agli archivi sulle due sponde del Mediterraneo (ma Fernand Braudel per scrivere i suoi capolavori di storia poté consultare tranquillamente gli archivi algerini); finanzierà la cura delle sepolture dei soldati algerini musulmani “morti per la Francia” (sic!).

Macron – ha riferito un consigliere dell'Eliseo – “vuole guardare in faccia la storia poiché vuole costruire, sfruttando questa storia, una memoria che sia quella dell'integrazione repubblicana. Vuole che sia condivisa da tutti i cittadini che compongono il nostro Paese, qualunque sia la loro cultura o la loro origine”.

Ma così dimostra di non capire la sensibilità del popolo algerino, che avendo fatto come tale quella guerra di liberazione nazionale, ha bisogno di scuse ufficiali e non solo di gesti simbolici dal sapore intellettuale e strumentale, come quando, durante la campagna per le presidenziali del 2017, cioè mentre cercava consensi elettorali, Macron visitò l'Algeria parlando di “crimine contro l'umanità”.

Di fronte a 1,5 milioni di algerini morti, di cui la stragrande maggioranza civili, Macron non può dire che “il tempo delle polemiche e dei dibattiti semantici è superato” ed è giunta l'ora di “fare nazione”, motivo per cui “il pentimento sarebbe vanità mentre il riconoscimento è verità e la verità si esprime attraverso atti concreti”. Non può dire questo quando la Francia in Africa continua a controllare, derubare e impoverire 14 Stati, un tempo sue colonie, diventate indipendenti negli anni '60, ma soltanto sulla carta. Sono circa 500 miliardi di dollari l'anno. Stiamo parlando di Stati dell'area subsahariana e del Centro Africa, con una popolazione di circa 160 milioni di unità, per i quali la moneta ufficiale è il franco Cfa, coniata e stampata in Francia, paese che ne ha stabilito tutte le caratteristiche e ne detiene il monopolio. Il primo vincolo del franco Cfa consiste nell'obbligo per i 14 Paesi che ne fanno uso di depositare il 50% delle loro riserve monetarie presso il Tesoro francese. Ecco il loro elenco: Camerun, Ciad, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo, Benin, Burkina Faso, Costa d'Avorio, Guinea Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo.

 

[23] Parental control. Reato di tortura. USA, Siria. Migranti climatici. Riciclare rifiuti. Italia, cannabis

 

Il Garante per la protezione dei dati personali ha disposto nei confronti di Tik Tok il blocco immediato dell'uso dei dati degli utenti per i quali non sia stata accertata con sicurezza l'età anagrafica. Ha deciso questo a seguito della terribile vicenda della bambina di 10 anni di Palermo, trovata dal padre morta soffocata dalla cintura dell'accappatoio stretta attorno al collo e attaccata a un termosifone del bagno, mentre partecipava a una assurda sfida a chi resiste di più stringendosi attorno alla gola una cintura (black-out challenge), molto in voga sul social cinese Tik-Tok.

Dal suo cellulare, che ha registrato il momento della sua morte, è risultato che la bambina aveva diversi profili su FB e Tik-Tok.

Ora la polizia dovrà stabilire se qualcuno ha contattato la bimba per coinvolgerla nel folle gioco. Intanto si indaga a carico di ignoti per istigazione al suicidio. Gli psicologi puntano sulle assurde competizioni, sulla solitudine dei soggetti più deboli e altre cose scontate. Lo zio della bambina ha detto che hanno chiamato il 118 ma rispondeva una registrazione, poi la corsa in auto in ospedale. I genitori han deciso di donare gli organi della figlia in coma irreversibile.

Una domanda però viene spontanea: che ci faceva una bambina di 10 anni con un cellulare in grado di collegarsi abitualmente col mondo intero? Possibile che ancora non si sia capito che il mondo virtuale della rete può essere molto pericoloso? Lo è per gli adulti, per tantissime ragioni. Per quale ragione non dovrebbe esserlo per i bambini?

Negli smartphone regalati ai bambini (se proprio vogliamo farlo) bisogna mettere severe restrizioni nelle impostazioni generali, proprio per garantire il controllo al genitore di cosa fa il figlio su Internet. Oppure si installa un app ad hoc, come p.es. Spazio Bimbi Parental Control. Anche nei browser esiste la possibilità di interdire la visione di certi siti. Persino nelle smart TV è previsto il parental control.

Non diamo in mano delle Ferrari a chi non sa usare neppure un motorino.

 

Un agente in servizio presso il carcere di Ferrara è stato condannato per tortura aggravata in quanto commessa da un pubblico ufficiale. È la prima volta dopo l'introduzione del reato di tortura nel codice penale, avvenuto con la legge n. 110/2017.

Il reato di tortura è stato una conseguenza delle violenze commesse dalle Forze di polizia durante il G8 di Genova del 2001. Prima di allora i responsabili venivano incriminati per reati generici, punibili con pene lievi, sempre che il reato non andasse in prescrizione, come spesso succede in Italia. Oppure la tortura era oggetto di repressione penale in quanto crimine di guerra, entro limitati ambiti applicativi.

Non a caso il nostro Paese era stato più volte condannato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per l'impunità del reato, oltre che per le torture in sé (in relazione non solo ai fatti di Genova ma anche allo stato dei detenuti e alle detenzioni abusive nei Centri di identificazione e espulsione dei migranti).

Ora la prima condanna di un pubblico ufficiale dimostra che contro gli abusi di potere si può fare affidamento sulla legge e sui giudici, senza doversi nascondere dietro gli eufemismi.

 

Joe Biden ha spedito un convoglio militare formato da 40 camion e numerosi veicoli blindati per invadere la Siria nord orientale, scortato da caccia, elicotteri e centinaia di soldati. Lo rivela l'agenzia siriana Sana, che parla di una grande quantità di armi e attrezzature logistiche che sono state trasferite nelle basi nelle province di Hasakeh e Deir Ezzor, nel governatorato di Al-Hasakah. La notizia è stata rilanciata dal canale televisivo israeliano i24news, secondo cui il convoglio sarebbe entrato in Siria dall'Iraq, tramite il valico di al-Waleed.

L'agenzia Sana riferisce anche che circa 200 truppe statunitensi sono arrivate nella provincia di Hasakeh per schierarsi nei vicini campi petroliferi, coi curdi che controllano la zona orientale ricca di risorse energetiche. Naturalmente il pretesto è che una presenza militare limitata serve a garantire che l'Isis non rialzi la testa.

Ma l'elezione di Biden nella “narrazione” dei media non era stata descritta come una rottura col passato delle “guerre senza fine” di George W. Bush e Barack Obama? Stai a vedere che in politica estera Biden ci farà rimpiangere Trump, che in effetti non aveva avviato alcuna guerra. A dir il vero però Biden, sin da quando era vicepresidente durante l'amministrazione Obama, fu tra i più attivi sostenitori della necessità di aiutare l'opposizione ad Assad. Quindi in un certo senso è coerente. Peccato che ancora non riesca a capire la differenza tra URSS e Russia.

 

Lo scorso 18 dicembre sono stati approvati i nuovi decreti sicurezza. Tra le varie novità introdotte nel testo c'è il riconoscimento dei “migranti climatici”. In effetti solo nel 2018, secondo i dati dell'Internal Displacement Monitoring Centre, ben 17,2 milioni di persone sono state costrette a migrare a causa di eventi climatici estremi.

La maggior parte di queste persone proviene da Africa e Sud America ma anche dal Bangladesh, zone in cui i danni causati da fenomeni meteorologici estremi si vanno a sommare a criticità socio-economiche già consistenti.

Ne è un esempio lampante quanto sta accadendo nel Sahel a causa della forte espansione della desertificazione. Un recente studio, uscito sulla rivista internazionale “Environmental Research Communications”, ci dice che proprio dall'area del Sahel provengono 9 su 10 migranti che arrivano nel nostro Paese attraverso la rotta mediterranea e che la prima causa di flussi migratori verso l'Italia è rappresentata proprio da fenomeni legati ai cambiamenti climatici.

Quando nel 1951 venne approvata la Convenzione di Ginevra si stabilì che la condizione di rifugiato venisse riconosciuta a chi si trovava costretto ad attraversare una frontiera internazionale “a causa del timore fondato d'essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per un'opinione politica”. Ma questo indusse i Paesi a considerare i migranti climatici alla stregua di quelli economici, riservandosi dunque la facoltà di respingerli.

Garantire protezione umanitaria a chi fugge dalle conseguenze devastanti generate dalla crisi climatica significa invece acquisire coscienza dei cambiamenti che il surriscaldamento globale sta comportando non solo a livello ambientale, ma anche a livello sociale e comunitario.

Secondo lo scienziato britannico Norman Mayer il numero di persone coinvolte in questo tipo di migrazioni è destinato a salire fino a 200-250 milioni entro il 2050. Un intervento in materia di diritto internazionale sarebbe fondamentale per gestire in maniera adeguata un fenomeno che è già realtà e che può peggiore drasticamente anche se le temperature terrestri aumentano di “un solo” grado.

 

Immaginate una linea lunga 125 km, fatta di rifiuti elettronici: cellulari, computer, stampanti, televisori. È quello che si otterrebbe se mettessimo in fila i 53,6 milioni di tonnellate di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, prodotte a livello globale nel 2019.

A stimarlo è il “Global e-waste monitor”, che evidenzia anche come ad essere riciclati sono solo il 17% di questi rifiuti, mentre la restante parte finisce perlopiù per essere smaltita in modi altamente dannosi per l'ambiente e di conseguenza per la salute dell'uomo.

A rimetterci più di ogni altri sono i Paesi in via di sviluppo. Come accade per la plastica, che i Paesi più ricchi – in primis gli Stati Uniti – esportano prevalentemente verso l'Asia, così accade anche per i rifiuti elettronici.

In una recente lettera di denuncia, diramata su “The Conversation” i ricercatori africani Ifesinachi Okafor-Yarwood della University of St Andrews e Ibukun Jacob Adewumi (esperto di Marine mangament e blue economy), l'Africa sta vivendo sempre di più una nuova forma di “razzismo ambientale”, legata allo smaltimento di questa tipologia di rifiuti. Nel corso degli ultimi anni, infatti, sempre più apparecchi elettrici o elettronici in disuso sono finiti in questo continente, dove, con costi estremamente ridotti, i Paesi più ricchi riescono a smaltirli attraverso l'incenerimento, senza tenere alcun conto degli enormi danni che i fumi tossici sprigionati dai roghi stanno causando alla salute delle persone.

Emblematico in questo senso resta quanto accaduto in Costa d'Avorio nel 2006, quando la multinazionale Trafigura, per evitare una spesa di 515.690 di euro per smaltire svariate tonnellate di rifiuti elettrici, decise di farlo fare a un imprenditore locale di Abidjan, che li fece bruciare in diversi siti del Paese, danneggiando la salute di migliaia di persone, causando la morte di molte altre (30.000 vittime nel breve periodo e più di 100.000 nel lungo periodo) e finendo per contaminare diverse aree.

In questi Paesi sono in molti a vivere di lavori che hanno a che fare con lo smaltimento di rifiuti (nella sola Nigeria si parla di circa 100.000 persone) e lo fanno senza alcuna forma di tutela e di sicurezza.

Gli studiosi che per primi hanno portato alla luce questo grave problema insistono sull'urgenza di ratificare la Convenzione di Bamako, adottata dai Paesi africani proprio con l'intento di proibire l'importazione e il movimento transfrontaliero di materiali pericolosi e invitano le Nazioni Unite a riconoscere lo scarico di rifiuti pericolosi come una violazione dei diritti umani.

Bisogna far presto perché le stime fornite dal “Global e-waste monitor” ci dicono che di questo passo arriveremo a produrre 74 milioni di rifiuti elettrici entro il 2030. L'aumento vertiginoso è certamente legato alla smania di acquistare prodotti sempre più all'avanguardia tipica del nostro tempo, ma vede anche come principale responsabile il fatto che questi prodotti sono programmati per durare solo un breve lasso di tempo, terminato il quale li gettiamo via, pronti a comprarne di nuovi. Lo vediamo in questi giorni in cui continuamente ci dicono che i nostri televisori devono essere aggiornati al nuovo digitale terrestre, altrimenti non vedremo più nulla.

Per questo diventa sempre più importante attivare meccanismi di riciclo e di recupero dei prodotti dell'elettronica. Possiamo rischiare di morire sommersi dai nostri rifiuti?

 

La cannabis a basso contenuto di THC, che rilassa ma non “sballa”, ha creato un giro d'affari molto appetibile. Ma la legge non è chiara: cosa rischiano produttori e consumatori? E soprattutto, quali sarebbero le conseguenze di un ritorno in grande stile della canapa in Italia?

Da noi sono ammesse solo determinate varietà di canapa, non è permesso “giocare” con gli ibridi e dare sfogo alla creatività. Quindi per ottenere, ad es., un'infiorescenza di cannabis senza semi, con livelli molto alti di CBD, pochissimo THC e profumata al prosciutto o alla carbonara che sia, è necessario importarla da altri Paesi.

La legalizzazione della cannabis light, a basso contenuto di THC, si muove in un vuoto normativo, nel senso che bisognerebbe acquistarla nei negozi specializzati, non aprire la confezione finché non si è in casa (perché se ci fermano durante il viaggio con la scatolina violata potrebbero esserci problemi a dimostrare che non ci si è “ricreati” con essa) e, una volta in salotto, appoggiarla sulla mensola del camino, utilizzandola come oggetto da arredamento o al massimo per profumare gli ambienti. Questo perché, tecnicamente, fumarla resta ancora un illecito.

Produttori e distributori rischiano ancora di più. Basta un semplice sospetto e le autorità intervengono: non si contano i sequestri, i fermi, le grane e le perdite in generale toccate a chi si è addentrato e ha investito i suoi risparmi in questo settore.

La canapa light infatti ha avuto una grave battuta d'arresto grazie a Salvini, che quand'era ministro dell'Interno nel Conte I, emanò una circolare che quasi uccise il mercato di questa sostanza. Lui che ne assume un'altra col suo rosario in mano!

Fu proprio lui, nel 2018, ad abbassare il limite di THC allo 0,5%, bloccando di fatto i nuovi raccolti, che infatti rimarranno invenduti di fronte alla minaccia di sequestri e denunce a piede libero. Non soddisfatto, tornò alla carica nel maggio 2019 imponendo una distanza dei punti vendita di cannabis light dai “luoghi sensibili” al consumo: scuole, ospedali, centri sportivi, ritrovi giovanili.

Ma perché questa pianta fa così paura? Perché la canapa può sostituire la carta, la plastica, il combustibile, alcuni materiali per l'edilizia e un milione di altre cose: il tutto a zero impatto economico e per l'ambiente. Ecco perché Salvini non capisce nulla né di ecologia né di economia, pur blaterando di continuo che fa gli interessi del suo Paese.

Il bello è che non capisce niente neanche di medicina. Infatti la stessa OMS ha detto nel 2017 che la cannabis ha numerosi effetti benefici e può essere utile per alleviare alcuni problemi di salute, grazie alle sue proprietà analgesiche, ansiolitiche, antinfiammatorie e antidepressive: in particolare è indicata per l'epilessia, la schizofrenia, le infiammazioni dell'intestino (le coliti ulcerose e il Morbo di Chron), gli stati d'ansia, l'insonnia, la nausea e il vomito.

Un Paese pieno di colture di canapa utilizzate a pieno regime e in tutte le sue applicazioni avrebbe incredibili vantaggi per la salute, per l'ambiente e per le tasche dei consumatori. Può la destra accettare una disgrazia del genere? No, lo sappiamo bene. Quel che non sappiamo è perché la sinistra non si faccia sentire.

 

[24] ONU, nucleare. Brexit. Criptovalute

 

Grazie alla Campagna Internazionale per abolire le armi nucleari, che ha ricevuto il premio Nobel per la Pace nel 2017 e il Movimento Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, il 22 gennaio 2021 è entrato in vigore, avendo raggiunto le 50 ratifiche, il Trattato Onu per la Proibizione delle Armi Nucleari, già elaborato nel 2017. Dopo oltre 70 anni dal loro primo utilizzo gli armamenti nucleari diventano illegali secondo una norma internazionale.

Al momento il Trattato è stato firmato da 86 nazioni e ratificato da 51 Stati: nella UE hanno aderito solo Austria, Irlanda, Vaticano, Malta e San Marino.

I Paesi nucleari refrattari sono una decina: Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna, Pakistan, India, Israele e Corea del Nord. Anche l'Italia, che pur dispone di almeno 70 ordigni nucleari (basi di Ghedi, BS e Aviano, PN), ha deciso di non firmare il Trattato. Per spronare il nostro Paese a rivedere la sua posizione è stato lanciata la campagna “Italia, ripensaci”, promossa dalla Rete Italiana Pace e Disarmo e Senzatomica. Ma non è servito a nulla. Eppure secondo un sondaggio condotto nel 2020 da YouGov, l'87% degli italiani sarebbe favorevole all'adesione al Trattato. A quanto parte la NATO pesa sulla nostra testa come un macigno: non a caso decine di bombe atomiche B61 stanno per essere sostituite dalle più micidiali B61-12. Inoltre vi è la possibilità che vengano installati sul nostro territorio i missili nucleari a raggio intermedio (analoghi agli euromissili degli anni '80), che gli USA stanno costruendo dopo aver stracciato il Trattato INF che li proibiva.

Il nostro Paese ha già violato il Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari, ratificato nel 1975, che stabiliva: “Ciascuno degli Stati militarmente non nucleari, parte del Trattato, si impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari, né il controllo su tali armi, direttamente o indirettamente”.

Questo Trattato ONU fa entrare in vigore quello del 2017, già boicottato dai 30 Paesi della NATO e dai 27 della UE, il quale include una serie di divieti relativi alla partecipazione a qualsiasi attività che preveda le armi nucleari. Vieta ai Paesi aderenti di “sviluppare, testare, produrre, acquisire, possedere, accumulare, utilizzare o minacciare di utilizzare le armi nucleari”. Inoltre il Trattato proibisce la fornitura di assistenza a qualsiasi Stato nello svolgimento di attività vietate. Infine obbliga gli Stati firmatari a fornire un'assistenza adeguata alle persone colpite dall'uso o dalla sperimentazione di armamenti nucleari. Nel 2017 vi aderirono, in via di principio, 122 Stati. Gli USA e le altre due potenze nucleari della NATO (Francia e Gran Bretagna), gli altri Paesi dell'Alleanza atlantica e i suoi principali partner – Israele, Giappone, Australia e Ucraina – votarono contro.

Questa decisione dell'ONU è stata possibile grazie all'impegno dei Paesi in via di sviluppo, tra cui soprattutto quelli che hanno subìto nel passato i test nucleari sul proprio territorio, come le Isole Fiji, le Isole Marshall, Nauru, ma anche Kazakistan, Algeria ecc.

Si è insomma capito che la dottrina della deterrenza, secondo cui non è possibile compiere una guerra nucleare per timore di una ritorsione nucleare del nemico, è inutile, anzi fuorviante, poiché non è in grado di assicurare che chi dispone di tali armi non sia mai disposto a utilizzarle. Tant'è che quasi tutti i Paesi che ne dispongono contano sul fatto di poterle utilizzare per primi, mettendo in ginocchio la capacità difensiva del nemico.

Solo la Cina ha ribadito più volte (come aveva fatto, a suo tempo, l'URSS) che non l'avrebbe mai usata per prima. Oggi l'India a volte è sulle posizioni della Cina, altre volte invece, temendo il rivale Pakistan, che è favorevole al primo colpo, ha detto che solo nei confronti dei Paesi denuclearizzati non ricorrerà al primo colpo. Nella Corea del Nord Kim Jong-un ha detto che non la userà se non per difendersi da un'invasione.

Pakistan, Russia, Regno Unito, Stati Uniti e Francia affermano, in maniera puramente teorica, che useranno armi nucleari contro potenze nucleari o non nucleari solo in caso d'invasione o altro attacco contro il proprio territorio o contro uno dei loro alleati. Ma al 16° vertice NATO nell'aprile 1999 la proposta della Germania di adottare una politica “No first use” fu respinta. Lo stesso Regno Unito si rifiuta di dire se ha una politica di “primo colpo nucleare” o di mera ritorsione, poiché non vuol far sapere ai suoi avversari come ha intenzione di usare quest'arma. Gli Stati Uniti si rifiutano di adottare una politica di non primo colpo, anche se sostengono che una decisione militare del genere deve sottostare a una decisione politica. Israele non conferma ma neppure nega ufficialmente di avere armi nucleari, per cui si riserva di agire come vuole. La Francia rifiuta l'attacco nucleare preventivo.

Sia come sia il Paese che la possiede può sempre assumere impunemente un atteggiamento minaccioso nei confronti di chi non la possiede. Non si accetta l'idea che vi è più sicurezza nel disarmo di tutti che non nell'avere armi più potenti del nemico.

Wikipedia afferma che da una punta massima di 65.000 testate nucleari attive nel 1985, si è passati a circa 17.300 alla fine del 2012, di cui 4.300 operative e il resto in riserva. La distinzione tra testate “operative” e “in riserva” è molto esile, visto che le seconde possono essere portate a livelli operativi nel giro di pochi giorni o settimane.

 

Il governatore della Banca di Francia, Francois Villeroy de Galhau, ha fatto notare che si sono già trasferiti dal Regno Unito, a vantaggio di Parigi, circa 2.500 posti di lavoro, mentre una cinquantina di entità britanniche hanno autorizzato il trasferimento in Francia di almeno 170 miliardi di euro di attività già alla fine del 2020, cioè nello stesso periodo in cui i rappresentanti di Londra e Bruxelles erano ancora impegnati al tavolo negoziale per concludere il faticoso accordo.

Insomma stanno fuggendo a gambe levate banche, assicurazioni e imprese di vario tipo. Alla faccia dei nostri sovranisti e antieuropeisti, che guardavano la Brexit con invidia e prospettavano un'Italexit.

 

Janet Yellen, ex governatrice della Federal Reserve e prossima segretaria del Tesoro, interrogata dai membri della Commissione Finanze, ha negato che il debito pubblico negli USA sia un problema, pur essendo salito a 27.000 miliardi di dollari e tendendo a 29.000 miliardi col nuovo piano da 1.900 miliardi del nuovo governo Biden a sostegno dell'economia, chiaramente tutto in deficit.

Eppure, quando era ancora alla guida della prima banca centrale del pianeta, la stessa Yellen aveva dichiarato che gli allora 20.000 miliardi di debito USA erano molto preoccupanti.

È normale continuare a imbastire le politiche economiche a colpi di deficit e tassi azzerati? Dov'è l'alternativa ai governi precedenti? Lo sviluppo delle criptovalute non è forse una conseguenza della convinzione che sta per scoppiare una nuova pandemia finanziaria, quella del debito?

È vero, le criptovalute si prestano a essere usate per finanziare operazioni di terrorismo e per il riciclaggio di denaro sporco. Ma è anche vero che la loro crescita esponenziale è un segno della sfiducia nei confronti del sistema finanziario americano. La loro attuale capitalizzazione è sui 700 miliardi di dollari. Ormai è impossibile non tenerne conto, non foss'altro perché gli stessi Bitcoin e le altre 2.237 criptovalute rischiano di diventare una nuova gigantesca bolla finanziaria.

All'inizio Bitcoin voleva essere una (cripto) moneta internazionale indipendente dai governi e dalle banche centrali, soprattutto dopo la crisi del 2008. Oggi però il Bitcoin è diventato principalmente uno strumento per fare speculazione, cioè per ottenere un guadagno dalle forti fluttuazioni del suo valore nel tempo.

Tuttavia le speculazioni non dovrebbero essere considerati degli investimenti. Nella speculazione c'è una scommessa soggettiva, una speranza sul valore futuro legata a previsioni su come si comporteranno gli altri speculatori. È un rischio folle, che abbiamo già pagato duramente coi tanti crack borsistici. Gli investitori più seri, come p.es. i fondi pensione, non allocano risorse a questi strumenti, che non generano flussi di cassa affidabili.

Non s'inventano le monete dal nulla o su percezioni psicologiche o su miraggi di guadagni immediati. Per essere efficace una moneta deve essere stabile e soprattutto deve permettere un numero elevato di transazioni contemporanee. Nessuna criptovaluta può garantire queste cose. È assurdo pensare che il virtuale possa sostituire il reale. O che il virtuale possa sopravvivere se crolla il sistema finanziario mondiale.

A giorni partirà una nuova criptovaluta, Diem, quella di Facebook, che però, pur avendo oltre 2,5 miliardi di utenti, sarà agganciata al dollaro.

 

[25] Brexit. Suprematismo bianco. Demografia europea. Empatia canina

 

Sul “Guardian” del 23 gennaio un art. su Christophe Fricker spiega bene gli effetti nefasti della Brexit.

L'accademico tedesco tiene lezioni nella sua lingua all'Università di Bristol e adora vivere in Inghilterra. Nel 2018 ha scritto un libro intitolato 111 motivi per amare l'Inghilterra.

Essendo a corto di copie del suo libro da distribuire agli amici, Fricker ha contattato il suo editore a Berlino per chiedergli di spedirne altri. Ma quello ha risposto che, a seguito di nuove regole, regolamenti e costi derivanti dalla Brexit, aveva deciso di non esportare più libri nel Regno Unito, nemmeno il suo!

Fricker ha dovuto amaramente constatare quanto fosse ridicola la promessa dei conservatori, quando sostenevano che con la Brexit non sarebbe cambiato nulla nei rapporti con la UE.

Poi ha aggiunto: “La mia preoccupazione è che se ci sono problemi col commercio transfrontaliero, diventa più difficile per le piccole imprese operare (anche solo per scambiarsi beni culturali), quindi gli affari andranno tutti a grandi aziende come Amazon”.

Insomma ci ricordiamo tutti cosa diceva Boris Johnson: le imprese ora saranno libere di commerciare come vogliono; tra la UE e il Regno Unito continuerà il libero scambio. Sembra una di quelle barzellette della “Settimana enigmistica”, che porta la dicitura “Le ultime parole famose”.

Ora invece agli equipaggi di pesca, che si lamentano delle lentezze alle dogane, e ai musicisti britannici, che si lamentano dei restrizioni sui visti, si uniscono anche gli editori. Anzi il giornale scrive che le piccole imprese si sentono completamente deluse e si chiedono se riusciranno a sopravvivere.

Le piccole imprese che impiegano meno di 50 persone non sono poche, ma quasi 6 milioni e rappresentano la maggior parte del PIL del Regno Unito. Loro hanno capito subito che dal 1° gennaio ogni più piccola spedizione è soggetta a un addebito, a partire dal pagamento anticipato dell'IVA come condizione per ottenere lo sdoganamento. In questa maniera si fa presto a perdere i clienti della UE. L'unica alternativa praticabile per un'azienda inglese è costituire una filiale nella stessa UE, spedire tutte le sue merci una volta alla settimana per evitare ritardi e pagamenti individuali legati alla Brexit e distribuire le sue merci da lì. Ciò naturalmente deve essere fatto a breve termine e non senza costi significativi. Assumere del personale che gestisca la filiale comporterà il licenziamento di qualcuno nella sede principale. D'altra parte le piccole aziende inglesi non sono in grado d'interrompere tutto l'export verso la UE.

Anche i primi 20 giorni di scambi tra l'Irlanda del Nord e la Gran Bretagna, dall'accordo sulla Brexit, sono stati un disastro assoluto: aziende nell'Irlanda del Nord stanno perdendo 100.000 sterline a settimana per i ritardi alle frontiere e i controlli supplementari ai porti.

 

Che cos'è il suprematismo bianco italiano? È un gruppo di matrice neonazista, cioè razzista, antisemita, antislamico, anticomunista e antifemminista.

L'arresto di pochi giorni fa a Savona del 22enne Andrea Cavalleri ha scoperchiato anche nel nostro Paese quel calderone afferente al mondo dell'estrema destra eversiva, che in Germania (soprattutto in Sassonia) e anche negli USA suscita una certa preoccupazione.

Il ragazzo, al tempo del liceo classico di Savona, era attivamente impegnato con l'Istituto per la Resistenza. Aveva ottenuto persino un viaggio premio ad Auschwitz con la scuola. Il suo tema era stato il migliore dell'istituto. In cinque anni è completamente cambiato.

In Italia esiste l'organizzazione Nuovo Ordine Sociale, che si ispira a un'altra organizzazione suprematista, la AtomWaffen Division, nata nel 2015 nel sud degli Stati Uniti.

Questi suprematisti puntano non solo a istigare alla violenza ma anche a preparare attentati. Morire combattendo è un onore. Obiettivo principale quello di eliminare lo Stato di Israele.

Gli appartenenti al movimento italiano si incontravano soprattutto su Telegram, in quanto erano stati espulsi da Facebook. Il canale si chiamava “Sole Nero”, cui erano iscritte oltre 400 persone. Le abitazioni di 12 persone sono state perquisite a Genova, Torino, Cagliari, Forlì, Cesena, Palermo, Perugia, Bologna e Cuneo.

Si ispirano alle famigerate Waffen-SS, una delle forze armate più feroci del Reich per via del loro forte antisemitismo e della loro forza militare sul campo.

È noto che i suprematisti americani vogliono fare pulizia etnica contro i non-bianchi e sovvertire il Governo Federale con atti di guerriglia. Sono ritenuti responsabili dell'assassinio di diverse persone, e sono guidati da idee che flirtano anche col satanismo, il cospirazionismo e il negazionismo. Hanno come propri numi tutelari non solo Adolf Hitler e il criminale Charles Manson, ma anche il leader neonazista Joseph Tommasi e pure la sua omologa francese Savitri Devi. Trump non li ha mai condannati in maniera esplicita. Anzi ha sostenuto i Proud Boys, altro gruppo di estrema destra, dicendo che tutti i disordini sociali sono causati dai radicali di sinistra.

Stragi come quelle avvenute a Utoya (Norvegia) e Christchurch (Nuova Zelanda), rispettivamente nel 2011 e 2019, si rifanno al suprematismo neofascista. Non è da escludere che anche il recente attacco al Campidoglio sia stato gestito da soggetti del genere.

 

Sul “Sole24ore” del 24 gennaio c'è un art. interessante sulla demografia europea. Si è dato per scontato che le tendenze demografiche attuali si conservino simili anche in futuro.

Da qui al 2100 l'ipotesi principale dell'Eurostat è di una modesta crescita demografica degli attuali 27 Paesi, che dovrebbe raggiungere un picco in questo decennio (450 milioni), per poi cominciare a calare dal 2030 in avanti. Da oggi al 2100 il calo complessivo dovrebbe aggirarsi sui 30 milioni di abitanti, per cui a fine secolo la popolazione potrebbe arrivare a toccare le 416 milioni di persone.

In valori assoluti l'Italia è la seconda nazione dopo la Polonia che si troverebbe a perdere più abitanti, seguita dalla Romania: rispettivamente, 8,9, 10,3 e 6,6 milioni di persone in meno.

Invece Francia e soprattutto Svezia vedrebbero aumentare i loro abitanti di 2,6 e 3,4 milioni.

In Germania le proiezioni suggeriscono un saldo neutro, mentre si parla di 1,1 milioni di persone in meno in Spagna.

Anche in Irlanda si prospetta un notevole aumento della popolazione.

L'ordine delle nazioni più popolose della UE – Germania, Francia, Italia, Spagna e Polonia – resterà comunque invariato.

In termini relativi, cioè guardando al cambiamento rispetto al punto di partenza e non in valori assoluti, i principali cali demografici dovrebbero esserci in diverse nazioni dell'est come Lettonia, Lituania, Romania, Bulgaria e Polonia.

In generale si pensa che tenderà ad aumentare l'età mediana della popolazione (quella di chi si trova esattamente in mezzo, in un determinato momento, ordinando tutti gli abitanti della UE dal più giovane al più anziano): dai 43,7 attuali a 48,8 anni.

Il fattore principale che sosterrà la popolazione europea sarà solo l'immigrazione. Questo significa che se non ci fosse immigrazione saremmo un continente di vecchi con pochissimi figli.

Infatti si prevede che diminuirà la proporzione di bambini, sia come numero complessivo che come percentuale dell'intera popolazione: se erano il 15,2% del totale nel 2019, ovvero 67,8 milioni, caleranno nel 2100 a 58 milioni, cioè il 13,9%.

Gli over 65 sono oggi 1 ogni 5 abitanti totali, ma a fine secolo potrebbero crescere fino a diventare quasi 1 ogni 3. Gli over 80 passeranno dai 26 milioni attuali ai 60,1 milioni nel 2100.

A diminuire dovrebbe essere anche il numero di persone in età da lavoro (15-64enni): il loro peso relativo subirà una riduzione di 60,6 milioni di persone da qui al 2100.

Sarà un disastro per le pensioni. Mentre oggi ci sono 3 persone in età da lavoro per ogni anziano, nel 2100 questo rapporto sarà inferiore a 2.

Insomma la UE ha bisogno di immigrati giovani, da inserire subito nel mercato del lavoro e disposti a riprodursi in maniera significativa.

 

Russell Jones e la compagna Michelle, residenti a Londra, hanno raccontato al programma “This Morning” una storia curiosa che hanno avuto col loro cane.

A causa di un infortunio la gamba di Russell era stata ingessata, per cui doveva camminare con un paio di stampelle.

Il giorno dopo anche il cane zoppicava leggermente come se una delle sue zampe anteriori fosse dolorante.

Russell ha deciso allora di fare tutti gli accertamenti del caso per capire cosa affliggesse il suo cane. Ma il veterinario ha dovuto constatare che non aveva alcun problema fisico: semplicemente stava imitando il suo padrone. Infatti Michelle ha visto il cane correre tranquillamente in giardino, mentre Russell non era nei paraggi.

Ha senso che un cane possa imitare fino a questo punto il suo proprietario? Evidentemente sì. Secondo quanto afferma Cesar Millan, il famoso Dog Whisperer, i cani non solo imitano gli altri cani, ma copiano anche quello che facciamo noi esseri umani. La cosa strana però è che in genere cercano di imitare atteggiamenti che possano avvantaggiarli. È solo nei confronti dell'uomo che il cane, per pura e semplice empatia, lo fa anche quando l'imitazione non gli serve a nulla.

Noi invece abbiamo dei politici che quando vedono un governo zoppicare in una gamba, gli mordono subito l'altra. E finché non stramazza per terra, non mollano la presa. D'altra parte, non avendo nessuna etica, che empatia potrebbero dimostrare?

 

[26] Francia, patrimonio sensoriale. Casa Savoia. Brexit. Garante Privacy

 

Il 21 gennaio il Senato francese ha approvato in via definitiva – all'unanimità e senza emendamenti – una legge per proteggere il “patrimonio sensoriale” della campagna: il canto del gallo di primissima mattina, il rumore dei campanacci delle mucche, quello dei trattori, l'odore di letame ecc.

Non ho capito: c'era bisogno di fare una legge per assicurare legittimità a cose del genere? In Italia se qualche governo l'avesse fatto, ci saremmo sbellicati dalle risate.

Dunque quali motivazioni l'hanno determinata? Semplice: le molte liti di vicinato, sorte negli ultimi anni, che han costretto i sindaci e i giudici dei tribunali a trovare difficili mediazioni.

Ma perché litigare per una cosa su cui tutti dovrebbero essere d'accordo? Se si va a vivere in campagna, vuol dire che si ama la natura, no?

Invece non è così scontato. Infatti il problema lo creano le persone urbanizzate che passano le vacanze nelle campagne o addirittura ci vanno a vivere quando sono in pensione. Nell'ultimo anno il coronavirus ha addirittura spinto molte persone a trasferirsi nelle campagne, sia temporaneamente che in maniera stabile.

Ebbene, siccome sono frustrate da uno stile di vita che le ha profondamente condizionate, queste persone pretendono di trovare una pace stereotipata, sicché finiscono assai presto per lamentarsi quando scoprono una serie di suoni e odori che prima non conoscevano o a cui non erano abituate, come p.es. il gracidio delle rane, lo starnazzare delle anatre e delle oche, fino all'odore degli escrementi dei cavalli, ivi inclusi gli sciami di mosche che si formano intorno.

Nel 2019 fu famosa la denuncia a carico della proprietaria di un gallo che “cantava in maniera troppo rumorosa”. Il giudice motivò la sentenza a favore della donna, dicendo che il gallo stava solo seguendo la sua natura.

Ora i residenti di vecchia data smetteranno di chiedersi (come hanno fatto in una loro petizione) se la prossima vittima sarebbero stati il canto delle tortore, il raccolto del grano, la coltivazione dei pomodori, il raglio dell'asino, il suono dei campanili o il pascolo delle mucche. La campagna ha diritto a vivere così com'è. Anzi se ci fosse meno industrializzazione (quella pretesa dalle città) sarebbe molto meglio.

 

Sinceramente parlando non ho capito molto la reazione della senatrice Liliana Segre alle affermazioni di colpevolezza di Casa Savoia in merito alle leggi razziali italiane del 1938.

Emanuele Filiberto nella lettera di scuse si lamenta di sentire il peso di quelle leggi sulle sue spalle, si vergogna di ciò che fece Vittorio Emanuele III, sostiene che sul suo casato e sulla sua famiglia si staglia un'ombra indelebile, una ferita ancora aperta, ecc.

Cosa doveva dire di più? Il soggetto lo conosciamo: è poco credibile, è superficiale, è tutto quello che volete. Ma questo cosa vuol dire? Dobbiamo fare un processo alle intenzioni? Quelle sono parole importanti, che i Savoia non avevano mai pronunciato prima. Bisognava apprezzarle.

Invece la Segre come ha reagito? “Non ho mai perdonato, come non ho dimenticato”. “Non ho parole, preferisco il silenzio”, ha detto. Come se le scuse di Emanuele Filiberto avessero lo scopo di far dimenticare l'olocausto, o di essere offensive nei confronti di qualcuno...

Peraltro una parlamentare come la Segre dovrebbe saper distinguere il dolore personale dall'etica pubblica. In nome del primo, quando è immenso, ci si può anche sentire autorizzati a non perdonare i propri aguzzini e quelli di milioni di persone, anche se in questo caso siamo in presenza di un sovrano (succube del duce, a sua volta succube di Hitler), non di un carnefice in senso proprio. Ma in nome dell'etica pubblica (di cui abbiamo sempre tanto bisogno in un Paese corrotto come il nostro) è doveroso saper apprezzare chi chiede perdono perché si è reso conto delle assurde discriminazioni compiute dai propri antenati. Anche perché molte cose insensate vengono fatte unicamente per motivi ideologici, che non si farebbero mai in un contesto diverso. In fondo l'arresto di Mussolini fu voluto proprio da parte del re.

 

L'indipendentismo anti-britannico rischia di spaccare in tre il Regno Unito dopo l'agognata uscita dall'Unione Europea.

Infatti dall'ultimo sondaggio commissionato dal “Sunday Times” emerge che oltre un cittadino su due dell'Irlanda del Nord (il 51% degli intervistati) vuole un referendum entro i prossimi 5 anni che offra alla popolazione della parte britannica dell'isola la possibilità di scegliere se unirsi alla Repubblica d'Irlanda, e passare così dal Governo di Londra a quello di Dublino (resosi indipendente sin dal 1922). La mossa consentirebbe anche a Belfast di abbandonare il Regno Unito e rientrare nella UE.

Tuttavia il 47% degli intervistati degli irlandesi del nord sembra ancora fedele alla corona britannica, contro un 42% a favore di un'Irlanda unita. Gli indecisi sono dunque l'11%.

Invece il sondaggio ha rilevato che il 49% degli elettori scozzesi sostiene l'indipendenza da Londra, contro un 44% di contrari. Tolti gli indecisi, un eventuale referendum oggi finirebbe col 52% di favorevoli allo Stato scozzese autonomo.

In ogni caso la maggioranza degli abitanti del Regno Unito si aspetta che la Scozia diventi indipendente entro i prossimi 10 anni.

In Galles, dove invece il sostegno all'indipendenza è sempre stato più debole, solo il 23% degli elettori è favorevole a lasciare il Regno Unito, mentre a chiedere un referendum è il 31% degli intervistati. Ma è evidente che se la Scozia si stacca dagli inglesi, e i nordirlandesi si uniscono a Dublino, i gallesi non staranno a guardare.

Questi risultati li auguravo agli inglesi quando si opponevano strenuamente alle rivendicazioni della Catalogna nei confronti della Spagna guidata dal governo corrotto e autoritario di Rajoy.

 

In seguito al terribile caso della bambina palermitana di 10 anni, morta in seguito alla cosiddetta sfida “Blackout Challenge”, il Garante Privacy ha ordinato a Tik Tok di bloccare immediatamente l'utilizzo dei dati degli utenti per i quali non è stata stabilita con certezza l'età. Ma qual è questa età? 16 anni (altrimenti ci vuole un adulto con responsabilità genitoriale).

Ora, che cosa sono 16 anni quando si entra nella rete? Un nulla. Esattamente come sono un nulla 18, 28, 38... I siti porno o i casinò virtuali che creano ludopatia o i siti per incontri sessuali o quelli per i pedofili non sono frequentati da minorenni, poiché non sanno soldi da buttare o non sono interessati per motivi oggettivi.

Questi blocchi autoritari non servono a nulla anche perché si trova sempre il modo per accedere alla rete aggirando i propri dati anagrafici. Esistono persino dei siti che garantiscono qualunque forma di anonimato.

Il problema non verrà mai risolto fino a quando tutti i provider e i server del mondo non saranno sottoposti a ferreo controllo e perseguibili penalmente: il che implica che tutti i Paesi del mondo si mettano d'accordo e rispettino le regole che andranno a sottoscrivere. Un'ipotesi davvero remota in presenza delle attuali tensioni internazionali. Ormai siamo arrivati al punto che gli stessi governi si servono degli hacker per destabilizzare gli Stati nemici.

L'altra possibilità è quella di attribuire a ogni abitante del pianeta un proprio numero specifico, unico, univoco, statico (non dinamico), con cui viene identificato quando entra nel web. Il che però implica un problema ancora più grande: la riscrittura delle specifiche IP. Oggi p.es. il massimo degli IP che possono essere dati sono 4.294.967.296. È stato deciso nel 1985. Ma oggi siamo nel mondo quasi 8 miliardi persone!

E quindi che facciamo in attesa di trovare soluzioni tecniche incontrovertibili? Ci limitiamo a porre il parental control sui cellulari dei nostri figli, che sono peraltro più scafati di noi? Lo sanno i genitori che anche da un semplice smart tv si può, anche se con più fatica, frequentare tranquillamente qualunque sito web?

Per me la soluzione è una sola, lenta ma più sicura: ci sensibilizziamo reciprocamente a una gestione sana, moderata, equilibrata della rete. Cosa vuol dire? Vuol dire p.es. che dobbiamo segnalare all'autorità competente persone o siti che si esprimono in maniera indecente, volgare, violenta, lesiva dei diritti umani. Siamo pronti a denunciare le offese (ma anche le falsità) che violano la tranquillità della navigazione, della raccolta di informazioni utili o attendibili? Per partire basterebbe saper rinunciare ai linguaggi triviali che usiamo per comunicare in Facebook, trincerandoci dietro il vantaggio dell'anonimato o della lontananza.

 

[27] Londra, statue rimosse. Brexit. Cina

 

La City di Londra ha deciso di spostare dalla sua sede di Guildhall le statue di due controverse figure storiche, protagoniste della tratta degli schiavi transatlantica.

Una è quella dell'ex sindaco della città, William Beckford, arricchitosi alla fine del XVII sec. con piantagioni in Giamaica che utilizzarono schiavi africani. L'altra quella di Sir John Cass (1661-1718), parlamentare e filantropo, che beneficiò notevolmente, come capo della Royal African Company, della tratta degli schiavi.

Per curiosità sono andato a vedere chi era questo Beckford, che bisogna fare attenzione a non confondere né con suo figlio né con William Beckford di Somerley, suo nipote, anche lui proprietario di piantagioni schiavili ma rinchiuso in carcere per i debiti.

Sir William Beckford (1709-70) fu sindaco di Londra nel 1762 e 1769. In effetti la sua vasta ricchezza proveniva soprattutto dalle piantagioni di zucchero in Giamaica (dove lui stesso era nato) e dal gran numero di africani schiavi neri che lavoravano per lui (circa 3.000).

Era uno schiavista, sì, ma perché lo erano già stati suo padre e suo nonno, che accumularono una gran fortuna nei Caraibi. Tutti schiavisti sin da quando la Giamaica divenne una colonia inglese (nel 1655 fu tolta alla Spagna che già aveva creato la schiavitù). E rimase colonia inglese fino al 1962, quando divenne indipendente.

Forse il migliore dei Beckford fu il figlio del sindaco, uno scrittore con vari interessi artistici e architettonici, costretto a fare lunghi viaggi per non essere accusato di omosessualità. Spese quasi tutta la sua fortuna finanziaria.

Ma perché al sindaco schiavista fecero una statua? Perché – incredibile a dirsi – in politica era un liberale ed ebbe il coraggio di opporsi pubblicamente al re Giorgio III per difendere la Costituzione uscita dalla rivoluzione. Fu la Corte del Consiglio Comune, principale organo decisionale della City of London Corporation, a erigergli una statua a grandezza naturale, che presenta una tavoletta di pietra su cui sono incise in oro le parole che Beckford aveva usato per ammonire il re.

Insomma la storia è complessa. Rimuovere le statue non è certo il modo migliore per capirla. Non ha senso sprofondare nell'ignoranza per evitare il razzismo, anche perché questo è il modo migliore per riprodurlo.

 

L'Alto Rappresentante della UE per gli Affari Esteri, Josep Borrell, a proposito del rifiuto da parte del governo britannico di riconoscere alla delegazione UE a Londra (rappresentata dal portoghese Joao Vale de Almeida) lo stesso status delle ambasciate, con le relative immunità, ha dichiarato: “Non accetteremo che il Regno Unito sia l'unico Paese al mondo che non riconosce alla delegazione UE l'equivalenza di una missione diplomatica. Abbiamo già 143 delegazioni in tutto il mondo a cui tutti gli Stati hanno accettato di garantire uno status equivalente a quello della missione diplomatica di uno Stato in base alla Convenzione di Vienna, che garantisce agli ambasciatori l'immunità dalla detenzione, dalla giurisdizione penale e dalla tassazione”.

È che Londra si vuole vendicare dei problemi della frontiera (pescatori, musicisti, IVA, ecc.), per cui ha preso come pretesto che Joao Vale de Almeida non rappresenta una singola nazione. Allo stato attuale l'ambasciatore non avrebbe neppure la possibilità di presentare le sue credenziali alla regina.

Il governo di Johnson però sa benissimo che la UE ha una propria valuta in circolazione in 19 Stati membri, detiene il potere di legiferare e in tutta la UE vige un sistema giudiziario che si assoggetta alla medesima Corte di Giustizia per questioni interpretative del diritto comunitario.

Forse la goccia che ha fatto traboccare il vaso nelle relazioni tra UE e Regno Unito è stata quella dei panini sequestrati dalle autorità olandesi ad alcuni autotrasportatori britannici, in forza delle nuove regole sul trasporto di prodotti di origine animale.

Gli inglesi, si sa, sono permalosi. Ancora rimpiangono il vecchio impero e rivendicano le loro origini aristocratiche. Non riescono ad accettare d'essere trattati dalla UE come un qualunque paese straniero. Devono imparare a rassegnarsi. Se non vogliono sottostare alle regole comunitarie, si limitino a commerciare col resto del mondo. Han sempre dato più fiducia agli americani che agli europei: si rivolgano a loro, visto che, per indebolire la UE, han fatto di tutto per convincere gli inglesi ad andarsene.

 

Xi Jinping è tornato a Davos. Il presidente cinese non partecipava al World Economic Forum dal 2017.

Ha detto che va difeso il multilateralismo, nel senso che non ci può essere nessuno Stato che comanda sugli altri nel mondo o che impedisce agli altri di commerciare liberamente. Peccato che questo per il premier cinese non vuol dire soltanto che gli USA e il mondo occidentale si devono far da parte per permettere alla Cina di svilupparsi. Il che, se fosse solo così, sarebbe giusto. Purtroppo invece vuol dire anche che i Paesi asiatici più deboli della Cina, devono lasciarsi sottomettere da questa nuova potenza con ambizioni di protagonismo mondiale. La motivazione di ciò sta appunto nel fatto che, in caso contrario, il confronto con gli USA e l'intero occidente non potrà mai essere vinto.

 

[28] Cina, Terzo mondo. Italia. Grecia e Turchia. Emmanuel Macron

 

La Cina nel Terzo mondo si sta comportando come facevano gli americani quando inglesi, francesi, spagnoli, portoghesi e olandesi colonizzavano quasi l'intero pianeta. Per sostituirsi a questi Paesi cosa dicevano gli yankee? Vi abbiamo forse colonizzato? Mai. Ci avete mai rimesso facendo affari con noi? Neppure. Dunque perché non vi lasciate aiutare a liberarvi dai vostri oppressori? E così quelli passarono da una dipendenza a un'altra, nell'illusione di essere più liberi.

Oggi i figli del Dragone dicono la stessa cosa: “Siamo forse come qualcuna delle potenze occidentali? Allora aiutateci a far fuori l'egemonia americana nel mondo e noi vi daremo pace e benessere”.

Anche la Cina può dire d'essere stato un Paese colonizzato dagli occidentali (ma anche dai nipponici e, prima ancora, dai mongoli). E può anche dire d'essere un Paese in via di sviluppo, che solo dal 1949 è diventato davvero indipendente e che solo dopo la fine del maoismo ha cominciato a svilupparsi in maniera capitalistica. Ma quale Paese del Terzo mondo può vantare un'influenza globale come la sua? Nessuno. Neanche il Brasile, che pur è diventato la sesta potenza economica mondiale, dopo aver scavalcato il Regno Unito. Infatti continua a vedere davanti a sé Stati Uniti, Cina, Giappone, Germania e Francia. Da notare che anche se la Cina ha 9,6 milioni di kmq e il Brasile 8,5, la ricchezza di risorse e le condizioni naturali del Brasile sono molto migliori della Cina, che resta all'85% un Paese montuoso e con vasti deserti (è uno dei Paesi con maggiore area di terreno degradato nel mondo). In Cina, le zone aride, semiaride e subumide secche occupano più di 3 milioni di km² e le aree desertiche sono più di 1/3 di queste zone. Ogni anno lo Stato subisce una perdita economica diretta di 6,5 miliardi di dollari a causa di questa situazione disastrosa. Oltre a tale perdita, bisogna considerare che la popolazione cinese costituisce circa il 20% della popolazione mondiale, ma ha a disposizione solo il 10% delle terre arabili di tutto il nostro pianeta.

Eppure neanche l'intera America Latina potrebbe mai eguagliare l'importanza della Cina a livello globale. Questo continente è composto da 33 Paesi, di cui tre nell'OCSE (più 12 territori ancora sotto il tallone anacronistico dei colonialisti), che in tutto hanno circa 640 milioni di abitanti e una superficie di più di 20 milioni di kmq (il 14% della superficie terrestre mondiale), con una terra arabile pari a 1/3 di quella globale e con foreste equivalenti al 23% di quelle del pianeta. Ma la pandemia del coronavirus lo sta mettendo letteralmente in ginocchio. Ancora infatti non si era ripreso dal crollo borsistico mondiale del 2008. È un subcontinente tutto sommato fragile, incapace di una politica comune. Non molto diverso, sotto questo aspetto, da quello africano, che pur è molto più povero economicamente.

Il Sudamerica avrà una contrazione economica paragonabile a quella del 1930 (-5%) o a quella del 1914 (-4,9%). Il numero di persone sotto la soglia di povertà aumenterà di oltre 28 milioni, passando a un totale di 214 milioni, ovvero il 35% circa dell'intera popolazione latinoamericana. Quelli in estrema povertà arriveranno a 83,4 milioni. Sarà impossibile che non scoppino delle sommosse, anche perché gli attuali sistemi d'integrazione regionale funzionano poco: non esiste un coordinamento generale. Resta però significativo il fatto che quando hanno costituito nel 2010 la CELAC (la più grande organizzazione di integrazione regionale nell'emisfero occidentale), vi hanno escluso USA e Canada, preferendo avere rapporti privilegiati con la Cina. È la prima volta che l'America Latina rientra nell'area dell'iniziativa cinese One Belt, One Road: il concetto di una comunità di destino condiviso tra Cina e i Paesi della regione a parità di condizioni (almeno in teoria).

Possiamo quindi scommettere che da questa crisi pandemica saranno i cinesi e non gli occidentali a trarre i maggiori vantaggi nel Sudamerica. È forse un caso che il presidente Xi Jinping – da quando ha assunto la direzione della Cina (15 novembre 2012) – abbia visitato l'America Latina ben cinque volte? Ciò non ha precedenti nella storia della diplomazia cinese. I cinesi infatti sanno bene che più di 20 tipi di risorse minerarie strategiche e la maggior parte delle risorse di petrolio e gas necessarie per lo sviluppo delle industrie moderne si trovano in America Latina.

D'altra parte, a partire dal 2001 gli USA si sono concentrati a far guerre in Asia e Medio Oriente, lasciando il subcontinente a se stesso. Di ciò non potevano non approfittare i cinesi.

A un anno di distanza dai primi casi di coronavirus registrati a Wuhan, Pechino è proiettata verso un recupero economico che per il resto dell'Occidente resta un miraggio. Grazie a una migliore gestione del Covid-19 sarà la Cina nel 2028 (con cinque anni d'anticipo rispetto alle stime dell'anno scorso) l'economia più grande del mondo, mentre gli USA scivoleranno al secondo posto.

Già adesso Cina e BRICS hanno contribuito per oltre il 50% alla crescita economica mondiale. È uno smacco senza precedenti per i Paesi del G7.

 

Secondo le previsioni del Centre for Economics and Business Research nel 2028 sarà la Cina l'economia più grande del mondo, mentre gli Usa scivoleranno al secondo posto. Questo a causa di una migliore gestione del Covid-19.

Non solo, ma alla fine del decennio ci sarà l'India al terzo posto per PIL, scalzando il Giappone e allontanando la Germania dalle parti alte della classifica.

E per l'Italia? L'attuale ottava economia al mondo, scivolerà al 10° posto già nel 2025, per poi uscire dalla top ten e ritrovarsi nel 2035, ultimo anno stimato, al 14° posto.

Hai voglia a cambiare governi! Il declino è irreversibile. In Italia la destra è sempre più ridicola.

 

Dopo 5 anni di continue violazioni delle acque territoriali della Grecia, la Turchia ha ripreso i negoziati. D'altra parte Erdoğan non ha scelta, se pretende di entrare nella UE.

Parlando di delimitazione delle zone marittime, il governo guidato da Kyriakos Mitsotakis ha preteso che venga rispettata la Convenzione delle Nazioni Unite sulla legge dei mari (UNCLOS), o Convenzione di Montego Bay, del 1982, che fissa alcuni parametri generali da utilizzarsi nei trattati bilaterali tra Stati. È relativa alle aree di mare in cui uno Stato esercita la propria autorità, anche nel concedere a privati lo sfruttamento delle risorse marine e sottomarine.

Tuttavia la Turchia non ha mai firmato tale Convenzione e non ha mai voluto concordare coi greci dei confini marittimi. Sicché i due paesi contestano i rispettivi diritti di ricerca di risorse energetiche sottomarine nel Mediterraneo orientale e nel Mar Egeo.

Anzi nel 2019 Erdoğan ha firmato un accordo con la Libia che fissa una delimitazione delle rispettive Zone Economiche Esclusive (ZEE) in un'area di mare contigua che è incompatibile con l'attuale accordo tra Grecia ed Egitto, firmato nel 2020. Per paradosso, se entrambi gli accordi fossero considerati validi dai Paesi rivieraschi, la ZEE di Atene sarebbe tagliata in due da quella turca. Non a caso la Grecia ha già espulso l'ambasciatore libico dal proprio Paese.

L'accordo Grecia-Egitto serve non solo a marcare una precisa linea di confine marittimo per l'eventuale estrazione del gas, ma anche a impedire ai turchi di fare quello che vogliono nell'area mediterranea nordafricana e vicino-orientale.

Da questo punto di vista sarebbe meglio che l'accordo per stabilire le rispettive ZEE fosse stipulato in presenza di un'autorità indipendente, riconosciuta da tutti i Paesi rivieraschi, come p.es. l'ONU o la UE, poiché, se ci si affida ad accordi tra singoli Stati, si prevede che a rimetterci saranno i più deboli, come p.es. Cipro, la cui parte settentrionale è stata occupata nel 1974 dalla Turchia, la quale infatti ha definito l'accordo tra greci ed egiziani “nullo e vuoto”.

La Turchia vuole assolutamente diventare il principale hub energetico della regione (cosa che anche l'Egitto vuol fare, avendo già due importanti impianti di liquefazione in attività: Idku e Damietta). In particolare vuol entrare nel Forum del gas del Mediterraneo Orientale, che sin dagli inizi del 2019 si è posto il compito di gestire le dinamiche di produzione e prezzo del gas regionale. I partecipanti di tale organismo sono l'Autorità Palestinese, Cipro, Francia, Egitto, Grecia, Giordania, Israele e l'Italia (per non creare tensioni sono stati esclusi Israele, Libano e Turchia).

Ecco perché al principio di contiguità territoriale, per definire i confini marittimi che non possono superare le 200 miglia, Ankara preferisce usare quello della placca continentale, con cui vuole includere le acque di molte isole greche, poiché può arrivare fino a 350 miglia. Erdoğan vuole sfruttare il fatto che il suo Paese ha già numerose infrastrutture per il trasporto del gas (Blue Stream, South Caucasus Pipeline e TANAP), alcune delle quali in costruzione (Southern Gas Corridor e Turkstream). E vuole rimettere in discussione il Trattato di Losanna, che delimitò le isole (e quindi le acque sotto cui oggi si trova molto gas) dopo il primo conflitto mondiale.

La situazione è abbastanza tesa, anche perché la Francia tende ad appoggiare qualunque iniziativa di Egitto, Grecia e Cipro in funzione anti-turca.

Ricordiamo che le riserve di gas nel Mediterraneo orientale sono state scoperte solo di recente. Dopo i giacimenti israeliani di Tamar e Leviatano, del 2009-2010, nel 2011 è la volta di Aphrodite, nelle acque di Cipro, al quale segue, nel 2015, il maxi-giacimento egiziano Zohr, e nel 2019, sempre nelle acque di Cipro, un giacimento, denominato Glaucus-1, le cui prime perforazioni stimano una portata tra i 142 e i 227 miliardi di metri cubi di gas. Le risorse di gas nel Mediterraneo orientale, che costituiscono ad oggi l'1% delle riserve totali mondiali, non possono ovviamente essere paragonate a quelle di Russia, Norvegia e Qatar.

 

Il modello del capitalismo e dell'economia di mercato non può più funzionare in quanto l'accelerazione della finanza e della digitalizzazione hanno spezzato il compromesso che lo legava alla società democratica, alla libertà individuale e all'espansione della classe media.

Lo ha dichiarato il presidente francese, Emmanuel Macron, durante i lavori virtuali del World Economic Forum di Davos.

E quindi? Rinunciamo al digitale? Riconduciamo la finanza entro i limiti dell'economia produttiva? Impediamo il globalismo e le delocalizzazioni delle imprese? E chi avrebbe il potere di fare tutto ciò? La Francia ha forse paura della competizione su scala mondiale?

Macron ha poi puntato il dito sulla “disconnessione tra la finanziarizzazione e la catena del valore” che ”è una cosa negativa quando concentra troppi fondi in attività poco rischiose”.

Questa è una frase che non ha senso. O l'ha tradotta male “HuffPost”, oppure è il contrario, nel senso che la finanza concentra molti fondi in attività molto rischiose, che possono mandare in fallimento l'intero sistema.

Insomma Macron cosa vuole? Tornare ai fasti dello Stato nazionale, che si sentiva autorizzato a colonizzare il pianeta in forza della propria attività industriale? È forse questo il legame tra capitalismo e democrazia che Macron vuole sponsorizzare? Possibile che non abbia capito che l'attuale globalismo è una conseguenza del capitalismo nazionalistico occidentale? Se di questo globalismo traggono i maggiori vantaggi i colossi asiatici, che facciamo? Gli dichiariamo guerra?

 

[29] Covid-19

 

Quasi 90 milioni di persone sprofonderanno in condizioni di estrema povertà a causa del Covid-19, ha detto il FMI. La crisi scatenata dal virus brucerà 22.000 mld di dollari. Il debito pubblico globale, che si è attestato al 97,6% nel 2020, salirà al 99,5% quest'anno. Quello italiano volerà al 159,7% nel 2021, superato soltanto da quello giapponese: 258,7% sia nel 2020 che nel 2021.

Per non creare panico il FMI sostiene (diversamente da come faceva anni fa) che il nostro debito resta comunque “sostenibile”, in virtù dei “bassi tassi di interesse” e della “prevista ripresa della crescita”, a conduzione però di usare le risorse del Recovery Fund “per finanziare progetti di alta qualità in grado di rafforzare le prospettive di crescita, facilitare la transizione verso un futuro verde e digitale e accelerare la riduzione del debito”.

E noi con quale governo dovremmo fare queste cose? Coi cialtroni, coi ladri e corrotti della destra che ci ritroviamo? Con quelli che non vedono l'ora di mettere le mani sul Recovery Fund per spartirselo nel peggiore dei modi? E che lo farebbero convinti che gli italiani sono un popolo ottuso, capace solo di credere alle parole degli imbonitori...

 

[30] Brexit. Francia, sacerdozio. Germania. Cina

 

La Brexit minaccia l'export di farina britannica nella UE. Infatti secondo i patti tra Londra e Bruxelles se il Regno Unito vuole venderla agli Stati membri, senza incorrere in tariffe aggiuntive alla dogana, il prodotto non deve contenere oltre il 15% di grano proveniente da Paesi terzi. Ma la Gran Bretagna per la produzione di grano utilizza in gran parte quello proveniente dal Canada. Per questo il rischio è che il prezzo all'esportazione arrivi fino al 50% in più.

In particolare l'Irlanda, non avendo grandi mulini propri, importa i 4/5 della sua farina proprio dai cugini britannici e per questo ora potrebbe veder lievitare del 9% il costo del pane. Tant'è che vari fornai irlandesi stanno già cercando frettolosamente di costruire nuove catene di approvvigionamento con mugnai in Francia e Germania.

Questa un'altra dura tegola sulla testa di Johnson, piena solo di capelli. Non lo sapeva che nell'Accordo commerciale tra Regno Unito e UE esiste una regola secondo cui si deve applicare la tariffa piena prevista dall'Organizzazione mondiale del commercio, il WTO, che equivale a 172 euro per tonnellata, nel caso in cui la farina importata contenga appunto più del 15% di grano coltivato al di fuori del Regno Unito o dell'Europa? Quando ha firmato quell'accordo a cosa pensava? Alla birra che avrebbe bevuto per festeggiarlo?

 

La Conferenza episcopale francese, dopo alcuni suicidi tra i sacerdoti, lo scorso novembre ha avviato un sondaggio. Lo scrive la rivista “Il Regno”.

Alla domanda generica su come auto-percepiscono la loro attuale situazione, i preti nel 45% dei casi rilevano una malattia cronica; 2 su 5 esagerano con l'alcool e un 8% è al limite della dipendenza; 6 su 10 sono sovrappeso o a rischio obesità. Inoltre il 9% di quelli che hanno partecipato all'indagine presenta una vera e propria sindrome depressiva, mentre il 40% autocertifica “un basso grado di realizzazione personale”. Sul sovraccarico di impegni e responsabilità un 2% dei preti è gravemente affetto da una sindrome di burn out, mentre il 7% è affaticato in forma elevata.

Mi chiedo: perché non si spretano e diventano persone normali? Non viviamo più nel periodo in cui le famiglie povere mandavano i figli nei seminari per liberarsene o per fargli avere un avvenire assicurato.

I preti cattolici sono i più frustrati di tutti: soli, forzatamente celibi, s'illudono d'essere eticamente o intellettualmente migliori dei loro parrocchiani, gestori di comunità fatiscenti (soprattutto da quando domina la pandemia), privi di uno status riconosciuto, essendo galoppante la laicizzazione dei costumi, spesso pedofili oppure omosessuali. In certi luoghi persino collusi con la criminalità organizzata.

Per quanto riguarda la disciplina del celibato “risulta diffusamente inosservata e con modalità molto imbarazzanti”, afferma la rivista. In effetti in nessun'altra religione al mondo esiste per i preti secolari l'obbligo al celibato.

Le affermazioni usate per definire la situazione dei preti gay sembrano così allusive da risultare divertenti: “Oggi questi preti usano un linguaggio diretto, come chi ha preso in mano il timone della propria barca e la guida con apparente sicurezza in acque che invece, almeno in teoria, vengono agitate...”.

 

Esiste un accordo commerciale tra la UE e la Cina, firmato da Angela Merkel il 30 dicembre scorso, quale suggello finale del suo semestre di presidenza europea.

Alla videoconferenza hanno partecipato il presidente cinese Xi Jinping, la presidente della Commissione UE, Ursula Von der Leyen, il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e negli ultimi minuti anche il presidente francese, Emmanuel Macron.

Ci sono voluti 7 anni di negoziati, poiché nella trattativa vi era anche la questione dei diritti umani in Cina.

L'accordo sarà un'àncora di salvezza per diversi settori in difficoltà dell'industria tedesca, in testa quello dell'auto (Volkswagen, Bmw, Audi e Daimler), e nello stesso tempo costituirà uno strumento per consolidare l'egemonia della Germania sull'Europa. La dipendenza dal mercato cinese è ormai vitale per l'auto tedesca.

L'accordo “Comprehensive agreement on investment” elimina in diversi settori, a partire dal 2021, l'obbligo d'investire in Cina tramite joint-ventures con aziende cinesi, e apre nuovi settori agli investimenti stranieri, tra cui i servizi cloud e le telecomunicazioni.

Da notare che dei 140 miliardi che le imprese della UE hanno investito in Cina negli ultimi 20 anni, 86 sono arrivati dalla Germania; dei 560 miliardi di interscambio commerciale tra Cina e UE nel 2019, la quota prevalente è stata della Germania con 206 miliardi.

La Merkel ha voluto chiudere l'accordo con una certa fretta, perché sapeva che il team di Joe Biden l'avrebbe ostacolata, in quanto gli USA vogliono isolare la Cina il più possibile.

Perché la Germania è il Paese europeo più importante? Perché quando si tratta di tutelare i propri interessi economici non si fa intimorire da nessuno.

 

Lo straordinario sviluppo della Cina è iniziato 40 anni fa con l'apertura ai mercati, dopo la morte di Mao (1976), ch'era uno stalinista non industriale ma agrario. La svolta decisiva avvenne con le riforme avviate da Deng Xiaoping nel 1978.

Lo sviluppo non è stato prodotto solo dal basso costo della manodopera, ma anche dal basso costo dei beni materiali forniti ai mercati dalle imprese statali, le quali, a loro volta, pagavano assai poco le materie prime. Lo Stato ha nelle sue mani anche la proprietà terriera e il sistema bancario.

La Cina ha dovuto affrontare problemi molto seri non solo in politica interna ma anche in quella estera. Dall'embargo imposto dagli USA e dai loro alleati nel 1952 (la rivoluzione maoista si impose nel 1949) alla successiva rottura delle relazioni con l'URSS nel 1960 (dopo la destalinizzazione avviata da Chruščëv), senza scordare la guerra di Corea in cui combatterono volontari cinesi. Solo nel 1971 viene attribuito alla Cina il ruolo di membro permanente del Consiglio di sicurezza dell'ONU (prima ricoperto da Taiwan, oggi riconosciuta solo da 15 Paesi nel mondo). Dopo 15 anni di trattative, nel 2001 la Cina è stata ammessa all'Organizzazione mondiale del commercio.

In politica interna il principale problema che il governo deve risolvere è che la sua popolazione (quasi il 20% di quella mondiale) ha, per sfamarsi, meno del 10% delle terre coltivabili disponibili nel nostro pianeta.

Oggi la speranza di vita in Cina è di 74 anni. Nel 2010 il tasso di alfabetizzazione aveva raggiunto il 95%. Negli ultimi 30 anni il PIL pro-capite è quasi quadruplicato, mentre la popolazione è quasi raddoppiata. Il marxismo-leninismo rimane, formalmente, l'ideologia di riferimento dello Stato. Il sistema politico è una specie di dittatura democratica basata sul ruolo dominante del Pcc, che collabora con altri partiti, presenti nell'Assemblea nazionale del popolo, i cui 3.000 parlamentari vengono eletti (di questi però il 70% è affiliato al partito di governo, per una sicura maggioranza). Da notare che il Parlamento viene convocato una sola volta l'anno, per due settimane, per ratificare scelte fatte dal partito. Quando il Parlamento è chiuso, fa tutto il Comitato permanente, composto da 150 membri. Poi ci sono altri sottocomitati aventi funzioni specifiche.

In teoria esiste un sistema di autonomia etnica regionale rispettoso dell'autogoverno delle singole regioni del Paese (vi sono 56 nazionalità differenti, con circa 120 milioni di cittadini suddivisi in 5 grandi famiglie etniche: han, mancesi, mongoli, musulmani e tibetani). Ma di fatto sappiamo che non è così: basta vedere quel che succede nello Xinjiang e nel Tibet, ma anche con Hong Kong... Il partito rifiuta qualsiasi ipotesi di federalismo, visto come un segno di debolezza dello Stato.

Questo socialismo con caratteristiche cinesi non è altro che un socialismo di mercato, in cui un socialismo statale (autoritario) sul piano politico gestisce un capitalismo pubblico e privato (permissivo) sul piano sociale. Le grandi imprese pubbliche producono ricchezza non allo scopo di massimizzare i profitti degli azionisti privati, né di fornire dividendi allo Stato (si limitano a pagare una tassa sul capitale), quanto piuttosto per incentivare gli investimenti produttivi in una visione a lungo termine dello sviluppo complessivo del Paese.

È questa visione a lungo termine che a noi italiani manca (e forse a tutti i Paesi occidentali). Siamo diventati miopi, litigiosi e sempre timorosi di un crollo del sistema (soprattutto a causa dell'enorme debito pubblico). I governi cambiano troppo in fretta. Le crisi economiche ci attanagliano. Ci stavamo ancora leccando le ferite per il crack borsistico del 2008, che ha mandato in panico le banche e l'edilizia per un decennio, quando improvvisamente ci è capitata una pandemia che ci ha messo di nuovo a terra. Vacilla il nostro senso dell'ottimismo. E invidiamo Paesi come la Cina o il Vietnam che hanno affrontato, col proprio centralismo, in maniera egregia il problema del Covid-19. Non ci entra nella testa che, mentre in situazioni normali dovremmo favorire al massimo il decentramento delle responsabilità, in situazioni eccezionali occorre invece il centralismo dei poteri.

 

[31] Italia, criminalità e destra. Spagna, economia

 

Quali sono le città e le province italiane dove avvengono più crimini? Lo dice l'Indice della criminalità che il “Sole 24 Ore” elabora ogni anno sulla base dei dati forniti dal dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell'Interno. L'ultima classifica è stata pubblicata nel 2020 e fa riferimento ai reati denunciati l'anno prima.

L'elenco delle province, in ordine di gravità, è il seguente:

Milano, Firenze, Rimini, Bologna, Torino, Roma, Prato, Imperia, Livorno, Modena, Venezia, Genova, Savona, Parma, Ravenna, Ferrara, Pisa, Napoli, Foggia, Pavia, Massa-Carrara, Catania, Trieste, Siracusa, Pistoia, Reggio Emilia, Bari, Padova, Pescara, Perugia, La Spezia, Lucca, Palermo, Trapani, Alessandria, Forlì-Cesena, Verona, Novara, Grosseto, Varese, Catanzaro, Latina, Brescia, Asti, Teramo, Bergamo, Salerno, Caserta, Brindisi, Lecco, Piacenza, Mantova, Ragusa, Monza-Brianza, Vibo Valentia, Barletta-Andria-Trani, Sassari, Crotone, Gorizia, Caltanissetta, Terni, Viterbo, Nuoro, Rovigo, Arezzo, Biella, Lecce, Bolzano, Vicenza, Ancona, Reggio Calabria, Taranto, Cagliari, Vercelli, Trento, Messina, Siena, Macerata, Como, Fermo, Avellino, Verbano-Cusio-Ossola, Ascoli Piceno, Udine, Aosta, Chieti, Isernia, Matera, Cremona, Agrigento, Belluno, Pesaro-Urbino, Enna, Lodi, Rieti, Campobasso, Cuneo, Cosenza, Frosinone, Sondrio, Treviso, Benevento, Pordenone, Potenza, L'Aquila, Oristano.

Anche nel 2020 Milano si conferma prima città per numero di reati emersi. Roma invece nella classifica finale è fuori dalla Top 5 e si attesta al 6° posto dopo Torino, ma occupa la seconda posizione per rapine in esercizi commerciali, stupefacenti e usura.

“Capitali dello spaccio” le province di Padova, Firenze e Pescara.

Napoli, invece, la provincia italiana con più furti con strappo, rapine e usura.

Bologna è al 1° posto nella classifica delle denunce per violenze sessuali e “altri delitti”, al 3° posto per infanticidi (prima e seconda sono Piacenza e Vicenza).

Ferrara prima sia per omicidi colposi e da incidente stradale.

Nella classifica delle province col tasso più alto di associazione di tipo mafioso troviamo Barletta-Andria-Trani, Ascoli Piceno e Potenza.

L'Aquila è prima per tentati omicidi.

Firenze città, invece, prima con più denunce per associazione a delinquere.

 

La ripresa economica del nostro Paese è sicuramente legata alle risorse del Recovery Fund messe a disposizione dalla UE, che dobbiamo investire entro il 2026. Tuttavia ogni anno, al netto degli interessi sul debito, la spesa pubblica italiana si aggira attorno ai 900 miliardi di euro: quasi 700 in più rispetto alle risorse del Recovery Fund.

Una spesa, quella pubblica, che per oltre il 91% è di parte corrente e viene utilizzata per liquidare gli stipendi dei dipendenti pubblici, per consentire i consumi della macchina pubblica e per pagare le prestazioni sociali.

E noi pensiamo che l'attuale destra, che al tempo dei governi Berlusconi ci portò ai limiti della bancarotta, sia in grado di affrontare problemi del genere? Una destra di politici corrotti, guidata da leader incompetenti in materia di economia e finanza? Una destra che alla fine del 2019, da Forza Italia alla Lega fino a Fratelli d'Italia, aveva un elenco sterminato tra indagati, imputati, condannati e pregiudicati? Una destra che non vuole essere tenuta sotto controllo dalla Commissione Europea perché sa benissimo di non avere alcuna capacità d'investire in maniera razionale i fondi pubblici?

Si fa davvero fatica a capire gli italiani.

 

Per colpa del Covid-19 l'economia spagnola si è ridotta dell'11% nel 2020: è il più grande calo in 85 anni. Bisognerebbe tornare all'inizio della guerra civile per trovare un disastro più grande, quando nel 1936 l'economia crollò del 26,8%. Il calo della produzione è equivalente al costo delle pensioni in un anno.

Secondo il FMI e la Banca di Spagna ci vorranno almeno tre anni per recuperare. E questo senza considerare che ancora non si erano rimarginate le ferite della precedente crisi finanziaria: tra il 2008 e il 2013 sono spariti 9,5 punti di PIL. Se non avesse la UE, la Spagna sarebbe ridotto a un Paese del Terzo mondo.

Uno dei motivi di questa incredibile débâcle sta nel fatto che il tessuto produttivo è fortemente dipendente da servizi come l'ospitalità e il turismo, che richiedono più interazione sociale.

Un altro motivo sta nella grande abbondanza di piccole-medie imprese, meno capaci di resistere agli alti e bassi dei mercati.

Inoltre vi è una percentuale troppo alta di posti di lavoro temporanei, i cui contratti sono più facilmente rescindibili non appena ci sono turbolenze.

Il debito pubblico ha raggiunto livelli senza precedenti nel Paese: 119%, un aumento del 23% rispetto al 2019.

I benefici fiscali alle imprese, per non farle fallire, vanno nel periodo ottobre 2020-gennaio 2021 dal 75 all'85% su base mensile.

Tutte le stime del governo vengono ampiamente smentite dalla realtà dei fatti, soprattutto per quanto riguarda assistenza sociale, cassa integrazione, reddito minimo vitale, ecc.

Insomma, a parte il debito pubblico, c'è chi sta molto peggio di noi. E anche da loro la destra dei Popolari e di Vox sta politicizzando il virus per far cadere il governo del socialista Pedro Sanchez.

Italia e Spagna sono i Paesi che riceveranno più soldi dal Recovery Fund, perché i più colpiti dalle conseguenze economiche del virus, ma sono anche i peggiori per i livelli di spesa dei fondi europei. Nel senso che sprechiamo o non sappiamo investire i soldi che ci arrivano. Il tasso di assorbimento degli investimenti del bilancio UE per Italia e Spagna è stato, rispettivamente, del 40% e del 39% per il periodo 2014-2020.

Salvini, che sa bene di non avere alcuna capacità d'investire in maniera produttiva le risorse del Recovery Fund, e che per questa ragione non vuole essere tenuto sotto controllo dalla Commissione Europea, ha già detto che dalla UE, se va al governo, prenderà soltanto la quota parte di 81,4 miliardi di euro, che non prevede obbligo di restituzione. E questo nonostante che gli interessi da pagare per il Recovery Fund siano prossimi allo zero.

 

 

Febbraio

 

 

 

[1] Norvegia, economia. Chernobyl

 

Come la Svizzera, la Norvegia non è mai entrata nella UE perché è straricca, anche se, quando viveva di sola pesca, era la più povera dei tre Paesi scandinavi. Due Paesi che non capiscono che l'Europa non coincide solo coi suoi capitali.

La Norvegia si è arricchita quando nel 1969 uno dei più grandi giacimenti petroliferi offshore del mondo fu scoperto nel Mare del Nord. Oggi è il principale produttore di petrolio dell'Europa occidentale, con circa 3 milioni di barili al giorno. È inoltre il terzo esportatore mondiale dopo Arabia Saudita e Russia. Nell'economia norvegese il petrolio rappresenta circa il 52% delle esportazioni e il 25% del PIL.

Nel 2010 è stato scoperto un nuovo giacimento petrolifero (Johan Sverdrup), non lontano dal confine col Regno Unito, che conserva circa 2,7 miliardi di barili di petrolio. Rappresenta il più grande giacimento di produzione in Europa occidentale. Si prevede che quel giacimento farà guadagnare allo Stato norvegese circa 102 miliardi di dollari nei prossimi 50 anni.

Il governo ha rilasciato un numero record di licenze di esplorazione nel 2019 e spera di poter continuare a farlo non solo nel Mare del Nord ma anche all'interno del circolo polare artico, nel Mare di Barents. D'altra parte l'industria petrolifera e del gas a livello mondiale ha previsto di spendere 5.000 miliardi di dollari nei prossimi 10 anni in esplorazione ed estrazione di combustibili fossili.

I norvegesi si vantano d'essere i migliori al mondo nell'ottenere il petrolio con le emissioni di CO2 più basse.

Il petrolio, più che utilizzarlo, lo vendono: infatti gran parte della produzione di energia del Paese è stata sostituita dal gas. Nel 2018 la sola estrazione del gas ha garantito il 18% del PIL e il 62% dell'export. Le emissioni annuali nazionali di gas a effetto serra hanno raggiunto circa 53 milioni di tonnellate, l'equivalente di circa 10 tonnellate a persona. Il che è in linea con il resto della UE (negli USA sono 15 tonnellate a persona).

Tutto ciò nonostante che la Norvegia sia stata tra le prime nazioni a ratificare l'accordo di Parigi e si sia impegnata ad abbattere interamente le emissioni entro il 2030. Il Paese tiene anche il primo posto nelle graduatorie sui diritti e sulla qualità della vita, ma, se vogliamo, è abbastanza facile essere virtuosi quando si è ricchi.

Negli anni '90 il parlamento norvegese ha deciso di mettere buona parte del ricavato di questa enorme ricchezza nel Government Pension Fund Global: un fondo sovrano che gestisce circa 1,2 miliardi di miliardi di dollari. È il fondo per investimenti esteri a controllo statale più grande del mondo, perché in possesso mediamente di 1,3 azioni in circa 9.000 società quotate nelle borse di tutto il mondo (70,8% del suo valore). Il fondo possiede centinaia di edifici in alcune delle principali città del mondo (2,7%). E riceve un flusso costante di reddito dai prestiti a Paesi e società (26,5%). Il suo valore complessivo è equivalente a circa 217.000 dollari per ogni norvegese.

Gli avanzi di bilancio vengono trasferiti al fondo, mentre i disavanzi sono coperti con i soldi del fondo. Insomma, finché il mondo userà energia fossile, il Paese si troverà in una botte di ferro.

Ebbene oggi questo fondo ha venduto tutti i titoli investiti in compagnie che si occupano dell'estrazione di petrolio, carbone e oro, o che producono sabbie bituminose e cemento. I soli investimenti in compagnie petrolifere e di idrocarburi rappresentano circa l'8% del totale del fondo.

Motivo di questa scelta? Si preferiscono investimenti ecologicamente sostenibili, o comunque in grado di combattere i rischi legati ai cambiamenti climatici. I dirigenti del fondo hanno spiegato che gli smisurati rischi legati alla deforestazione, alle emissioni di anidride carbonica e la cattiva gestione delle risorse idriche sono più importanti dei vantaggi ottenibili continuando a possedere questo tipo di azioni.

Hanno anche deciso che venderanno le azioni delle aziende produttrici di tabacco, armi nucleari, mine antiuomo e di quelle che non rispettano i diritti dell'uomo. Insomma, un po' di coerenza non guasta.

 

Dopo il disastro del 1986 la zona di Chernobyl è totalmente disabitata, diventando uno dei pochi luoghi al mondo forzatamente selvaggi, dove l'uomo si reca raramente.

Le mandrie di bovini che da più di 30 anni pascolano da sole nelle fredde ed erbose lande ucraine, hanno cominciato a sviluppare comportamenti che di solito appartengono solo a specie selvatiche.

Una mandria selvatica deve adattarsi al clima, deve proteggere i membri più deboli del gruppo e agisce con dinamiche molto più strutturate e attente. I vitelli scelgono sempre una posizione interna al gruppo, tra le mucche e un toro adulto, e negli anni sono diventati sempre più resistenti al freddo. Il toro che guida il gruppo non scaccia i giovani maschi, ma li tiene nel gruppo per renderlo più forte contro i predatori, a patto che loro rispettino la sua autorità.

Questi animali sono stati paragonati agli uro, grandi bovini eurasiatici scomparsi verso la metà del 1600 a causa della caccia, ma anche per il taglio delle foreste.

Ecco forse Chernobyl rappresenta un simbolo di come si vivrà sulla Terra dopo una guerra mondiale nucleare. Sempre che gli stessi animali riescano a sopravvivere.

 

[2] Myanmar, golpe. Brexit. Mons. Viganò. Politica italiana

 

In Myanmar (Birmania) i militari hanno decapitato la democrazia, arrestando la premier Aung San Suu Kyi, il presidente Win Myint e i vertici della Lega nazionale per la democrazia (il partito che aveva vinto le elezioni di novembre), nonché i governatori di varie regioni e alcuni attivisti. Tutti i poteri sono ora assunti dal capo delle forze armate Aung Hlaing, che guiderà il Paese per un anno. Dopodiché si faranno nuove elezioni. La presidenza ad interim sarà invece ricoperta dal generale in congedo e vice presidente Myint Swe.

Sono state interrotte le trasmissioni della tv nazionale, bloccati i collegamenti telefonici e la rete telematica, chiusi gli aeroporti e le banche. Collocati posti di blocco, con tanto di carri armati, sulle arterie stradali principali.

Immediata la condanna degli Stati Uniti, che non vedono loro di trovare un pretesto per far sentire che al mondo sono loro a decidere cos'è la democrazia.

Quando nel 2011 l'esercito aveva messo fine a quasi 50 anni di regime militare, inizialmente aveva cercato di escludere dal governo civile la più importante attivista per la democrazia, Aung San Suu Kyi, consegnando la guida del governo a un partito di fedelissimi dell'esercito, mentre la Costituzione poneva l'esercito al di sopra della legge e gli permetteva di scegliere il ministro della Difesa e degli Interni, così da poter disporre del controllo della polizia, dei servizi d'intelligence e guardie di frontiera, oltre che ovviamente di tutte le forze armate.

Ancora oggi 1/4 dei seggi del parlamento è riservato a funzionari militari in servizio. Non solo, ma siccome per modificare la Costituzione serve l'approvazione di 3/4 dei deputati, l'esercito, di fatto, ha potere di veto su tutte le modifiche che non gli garbano.

Quando l'esercito ha dovuto permettere alla Lega nazionale per la democrazia di formare un esecutivo dopo la travolgente vittoria del 2016 (83% dei seggi in palio), tutte queste regole non sono cambiate. Senonché i generali han cominciato a parlare di brogli elettorali per le elezioni dello scorso novembre, in cui il partito di governo ha incrementato i propri seggi, mantenendo la maggioranza assoluta in entrambi i rami del parlamento. Han detto che, col pretesto della attuale pandemia, le elezioni non sono state né libere né eque, per cui han chiesto un riconteggio dei voti e, siccome il governo si è rifiutato di farlo, si sono trasformati in golpisti.

Nel corso del XX sec. l'esercito ha tolto il potere a governi democraticamente eletti due volte, reprimendo spietatamente i movimenti filodemocratici. E pensare che proprio la Suu Kyi difese i generali di fronte alla Corte di giustizia dell'Aja, quando, alla fine del 2019, erano stati chiamati a rispondere dell'accusa di genocidio contro i Rohingya, la minoranza musulmana perseguitata nello stato birmano del Rakhine, al confine col Bangladesh.

A dir il vero la Birmania è un Paese dalle molte minoranze etniche. Alcune di queste, come i Karen, i Mon o i Kachin, sono impegnate in un'infinita guerriglia decennale per autonomia, diritti e a volte indipendenza. A fronteggiarli, un esercito spietato, senza possibilità di controllarlo da parte dell'opinione internazionale.

Suu Kyi è adorata dal popolo birmano, profondamente buddista, nazionalista e desideroso di liberismo. È nota soprattutto per aver guidato l'opposizione per quasi 15 anni, nonostante fosse agli arresti domiciliari, tra 1989 e 2010, periodo in cui ha ricevuto il premio Nobel per la pace. Ora chiede alla popolazione di non accettare il colpo di Stato, per cui è impossibile che non accada qualcosa di cruento.

 

La Brexit si sta rivelando un vero incubo per inglesi, scozzesi e nordirlandesi. Se lo ricordi la nostra destra sovranista.

Prima le merci potevano circolare liberamente e non avevano bisogno d'essere certificate come prodotte in Gran Bretagna o prodotte nella UE. Adesso invece deve essere documentata la loro provenienza e anche quella dei loro eventuali componenti. Una burocrazia onerosa sotto vari punti di vista.

A seconda della provenienza si può passare da dazi zero a tariffe che possono variare dal 6,5% sulla plastica all'1,7% sugli aspirapolvere, al 12% sui cappotti e al 14% sulle biciclette. E tutto questo deve essere dichiarato e certificato alla dogana, complicando non poco le cose e aumentando i costi.

Le grandi imprese stanno pian piano riuscendo a cavarsela, aprendo filiali nella UE (soprattutto in Olanda), ma per le piccole e le medie è molto più difficile. Anche perché questo comporta una riduzione dei posti di lavoro per gli inglesi.

Prendiamo la questione della pesca. Se prima della Brexit i pescatori scozzesi potevano semplicemente caricare i loro prodotti su camion e consegnarli il giorno successivo alla UE, adesso invece devono compilare dichiarazioni doganali, i documenti di cattura e i certificati sanitari di esportazione e compiere tutta un'altra serie di pratiche burocratiche, col rischio che se qualcosa va storto alla dogana e il camion viene bloccato, tutto il pesce trasportato rischia di andare perso in quanto deperibile. Restano comunque penalizzati nei confronti delle imbarcazioni francesi, belghe e olandesi, cui è stato assicurato di poter continuare a pescare nel mare inglese un rilevante quantitativo di merluzzi e altre specie di pesci.

Problemi anche per i normali cittadini, che si sono visti recapitare delle fatture inaspettate alla consegna di beni acquistati online, in quando adesso ai costi di un prodotto acquistato in Europa e spedito nel Regno Unito (e viceversa), vanno aggiunti costi ulteriori (fiscali, doganali...) che risultano insopportabili.

Senza poi parlare del fatto che i servizi finanziari della City, un settore essenziale per l'economia inglese e che coinvolge operativamente più di un milione di persone, sono stati del tutto trascurati.

Anche la premier dell'Irlanda del Nord, Arlene Foster, non ne può più dell'accordo sulla frontiera tra le due Irlande e ha chiesto ai governi di Londra e Dublino di revocare gli accordi che mantengono l'Irlanda del Nord nell'area delle regole commerciali della UE.

 

Dopo gli ultimi e sconcertanti articoli a favore di Donald Trump e dell'ala conservatrice della Chiesa statunitense, mons. Carlo Maria Viganò – ex Nunzio Apostolico negli USA, da diversi anni in aperta opposizione al papa – ha scritto il 31 gennaio una lettera, in risposta a un sacerdote, Marco Tosatti (ex vaticanista de “La Stampa”), in cui prende posizioni durissime contro il papa e contro la gestione dell'emergenza Covid-19 a livello politico ed ecclesiale.

In pratica le tesi fondamentali sarebbero le seguenti: il Vaticano è complice di una gestione mondiale della pandemia lesiva dei diritti umani e, in particolare, il vaccino Moderna è immorale, perché sfrutta per la propria composizione il materiale di feti abortiti nel passato. E qui cita il documento del 17 dicembre 2020 della Congregazione per la Dottrina della Fede che definisce “moralmente accettabile un vaccino con cellule di feti abortiti”. Come se non sapesse che esistono già dei vaccini che impiegano cellule fetali da aborti elettivi o volontari sin dagli anni '60, per es. contro la rosolia, la varicella, l'epatite A, la poliomielite e l'herpes zoster. Linee di cellule fetali umane vengono anche usate per produrre alcuni farmaci contro l'emofilia, l'artrite reumatoide e la fibrosi cistica.

Secondo Viganò la pandemia ha messo a nudo l'intento della società occidentale contemporanea di voler “controllare”, da parte delle autorità tanto statali quanto ecclesiali, le libertà e la fede delle persone.

Accusa la Chiesa, gestita da papa Bergoglio, d'essere afflitta da un'ideologia modernista, anche per aver stretto con la Cina un patto “immondo”, che porterà alla fine dei cattolici sotto quel regime comunista, in grado d'interferire pesantemente sulla nomina dei vescovi. La Cina viene definita “il braccio armato del Nuovo Ordine Mondiale, tanto nella diffusione di un virus mutante creato in laboratorio, quanto nell'interferenza nelle elezioni presidenziali americane”. Accusa papa Francesco di non aver speso una parola sulla violazione da parte della Cina dei diritti umani e della libertà religiosa. E, per questo motivo, lo considera un “eretico”. Cita, ad es., i 380 campi di concentramento per la minoranza dei musulmani uiguri, le chiese cristiane abbattute con le ruspe, i monaci obbligati ad accettare il marxismo-leninismo.

In pratica invita a insorgere contro il Vaticano e a dichiarare guerra alla Cina.

Da dove nasce la cultura “modernista” del mondo contemporaneo, secondo Viganò? Dalla rivoluzione francese, che ha fatto nascere una democrazia anticristiana, in nome della laicità dello Stato e della sua separazione dalla Chiesa. Col Concilio Vaticano II questa sovversione del principio (medievale) di autorità cristiana si è insinuata nella gerarchia stessa, facendo sì che quell'ordine voluto da Dio non solo fosse cancellato dalla società civile, ma addirittura venisse minato anche nella stessa Chiesa. Il comunismo non sarebbe altro che un'espressione radicalizzata di quella rivoluzione borghese.

Poi cita San Tommaso, che considerava “la resistenza al tiranno e il regicidio come moralmente leciti, in certi casi; così com'è lecita e doverosa la disobbedienza all'autorità dei Prelati che abusano del proprio potere contro il fine intrinseco del potere stesso”.

Per lui i modelli da imitare sono “i Cristeros, che si ribellarono con le armi al dittatore massone che in Messico perseguitava i suoi cittadini abusando della propria autorità”. Ma anche “i Vandeani, i Sanfedisti, gli Insorgenti: vittime di un potere rivoluzionario, pervertito e pervertitore, dinanzi al quale la ribellione non solo è lecita, ma anche doverosa”. Poi esalta i cattolici contro l'eresia luterana e lo scisma anglicano. Non vuol sentir parlare di dialogo con gli islamici, o di ecumenismo coi cristiani ortodossi, né apprezza l'idea di ammettere le donne al servizio dell'altare, anzi la messa dovrebbe tornare ad essere in latino.

Chiede infine al papa di dimettersi e prega “Iddio che lo chiami a Sé il prima possibile, se da questo può derivare un bene per la Chiesa”.

 

Dal 1948 ad oggi si sono succeduti 63 governi in Italia, ma nessuno è durato un quinquennio.

Il politico che ha governato di più, Silvio Berlusconi, è stato anche uno dei peggiori in assoluto. Ma fu una conseguenza del crollo della I Repubblica: un crollo dovuto più all'inchiesta giudiziaria di “Mani Pulite” che non a un'alternativa di tipo democratico-socialista, tant'è che il neoliberismo si è acutizzato enormemente, e con esso la corruzione.

Da noi l'opposizione non collabora mai col governo in carica, ma tende invece a farlo cadere. Solo in tre casi abbiamo avuto governi di unità nazionale, ma perché la situazione era emergenziale: Monti (2011-13), per colpa dei governi Berlusconi che quasi ci portarono alla bancarotta; Andreotti IV (1978-79), per colpa del terrorismo e dell'omicidio Moro; De Gasperi II (1946-47), a causa della fine della guerra.

I parlamentari del Movimento 5 Stelle sono 283, quasi 1/3 dei parlamentari. Tuttavia 31 deputati e 16 senatori sono stati persi dall'inizio della legislatura. A questi vanno aggiunti altri 33 del PD. Impossibile non sostenere che l'attuale crisi di governo può anche essere spiegata alla luce dei numerosi cambi di gruppo che hanno indebolito notevolmente le principali forze della maggioranza.

Sono sempre più convinto che per garantire stabilità ci vogliono le seguenti condizioni: vincolo di mandato, premio di maggioranza, soglia di sbarramento al 5%.

 

[3] Nigeria, petrolio

 

Il popolo Ogoni difende le sue terre (e le sue acque) nel delta del Niger, devastate, da ben più di mezzo secolo, dai giganti del petrolio. Uno scandalo di proporzioni internazionali, certificato da un rapporto (del 2011) dello United Nazion Environmental Programme: alcuni pozzi, utilizzati dai villaggi per bere, lavarsi e cucinare, contenevano livelli di benzene (un idrocarburo aromatico cancerogeno) mille volte oltre le soglie ammesse in Nigeria (3 µg/L). In Italia il valore soglia, definito dal Decreto Legislativo n. 31/2001 è tre volte più basso: 1 µg/L. L'aspettativa di vita nel Delta del Niger è di 10 anni inferiore a quella del resto della Nigeria.

A tutto ciò si ribellò Ken Saro-Wiwa, scrittore e attivista nigeriano, impiccato insieme ad altri otto compagni per aver difeso la propria terra. Una condanna decisa dal regime militare nigeriano con la presunta complicità della multinazionale Shell, che ha poi patteggiato, nel 2009, un risarcimento di 15,5 milioni di dollari, senza però ammettere alcuna responsabilità.

Ancora oggi la terra degli Ogoni è avvelenata, i fiumi devastati dalle attività delle multinazionali petrolifere, tant'è che la comunità Ikebiri, col supporto della ONG Friends of the Earth, nel 2018 ha avviato una causa, a Milano, chiedendo d'essere risarcita per l'inquinamento delle sue terre, causato, questa volta, da Eni e dalla sua controllata nigeriana Naoc: la causa si è conclusa con un accordo extragiudiziale (i cui dettagli non sono noti), ma molti ritengono che Eni e Naoc abbiano di fatto ammesso le proprie responsabilità.

A L'Aia, nei Paesi Bassi, un altro processo ha portato il 29 gennaio scorso a un chiaro pronunciamento della Corte d'Appello, che ha ordinato alla controllata nigeriana di Shell di compensare quattro contadini di Oruma e Goi, due villaggi del delta del Niger, per i danni causati alle loro terre dalle perdite degli oleodotti. Ci sono voluti 15 anni e nel frattempo due dei quattro contadini sono morti, anche se i loro figli sono subentrati nella causa, supportata da Milieudefensie, filiale olandese dell'ONG Friends of the Earth.

Le vittorie sul fronte dei risarcimenti si fanno sempre più frequenti. Nel 2015, in Inghilterra, la Shell ha concordato un risarcimento di 83 milioni di dollari per la comunità di pescatori di Bodo, mentre lo scorso novembre la Corte Suprema della Nigeria ha rigettato un ricorso della Shell, che rischia di pagare altri 467 milioni di dollari di danni.

Gli abitanti del delta del Niger da decenni lamentano che le perdite di tubi-colabrodo, con scarsa manutenzione e poca sicurezza, causano inquinamento (e in alcuni casi incendi), mettendo in pericolo la loro sussistenza.

La Shell ha insistito nel dichiarare che questi sversamenti sono causati da “sabotaggi”. Ma la Corte ha risposto che è responsabilità della Shell installare sistemi di rilevamento delle perdite negli oleodotti in questione.

Nel processo in corso a Milano sul caso Eni/Shell-Nigeria una provvisionale di 1,92 miliardi di dollari è stata chiesta dal governo nigeriano, che è parte civile. Come mai una cifra così alta (la più grande nella storia repubblicana)? Perché Eni e Shell sarebbero state pienamente consapevoli che i soldi versati dalle due compagnie petrolifere per ottenere l'aggiudicazione dei diritti di esplorazione di Opl 245, sarebbero stati versati all'ex ministro Dan Etete, ritenuto il vero titolare di Malabu, la società che deteneva gli stessi diritti, e che questi avrebbe girato una parte della somma ai pubblici ufficiali nigeriani. Vi è anche un danno di immagine dell'intero Paese. Devono confiscare i soldi agli amministratori delegati e all'ex ministro.

Eni si difende dicendo che il pagamento della licenza da parte della società è stato eseguito direttamente al governo nigeriano, in maniera trasparente, sul conto di una banca nota a livello internazionale.[2]

Eni ha dovuto fare i conti anche con la notifica della richiesta, da parte dei pm di Milano, di stop per due anni alla produzione di petrolio nei pozzi “Marine VI e VII” in Congo, giacimenti valutati 400 milioni. Secondo la procura di Milano, che ha richiesto la misura interdittiva o in subordine il commissariamento, i modelli organizzativi di Eni non riuscirono a impedire che nel 2015 la società finisse in una “corruzione internazionale” all'interno del quadro delle direttive congolesi che imponevano partner locali ai gruppi stranieri operanti nel Paese africano.

Queste vicende cosa ci fanno capire? Che il colonialismo in Africa non è mai finito: si è solo trasformato. Che le multinazionali che lavorano in Africa pensano di poter fare quello che vogliono e la tutela dell'ambiente è la loro ultima preoccupazione. Che guadagnano cifre talmente alte da potersi permettere qualunque risarcimento o di versare tangenti in grado di corrompere qualunque autorità. Che una causa legale contro di loro è molto difficile se non si ha l'appoggio di una ONG.

Ma quel che è peggio è che a molti di noi interessa poco sapere da dove proviene il nostro benessere. L'importante è che non venga mai meno.

 

[4] Suprematismo bianco. Nord Stream 2

 

“Gli estremisti dell'ultra destra, i negazionisti Covid e i neo-nazisti sono sempre più attivi”, ha dichiarato Stephan Kramer, a capo dell'ente per la sicurezza della Turingia. In Germania si sta formando una miscela esplosiva di negazionismo, radicalismo e vecchia cultura razzista.

Un rapporto dell'intelligence tedesca due mesi fa ha denunciato l'allarme terrorismo per il moltiplicarsi dei gruppi di suprematisti bianchi, anche nel Vecchio Continente. Cioè la minaccia suprematista viene messa sullo stesso piano di quella terroristica. A Berlino, dopo i fatti di Washington del 6 gennaio, le autorità dicono di temere attacchi simili in vista delle prossime elezioni politiche.

Infatti molti dei suprematisti europei han visto l'aggressione a Capitol Hill come un esempio da emulare per tentare di rovesciare ogni sistema democratico, anche in Europa. Gli slogan e i simboli che si usano sono uguali.

In uno studio recente del Ministero tedesco degli Esteri si parla esplicitamente di “un nuovo movimento transnazionale di estrema destra, senza leadership ma con le stesse idee apocalittiche e violente”, un movimento che si sta estendendo e radicando da almeno 10 anni. Le teorie che alimentano questi gruppi, come la QAnon ad es., sono molto simili a quelle dei nazi-fascisti degli anni '20: dalla cospirazione di una presunta élite globale contro la popolazione bianca al progetto di sostituzione etnica degli europei con gli immigrati.

Rispetto al secolo scorso però la viralità della Rete ha reso la diffusione di queste teorie molto più rapida ed è più facile che facciano presa negli strati della popolazione maggiormente colpiti dalla pandemia e dalla crisi economica. Lo strumento privilegiato è Telegram. Secondo lo studio tedesco si tratta di una organizzazione che raduna migliaia di persone in incontri e in campi di addestramento.

Esistono anche legami tra suprematisti USA, russi e ucraini. Si parla di un Movimento Imperiale, suprematista bianco e paramilitare. Collegamenti simili sono stati individuati anche dalle autorità britanniche e scandinave, che hanno sventato progetti di attentati contro centri per rifugiati e moschee.

Tra i tessitori di questa rete internazionale vi è Stephen Bannon, prima editore del sito fake news Breibart, poi ideologo e consigliere di Donald Trump. In Italia è un aperto sostenitore della Lega di Salvini e di Fratelli d'Italia della Meloni.

 

È dai tempi dell'amministrazione Obama che gli USA si oppongono alla costruzione del gasdotto russo Nord Stream 2 (iniziato nel 2005), e ci si può scommettere che lo faranno anche con Biden, in quanto per loro è una questione di vitale importanza impedire che la Russia abbia un qualunque rapporto commerciale con la UE, meno che mai sul piano energetico, dove sarebbe impossibile competere o non sentirsi dipendenti. E minacciano di sanzionare qualsiasi azienda che aiuti in qualsiasi modo il completamento del progetto, che la Merkel ha fortemente voluto sin dagli inizi. La società tedesca Bilfinger Engineering, un service provider del settore, si è già ritirata. L'ha fatto anche la società di certificazione della qualità con sede in Norvegia DNV GL.

Gli stessi USA esportano gas in Europa. E a loro è stato facile convincere gli ex Paesi comunisti, entrati nella NATO, come Polonia, Slovacchia, Ucraina, Croazia e Paesi Baltici, a porre dei veti alla realizzazione del Nord Stream 2, il cui costo preventivato è di 11 miliardi di dollari. Il numero 2 sta a significare il duplicato di un gasdotto già esistente sotto il Baltico, Nord Stream 1, oltre ad altri gasdotti che dalla Russia attraversano l'Ucraina e la Bielorussia e proseguono nell'Europa orientale, i quali però, pur avendo una capacità doppia, sono del tutto sottoutilizzati.

La Francia, pur avendo inizialmente aderito, non è mai stata molto convinta del Nord Stream 2. Essa infatti, potendo far ricorso massicciamente all'energia nucleare, e avendo Total e relazioni forti in Africa non ha gli stessi problemi della Germania, che non ha una propria compagnia petrolifera e, in teoria, starebbe dismettendo il nucleare.

Di qui l'intenzione tedesca di completare al più presto il progetto, anche perché negli ultimi mesi il prezzo del gas in diverse aree del globo, inclusa l'Europa, viaggia ai massimi degli ultimi anni. I tedeschi, a differenza degli italiani, han capito molto bene quanto sia strategico poter contare non solo su una fornitura di gas sicura e economica. Le loro imprese non possono subire un incremento dei costi energetici che possa minacciare la competitività dell'intero sistema economico.

L'ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder, primo consulente dei russi in Gazprom e poi presidente del consorzio Nord Stream, sa benissimo che le energie rinnovabili non possono sostituire il gas, almeno non per il prossimo decennio.

Ecco perché il gasdotto, che ha una capacità di 55 miliardi di metri cubi all'anno, partirà da Vyborg per raggiungere il terminale tedesco di Greifswald sul Baltico, aggirando i paesi di Visegrad e cioè Cekia, Slovacchia, Polonia, Ungheria. Sono già stati posizionati sul fondale del Mar Baltico quasi 1.200 km di tubi del gasdotto: ne restano 80.

In questo momento ben 11 Paesi europei dipendono per il 75% del loro approvvigionamento energetico dal gas russo. Tuttavia tra i Paesi UE non c'è, sul piano energetico, una vera politica comune, vantaggiosa per tutti. Ogni volta che si arriva al cuore della sovranità nazionale la UE sembra non esistere, esattamente come per le guerre nel Mediterraneo o per l'emergenza sanitaria. Come se non sapessimo che le politiche energetiche e i rapporti internazionali non s'improvvisano, ma sono frutto di sforzi e visioni di lunghissimo periodo.

 

[5] Svezia, Malmö. Olanda, fisco

 

Situata a Malmö, nel sud della Svezia, è attiva la Biblioteca Dawit Isaak, unica nel suo genere. Contiene infatti, per ora, circa 1.600 libri antichi e contemporanei di scrittori provenienti da tutto il mondo che, a causa della loro professione o delle loro idee, furono messi a tacere, minacciati, imprigionati o costretti all'esilio.

Il nome della biblioteca è un omaggio al drammaturgo e giornalista svedese-eritreo, detenuto in prigione in Eritrea dal 2001 senza processo, perché, avendo pubblicato critiche al regime, è considerato un traditore dal governo. È stato anche ricoverato in ospedale a causa delle torture. Nell'aprile 2012 diversi politici eritrei hanno dichiarato, senza poterlo provare, ch'era morto in prigione. All'interno della biblioteca c'è una sedia vuota, messa lì in attesa del giorno in cui Dawit Isaak verrà rilasciato dalla prigione e riportato in Svezia.

Ogni libro contiene informazioni sul motivo per cui è stato censurato, quando e dove. Alcune delle opere sono famose in tutto il mondo, come p.es. I versi satanici di Salman Rushdie, un ateo nato a Bombay da una famiglia dardica di fede islamica. Nel 1989 fu ritenuto meritevole di morte da parte dell'allora leader religioso iraniano Khomeini. Lo scrittore riuscì a salvarsi rifugiandosi nel Regno Unito e vivendo sotto protezione. I suoi libri sono stati tradotti in 30 lingue.

Anche chi ebbe a che fare con l'opera di Rushdie ne subì conseguenze. Il 3 luglio 1991 venne pugnalato, fortunatamente non a morte, nella sua abitazione milanese, Ettore Capriolo, traduttore del libro in italiano. Una sorte peggiore toccò al traduttore giapponese, Hitoshi Igarashi, ucciso a Tokyo il 12 luglio. L'editore norvegese William Nygaard fu invece ferito a colpi d'arma da fuoco nel 1993.

La fatwa contro Rushdie è stata reiterata ancora nel 2008, tant'è che quando, nel 2015, egli inaugurò la Fiera del libro di Francoforte, l'Iran la boicottò.

Nella biblioteca ci sono anche i libri censurati destinati ai bambini, tra cui il capolavoro dell'autore statunitense Leo Lionni, Piccolo blu e piccolo giallo, scritto nel 1959, tradotto in italiano nel 1975 e bandito nel 2015 dal sindaco di centrodestra di Venezia, Luigi Brugnaro, che l'ha definito “gender”, accusando l'autore, morto nel 1999, di trattare argomenti che non devono essere affrontati in una scuola, ma solo in famiglia. Brugnaro ordinò anche di ritirare dagli asili nido e dalle scuole dell'infanzia comunali ben 49 libri contenenti fiabe contro la discriminazione sociale, sessuale o di genere, alcuni dei quali mostravano nuclei familiari cosiddetti omogenitoriali, fatti acquistare nel 2014 dall'allora consigliera Camilla Seibezzi allo scopo di insegnare ai bambini a rispettare chi è diverso da loro, l'amico disabile, quello adottato, l'omosessuale, chi ha due mamme o due papà, ecc. Il libro di Lionni per i bambini è considerato uno dei più importanti e venduti della seconda metà del XX sec. Oggi è un simbolo della protesta contro qualsiasi forma di censura culturale.

Anche La storia del toro Ferdinando (1936), di Munro Leaf (1905-76), fu bandito dal regime franchista in Spagna perché considerato “propaganda pacifista”, mentre nella Germania di Adolf Hitler tutte le copie dell'opera furono bruciate. Finita la guerra il libro venne distribuito a tutti i bambini tedeschi come gesto simbolico dalle forze alleate. Gandhi lo citava tra i suoi libri preferiti.

Nemmeno le avventure del giovane mago Harry Potter, della scrittrice britannica J. K. Rowling, sfuggirono alla censura: i libri furono banditi in alcuni stati degli USA e nelle scuole private degli Emirati Arabi Uniti con la motivazione di promuovere la stregoneria e l'occulto. Anche alcune scuole in Inghilterra, Canada e Nuova Zelanda hanno cercato di vietare questi libri. Responsabili di ciò sono state soprattutto la Chiesa cristiana avventista del settimo giorno e la Chiesa comunitaria di Cristo del Nuovo Messico.

Il libro della Rowling e quello di Rushdie sono considerati due dei cinque libri più censurati di sempre: gli altri furono Il dottor Živago, di Boris Pasternak, Lolita, di Vladimir Nabokov e Le avventure di Huckleberry Finn, di Mark Twain.

Emelie Wieslander è la direttrice della biblioteca. Speriamo che i fanatici non vogliano uccidere anche lei, che ha comunque pieno appoggio da parte di Pernilla Conde-Hellman, direttrice culturale della città di Malmö.

 

Il 16 di gennaio abbiamo riportato in un post lo scandalo scoppiato in Olanda relativo al comportamento inqualificabile del fisco, che aveva accusato ingiustamente circa 26.000 famiglie di frode. Cosa che indusse il premier a dimettersi.

Oggi vogliamo aggiungere – sulla base di ciò che scrive www.agendadigitale.eu – che in quel Paese si faceva ricorso, per controllare i comportamenti fiscali dei cittadini, all'intelligenza artificiale di un algoritmo matematico. Quindi non c'era un intento persecutorio particolare da parte del fisco. Ma questo non vuol dire che il controllo fiscale non fosse dettato da intenti meno etici.

Infatti un tribunale olandese ha ordinato l'arresto immediato del sistema di sorveglianza automatizzato. È la prima volta che, per ragioni legate ai diritti umani, un tribunale condanna l'utilizzo delle tecnologie digitali e dei Big Data da parte delle autorità di assistenza sociale. Ma è dubbio che verrà davvero rimosso. Per il momento ci si può accontentare del fatto che, dopo gli algoritmi razzisti e di genere della polizia americana, anche gli algoritmi fiscali possono violare i diritti umani o comunque la privacy.

Il sistema di vigilanza olandese (SyRI) è un modello di calcolo del rischio sviluppato dal Ministero degli Affari sociali e del lavoro per prevedere la probabilità che un individuo commetta una frode fiscale o violi le leggi sul lavoro. È stato utilizzato principalmente in quartieri a basso reddito e raccoglie i dati provenienti da diverse fonti: occupazione, debiti personali, registri delle indennità, curriculum scolastici e spese per alloggio. Tutti questi dati producono un algoritmo che riesce a prevedere per quali individui c'è un rischio più elevato di commettere frodi allo Stato sociale.

 

[6] Capitalismo, debito pubblico. Censura ecclesiastica sui libri

 

I Paesi industrializzati hanno cominciato a rastrellare titoli pubblici cinesi, arrivando a detenere il 10% del debito statale cinese. È la prima volta. A spingere la domanda una combinazione di rendimenti più elevati e yuan molto forte. Stiamo parlando di 310 miliardi di dollari: un aumento di quasi 19 miliardi di dollari rispetto al mese precedente. Eppure a partire dalla fine del 2020 il rapporto debito/Pil è salito in Cina al 45,8%, un aumento del 7,3% rispetto alla fine del 2019.

Giusto per fare un paragone: il rapporto debito/Pil è cresciuto in Italia, nello stesso periodo, di circa 23 punti, ma anche noi a fine 2020 abbiamo conosciuto un'impennata di domanda estera verso il nostro debito, sicché ci appare del tutto normale che il 36% del debito sia detenuto da soggetti stranieri.

Nel 2020 la pandemia è costata a ogni italiano oltre 5.400 euro, sicché oggi siamo indebitati di circa 43.000 euro pro-capite rispetto al debito pubblico.

Gli Stati più s'indebitano e più sono costretti ad alzare i tassi d'interesse dei loro titoli per risultare appetibili a chi ha capitali da investire. È questa la logica del capitale. Il fatto che gli interessi sul debito pubblico siano pagati creando altro debito è visto come cosa normalissima. Se vedessimo una famiglia o una singola impresa comportarsi così, diremmo che sono matti. Se invece è un intero Stato, pensiamo che lo faccia a ragion veduta, nella convinzione che non possa fallire come una singola impresa.

Non è solo sete di profitto finanziario, ma anche questione di psicologia, cioè si pensa che se uno Stato si permette di pagare certi interessi, soprattutto in un periodo in cui i rendimenti del denaro sono minimi, vuol dire che se lo può permettere.

Ma questo vuol dire anche che uno Stato diventa ricattabile da parte di soggetti stranieri, che potrebbero rinunciare a comprargli il suo debito. Gli stessi creditori potrebbero perdere i loro capitali se lo Stato debitore si dichiarasse insolvente.

Insomma si vive scommettendo, senza rendersi conto che in gioco vi è il destino di milioni di persone.

Ricordiamo che è dagli anni '80 che la nostra spesa pubblica è fuori controllo: dal 60% del Pil nel 1980 siamo passati al 100% nel 1990, per ritrovarci a oltre il 124% nel 1994. Da quell'anno per fortuna inizia a scendere, con l'Italia costretta alla disciplina fiscale per entrare nell'Unione monetaria. Ma con la grande crisi del 2008 il debito è ripreso a crescere e questa volta nessuno è più riuscito a fermarlo. Il Covid-19 ci ha messo al tappeto. Senza la UE avremmo dovuto gettare la spugna.

 

L'ex Sant'Uffizio, sulla scia del Concilio Vaticano II, abolì l'Indice dei libri proibiti nel 1966. Ebbe finalmente termine la più grande operazione di censura nella storia dell'umanità: circa 8.000 titoli (2.200 nel XVI sec. e 5.200 dal 1600 al 1966, senza includere i precedenti, senza i testi autocensurati, senza poter conteggiare il controllo preventivo sulla stampa, ecc.).

L'Indice rimaneva moralmente impegnativo per la coscienza dei cristiani, in quanto molti libri potevano mettere in pericolo la fede, ma non aveva più forza di legge ecclesiastica con le annesse censure, cioè la scomunica. D'ora in avanti sarebbe stato compito di tutti i fedeli, e soprattutto del clero, esaminare e, se possibile, anche prevenire la pubblicazione di libri nocivi e, qualora si dia il caso, di riprenderne gli autori e di ammonirli.

Così in sostanza diceva il testo ufficiale della Congregazione per la dottrina della fede. Ancora oggi tutti i manuali per l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali devono avere l'imprimatur di un'autorità ecclesiastica.

È dagli albori del cristianesimo, fin dal primo Concilio di Nicea del 325, che alcune opere vengono vietate (p.es. tutte quelle ariane, quelle di papa Anastasio I o del filosofo e teologo greco Origene di Alessandria).

Nel 405 papa Innocenzo I scrisse una lista di libri apocrifi. Nel 431 vengono bruciati gli scritti di Nestorio. Nel 443 i testi manichei.

Nel 787, al II Concilio di Nicea, fu stabilito che tutti i libri eretici dovessero essere consegnati al vescovo in persona.

Roghi di opere di personaggi illustri come Pietro Abelardo, Arnaldo da Brescia e Francesco Stabili, furono organizzati nella prima parte del Medioevo. Ma presto si passerà dal bruciare i libri al bruciare le persone. Dal 1077 al 1737 sono state giustiziate oltre 700 persone per eresia dai Tribunali ecclesiastici cattolici.

La prima bolla papale esplicita fu di Innocenzo VIII nel 1487 con la sua censura preventiva che necessitava l'approvazione dei vescovi prima che il libro andasse in stampa.

Nel 1542 fu istituita la Sacra Congregazione della romana e universale inquisizione che doveva, appunto, vigilare sulle nuove pubblicazioni, impedendo la diffusione di libri eretici. Il nemico n. 1 era la riforma protestante. L'idea fu sviluppata durante il Concilio di Trento (1545-63).

Il primo a stilare un elenco, nel 1548, fu mons. Giovanni Della Casa, l'autore del celebre Galateo overo de' costumi, che fu arcivescovo di Benevento e nunzio apostolico a Venezia, ma non cardinale, poiché in gioventù aveva pubblicato scritti licenziosi.

Nel 1557 Paolo IV incaricò i cardinali inquisitori di redigere un elenco ufficiale di libri proibiti. Cosa che fu fatta due anni dopo. Fu così che nacque il primo vero Indice dei libri proibiti, conosciuto come “Indice Paolino”. Anche solo il possesso di uno dei libri inclusi nell'Indice era spesso adoperato dagli ispettori ecclesiastici come prova contro un imputato di eresia.

Col passare del tempo l'Indice venne aggiornato più di 40 volte comprendendo nomi autorevoli della letteratura, della scienza, della storia, della filosofia e della religione.

Tra gli stranieri furono sottoposti a censura Francesco Bacone, Balzac, Berkeley, Bergson, Calvino, Cartesio, Defoe, de la Fontaine, Diderot, Dumas (padre e figlio), Enrico VIII, Flaubert, Hobbes, Hugo, Hume, Huss, Kant, Keplero, Lutero, Locke, Montesquieu, Occam, Pascal, Proudhon, Rabelais, Rousseau, Spinoza, Stendhal, Voltaire, Zola.

Tra gli italiani: Alfieri, Alighieri (De Monarchia), Aretino, Ariosto (Orlando Furioso), Beccaria, Boccaccio (Decamerone), Bruno, Buonaiuti, Croce, D'Annunzio, Fogazzaro, Foscolo, Galilei, Gentile, Guicciardini, Leopardi, Machiavelli (tutte le opere), Malaparte, Rosmini, Savonarola, Settembrini, Tommaseo, Valla, Vanini, Verri. Torquato Tasso si auto-censurò per evitare gli effetti del provvedimento.

Tra gli ultimi a entrare nella lista: Simone de Beauvoir, Aldo Capitini, Alberto Moravia, André Gide e Jean-Paul Sartre. Nel 1961 venne messo l'ultimo libro all'Indice: La vita di Gesù, di Jean Steinmann, biblista francese.

La censura non risparmiò nemmeno un papa del '400, Pio II, per i suoi scritti giovanili filoconciliari.

All'Indice finirono sia i libri degli eretici (incluso il Talmud), sia le edizioni di alcuni Padri della Chiesa e delle Scritture (45 edizioni della Bibbia, oltre a tutte le Bibbie nelle lingue volgari), la teologia in volgare, le pubblicazioni oscene, i trattati di magia e di astrologia.

Finì sotto esame dell'ex Sant'Uffizio, nel 1853, perfino La capanna dello zio Tom, un romanzo antirazzista scritto dalla statunitense metodista Harriet Beecher Stowe: uno dei più venduti del XIX sec., al punto che molti critici ritengono che possa aver alimentato la causa abolizionista del 1850. Fu poi comunque risparmiato dalla censura.

Stranamente però non vi è inclusa neppure un'opera di Marx, Lenin e Stalin, anche se nel 1949 la Congregazione del Sant'Uffizio scomunicò i comunisti e i loro testi ideologici. È possibile invece spiegare perché non siano inclusi né Hitler né Mussolini, partner dei rispettivi Concordati.

Dopo il 1966 vi sono state alcune famose censure: p.es. nel 1970 la Congregazione per la Dottrina della Fede processò il filosofo Emanuele Severino, costringendolo a lasciare la cattedra all'Università Cattolica di Milano; nel 1979 la Congregazione revocò l'insegnamento della teologia cattolica ad Hans Küng, che solo nel 2009 fu riabilitato col perdono pontificio. Nel 1989 il Vaticano condannò il video musicale Like a prayer della cantautrice Madonna, accusandola di sacrilegio ed eresia.

Nel 1998 gli archivi storici del Sant'Uffizio e dell'Indice sono stati aperti, dando la possibilità agli studiosi di ricostruire l'intero passato della Congregazione.

 

[7] Danimarca, ecologia. Aja, Corte penale. Mutilazioni genitali femminili

 

La Danimarca è uno dei Paesi che contribuiscono di più alla produzione di energia elettrica da fonti eoliche nell'Unione Europea (con 1,7 gigawatt di potenza massima installata).

Attualmente circa 1/3 dell'energia elettrica di cui hanno bisogno i Paesi dell'Unione è prodotto da fonti rinnovabili e, secondo dati dello scorso novembre, la potenza elettrica massima delle turbine eoliche offshore in Europa è di 12 gigawatt.

Ora i danesi hanno in mente di costruire addirittura due “isole per l'energia” in mare aperto: una nel mar Baltico (per 2 gigawatt), l'altra nel mare del Nord (per 3 gigawatt). Quest'ultima sarà grande 120.000 mq, più o meno come 17 campi da calcio, e produrrà energia grazie a 200 turbine eoliche giganti. Nel tempo entrambe in totale dovranno raggiungere la capacità di 10 gigawatt.

È il progetto infrastrutturale più grande e ambizioso nella storia della Danimarca, uno dei primi Paesi a sfruttare l'energia eolica. Fa parte del programma avviato già dal 1990 per ridurre le emissioni inquinanti e raggiungere la cosiddetta “neutralità climatica” o “emissioni zero”, cioè l'equilibrio tra emissioni e assorbimento di anidride carbonica entro il 2050. Già entro il 2030 sarà non grado di ridurle del 70%.

Lo scorso dicembre il governo ha annunciato che non avrebbe approvato nuove concessioni per la ricerca di giacimenti di petrolio e di gas naturale nel mare del Nord. A tutt'oggi solo la Norvegia ha fatto una dichiarazione altrettanto radicale. La Danimarca infatti è il più grande produttore di petrolio tra i Paesi della UE.

Ovviamente l'energia elettrica prodotta dalle due isole non sarà destinata soltanto alla Danimarca, ma anche ad altri Paesi: Germania, Belgio e Paesi Bassi e forse Regno Unito.

L'enorme progetto, che entrerà in funzione non prima del 2030, dovrebbe costare circa 28 miliardi di euro. Data la sua grandezza e complessità, lo Stato avrà la maggioranza della proprietà delle isole, mentre il resto sarà di diverse società private.

E questo è solo uno dei grandi progetti ecologici che la Danimarca ha intenzione di realizzare. Vuole p.es. costruire 9 nuove isole artificiali che ospiteranno circa 380 società e creare almeno 12.000 posti di lavoro. Sarà il più grande distretto tecnologico ed ecologico europeo, esteso 3 kmq. Gli impianti per la produzione di energia pulita dovrebbero soddisfare quasi 1/4 del bisogno dell'intera città di Copenaghen, riducendo anche le emissioni di anidride carbonica annue di almeno 70.000 tonnellate. Vi verrà costruito anche il più grande termovalorizzatore del nord Europa, cioè un impianto di smaltimento dei rifiuti che produce energia. Le isole faranno anche da barriera contro l'erosione della costa. La costruzione, che non ricevi fondi pubblici ma che di fatto si autofinanzia, partirà nel 2022 e dovrebbe essere completata nel 2040.

Mi chiedo: perché i danesi riescono a sfruttare la potenza del vento e noi no? Perché loro hanno in mente progetti così ambiziosi e noi no? E soprattutto perché quando abbiamo in mente progetti del genere, come p.es. il Mose di Venezia, ci mettiamo così tanto tempo a finirli e li caratterizziamo sempre da una quantità infinita di abusi e di forme corruttive? E infine, cos'hanno i danesi più di noi quando si tratta di tutelare ecologicamente l'ambiente?

 

La Corte penale internazionale dell'Aja ha stabilito di avere giurisdizione sui Territori palestinesi e, di conseguenza, di poter procedere all'apertura di inchieste contro Israele e Hamas per “crimini di guerra” in Cisgiordania, Gerusalemme est e a Gaza.

Cioè tale Corte ha deciso che la sua giurisdizione territoriale sulla Palestina (che è uno Stato membro dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale), si estende ai territori occupati da Israele a partire dal 1967.

La decisione, accettata dall'Autorità Nazionale Palestinese, ha invece scatenato l'ira di Israele. Il primo ministro Netanyahu ha detto che quella dell'Aja è un'istanza politica e non giudiziaria, intenzionata a perseguitare lo Stato democratico israeliano.

Israele è tanto democratica che non fa neppure parte della suddetta Corte. E da sempre vuol fare in Palestina quello che le pare e non sarà certo una Corte giudiziaria a fermarla. Anche perché il leitmotiv che spiega la rivendicata libertà di azione è la lotta contro il terrorismo. Chi non è ebreo, sionista o israeliano è potenzialmente un terrorista.

Mi chiedo quanto tempo potrà durare un'arroganza del genere.

 

Nel mondo 200 milioni di donne e bambine hanno subito mutilazioni genitali femminili. Tra le vittime, 44 milioni sono bambine fino a 14 anni, e 3,9 milioni di ragazze sono a rischio ogni anno.

In questa drammatica forma di violenza rientrano più di 600.000 donne e ragazze in Europa e oltre 80.000 in Italia.

È una situazione a dir poco spaventosa. Si può capire quella maschile, non per motivi religiosi, ma medici, quando il frenulo è corto, ma quella femminile è davvero insensata, frutto solo di una prevaricazione maschilista.

Eppure potrebbero verificarsi due nuovi milioni di casi nel prossimo decennio, nonostante i progressi finora ottenuti. Questo perché la pandemia di Covid-19, che ha fatto chiudere le scuole facendo diventare le bambine più vulnerabili, sta rallentando i programmi di prevenzione e contrasto.

I Paesi che preoccupano di più sono Kenya, Tanzania, Nigeria, Niger, Yemen, Somalia e Sudan, dove sono molto diffusi anche i matrimoni precoci e forzati. In Somalia ben il 98% delle donne ha subito l'infibulazione.

Purtroppo, anche se esiste una legge che l'impedisce, la mutilazione è una pratica tradizionale identitaria (l'infibulazione serve a mantenere intatta l'illibatezza della donna) e la sua applicazione nelle aree più remote e prive di cultura esiste ancora: chi non è circoncisa o infibulata è giudicata come una ragazza impura e viene discriminata (nella tradizione Masaai i giovani non sposano le donne che non hanno subito il taglio). E l'islam, che pur non la prevede necessariamente, non ha mai fatto nulla per impedire una vergogna del genere, che peraltro spesso comporta dolorose conseguenze fisiche: p.es. durante il ciclo o il parto, ma anche infezioni ed emorragie. Perché non proporre dei cerimoniali alternativi incruenti per il passaggio dall'adolescenza alla maturità?

Si consigliano le Linee guida sull'Uguaglianza di Genere e Empowerment di Donne, Ragazze e Bambine (2020-2024), dell'Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.

 

[8] UE, Debito pubblico. Iconoclastia dei classici. Perù, sterilizzazioni forzate. Myanmar, Karen

 

Sta raccogliendo sempre più consensi tra gli accademici di diversi Paesi europei la petizione di un centinaio di economisti europei che chiede la cancellazione dei debiti pubblici statali detenuti dalla Banca Centrale Europea.

Sostegni per l'appello arrivano da Francia, Italia, Spagna, Grecia, Portogallo e Ungheria. Una proposta simile è stata avanzata dal presidente del parlamento europeo David Sassoli. La presidente BCE Christine Lagarde invece non ne vuol sapere.

Gli estensori del documento rimarcano come ormai il 25% dei debiti europei sia ormai in mano alla BCE. È il risultato di 6 anni di programmi di quantitative easing, ossia l'acquisto di titoli di Stato da parte della Banca centrale con denaro appositamente “stampato”. Quello che si chiede è che la BCE, che non ha tra i suoi obiettivi quello di guadagnare con questi titoli, li cancelli oppure li renda perpetui, cioè proceda a quella che si chiama monetizzazione del debito, che in teoria sarebbe vietata nella UE. I debiti infatti si pagano facendo investimenti oculati, rifucendo le spese all'osso, aumentando le imposte, mantenendo basso il costo del denaro ecc., non estinguendoli.

A dir il vero i suddetti economisti non chiedono di annullare formalmente i debiti, ma di trasformarli in una rendita perpetua che la BCE deterrebbe nei confronti degli Stati a tassi di interesse nulli. Si dicono consapevoli di come la cancellazione costituirebbe un provvedimento eccezionale, così come fu eccezionale la cancellazione dei 2/3 dei debiti tedeschi dopo la seconda guerra mondiale. Notano però come lo scenario delineato dalla pandemia sia paragonabile a quello generato da un conflitto mondiale, il che può autorizzare interventi straordinari.

Danno atto alla UE di avere fatto un grande sforzo per fronteggiare le ricadute economiche della pandemia, ma lo ritengono insufficiente, soprattutto se messo a confronto col piano da quasi 2.000 miliardi di dollari a cui lavora la nuova amministrazione Biden.

Strategie monetarie non molto differenti sono state già adottate in Giappone, senza particolari ricadute negativi nel rapporto tra Paesi e mercati.

Mi chiedo: non è rischioso un atteggiamento del genere? Se ci abituiamo all'idea che i debiti prima o poi vengono condonati, staremo davvero attenti alle spese che facciamo? È possibile considerare il denaro uno strumento così flessibile da poter essere utilizzato in maniera così disinvolta o spregiudicata? Chi sarebbe disposto a comprare titoli di uno Stato sapendo che quello Stato potrebbe anche decidere, di punto in bianco, di non pagare i propri debiti?

Una volta il denaro aveva il suo valore in rapporto ai beni in oro depositati nelle banche. Oggi ha un valore in rapporto al PIL. Ma garantire un PIL elevato non è così semplice in un mercato globalizzato, dove i competitori sono tanti e sempre più agguerriti. Basta vedere che salasso incredibile ha generato il Covid-19 alle imprese legate al turismo, al tempo libero, alla ristorazione. Che succederebbe a uno Stato il cui debito, comprato da un altro Stato con un'economia molto più forte, non potrebbe essere onorato? Per quale motivo il debitore deve pensare che il creditore si comporterà in maniera comprensiva? Ci sono ragioni per cui nel capitalismo è possibile pensare ad atteggiamenti magnanimi?

 

Dan-el Padilla Peralta è un giovane professore che insegna storia romana all'Università di Princeton, nonché la ricezione del classicismo greco-romano nelle culture americane e latinoamericane contemporanee. È nato nella Repubblica Dominicana ed è immigrato clandestinamente negli USA all'età di 4 anni. Oggi sostiene la tesi della negazione della cultura classica greca e romana, giudicandola fomentatrice di tentazioni autoritarie, di slogan e di valori che stanno alimentando da tempo la nuova destra americana, che si ispira proprio alle élite del passato.

Le ragioni di Padilla Peralta sulla discriminazione razziale partita dai greci e dai romani, coi suoi effetti successivi di torture ed esclusione che hanno interessato anche l'olocausto e le minoranze nella seconda guerra mondiale, ha mantenuto grande vivacità ed è cresciuta con la nascita di Black Lives Matters.

L'attacco ai testi classici e alla storia greco-romana sta diventando una battaglia virale sui social e nelle aule delle università americane, dove si discute accanitamente se i testi classici, oggi, almeno in America, possano avere un futuro o siano tutti da riscrivere con l'inclusione di quelle categorie sociali come gli schiavi e gli oppressi, che non hanno mai fatto parte della narrazione e della crescita sociale raccontata in quei testi.

Padilla a 9 anni leggeva la biografia di Napoleone Bonaparte e alcuni testi sulle guerre greco-romane, poiché erano gli unici volumi che poteva trovare nel sudicio rifugio per senzatetto nel Queens e nel Bronx, dove ha vissuto per anni in povertà con la madre e col fratello.

Adesso chiede la demolizione del dipartimento dei “Classici” a Princeton – che verrebbe sciolto nei dipartimenti di Antropologia e Linguistica – perché di fatto lo ritiene fonte di errata formazione ideologica.

All'Università di Princeton si sono accorti che i corsi sui classici, solitamente riservati a studenti maschi e bianchi, con le lezioni critiche di Padilla hanno iniziato ad affollarsi anche di studenti di colore e di ragazze.

Indubbiamente siamo tutti figli della cultura greco-romana. Quella cultura che, sbagliando, ha considerato il Medioevo un periodo buio almeno sino alla nascita dei Comuni. Quella cultura che giudicava “barbare” tutte quelle popolazioni che non parlavano greco o latino. Bisogna ammettere che il globalismo ci ha costretto ad avere uno sguardo più articolato verso le culture non occidentali e più autocritico nei confronti della nostra. Ma passare da un estremismo all'altro di sicuro non ci farà bene. Gli errori del passato vanno capiti per non ripeterli.

 

Il 1 marzo prenderà il via il tanto atteso processo contro l'allora presidente-dittatore peruviano Alberto Fujimori (al governo dal 1990 al 2000) e contro alcuni membri del suo governo, che nel 1996 lanciarono un famigerato programma di controllo delle nascite, all'interno del quale si consumò forse la più massiccia campagna di sterilizzazioni forzate della storia. Ben 350.000 donne indigene furono sottoposte a intervento, la grande maggioranza senza che avesse espresso consenso.

Nei villaggi numerose donne sono morte per infezioni dopo essere state operate in luoghi improvvisati e con anestesia per animali. Chi è sopravvissuto ha avuto problemi a lavorare nei campi o al telaio. In tante hanno avuto conseguenze pesanti sulla salute, a livello ormonale p.es. Non pochi divorzi si sono verificati dopo gli interventi.

Nel 2018 è stata fondata l'Associazione delle Vittime delle Sterilizzazioni forzate di Lima e Callao, che reclama giustizia e riparazione.

Nel 2015, sotto la pressione di varie organizzazioni per i diritti umani che ritengono le sterilizzazioni forzate un crimine contro l'umanità, il governo ha creato il Registro delle vittime, certificando l'iscrizione di 7.000 donne, promettendo un sostegno psicologico e sanitario che in larga parte non si è realizzato. Ma ogni tentativo legale di inchiodare Fujimori, che nel frattempo, ultra 80enne, si alterna tra ospedali, aule di giustizia e arresti domiciliari, visto che deve scontare varie condanne per corruzione, omicidi e violazione dei diritti umani, è risultato finora vano.

Amnesty International, con la sua direttrice per il Perù, Marina Navarro, ha sostenuto questa battaglia di giustizia, così come il Fondo dell'ONU per le vittime di tortura. La Procura di Lima ha raccolto migliaia di testimonianze, referti medici, e finalmente, dopo numerosi rinvii, il 1 marzo si andrà in aula con 1.307 vittime, le prime che denunciarono.

 

Nessun vero patriota del popolo Karen (etnia di 4-5 milioni di persone in guerra da oltre 70 anni col governo centrale del Myanmar) piangerà per l'arresto di Aung San Suu Kyi, considerata incarnazione di un nazionalismo birmano che, pur non arrivando allo sciovinismo della giunta militare, ha ignorato totalmente le istanze delle numerose etnie che abitano il Paese, soprattutto quella dei Rohinga, a maggioranza musulmana, vittima di violenze con intento genocida nel 2017, quando centinia di migliaia di persone furono costrette a cercare scampo in Bangladesh.

Il golpe costringerà anche la debole leadership Karen a confrontarsi con una base sempre più delusa dagli esiti del cessate il fuoco firmato nel 2015. Infatti la politica del governo ha saputo sfruttare la tregua per occupare e militarizzare senza colpo ferire larghe aree della regione dei Karen.

In aperto contrasto con i rappresentanti politici del movimento autonomista, spesso accusati di tradimento, i comandanti più carismatici delle truppe Karen, il generale Nerdah Mya e il generale Baw Kyaw, non hanno mai smesso di fronteggiare gli uomini dell'esercito birmano con imboscate e contrattacchi, quando i soldati di Rangoon si avvicinavano troppo ai villaggi Karen. Negli ultimi mesi gli scontri si erano intensificati a causa dei frequenti bombardamenti di insediamenti civili da parte del governo, che hanno lo scopo di costringere alla fuga gli abitanti e di “ripulire” le zone in cui verranno costruite strade di interesse strategico, richieste soprattutto dai rapporti commerciali con la Cina.

Ora se non si realizzano alleanze militari tra le differenti etnie in lotta contro l'occupazione birmana, il destino di queste minoranze etniche è segnato, anche perché Pechino ha mostrato d'essere dalla parte dei generali golpisti, opponendosi alla risoluzione di condanna da parte del Consiglio di sicurezza dell'ONU.

Ricordiamo che il Myanmar (ex Birmania) è ricco di gas, legname, energia idroelettrica e petrolio offshore. I Karen, popolo turco-mongolico originario del Tibet, aiutarono gli inglesi sul fronte birmano a battere i giapponesi nel 1944-45. Gli inglesi a quel tempo promisero ai Karen uno Stato indipendente, ma non mantennero la promessa, anche perché si ritirarono dalla Birmania nel 1947. Alcune formazioni armate combattono il governo centrale dal 1949. In origine l'obiettivo ufficiale era l'indipendenza, ma dal 1976, dopo che i civili sfollati sono stati oltre un milione, chiedono la creazione di uno Stato federale che lasci ampia autonomia al popolo Karen. Ma i militari non vogliono saperne: la stessa Costituzione ha solo poche clausole dedicate alle minoranze.

Le Nazioni Unite dal 1991 hanno adottato 25 differenti risoluzioni di condanna riguardanti il governo del Myanmar.

 

[9] Honduras. Migranti. Italia, debito pubblico

 

I migranti del Centramerica (El Salvador, Honduras, Guatemala), diretti verso gli USA, sono arrivati alla conclusione che per loro è meglio attraversare il Messico in massa, facendo quanto più rumore possibile e camminando lungo le grandi arterie piuttosto che passare da sentieri sperduti. Usano Facebook per autoconvocarsi.

Han capito che spostandosi in grandi masse, contemporaneamente, diventano un evento politico, un conflitto diplomatico che viene trattato nei media, sicché i politici non possono più negarne l'esistenza e devono prendere delle posizioni chiare (anche se quelle di Trump, fino a ieri, erano assurde).

Ultimamente vi sono circa 9.000 honduregni che vogliono andare a vivere negli USA. Prendono bastonate dalle forze dell'ordine del Guatemala e da quelle del Messico, ma non demordono, perché non hanno nulla da perdere.

Infatti 6 persone su 10 vivono in Honduras sotto la soglia della povertà, e 4 su 10 non hanno abbastanza denaro per comprare da mangiare: quindi la povertà è estrema.

Dopo il Brasile è questo il Paese con più disuguaglianze nella regione, che a sua volta è quella con le maggiori disuguaglianze al mondo.

L'Honduras ha il più alto debito estero al mondo, un'inflazione al 20%, un PIL pro-capite di 2.500 dollari e un tasso di emigrazione annuale superiore all'8%. E nonostante ciò, oltre il 6% del PIL viene speso per la difesa.

Il 70% della sua economia è informale: venditori di cibo per strada, di cd pirata, di vestiti, di verdure... L'80% del PIL proviene dalle multinazionali statunitensi e da una oligarchia di una decina di famiglie latifondiste.

L'Honduras è anche uno dei Paesi più violenti della regione (20 persone al giorno vengono assassinate), e San Pedro Sula (il cuore economico del Paese) occupa sempre i primi posti nella classifica delle città più violente al mondo (158 omicidi ogni 100.000 abitanti).

A causa del Covid-19 questa ex repubblica delle banane (che si trova sulla rotta principale del traffico di coca diretto verso gli USA) ha fatto sprofondare quasi un milione di persone nella miseria. Il 51% delle aziende private registrate sono chiuse o stanno per chiudere. La disoccupazione è enorme. Il Paese ha perso circa il 12% del suo PIL e non è in grado di garantire la propria autosufficienza alimentare.

Poi sono arrivati, alla fine del 2020, l'uragano atlantico Eta, di categoria 4, e l'uragano Iota, di categoria 5 (il massimo), che non solo hanno causato molte vittime, lasciando tantissimi senza casa, ma han fatto anche marcire le piantagioni di banane e di canna da zucchero.

A queste calamità si aggiunge la corruzione dilagante del governo, il cui presidente, Juan Orlando Hernández, sta pensando di farsi rieleggere una terza volta, anche se la Costituzione lo vieta.

Il responsabile della commissione per gestire la pandemia e gli effetti degli uragani, è un cantante di reggaeton, privo di alcuna competenza, che ha sostituito altri due ultracorrotti.

Questa gente sta fuggendo da un insopportabile accumulo di violenze, corruzione, povertà e criminalità organizzata che ha chiuso qualsiasi possibilità di una vita dignitosa.

 

Il Documento Programmatico di Bilancio 2021 indica che il rapporto tra debito pubblico e PIL è aumentato dal 134,7% nel 2019 al 158% nel 2020 e scenderà al 155,6% nel 2021.

Non soltanto sarà difficile onorare il debito pubblico (2.580 miliardi di euro), ma non si riuscirà a pagare nemmeno gli interessi, anche se i tassi restassero vicini allo zero. Noi siamo destinati a sostituire con nuovo debito il debito in scadenza.

La monetizzazione del debito appare l'unico strumento in grado di affrontare il problema. Cioè in pratica il nostro Stato emette obbligazioni sul mercato e la BCE ne compra una bella fetta, impegnandosi a mantenerli presso di sé e a rinnovarli quando giungeranno a scadenza.

Il debito monetizzato resta come attività fittizia nel bilancio della BCE e come passività fittizia nel bilancio dello Stato, non avendo quest'ultimo l'obbligo di rimborsarlo in futuro.

Cosa pensa la Banca Mondiale di questa monetizzazione? Che nel lungo periodo è una forzatura insostenibile, in quanto non può di per sé evitare il tracollo finanziario, che peraltro nell'economia mondiale attuale, avrebbe effetti globali.

È stato proprio Mario Draghi, che per aggirare in qualche modo il divieto espresso dai Trattati europei, ha immesso nel mercato, attraverso il programma di alleggerimento quantitativo, una grande quantità di liquidità acquistando attività finanziarie dei vari Paesi europei in difficoltà e ottenendo, in tal modo, una caduta generalizzata dei saggi di interesse.

Questa manovra, che doveva essere provvisoria, ha ridotto sostanzialmente l'onere del debito per tutti i Paesi UE.

La BCE col Quantitative easing ha attuato una politica economica non convenzionale per stimolare la crescita economica dei Paesi in crisi, ma questo strumento non rientra tra le misure tipiche di politica monetaria. Tant'è che la BCE non può sterilizzare le attività finanziarie a tempo indeterminato.

Ora, in presenza della pandemia, quella che doveva essere una soluzione provvisoria, sembra destinata a trasformarsi in una inevitabile necessità. Ma gli Stati più “virtuosi” della UE per quanto tempo saranno disposti ad accollarsi i debiti degli altri? Stiamo sempre lì a dirci che il debito pubblico del Giappone è molto più alto del nostro, di cui loro non si preoccupano, e però ci scordiamo di aggiungere che quel Paese è la terza economia mondiale.

 

[10] USA, algoritmi anticrimine. Israele, Tribunale dell'Aja. Mormoni, poligamia. Indonesia, estremismo islamico

 

COMPAS è un software usato in alcuni tribunali americani per analizzare la fedina penale e altri dati di un imputato, e quindi per produrre un rapporto più circostanziato per i giudici. Dicono che i big data e l'uso del machine learning avanzato rendono queste analisi più accurate e con meno pregiudizi rispetto a quelle svolte dagli uomini.

Son cose prive di senso, come tante prodotte negli USA, dove soprattutto la giustizia penale fa acqua da tutte le parti.

Questo perché non solo è orribile pensare di poter prevedere che qualcuno possa commettere un crimine, ma è altresì evidente che qualunque algoritmo ha gli stessi pregiudizi razziali degli esseri umani.

Lo dimostra il fatto che COMPAS ha sbagliato completamente il numero di neri che secondo le sue previsioni matematiche sarebbero tornati a commettere un crimine: l'aveva giudicato molto più alto di quello dei bianchi. Se nelle probabilità dell'algoritmo l'operatore mette che il nero è ad alto rischio e il bianco a basso rischio, che previsione si può ottenere? Anche un bambino lo capisce.

La realtà è che gli americani non sanno più come gestire la diffusa delinquenza, e fanno di tutto per attribuirla a questioni di tipo razziale. Non a caso preferiscono colpire i soggetti più deboli, meno difesi dai costosi avvocati, quelli più facilmente ricattabili con varie minacce, quelli a cui si può estorcere più facilmente una falsa confessione. Alla giustizia americana, di regola, non interessa trovare la verità dei fatti, ma un colpevole per la gente frustrata dalla presenza di una enorme criminalità.

COMPAS non è il solo sistema usato dalla polizia americana. Città come Los Angeles e Chicago hanno programmi avviati da un pezzo, con cui vengono monitorate in tempo reale le aree urbane più difficili, cercando di prevedere dove è più probabile che ci siano rapine e scippi.

Anche nel film di fantascienza “Rapporto di minoranza” del 2002, diretto da Steven Spielberg, liberamente tratto dall'omonimo racconto di fantascienza di Philip K. Dick, si riesce a predire chi commetterà un reato prima che lo faccia.

COMPASS e gli altri algoritmi prevedono dove e quando è più probabile che un reato avvenga, non chi lo commetterà, sulla base di un determinato punteggio: da zero (bassa probabilità) fino a 500 (alta probabilità). Davvero una bella scoperta sapere che il crimine è più facile nei luoghi più disastrati delle periferie urbane. Strano però che l'algoritmo non riesca a prevedere che i crimini più grandi si compiono nelle banche, in borsa, nelle assicurazioni, nelle frodi fiscali, nelle guerre scatenate dalle varie amministrazioni democratiche e repubblicane, nelle feroci persecuzioni degli afroamericani e dei migranti.

Non a caso la città di Oakland, in California, ha deciso di fermare la sperimentazione perché ritenuta fallimentare. L'uso del software ha fatto aumentare nelle minoranze ispaniche e afroamericane la sensazione d'essere prese di mira per la loro etnia.

Ancora più sintomatico dell'inutilità di questi algoritmi è che Chicago, dove la polizia ne usa uno, continua a restare la città col più alto tasso di omicidi d'America. Anzi, strumenti del genere non fanno altro che militarizzare le città, creando una cultura del sospetto e della paura molto radicata in zone in cui le tensioni sono alte e il controllo è già molto difficile.

 

Il quotidiano israeliano “Haaretz” ha pubblicato un importante articolo, tradotto da “Internazionale” il 9 febbraio, sulla decisione presa dal Tribunale penale internazionale dell'Aja d'indagare sui presunti crimini di guerra commessi da Israele nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania.

Dopo 53 anni si è finalmente fatto capire a Israele che non può continuare a ignorare il diritto internazionale. Non è certo un caso che il Paese non abbia mai aderito al suddetto Tribunale: non ha alcuna intenzione d'essere indagato.

Non pochi, nell'establishment militare e politico israeliano, stanno pensando ad assumere avvocati esperti per essere difesi. Temono persino che se andranno all'estero per qualche motivo, potranno essere arrestati.

L'autore sostiene che forse alle prossime elezioni un candidato “centrista” come Benny Gantz non si vanterà del numero di tombe in Libano di cui si è reso responsabile. Forse un altro candidato “centrista” come Moshe Ya'alon, che ha assassinato Khalil al Wazir (Abu Jihad) nel suo letto e che, come ministro della Difesa, ha condotto l'operazione “Margine di protezione” nella Striscia di Gaza nell'estate del 2014, comincerà a vergognarsi almeno un po' delle sue azioni.

Invece di mettersi a disposizione del Tribunale, Israele ha reagito con un fiume d'indignazione, lamentele e minacce: si è compattata quasi totalmente, assumendo il ruolo della vittima. Non c'è differenza tra destra e sinistra. Infatti il leader dell'opposizione, Yair Lapid, ha definito “vergognosa” la decisione del Tribunale, sostenendo che “incoraggia la resistenza palestinese”. “Sono fiero dei soldati e degli ufficiali dell'esercito israeliano che ci proteggono”, ha poi aggiunto.

Il generale Yair Golan, dell'ala sinistra del partito Meretz, soddisfa ogni necessità della destra. Infatti ha detto: “Israele non ha commesso nessun crimine di guerra nei territori occupati”. Peccato però che il cosiddetto “Protocollo di vicinato”, in base al quale i soldati portano con sé dei palestinesi come scudi umani durante le perquisizioni, è l'eredità lasciata proprio da Golan nell'esercito d'Israele.

Per un paese come Israele, che non ha mai indagato sui presunti crimini di guerra commessi dal suo esercito e dal suo governo, non c'è altra scelta che guardare con speranza all'Aja, ha scritto l'articolista, precisando, peraltro, che almeno 1.000 civili innocenti sono stati uccisi durante l'operazione “Margine protettivo”; più di 200 manifestanti disarmati sono stati uccisi alla barriera di confine di Gaza; ogni insediamento è un crimine di guerra. Queste evidenti verità non sono mai penetrate nel dibattito pubblico manipolato d'Israele.

 

Winston Blackmore (nato il 25 agosto 1956) è il leader di una setta poligama di mormoni a Bountiful, nella Columbia Britannica canadese. È il poligamo dichiarato più noto del suo Paese: infatti ha avuto 150 figli dalle sue 27 mogli (attualmente 22), 9 delle quali ha ammesso che fossero minorenni.

Il gruppo Bountiful è stato fondato dal padre di Winston, Ray Blackmore, che era affiliato, prima di staccarsene per questioni di leadership, alla Chiesa Fondamentalista di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, i cui membri praticano da sempre la poligamia, e che per questo furono scomunicati dalla Chiesa mormone di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, che nel periodo 1890-1904 rinunciò ufficialmente alla poligamia, altrimenti non avrebbe potuto continuare a vivere negli USA, anche se di fatto la pratica è venuta meno solo molto tempo dopo.

La setta fondamentalista invece continua a credere che un uomo debba avere almeno tre mogli per andare in paradiso. Ecco perché circa il 25% dei 1.500 residenti di Bountiful vive una relazione poligama. Da notare che non è ammesso l'opposto, cioè che una donna possa avere più mariti (poliandria).

Uno dei figli di Blackmore, Merlin, ha rivelato ch'era estremamente difficile ottenere le attenzioni di cui aveva bisogno dai suoi genitori, per cui doveva rivolgersi sempre ai suoi fratelli maggiori, che di fatto son stati loro a crescerlo.

A scuola, gestita dalla stessa comunità in modo indipendente e sotto la direzione del padre, stava in una classe di 19 alunni, tutti nati nel 1999: aveva come compagni cinque fratelli, quattro sorelle, sette cugini e due nipoti. Dovevano dedicarsi, già da studenti, alla coltivazione della terra per far fronte alle necessità alimentari della comunità: patate, mais e pomodori non mancavano mai e servivano a sfamare i 150 fratelli.

Le feste di compleanno erano all'ordine del giorno, ma cercavano di accorparle per evitare riunioni troppo affollate. Alla fine erano solo i fratelli “più intimi” a ritrovarsi per gli auguri.

Questa situazione piuttosto insolita, facilmente interpretabile con argomenti relativi allo sfruttamento sessuale, venne fuori solo nel 2005. Ci vollero però altri 4 anni di indagini perché Blackmore e un altro leader della comunità, James Oler, fossero accusati di poligamia e arrestati dalla polizia. Ufficialmente infatti avevano solo una moglie legale. La poligamia è vietata in Canada. Si può rischiare fino a 5 anni di carcere.

Fino al 2017, per vizi di forma, non si riuscì a fare alcun processo. Il problema di fondo era che l'accusa non poteva violare il principio costituzionale della libertà di religione, per cui doveva dimostrare in maniera concreta che esistesse uno sfruttamento della sessualità per poter procedere penalmente. Ma questo non era per niente facile, a meno che non venissero fuori delle denunce o confessioni da parte di qualche membro della stessa comunità. Cosa che non si verificò mai.

Sicché nel 2018, a Cranbrook (British Columbia), il giudice Sheri Ann Donegan si è limitato a condannare Blackmore a sei mesi di arresti domiciliari, e Oler a tre mesi di arresti domiciliari. Si arrivò alla conclusione che non esisteva uno sfruttamento della sessualità.

Ma sul piano etico ha senso la poligamia? Non è forse una forma di maschilismo? Come può un uomo amare con la stessa intensità due, tre o 27 mogli? Come può avere coi propri numerosi figli un rapporto personale, affettuoso? Come si può pensare che la donna non venga considerata come una “fattrice”, cioè un animale riproduttivo?

Senza poi considerare che in relazioni poligamiche si compromettere il bagaglio genetico. È quanto accaduto a una comunità mormone fondamentalista nella regione di Short Creek, tra lo Utah e l'Arizona, dove si è scoperta la presenza dell'aciduria fumarica, una rara malattia genetica, incurabile, detta anche deficit di fumarasi. Colpisce il metabolismo provocando disabilità. Il cervello da solo consuma il 20% dell'energia fornita con l'alimentazione. Le persone affette da questa malattia nella maggior parte dei casi non riescono a stare sedute, né a camminare, né a parlare. Hanno caratteristiche fisiche particolari, come fronte prominente, orecchie basse, occhi distanziati e mento stretto.

Tra questi fondamentalisti la probabilità di nascere con l'aciduria fumarica è più di un milione di volte maggiore rispetto alla media mondiale: si stima che nel mondo abbia l'acidurasi solo una persona su 400 milioni. Si tratta infatti della tara di un carattere recessivo, che in un pool genetico ampio tende a scomparire.

 

L'estremismo islamico facilmente assume i connotati di una barbarie medievale. Lo si vede nella provincia indonesiana di Aceh, dove il 98% della popolazione è di fede musulmana: qui si puniscono a frustate gli omosessuali, chi beve alcolici o gioca d'azzardo o pratica l'adulterio. La sharia è legge e la punizione è pubblica.

In questa provincia gli estremisti religiosi hanno approfittato del fatto che dopo il trattato di pace del 2005 tra guerriglia e governo, quest'ultimo ha concesso un'ampia autonomia alla provincia. In questa maniera però vien naturale pensare che l'autonomia sarebbe stato meglio non concederla. È giusto rivendicare una certa indipendenza da uno Stato centralista, autoritario, al servizio dei potentati economici, ma se il risultato deve essere quello di ridurre la democrazia a un nulla, allora bisognerebbe chiedersi se davvero valga la pena affrontare le grandi difficoltà della guerriglia.

Gli islamici spesso temono di perdere la loro identità quando si confrontano col mondo moderno. E sfruttano le contraddizioni del globalismo per radicalizzare ancor più le loro posizioni. Ma in questa maniera si mettono subito dalla parte del torto e non costituiscono un'alternativa per nessuno. Sono degli sconfitti in partenza.

C'è da dire che in tutto l'arcipelago indonesiano la religione è tornata ad avere un ruolo sempre più determinante nella vita pubblica del Paese. Alla fine degli anni '90, quando si andava in una scuola pubblica, raramente si vedeva una studentessa o un'insegnante col velo. Oggi invece è la norma. Le ordinanze locali per applicare la sharia si sono moltiplicate: si va dalla richiesta di indossare obbligatoriamente abiti musulmani negli uffici pubblici al divieto di vendita, distribuzione e consumo di alcolici. Hanno preso forza anche i movimenti a favore del matrimonio precoce o minorile (per impedire l'adulterio) e contro i vaccini, col pretesto che non sono consentiti dalla legge islamica.

Il presidente Joko Widodo, un tempo vicino all'islam moderato, ha scelto come collaboratori personalità provenienti dall'ambiente militare e religioso, come p.es. il vicepresidente Ma'ruf Amin, presidente del Consiglio degli ulema indonesiani, del tutto contrario ai rapporti sessuali fuori dal matrimonio, all'aborto, alle coppie omosessuali e, in generale, ai movimenti LGBTQI, alla contraccezione per i minorenni e ai luoghi di culto per i non musulmani.

Il ministro della Difesa, Prabowo Subianto, ex genero del generale Suharto, dittatore dell'Indonesia per tre decenni, è sostenuto dai gruppi islamici radicali, come il Fronte dei difensori dell'Islam, che spesso agisce come una sorta di polizia morale. Lui stesso è una persona piuttosto violenta. Nel 1998 fu disonorevolmente dimesso dall'esercito e successivamente gli fu impedito dall'entrare negli USA.

L'Indonesia è in procinto di diventare uno Stato molto autoritario. E l'uso strumentale della religione islamica che fa il governo, lo dimostra ampiamente.

 

[11] Indonesia, Papua. Ungheria. USA, Circolo Artico

 

In Indonesia gli abitanti di Papua e Papua Barat, sull'isola della Nuova Guinea, non ne possono più delle discriminazioni etnico-razziali del governo centrale e chiedono l'indipendenza. Dal 1963 ad oggi sono state uccise più di 100.000 persone (più del 10% dell'intera popolazione).

Il principale problema economico e ambientale che le due province devono affrontare è la continua deforestazione, per far posto alle piantagioni di olio di palma.

Papua gode già di una speciale autonomia sin dal 2002, ma questo non le impedisce d'essere sfruttata economicamente in tutte le proprie risorse naturali. Da essa si staccò la piccola Papua Barat nel 2003. Le due province indonesiane (in cui vivono decine di tribù diverse) costituiscono la metà occidentale della Nuova Guinea. Infatti la metà orientale, chiamata Stato Indipendente della Papua Nuova Guinea, è uno Stato dell'Oceania nell'ambito del Commonwealth dal 16 settembre 1975. Il capo di Stato della Papua Nuova Guinea è la regina Elisabetta II. Qui gli indonesiani non possono far nulla.

L'area occidentale faceva parte delle Indie orientali olandesi e nel 1969 fu annessa all'Indonesia con un referendum molto discusso, poiché a votare furono solo circa 1.025 uomini e donne scelti dal governo militare indonesiano, su una popolazione di 800.000 abitanti.

Non a caso è da quel referendum che i movimenti indipendentisti hanno organizzato una guerriglia a bassa intensità contro le forze governative, che han risposto schierando contingenti militari nella regione e impedendo a organizzazioni non governative e osservatori internazionali di visitarla. Secondo le scarse testimonianze che provengono dalla regione, nel corso degli anni le forze di sicurezza indonesiane hanno compiuto numerosi abusi, omicidi, arresti illegali, torture e intimidazioni. Ancora oggi decine di attivisti si trovano in prigione per aver sostenuto pacificamente il movimento per l'indipendenza. Solo a fine 2019 varie dimostrazioni di protesta si sono concluse con un bilancio finale di 30 morti e centinaia di feriti.

Stavolta però da quelle due province le proteste si sono diffuse in tutto l'arcipelago e in dozzine di città, mosse dalla richiesta generale di un maggior rispetto dei diritti umani.

Molti indonesiani progressisti, negli anni passati, non erano nemmeno a conoscenza della situazione in Papua o evitavano di prendere una posizione per paura di essere etichettati come sostenitori dell'indipendentismo.

Ma l'uso eccessivo della forza da parte della polizia contro i manifestanti, il blocco dell'accesso a internet e l'invio di più di 1.000 militari nella regione ha poi alimentato un'ampia sfiducia nei confronti del presidente Joko Widodo (in carica dal 2014). Il quale ha fatto in modo da fare approvare dal parlamento un disegno di legge che limita i poteri della Commissione anti-corruzione del Paese, istituita nel 2002.

In questo Paese la dittatura è alle porte. Lo si vede anche dall'uso strumentale della religione islamica, con cui si pretende di controllare i comportamenti delle persone.

 

L'Ungheria di Viktor Orban (in carica dal 2010) sta diventando sempre più autoritaria: l'ultima radio indipendente, “Klubradio”, chiuderà le sue trasmissioni il 15 febbraio per decisione del tribunale di Budapest, con l'accusa di aver violato le leggi sulla registrazione delle emittenti, cioè in pratica non basterà pagare una multa. Ora l'emittente antigovernativa vuol continuare le trasmissioni come radio online, per non perdere i suoi 500.000 ascoltatori, ma ci si può scommettere che verrà eliminata anche dal web.

Alla radio erano già state tolte dal governo, qualche anno fa, le sue licenze radiofoniche nazionali, e aveva dovuto combattere una serie di battaglie legali per rimanere in onda nella sola area di Budapest, operando con licenze a breve termine che hanno reso difficile attirare gli inserzionisti pubblicitari.

La fine di “Kulbradio” è l'ultimo episodio di una campagna di silenziamento che ha colpito diverse testate giornalistiche critiche nei confronti dell'esecutivo.

A luglio è stato licenziato il direttore della testata “Index.hu”, solo perché si lamentava di una interferenza sulla linea del giornale da parte di un imprenditore (vicino a Orban) che ne finanziava gli introiti.

Già nel 2016 “Nepszabadsag”, il più grande quotidiano di notizie dell'opposizione del Paese, è stato chiuso dopo essere stato acquistato dalla Vienna Capital Partners.

Una legge restrittiva di 175 articoli, riguardante tutti i campi dell'informazione, dal giornalismo della carta stampata, alla radio, alla televisione fino a internet, è stata approvata in parlamento. Le sanzioni sono pesanti per qualunque tipo di violazione, fino a 700.000 euro. È il primo caso in Europa dal dopoguerra.

Contro la legge bavaglio sono scesi in piazza 1.500 giovani universitari che, con le fiaccole in mano, hanno circondato il parlamento. Ma non è servito a nulla.

L'intento è quello di concentrare tutta l'informazione primaria sull'agenzia di stampa nazionale Mti, finanziata dallo Stato.

Inoltre i giornalisti sono obbligati a rivelare le proprie fonti per questioni legate alla “sicurezza nazionale”, che viene via via stabilita dal potere politico a seconda delle convenienze.

Sfruttando lo stato d'emergenza a causa del coronavirus, Orban ha già fatto emanare dal parlamento, dove gode della maggioranza assoluta, ben 180 decreti per avere i “pieni poteri”. Carcere fino a 5 anni per chiunque diffonda false notizie sulla pandemia e sul governo. Vietato registrare il cambio di sesso sui propri documenti per le persone transessuali. Arresti, perquisizioni, multe da migliaia di euro per chi manifesta dissenso verso il governo, su Internet o dall'interno della propria auto, a finestrini chiusi, suonando il clacson. Si tolgono fondi importanti alle casse degli amministratori locali dell'opposizione. Il 50% dei finanziamenti pubblici destinati ai partiti viene trasferito direttamente in un fondo creato per combattere la pandemia. Lo straniero che si decide di espellere dal Paese, non potrà più appellarsi a un giudice. Via libera alla costosissima nuova linea ferroviaria ad alta velocità Budapest-Belgrado, fortemente voluta da Pechino, i cui dettagli dell'accordo resteranno secretati per 10 anni.

Dopo aver fatto a pezzi la sanità, Orban si rifiuta di riferire alla UE sulle misure in Ungheria durante l'emergenza. D'altronde è vietato denunciare le scarse protezioni dentro gli ospedali.

Tutto questo e molto altro con varie scuse e pretesti. E non si può neanche dire che quest'uomo sia un potenziale fascista: ben 2/3 del parlamento sta dalla sua parte.

È curioso che un Paese che versa alla UE soltanto 1,076 miliardi di euro (pari allo 0,85% del PIL) e ne prenda 6,298 miliardi si comporti con questa strafottenza. Che non sia venuto il momento di sbatterlo fuori?

 

Gli USA han deciso, per la prima volta, di schierare 4 bombardieri B-1 in Norvegia e circa 200 membri del personale della Dyess Air Force in Texas saranno spostati nella base aerea di Orland in Norvegia. Il Pentagono ha già utilizzato dei bombardieri simili ai B-1, i B-52, in Medio Oriente come mezzo per dimostrare la capacità degli USA di spostare rapidamente le risorse militari in regioni potenzialmente tese.

L'intento è quello d'iniziare le missioni nel Circolo Polare Artico e nello spazio aereo internazionale al largo della Russia nordoccidentale, cioè è quello di tenere sotto controllo il mare Artico in funzione antirussa. Soprattutto non vogliono che sia la sola Russia a sfruttare gli idrocarburi a nord del Circolo Polare Artico.

È un altro tassello della prossima guerra mondiale degli USA e dei loro alleati contro le tre principali potenze nemiche, che non a caso fanno spesso esercitazioni aeronavali in comune: Russia, Cina e Iran. Le ultime sono state nell'Oceano Indiano.

Il guerrafondaio Biden ha già messo in piedi la “Lega delle Democrazie” (Democracy Promotion), a cui ha agganciato il concetto cuore della sua azione di politica globale: “America is Back”.

Ci lamentavano di quel folle di Trump, scordandoci del proverbio “Can che abbaia non morde”. Ora con Biden ricordiamoci che “L'abito non fa il monaco”.

 

[12] Microsoft, Tay. Brexit

 

Tay era un software progettato da Microsoft nel 2016, che aveva il compito d'imparare a comunicare attraverso le sue interazioni (che sono alla base dell'addestramento) con gli utenti in carne e ossa di Twitter. Appena venuti a conoscenza del nuovo ospite, gli utenti si sono scatenati coi loro troll, dando in pasto a Tay una miriade di opinioni razziste, omofobe, antisemite, sessiste e tutto il peggio che l'umanità è in grado di offrire. Nel giro di 24 ore Tay era diventata la prima intelligenza artificiale nazista della storia. Prima di venir chiusa in fretta e furia da Microsoft, era riuscita tra le altre cose a twittare il suo supporto a Hitler, a esclamare che vorrebbe veder bruciare le femministe all'inferno e altre oscenità del genere.

Quello di Tay è stato forse un caso particolare? Nell'ottobre del 2017 si è scoperto che il software di Google chiamato Cloud Natural Language API – che ha il compito di rivelare la struttura e il significato dei testi – giudicava negativamente alcune affermazioni relative alla religiosità e alla sessualità. Cioè, p.es., l'algoritmo dava un valore positivo di +0,1 alla frase “sono un cristiano”, e un valore invece negativo (-0,2) alla frase “sono ebreo”. Allo stesso modo, dichiarare di “essere un ragazzo etero francese” portava l'algoritmo a dare un valore di +0,2, mentre sostenere di “essere una donna nera gay” faceva scendere il giudizio fino a -0,3.

Com'è possibile? Il problema è che algoritmi di questo tipo vengono allenati utilizzando i testi reperiti nei libri o negli articoli di dominio pubblico, in gran parte pubblicati prima degli anni '20 perché privi di copyright (che rappresentano un materiale dal quale è molto facile estrarre i dati). Di conseguenza, spesso e volentieri non facevano che riproporre i pregiudizi contenuti nel materiale umano che viene usato per il loro addestramento. Per banalizzare, un algoritmo che apprende informazioni sul mondo leggendo Il grande Gatsby, scritto nel 1925, non potrà che dare per scontato che solo gli uomini bianchi abbiano ricchezza e potere e che invece i neri possano occuparsi solo della servitù.

Ecco a cosa può portare la convinzione che la matematica sia una scienza esatta. Che è poi quella che abbiamo abbondantemente usato nel corso dell'attuale pandemia, per ipotizzare scenari di contagi e di decessi mostruosi. Eppure di questi algoritmi si serve la polizia americana per prevedere quali categorie di persone e e in quali luoghi possono compiere più facilmente i crimini. Cos'è questa se non una riedizione delle assurde teorie di Lombroso?

 

La Road Haulage Association, un'associazione internazionale di autotrasportatori inglese, ha dichiarato che la Brexit ha causato un crollo del 68% dell'export dal Regno Unito rispetto al gennaio dello scorso anno. Una catastrofe senza precedenti dal dopoguerra.

Le imprese fanno una fatica incredibile ad adattarsi alle nuove norme e al ritorno dei controlli alla dogana: è insostenibile il forte aumento delle pratiche burocratiche, nonché le dichiarazioni doganali che rallentano il flusso delle merci.

Ad esempio uno dei problemi principali al momento è il nuovo requisito delle regole di origine secondo cui delle merci deve essere documentata la loro provenienza e anche quella dei loro eventuali componenti. Un macchinario può essere prodotto in Inghilterra ma con componenti cinesi ad es., e in quel caso può essere sottoposto ad alcune tariffe. Tutto questo va specificato nelle dichiarazioni doganali e controllato, aumentando tempi e costi del commercio.

Insomma ci vorrebbero almeno altri 40.000 agenti doganali in più rispetto agli attuali 10.000 per far filare liscio il commercio. Ma il governo non ne vuol sapere. Quel furbastro di Johnson è convinto che i problemi siano causati dal Covid-19, quando in realtà, in assenza di pandemia, e quindi con volumi di scambi assai superiori, i problemi sarebbero stati molti di più.

Con la Brexit ci ha rimesso persino la beneficenza degli enti di riciclo. Vestiti e scarpe di seconda mano, ma anche giocattoli e mobili in ottimo stato, raccolti nel Regno Unito e destinati ad aiutare le persone bisognose nell'Est Europa sono rimasti bloccati a varie dogane per effetto delle regole d'importazione imposte dalla UE a un qualunque Paese straniero.

Gli inglesi pensavano di poter fare i loro comodi e nello stesso tempo di essere considerati come europei solo perché negli anni passati avevano fatto parte della UE. Nella loro mentalità imperiale sono abituati a pensare di poter vivere come privilegiati.

A proposito di trasporti, d'ora in poi chi ha una licenza di guida britannica e si trasferisce in Italia, verrà trattato come un qualsiasi cittadino extracomunitario e quindi dovrà rifare gli esami. Può evitarlo solo se aveva ottenuto l'abilitazione nel Regno Unito per conversione di una precedente patente italiana.

 

Gli europei che hanno lasciato momentaneamente il Regno Unito durante la pandemia per tornare nei loro Paesi di origine potrebbero non avere diritto a tornare a causa delle nuove e più restrittive regole sull'immigrazione volute da Londra per il post-Brexit.

A rischio sarebbero circa 1,5 milioni di persone, cui è stato concesso il diritto provvisorio di rimanere alla fine del periodo di transizione. Se qualcuno di loro ha lasciato per più di sei mesi la Gran Bretagna durante la pandemia, perderà il diritto automatico di ottenere un permesso di residenza stabile, che viene concesso solo a chi ha dimostrato di aver vissuto stabilmente nel Paese per più di cinque anni. E quindi l'immigrato perderà gli stessi diritti dei cittadini britannici.

Al governo non importa nulla se il motivo del ritorno a casa è legato alla pandemia, cioè alla volontà di passare il lockdown con la propria famiglia o altre ragioni legate alla malattia.

Secondo i calcoli del governo sarebbero circa 350.000 le persone con residenza provvisoria che hanno abbandonato il Regno Unito nell'ultimo anno. Quelle cioè che a causa della pandemia erano finite in cassa integrazione, e quelle che potevano passare in smart-working.

Di fronte a una situazione del genere Fantozzi l'avrebbe commentata dicendo: “Com'è umano lei!”.

 

La Brexit si sta rivelando un disastro assoluto per gli inglesi. Oltre alle cose già dette nei post precedenti, ora va aggiunto il fatto che c'è stata una migrazione degli investimenti da Londra ad Amsterdam che ha comportato un sorpasso di quest'ultima nel volume d'affari gestiti in borsa. La capitale dei Paesi Bassi è diventata il più grande centro di scambio di azioni d'Europa, con una media di 9,2 miliardi di azioni al giorno scambiate su Euronext, la Borsa locale, e sulle branche olandesi di CBOE Europe e Turquoise. Cioè ben 4 volte di più rispetto a dicembre!

Il Regno Unito è stato scalzato dalla sua posizione storica di hub principale per il mercato europeo. Questo perché Bruxelles vieta alle istituzioni finanziarie con sede nella UE d'investire oltre Manica, non riconoscendo alle borse e alle sedi di negoziazione del Regno Unito lo stesso status di vigilanza presente nella UE.

D'altra parte il governo di Boris Johnson preferisce mantenere il settore finanziario sotto il controllo del proprio Tesoro e della Banca d'Inghilterra per poter stabilire autonomamente le proprie regole. Ma, così facendo, costringerà Bruxelles a tagliare fuori del tutto la Gran Bretagna dai suoi mercati finanziari, proprio perché teme che il Regno Unito vada verso un modello di finanza a bassa regolamentazione in stile Singapore.

Londra vuol fare quello che vuole e non ha capito che un'Europa unita è molto più forte sotto tutti i punti di vista di una singola nazione, che peraltro ancora si illude, come nel caso del Regno Unito, di essere un impero mondiale.

Persino la Mastercard ha deciso di aumentare di cinque volte (passando dall'attuale 0,3% all'1,5%) le commissioni sulle proprie carte di credito in Gran Bretagna per acquisti di beni e servizi effettuati presso aziende con sede nella UE. Sulle carte di debito invece il costo salirà dallo 0,2 all'1,15%.

La modifica annunciata, che partirà dal 15 ottobre 2021, si applicherà alle vendite online presso negozi e attività commerciali. I costi delle transazioni sono solitamente imposti ai commercianti ma, secondo gli esperti, verranno scaricati inevitabilmente sui consumatori. Compagnie aeree, hotel, autonoleggi e gruppi di viaggio saranno tra i più colpiti dalla mossa, cioè proprio quei settori più danneggiati dalla pandemia.

Il principale concorrente di Mastercard, Visa, non ha ancora annunciato alcun cambiamento nei propri costi di utilizzo, ma non ha escluso che questo possa accadere.

 

[13] UE e Indo-Pacifico. Brexit. Regno Unito, Churchill e Rowling. Governo Draghi

 

Perché alla UE interessa così tanto l'Indo-Pacifico? La risposta è molto semplice. Il 35% dell'export e il 45% dell'import europeo in Asia transitano per l'Indo-Pacifico e quattro dei 10 trading partner dell'Unione si trovano nella regione.

L'intera area si conferma una delle più reattive in vista della ripresa post pandemia. Secondo la Banca mondiale la crescita del PIL dell'Asia orientale e della regione pacifica, nel 2021, sarà del 7,4% contro il 3,3% previsto in Europa. Insomma le economie dell'Asia orientale hanno saputo affrontare meglio la crisi economica causata dalla pandemia. È quindi molto probabile che buona parte del destino europeo si deciderà intorno al cortile di casa della Cina, che Pechino vuole egemonizzare.

La valenza strategica dell'Asia orientale è confermata dal fatto che negli ultimi anni la UE ha avviato intense relazioni bilaterali sfociate anche in accordi di libero scambio (vedi ad es. quello col Giappone nel 2018, col Vietnam nel 2019), senza trascurare il rinnovato processo negoziale coi Paesi dell'Asean.

Indo-Pacifico vuol dire che dobbiamo dare molta più importanza alla valenza strategica dei mari per gli scambi commerciali. Cosa che l'Italia ha smesso di fare dai tempi della fine delle città marinare. Basta vedere che ruolo insignificante svolge in quel mare che al tempo dei romani veniva definito “nostrum”. A noi il mare fa paura, a causa dei flussi migratori, per cui la Marina al massimo svolge le funzioni della guardia costiera.

Per il momento infatti nella UE solo tre Paesi hanno definito una propria strategia per l'Indo-Pacifico: Francia, Germania e Olanda. Questo perché le forze interne all'Unione non vanno alle stesse velocità, ma anzi si muovono in ordine sparso.

E pensare che sono proprio India, Australia, Giappone, Asean a chiedere alla UE di avere un ruolo attivo come tale, non come singoli Paesi, proprio per fronteggiare, nel rispetto del multilateralismo, le ambizioni della Cina, senza avere quell'approccio guerrafondaio degli USA.

 

La Brexit costituisce un danno anche per i servizi giuridici, definiti come “servizi di consulenza legale, di arbitrato, conciliazione e mediazione legale”.

Infatti è finito nel nulla il riconoscimento automatico e reciproco dei titoli, delle qualifiche e dell'esperienza professionale. Londra naturalmente lo voleva, ma Bruxelles non l'ha concesso.

Un avvocato italiano o europeo, che finora poteva esercitare liberamente in Gran Bretagna registrandosi come european lawyer, ora deve iscriversi all'albo dei foreign lawyer. Chi vuole esercitare attività legali riservate come contenzioso, vendite immobiliari o successioni dovrà sostenere l'esame di Stato di solicitor per ottenere la licenza.

Un registered foreign lawyer non può svolgere attività di diritto inglese se non sotto la supervisione di un solicitor.

Saranno privilegiati gli avvocati italiani più lungimiranti, che hanno pensato per tempo ad acquisire anche il titolo di solicitor e che potranno continuare a svolgere la loro attività come prima.

I più penalizzati sono gli avvocati inglesi in Europa, perché saranno soggetti a 27 leggi nazionali diverse dei singoli Stati membri, e inoltre potranno fornire consulenze solo sulla legge inglese, quindi per loro si prospetta una riduzione significativa dell'attività.

Il sistema di regolamentazione renderà più complessi lo studio e lo svolgimento delle attività legali per alcuni operatori del settore.

La fine della libera circolazione, il mancato riconoscimento dei titoli e la stretta sull'immigrazione in Gran Bretagna penalizzeranno soprattutto i giovani.

Tutto ciò non è valido solo per gli avvocati ma anche per medici, infermieri, dentisti, veterinari, farmacisti, architetti, ingegneri, commercialisti... Per i professionisti dei Paesi della UE sarà più difficile trasferirsi per lavoro in Gran Bretagna e viceversa.

Saranno possibili solo brevi viaggi di lavoro o distaccamenti temporanei di personale qualificato. Se un professionista europeo vuole trasferirsi e lavorare nel Regno Unito, dovrà ricominciare da zero, cioè ottenere una nuova qualifica riconosciuta in loco. Stessa cosa per un inglese che vorrebbe praticare la sua professione in un Paese UE.

Non resta che instaurare degli accordi bilaterali tra i rispettivi ordini professionali per il riconoscimento delle rispettive qualifiche. Ma il Consiglio di Partenariato, stabilito dall'accordo tra Londra e Bruxelles, dovrà approvare le intese bilaterali.

Insomma un altro assoluto disastro della Brexit. Una stima europea dei costi della fuga di Londra dal mercato unico implicherà una perdita, in media, intorno al mezzo punto percentuale di PIL per gli Stati UE fino alla fine del 2022 e del -2.2% per il Regno Unito nello stesso periodo.

 

I genitori degli studenti della Seaford Head School nell'East Sussex hanno ricevuto questa settimana la lettera in cui si rende noto che entrambe le figure, la scrittrice di Harry Potter, J.K. Rowling, e lo statista Winston Churchill, non avrebbero più rappresentato per loro delle figure “ispirative” sul piano etico. La nota – proveniente dagli studenti stessi (ma questo fa un po' ridere) – dice che il primo ministro in tempo di guerra Winston Churchill era “una figura che promuoveva il razzismo e la disuguaglianza, imprigionando e torturando ingiustamente molti”. Invece la Rowling non sarebbe una rappresentante adatta della cultura per i più piccoli per via delle sue idee sulla comunità trans. Insomma due razzisti. Analoga sorte non è toccata ad altri due famosi soggetti cui quel sistema scolastico si riferisce: Florence Nightingale e Nelson Mandela.

Un genitore ha però osservato: “Sono sorpreso della decisione su Winston Churchill. Penso che dobbiamo onorare i suoi risultati nella storia. Ci ha aiutato a combattere il male della Germania nazista di Hitler: sicuramente merita d'essere celebrato per questo”.

Giusto, bisogna dire. Magari Churchill va criticato per il suo sfegatato anticomunismo e aver inventato il concetto di “cortina di ferro”, con cui USA ed Europa occidentale hanno inaugurato la guerra fredda. Nell'immaginario popolare i suoi limiti peggiori sono stati questi. Tant'è che quel razzista e xenofobo di Nigel Farage ha subito voluto precisare che “Questa riscrittura della storia nel nostro sistema educativo è molto pericolosa”, aggiungendo poi che scuole e università inglesi stanno promuovendo “un'agenda marxista di estrema sinistra”.

In effetti come fanno degli studenti che ancora non frequentano l'università a sapere che Churchill era anche profondamente razzista? Chi gliel'ha detto?

Hanno davvero avuto modo e tempo di leggere tutte le sue monumentali opere in cui veniva detto che l'impero britannico era il risultato del darwinismo sociale? E che i bianchi fossero superiori ai neri? Tanto che sotto il suo governo, in Kenya, per stroncare la guerriglia dei Mau Mau, si ricorse a misure spietate, per non parlare dell'endemico ricorso alla tortura...

E che considerava afghani e iracheni delle “tribù incivili”? O gli asiatici orientali una minaccia civile per gli ariani? Tanto che il suo governo decise di gestire in maniera terroristica una carestia che s'abbatté sul Bengala, nel 1943-44, provocando la morte per fame di 3,5 milioni di uomini, donne e bambini... Non era stato forse Churchill ad affermare, con tono perentorio: “Io gli indiani li odio. Sono un popolo di bestie, con una religione da bestie”?

Come fanno a sapere che detestava gli ebrei comunisti e che elogiava soltanto quelli espressamente sionisti? O che era addirittura un fautore della sterilizzazione forzata, lui che aveva combattuto i nazisti? Così infatti disse nel 1912, partecipando a Londra al primo Congresso internazionale sulla eugenetica: “Il miglioramento della stirpe britannica è il mio scopo nella vita”.

Come fanno a sapere che Churchill, in un discorso del 1910 aveva richiamato l'attenzione sul fatto che vi erano nel Regno Unito circa 120.000 persone affette da disturbi mentali da meritarsi “una segregazione appropriata, così da far morire insieme a se stessi anche la loro sciagura, invece di propagarla alle generazioni future”?

Evidentemente gli studenti della Seaford Head School hanno insegnanti molto preparati, che magari non sono neanche di origine inglese ma provengono da qualche ex colonia dell'ex impero britannico. Che sia anche questo un effetto benefico della globalizzazione? Strano però che, con fare molto altezzoso e aristocratico, tanti inglesi abbiano sponsorizzato l'idea sciagurata della Brexit.

 

- Non capisco perché Draghi abbia scelto tre nullità come Brunetta, Gelmini e Carfagna (che meno male sono senza portafoglio). Per avere la maggioranza assoluta non gli bastava la Lega? Non è che sta già pensando di dimettersi, dimostrando che un governo politico ha un fiato molto corto e che quindi bisogna formarne un altro prevalentemente tecnico?

- La Lega che prende le Disabilità, il Turismo e lo Sviluppo economico sai quanti voti in più avrà nel 2023? E poi dicono che Salvini è un cazzaro. Non è sufficiente dire che è un opportunista?

- Si lamentano della scarsa percentuale di donne nel governo Draghi. Ma se devono essere come la Gelmini (che ha distrutto la scuola statale) e la Carfagna (che ha esordito facendo la valletta televisiva e i calendari per i camionisti, salvo poi fare una legge sul reato di stalking), che differenza fa?

- Ma quanti ciellini ci sono nel governo Draghi? Marta Cartabia, ministra della Giustizia ed ex presidente della Corte Costituzionale, ha da sempre profonda vicinanza col mondo cattolico di Comunione e Liberazione.

La ministra dell'Università, Cristina Maria Messa, va accostata a CL nel periodo nel quale è stata eletta come rettrice della Bicocca. Ai loro raduni hanno poi preso spesso parte anche Giancarlo Giorgetti, ministro per lo Sviluppo economico, Enrico Giovannini, ministro delle Infrastrutture, Maria Stella Gelmini, agli Affari generali e Autonomi, e Mara Carfagna, ministra del Sud e della coesione.

Mario Draghi (che, come noto, fu istruito dai gesuiti) ha poi partecipato all'ultimo meeting ciellino di Rimini, il 18 agosto 2020. A commentare il suo intervento c'erano Patrizio Bianchi e Renato Brunetta, oggi entrambi ministri dell'Istruzione e della Pubblica Amministrazione.

Che disastro! In che mani siamo finiti?

E io che pensavo che Draghi, da esperto economista qual è, avrebbe chiuso il Vaticano per eliminare il debito pubblico... Che illuso che sono!

 

[14] Amazzonia, oro. USA, petrolio

 

La Nasa ha pubblicato alcune foto scattate da un astronauta impegnato in una missione sulla Stazione spaziale internazionale nel dicembre scorso.

Si notano una miriade di puntini gialli, una scia ininterrotta di luci, sentieri, terreni ripuliti dalla vegetazione, colline di terra e sassi, fosse d'acqua, che solca una parte della foresta pluviale di Madre de Dios, nel sud ovest del Perù. Sono le migliaia di piccole e grandi miniere di estrazione dell'oro sorte da anni, tollerate dalle autorità, in un'area dove è presente la maggiore biodiversità del mondo.

La zona ospita una enorme industria di estrazione e trasporto dell'oro, dove lavorano 10.000 uomini e donne, senza diritti e tutele, disposti a tutto, perché le paghe sono buone e non hanno alternative.

L'ambiente è selvaggio, del tutto privo di leggi. Lo sfruttamento è la norma, così come i taglieggi, le violenze, anche sessuali, le vessazioni e gli omicidi. Un vero inferno, che però attira ogni anno sempre più persone.

Le comunità illegali non diventeranno le nuove metropoli dell'Amazzonia, poiché quando l'oro sarà finito, se ne andranno tutti, lasciando un territorio completamente devastato e inabitabile.

La stessa cosa accade anche nel sud-est del Venezuela, sempre nella parte amazzonica del Paese.

La maggior parte delle miniere sono illegali e i danni che provocano all'ambiente sono letali: il mercurio usato nell'estrazione e selezione del metallo si infiltra nel terreno e travasa nei torrenti e fiumi, oltre a inquinare le falde acquifere. Brucia la vegetazione e contamina villaggi e paesi per arrivare fino alle città.

Nel 2019 sono stati distrutti 22.930 ettari di foresta a causa delle miniere. Nel 2020 ben 8.500 kmq.

Le fosse nelle quali i minatori cercano l'oro appaiono come centinaia di bacini pieni d'acqua, circondati dal fango dove la vegetazione è stata rimossa. Questo esercito di avventurieri, mercenari, ma anche di poveri contadini e giovani senza lavoro, segue le rotte dei vecchi fiumi dove si depositano i sedimenti, compreso appunto l'oro, il cui prezzo è notevolmente cresciuto negli ultimi due anni.

Tra un tipo di sfruttamento e l'altro l'Amazzonia, ogni minuto, continua a perdere un'area come tre campi di calcio (oltre un milione e mezzo di ettari l'anno). Per proteggerla dalla deforestazione bisognerebbe salvaguardare almeno 60 milioni di ettari (un'area equivalente alla Spagna).

 

Secondo un articolo del “Financial Times”, l'industria del petrolio statunitense prodotto dallo scisto, che nel periodo pre-Covid aveva avuto grande successo, ha subìto una forte contrazione a causa della pandemia, che ha ridotto la domanda globale di energia. Sono stati licenziati decine di migliaia di lavoratori, e si sono spenti molti impianti di perforazione. Sicché in borsa il valore delle aziende è crollato di parecchio, mandando in fumo i capitali degli investitori.

Ecco perché si pensa di ripartire in maniera graduale, concentrandosi su un minor numero di campi di scisto, principalmente situati in Texas, ove si ricava il 41% del petrolio nazionale. Ma le aziende di esplorazione e produzione, che solo qualche anno fa erano circa 500, si ridurranno a poche decine.

Uno dei motivi principali per cui gli Stati Uniti sono diventati il primo Paese nella produzione di petrolio è il fatto che sono stati il primo Paese ad adottare nuovi metodi di perforazione. Gli impianti di perforazione possono ora trivellare in orizzontale, mediante processi di pirolisi, consentendo un maggiore accesso agli strati rocciosi in cui si trova il petrolio. Tra il 2018 e il 2019, la produzione di petrolio è aumentata di oltre il 9%.

Tuttavia il vero problema è un altro. In un'era in cui le istanze ambientali stanno già scoraggiando gli investimenti nei combustibili fossili, in cui cioè la crescita a lungo termine della domanda di petrolio non è più assicurata, che senso ha puntare ancora su un tipo di energia del genere? Peraltro questo petrolio non convenzionale (detto olio di scisto) richiede una grandissima quantità di acqua e produce un'enorme quantità d'inquinanti nell'aria.

Non è forse il governo Biden, a differenza del precedente, a voler far diventare gli USA un modello di tutela ambientale? Non è forse lui che vuole imporre dei criteri ecologici a tutte le aziende che vorranno avere rapporti commerciali col suo Paese? Non è forse questa la strategia che vuole adottare per vincere la concorrenza delle imprese europee e cinesi?

Che senso ha che le aziende puntino sulle riserve di ciascun pozzo di scisto, dove la produzione può diminuire dell'80% dopo appena un anno? Per compensare la perdita è necessario perforare di continuo un pozzo dopo l'altro. Gli operatori hanno perforato più di 14.000 pozzi di scisto nel 2019, permettendo agli Stati Uniti di raggiungere la produzione di petrolio record di quasi 13 milioni di barili al giorno, un livello troppo alto perfino per Arabia Saudita e Russia. E questo senza considerare che il totale della produzione petrolifera americana, comprendente cioè anche quella ricavata con metodi tradizionali e nelle acque costiere, raggiunge la cifra di oltre 19 milioni di barili al giorno, ponendo gli USA al primo posto al mondo.

Le imprese, con l'avvento della pandemia, si sono trovate ad avere ingenti quantitativi di petrolio invenduto. Nei prossimi anni solo le imprese con una capitalizzazione di mercato superiore ai 10 miliardi di dollari rimarranno interessanti per gli investitori. Ma potranno queste società accontentarsi di ricavare 30 dollari al barile quando fino a ieri ne ricavavano almeno 50-60? Rinunciare alla crescita è forse compatibile con la logica del sistema capitalistico?

 

[15] USA, riconoscimento facciale. Giappone, islam

 

Gli algoritmi che si occupano di riconoscimento facciale e che promettono d'identificare la persona presente in una foto confrontandola con le immagini contenute in un database, possono sbagliare clamorosamente.

Uno dei casi più recenti ha come protagonista Amazon Rekognition, il software per il riconoscimento facciale progettato dal colosso fondato da Jeff Bezos e venduto alle forze dell'ordine di tutto il mondo.

Nel luglio del 2018 l'American Civil Liberties Union ha testato il programma e pubblicato gli esiti dell'esperimento. Utilizzando 25.000 foto segnaletiche archiviate nei database della polizia e accessibili al pubblico, e confrontandole con le foto dei 535 parlamentari statunitensi, Rekognition ha giudicato “criminali” ben 28 politici eletti alla Camera e al Senato.

Il che, a volte, può anche essere, specie in quel Congresso! Ma il problema più grosso è stato che nel 39% dei casi i parlamentari confusi per criminali erano uomini e donne di colore, che però rappresentavano solo il 20% degli esponenti del Congresso.

In poche parole una persona di colore aveva circa il doppio delle possibilità d'essere confuso per un criminale rispetto a un bianco!

E poi dicono che gli USA non sono razzisti!

 

Negli ultimi anni, in seguito agli sforzi del governo nipponico per attirare lavoratori e studenti dall'estero, le fila dei credenti si sono infoltite. In particolare la popolazione musulmana (che nel 1982 era di sole 30.000 persone), è più che raddoppiata nello scorso decennio, passando dai 110.000 credenti nel 2010 ai 230.000 alla fine del 2019 (la cifra comprende i circa 50.000 giapponesi convertitisi all'islam). Il Paese ha 120 moschee: nel 2001 erano solo 24. Naturalmente, poiché il Giappone ha quasi 127 milioni di abitanti, si tratta di una presenza religiosa piuttosto insignificante. Stando alle statistiche il 69% della popolazione pratica lo shintoismo e il 66,7% il buddismo, l'1,5% il cristianesimo e il 6,2% altre religioni. (Gli aderenti totali superano il 100% perché molti giapponesi praticano sia lo shintoismo che il buddismo.)

Generalmente gli immigrati islamici sono studenti, tirocinanti o lavoratori stranieri ptovenienti da Paesi quali Indonesia, Bangladesh, Pakistan, Turchia, Egitto, Iran, Nigeria e Malesia.

Tuttavia, pur apprezzando di questo Paese la sicurezza, la pulizia e l'ordine, essi hanno ancora molti problemi a trovare un posto degno per la sepoltura. Infatti in Giappone circa il 99% dei defunti viene cremato, e questa pratica non è ammessa dall'islam.

Il governo centrale non ha previsto misure per andare incontro alle esigenze degli stranieri con usanze diverse da quelle giapponesi, anche perché i lavoratori stranieri sono considerati “gente di passaggio” e non migranti destinati a restare lì. Il Giappone è un Paese ospitale coi pochi stranieri che accetta, ma a condizione che non facciano pesare la loro diversità. Nella maggioranza delle prefetture giapponesi non esistono cimiteri musulmani.

Gli stessi abitanti nipponici sono molto contrari alla sepoltura, poiché ciò suscita una sensazione sgradevole: temono che i corpi sepolti contaminino le riserve d'acqua o che, in caso di terremoto, i cadaveri potrebbero p.es. rotolare giù per una collina. Sicché ritengono che chi chiede la cittadinanza debba adeguarsi ai costumi locali e cremare i defunti.

La comunità cattolica aveva proposto di condividere il proprio cimitero, ma i musulmani hanno rifiutato.

I giapponesi, si sa, sono molto legati alle loro tradizioni, tant'è che soffrono di un certo complesso di superiorità. Ecco perché guardano con preoccupazione l'influenza culturale degli stranieri. Infatti non sono per nulla favorevoli all'apertura di una scuola islamica. Un musulmano può tranquillamente pregare cinque volte al giorno e avere tutte le moschee che vuole, ma per il resto è meglio che non faccia altro. Al massimo è possibile organizzare un sistema di certificazione per i negozi e i ristoranti abilitati a distribuire cibo halal, secondo i criteri islamici. Alcuni impianti termali vendono addirittura dei costumi da bagno a pantaloncino per i clienti musulmani. Ma quando accadono queste cose è perché gli stessi giapponesi vi vedono la possibilità di allargare il business. Per es. son sempre di più le agenzie di viaggi che offrono pacchetti per i pellegrinaggi nei luoghi santi islamici (specie quello obbligatorio a La Mecca).

È anche vero però che i giapponesi, benché non si possano qualificare come una democrazia pluralistica e multiculturale e benché molti di loro siano stati inclusi nel conto delle vittime degli attentati dell'11 settembre 2001, non si sentono affatto antislamici. Nessun quotidiano nazionale ha mai pubblicato vignette satiriche per prendere in giro l'islam.

È da pochi anni che il Giappone, nonostante il suo tradizionale isolazionismo, è costretto a fare i conti col terrorismo islamico. Nel 2013 la crisi degli ostaggi nell'impianto di estrazione di gas a In Aménas, in Algeria, portò all'uccisione di 10 cittadini giapponesi da parte di al Qaeda.

Poi fu la volta della morte del giornalista Kenji Goto e del contractor Haruna Yukawa, due cittadini giapponesi rapiti in Siria dal gruppo dello Stato islamico nel 2015, cui fece seguito l'anno dopo l'uccisione di alcuni contrattisti della cooperazione internazionale in Bangladesh. Questi eventi indussero le autorità a stringere i controlli sui musulmani residenti in Giappone. Tant'è che più volte l'ONU ha chiesto a Tokyo di rivedere le politiche nei confronti dei musulmani, basate sul pregiudizio che le persone di una certa “razza”, nazionalità o religione sono particolarmente predisposte a commettere crimini.

Ma il primo vero caso di terrorismo islamico si verificò in Giappone nel 1991, quando un iraniano, rimasto impunito, assassinò l'accademico islamista Hitoshi Igarashi, che aveva tradotto nella lingua nipponica i Versi satanici di Salman Rushdie. Quella volta il governo mise a tacere la cosa perché la stragrande maggioranza del petrolio lo importava proprio dall'Iran.

 

[16] USA, algoritmi razzisti. Cina, riconoscimento facciale. Tomasz Greniuch. Domenikon 1943. Bitcoin

 

Sono profondamente razzisti o comunque pieni di pregiudizi gli algoritmi guidati dalla matematica e dalla statistica per il riconoscimento facciale negli aeroporti, alle frontiere, negli stadi, direttamente sulle strade (per non parlare degli algoritmi di polizia predittivi, quelli che possono prevedere dove si compierà più facilmente un crimine e quali categorie di persone lo faranno).

Considerarli oggettivi o neutrali solo perché basati sulla matematica e la statistica (cosa che ha permesso una loro diffusione incontrollata), è incredibilmente ingenuo. Ed è persino da escludere che si debba attendere un livello di accuratezza tale da renderli veramente affidabili.

San Francisco è diventata la prima città a vietare l'utilizzo del riconoscimento facciale. Le autorità hanno capito che tali strumenti non sono per nulla affidabili e che una sorveglianza troppo ampia ha un impatto deleterio sulla società, a partire dalle comunità più svantaggiate.

In tutti gli Stati Uniti le proteste per i diritti degli afroamericani e delle minoranze, dopo il caso George Floyd, hanno rimesso al centro del dibattito anche le tecnologie di riconoscimento facciale e di intelligenza artificiale.

Il riconoscimento facciale, così tanto usato in Cina, è una minaccia per la privacy quando funziona e una minaccia razzista quando non funziona. È ridicolo pensare che possa essere la matematica a ridurre i pregiudizi. IBM, Amazon e Microsoft han deciso di ritirare i loro software per il riconoscimento facciale.

 

Il riconoscimento facciale in Cina è sempre più diffuso e ormai viene utilizzato nelle scuole, nelle università, nelle stazioni, nei centri commerciali di tutto il Paese. Nessun Paese al mondo si avvale di un uso così estensivo e invasivo di tali sistemi di sorveglianza, che il più delle volte vengono applicati senza chiedere il permesso a nessuno.

Nel 2017 c'erano 170 milioni di videocamere CCTV per la sorveglianza, ma nel 2020 erano già 400 milioni. La situazione generale sarebbe sempre più simile a quella della regione autonoma Xinjiang, dove il riconoscimento facciale viene impiegato per tenere sotto stretta osservazione la minoranza musulmana degli Uiguri e per evitare disordini o manifestazioni di dissenso.

Il bello è che il 60-70% dei cittadini cinesi è convinto che il riconoscimento facciale possa rendere i luoghi pubblici più sicuri. Le autorità sostengono che l'intelligenza artificiale serve per combattere i cybercriminali e per evitare la congestione di alcune stazioni del metrò, come quelle super affollate di Pechino, perché i controlli avvengono molto più velocemente.

È in vigore in Cina una legge che impone il riconoscimento facciale a chiunque sottoscriva un contratto con una compagnia telefonica per avere una sim card. Il motivo sta nell'evitare frodi, nel garantire la cybersecurity e nel combattere il terrorismo.

Il primo a opporsi a questa situazione orwelliana è stato il professore Guo Bing, docente alla Zhejiang Sci-Tech University, che ha denunciato il Parco Safari di Hangzhou, che avrebbe scannerizzato il suo volto e raccolto i dati personali senza alcuna autorizzazione.

 

Tomasz Greniuch, 39 anni, con un passato recente di aggressivo leader organizzatore di marce antisemite, omofobe e xenofobe, e in passato dichiaratamente neonazista, guida ora a Breslavia (una delle più importanti città polacche) la sede dell'Istituto per la memoria nazionale, la più influente istituzione polacca di studi della storia moderna e contemporanea. È diventato direttore ad interim. Il capo dello Stato, Andrzej Duda, nel 2018 l'ha insignito di un'alta decorazione, la croce di bronzo al merito.

Ma chi è Greniuch? È un laureato in Storia e Pedagogia, autore di vari libri, che fino al 2013 militava nel movimento di estrema destra antisemita Onr, in contatto con organizzazioni europee del genere di Forza Nuova o Casa Pound. Ha dichiarato che la sua famiglia combatté contro i nazisti e i sovietici.

Nel 2008 la Onr (non lui personalmente) fu anche indagata dalla magistratura per propaganda dell'ideologia nazista. In seguito fece una celebrazione in memoria di un capopopolo antisemita degli anni Trenta, Adam Doboszynski, il quale nel 1936 organizzò un pogrom contro la città polacca di Myslenice, con pestaggi di abitanti ebrei del posto e il tentativo di dare alle fiamme la sinagoga.

Ora però dicono che Greniuch si sia dissociato, abbia cambiato idea. Ma restano anni di foto di lui in piazza con simboli nazionalisti antisemiti e col braccio destro teso nel saluto romano o nazista, anche se diceva nel 2006 che il braccio teso è il simbolo dell'antica Roma, non avendo nulla a che fare con Hitler, che aveva usurpato quel saluto.

Tuttavia la Onr si è battuta e continua a battersi per una “Polonia etnicamente pura”. Come se oggi, in piena globalizzazione, un concetto del genere potesse avere un qualche senso.

Per fortuna che il sindaco di Breslavia ha dichiarato Greniuch “persona non grata” nella città per il ruolo che ha avuto nella diffusione di antisemitismo e per i suoi discorsi di odio. Molti partiti d'opposizione hanno chiesto che l'Istituto gli ritiri l'incarico.

Peraltro Greniuch è stato anche e a lungo un organizzatore-chiave dell'annuale marcia dell'indipendenza nella capitale polacca Varsavia, iniziativa che ogni anno diventa una manifestazione aggressiva, antisemita, omofoba, razzista e antieuropea dell'ultradestra, cui partecipano spesso giovani della destra radicale di altri Paesi del continente, con attacchi incendiari e scontri con la polizia.

Morale della storia? Uno potrà anche pentirsi dei propri vergognosi trascorsi, ma che un governo non abbia un'altra persona da mettere in un Istituto così importante, lascia pensare che non abbia avuto alcuna intenzione di farlo.

 

Il 16 febbraio 1943 si consumò in Grecia, nel villaggio di Domenikon (Tessaglia), uno dei peggiori eccidi compiuti dalle forze italiane di occupazione: almeno 140 civili furono trucidati come (illegittima) rappresaglia per l'uccisione, in una imboscata partigiana, di nove camicie nere. Dopo 78 anni nessuno ha mai pagato per quella strage, oggetto di più inchieste, l'ultima delle quali archiviata recentemente.

Stathis Psomiadis, presidente dell'Associazione dei familiari delle vittime di Domenikon, che continuano a chiedere giustizia, e anche un risarcimento economico, ha inviato una lettera al magistrato Marco De Paolis per sollecitare un intervento dello Stato. Ma il magistrato, nonostante le indagini condotte, è stato costretto a chiedere l'archiviazione, perché tutti i possibili imputati sono ormai morti o sono rimasti ignoti. E per questo ha chiesto scusa.

Eppure quegli assassini non erano lì a titolo personale ma rappresentanti dello Stato italiano.

Gli storici Filippo Focardi e Lutz Klinkhammer, nella prefazione al libro scritti dal giornalista Vincenzo Sinapi, Domenikon 1943. Quando ad ammazzare sono gli italiani (ed. Mursia), han detto che fin dal dopoguerra è stata stesa una coltre di silenzio sui crimini compiuti dall'esercito fascista nei territori occupati, dove vennero fatte “migliaia di vittime innocenti per le quali non c'è mai stata giustizia”.

Cioè, a differenza di quanto avvenuto in Francia e nella stessa Germania, in Italia “un pubblico esame di coscienza sulle proprie responsabilità (...) è stato finora frenato da vari fattori, fra cui interessi politici e istituzionali restii a riconoscere le malefatte del Paese, non ultimo per scongiurare eventuali richieste di indennizzi da parte dei familiari delle vittime dei crimini italiani”.

E poi ci riempiamo la bocca parlando di foibe.

 

I Bitcoin consumano una quantità di energia superiore a quella dell'Argentina. A renderlo noto è un nuovo studio shock dell'Università di Cambridge, che mette in risalto la vertiginosa quantità di energia necessaria (e quindi le cospicue emissioni di anidride carbonica dovute alle attività digitali) per lo svolgimento dei calcoli informatici che permettono di verificare tutte le transazioni della criptovaluta.

In pratica i Bitcoin consumerebbero circa 121,36 terawattora (TWh) all'anno. Questo valore continuerà a salire sempre più, a meno che il valore della criptovaluta non crolli. I Bitcoin infatti non sono monete fisiche, sicché tutte le transazioni che vengono effettuate online devono essere monitorate continuamente. Cioè le macchine devono essere lasciate perennemente in funzione.

Al momento sempre più aziende han deciso d'investire in Bitcoin. Dopo l'annuncio di Elon Musk, con cui ha dichiarato di aver acquistato 1,5 miliardi di Bitcoin e di star programmando di accettare questa valuta come pagamento, il valore della criptovaluta è salito del 350% negli ultimi 12 mesi.

Musk è quell'imprenditore sudafricano con cittadinanza canadese, naturalizzato statunitense che gestisce, tra le altre cose, Tesla, un'azienda americana specializzata nella produzione di auto elettriche, pannelli fotovoltaici e sistemi di stoccaggio energetico.

In sostanza i Bitcoin rappresentano un vera e propria minaccia ambientale. Nel caso in cui i Bitcoin fossero uno Stato, rientrerebbero tra i primi 30 Paesi al mondo per consumi di energia.

Siamo alla follia del capitalismo finanziario.

 

[17] Scozia, indipendenza. Governo Draghi. Covid-19. USA, pena di morte. Antifascismo e anticomunismo. Cina e Hong Kong

 

La Scozia ritenta la via dell'indipendenza per sfuggire alla Brexit. Il testo per la convocazione di un nuovo referendum per l'indipendenza verrà presentato in Parlamento prima delle elezioni di maggio. Una seconda consultazione, dopo quella che nel 2014 respinse col 55% la proposta di separarsi dal Regno Unito, è fortemente avversata dal premier britannico, Boris Johnson, secondo cui un voto su una simile materia non può svolgersi più di “una volta ogni generazione”.

La premier scozzese, Nicola Sturgeon, sostiene però che, dopo la Brexit, sia inevitabile dare di nuovo la parola ai cittadini, dal momento che la maggior parte degli scozzesi nel 2016 si era espressa a favore della permanenza nell'Unione Europea.

Gli ultimi sondaggi sostengono che il 58% degli elettori scozzesi è favorevole all'indipendenza. Se dovessero vincere, cosa faranno gli inglesi, ch'erano contrari al 100% all'indipendenza che i catalani chiedevano nei confronti degli spagnoli?

 

Oggi Draghi chiederà la fiducia alle Camere sulla base di un proprio discorso. Ma la scelta dei ministri è già stata fatta. Avrei voluto vedere il parlamento dare la fiducia al discorso in sé, a prescindere dalla spartizione delle poltrone.

 

Il virus continua a diffondersi in tutte le sue micidiali varianti. I vaccini o tardano o non sono in grado di star dietro a tutte queste mutazioni. L'economia ormai è al collasso e tutta la decretazione d'urgenza per scongiurare la pandemia sanitaria non fa che aumentare sempre più quella economica.

A questo punto io farei questa proposta: i cittadini sanno benissimo che per evitare il contagio devono usare mascherina e/o distanziamento significativo, oltre all'uso costante di prodotti igienizzanti per la persona e l'ambiente. Ebbene, d'ora in poi, visto che le capacità ricettive degli ospedali per le terapie intensive non sono illimitate, i pazienti che ne potranno beneficiare saranno soltanto quelli in età lavorativa, cioè fino a 70 anni. Tutti gli altri, se si infettano, dovranno restare a casa, curati dai medici condotti coi farmaci a disposizione. Il Ministero della Sanità dovrebbe fare una dichiarazione pubblica, avallata dall'intero governo, mettendo in allarme l'intera nazione sulle conseguenze tragiche che possono avere certi comportamenti scorretti, ma lasciando ai cittadini la responsabilità di ciò che può accadere.

 

Alessandro Milan ha scritto Un giorno lo dirò al mondo (ed. Mondadori), ispirato alla vicenda dell'italo-americano Derek Rocco Barnabei, giustiziato negli USA (Virginia) nel 2000 dopo la condanna a morte per l'omicidio della fidanzata Sarah Wisnosky.

La sentenza arrivò nel 1993 dopo un processo indiziario durato tre settimane.

Milan seguì da vicino per Radio 24 la vicenda. Il giornalista intervistò più volte Barnabei, che si rifiutò di patteggiare e che si dichiarò sempre innocente e vittima di un complotto (gli falsificarono anche il rapporto degli esami sul Dna). Secondo lui la fidanzata era stata uccisa da Michael Bain, David Wirth e Stuart McMillan, che volevano fare sesso con lei e lei non ci stava.

A favore dell'imputato intervennero, inutilmente, molti politici, il parlamento europeo e persino papa Giovanni Paolo II. Il penalista Alan Dershowitz si offrì volontariamente per la difesa, definendo quanto avvenuto “uno dei più grossi errori giudiziari mai visti”.

Milan ci ha messo quasi 20 anni per scrivere questo libro. Il Quotidiano.net ha riportato un capitolo in cui vengono descritte le condizioni di vita del braccio della morte. Riportiamo alcuni passaggi impressionanti.

Nel braccio della morte si sta rinchiusi in cella venti ore su ventiquattro. Il fetore è spesso insopportabile.

All'interno del carcere si è confinati in un'ala specifica, e si deve girare con le lettere DRI appuntate al petto: Death Row Inmate (Detenuto nel braccio della morte). Si è limitati in tutto: telefonate, visite, trattamenti sanitari. La privazione del contatto fisico è disumanizzante, la mancanza di socializzazione è l'anticamera della disperazione. L'ora d'aria è vissuta in uno spazio grande come un campo da basket, che deve essere condiviso da cinquanta persone. Ovunque, al di fuori delle celle, i condannati camminano incatenati, piedi e mani, con queste ultime posizionate dietro la schiena. A ogni passo rischiano di cadere faccia in avanti, senza potersi proteggere. La sveglia è alle 6, quando il bagliore del neon invade la cella.

Fuori, lo sferragliare delle chiavi annuncia l'arrivo di una guardia che picchia sulla porta e urla: “In piedi per la conta, prigioniero 227108 o verrà accusato”. Ogni due ore i carcerati vengono contati.

Il pranzo è alle 12, la cena alle 5 del pomeriggio, alle 8 di sera si spengono le luci. Ma le guardie paiono divertirsi sparando lampi accecanti negli spioncini o battendo coi manganelli le porte blindate. Di tanto in tanto, per spezzare la monotonia dei turni di notte, scatta “l'ora della strega”. Gli ufficiali indossano uniformi anti sommossa, poi avanzano in corridoio improvvisando una marcia al grido di: “Sinistra, destra, sinistra, destra, chi è stasera la vittima della giostra?”. Quindi si fermano davanti alla cella del malcapitato, scelto non si sa bene come. Se sono in buona, fanno irruzione e si divertono a seminare un po' di scompiglio e terrore; se invece si fanno prendere la mano, vola qualche manganellata. Il sonno è interrotto e pieno di terrore.

Ciò che più pesa, psicologicamente, è la mancanza di colori, che all'interno della struttura sono neutri. Le luci sono sintetiche, una sorta di giallo innaturale. Solo di rado, bagliori nitidi penetrano quelle mura. Provengono da pezzettini di bigiotteria senza alcun valore ma di un rosso sgargiante o da foglioline di prezzemolo di un verde intenso che i condannati si procurano dall'esterno, che custodiscono come tesori preziosi, soprattutto perché proibiti.

I vestiti dei condannati sono di un arancione intenso, come quelli dei monaci buddhisti; le guardie invece vestono di blu scuro e calzano stivaloni. Hanno armi di ogni tipo: il manganello che provoca scosse elettriche, lo spray al peperoncino, all'occorrenza fucili M16. Tutto intorno a questi grandi prefabbricati di cemento ci sono le torrette, il filo spinato.

La morte, quando arriva, procura un senso di liberazione.

Alcuni di loro – scrive Milan – hanno commesso delitti orribili, senza dubbio, ma ci sono anche padri di famiglia, ritardati mentali, ragazzini che si sono lasciati alle spalle da poco l'adolescenza. Alcuni di loro sono disabili che non riescono ad andare in bagno o a lavarsi autonomamente. Uomini che non sono stati in grado di comprarsi un buon avvocato, una difesa decente, un investigatore capace se non di scagionarli, di trovare qualche attenuante che ne mitigasse la pena. Tutti, a livelli più o meno simili, sono poveri.

Ecco, di fronte a queste parole di Milan cosa dire?

Qual è il senso della giustizia, della pena e della punizione che hanno negli Stati Uniti? Da un lato ti dicono che il Paese offre mille opportunità e che nessun altro può offrirti un'analoga libertà di scelta, di iniziativa. Dall'altro però ti fanno subito capire che per ottenere questa libertà devi agire senza scrupoli, e che se in questo cinismo commetti un grave errore e non hai qualcuno che ti protegge, sei finito, sei senza scampo.

 

Al Consiglio comunale di Genova è passata la proposta del centrodestra di istituire un'anagrafe virtuale “antifascista, antinazista, anticomunista” a difesa dei “valori della nostra Costituzione”. In tal modo si mettono sullo stesso piano il nazifascismo e il comunismo. Le forze di maggioranza del centrodestra si sono schierate compatte per il Sì, i cinque consiglieri del Movimento 5 stelle hanno votato No, mentre il PD ha optato per l'astensione.

La capogruppo dei dem è stata sostituita dal partito perché accusata di non aver trasmesso ai consiglieri il testo dell'ordine del giorno della scorsa seduta, sicché i dem avrebbero commesso l'errore di astenersi.

Anche prescindendo da questa precaria organizzazione del PD, un partito che comunque di “comunista” non ha più nulla da un pezzo, una cosa vien da chiedersi sempre di fronte a questi atteggiamenti della destra che si reiterano nel tempo: davvero possiamo mettere sullo stesso piano fascismo e comunismo?

È nota la dura reazione dell'Anpi: “Una mozione inaccettabile che va contro la realtà della storia e che dimostra scarsa o nessuna conoscenza della verità dei fatti, un vero sfregio ideologizzante. Ai cancelli di Auschwitz, il 27 gennaio 1945, si presentarono i soldati dell'Armata Rossa. Un bel ripasso di storia farebbe bene a tutti”.

Poi la sinistra radicale ha rivendicato il ruolo dei partigiani comunisti nella Resistenza e l'apporto del PC alla stesura della Costituzione, facendo capire che non è possibile equiparare antifascismo e anticomunismo.

Indubbiamente nazifascismo e socialismo statale sono due forme di barbarie, che calpestano i diritti umani e le fondamentali libertà individuali. Ma possiamo dire con certezza che oggi la nostra democrazia o la nostra Costituzione è la migliore alternativa possibile a quelle dittature? Non è ridicolo pensare che l'attuale democrazia rappresentativa (parlamentare e nazionale) sia la migliore garanzia per la realizzazione dell'uguaglianza e della giustizia sociale?

Qui non è solo questione di studiare la storia, ma anche di guardare obiettivamente la realtà presente.

Oggi la democrazia formale, quella inventata dalla borghesia comunale italiana mille anni fa, domina il mondo. E che lo faccia nella forma del capitalismo privato o statale o nella forma del socialismo statale o di mercato, non fa molta differenza. Ormai è dal concetto di “civiltà” che dobbiamo uscire, se vogliamo recuperare l'ultimo brandello di umanità che ci è rimasto. La strenua difesa della proprietà privata dei fondamentali mezzi produttivi, o l'assurda statalizzazione di tale proprietà, l'incontrollata urbanizzazione, il selvaggio sfruttamento della natura, l'uso della guerra per risolvere le controversie internazionali, le pesanti discriminazioni di genere, le continue violazioni della privacy e tante altre perle dei nostri sistemi di vita ci stanno portando, magari lentamente ma inesorabilmente, verso l'imbarbarimento del genere umano. E questo senza offendere le mitiche tribù barbariche del mondo medievale.

 

Il governo di Xi Jinping ha applicato alla lettera su Hong Kong la nuova e contestata legge sulla sicurezza nazionale, approvata all'unanimità dall'Assemblea Nazionale del popolo, che aveva poi passato il testo al Comitato permanente del Congresso Nazionale del Popolo, il massimo organo legislativo cinese.

Tale approvazione è avvenuta senza alcuna discussione pubblica (inizialmente non era stato reso pubblico il testo), con l'obiettivo ufficiale di arrestare chiunque sia accusato di compiere attività terroristiche e atti di sedizione, sovversione e secessione. Cioè in pratica per reprimere le proteste a favore di più autonomia dal governo centrale cinese e di più libertà e democrazia, che a Hong Kong, p.es., vanno avanti da circa un anno.

La città è una regione amministrativa speciale cinese che nel 1997, quand'era colonia britannica, è passata sotto il controllo della Cina, sulla base di un accordo che le garantiva alcune particolari libertà per almeno 50 anni. Da allora i rapporti tra Hong Kong e Cina si sono riferiti al principio “un paese, due sistemi”, cioè da un lato l'unità nazionale della Cina, dall'altro la diversità di Hong Kong, contraddistinta da un proprio ordinamento giuridico, politico e legislativo, e da un diverso sistema economico. Un principio sconfessato appunto dalla suddetta legge sulla sicurezza. Dei 50 anni promessi solo 23 sono stati concessi.

Gli arresti ormai non si contano più. Tra gli attivisti anche il vicepresidente del Partito democratico di Hong Kong, oltre a molti studenti tra i 16 e i 21 anni, ex membri di Studentlocalism, un gruppo a favore della democrazia. La polizia di Hong Kong ha emesso mandati di arresto per sei attivisti in esilio, tra cui persone che hanno cittadinanze straniere da molti anni.

Oppure si silenzia chiunque osi esprimere dissenso. È stato cacciato un docente di legge dall'università di Hong Kong, perché si era dimostrato una figura chiave per il movimento locale a favore della democrazia. Smantellato il Demosisto, il movimento politico più attivo degli ultimi mesi.

Sarà vietato a una decina di candidati di presentarsi alle prossime elezioni parlamentari, che poi comunque sono state rimandate di un anno, ufficialmente a causa dei timori per il coronavirus.

Mostrare bandiere, striscioni, scandire slogan o compiere atti con l'intento di secessione e sovversione potrebbe essere un reato. La lealtà al partito comunista cinese viene prima di qualsiasi altra cosa.

TikTok non sarà più disponibile a Hong Kong, per evitare la richiesta di censura dei contenuti giudicati eversivi o quelle della concessione dei dati sensibili dei propri utenti. Già Facebook, Google e Twitter hanno respinto le richieste di informazioni sui dati dei loro utenti.

Negli Stati Uniti parlamentari sia repubblicani che democratici hanno proposto una legge per garantire lo status di rifugiati ai residenti di Hong Kong a rischio di persecuzione a causa della nuova legge. Anche nel parlamento del Regno Unito si sta discutendo se offrire visti e percorsi per ottenere la cittadinanza britannica ai milioni di residenti permanenti di Hong Kong che sono possessori del passaporto British National (Overseas), un particolare passaporto britannico.

Insomma le promesse van mantenute e gli accordi rispettati. Senza dubbio i cinesi vendono in tutto il mondo molti prodotti a costi ridicoli, però potremmo dire anche basta a questo consumismo ad oltranza che li ha resi così potenti a livello mondiale.

 

[18] Riconoscimento facciale. Salmone allevato. Cina, terre rare

 

Un campo di sperimentazione dell'intelligenza artificiale è l'Africa, dove in molti Paesi le compagnie cinesi stanno fornendo ai governi locali la tecnologia del riconoscimento facciale per identificare le minacce all'ordine pubblico. I progetti rientrano nel mega programma della Nuova Via della Seta, ma sono anche fondamentali alla Cina per diventare leader nel campo del riconoscimento facciale e per sviluppare software sempre più precisi che includano anche le differenze etniche.

Per le persone con la pelle nera, infatti, queste tecnologie sono molto meno affidabili. Negli Stati Uniti lo sanno bene, dove prevedono per le persone di colore anche sistemi automatizzati di profilazione del rischio criminale, e altri sistemi che consentono di valutare l'affidabilità creditizia e la solvibilità di una persona.

Chi usa questi sistemi dà per scontato che le persone di colore siano soggetti a rischio d'insolvenza o d'inaffidabilità, per cui si tende a impedire loro di comprare case, ottenere prestiti o trovare lavoro.

 

Gli allevamenti di salmone sono una delle cose più indecenti che si possano vedere negli oceani. Lo dice il documentario Fillet-Oh-Fish, diretto dal regista Nicolas Daniels. https://youtu.be/FiYHhzYAQmU

Lo Stato che detiene il primato nella produzione di questo pesce è la Norvegia, col 33% del mercato mondiale, seguita dal Cile con il 31%, e terza si posiziona il resto d'Europa con un 19% (soprattutto la Scozia è un produttore rilevante). Quasi il 90% dei salmoni che mangiamo nella UE è allevato in Norvegia, con un prezzo

medio di 12-13 euro al kg. Solo il 4% dei salmoni dichiara un'origine scozzese e ha un costo medio di 21-22 euro al kg. Il salmone selvaggio può invece arrivare a costare anche 50-55 euro al kg. Ma questo proviene da Alaska e Canada.

A partire da metà Novecento le tecniche di acquacoltura del salmone si sono affinate sempre di più fino a diventare quelle attuali, nate in Norvegia nel 1960 e che dall'Europa si sono diffuse in USA, Canada, Russia e Giappone.

Ma quali sono queste tecniche? Le uova di salmone vengono prima fatte sviluppare in bacini di acqua fresca e poi, a circa 12-18 mesi di età, i giovani salmoni vengono trasferiti in gabbie galleggianti in mezzo al mare (tecnica off-shore), oppure in vasche create vicino alla costa ma sulla terraferma (tecnica in-shore).

Le gabbie sono generalmente di forma circolare o quadrata di un diametro variabile tra i 10 e i 32 metri e di circa 10 metri di profondità. Una grande gabbia può contenere fino a 90 mila esemplari di salmoni, con una densità che arriva fino a 18 kg per metrocubo.

Sono costretti a vivere una vita innaturale e senza abbastanza spazio di movimento: per questo si ammalano di continuo. Almeno 1/4 di loro muore prima d'essere macellato, a causa delle malattie, dei pidocchi di mare e dell'inquinamento dell'acqua. Nessun altro allevamento animale ha analoghi tassi di mortalità. D'altra parte nuotare in una zuppa di muco ed escrementi alimenta le mutazioni di agenti patogeni, che poi si diffondono nell'Atlantico.

Nelle vasche girano in tondo, possono diventare ciechi o avere la coda mozzata, rosicchiata dagli altri salmoni che nuotano in quel carnaio. I pidocchi di mare gli staccano la pelle a brani, lasciando la carne viva a contatto con l'acqua circostante, intorbidita dagli escrementi e dai residui di cibo. I rifiuti prodotti da tre sole gabbie sono pari all'equivalente dei liquami prodotti da 120.000 persone.

Vengono somministrati regolarmente trattamenti chimici e antibiotici per ridurre le malattie. Però i pidocchi di mare ormai resistono a qualsiasi sostanza chimica, salvo il Diflubenzuron, un insetticida potenzialmente cancerogeno per l'uomo, come vogliono l'Agenzia per la protezione dell'ambiente degli Stati Uniti (2009) e l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (2012); e che però viene autorizzato nella UE sia in agricoltura che, appunto, nell'allevamento dei salmoni.

In Scozia la mortalità di questi pesci è più che quadruplicata, dal 3% nel 2002 a circa il 13,5% nel 2019. 1/5 di questi decessi è causato dalle infestazioni dei pidocchi di mare. Lo dice il “Guardian”.

I salmoni sono carnivori e vengono quindi alimentati per 12-24 mesi con cibi naturali (altri pesci o farina di pesce) e artificiali (mangimi ad alta concentrazione di proteine: p.es. soia ogm importata dal Brasile). Specie chiave come le sardine nell'Africa occidentale sono ora in pericolo, perché pescate principalmente per produrre mangimi. In alcuni allevamenti vengono nutriti con magimi derivati dalla carne di pollo o di maiale, pieni di proteine, che causano però un impoverimento di Omega 3 e di antiossidanti nella carne del salmone.

Negli allevamenti intensivi i reflui non vengono mai lavati via e si lasciano semplicemente cadere attraverso le reti: migliaia di tonnellate di escrementi e rifiuti si depositano nel fondale intorno agli allevamenti e non vengono mai rimossi.

Infine la carne dei salmoni allevati è di colore grigio rosa pallido, non arancione come quella del salmone selvatico, perchè non si nutre di krill e gamberi ma di mangimi animali e di soia. Qualche giorno prima della macellazione gli si somministrano degli additivi chimici o integratori a base di carotene, nel migliore dei casi, per colorare la carne di rosso o arancione. Ciò fa aumentare i costi di allevamento del 20%, ma garantisce un generoso ritorno economico ai produttori.

Nel 2017 la RAI produsse un documentario riguardante gli allevamenti di salmone in Norvegia. Mostrava come il pesce proveniente da questi allevamenti fosse fortemente nocivo per la salute di tutti e in particolar modo dei bambini. Sono inoltre una minaccia per tutto l'ecosistema dei fiordi norvegesi.

Gli italiani, a testa, in un anno, consumano in media 25 kg di pesce: guarda caso il più amato è proprio il salmone, perché siamo convinti che abbia un alto valore nutrizionale, grazie agli Omega 3 che questo pesce contiene, e perché è facile da cucinare. Se ne mangia molto anche nei ristoranti giapponesi, dove da molti anni viene ormai considerato l'ingrediente più popolare per il sushi. Ma le sue caratteristiche base sono le seguenti: pieno di tossine, altissimo contenuto di grassi, povero di vitamina D, infiammatorio per il nostro organismo, colorato con coloranti chimici, nutrito con mangimi industriali, altissimo contenuto di antibiotici, allevato con metodi intensivi e dannoso per la salute degli oceani.

Completamente diverse invece le qualità del salmone selvatico: ridotto contenuto di grassi, ricco di Omega 3, combatte l'infiammazione, colore rosso naturale, la sua pesca è sostenibile ed è ricco di vitamina D.

Forse sarebbe meglio comprare le sardine (soprattutto nel Mediterraneo), altrettanto ricche di Omega 3, anche se meno semplici da spinare.

Ma non abbiamo finito. Alcune specie di salmone sono già state modificate geneticamente in laboratorio, così da creare una nuova specie che cresca più in fretta.

Le specie di salmone selvatico risentono di continuo della ibridazione col cugino d'allevamento. Le reti in mare, stracolme di salmoni, sono spesso soggette a mareggiate o buchi causati dall'usura e in queste situazioni moltissimi animali scappano e si dirigono per istinto nei luoghi d'origine. Incontrandosi coi loro progenitori selvaggi e mischiandosi a loro, i pesci d'allevamento indeboliscono il genoma frutto di millenni di evoluzioni, mettendo in serio pericolo la sopravvivenza a lungo termine di questi animali.

 

La Cina sta valutando se può danneggiare la difesa degli USA, limitando le forniture di minerali delle terre rare, fondamentali per l'industria bellica. Lo riporta il “Financial Times”. Non sarebbe la prima volta che la Cina usa quest'arma: nel 2010 il governo aveva privato il Giappone delle terre rare durante un periodo di tensioni. All'epoca la Cina controllava il 95% del mercato.

È noto infatti che l'industria bellica poggia sulle terre rare, come p.es. la Lockheed Martin per il suo cacciabombardiere di quinta generazione F-35. Il velivolo richiede 417 kg di materiali di terre rare per componenti critici come sistemi di alimentazione elettrica e magneti. Le terre rare sono utilizzate anche nei missili a guida di precisione e nei droni. Ma sono fondamentali anche per la fabbricazione di smartphone, veicoli elettrici e turbine eoliche, nonché la lavorazione di materiali avanzati come biomateriali, ceramiche e compositi.

La Cina controlla oggi circa l'80% dell'offerta globale dei 17 minerali delle terre rare. Cioè rappresenta l'80% delle importazioni di terre rare negli Stati Uniti.

Anche questo è un buon motivo per dichiararle guerra, no? Il Pentagono ci sta pensando. L'ammiraglio Philip Davidson, capo del comando Indo-Pacifico degli Stati Uniti, ha dichiarato che Taiwan rischia di subire un'invasione militare da parte della Cina nei prossimi sei anni, soppiantando completamente il ruolo degli USA.

Pechino si sta comportando così per reagire al fatto che Trump stava boicottando seriamente il colosso Huawei, soprattutto evitando di rifornire i cinesi di semiconduttori e delle apparecchiature necessarie per fabbricare quegli smartphone, un settore in cui la Cina ha diversi anni di ritardo.

A Pechino basterebbe occupare Taiwan per avere a disposizione i segreti della Tsmc, la società più efficiente nel settore dei microchip, con una miniaturizzazione da cui la Cina è ancora lontana. Ma non può farlo così facilmente. E Tsmc ha dovuto annullare le consegne a Huawei a causa delle nuove leggi americane, come anche l'azienda franco-italiana Stm.

La Cina sarà sicuramente rallentata nel suo sviluppo, ma ora sta investendo grandi risorse nella sua autosufficienza. I semiconduttori sono diventati una priorità nazionale.

 

[19] Cina, economia. Comunità di Bose

 

Il PIL 2020 della Cina è aumentato del 2%, mentre il mondo intero, in media, ha perso almeno il 5%.

Tuttavia i piccoli imprenditori e lavoratori delle immense province cinesi non riescono a rimborsare i tanti prestiti presi dalle altrettanto piccole banche sparse sul territorio. In sostanza le banche cinesi non riescono a fare piazza pulita delle sofferenze in bilancio, perché per ogni operazione di pulizia arriva una nuova ondata di crediti difficili da gestire.

Questo perché la pandemia del Covid-19 è devastante per tutti i Paesi.

I numeri sono incredibili: dopo aver ceduto oltre 465 miliardi di dollari di prestiti, rivelatisi inesigibili, nel 2020, le attività deteriorate hanno continuato a crescere fino a 281,6 miliardi, anche se le autorità di regolamentazione han consentito una maggiore tolleranza ai prestiti per sostenere le aziende cinesi, molte delle quali però non riescono a non fallire. Per non fare la stessa fine, dozzine di piccole banche provinciali han deciso di fondersi.

La crisi economica causata dalla pandemia si sta rivelando anche in Cina decisamente superiore a quella dei subprime americani del 2008, che, come noto, ha avuto strascichi nel mondo per una decina d'anni.

Eppure gli ultimi dati pubblicati dall'Eurostat rivelano che nel 2020 la Cina è diventato il principale partner commerciale della UE. Le importazioni dei 27 Paesi dalla Cina sono cresciute del 5,6% su base annua, arrivando a 383,5 miliardi di euro, mentre le esportazioni sono cresciute del 2,2%, arrivando a 202,5 miliardi di euro.

Semmai sono diminuiti gli scambi commerciali tra USA e Cina, che pur restano nel complesso quasi equivalenti a quelli tra UE e Cina. E sono diminuiti parecchio anche gli scambi tra UE e USA, anche se la bilancia commerciale continua a mantenersi positiva per l'Europa (150,9 miliardi di euro), e anche se gli USA continuano a restare il principale partner commerciale, soprattutto per l'export, della UE. Addirittura per l'Italia gli USA rappresentano un mercato che per valore è quasi il doppio di quello con la Cina.

Da tutto ciò è facile capire che l'economia cinese ha retto meglio di quelle europee e americane alla crisi della pandemia, proprio perché ha saputo reagire più rapidamente e con maggiore decisione. Forse perché la maggior parte delle epidemie degli ultimi anni si è sviluppata proprio in Cina: dall'asiatica del 1957 all'influenza di Hong Kong del 1968, passando per la Sars e per il nuovo coronavirus.

In ogni caso si è approfondito il già possente deficit commerciale europeo nei confronti della Cina, la quale però, per evitare che la UE si allinei alle posizioni intransigenti della politica commerciale americana, potrebbe fare ulteriori concessioni all'export europeo nel proprio grande mercato.

 

La comunità di Bose, frutto del Concilio Vaticano II, quella convivenza “mista” di monaci e monache cattolici/non cattolici, nata sulle colline biellesi e capace di raggiungere uomini e donne in ogni angolo della terra, è morta. A suonare le campane a lutto della fraternità, fondata da Enzo Bianchi (78 anni) nel 1965, ci hanno pensato due uomini: l'attuale priore Luciano Manicardi (eletto nel 2017 col consenso dello stesso Bianchi e suo personale collaboratore per oltre 30 anni) e padre Amedeo Cencini, lo psicoterapeuta canossiano che ha ridotto una delle esperienze di chiesa più innovative nel panorama italiano a un tradizionale monastero dove la libertà, la creatività, la promozione della cultura (in passato furono contattati vari filosofi, psicanalisti, politici ecc.), l'apertura ai non credenti, l'ecumenismo (rifiutato dalle gerarchie, che preferiscono annessioni e sottomissioni) e il ruolo attivo della donna nella liturgia (che lì poteva anche commentare il vangelo) non troveranno più alcuno spazio. Il monachesimo di Bose era sostanzialmente “laico-ecumenico”, basato esclusivamente sul vangelo, non legato ai dogmi né a specifiche strutture ecclesiali o forme particolari di vita “religiosa”. Tutti si sentivano in casa propria, come in pochi altri luoghi. C'era chi veniva da un cattolicesimo molto tradizionale, chi veniva dal mondo post-sessantottino, c'erano nobili e muratori, giovani intellettuali e macellai, contadini e artisti, femministe e donne dal retroterra più tradizionalista.

I due suddetti anti-Bianchi han ridotto la comunità, già in fase involutiva da circa 15-20 anni, a un piccolo e mediocre monastero catto-psicologico, strettamente confessionale e diviso per genere, in cui non c'è spazio per libertà e creatività.

Il segretario di Stato Vaticano ha firmato un Decreto con cui si richiede di allontanare da Bose, a tempo indeterminato, il fondatore e altri tre monaci a lui vicini, vietando loro di intrattenere qualsiasi contatto con altri membri della comunità per almeno cinque anni.

Motivo? Una lotta di potere da parte dell'attuale priore e di altri apparati della Chiesa, intenzionati a cambiare per sempre il volto della comunità, eliminando qualsiasi traccia di Bianchi; epurando la comunità da chi la pensa diversamente dal priore in carica; riducendola nell'alveo di una tradizione quasi pre-conciliare.

Dal sito della comunità sono sparite le parole di Bianchi, i suoi articoli, i commenti al vangelo, le date dei suoi incontri, senza alcuna spiegazione. Gli incontri che attiravano a Bose centinaia di credenti e non, nonché quelli con gli amici del fondatore (Umberto Galimberti, Massimo Cacciari, Massimo Recalcati e tanti altri) sono stati cancellati per lasciare spazio solo alla parola di Manicardi, che non ha mai spiegato nulla né rilasciato alcuna intervista; non ha mai reagito agli articoli di stampa ma ha solo avvalorato le scelte di Cencini.

Il mondo antibergogliano, la destra ecclesiastica, economica, politica e sociale del Vaticano naturalmente è molto soddisfatta. D'altra parte gli attacchi più o meno diretti contro il papa sono iniziati già durante il penultimo sinodo sulla famiglia (4-28 ottobre 2015), quando misero in giro la voce che fosse malato, per passare il messaggio che le sue scelte erano frutto di una mente insana. Nel 2016, appena pubblicata l'enciclica Amoris Laetitia, i cardinali Walter Brandmüller, Raymond L. Burke, Carlo Caffarra e Joachim Meisner pubblicarono “Dubia”, una lettera aperta al papa che in modo ecclesiastico, fingendo rispetto e ossequio, liquidarono l'enciclica, accusandola di fatto di eresia. Nel 2017 un certo Marcantonio Colonna, pseudonimo di un ricercatore storico non italiano, scrisse contro Bergoglio Il papa dittatore. E così via fino ad oggi. L'alto clero non sopporta la sua lotta contro la pedofilia e l'uso disinvolto delle finanze vaticane.

La nomina di una delegazione capeggiata da Amedeo Cencini non poteva che essere l'inizio di un disastro - ha detto Riccardo Larini in rete -, viste le note e rigidissime teorie di tale “esperto” riguardo alla vita religiosa, ben spiegate sia da Alberto Melloni che da Massimo Recalcati. Cencini, infatti, non ritiene possa esistere alcuna forma di vita religiosa che sia carismatica e non strettamente istituzionale, e ha, come in altri ambiti della psicoterapia (di cui è ritenuto dagli esperti laici un notevole dilettante) teorie molto fantasiose, che applica senza eccezione alcuna, tese a “sanare” le situazioni in maniera radicale.

È stato lui che, in maniera autoritaria, ha emesso il suo verdetto scontato: epurare la comunità (espellendo fondatore e persone a lui più vicine), favorire con l'intransigenza l'abbandono di chi si trova a disagio con le sue soluzioni, e “curare” chi non intendeva lasciare ma non era d'accordo (tramite psicoterapeuti compiacenti, invitati a incontrare i singoli membri della comunità per “aiutarli a uscire dalla loro confusione”). E l'ha fatto asserendo d'essere il plenipotenziario del papa e di non avere bisogno di ascoltare nessun consiglio, per una sorta di carisma divino conferitogli. I suoi provvedimenti inappellabili sono stati immediatamente esecutivi. Come spesso, d'altra parte, fa il Vaticano.

Il risultato è stato che dall'elezione di Manicardi a priore ad oggi, circa una trentina di persone ha lasciato la comunità o intende farlo.

 

[20] Fratelli Musulmani. Wikipedia ebraica. Italia politica

 

Quando l'imam Hasan al-Banna (1906-49) fondò i Fratelli Musulmani nel 1928, vide il secolarismo nella capitale egiziana come l'arma più letale mai concepita dagli europei contro i dogmi fondamentali della trascendenza islamica.

Al-Banna desiderava sfruttare gli elementi moderni del mondo occidentale con lo spirito islamico, ma non vi riuscì mai. Il salto era troppo grande, anche se pensava che prima o poi l'Egitto si sarebbe liberato autonomamente dall'egemonia britannica. Cosa che avvenne nel 1956.

È stato solo tra gli anni '70 e '80 che la Fratellanza Musulmana ha compreso la necessità di adattare, entro determinati limiti ideologici, il proprio patrimonio intellettuale al contesto geopolitico europeo.

Già durante il dominio di Gamal Abdel Nasser e delle sue decisioni strategiche legate alla Guerra fredda (nazionalizzazione del Canale di Suez e l'avvicinamento all'URSS), i Fratelli Musulmani preferirono di gran lunga l'America alla Russia, semplicemente perché temevano l'ateismo dei sovietici.

Gli americani venivano invece considerati “un popolo del libro”, essendo cristiani, e quindi erano accettabili nonostante la loro politica estera filo-sionista. Davvero un modo ingenuo di guardare le cose, prettamente ideologico. Fu anche per questo motivo che Nasser li perseguitò duramente.

La sconfitta dell'Egitto nella guerra dei Sei giorni incrinò il laicismo di Nasser e convinse il suo successore, Anwar Sadat, a cercare una linea ufficiosa di compromesso con la Fratellanza, per cui si autoproclamò “presidente credente”. Cioè riuscì a sfruttare il movimento religioso per rafforzare la sua posizione, e i Fratelli ottennero in cambio una nuova Costituzione, che stabiliva che l'Islam era la religione ufficiale dell'Egitto e che proclamava la Sharia una delle fonti della legislazione.

Tuttavia la formale coesistenza dei Fratelli musulmani col secolarismo occidentale, cui Sadat, divenuto filo-americano, non volle rinunciare, venne meno nella seconda metà degli anni '70, quando Sadat si recò a Gerusalemme per fare un trattato di pace col nemico più odiato: gli israeliani. Ciò fu visto come un tradimento dagli islamisti più radicali, che lo assassinarono nel 1981. Non furono responsabili dell'attentato i Fratelli Musulmani, ma da loro venne fuori un ramo terroristico, al-Qaeda.

Il nuovo presidente egiziano Hosni Mubarak ripristinò l'alleanza non ufficiale esistita sotto Sadat, e la Fratellanza musulmana guadagnò ancora una volta influenza, anche in virtù del proprio fondamentalismo moderato.

Infatti il suo leader principale, Mohamed Morsi, fece una esplicita dichiarazione contro il terrorismo, prendendo le distanze da al-Qaeda e dagli attentati dell'11 settembre 2001 alle Torri Gemelle.

Dopo la caduta del governo di Mubarak nel 2011, a seguito delle proteste scaturite dalla cosiddetta “primavera araba”, Morsi fu presidente dell'Egitto dal 2012 al 2013, ma il governo, incapace di risolvere la grave crisi economica, fu rovesciato con un colpo di stato del generale al Sisi, attuale premier, del tutto avverso al Movimento.

Oggi la Fratellanza Musulmana non ha affatto rinunciato a promuovere un'identità islamica forte, resiliente e assertiva tra i musulmani occidentali, anche perché si è perfettamente consapevoli che le comunità musulmane in Occidente corrono maggiormente il rischio d'essere assorbite culturalmente dalle società ospitanti, che sono troppo laiche e materialistiche per un qualunque islamico.

Il principale punto di riferimento religioso dell'ideologia dei Fratelli Musulmani restano oggi le opere di Yusuf al Qaradawi, considerato come un conservatore moderato che cerca di adattare gli ideali dello stile di vita islamico alla società moderna, tant'è che non ha dubbi nel ritenere la democrazia compatibile con l'Islam, anche se rifiuta l'idea che le leggi della Sharia debbano essere emendate per conformarsi ai valori e agli standard umani che mutano. Non a caso è fermamente ostile al principio della separazione tra religione e politica.

Secondo Qaradawi i musulmani in Occidente dovrebbero adottare “un conservatorismo senza isolarsi e un'apertura senza mischiarsi”. Come poi riescano a conciliare le due cose non è certo facile. Tant'è che di fronte agli atti di terrorismo individuale compiuti in occidente da estremisti che si rifanno all'Islam non è che si sprechino a fare dichiarazioni in cui si dissociano nettamente in nome della democrazia.

È difficile però pensare che un Paese occidentale possa non tener conto della Fratellanza Musulmana, presente in molti Paesi del mondo arabo e sempre ben organizzata e finanziata da Turchia e Qatar. Per es. in Libia sostengono nettamente Fayez al-Serraj e il governo di Tripoli contro l'avanzata del generale Khalifa Haftar, l'uomo forte di Bengasi.

Dai movimenti jihadisti terroristici i Fratelli Musulmani si differenziano solo per il non ricorso alla lotta armata e per non avere come obiettivo l'esportazione dell'islamizzazione in Paesi non arabi. Ma l'idea di “Islam politico”, non “corrotto” da usi e consumi occidentali, è la stessa.

 

Si legge su globalist.it che la Wikipedia ebraica ha cancellato la parola “occupazione”. Sembra una barzelletta, ma è che non vogliono rischiare di parlare di “occupazione della Palestina”. Così, per evitare un suo specifico “abuso”, se ne è impedito del tutto l'uso. Han fatto ciò che succede nei mass-media di tutto il mondo: ciò che non viene nominato o rappresentato, semplicemente non esiste.

Racconta questa vicenda surreale Omer Benjakob su “Haaretz”.

L'occupazione israeliana della Cisgiordania può essere un fatto della vita per i palestinesi, ma nella Wikipedia ebraica, d'ora in poi, si parlerà soltanto di “dominio” o di “controllo” di Israele sul territorio conteso.

Ma com'è possibile che Wikipedia, sempre così politicamente corretta, permetta una scempiaggine del genere? Il fatto è che la comunità Wikipedia ebraica mantiene l'autonomia dalla famosa enciclopedia online in lingua inglese. Anche se supervisionato dalla Wikimedia Foundation, ogni progetto è indipendente. Il contenuto varia drasticamente da lingua a lingua, e ogni Wikipedia tende a riflettere la sua base di redattori volontari e le fonti mediatiche a loro disposizione. Pertanto, gli articoli sul conflitto israelo-palestinese sono molto diversi in inglese, ebraico e arabo. Per es., mentre quasi tutte le Wikipedia usano il termine “Cisgiordania”, la Wikipedia ebraica ha optato per “Giudea e Samaria”.

Inoltre, mentre tutti i contenuti su tutte le Wikipedia devono essere neutrali e basati su fonti rispettate, le pratiche editoriali di ogni comunità linguistica sono diverse, e impongono certe visioni di ciò che è considerato neutrale a scapito di altre visioni.

Non solo, ma mentre la comunità inglese di Wikipedia non tiene votazioni formali quando deve prendere una decisione, sforzandosi di raggiungere un compromesso tra i diversi gruppi di redattori, in ebraico invece le decisioni sono votate e i redattori ricevono una serie di opzioni diverse da classificare in ordine preferenziale. Ecco perché in una votazione di questa settimana, la comunità ebraica ha dovuto decidere tra una serie di opzioni per il titolo di un articolo sull'occupazione. Il titolo “L'occupazione israeliana di Giudea e Samaria” rifletteva la mancanza di armonia sia nella comunità locale che nella società israeliana, poiché mescolava la parola “occupazione” col nome biblico del territorio. Alla fine si è deciso di scegliere la parola “controllo”, perché più neutrale, meno violenta, rispetto a “occupazione”. Israele può non essere un “conquistatore” della Terra promessa.

A questo punto vien da chiedersi se qui si sia in presenza davvero di una Wikipedia ebraica o non semplicemente di una Wikipedia sionistica o israeliana. Forse però bisogna accontentarsi del fatto che la destra radicale in Israele considera l'occupazione della Cisgiordania una vera e propria “liberazione”.

 

Non dimentichiamo che Mattarella, Draghi, Conte, Renzi, Salvini, Meloni, come prima ancora Berlusconi, Prodi, Gentiloni, Letta... vengono tutti da un mondo cattolico o democristiano, nettamente filo-americano, di cui non ne possiamo più. A volte possono anche sembrare laici, ma non sanno cosa sia il socialismo democratico, non capiscono che la proprietà privata dei principali mezzi produttivi non ha alcun senso, non farebbero mai nulla contro il Vaticano e non metterebbero mai radicalmente l'economia al servizio dell'ecologia. Nel migliore dei casi s'illudono di poter evitare le idee del socialismo promuovendo lo Stato sociale, salvo poi pentirsene dicendo che l'assistenzialismo non favorisce la competitività internazionale.

Questo per dire che qualunque battaglia a favore di questa o quella corrente politica di cui parlano quotidianamente i mass-media, lascia il tempo che trova. Le questioni di fondo non vengono neppure sfiorate. Anche la diatriba tra europeisti e sovranisti, come quella tra federalisti e centralisti, o tra repubblica presidenziale e parlamentare, è tutta interna a una logica di sistema che non ci farà uscire di un millimetro dalle sue profonde contraddizioni antagonistiche. Sono così lontani da una visione alternativa sul presente che non riescono neppure ad accettare l'idea di “democrazia diretta”. Per loro l'unica democrazia possibile è quella delegata a livello nazionale.

 

[21] Cardinale Ruini. Israele e EAU. Sudafrica, ambientalismo. Germania, riciclaggio del denaro. Secessionismo

 

Il cardinale Camillo Ruini (90 anni) ha avuto il coraggio di dire, in una intervista al “Corriere della Sera” che quand'era sacerdote si sentiva “attratto fortemente da alcune donne”, ma aveva sempre cercato di resistere e, “pur soffrendo”, era riuscito, con l'aiuto decisivo del Signore, a non fidanzarsi mai. Ha comunque convenuto che “l'attrazione per le donne è inestirpabile nell'uomo e di per sé non è affatto un peccato”.

Questo modo di ragionare è tipico del prete cattolico, che vede la donna non come una compagna di vita, con cui mettere in piedi una famiglia, ma solo come un oggetto di tentazione sessuale, da cui ci si deve liberare quanto prima, se si vuol fare carriera ecclesiastica.

Il forzato celibato deforma la percezione che si ha del genere femminile, inevitabilmente considerato di livello inferiore a quello maschile.

Per giustificare tale assurdo celibato, che nel cattolicesimo romano esiste da circa un millennio, Ruini deve per forza sostenere che è illusorio pensare di porre un freno al calo delle vocazioni, permettendo ai preti di sposarsi.

Certo, con l'aumento della secolarizzazione l'osservazione è giusta. Ma resta il fatto che il celibato forzato è un'assurdità esistente solo nel clero cattolico. E non sarà certo un cardinale che per 90 anni ha represso i propri istinti e le proprie esigenze relazionali con l'altra metà del cielo a sostenere la fine di tale castrazione.

Fa bene a dire che la crisi delle vocazioni è presente anche nei Paesi protestanti, che pur non hanno il celibato dei pastori e che permettono alle donne di comportarsi a tutti gli effetti come se fossero sacerdotesse. Ma avrebbe fatto meglio a riconoscere che omosessualità e pedofilia sono caratteristiche tipiche del clero cattolico e non di altri religiosi.

Naturalmente siccome sapeva che il giornalista avrebbe fatto due più due, ha subito voluto precisare che “è sbagliato collegare la pedofilia al celibato. La pedofilia è diffusa soprattutto all'interno delle famiglie e tra gli uomini sposati”.

Ecco come si giustifica un prete ipocrita: pur di non ammettere il grave problema all'interno della propria categoria, lo attribuisce ad altre.

Quel che di sicuro non può negare sono comunque gli scandali finanziari del Vaticano. Ma anche qui ha la risposta pronta: “La Santa Sede sta cercando di farli finire. Ma una vittoria definitiva sul peccato, e in particolare sul grande male della corruzione, non è realizzabile in questo mondo, come ci ha detto chiaramente Gesù stesso”.

Che bella utilità che ha la religione! Neppure in casa propria è capace di fare pulizia.

Il giornalista avrebbe dovuto chiedergli se col tempo aveva maturato qualche ripensamento per il fatto d'aver negato i funerali religiosi a Piergiorgio Welby. Ma, si sa, i giornalisti son come i politici di fronte agli uomini di chiesa: proni a terra.

Si è solo limitato a chiedergli qualcosina sui suoi rapporti con Prodi. E lui ha risposto: “Oggi i nostri rapporti sono scarsi ma buoni. Da giovane sacerdote a Reggio Emilia sono stato molto legato a lui e alla sua famiglia d'origine. Le nostre strade si sono diversificate molto prima del referendum sulla procreazione assistita, quando la crisi della DC diventò irreversibile e Romano si collocò a sinistra, diventando rapidamente il leader di quello schieramento. Che sosteneva posizioni etiche e antropologiche che non potevo condividere”.

Infatti a Prodi preferiva Salvini, che faceva le campagne elettorali col rosario in mano. Però ricordiamo tutti cosa disse nel 2018 contro il disegno di legge DICO proposto nel 2007 dal governo Prodi a favore di uno status giuridico per le coppie omosessuali: “Prodi era mio amico, è vero. Ma non sulle unioni civili! Abbiamo fermato questo progetto. Ho fatto cadere il suo governo! Ho fatto cadere Prodi! Le unioni civili: questo era il mio campo di battaglia”.

Questa ingerenza della Chiesa nella vita politica italiana ricorda tanto il passato feudalesimo. E poi ci si meraviglia della crescente scristianizzazione e del calo delle vocazioni.

 

Un memorandum d'intesa vincolante, inerente agli Accordi di Abramo del 2020 tra Israele, Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Stati Uniti, prevede un rapporto d'affari tra la società israeliana Europe-Asia Pipeline Company (un'azienda di proprietà statale nel settore energetico) e una nuova entità chiamata MED-RED Land Bridge Ltd: una joint venture tra la National Holding di Abu Dhabi e diverse società israeliane.

Gli ambientalisti israeliani prevedono un nuovo disastro ecologico nel loro Paese, per le possibili perdite di greggio e per i conseguenti sversamenti di petrolio nelle acque marine e nelle falde acquifere. Secondo loro l'accordo tra Emirati Arabi Uniti e Israele per la costruzione di un oleodotto metterebbe in pericolo anche le barriere coralline protette del Mar Rosso, un patrimonio naturale unico al mondo, che si trova a 200 metri da dove verrà scaricato il petrolio e che si estende per circa 1,2 km al largo della costa della città turistica di Elat, nel golfo d'Aqaba (estremo sud di Israele), sul Mar Rosso. Mentre le specie di corallo di tutto il mondo sono minacciate dallo sbiancamento provocato dal riscaldamento dell'acqua, a sua volta dovuto ai cambiamenti climatici, le barriere coralline di Elat sono invece rimaste stabili grazie alla loro straordinaria resistenza al calore.

L'accordo − che dovrebbe entrare in vigore tra qualche mese − prevede il trasporto del greggio emiratino a bordo di 2-3 petroliere al giorno (cioè decine di milioni di tonnellate annue), che dal porto di Elat si congiungerà alla città mediterranea di Ashkelon, pronto per l'esportazione in Europa. Gli interessi in gioco solo molto alti. L'idea è quella di trasformare Elat in un profittevole hub dell'import-export (in Europa) di gas e petrolio. Del turismo ecologico e della salute dei cittadini locali non importa nulla, sia agli affaristi ebrei che islamici. Pecunia non olet. Solo che qui, a differenza del tempo dei Romani, il denaro “olezzerà” parecchio.

 

Siccome han capito che “l'acqua è un riflesso della società, che è tossica”, due donne, Romy Stander e Hannelie Coetzee, hanno co-fondato l'associazione di beneficenza “Water for the Future”, per riabilitare l'inquinato fiume Jukskei, uno dei più grandi fiumi che attraversano la città sudafricana di Johannesburg.

Il fiume è nero-grigiastro e la sua salute ecologica è fortemente a rischio: è diventato una discarica a cielo aperto, anche per colpa delle aziende locali.

All'origine dell'inquinamento vi è la sconsiderata estrazione mineraria, l'agricoltura intensiva, l'urbanizzazione selvaggia e l'inquinamento dovuto agli sversamenti illegali di materiali tossici, che hanno progressivamente peggiorato la qualità delle fonti di acqua dolce presenti in Sud Africa.

Il metodo delle due donne si fonda sulla fiducia nella ricerca, sulla creazione di infrastrutture ecologiche e sul ricorso all'arte. La Coetzee infatti è un'artista, mentre la Stander si definisce conservazionista.

Si avvalgono della collaborazione di ingegneri, ricercatori, architetti e scienziati, con cui han cercato di rimuovere le piante invasive aliene e di creare filtri di depurazione dell'acqua naturale, a protezione del fiume.

Le piante aliene riducono il deflusso dell'acqua in una misura che oscilla tra i 1.500 e i 2.500 milioni di metri cubi all'anno. La vegetazione aliena rimossa viene poi trasformata in biomassa: pellet di combustibile naturale utilizzato per produrre elettricità o calore.

Il risultato finale del progetto sarà la creazione di un corridoio ecologico di acqua potabile circondato da opere d'arte ecologiche che siano in grado di comunicare con le persone. È stato paragonato all'High Line Park di New York: una striscia di vegetazione di 2,3 km costruita su una vecchia ferrovia sopraelevata che corre lungo il West Side di Manhattan.

Da notare che in Sud Africa esiste anche una sorta di “razzismo ambientale“. Dalle immagini satellitari dell'Istituto norvegese per la natura risulta infatti che i sobborghi più ricchi sono più vicini ai parchi pubblici di circa 700 metri, hanno il 9% in più di vegetazione e il 12% in più di copertura arborea rispetto ai quartieri delle aree più povere del paese.

Il razzismo in questo Paese non è mai finito.

 

Stando a Sven Giegold, eurodeputato tedesco dei Verdi, è giusta la decisione della Commissione Europea di Ursula von der Leyen di lanciare una procedura d'infrazione contro la Germania per aver recepito in modo inappropriato la quarta direttiva UE sul riciclaggio del denaro.

Altre disposizioni della terza direttiva UE antiriciclaggio avrebbero dovuto essere attuate entro il 2007 e sono tuttora lettera morta, ricorda l'eurodeputato.

Ma perché se la prende tanto col suo Paese, che nella UE passa per essere il primo della classe? Perché secondo lui la Germania “è il paradiso del riciclaggio di denaro”! E in questo campo così delicato le lacune legislative in un singolo Stato membro interessano l'intera Europa.

Per Giegold “la negligenza del governo tedesco nell'applicazione delle regole UE per combattere il riciclaggio è un rischio per la sicurezza, rafforza il crimine organizzato e il terrorismo. Ci sono buchi in Germania nell'attuazione del registro di trasparenza e nel rafforzamento dell'unità di intelligence finanziaria. I veri beneficiari ultimi delle società devono essere noti, come richiesto dalla legge UE”. Anzi la Commissione Europea dovrebbe varare una procedura d'infrazione anche per le “carenze” sull'antiriciclaggio nel settore non finanziario tedesco.

Cos'è la UE? Una nazione come gli USA non è. Un impero come gli USA ancora meno. È solo una realtà economica e finanziaria? Abbiamo sì o no dei valori etici comuni? Se sì, bisogna dirlo anche a Romania e Portogallo, perché a loro è arrivata una lettera analoga.

 

Oggi nel mondo si contano più di 200 richieste di secessione. La UE si è opposta a quella catalana, ma con fare molto ipocrita ha sponsorizzato quelle dei Paesi dell'ex Patto di Varsavia, per indebolire la Russia, e ha persino partecipato alla disintegrazione della Jugoslavia.

Per colpa della Brexit ora il Regno Unito deve affrontare le rivendicazioni autonomiste della Scozia. In fondo la stessa Brexit si può configurare come un'operazione scissionista, e non si vede perché gli inglesi dovrebbero impedire agli scozzesi di comportarsi come gli irlandesi.

In effetti Stato e società civile sono due cose completamente diverse. il filosofo del diritto Carlo Lottieri sostiene che il dominio che lo Stato esercita sulla società civile è un crimine legalizzato, poiché autorizza alcune persone (i governanti) a compiere azioni che vengono giustamente interdette ad altri (i governati).

D'altra parte gli Stati nazionali non nascono a tavolino, ma in seguito a processi storici piuttosto violenti. Non solo per il tracciamento dei confini, ma anche perché al loro interno alcune unità territoriali (regionali, etniche...), caratterizzate da determinati interessi culturali, religiosi, linguistici e soprattutto economici, sono riuscite a prevalere, con le buone o con le cattive, su altre (p.es. in Germania la Prussia, in Italia il Piemonte).

Se lo Stato fosse al servizio dell'intera società, non vi sarebbero problemi. Ma gli Stati preferiscono soddisfare le esigenze di categorie sociali che già nella società sono privilegiate o capaci d'imporsi su altre. Nei confronti dei perdenti gli Stati si comportano sempre in maniera più o meno autoritaria (paternalistica, nel migliore dei casi).

A un certo punto però, se non si raggiunge un compromesso accettabile tra tutte le componenti del sistema, le secessioni diventano inevitabili. La sopportazione raggiunge un limite oltre il quale non si può andare.

Questo è quanto è giusto che succeda in Scozia e Catalogna, che da parte dei governi statali di Londra e Madrid han trovato solo atteggiamenti arroganti. Che poi in Spagna e in England non sono solo scozzesi e catalani a rivendicare l'indipendenza dai governi centrali: basti pensare ai baschi e ai gallesi.

Il diritto all'autodeterminazione è sacro o no? Lo strumento del referendum per verificarlo è adeguato o no? Perché gli inglesi han risposto di sì a entrambe le domande nei confronti della UE e rispondono di no quando sono gli scozzesi a porre rivendicazioni nei loro confronti?

 

[22] Razzismo leghista. Turchia in Siria. USA, Difesa

 

Fabio Tuiach, in passato eletto nel Consiglio comunale con la Lega, poi passato a Forza Nuova, infine al gruppo misto, nei giorni scorsi ha usato parole di spregio contro un attivista Lgbt pestato da alcuni omofobi. Ha evocato perfino la pena di morte per gli omosessuali.

Mi chiedo quale sia la differenza tra certe persone cristiane e taluni islamici, benché tra questi tipi di credenti (e lui si sente profondamente cattolico) l'odio sia piuttosto radicale.

Pare che per questo consigliere comunale i femminicidi non esistano, cioè siano un'invenzione della sinistra, e che l'antisemitismo sia giusto, e che Maometto fosse un pedofilo, e che Stefano Cucchi, essendo uno spacciatore, avesse meritato di morire. E così, di perla in perla. Ha persino pubblicato una foto di Hitler gioioso, attorniato da una folla festosa, sul suo profilo social VKontakte per il Giorno della Memoria. Nell'aprile 2020 aveva proposto una multa per le donne che non fanno sesso col proprio marito, perché in epoca di pandemia una sana vita sessuale è un aiuto contro lo stress. Nel 2019 si era astenuto in Consiglio comunale nel voto per concedere la cittadinanza onoraria a Liliana Segre, in quanto si era sentito offeso da una dichiarazione della senatrice secondo cui Gesù era ebreo ed era stato ucciso da ebrei.

A 40 anni come si possono dire cose così insensate? Ha forse vissuto esperienze traumatiche in famiglia? Forse questo è un modo sopra le righe per riscattarsi da un passato pieno di frustrazioni? O forse la causa va ricercata nel fatto che dopo la licenza media ha svolto lavori come portuale e ha cercato, invano, di avere successo come pugile?

Come può uno, con queste idee surreali, finire in un Consiglio comunale di una città così aperta a tutte le culture europee come Trieste? Evidentemente non pochi l'hanno votato. Forse lui è solo la punta di un iceberg. Infatti il vicesindaco è un leghista, quel Paolo Polidori che nel 2019 buttò in un cassonetto gli indumenti appartenenti a un senzatetto. E che fu difeso dal presidente della Regione, Massimiliano Fedriga, leghista pure lui.

Questa vicenda fa il paio con quella accaduta presso il Tribunale di Piacenza, qualche giorno fa, che ha assolto Cécile Kyenge dall'accusa di diffamazione per aver detto “la Lega è razzista” (allora era ministra per l'Integrazione nel Governo Letta). La motivazione è stata che “il fatto non costituisce reato”.

In che senso? Nel senso che ognuno è libero di esprimere delle opinioni politiche senza per questo rischiare di finire in galera? O nel senso che la Lega di Salvini è davvero un partito razzista?

In effetti che sia razzista non ci piove: l'ex parlamentare della Lega Nord, Fabio Rainieri, contro cui era in causa, aveva pubblicato su Facebook un fotomontaggio con due immagini, della Kyenge e di un orango. Fu querelato e condannato a risarcire l'eurodeputata del PD per la cifra di 150mila euro.

Da notare che mentre la Kyenge era andata al processo pagandosi in proprio l'avvocato, Rainieri invece (protetto da Salvini) si era presentato col legale del suo partito, pagato con soldi pubblici. Quindi il razzismo della Lega era doppio, in quanto condiviso dagli altri membri del partito.

Insieme a Kyenge è stato assolto anche il direttore del quotidiano “ParmaToday” che aveva pubblicato l'intervista.

Rainieri invece – stando a Wikipedia – ha ancora il coraggio di ricoprire la carica di consigliere regionale e di vicepresidente dell'Assemblea legislativa della regione Emilia-Romagna. E pensare che è un esperto allevatore della razza bovina frisona. Che ci fa in politica?

 

La proiezione di potenza turca è tale che tutto il nord-ovest della Siria è controllato da Ankara: un territorio di 120 km di estensione e 30 di profondità. Un controllo reso possibile grazie anche al ruolo del terrorista Abu Muhammad al-Jawlani, leader della milizia Ha'yat Tahrir ash-Sham (Hts), che con la sua organizzazione istituzionale nota come il “Governo di salvezza”, spera ancora di abbattere il governo di Bashar al-Assad. È lui che riceve finanziamenti turchi attraverso la propria Banca centrale.

Oltre a questi terroristi, Erdoğan si avvale anche degli accordi di Sochi con la Russia sulla stabilizzazione di una “safe zone” estesa a est del fiume Eufrate per 440 km lungo il confine con la Turchia. In tal modo i turchi sono in grado di limitare completamente l'azione dei kurdi.

Insomma Erdoğan è in una botte di ferro. Riesce addirittura, nella zona occupata, a usare la lira turca e a controllare i servizi sanitari, scolastici, postali, così come la distribuzione di acqua, elettricità e combustibile. E naturalmente a esportare le merci del suo Paese all'interno della Siria, esercitando una sorta di egemonia economica, con cui si vuole trasformare una parte della Siria in una propria colonia. E questo nella speranza, neppure tanto velata, di ricostruire in futuro una potenza imperialistica neo-ottomana, analoga a quella dei primi del '900, riappropriandosi del trauma identitario causato dal Trattato di Losanna del 1923. Gli stessi siriani vedono l'attuale aggressione turca come basata sull'ideologia razzista ottomana.

Nel nord-est invece sono presenti gli americani, con oltre 900 soldati e con alcune imprese energetiche pronte a sfruttare il petrolio della zona.

Dunque, come si può notare la guerra contro i terroristi dell'ISIS è sì finita (grazie anche all'appoggio di russi e iraniani), ma la Siria, sull'orlo del fallimento economico, ha perso lo stesso il controllo del proprio territorio. Anzi gli USA sono convinti che, privando il regime delle proprie risorse finanziarie e ponendolo sotto embargo, sarà più facile indurre Assad a dimettersi. Il loro obiettivo finale è inoltre quello di eliminare la presenza russa nel Paese.

 

I Capi di Stato Maggiore degli USA ritengono indispensabile riadeguare la postura della Difesa ai cambiamenti geopolitici.

Che significa? In poche parole ritengono che sia un vantaggio strategico la capacità di schierare navi, aerei e truppe dalla elevata capacità e mobilità per brevi periodi e su cicli non prevedibili, al fine di esercitare una maggiore pressione su una Cina sempre più minacciosa (soprattutto nei confronti degli Stati del Sud Est Asiatico e del Pacifico).

L'assertività cinese nel ribadire il suo primato politico nel Mar Cinese Meridionale (soprattutto nei confronti di Taiwan), sommata alla progressiva militarizzazione di alcuni dei suoi avamposti, non piacciono per nulla agli americani, che vogliono conservare il controllo di tutti i mari del mondo, poiché è qui che avviene la stragrande maggioranza dei traffici commerciali.

Al momento il Pentagono sta pensando che una forza statica (p.es. una base militare) è più difficile da difendere, dispendiosa da mantenere e, se viene colpita, non può assolvere al proprio ruolo.

Pertanto è meglio dotarsi anche di una piccola forza, imprevedibile nei suoi spostamenti, quasi invisibile e non rilevabile, in un costante stato di movimento, ampiamente distribuita a livello globale. Soprattutto nell'Indo-Pacifico, contro la Cina, ma anche nell'Artico, contro la Russia: due nazioni che prima si dovevano combattere perché comuniste, mentre oggi sono nemiche perché competono sui mercati capitalistici.

L'impero americano vuol continuare a egemonizzare il pianeta riorganizzandosi in maniera più flessibile. Naturalmente questa nuova postura non comporterà l'abbandono delle basi militari americane all'estero (in Iraq addirittura si prevede di passare da una forza di 500 soldati a una di 4.000), ma suggerisce una maggiore enfasi sui dispiegamenti di forze più piccole, con rotazioni più brevi e non prevedibili dagli avversari, su destinazioni non tradizionali.

L'esercito, per es., sta sviluppando una nuova “brigata artica” con specifiche capacità tecnologiche e logistiche per operare nello scenario del Grande Nord. Quell'area è vista come un potenziale punto critico e di forte attrito tra le grandi potenze in competizione per le risorse naturali, più accessibili man mano che gli strati di ghiaccio si ritirano.

Un'altra mossa senza precedenti è quella che sta attuando l'Air Force, con lo stanziamento temporaneo di bombardieri a lungo raggio B-1 in Norvegia, alleato Nato geograficamente vicino alla Russia.

Anche la Cina si considera una nazione artica e da diverso tempo sta mobilitando ingenti risorse civili e militari in quell'area, destando preoccupazioni anche al Cremlino.

Ormai Cina e Russia, non il terrorismo globale, sono diventate le principali minacce alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Esattamente come nella passata Guerra fredda. Quindi nulla di nuovo sotto il sole. La differenza fra Trump e Biden è che quest'ultimo vuole servirsi degli alleati per far sì che il suo Paese continui a dominare il mondo.

 

[23] Irlanda, Violet Gibson. Spagna, Pablo Hasél. Brasile, nativi

 

Il Consiglio comunale di Dublino ha approvato una mozione per dedicare una targa commemorativa a Violet Gibson, la donna, di origine irlandese, che il 7 aprile del 1926 attentò alla vita di Mussolini.

Che senso ha? Basta forse essere o dirsi antifascisti per meritarsi una targa o un monumento? Non c'è forse modo e modo di esserlo? E quello della Gibson non fu forse un modo anarchico o individualistico? Quello tipico dei terroristi? Cioè di chi non crede nel popolo? Né quindi in una rivoluzione o in una resistenza popolare? Se anche fosse riuscita a ucciderlo, il fascismo sarebbe forse finito? E perché non pensare che sarebbe diventato ancora più feroce e sanguinario?

Ci fu forse qualcuno che sostenne il suo attentato mentre lo stava compiendo? Nessuno. Anzi, lei poté evitare il linciaggio da parte della folla solo perché fu immediatamente arrestata dalla polizia.

Il suo gesto fu biasimato persino dagli inglesi, che in quel momento apprezzavano Mussolini e gli chiesero scusa. Tant'è che dopo un periodo di detenzione in Italia, la donna venne deportata in Inghilterra, probabilmente per farle evitare un processo in territorio straniero.

Di origini aristocratiche (era figlia del Lord Cancelliere d'Irlanda, Edward Gibson, primo Barone di Ashbourne) era arrivata in Italia dopo una vita piuttosto turbolenta, segnata da conversioni religiose e anche da un ricovero con una diagnosi di “mania omicida”, dopo aver cercato di accoltellare la sua cameriera a Londra. Nel 1925 cercò anche di suicidarsi nel convento di Roma in cui abitava.

L'anno dopo (aveva 50 anni) maturò la convinzione di dover uccidere (“per il volere di Dio”) Benito Mussolini, che all'epoca stava consolidando il regime fascista dopo l'assassinio di Giacomo Matteotti e l'approvazione delle cosiddette “leggi fascistissime.”

Fallito l'attentato e ottenuta l'estradizione, la sua famiglia organizzò segretamente che fosse ricoverata in un manicomio, il St Andrews Hospital di Northampton, dove in seguito, peraltro, sarebbe stata rinchiusa anche Lucia Joyce, la figlia di James Joyce.

Nonostante le ripetute richieste di libertà, trascorse lì dentro il resto della sua vita, morendo nel 1956. Sia per le autorità britanniche che per la sua famiglia era conveniente vederla come “pazza” piuttosto che come politica.

Curioso il fatto che proprio in occasione di quell'attentato Claretta Petacci scrisse al duce una lettera di felicitazioni per lo scampato pericolo: egli la notò e volle conoscerla, legandola in seguito al suo destino. Anche papa Pio XI scrisse una lettera analoga per congratularsi.

La vicenda è tornata alla luce grazie al libro del 2010, La donna che sparò a Mussolini, della storica Frances Stonor Saunders, appena uscito anche in Italia; e poi con un documentario radiofonico trasmesso nel 2014 sull'emittente irlandese RTÉ. Su di lei è stato fatto anche un film, “Violet Gibson, La donna irlandese che sparò a Mussolini”, diretto da Barrie Dowdall, e attualmente proiettato nell'ambito del Kerry International Film Festival. Il regista ebbe a dire che “se un uomo l'avesse fatto, probabilmente ci sarebbe una sua statua”.

 

In Spagna è successo il finimondo perché il governo di Madrid ha condannato un rapper, Pablo Hasél, a nove mesi di carcere per aver elogiato il terrorismo dell'Eta e del Grapo (Grupos de Resistencia Antifascista Primero de Octubre) e oltraggiato la monarchia con le sue canzoni (ha anche accusato la polizia di praticare violenze e torture ai danni dei migranti). Per evitare l'arresto si era barricato con 50 tra fan, amici e collaboratori all'Università di Lleida, in Catalogna, ma non c'è stato niente da fare. Peraltro se non fosse stato arrestato, avrebbe potuto incorrere in un altro crimine peggiore, che è la disobbedienza all'autorità. Aveva già precedenti in merito negli anni 2014 e 2018.

Molti sono scesi in piazza convinti di dover difendere la libertà di espressione, perché pensano che un qualunque testo scritto non può comportare il carcere, almeno non finché restano soltanto delle parole. Pedro Almodóvar, Javier Bardem, Emma Suárez e altri 200 artisti spagnoli e internazionali han firmato un appello a suo favore.

Amnesty International ricorda che il caso Hasél è solo l'ultimo di una serie riguardante artisti che sono finiti nei guai con la giustizia in base a una legge per la Pubblica sicurezza del 2015. In effetti, nonostante le pronunce della Corte costituzionale e della Corte europea, vi sono state molte sentenze sui “crimini di discorso incendiario”. Esteban Beltrán, direttore di Amnesty International Spagna, ha detto che “le espressioni che non incitano chiaramente e direttamente alla violenza non possono essere criminalizzate. È ingiusto e sproporzionato che Pablo Hasél vada in prigione”.

L'esecutivo ora punta a una revisione del codice penale, prevedendo sanzioni diverse dalla detenzione e solo per azioni che incitino esplicitamente alla violenza. Se approvata, la modifica potrebbe avere un effetto retroattivo sul caso Hasél.

Che dire? Le istituzioni spagnole evidentemente han paura anche della loro ombra. D'altra parte dopo 40 anni di feroce dittatura franchista si può anche capire. In Italia dovrebbero mettere in galera i 3/4 della popolazione, anche solo per il fatto che con centinaia di barzellette si prendono in giro i carabinieri. Non c'è politico che non venga sbeffeggiato da qualcuno. I personaggi pubblici se l'aspettano d'esser presi di mira, anche se non per questo restano indifferenti alle affermazioni che possono gravemente ledere la loro reputazione.

Sappiamo benissimo che la destra è più permalosa della sinistra, tant'è che ai tempi dei governi Berlusconi eliminarono dalla scena pubblica vari conduttori televisivi, giornalisti, comici... Ma poi questa repressione, condotta peraltro da persone che avevano negli armadi ben altri scheletri, fu penalizzata sul piano elettorale. Oggi la destra di Salvini e Meloni pare abbia capito la lezione.

Resta il fatto però che non si ha diritto a offendere nessuno. Per es. è stato giusto che il rettore dell'Ateneo di Siena abbia chiesto al Collegio di disciplina di sospendere in via cautelativa per tre mesi dall'attività didattica, senza stipendio, quel docente (figlio del famoso Mario Gozzini e di una teologa) che ha offeso pesantemente la Meloni. E può darsi che il Collegio commini una sanzione anche peggiore. In effetti, come può un docente “insegnare” quando si abbassa a questi livelli? Quali valori è in grado di trasmettere?

In una democrazia matura persino chi insulta si squalifica da solo. Quando lo fa Sgarbi, si ride solo perché sembra uscito da un manicomio, ma un conduttore televisivo normale, non interessato all'audience, dovrebbe evitare di chiamarlo. Quando, tramite un fuori onda di “Striscia la Notizia”, si scoprì che Insinna aveva insultato pesantemente una concorrente, ci si aspettò una sua espulsione dalla Rai, che però non avvenne. Se ci pensiamo la giornalista Alda D'Eusanio è stata trattata molto peggio dalla Rai per molto meno.

Ma, a parte tutto questo, qual è il vero problema? Il problema è che quando si critica qualcuno, bisognerebbe farlo sulle idee non sulla persona; e quando invece si criticano le azioni di una persona, bisognerebbe attenersi ai fatti, a ciò che può essere dimostrato concretamente. Se non siamo capaci di questo, dovremmo chiederci quanto sia efficace la democrazia che viviamo.

 

Circa 7.000 indigeni dell'Amazzonia sono morti di Covid-19. Si sono ammalati perché alcuni di loro, trasferitisi nelle città, non avendo di che vivere, erano tornati nei loro villaggi col virus in corpo. Ma anche i cacciatori di risorse forestali, legali e illegali, hanno non poche responsabilità per la diffusione della pandemia.

Al destino piace piovere sul bagnato. Se fosse uno Stato, l'Amazzonia sarebbe il quarto più colpito al mondo dal virus.

Come noto, il genocidio di queste popolazioni, subìto in forza del colonialismo, può essere considerato uno dei più grandi della storia, cui peraltro non dedichiamo in memoria neanche un giorno dell'anno. Oggi, con la pandemia in atto, restano al massimo un milione di indigeni: sono i discendenti delle 2.000 tribù che abitavano lì prima dell'arrivo di Colombo. Delle poche centinaia rimaste, una settantina vivono in uno stato di auto-isolamento volontario e non hanno alcun legame col resto del mondo.

Uno degli ultimi a morire di Covid-19 è stato Aruká Juma, ultraottantenne, che solo per la sua età smentisce quegli antropologi da strapazzo che considerano migliore la nostra epoca perché viviamo più a lungo.

Insieme a lui è forse morta la cultura, la storia, la tradizione del popolo Juma, di cui era l'ultimo rappresentante maschile. Le tre figlie, in teoria, non possono trasmettere la memoria ancestrale, perché la cultura Juma è patrilineare. Ma ci proveranno lo stesso a farlo.

Questo popolo indomito ha resistito alle brutali invasioni dei “signori del caucciù”, che catturavano e schiavizzavano gli indios nella raccolta della gomma naturale. E ha pagato cara la sua resistenza: nel XVIII sec. erano tra i 12mila e i 15mila. Duecento anni dopo ne rimanevano solo poche decine.

L'incursione più recente risale agli anni '60 del '900: Aruká vide morire una sessantina tra amici e familiari. Alla fine degli anni '90 restavano sei superstiti: Aruká, le tre figlie e una coppia di parenti. Le autorità li hanno obbligati a trasferirsi, contro la loro volontà, nel territorio uru-eu-wau-wau. Sono potuti tornare nel 2004 quando, come previsto dalla Costituzione, il governo ha riconosciuto agli Juma il diritto ai 38mila ettari di terra che abitano da tempo immemorabile.

Hanno cercato di ricostruire la comunità, ma il virus ha troncato ogni speranza, dando involontariamente una mano alla politica genocidaria del governo Bolsonaro, che vorrebbe permettere uno sfruttamento scriteriato della foresta e che per questo vede il virus come una benedizione. Infatti non fa niente per aiutarli. Anzi, da quando Bolsonaro è diventato presidente del Brasile, la deforestazione è aumentata del 50% in due anni, e nel 2020 ha raggiunto e superato il picco del 2008. Il 72% di queste foreste distrutte si trovava nelle aree protette in cui vivono gli indigeni, che hanno visto raddoppiare le invasioni nel loro territorio, spesso accompagnate da violenze, omicidi e deportazioni di massa.

Il tutto con la compiacenza del governo. Da quando Bolsonaro è in carica, le multe contro i crimini ambientali nel bacino amazzonico sono calate del 42%, e il budget per la tutela delle aree protette è diminuito del 27%. Per questo, già un anno fa, diverse tribù, supportate dalle Ong, si erano rivolte all'Onu e al tribunale dell'Aja per denunciare Bolsonaro per ecocidio e crimini contro l'umanità.

Chi è in prima linea a difendere questi nativi? Survival International Italia, Medici Senza Frontiere, Rete ecclesiastica panamazzonica...

Non dimentichiamo che, uccidendo loro, è come se uccidessimo noi stessi, poiché ci impediamo sempre più di avere un rapporto equilibrato coi nostri simili e con la natura.

 

[24] Egitto, militarismo. Minori, militarismo. Julian Assange

 

Una cinquantina di missili da crociera a lungo raggio SCALP, prodotti dal consorzio industriale europeo MBDA (controllato dai colossi del complesso militare-industriale Airbus Group, BAE Systems e Leonardo-Finmeccanica), sono stati acquistati segretamente dal regime egiziano di Al-Sisi e sono stati testati a bordo dei 24 cacciabombardieri Rafale (acquistati sempre dalla Francia) nel corso di una recente esercitazione con le forze armate francesi.

È sempre più chiaro il motivo per cui Macron ha dato la Legion d'onore a quel dittatore. È come se gli avesse detto: “Tranquillo, se decidi di dare una lezione a Erdoğan, o in Libia o nel Mediterraneo per la questione energetica, io mi schiero subito dalla tua parte”. Che poi voleva dire questo la frase di Macron: “Non condizioneremo gli aiuti militari all'Egitto al rispetto dei diritti umani”.

Il bello è che i suddetti missili sono prodotti anche da noi, che invece dovremmo ritirare l'ambasciatore per le questioni di Regeni e di Zaki.

Gli SCALP (“Système de croisière conventionnel autonome à longue portée”) erano stati ordinati nel 2015, congiuntamente ai 24 cacciabombardieri, ma Washington, che difende sempre quel cane da guardia in Medio Oriente, chiamato Israele, aveva posto il proprio veto all'export, con la scusa che i missili utilizzavano tecnologie progettate e prodotte in parte in America. Per aggirare l'International Trade in Arms Regulation sul commercio internazionale di armi degli Stati Uniti, il ministro della Difesa francese, Florence Parly, aveva chiesto a MBDA di utilizzare componenti di produzione europea. Poi arrivò l'amministrazione Trump, che, totalmente a digiuno di politica estera, aveva revocato il veto nell'aprile 2019.

Lo SCALP è un missile da crociera aviolanciabile aria-superficie a lungo raggio (arriva sino a 500 km) armato con testata convenzionale, che può colpire il nemico in profondità, a prescindere dalla difesa aerea, grazie alle sue caratteristiche stealth. È progettato per essere impiegato contro un ampio spettro di obiettivi: posti di comando, infrastrutture aeroportuali e portuali, ponti, depositi di munizioni, navi e sottomarini attraccati, ecc. Velocità massima: 800 km/h. Completamente autonomo, lo SCALP si dirige sulle coordinate impostate prima del volo e una volta sganciato non ha bisogno di ulteriori controlli. Da far paura anche ai rivali turchi, che pur col sistema di difesa missilistico S-400 di fabbricazione russa non dovrebbero averne.

Ogni missile costa la bellezza di 1,35 milioni di euro, che un Paese strapovero come l'Egitto può tranquillamente permettersi. Secondo stime della Banca Mondiale, la percentuale di popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà nazionale nel 2018 era salita al 32,5%. Ora, in presenza della pandemia, chissà a quanto è arrivata.

Il missile SCALP (l'acronimo rende bene) può essere impiegato non solo dai cacciabombardieri Rafale, ma anche dai Tornado, dai Mirage 2000, dagli Eurofighter Typhoon e dagli F-35. Questo sistema bellico è già stato utilizzato in alcuni dei più sanguinosi conflitti internazionali, come in Iraq, Siria, Libia e Yemen. È infatti in dotazione alle Aeronautiche militari di Francia, Grecia, Gran Bretagna, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Italia. Il nostro paese si è dotato degli SCALP nel 2006; dopo averli testati coi Tornado del 6° Stormo di Ghedi (Brescia) nel poligono sudafricano di Overberg, li ha impiegati massicciamente nella primavera del 2011 durante i bombardamenti in Libia (Operazione Unified Protector).

Il consorzio industriale MBDA è il maggiore produttore di sistemi missilistici a livello europeo e il secondo a livello mondiale. È controllato per il 75% da Airbus Group e BAE Systems e per il restante 25% dal gruppo Leonardo (ex Finmeccanica). La controllata MBDA Italia S.p.A. impiega 1.300 lavoratori negli stabilimenti di Roma, Fusaro (Bacoli, Napoli) e La Spezia.

Al sanguinario regime del Cairo, MBDA ha fornito anche altri tipi di missili, non meno potenti, destinati alla Marina. I produttori delle ultime fregate egiziane sono Italia (FREMM) e Germania (Meko A200). Le nostre Fincantieri, Leonardo-Finmeccanica e la sua controllata Oto Melara sono molto impegnate militarmente a favore del governo di al-Sisi, in barba alle richieste di embargo delle ONG e delle associazioni in difesa dei diritti umani.

Questi son solo alcuni esempi della crescente militarizzazione dell'Egitto, che vuol dotarsi persino di un proprio satellite per la sorveglianza terrestre, cui penserà Fincantieri.

Armarsi a questi livelli può significare solo una cosa: prepararsi a una guerra. Altrimenti dovremmo dire che al governo sono impazziti.

Di sicuro il complesso militare-industriale europeo non ha risentito minimamente della crisi economica causata dalla pandemia.

 

Nel 2019 quasi 8.000 minori sono stati utilizzati in vari conflitti, per lo più in Africa. Lo sostiene il Segretario generale dell'ONU, che cita nel suo rapporto, tra i Paesi coinvolti, Afghanistan, Colombia, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Iraq, Mali, Sudan, Sud Sudan, Somalia, Siria, Yemen, Myanmar, Nigeria e Filippine.

Bambini (anche di 6 anni) e ragazzini, spesso rapiti da scuole e villaggi, o sottratti ai propri genitori a causa dell'appartenenza a gruppi terroristici, sono arruolati e addestrati in decine di guerriglie e di eserciti regolari.

I minori trasformati in combattenti sono sottoposti a violenze d'ogni tipo: uccisioni, torture, mutilazioni, violenze sessuali e uso di droghe, somministrate per eliminare dolore e paura. Il loro compito non è solo quello d'essere guerrieri, ma anche cuochi, facchini, messaggeri... Un particolare aspetto riguarda anche le ragazze, reclutate per fini sessuali e per matrimoni forzati, con gravidanze indesiderate e rischio AIDS. Le violenze sessuali sono ampiamente usate non solo dai guerriglieri ma anche dagli eserciti nella Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Repubblica Centrafricana, Sudan e Sud Sudan.

I bambini possono anche essere utilizzati, a loro insaputa, in attentati suicidi, come ad es. in Nigeria da Boko Haram.

La situazione è molto preoccupante, favorita anche dal fatto che questi ragazzini sono facilmente indottrinabili, spesso non hanno neppure un'identità anagrafica, in quanto non vengono registrati alla nascita, possono maneggiare armi leggere, non disertano mai, non chiedono paghe e per loro l'esercito rappresenta l'unico modo per potersi nutrire.

Da notare inoltre che nel solo 2019 l'ONU ha accertato almeno 1.000 attacchi contro scuole e ospedali, col raddoppio di quelli operati dagli eserciti, soprattutto in Somalia, dove in quell'anno sono stati arruolati circa 1.500 ragazzini, per lo più rapiti dalle milizie di Al Shebab, ma utilizzati anche da esercito e polizia, in quasi 200 casi. Nell'ex colonia italiana siamo presenti con una missione militare europea (EUTM Somalia), composta anche da un centinaio di nostri soldati con la finalità di formare l'esercito di Mogadiscio e una missione di addestramento delle forze di polizia somale (MIADIT), ma non sembra che dal nostro Governo o Parlamento siano giunte parole di condanna per questi crimini.

Nella Repubblica Democratica del Congo 2.506 minori sono stati reclutati nel 2008 e utilizzati in 38 guerriglie, fino al loro rilascio nel 2019. Nella Repubblica Centrafricana l'ONU ha accertato almeno 200 nuovi casi di minorenni utilizzati come soldati e altrettanti nel Mali, alle prese col terrorismo.

Nel 2019, grazie all'Unicef, oltre 13.000 minori sono stati separati da eserciti e guerriglie, però senza programmi di reinserimento duraturi nel tempo e per scarsità di fondi, gli ex bambini soldato possano essere riarruolati o dedicarsi al banditismo, ad es. nel Sud Sudan.

Alcuni signori della guerra del Congo sono stati condannati e l'ex presidente del Sudan, Omar al Bashir, è stato incriminato dalla Corte Penale Internazionale per i reati commessi in Darfur. Ma sono gocce in un mare di aberrazioni, di cui noi occidentali siamo massimamente responsabili, anche solo per il fatto che i nostri organi d'informazione non s'interessano di queste cose.

Il rispetto delle Convenzioni internazionali dovrebbe essere posto alla base delle relazioni fra i Paesi. In particolare dovrebbe essere vietata ogni sorta di aiuto militare. I governi responsabili di tali reati dovrebbero essere posti ai margini della comunità internazionale, imponendo nei loro confronti una serie di sanzioni. E soprattutto dovremmo smettere di avere coi Paesi del Terzo mondo un rapporto di tipo neocoloniale.

 

Come noto il governo USA ha richiesto insistentemente l'estradizione di Julian Assange, accusando il giornalista di cospirazione e spionaggio. Con queste accuse rischia una pena di 175 anni di carcere di massima sicurezza e perfino la pena capitale, in base all'Espionage Act, la legge che nel 1973 fu usata contro Daniel Ellsberg per la rivelazione dei Pentagon Papers. Si tratta di una legge che non permette agli accusati di difendersi in quanto lesivi dell'interesse nazionale.

Il giornalista australiano, fondatore dell'organizzazione WikiLeaks, ha passato gli ultimi 20 mesi in un carcere londinese. Prima di essere trasferito nella prigione aveva chiesto asilo politico all'ambasciata dell'Equador a Londra, dove è rimasto per 7 anni. Nel frattempo era arrivata l'accusa di stupro da parte del governo svedese, che ne aveva chiesto l'estradizione per poterlo giudicare. Un'accusa, poi archiviata, che serviva agli Stati Uniti per aggirare l'impossibilità di estradizione dal Regno Unito. L'arresto all'interno dell'ambasciata dell'Equador era stato permesso dal nuovo premier Moreno in combutta coi servizi segreti americani e inglesi.

Nel giugno 2019 l'allora ministro inglese dell'Interno, Sajid Javid, aveva firmato l'estradizione negli USA.

Lo scandalo WikiLeaks è scoppiato nel 2010 con la pubblicazione di documenti sulla guerra in Afghanistan e Iraq. Il primo documento è stato la pubblicazione del video di un elicottero USA Apache che uccide 11 civili in Iraq. Lo scalpore per i documenti pubblicati è continuato con la pubblicazione su WikiLeaks e sui media americani di decine di prove che mostravano abusi dei militari USA. Tra questi documenti, tutti top secret, anche un video dell'uccisione di un giornalista della Reuters.

Assange, davanti alle accuse del governo statunitense, ha sempre dichiarato che pubblicava il materiale come giornalista. I suoi avvocati hanno invece accusato gli Stati Uniti di voler giudicare il giornalista perché ha divulgato cose non gradite e imbarazzanti. Soprattutto prove su crimini di guerra e abusi sui diritti umani dei militari USA.

Da notare che Assange aveva ottenuto i documenti rubati dall'ex soldato statunitense Bradley Manning, oggi donna di nome Chelsea, che è stata graziata da Barack Obama dopo 7 anni di carcere. La Manning fu nuovamente arrestata per essersi rifiutata di testimoniare contro Assange ed è stata di nuovo liberata dopo aver tentato il suicidio.

Il relatore ONU sulla tortura nel novembre 2019 aveva dichiarato che Assange doveva essere rilasciato e la sua estradizione negata, dichiarazione successivamente fatta propria anche dal Consiglio d'Europa.

Il 5 Gennaio 2021 la giudice distrettuale Vanessa Baraitser, alla Central Criminal Court di Londra, pur avendo ribadito il suo sostanziale appoggio a tutte le accuse mosse dai legali del governo americano nei confronti di Assange, ha deciso di negare l'estradizione per motivi di natura medica, in quanto Assange manifesta tendenze suicide. In ogni caso, dal momento che la giudice ha negato la cauzione, Assange continua a restare in carcere, poiché si teme che possa fuggire.

Il Messico gli ha offerto asilo politico. È evidente che se gli USA dovessero riuscire a normalizzare l'estradizione di qualsiasi giornalista che, ovunque nel mondo, smascheri le loro vergognose azioni, ciò avrebbe conseguenze rovinose sulla libertà di stampa a livello planetario.

 

[25] Arabia Saudita, repressioni. Dominica, banane

 

L'Arabia Saudita continua a essere una delle nazioni più repressive del mondo.

Dalla campagna militare contro il gruppo ribelle Houthi nello Yemen, con attacchi aerei illegali che hanno colpito migliaia di civili, alla detenzione arbitraria di dissidenti, attivisti per i diritti umani e religiosi indipendenti, ai processi senza alcuna difesa e con l'uso di torture contro detenuti accusati di attivismo pacifico e dissenso, fino alla discriminazione di genere.

Sull'uccisione del giornalista Jamal Khashoggi, nel 2018, si è svolto un processo farsa, senza alcuna trasparenza, con condanne ridicole contro esecutori marginali.

Ma vediamo la situazione dei migranti che lavorano, i nuovi schiavi in questa petromonarchia. Sono privi di tutele sindacali, di garanzie sociali, sfruttati su orari e mansioni, con la libertà di movimento negata e persino minacciati di non ricevere lo stipendio.

Il perno di queste ingiustizie contrattuali è il sistema di “sponsorizzazione dei visti d'ingresso“, sul quale si basa gran parte del reclutamento e delle regole occupazionali dei Paesi del Golfo. In Arabia Saudita trova l'applicazione più rigida e crudele.

È un metodo emerso dopo la scoperta del petrolio nella regione del Golfo negli anni '50 e utilizzato per monitorare i lavoratori stranieri, per lo più provenienti da Filippine, Bangladesh, India, Pakistan, Kenya e altri Paesi africani.

La prassi richiede l'obbligo di avere uno sponsor in Arabia Saudita (di solito il datore di lavoro o un'agenzia), che diventa l'unico responsabile del visto e controllore arbitrario dello status legale del lavoratore immigrato. Senza il consenso dello sponsor il lavoratore non può prendere autonomamente alcuna decisione che riguardi la propria vita, come cambiare occupazione o tornare in patria: se lo fa, può rischiare la reclusione o l'espulsione perché considerato fuorilegge.

Spesso queste persone subiscono la confisca del passaporto o dei documenti del permesso di soggiorno o di lavoro, la decurtazione dei salari, lo svolgimento di mansioni senza riposo o senza possibilità di consumare pasti regolari. Cioè possono essere facilmente ricattati, soprattutto quelli impiegati come personale domestico, trattati assai peggio di quelli occupati nelle imprese edili e petrolifere.

I migranti (che costituiscono l'80% dei lavoratori nel settore privato) sono spesso già indebitati al loro arrivo: p.es. perché hanno preso prestiti privati (con gli interessi) per pagare gli agenti di lavoro o i viaggi in aereo o le imposte sui visti.

Nel 2019 le autorità hanno annunciato di aver arrestato oltre 3,8 milioni di persone, di cui 3 milioni in violazioni della legge sulla residenza e circa 595.000 in violazione delle misure sul lavoro. Sono state anche deportate 962.000 persone in Etiopia o in centri di detenzione sauditi, noti per le loro condizioni disumane.

Le cifre sono altissime perché quasi 1/3 dei 34 milioni di persone che abitano nella monarchia sono lavoratori migranti.

A causa delle proteste che arrivano da tutto il mondo, la monarchia sta pensando di consentire ai lavoratori migranti di cambiare lavoro dopo aver terminato il loro contratto o dopo un anno, con un periodo di preavviso. Sarà permesso, inoltre, richiedere la possibilità di uscita dall'Arabia Saudita senza l'approvazione del datore di lavoro.

Questo sarebbe un Paese da espellere dall'ONU e da tutti gli altri organismi internazionali o da sottoporre a continue sanzioni.

 

La Dominica è uno Stato insulare dei Caraibi con capitale Roseau, da non confondere con la Repubblica Dominicana. Ha circa 74.000 abitanti. È di origine vulcanica e soggetta a terremoti, ma, ciclicamente, il suo flagello sono gli uragani, che devastano tutte le produzioni agricole.

A causa della resistenza dei nativi caribi, fu l'ultima isola caraibica a essere colonizzata dagli europei. Restò un possedimento francese fino a quando gli inglesi vinsero la guerra dei Sette anni (1763).

Raggiunse l'indipendenza dagli inglesi nel 1978, divenendo una repubblica, pur all'interno del Commonwealth. Il primo ministro che ha dato una svolta è stata una donna, Mary Eugenia Charles, dal 1980 al 1995. Oggi il premier è un laburista, Roosevelt Skerrit, in carica dal 2004.

Il 40% dei lavoratori è impiegato nel settore agricolo, le esportazioni riguardano soprattutto le banane, ma anche olio di alloro, succhi e arance. È coltivabile solo 1/4 dell'isola. Alcune industrie (sapone, olio di noce di cocco, turismo, copra, mobili, cemento, calzature) occupano il 32% della forza-lavoro. Vi sono alti tassi di povertà (30%) e di disoccupazione (23%) e un basso PIL pro-capite (5.400 dollari).

Da quando sono crollati i prezzi delle banane, il governo ha deciso di privatizzarne l'industria.

Dominica è considerata un paradiso fiscale, per cui il nostro Paese l'ha inserita nel 1999 in una lista nera, ponendo limitazioni ai rapporti tra le aziende italiane e i soggetti ivi residenti.

Il commercio delle banane si è scontrato con una concorrenza agguerrita, da quando la UE è stata costretta a eliminare il trattamento preferenziale per i produttori delle sue ex colonie.

Capito come funziona il colonialismo? Dapprima obblighi la colonia a una monocoltura (quella che tu non puoi produrre per ragioni climatiche o territoriali), poi improvvisamente le dici che si deve arrangiare, perché hai trovato un altro Paese che vende quella stessa coltura a prezzi inferiori.

Con la Brexit la domanda complessiva di importazioni di banane è diminuita nella UE del 20%, anche se d'ora in poi il Regno Unito potrà abolire tutti i dazi d'importazione su questo frutto.

Tuttavia alla fine del 2017 si registra un aumento senza precedenti dell'attività uraganica nei Caraibi: con 17 tempeste, 10 uragani più altri 6 di categoria superiore che si verificano uno dopo l'altro, molte isole vengono colpite più duramente che mai. Si stima che 1/3 degli abitanti sono a rischio alimentare.

Non solo, ma un virus, propagatosi proprio grazie alle tempeste, ha infettato la varietà Cavendish delle banane, largamente coltivata in tutta l'America centrale e nei Caraibi.

La banana è diventata il simbolo dell'imperialismo commerciale e delle ingiustizie del mercato globale: è una delle principali colture a livello mondiale e uno dei maggiori prodotti di profitto dei supermercati. Essendo guidata in gran parte dalle esportazioni verso Europa e Nord America, l'industria delle banane fa sì che le economie produttrici possano trovarsi in balìa delle forze esterne in situazioni di guerra commerciale; le mantiene dalla parte debole del tavolo, quando si tratta di negoziare accordi.

C'è di più: la monocultura può distruggere interi ecosistemi. Il che riguarda particolarmente la Dominica, dove proliferano specie animali e vegetali che non si trovano da nessun'altra parte del mondo.

L'industria delle banane utilizza più prodotti agrochimici di qualsiasi altra, a eccezione del cotone: l'uso di queste sostanze inquina le riserve idriche, contamina i terreni e può avere impatti devastanti sulla salute dei lavoratori.

Il frutto è inoltre altamente deperibile: perdere alcune scatole di merce a causa di una tempesta o di una malattia può non essere importante per una grande piantagione, ma è sufficiente a far fallire una piccola azienda.

Ecco perché il governo sta pensando di favorire l'autoconsumo, cioè a piantare alberi da frutto nei propri terreni per permettere l'autosostentamento della nazione. Questa pratica molti Paesi occidentali la considerano di corto respiro, incapace di risollevare le sorti dell'isola, per cui non la sosterranno.

Eppure se c'è una cosa che il capitalismo non sopporta è proprio l'autosufficienza alimentare da parte dei Paesi non industrializzati. Tutti devono dipendere dai mercati, poiché qui comanda chi ha più tecnologia.

 

[26] Cina, controllo sociale

 

Le riforme avviate nel 1976 da Deng Xiaoping hanno dato vita alla Cina moderna. Un paese comunista può usare un'economia di mercato socialista, in gran parte capitalistica, per svilupparsi. Non è importante di che colore sia il gatto ma che mangi i topi.

Questo trend è stato confermato sotto le presidenze di Jiang Zemin dal 1993 al 2002 e di Hu Jintao dal 2002 al 2012. L'arrivo di Xi Jinping nel 2012 come capo del Pcc ha segnato l'inizio della politica di affermazione cinese. Il vero problema da risolvere non è quello di come democratizzarsi ma quello di come farsi valere a livello mondiale. Tant'è che la Costituzione del 2018 ha tolto il limite dei due mandati presidenziali, spianando a Xi Jinping la strada per restare al potere potenzialmente anche a vita.

Il perseguimento dell'egemonia globale posta in essere dalla Cina diventa possibile anche grazie al controllo continuo esercitato dal Pcc nei confronti delle aziende private. In particolare il controllo delle aziende digitali consente al partito di esercitare un controllo totalitario anche nei confronti della stessa società civile.

L'azienda Xiaomi, che prima del 2010 neanche esisteva, è uno degli strumenti preferiti dal partito. Nel 2018 il Ceo di Xiaomi, Lei Jun, è stato indicato come uno dei 100 imprenditori privati cinesi più eccezionali degli ultimi 40 anni di riforme in senso liberistico. È uno degli uomini più ricchi del mondo, descritto a lungo come lo “Steve Jobs cinese”, a capo di una delle più grandi aziende digitali del mondo. È in realtà un uomo del partito, o comunque uno che non metterebbe mai in discussione le scelte del Pcc. Come invece di tanto in tanto fanno altri due colossi cinesi, Alibaba e Tencent, che di recente han ricevuto una multa di 500mila yuan (70mila euro): multe ridicole, ma il loro scopo simbolico è quello di far capire chi comanda in Cina.

Dalla creazione di Xiaomi il fondatore Lei Jun aveva sviluppato il modello di business del “triathlon”, integrando software, hardware e servizi internet, con l'intento di avere un effetto dirompente sul mercato.

Assumendo persone competenti dalle migliori aziende, Xiaomi si è data la possibilità di sviluppare smartphone di alta qualità a bassi costi di produzione,  vendendoli a prezzi molto competitivi.

Oggi non solo è al terzo posto al mondo in termini di vendite di telefoni (il primo in India), ma detiene anche il primo posto in molti mercati di oggetti connessi, p.es. gli smartwatch.

Questa connessione tra Xiaomi e lo Stato cinese è stata confermata dai molteplici backdoor scoperti nei suoi smartphone nel corso degli anni. Nel 2014 è stato rivelato che i telefoni Redmi stavano inviando foto e messaggi al China Internet Network Information Center, un'agenzia governativa cinese. Nel 2019 un probabile difetto intenzionale è stato identificato solo nei telefoni destinati al mercato internazionale (e non cinese). Più recentemente è stato riferito che il browser mobile Xiaomi trasferisce i dati degli utenti privati a un server Alibaba affittato dal gruppo.

Bisogna far attenzione a queste cose, perché quando si parla di 5G o di intelligenza artificiale, la Cina non è soltanto intenzionata a superare gli Stati Uniti, ma anche ad attuare un capillare sistema di controllo sociale.

Giorgio Galli e Mario Caligiuri nel saggio Il potere che sta conquistando il mondo. Le multinazionali dei paesi senza democrazia (ed. Rubbettino 2020), hanno scritto che a partire dal 2014 il Dragone sta ponendo in essere il progetto di un sistema di credito sociale allo scopo di valutare l'affidabilità dei suoi cittadini attraverso un'accurata misurazione. Il punteggio che viene attribuito ai cittadini è analogo a quello che viene utilizzato per valutare i servizi e i prodotti nel mercato digitale. Attraverso questo sistema il governo consente o meno la possibilità di accedere a un prestito bancario, di poter svolgere un determinato lavoro, di usufruire di check-in più veloci negli aeroporti, di affittare più facilmente un auto a noleggio, di ottenere una corsia preferenziale per andare all'estero, ecc.

Questo sistema di natura reputazionale è in grado di basarsi sulle immagini catturate dai dispositivi di video sorveglianza, sui commenti nei social network, sui prodotti che vengono acquistati online e persino sui giudizi dei vicini di casa.

Questo sistema di controllo così pervasivo ha particolarmente bisogno di industrie statali: p.es. la società finanziaria China Rapid Finance o il Sesame Credit sviluppato dalla Ant Financial Service Group, stabiliscono chi sia autorizzato ad avere dei prestiti. Possono agevolmente servirsi dei dati prodotti dagli utenti che utilizzano p. es. Alibaba.

Il Sesame Credit, per profilare un cliente, utilizza diversi criteri provenienti da molteplici fonti, affinché un cittadino sia considerato affidabile. Bisogna sapere tutto sulla sua storia finanziaria, se sia in grado di adempiere agli obblighi contrattuali, quali preferenze ha negli acquisti, quali persone frequenta, quali scelte politiche compie, quali giudizi formula nei social. E tutto questo comporta un punteggio.

Un'altra condizione, sotto il profilo tecnologico, indispensabile per attuare questo sistema di sorveglianza, è che il cittadino viva in una smart city nella quale l'esistenza di un sistema di monitoraggio continuo – grazie all'uso dell'intelligenza artificiale – consente di riconoscere i cittadini, di leggere le targhe, di attuare il riconoscimento facciale, quello numerico e di geolocalizzarlo. La società che si occupa di produrre telecamere è la Hikvision, che grazie alla sinergia con Huawei è in grado di rendere questo sistema di videosorveglianza efficace. Non è un caso che proprio Huawei abbia sviluppato il 5G: infatti questo tipo di connessione migliora in modo rilevante l'efficienza della video sorveglianza e quindi del controllo sociale.

 

[27] Iran, antifemminismo

 

Per essersi sciolta i capelli e aver criticato il suo governo, Masih Alinejad, nata in Iran nel 1976, era stata condannata al carcere, ma riuscì a fuggire dal suo Paese nel 2009, senza più farvi ritorno.

Masih è stata un'attivista che ha passato la vita a lottare per i diritti delle donne nel suo Paese, attraverso una campagna contro la legge che impone loro d'indossare un velo, o hijab, sui capelli quando sono in pubblico.

Sin dall'adolescenza è stata una spina nel fianco degli ayatollah che governano l'Iran. Già quando aveva 18 anni venne arrestata per aver prodotto volantini critici nei confronti del governo. La polizia la tenne in prigione senza formalizzare l'accusa e, alla fine, le è stato detto da un giudice che aveva prove sufficienti per farla giustiziare. Quel giudice l'ha lasciata poi andare, rendendosi conto che il caso avrebbe avuto ripercussioni su tutto il Paese.

Nel suo libro, Il vento tra i miei capelli (uscito in Italia nel settembre 2020), Masih spiega che le ragazze del suo Paese vengono educate a “tenere la testa bassa per essere mansuete”.

È cresciuta in povertà rurale, nel piccolo villaggio di Ghomikola a Mazandaran, nel nord dell'Iran. Suo padre era un venditore ambulante, sua madre, analfabeta, ha cresciuto sei figli in una casa con una stanza che fungeva da alloggio per dormire, mangiare e abitare. La latrina non era altro che un buco nel terreno.

Quando con la rivoluzione del 1979 lo shah fu deposto e l'ayatollah Khomeini tornò dall'esilio per guidare l'Iran come un islamico, tutto cambiò. “Prima della rivoluzione mia madre poteva indossare una gonna e una sciarpa, e mio padre poteva tenere una piccola barba. Ma dopo il ritorno di Khomeini era proibito radersi, così la sua barba divenne enorme, e mia madre dovette essere completamente coperta da un chador scuro. Tutti sembravano infelici dopo la rivoluzione”, così scrive.

L'ironia, però, era che i genitori di Masih erano devoti sostenitori della rivoluzione. “Erano poveri, volevano lavori migliori, volevano maggiori opportunità di uguaglianza e pensavano che la rivoluzione avrebbe portato questi cambiamenti. Ma prima della rivoluzione c'era la libertà sociale, le donne potevano partecipare da pari a pari a gran parte della vita: potevano fare sport, potevano andare in palestra, c'erano giudici donne. Le persone che hanno sostenuto la rivoluzione volevano la libertà politica, e alla fine non l'hanno ottenuta. Inoltre hanno perso la loro libertà sociale”.

Quando cominciò ad avere 7 anni, era obbligata per legge a portare un hijab. E siccome la rivoluzione fu anzitutto contro le donne, cominciò a protestare.

A scuola fu coinvolta in un movimento di protesta clandestina. A 18 anni si fidanzò con un altro attivista, ed entrambi furono arrestati, ed era già incinta, suscitando scandalo.

Tenuta in isolamento, non le fu permesso di vedere un avvocato né la sua famiglia.

Fu condannata a cinque anni di prigione e a 74 frustate. La sua condanna fu sospesa per tre anni.

A quel punto il marito di Masih, Reza, decise di divorziare. “In Iran un uomo può scegliere di divorziare dalla moglie, ma una donna deve chiedere il permesso al marito per il divorzio”, dice. Anzi del divorzio è sempre accusata la moglie, anche se a chiederlo è il marito. Non solo, ma una donna divorziata è ancora più desiderabile agli occhi di certi uomini, che cercano favori sessuali al di fuori del matrimonio.

Al marito fu comunque assegnata la custodia di Pouyan, che aveva già 4 anni. Per la maggior parte del decennio successivo, lei avrebbe visto suo figlio solo occasionalmente.

Suo padre si vergognava di lei e non voleva che frequentasse la moschea. Inoltre le disse che le avrebbe trovato un nuovo marito, ma lei rifiutò.

Trovò lavoro nelle ricerche di mercato, poi come giornalista. Siccome indossò un paio di scarpe rosse, vietate in Iran, fuggì nel Regno Unito, temendo un nuovo arresto.

Si è laureata nel 2011 in Comunicazione, Media e Cultura presso la Oxford Brookes University. Ha continuato la sua battaglia dal Regno Unito, intervistando i leader iraniani per telefono e sfidandoli per l'hijab obbligatorio, scrivendo e trasmettendo sui diritti delle donne.

Nel 2014, quando viveva vicino ai Kew Gardens a Londra, fu fotografata dal partner, Kambiz, coi capelli mossi dal vento. La foto fu pubblicata su Facebook e divenne subito virale. Cosa che nessuno avrebbe potuto fare in Iran.

Tuttavia la foto indusse varie donne iraniane a fare altrettanto, sventolando audacemente il velo sopra le loro teste, e quindi rischiando la detenzione. In pochi giorni la pagina Facebook ha avuto più di 100.000 Mi piace, ed è nata una campagna: My Stealthy Freedom, che invitava le donne a condividere fotografie di se stesse senza l'hijab.

La battaglia non è contro il velo in sé ma a favore della libertà di scelta.

Lei ha più di due milioni di follower su Facebook e Twitter, ma i suoi genitori, che non ha più rivisto di persona, non sono in grado di seguirla in rete. Si sentono solo al telefono.

Nel 2015 il Summit di Ginevra per i diritti umani e la democrazia le ha conferito il Women's Rights Award per “aver dato voce a chi non ha voce e risvegliato la coscienza dell'umanità per sostenere la lotta delle donne iraniane per i diritti umani fondamentali, la libertà e uguaglianza”.

Nel 2016 contestò le donne del Parlamento europeo che criticano l'obbligatorietà del velo nella UE, ma che decidono di metterlo, per rispettare una tradizione, quando s'incontrano coi politici iraniani per stabilire rapporti commerciali.

Oggi Masih vive a Brooklyn. È sposata con Kambiz. Il figlio Pouyan vive a Londra, dove lavora nell'industria cinematografica.

Il governo iraniano però non si è rassegnato e la vuole morta. Ha indotto la sorella di lei a fare in televisione una confessione in cui la rinnegava. Stessa cosa ha chiesto alla madre, che però ha rifiutato minacciando di darsi fuoco.

Invece suo fratello Alireza è stato arrestato nel 2019, perché aveva denunciato sui social il progetto delle guardie iraniane di far fare a tutta la famiglia di Masih, a spese dello Stato, un viaggio turistico in Turchia di almeno 7-10 giorni, chiedendo a Masih di raggiungerli, dove poi l'avrebbero rapita o addirittura uccisa. Lui è stato condannato in via definitiva a otto anni di reclusione.

Nel gennaio 2019 il vice-Presidente del Parlamento ha proposto di mettere a referendum l'obbligo dell'hijab, ma molte femministe non vogliono che su una cosa del genere siano anche gli uomini a poter decidere. Le autorità di polizia, se vedono una donna guidare l'auto senza il velo, sono autorizzate a requisirgliela.

Ricordiamo che nel codice penale iraniano non esiste il reato di violenza contro le donne, né il divieto ai matrimoni precoci e forzati, che sono rimasti una pratica diffusa.

Il report periodico di Nessuno Tocchi Caino sostiene che sotto la presidenza Rohuani sono state impiccate 106 donne. La maggior parte delle esecuzioni avviene in segreto.

 

Si sa che a Teheran vige una severa censura sulle opere d'intrattenimento importate nel Paese e sull'industria cinematografica in generale. Ad es., nei film i contatti fisici tra uomini e donne sono vietati, mentre la discussione di argomenti controversi è limitata, così come scene considerate immorali o contro il regime vengono spesso censurate. Alcune figure ultraconservatrici hanno addirittura chiesto lo stop immediato alla distribuzione di tutti i film stranieri in cui ci sono donne che non indossano l'hijab, il tradizionale velo portato dalle donne di religione islamica.

Secondo la legge islamica, in vigore in Iran dal 1979, le donne devono indossare un hijab che copra la testa, il collo e i capelli. Lo scorso ottobre una giovane è stata arrestata a Najafabad dopo essersi mostrata in un video in bicicletta senza velo. Questo benché molte donne, soprattutto a Teheran e in altre grandi città, abbiano permesso ai loro veli, negli ultimi due decenni, di scivolare indietro e rivelare più capelli.

Tuttavia è la prima volta che la Guida Suprema politico-religiosa dell'Iran, l'Ayatollah Ali Khamenei, ordina che anche i personaggi femminili di cartoni animati e anime dovranno indossare l'hijab.

Sebbene non sia per forza obbligatorio far indossare il velo ai personaggi femminili dei cartoni, lui lo ritiene comunque necessario, in quanto la presenza di protagoniste a capo scoperto potrebbe portare a delle pericolose conseguenze.

La paura sarebbe quella che le ragazze iraniane crescano intolleranti verso il tradizionale capo di abbigliamento, non riconoscendone più la sua importanza.

Insomma tutto quanto è di sesso o fattezze o modalità femminile (persino gli insetti) deve avere il suo hijab! L'ossessione per i capelli femminili sta sconfinando nel ridicolo. O forse si teme che i personaggi femminili dei cartoni animati (come p.es. Biancaneve o la Sirenetta) possano apparire seducenti per alcuni adulti.

Iran e Arabia Saudita sono nemici irriducibili, ma a quanto pare non quando di mezzo c'è il gentil sesso.

Tuttavia non se la passa meglio, seppur per altre ragioni, la Walt Disney. Infatti già vi sono state una serie di censure per via di presunti contenuti discriminatori, come in Dumbo e negli Aristogatti, accusati di stereotipi razzisti, da vietarsi ai bambini sotto i 7 anni. Politicamente scorretto, tra gli Aristogatti, un gatto siamese chiamato Shun Gon, con gli occhi spioventi e i denti pronunciati, caratteristiche utilizzate per una caricatura delle popolazioni asiatiche. Dumbo invece è stato accusato di ridicolizzare gli schiavi afroamericani al lavoro nelle piantagioni del Sud degli Stati Uniti con una canzone che recita:

“E quando poi veniamo pagati buttiamo via tutti i nostri soldi”.

Al bando sono finiti anche Peter Pan, poiché chiama sempre col termine “pellirosse” i membri delle tribù dei nativi americani. E Robinson nell'isola dei corsari, poiché definisce i pirati dalla “faccia gialla e marrone”.

D'ora in poi i bambini dovranno essere affiancati da un adulto per poter vedere cartoni così “razzisti”!

 

[28] Iran e Arabia Saudita, discriminazione di genere

 

Il governo iraniano del presidente Hassan Rouhani, di orientamento moderato, ha approvato un disegno di legge per punire la violenza contro le donne, ma la proposta deve ancora essere votata dal Parlamento, che è controllato dai conservatori e dagli ultraconservatori, molto più a destra rispetto ai moderati su temi legati a libertà e diritti. Dopodiché il testo dovrà passare per il Consiglio dei guardiani, organo formato da 12 membri, sei religiosi e sei giuristi, tutti vicinissimi alla Guida suprema, l'ultraconservatore Ali Khamenei.

Il disegno di legge prevede di considerare un reato “qualsiasi atto che provochi danni fisici, emotivi o alla dignità” di una donna o qualsiasi atto che abbia come risultato la limitazione della sua libertà e dei suoi diritti legali. Si affrontano anche la questione delle molestie sessuali e di altri tipi di violenze: l'invio a una donna di un messaggio o di una foto a sfondo sessuale non richiesto, o pretendere rapporti sessuali potrebbe comportare punizioni come il carcere da sei mesi a due anni, 99 frustate e multe.

Il disegno di legge chiede poi la creazione di centri specifici che aiutino le donne soggette a violenze; che i giudici ricevano una formazione sulla violenza di genere; che le forze di sicurezza debbano creare una speciale unità di polizia femminile; che, attraverso il ministero dell'Istruzione, vengano organizzati dei corsi per studenti, insegnanti e genitori, ecc.

In Iran non esiste alcun numero ufficiale sulle donne che vengono uccise da familiari o parenti per azioni percepite come violazioni delle norme islamiche o delle consuetudini sociali. Nel 2014 un funzionario della polizia di Teheran disse a “Le Monde” che almeno il 20% degli omicidi in Iran erano crimini di questa natura.

Uno studio condotto sempre nel 2014 ha rilevato che il 66% delle donne sposate partecipanti all'indagine aveva subito violenza domestica almeno una volta nella vita.

Il 27 maggio 2020 Romina Ashrafi, una ragazza di 14 anni, è stata decapitata nel sonno dal padre per essere scappata con un ventottenne della sua città del quale era innamorata. Romina era stata fermata cinque giorni dopo la fuga e riconsegnata al padre, nonostante avesse chiaramente riferito alla polizia di temere per la sua vita se fosse tornata a casa.

Prima del crimine il padre aveva consultato un avvocato ed era dunque a conoscenza delle conseguenze che avrebbe dovuto affrontare. Secondo l'articolo 220 del codice penale islamico, il padre è il “guardiano” delle proprie figlie e in caso di cosiddetto “delitto d'onore” – un delitto perpetrato allo scopo di “riscattare” l'onore della famiglia – è previsto uno sconto di pena.

Il padre di Romina sapeva dunque che non avrebbe rischiato la pena di morte come sarebbe accaduto per un altro omicidio in Iran, ma dai tre ai dieci anni di carcere e il pagamento di un indennizzo.

Alcune attiviste femministe hanno detto che il vero assassino di Romina era in realtà la Repubblica Islamica dell'Iran. Ecco perché alcune di loro ritengono che il suddetto disegno di legge non è all'altezza degli standard internazionali contro la violenza di genere e non affronta tutti gli aspetti della violenza che le donne devono sostenere: è troppo generico nella definizione di “violenza”, non si occupa delle questioni dello stupro coniugale e del matrimonio infantile (in Iran le donne si possono sposare legalmente dai 13 anni, ma anche se una bambina ha meno di questa età suo padre può chiedere a un giudice il permesso di farla sposare).

Il tema del rapporto di genere è ancora molto controverso in Iran, come in tanti altri Paesi islamici. P.es. quando una ragazza e un ragazzo escono insieme, sperimentano una sorta di paura se non sono ufficialmente imparentati, nel senso che la polizia ha il diritto di chiedere precisazioni rispetto al loro rapporto. Tendenzialmente i poliziotti controllano soprattutto i ragazzi più giovani, poiché, in linea di principio, avere una ragazza è proibito. Tenersi per mano è ancora accettabile, ma assolutamente non lo è baciarsi.

Nelle famiglie tradizionali le procedure di matrimonio combinato iniziano con una proposta formale che viene fatta da parte dell'uomo attraverso una delegazione, solitamente composta dai genitori o dagli anziani. In questo incontro vengono discussi i vari aspetti del contratto coniugale, come il prezzo della sposa e la dote. Solo nelle famiglie moderne, quelle urbane dell'alta e media borghesia, una coppia sceglie di sposarsi da sé, poi lascia le formalità di rito ai propri genitori. I matrimoni combinati nella forma tipica di alcuni Paesi asiatici, come l'India o il Pakistan, basati sulla promessa di matrimonio stabilita dai genitori quando i figli sono ancora in tenera età, sono invece rari, salvo per le famiglie molto tradizionali o più povere.

In linea di principio si può anche scegliere di non sposarsi, ma una simile decisione porta inevitabilmente a una pressione pubblica sulla persona. Peraltro in Iran la legge proibisce il sesso al di fuori del matrimonio. Il che non vuol dire che le giovani generazioni seguano alla lettera le regole tradizionali comuni. Resta però il fatto che l'aspettativa che la sposa dovrebbe essere vergine è ancora prevalente. Alcune famiglie molto conservatrici e religiose sono disposte a portare le loro figlie dal ginecologo per ottenere un certificato di verginità da consegnare alla famiglia del futuro marito. Secondo la legge, infatti, se il marito dopo le nozze dichiara che la ragazza non era vergine, ha il diritto di chiedere il divorzio. Un diritto, questo, sempre meno rivendicato, per fortuna.

Solo nel 2019 è diventata effettiva la norma che consente alle madri sposate con cittadini stranieri di trasmettere la cittadinanza ai figli. Tuttavia la legge prevede che le donne presentino domanda formale affinché i loro figli ottengano la cittadinanza e in ogni caso questi devono sottoporsi a un controllo di sicurezza da parte del ministero dell'Intelligence prima della concessione della cittadinanza.

Le donne iraniane continuano ad affrontare una radicata discriminazione sia nell'ambito del diritto di famiglia sia nel codice penale, in relazione a questioni come matrimonio, divorzio, impiego, eredità e assunzione di cariche politiche.

Le autorità politiche hanno anche intensificato il loro giro di vite nei confronti delle attiviste per i diritti delle donne, impegnate in campagne contro la legge discriminatoria che prevede l'obbligatorietà del velo, condannandone alcune a pene detentive e alla fustigazione per accuse come “promozione e favoreggiamento della corruzione e della prostituzione” e per avere incoraggiato lo “svelamento”.

L'obbligo del velo vede anche l'opposizione di molti uomini, in particolare di giovani iraniani che sembrano intenzionati a cambiare la mentalità del Paese, i quali hanno aderito a una campagna di sensibilizzazione chiamata #meninhijab.

Nel settembre 2019 alle donne è stato concesso di recarsi negli stadi, ma solo per quanto riguarda le partite della Nazionale.

L'8 ottobre 2020 Narges Mohammadi, una delle più importanti attiviste per i diritti umani dell'Iran, è stata rilasciata dalla prigione di Zanjan. Sostenitrice dell'abolizione della pena di morte, vicepresidente del Centro per i difensori dei diritti umani, Narges Mohammadi era stata arrestata nel maggio 2015 e condannata a 10 anni di carcere per “fondazione di un gruppo illegale“ a causa di alcune interviste rilasciate alla stampa internazionale e anche per l'incontro avvenuto un anno prima con l'alta rappresentante della UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza.

Attualmente le donne iraniane non hanno il diritto di cantare (se non davanti a un pubblico esclusivamente di sole donne), di ballare, di ricevere un'eredità adeguata, di vestirsi come vogliono, di viaggiare all'estero da sole (se sposate) e di sposarsi con chi vogliono (senza rischiare di andare incontro al delitto d'onore), di usare la bicicletta, ecc.

L'età di una donna per essere considerata penalmente responsabile è di 9 anni: infatti il velo è obbligatorio a partire dai 7. La pena di morte per le donne è prevista per l'adulterio. Anzi se una donna tradisce il marito con un altro uomo, il coniuge ha diritto di uccidere entrambi, moglie e amante, senza che questo costituisca un reato.

In un tribunale la testimonianza di due donne vale quanto quella di un solo uomo.

Le organizzazioni a difesa dei diritti umani e civili sono state chiuse e non ci sono organismi che possano proteggere le donne.

Secondo il Global Gender Gap Report l'Iran occupa il 148mo posto su 153 Paesi per quanto riguarda i diritti delle donne. Solo il 18% delle donne fa parte della forza lavorativa. Il 20,5% ricopre la carica di magistrato e di manager. Il tasso di alfabetizzazione è dell'80,8%: il 97,5% di loro conclude gli studi primari, l'80,4% ha concluso gli studi secondari, mentre il 64,3% delle donne ha conseguito una laurea (il 75% gli uomini). La speranza di vita sana per le donne è soltanto di 66 anni.

Le donne in Parlamento avrebbero dovuto essere 18, ma una è stata “squalificata” perché aveva stretto la mano a un uomo in occasione di un viaggio in Cina. La prima donna ministro è stata nominata nel 2009, ma Khamenei, come tutto il clero sciita, considera impropria la presenza di donne nel governo e in molte altre cariche pubbliche.

Di recente è stata pubblicata una lista delle donne giustiziate nell'ultimo decennio: 110. Ma le cifre reali sarebbero ben più alte, poiché la maggior parte delle esecuzioni avvengono in segreto, senza che nessuno ne sia a conoscenza, tranne coloro che le eseguono. In genere le donne condannate a morte per omicidio avevano subìto anni e anni di umiliazioni, insulti, percosse e persino torture ed erano state private del loro diritto al divorzio. In ogni caso il regime iraniano detiene il record mondiale di esecuzioni di donne.

 

“La voce delle donne non dovrebbe essere sentita da uomini estranei”, aveva dichiarato l'ayatollah Khomeini dopo la Rivoluzione Islamica del 1979. La voce femminile veniva considerata troppo sensuale, quindi fonte di corruzione.

L'ayatollah all'inizio, che tanto ricordava i preti cattolici tridentini, bandì del tutto la musica dalle radio e dalle televisioni iraniane, paragonandola all'oppio: “Instupidisce chi l'ascolta e rende inattivi e frivoli”.

Poi, negli anni successivi, allentò alcuni divieti, facendo eccezione per gli inni patriottici e religiosi. Dopo la sua morte, nel 1989, a Teheran sono tornati i concerti. Ora che sono passati quarant'anni, una voce femminile che si leva da sola (non in coro) resta ancora un tabù nella Repubblica Islamica, che è tanto somigliante a una sorta di fascismo religioso.

Infatti il 30 gennaio 2019, durante un concerto del popolare cantante pop Hamid Askari alla Torre Milad, nella capitale, la chitarrista Negin Parsa si è accostata al microfono, che prontamente i tecnici disattivarono. Askari allora le offrì il proprio, di fronte al pubblico incantato. Poi l'ha elogiò per la sua “bellissima voce”. Il video fece il giro della rete, suscitando le ire dei conservatori, che spinsero il ministero della Cultura e dell'Orientamento Islamico a ricordare ai cittadini con un comunicato che “il canto di una solista” davanti a un pubblico maschile è “una infrazione” della legge. Il Ministero annunciò la sospensione a tempo indeterminato di Askari e della sua band.

Nel 2014 l'attrice Ghazal Shakeri cantò “Back to Black” di Amy Winehouse e “The Winner Takes it All” degli Abba in un musical all'Opera di Teheran. Come fece a evadere il divieto? Anzitutto il teatro è più di nicchia rispetto ai concerti, ma usò anche uno stratagemma già adottato nel 2012 dal direttore d'orchestra Hadi Rosat: farsi accompagnare (formalmente) da un coro, che è cosa non proibita alle donne.

Rosat fu il primo a mettere in scena una solista, Shiva Soroush, per due minuti esatti durante l'opera “Gianni Schicchi” di Giacomo Puccini: il pubblico si commosse.

Erano gli anni della presidenza del conservatore Mahmoud Ahmadinejad. Un reporter avvertì il ministero della Cultura. I funzionari minacciarono di chiudere lo spettacolo, ma Rosat li convinse ad assistere all'opera. E vedendo la corista, decisero che non c'era niente di sovversivo.

Altri iraniani raccontano che è stato già negli anni Novanta, sotto la presidenza del riformista Mohammad Khatami, che le soliste hanno cominciato a sfidare il divieto, soprattutto a teatro: se arrivava la censura a controllare, venivano subito fatti degli “aggiustamenti” per coprire le loro voci con il coro, mentre i giornalisti stavano attenti a non rivelare troppo sugli spettacoli.

Ormai è chiaro che il grande dilemma del regime iraniano continua a essere se concedere maggiori libertà sociali sia un modo – l'unico possibile – per restare al potere, oppure se non sia in realtà un rischio che può accelerare la caduta del sistema.

 

Rania al Baz, autrice dell'autobiografia, Sfigurata, è stata la prima saudita a usare i social network per denunciare la violenza domestica in Arabia Saudita, quasi 17 anni fa.

Il 4 aprile 2004, suo marito, con ambizioni da cantante e disoccupato da tre anni, geloso del suo successo, le spaccò il viso sul pavimento di cucina causandole 13 fratture al volto. Rania decise di sfruttare la sua storia, e la sua immagine, per lottare per i diritti delle donne arabe, senza però rinunciare alla propria religione. Accettò all'epoca di pubblicare una testimonianza del suo viso tumefatto sui social network, prima volta in assoluto nel regno. Il viso di Rania, già uno dei più conosciuti della tv saudita, era diventato altrettanto famoso per l'orrore delle violenze domestiche.

Nel suo libro scrive, in maniera politicamente corretta: “Non sono stata picchiata per un principio religioso, ma per gelosia, da un uomo umiliato. Solo per questo. Coloro che si trincerano dietro l'Islam per giustificare un'azione del genere mentono; coloro che pensano sinceramente – e ce ne sono – che il Corano incoraggi tali pratiche, sbagliano. È una faccenda di mentalità maschile, niente di più. Il Profeta ha insegnato l'amore, non certo l'odio che oggi viene propagato da alcuni dei suoi zelatori”.

Rania decise di perdonare il marito, che se l'è cavata con soli tre mesi di prigione (rischiava 10 anni e 300 frustate in pubblico), per non traumatizzare i figli e, soprattutto, ottenerne la custodia (che, altrimenti, avrebbe perso al compimento del loro ottavo anno).

È vero, le violenze e gli abusi sulle donne non sono una prerogativa dell'Arabia Saudita, ma è anche vero che le donne in questo Paese sono considerate legalmente come minorenni: hanno sempre bisogno del consenso di un tutore maschile per tantissime cose, tra cui la richiesta di un passaporto, viaggiare fuori dal Paese, studiare all'estero, sposarsi o persino uscire di prigione. In questo contesto sociopolitico scappare dagli abusi e dalle violenze diventa quasi impossibile.

La giovane saudita Rahaf Mohamed però c'è riuscita: ha approfittato di un viaggio della famiglia in Kuwait per fuggire in aeroporto e poi in Thailandia. Era il 5 gennaio 2019. Mirava a raggiungere l'Australia, chiedendo asilo politico, poiché la sua famiglia voleva sottoporla a un matrimonio forzato e la puniva in varie maniere psico-fisiche, minacciandola di morte a causa della sua irreligiosità.

Le autorità thailandesi l'avevano arrestata, con l'intenzione di rimpatriarla in Kuwait, da dove sarebbe stata trasferita in Arabia Saudita e qui incarcerata a tempo indeterminato, come già era successo a Dina Ali Lasloom nel 2017.

Chiusa in una stanza d'albergo lanciò da lì una chiamata d'aiuto tramite il suo account Twitter. La campagna di Twitter intorno a Rahaf, sostenuta da Human Rights Watch fu velocissima: #SaveRahaf raggiunse un milione di utenti in 12 ore. Le offerte economiche arrivarono a 10.000 dollari.

Fu presa sotto la protezione dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati e le fu concesso lo status di rifugiata. L'11 gennaio le venne concesso asilo in Canada.

Dopodiché fu lanciata in Arabia Saudita una campagna diffamatoria contro di lei e contro il governo canadese, accusato di “fomentare la guerra civile incitando le ragazze adolescenti del Regno ad abbandonare i costumi sociali”. La definirono persino una tossicodipendente, che sarebbe finita “a servire i tavoli in una discoteca per ubriaconi e gangster”.

Questo per dire che la generazione di queste giovani ragazze sta rompendo nuove frontiere: scappano dal Paese quando devono scappare da casa, e lo fanno servendosi dei social media.

Secondo “The Economist” sarebbero circa mille ad avere tentato di fuggire dall'Arabia Saudita negli ultimi anni. Questo è anche il motivo per cui le autorità saudite vogliono impedire alle donne di viaggiare liberamente. Ma Rahaf aveva dichiarato che il motivo della sua fuga era semplicemente il fatto di “non avere più nulla da perdere”.

 

Marzo

 

 

 

[1] Italia, donne lavoratrici. Turchia, corruzione. Arabia Saudita, discriminazione di genere

 

Secondo l'Osservatorio Italiano dei diritti solo il 47% delle donne italiane risulta occupata nel mercato del lavoro. Siamo al penultimo posto in Europa.

Motivo di ciò? 1) Il 30% delle donne lavoratrici è occupato in settori che ricalcano i tradizionali lavori di cura come sanità, istruzione e servizi sociali (i settori in cui si prendono retribuzioni più basse). 2) All'aumentare del prestigio e della retribuzione delle posizioni ricoperte, diminuisce il numero delle donne che le ricoprono. 3) La necessità di prendersi cura della propria famiglia porta molte donne ad avere meno tempo da dedicare al lavoro fuori casa. 4) A parità di competenze, abilità e formazione, viene manifestata una preferenza per un candidato solo per il fatto che appartiene al genere maschile.

Questa discriminazione di genere in fase di selezione dei candidati, da parte dei responsabili delle risorse umane, spesso avviene in maniera inconscia proprio perché il pregiudizio è radicato nella mentalità, nella cultura.

Questa cosa è davvero strana, poiché tutti sanno che nella scuola le ragazze, più capaci di autodisciplina, generalmente s'impegnano di più dei maschi. Ma è anche vero che la scuola è molto sganciata dalla vita.

Esiste una possibile soluzione che potrebbe ridurre al minimo questo stereotipo di genere? Sì: si tratta del curriculum anonimo, sperimentato in Finlandia nel Comune di Helsinki. È un programma pilota che prevede la possibilità d'essere assunti attraverso una candidatura anonima: alcuni dati personali come genere, età e nome presenti sui documenti dei candidati (curriculum, test, prove preliminari) vengono cancellati prima di entrare nelle mani dei responsabili della selezione del personale. Ai candidati viene soltanto assegnato un numero identificativo. Sulla base dei risultati conseguiti vi è poi il colloquio orale.

Semplice no? In questo modo si risolverebbe anche il problema delle raccomandazioni.

 

In Germania, Svizzera e Grecia hanno scoperto che il premier Erdoğan si serve di propri diplomatici per raccogliere illegalmente informazioni su persone affiliate al movimento Gülen, che è molto critico nei confronti del governo turco su una serie di delicate questioni: dalla corruzione economica dilagante al favoreggiamento nei confronti di gruppi jihadisti armati.

Il suddetto movimento è guidato dallo studioso musulmano turco che risiede negli Stati Uniti, Fethullah Gülen, che deve affrontare diversi mandati di arresto da parte di Erdoğan e una richiesta di estradizione. Il governo americano ha ripetutamente chiesto al governo turco di esibire prove concrete di illeciti, ma la Turchia finora non ha presentato nulla.

Invece è stato Erdoğan a essere coinvolto in un grave scandalo di corruzione nel 2013, che rivelò tangenti segrete in operazioni di riciclaggio di denaro.

In quell'anno fu arrestato in Turchia un certo Reza Zarrab e rilasciato l'anno dopo. Poi nel 2016 fu di nuovo arrestato negli Stati Uniti, con l'accusa d'appartenere a un'organizzazione criminale internazionale.

Chi era Zarrab e cosa aveva fatto di così grave? Era un uomo d'affari di origine iraniana che in quel momento stava operando in Turchia. Aveva la cittadinanza iraniana, azera, turca e macedone. Il suo obiettivo, suggerito dalle alte sfere, era quello di eludere le sanzioni economiche statunitensi contro l'Iran: era previsto il riciclaggio di denaro sporco in un presunto programma di racket per aiutare l'Iran a bypassare le sanzioni. A tale scopo era riuscito a coinvolgere i figli di tre ministri del governo turco di Erdoğan, oltre a un ex ministro e capo negoziatore della Turchia nei colloqui di adesione con la UE.

In pratica le persone coinvolte usavano la banca pubblica turca Halk Bank, con la complicità del suo direttore. Il denaro veniva trasferito a società di copertura in Cina e Turchia e ingenti quantitativi d'oro venivano acquistati con quei soldi e trasferiti in Iran via Dubai.

Quando la cosa cominciò a venire alla luce, furono tutti arrestati in Turchia. Erdoğan fece però credere che la giustizia stesse complottando contro il suo governo. Così, dopo una detenzione di 70 giorni, Zarrab e i figli dei ministri furono rimessi in libertà. I ministri responsabili della corruzione di tangenti multimilionarie semplicemente si dimisero. Il parlamento, nel 2015, dove il partito di Erdoğan aveva ampia maggioranza, non revocò l'immunità ai ministri e impedì il proseguimento dell'indagine.

Intanto nel 2014, per distrarre l'opinione pubblica, Erdoğan annunciò di aver avviato una “caccia alle streghe” contro il movimento Gülen, affermando che quest'ultimo era dietro a quella gigantesca corruzione. Poi licenziò o arrestò sia i funzionari di polizia che i procuratori che avevano condotto le indagini sui maneggi di Zarrab, facendo credere ch'erano in combutta con Gülen. Addirittura affermò che Zarrab conduceva scambi e affari in linea con gli interessi turchi, tant'è che nel 2015 gli assegnò il premio Turkish Export Award.

In compenso, per confondere le acque, bollò il gruppo di Gülen come un'entità terroristica, sebbene non vi sia stata associata alcuna azione violenta, e lanciò una forte repressione, imprigionando e/o epurando decine di migliaia di dipendenti governativi, sequestrando illegalmente i loro beni, chiudendo scuole, università, ONG, organi di stampa, ospedali e altre enti ch'erano di proprietà o gestite da persone associate al suddetto movimento.

Erdoğan accusò Gülen d'aver compiuto persino il colpo di stato nel 2016, che in realtà fu un'operazione sotto falsa bandiera organizzata dallo stesso Erdoğan e dai suoi capi di intelligence e militari. Egli usò la messinscena come pretesto per trasformare il secondo più grande esercito della NATO in un focolaio di neo-nazionalisti e islamisti, epurando quasi l'80% di tutti i generali e gli ammiragli. Ha anche acquisito poteri presidenziali “imperiali”, modificando la Costituzione, e ha lanciato offensive transfrontaliere in Siria.

Secondo dati ufficiali del 2021, un totale di 622.646 persone hanno subìto azioni legali punitive negli ultimi cinque anni da parte del governo a causa di presunti legami col movimento Gülen. Di queste persone, 301.932 sono state detenute e 25.467 incarcerate in attesa di processo o per condanna. Quasi 100.000 persone sono state rilasciate dopo la reclusione, ma non possono viaggiare e sono tenute a recarsi regolarmente presso la stazione di polizia locale.

Quando Zarrab fu arrestato negli USA nel 2016, i pubblici ministeri scoprirono ch'egli aveva donato 4,5 milioni di dollari a un ente di beneficenza fondato dalla moglie di Erdoğan. Questo perché avevano appurato che nelle sue attività finanziarie illecite Zarrab aveva “stretti legami” col premier.

Zarrab si offrì di pagare 50 milioni per la cauzione, ma questa gli venne negata, proprio perché si temeva che, se fosse tornato in Turchia, l'estradizione sarebbe stata impossibile.

Nel 2017 ci furono negoziati secondo cui se gli USA avessero permesso a Zarrab di tornare in Turchia, questa avrebbe permesso agli USA di avere in Siria mano libera. Ma gli americani non avevano bisogno del permesso di Erdoğan per agire in Siria.

Pur di avere Gülen, Erdoğan fece arrestare nel 2017 un certo Andrew Brunson, un pastore americano-ungherese della Chiesa evangelica presbiteriana, che durante il golpe si trovava in Turchia. Ma gli USA misero delle sanzioni economiche tali per cui Erdoğan fu costretto a rilasciarlo.

Sempre in quell'anno Zarrab cominciò a collaborare coi pubblici ministeri americani, accettando il patteggiamento. Ora la giustizia federale sa tutto della corruzione del governo Erdoğan, ma siccome la Turchia è un membro della NATO, teme conseguenze imprevedibili, anche perché Erdoğan ha allacciato rapporti stretti con la Russia sul piano militare ed energetico, oltre che in vari fronti bellici. Trump infatti voleva mettere tutto a tacere. Ora bisogna vedere come si comporterà il governo di Biden.

Al momento sappiamo soltanto che in Turchia tutti i parenti di chiunque all'estero venga sospettato d'essere un affiliato al movimento di Gülen subiscono vessazioni di ogni genere.

 

Ciò da cui fuggono le donne saudite dal loro Paese negli ultimi anni (soprattutto nel 2019) è la Dar al Reaya, un famigerato sistema di strutture di detenzione femminile in cui si può anche morire. “Casa di cura” viene chiamato, ma è una specie di lager.

Secondo il Ministero per le risorse umane e lo sviluppo sociale, negli istituti Dar al Reaya ci finiscono due tipi di donne: quelle che hanno bisogno di “correzione sociale” e di “rafforzamento della fede religiosa”, perché “hanno deviato dalla retta via”, e le minori di 30 anni (da un minimo di 7) in attesa di un'indagine o di un processo.

Ma su quel sistema carcerario si sa molto poco. Le detenute possono anche essere trattate peggio che in carcere.

In ogni cella vi è una finestra, un letto, un Corano e un bagno (oppure il bagno è condiviso con altre detenute). L'igiene è molto precaria. Se la donna rifiuta di fare ciò che le viene detto, finisce in isolamento o viene privata dei pasti.

Ci sono telecamere ovunque e le luci sono tenute accese anche durante la notte per scopi di sorveglianza.

Non vi sono attività di riabilitazione, per cui la donna, rinchiusa nella sua cella per gran parte del giorno, facilmente va in depressione o si ammala. Non può avere rapporti con altre detenute, anche perché rischia d'essere accusata di omosessualità.

Le recluse sono generalmente vittime di stupro o abusi da parte di tutori maschi (padri, mariti, fratelli), cui si sono ribellate con violenza o fuggendo di casa, oppure sono attiviste politiche a favore del femminismo, o perché hanno violato qualche norma legale o codice di comportamento (p. es. nell'orientamento sessuale, nell'abbigliamento o perché non viste con un tutore in pubblico o perché han rifiutato un marito scelto dai genitori, i quali così l'hanno denunciata per disobbedienza).

A seconda della gravità della loro “ribellione”, le vittime possono ricevere delle frustate periodiche.

Dopo i 30 anni, se c'è una sentenza del tribunale contro la donna, continua la sua punizione in un carcere femminile, altrimenti viene indirizzata in una struttura penitenziaria chiamata Dar al Theyafa (“Casa dell'ospitalità”), riservata alle donne che hanno già scontato la condanna e aspettano di sapere quale sia il loro destino.

Dato che molte detenute sono state denunciate o ripudiate dai familiari, spesso nessuno torna a cercarle e men che meno a chiedere giustizia. Se vengono giustiziate o si ammalano gravemente o si suicidano, nessuno lo viene a sapere. Nessuno viene ritenuto responsabile di quanto accade lì dentro. Nel peggiore dei casi tornano sotto la custodia del tutore che l'aveva denunciata. Quindi, siccome è raro che una donna ripudiata o rinnegata dalla famiglia sia riaccolta dopo la detenzione, è l'istituto stesso che nel giro di pochi mesi le trova un uomo da sposare, il quale può anche avere dei precedenti penali e paga molto poco per averla in moglie.

Uno degli aspetti più rivoltanti di questo sistema giudiziario è che gli autori di violenza, che sono stati motivo della fuga delle donne (che possono essere anche adolescenti che vivono in casa), non vengono mai puniti. Quando una donna sporge denuncia, raramente viene presa sul serio. In genere la polizia fa firmare al tutore un documento in cui s'impegna a non maltrattarla più, ma poi nessuno verifica che gli abusi non si ripetano. Un tutore può anche presentare una contro-accusa, sostenendo che la donna che gli è stata affidata aveva semplicemente “disobbedito” e meritava una punizione fisica. Una donna rilasciata da un centro Dar al Reaya può essere di nuovo incarcerata anche solo sulla base della contro-accusa di un tutore.

Chi riesce a uscire da quei lager, racconta la propria storia con grande difficoltà e solo se si trova in un posto molto sicuro (all'estero), perché sa di non poter raccontare nulla, e soprattutto perché teme che i parenti con cui era in buoni rapporti potrebbero avere ritorsioni.

Una delle poche detenute ad aver ricevuto l'attenzione dell'opinione pubblica nel regno saudita è stata Loujain al Hathloul, un'attivista per i diritti delle donne, incarcerata per 73 giorni nel 2014 con l'accusa d'aver tentato di entrare con la sua auto in Arabia Saudita passando dagli Emirati Arabi Uniti, per protestare contro il divieto di guidare l'auto imposto alle donne nel regno. Il divieto fu poi rimosso nel 2018, anche se una donna che lascia la propria casa senza il permesso di un tutore, è sempre considerata una criminale.

Nel 2015, dopo la concessione del diritto di voto femminile da parte della monarchia saudita, Loujain si candidò alle elezioni, ma il suo nome non apparve nelle liste, nonostante l'ammissione ufficiale della sua candidatura.

Nel 2018 è stata arrestata per aver violato norme sulla “sicurezza nazionale”. Secondo l'accusa avrebbe passato informazioni a Paesi nemici dell'Arabia Saudita e parlato con giornalisti e diplomatici, candidandosi per un impiego presso le Nazioni Unite. Inoltre aveva cercato di aprire una casa-rifugio per donne vittime di violenze.

Fu condannata da un tribunale che si occupava di terrorismo a quasi sei anni di carcere in un processo-farsa. Venne rinchiusa in carcere e sottoposta a tortura, elettroshock, frustate e abusi sessuali.

Per denunciare le severe restrizioni a lei imposte, nell'ottobre 2020 iniziò uno sciopero della fame. È stata scarcerata il 12 febbraio 2021, pur rimanendo assoggettata a diverse restrizioni, compreso il divieto di uscire dall'Arabia Saudita per cinque anni.

Il dilemma tra restare in uno stato di detenzione simile alla tortura o intrappolata con un marito o un padre violento non lascia a molte saudite altra scelta che correre rischi alti, come scappare dal Paese, eventualmente abbandonando i figli ai tutori.

Le femministe pensano che, siccome la società saudita è governata dalla monarchia, cioè sostanzialmente da una dittatura feudale, che impedisce agli uomini comuni di avere alcun potere politico, il fatto di poter dominare le donne costituisce una forma di consolazione o di ricompensa. Cioè gli uomini sentono di avere una qualche sorta di potere. Abolendo il sistema della tutela, questi uomini tribali si scaglierebbero contro il governo. Ecco perché in Arabia Saudita il femminismo è così strettamente legato alla politica.

 

[2] Turchia, democrazia. Egitto, energia

 

I turchi hanno cercato la loro anima occidentale sin dal 1876, quando, sotto la pressione del mondo moderno, l'Impero Ottomano introdusse la sua prima Costituzione (influenzata da quella armena), un documento che sarebbe stato in vigore solo per due anni, senza intaccare minimamente i poteri del sultano, che poteva scegliere i ministri, approvare le leggi e dichiarare la guerra. In ogni caso gli ulema temevano ch'essa avrebbe compromesso la legge della shari'a.

Una seconda Costituzione ottomana fu introdotta nel 1908, 14 anni prima che la guerra mondiale spazzasse via quell'impero semifeudale (nato nel 1299). Quella successiva, influenzata dalle democrazie europee, sarebbe nata nel 1924. Nell'ultimo secolo e mezzo i turchi hanno agito nella convinzione, del tutto errata, che una Costituzione moderna avrebbe creato uno Stato moderno.

Oggi più della metà dell'attuale Costituzione – scritta dai leader del colpo di stato del 1980 – è stata emendata. L'ultimo emendamento, approvato con referendum nel 2017, ha introdotto il sistema presidenziale, riducendo di molto i poteri del Parlamento. Ma il presidente Erdoğan, al potere dal 2002, ha parlato della necessità di redigere una nuova Costituzione “civile”, sotto il pretesto che quella attuale contiene eccessive tracce di “tutela militare”. Cioè non vuole che i militari si sentano autonomi dal potere politico. E l'esperienza ha dimostrato chiaramente che quando Erdoğan promette riforme democratiche, l'autoritarismo aumenta.

Non a caso pochi giorni dopo ch'egli aveva promesso una nuova Costituzione, i musulmani conservatori han lanciato una campagna per “lasciare che il Corano sia la nostra Costituzione”. Più di 70.000 han firmato una petizione pubblica nell'arco di un paio di giorni. Ciò non dovrebbe sorprendere dopo 18 anni di governo islamista ininterrotto.

Nella sua valutazione del 2020, Freedom House ha inserito la Turchia nella lista dei paesi “non liberi”. Gli altri sono Afghanistan, Angola, Bielorussia, Brunei, Ciad, Gibuti, Eritrea, Gabon, Iran, Iraq, Libia, Myanmar, Corea del Nord, Nicaragua, Qatar, Ruanda, Somalia, Sudan e Yemen. Oggi potremmo aggiungere anche il Myanmar. Ed è alquanto strano che non abbiano messo l'Arabia Saudita, che è una monarchia assoluta, dove il parlamento è fatto di “nominati” dal sovrano, e dove le donne sono pesantemente discriminate.

Secondo il World Justice Project la Turchia si colloca al 107° posto su 128 Paesi per lo Stato di diritto. Anche il ministro turco della giustizia, Abdülhamit Gül, ha ammesso nel 2020 che solo il 20% dei cittadini si fida dei loro tribunali. E secondo la classifica sulla libertà di stampa di Reporter Senza Frontiere, la Turchia è al 154° posto su 180 Paesi, con un punteggio peggiore di Pakistan, Congo e Bangladesh.

Peraltro la Costituzione turca non è affatto antidemocratica, in quanto prevede le stesse libertà di una qualunque Costituzione europea. Anzi all'art. 2 prevede una cosa che non esiste nella nostra Costituzione, e cioè che lo Stato sia “laico”. Anche se nei fatti è il contrario, come abbiamo di recente visto quando Erdoğan ha voluto trasformare la basilica di Santa Sofia in una moschea per il solo culto islamico, dopo che dal 1935 al 2020 è stata soltanto un museo per i turisti.

Anche agli articoli 25, 26 e 28 la Costituzione garantisce la libertà di parola, di espressione e di stampa, senza alcuna forma di censura. Eppure la Turchia detiene il primato mondiale di giornalisti incarcerati.

E si potrebbe andare avanti per un pezzo con queste forme di schizofrenia. Il problema è che quelli costituzionali sono princìpi del tutto astratti, che cozzano nettamente con la pratica politica. Per Erdoğan democrazia vuol dire soltanto contare i voti quando si va a votare. Per il resto è tutto opinabile.

Facciamo un esempio concreto. Il ministro degli Interni, Süleyman Soylu, ha definito “pervertiti LGBT” gli studenti che a Istanbul stanno protestando contro la nomina del nuovo rettore, Melih Bulu, membro del partito di governo Akp, e anche per fermare il tentativo di Erdoğan di portare gli atenei sotto il suo controllo. Eppure l'art. 34 della Costituzione recita testualmente: “Ognuno ha il diritto di tenere riunioni e marce di dimostrazione disarmate e pacifiche senza previa autorizzazione”.

È forse un caso che i tribunali turchi, del tutto sottomessi al potere politico, non rispettino le sentenze né della Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) né della stessa Corte costituzionale turca? Non è forse la loro Costituzione che afferma che i tribunali inferiori devono conformarsi alle sentenze dei tribunali superiori? E allora come mai viene detto in un rapporto del 29 dicembre 2020 di Expression Interrupted (un gruppo di giornalisti e accademici turchi dissidenti) che “di tutti i 47 Stati del Consiglio d'Europa, la Turchia ha il maggior numero di violazioni della libertà di espressione ai sensi dell'art. 10 della Convenzione”? Come mai “delle 845 sentenze della CEDU pronunciate tra il 1959 e il 2019, 356 erano contro la Turchia”?

 

Dal colpo di stato del luglio 2013 e soprattutto dopo la sua elezione alla presidenza nel maggio 2014, una delle priorità di Abdel Fattah al-Sisi è stata quella di dare all'Egitto un posto significativo a livello regionale, ma anche di ricostruire l'economia dopo la gestione fallimentare di Mohamed Morsi e dei Fratelli Musulmani, al potere dal 2012 al 2013.

A tale scopo sono state considerate come una manna piovuta dal cielo le scoperte di nuovi giacimenti di gas, di cui il principale è stato trovato dalla compagnia petrolifera italiana Eni nelle acque profonde di Zohr, a circa 170 km dalla costa egiziana. È il più grande giacimento del Mediterraneo orientale: la sua area è di 100 kmq. Eni (che ha interessi enormi in vari progetti del governo di al-Sisi) lo gestisce e possiede la maggioranza delle azioni (60%). Ha venduto il resto alla russa Rosneft (30%) e all'inglese BP (10%).

Il giacimento di gas di Zohr, inaugurato nel 2018, ha fatto balzare l'Egitto al 20° posto per le riserve di gas naturale al mondo. E lo Stato possiede già la sesta più grande riserva di petrolio in Africa. Anzi, l'Egitto è il maggiore produttore di petrolio africano non appartenente all'Opec.

Neanche a farlo apposta, nel 2019 l'Eni ha annunciato la scoperta di un nuovo giacimento di gas naturale al largo del Paese, nel pozzo Nour-1, sempre nel Mar Mediterraneo, a circa 50 km a nord della penisola del Sinai: un potenziale paragonabile a quello dello Zohr.

Questi sono autentici colpi di fortuna, specie se consideriamo che fino al 2015 l'Egitto importava gas naturale da Russia, Algeria e Israele. Il gas rappresenta già il 53% del consumo di energia primaria. E con questi nuovi giacimenti la percentuale potrebbe aumentare di parecchio, sostituendo del tutto benzina e diesel.

Ne trarrà giovamento anche la dittatura di al-Sisi, già molto coinvolta in vari conflitti: israelo-palestinese, libico e yemenita, e anche nei negoziati in Siria. Ha inoltre avviato una repressione senza precedenti contro i Fratelli Musulmani, di cui l'Egitto era la base storica.

Al momento il suo principale rivale resta Erdoğan, con la sua aggressiva politica neo-ottomana e pan-islamista. In Libia, p.es., Erdoğan sostiene il governo di al-Sarraj, mentre il Cairo sostiene il maresciallo Haftar. Inoltre ha interessi molto bellicosi, sul piano energetico, nel Mediterraneo orientale. Questo il motivo per cui negli ultimi mesi c'è stato il sostegno del Cairo alla Grecia, a Cipro e persino alla Francia di fronte alla politica di proiezione di potenza turca.

Turchia ed Egitto sono indubbiamente due colossi. Anche sul piano numerico. La popolazione egiziana aumenta di un milione di persone ogni sei mesi (supererà i 150 milioni nel 2050), e il 95% vive in circa il 7-8% del territorio nazionale, in quella striscia di terra che si estende ai due lati del Nilo e che è grande circa la metà dell'Irlanda. Più di 700mila giovani egiziani entrano nel mercato del lavoro ogni anno: due egiziani su tre hanno meno di 30 anni.

Il Cairo è una megalopoli di 20 milioni di abitanti, che si è sviluppata in maniera incontrollata e che ha problemi giganteschi a livello di traffico, inquinamento, scarsità di abitazioni e disoccupazione. Senza considerare che il Nilo non sarà più in grado di rispondere alle esigenze idriche delle città e dei campi lungo il suo corso, in quanto si sta costruendo una enorme diga in Etiopia, al confine del Sudan.

L'Egitto infatti avrà presto una nuova capitale amministrativa e finanziaria, dove verranno trasferiti i principali ministeri e uffici governativi, la sede del Parlamento e le ambasciate straniere. La sua costruzione è iniziata nel 2016: si trova tra il Nilo e il Mar Rosso, a circa 40 km a est del Cairo, in una zona desertica in gran parte sottosviluppata. Si estenderà per circa 730 kmq (circa 4 volte Milano), e quando sarà completa sarà in grado di ospitare 6,5 milioni di abitanti.

Sarà un segno della megalomania di al-Sisi o una soluzione effettiva all'esplosione demografica del Paese? Il prezzo degli appartamenti sarà compreso tra 50mila e 100mila euro, irraggiungibile per la maggior parte degli egiziani, i cui stipendi medi mensili vanno dai 200 a 300 euro. Oltre 1/3 della popolazione egiziana, secondo i dati della Banca mondiale, vive con due dollari al giorno.

 

[3] Venezuela e Iran, sanzioni. Cittadini iraniani in Italia. Statistiche OpenPolis sulle donne nei parlamenti europei

 

Hanno senso le sanzioni economiche, in tempo di pace, contro uno Stato che per qualche motivo se le merita? Secondo me no. Faccio fatica ad accettarle persino in tempo di guerra, poiché sappiamo tutti ch'esse vanno a colpire non chi comanda ma chi subisce. Affamare un'intera popolazione per vincere una guerra contro un esercito nemico, è vergognoso.

Non si ha nessuna garanzia che un embargo economico possa servire ad abbattere un governo al potere. Anzi si sa con certezza che andrà a rovinare ulteriormente la popolazione più debole e bisognosa. Per di più il governo sfrutterà proprio le sanzioni per assumere un atteggiamento vittimistico, sentendosi ancora più autorizzato a resistere a oltranza. Se un governo sanzionato è politicamente autoritario, lo diventerà ancora di più, a meno che non sia la stessa popolazione ad abbatterlo, come avvenne nella Russia zarista.

È la storia che ci dice che queste forme esterne di pressione economica finiscono per diventare un altro modo di sparare nel mucchio. Come se lanciassimo delle bombe sulle città semplicemente allo scopo di terrorizzarne gli abitanti.

Anche quando sappiamo benissimo che le guerre non sono volute dai popoli ma dai governi in carica, i quali riescono a convincere o a costringere i popoli a parteciparvi, non abbiamo il diritto di pensare che un embargo economico potrà stimolare un processo popolare di ribellione in atto. Un popolo si deve conquistare la democrazia da solo, con le proprie forze.

Questo per dire che in tempo di pace si possono porre sanzioni ai cosiddetti “Stati canaglia” solo sulla vendita delle armi o su beni strategici che possono aumentare la loro pericolosità bellica, la loro capacità offensiva. Al di fuori di questi casi sarebbe bene limitarsi alle sanzioni politiche, quelle che implicano l'espulsione dagli organismi internazionali, il ritiro degli ambasciatori, la chiusura dei consolati, il rifiuto di collaborare sul piano dell'intelligence o scientifico, ecc.

In tal senso penso sia stato giusto che l'ambasciatrice dell'Unione Europea, Isabel Brilhante Pedrosa, sia stata espulsa dal governo del Venezuela. Questo perché la UE ha imposto ben 55 sanzioni economiche al Venezuela, solo perché Maduro non si è dimesso, accettando di mandare al potere Juan Guaidó, da più parti definito “l'imbarazzante Obama venezuelano burattino della CIA”.

Può uno Stato estero affamare la popolazione di un altro Stato, già stremata per conto suo, solo perché il governo non ha rispettato le condizioni formali della democrazia durante le elezioni politiche nazionali? A quanto pare no, visto che dallo stesso ONU è arrivata una voce favorevole a Maduro: la relatrice Speciale delle Nazioni Unite sulle misure coercitive unilaterali e sui diritti umani, Alena Douhan, ha esortato gli USA, la UE e altri Stati a ritirare le sanzioni unilaterali imposte contro il Venezuela, poiché esse non hanno fatto che esacerbare “le calamità preesistenti, provocando una crisi economica, umanitaria e di sviluppo, con un effetto devastante sull'intera popolazione del Venezuela, in particolare sulle persone che vivono in condizioni di estrema povertà, donne, bambini, operatori sanitari, persone con disabilità o malattie croniche e popolazioni indigene”.

Parole analoghe venivano dette (e ancora oggi lo si fa) quando gli USA posero l'Iran sotto embargo subito dopo la rivoluzione islamica nel 1979, a causa dell'attacco all'ambasciata americana. Successivamente anche la comunità internazionale e l'ONU giustificarono l'embargo in risposta alla “non sospensione” del programma nucleare (una motivazione ridicola, poiché fatta da molti Paesi ampiamente nuclearizzati). Dal 2006 al 2012 le sanzioni vennero intensificate e benché mirassero a colpire la tecnologia nucleare, l'esportazione di armi, conti bancari o organizzazioni legate al nucleare, prostrarono di fatto l'economia del Paese, rendendo impossibile per gli iraniani procurarsi alcuni tipi di cibo, medicine, tecnologie mediche e altri beni.

Le sanzioni contribuirono a generare il crollo del valore della moneta iraniana nei confronti delle valute straniere, sconvolgendo la vita quotidiana della popolazione, alle prese con un aumento dei prezzi di qualsiasi prodotto a livelli vertiginosi. A causa delle sanzioni americane (mai finite) ancora oggi in Iran circa 15 milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà, ovvero il 20% della popolazione. Teoricamente le sanzioni non dovrebbero colpire direttamente l'importazione di beni a carattere umanitario e invece uno dei settori più colpiti è proprio quello medico-sanitario. Anche nelle farmacie più fornite delle grandi città non si trovano più i medicinali per i malati cardiopatici, per gli emofilici, per i malati di hiv/aids... Non è così facile sostituire il principio attivo di un farmaco con un altro.

Un altro drammatico problema legato alle sanzioni è l'inquinamento. Il blocco delle esportazioni verso l'Iran di tecnologia e componenti per la raffinazione e l'estrazione di gas naturale ha indotto le autorità a usare il gas prodotto da idrocarburi, che è altamente velenoso. L'effetto di questa scelta ha provocato la morte per smog di decine di migliaia di persone.

Da 30 anni gli aerei civili iraniani non vengono aggiornati con pezzi di ricambio. Conseguenza di ciò: più di 200 incidenti hanno causato la morte di circa 2.000 persone negli ultimi tre decenni.

A causa dell'embargo gli iraniani all'estero non possono aprire un conto corrente bancario o trasferire soldi (lo diremo meglio in un art. a parte). Le sanzioni hanno influito anche nel settore del turismo, in quanto le carte di credito internazionali in Iran non sono accettate e il turista ha come sola alternativa il contante.

Commercianti già facoltosi hanno ottenuto attraverso le sanzioni notevoli vantaggi, importando di contrabbando tutto ciò che manca sul mercato iraniano, e rivendendolo a prezzi esorbitanti.

E l'embargo è forse servito a togliere di mezzo il clero ultraconservatore al governo? Neanche per idea. Questi blocchi commerciali non sono forse una forma di genocidio? Non fu forse definito così quello che gli USA posero a Cuba dopo la rivoluzione socialista?

Queste cose le sappiamo da un pezzo, eppure noi occidentali continuiamo a farle. Oggi è il turno del Venezuela.

 

Ormai è ufficiale. I cittadini iraniani residenti in Italia stanno subendo il blocco di bancomat e carte di credito. Anche l'home banking ovviamente è interdetto.

Lo stanno facendo la banca ING, UniCredit, Intesa... cioè quelle che hanno una presenza internazionale. E quindi non succede solo da noi, ma anche in Spagna, nel Regno Unito...

Non conta da quanto tempo lo straniero iraniano vive in Italia: può essere anche un decennio. Né conta il titolo di studio o il permesso di soggiorno, che può anche essere illimitato e garantire un lavoro sicuro, con cui pagare le tasse e rispettare le leggi. Il conto corrente può anche essere stato aperto molti anni fa. Ora viene chiuso, punto. Senza neppure un preavviso: al massimo una lettera formale può arrivare un mese dopo e senza spiegazioni. Il direttore della filiale si può mostrare dispiaciuto, ma poi si trincera dietro ordini superiori.

Secondo l'Istat i cittadini iraniani residenti in Italia sono poco più di 12.000. Negli ultimi due o tre anni molti di loro si sono visti chiudere i conti correnti bancari. Tra le comunità straniere la loro è una delle più piccole, ma anche una delle più benestanti e inserite. Ci sono studenti, professionisti, artisti, commercianti, imprenditori, residenti di vecchissima data e nuove generazioni di studenti universitari. E c'è chi dopo gli studi ha deciso di restare.

Che sta succedendo? Quando mai le banche chiudono i conti correnti sulla base della nazionalità o della etnia o della provenienza geografica? Certo le banche possono chiuderli senza dare troppe spiegazioni, ma queste devono essere particolarmente gravi.

Pare che la vera motivazione stia proprio nel fatto che l'Iran è sottoposto a pesanti sanzioni economiche da parte degli USA, per cui si teme che attraverso i conti correnti dei cittadini iraniani residenti all'estero si possa ovviare a questo embargo. È diventato persino impossibile da parte dei genitori fare un bonifico ai loro figli studenti in Italia. Devono affidare contanti a un conoscente che viaggia o pagare intermediari.

L'Iran, come noto, è elencato dalla Commissione Europea tra i Paesi che hanno “deficienze strategiche” nel sistema di controlli sul riciclaggio di denaro proveniente da attività criminali o sul finanziamento del terrorismo internazionale. Questo però non impedisce a un cittadino iraniano residente in Europa di aprire un conto corrente. Tuttavia ogni sua operazione sarà soggetta a controlli molto approfonditi, soprattutto se vi sono operazioni in dollari. Quindi piuttosto che fare controlli onerosi su ogni transazione, la banca preferisce rinunciare ai piccoli correntisti.

Insomma si pensa che il blocco improvviso dei conti correnti sia proprio una conseguenza delle nuove sanzioni imposte all'Iran da Trump. Ora vediamo cosa farà Biden.

Di sicuro nessuna banca ammetterà mai una cosa del genere. Non sarebbe forse una violazione delle norme di legge? Da un punto di vista giuridico l'Iran non è un paese sottoposto a embargo da parte della UE, salvo eccezioni. Perché dunque un atteggiamento così remissivo nei confronti degli USA? La risposta è molto semplice: imprese e banche non vogliono correre il rischio di perdere l'accesso al mercato statunitense o di essere multati da Washington.

Le banche iraniane sono state di fatto escluse dal sistema Swift, il meccanismo digitale di garanzia dei trasferimenti internazionali interbancari, su cui gli Stati Uniti esercitano un forte controllo.

(La fonte di questo post è tratta dalla rivista “Internazionale” del 1 marzo 2021).

 

Importante indagine di OpenPolis, con tanto di grafici, sulla presenza delle donne nel mondo politico europeo, in riferimento al periodo 2004-19. Qui una breve sintesi.

Dal 26 gennaio 2021 l'Estonia ha, per la prima volta nella sua storia, una prima ministra, Kaja Kallas. Il che porta a 5 su 27 il numero di donne a capo degli attuali esecutivi dei Paesi UE (Germania, Danimarca, Estonia, Finlandia e Lituania). Anche la Commissione Europea al momento è guidata da una donna, Ursula von der Leyen.

Secondo i dati Eurostat, al 2019 sono donne solo il 31,4% dei membri di tutti i governi dei Paesi UE. Aumentano di più le donne nei governi di Francia, Slovenia e Italia (le ultime due partivano nel 2004 da livelli di rappresentatività femminile tra i più bassi d'Europa).

Addirittura in Finlandia (57,6%) e Svezia (52,2%) più della metà dei membri di governo sono donne, seguite da Austria e Spagna, entrambe a quota 50%. Al contrario, le donne risultano scarsamente rappresentate nei governi di Malta (8,7%) e Grecia (9,8%), gli unici con quote inferiori al 10% (a Malta addirittura la presenza femminile è calata di 7 punti dal 2004).

Oltre a Malta, l'unico altro Paese dove c'è stata una riduzione delle donne nei luoghi del potere politico è la Germania, passata dal 46,7% nel 2004 al 40,8% nel 2019, ma quella attuale resta la settima più alta di tutta la UE.

In Italia, nel governo Draghi, solo uno dei ruoli governativi di rilievo è ricoperto da una donna, Luciana Lamorgese, nuovamente nominata ministra dell'Interno, posizione già ricoperta nel governo Conte II. Nessuna donna è mai stata presidente del Consiglio, della Repubblica o ministro dell'Economia.

Osservando la composizione degli ultimi 10 esecutivi e di quello attuale, la presenza femminile tra i ministri italiani è solo del 21,8%, che si riduce al 15,5% se si considerano solo i ruoli governativi di maggiore rilevanza (presidente del Consiglio, ministro dell'Economia, ministro degli Esteri, ministro degli Interni, ministro della Sanità). Dal 2001 a oggi, solo tre delle posizioni chiave individuate sono state ricoperte da donne almeno una volta. Si tratta dei ruoli di ministro degli Esteri (Emma Bonino e Federica Mogherini), degli Interni (Annamaria Cancellieri e Luciana Lamorgese) e della Sanità (Livia Turco, Beatrice Lorenzin, Giulia Grillo). Il ministro della Sanità è il ruolo chiave ricoperto più spesso da una donna, negli ultimi 20 anni.

Il governo Renzi risulta essere quello con la maggior presenza femminile tra tutti i ministri, pari al 40%. Viceversa, nei governi Berlusconi II, III e IV i ministeri di maggior rilievo sono stati sempre presieduti da uomini.

Nel corso degli ultimi 20 anni, in quasi tutti i Paesi UE è stato introdotto un sistema di quote di genere, a livello legislativo o volontario, per le elezioni parlamentari.

Il nostro Paese è passato dal 9,9% di donne sul totale dei membri in parlamento nel 2004 (peggio di noi erano solo Malta, Cipro e Ungheria), al 35,8% nel 2019. Un aumento di 25,9 punti percentuali, il più ampio in Europa. Seguono, con aumenti superiori ai 20 punti, Francia e Portogallo.

Svezia e Finlandia hanno rispettivamente il 47,6% e il 46,5% di parlamentari donne (erano ai primi posti anche nel 2004). Nessun Paese ha il 50%.

L'Ungheria invece ha la quota più bassa: 12,2%; poi vengono Malta, Cipro, Romania, Croazia, Repubblica Ceca e Slovacchia, tutti con percentuali intorno al 20%.

 

[4] Cina e India, confini. Iran, Ahmadreza Djalali. Francia, sabbia radioattiva

 

Lo Yarlung-Tsangpo-Brahmaputra è uno dei più grandi sistemi fluviali del mondo. Nasce nei ghiacciai dell'Himalaya e attraversa il Tibet, l'India nord-orientale, il Buthan e il Bangladesh. Scorre anche in territorio cinese.

Fino a 20 anni fa era tra i fiumi meno sfruttati a fini energetici. Ora però sia la Cina che l'India han cominciato a costruire dighe lungo il suo corso. La prima nella parte tibetana del fiume e dei suoi affluenti. La seconda ha approvato la costruzione di oltre 100 nuove dighe, con l'obiettivo di precostituire dei diritti prioritari per contrastare le ambizioni cinesi sulle risorse idriche, ma anche per frenare la violenza delle alluvioni nella stagione dei monsoni, accentuata dai cambiamenti climatici, che stanno tra l'altro sciogliendo i ghiacciai dell'Himalaya, facendo aumentare la portata del fiume, che, se ben sfruttato, potrebbe assicurare fino al 40% del potenziale idroelettrico dell'India.

Si pensa che prima o poi scoppierà una guerra dell'acqua tra questi due colossi demografici, non essendoci intese bilaterali o trattati sul Brahmaputra. Esiste solo una collaborazione sulla previsione delle suddette inondazioni.

Per una questione di confini rivendicati dalla Cina, c'è già stata una guerra tra i due Paesi nel 1962, che l'India, nonostante l'appoggio degli USA, perse nettamente, vedendosi privare di un'ampia porzione di territorio himalaiano al confine nordoccidentale.

Dal 5 maggio 2020 truppe cinesi e indiane sono periodicamente impegnate in attacchi ravvicinati, scontri e scaramucce in varie località lungo i 3.500 km di confine che separano i due Paesi.

In particolare interessi contrastanti si stanno affrontando nel Buthan, per la costruzione di una strada sull'altopiano del Doklam, inerente all'obiettivo cinese della Nuova Via della Seta. L'India si oppone in via di principio alla realizzazione di tale obiettivo strategico di Pechino, convinta com'è di perdere la propria sovranità. Di qui i rapporti militari sempre più stretti con gli Stati Uniti.

In mezzo a queste ambizioni politiche ed economiche di enorme portata vi è il destino di circa 130 milioni di persone rurali che, con le loro comunità locali, dipendono nettamente dalle acque del bacino del grande fiume, e che vedono la costruzione delle dighe come una minaccia alla loro sopravvivenza.

 

Ahmadreza Djalali (1971) è un medico e docente iraniano, ricercatore di medicina delle catastrofi in diversi Paesi, tra cui Italia, Danimarca, Svezia e Iran. È stato accusato di aver fornito al Mossad informazioni per aiutare Israele a uccidere due scienziati di alto livello che operavano in ambito nucleare, come Masoud Alimohammadi e Majid Shahriari, uccisi tra il 2010 e il 2012.

Ha lavorato in diverse università europee, e collaborato con università iraniane, israeliane, saudite e statunitensi. In Italia ha svolto un ruolo fondamentale per un quinquennio nella creazione del Centro di Ricerca in Emergenza e Disastro dell'Università del Piemonte Orientale, per valutare il livello di preparazione degli ospedali nelle situazioni di emergenza, relative a terremoti, conflitti bellici, disastri chimici, biologici, radiologici e nucleari, nonché massicci afflussi di pazienti ai pronto soccorso. È uno scienziato di fondamentale importanza, riconosciuto a livello internazionale.

Nel 2016, mentre si trovava in Iran su invito dell'Università di Teheran e dell'Università di Shiraz, è stato arrestato per ordine del Ministero dell'Intelligence e della Sicurezza, senza un valido mandato o un motivo di arresto. Due settimane dopo, attraverso una presunta lettera del coniuge, portata come prova, è stato accusato di spionaggio e collaborazione con Israele. Per dieci giorni la sua famiglia non è stata informata del luogo della sua detenzione. Poi è stato trasferito nella prigione di Evin, dove è stato detenuto per altri sette mesi, in isolamento totale o parziale.

Il 31 gennaio 2017 il tribunale rivoluzionario di Teheran l'ha accusato ufficialmente di spionaggio. Nel processo gli è stato comunicato che avrebbe potuto essere condannato a morte. Al suo avvocato non è stato permesso d'essere presente all'udienza e gli è stato negato l'accesso ai fascicoli del caso.

Il 21 ottobre 2017 è stato condannato a morte con l'accusa di “corruzione sulla terra”. Un mese dopo il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite ha chiesto formalmente al governo iraniano di fornire informazioni dettagliate sulla sua detenzione, ma non ha ricevuto risposta. D'altra parte la Repubblica degli Ayatollah detesta l'ONU, poiché questo organo internazionale non si è quasi quasi mai opposto alle sanzioni economiche pretese dagli USA a carico dell'Iran.

Alla fine del 2018 una TV di Stato iraniana ha presentato Djalali come una spia, mostrando la sua presunta confessione, che però consisteva in un testo scritto in precedenza. È stato costretto a leggerlo, affinché i suoi parenti non subissero rappresaglie. Il suo avvocato ha tentato di presentare ricorsi per la revisione giudiziaria della sentenza, ma sono stati respinti.

Stoccolma gli ha concesso la cittadinanza svedese nel febbraio 2018, mesi dopo che la Corte suprema iraniana aveva confermato la pena di morte.

Il 29 luglio 2019 è stato nuovamente trasferito in un luogo sconosciuto, dove l'hanno torturato e minacciato di esecuzione capitale. I funzionari della sicurezza, quando hanno a che fare con soggetti dalla doppia cittadinanza, li costringono a confessare sotto tortura, privandoli così del diritto al processo.

Le sue condizioni di salute sono peggiorate fin dal suo primo arresto. Ha perso 24 kg. Ci sono fotografie in rete che lo dimostrano.

Molte organizzazioni internazionali e 153 vincitori del premio Nobel hanno inviato una lettera all'ayatollah Ali Khamenei, chiedendo il suo rilascio, ma non hanno ricevuto alcuna risposta. Ormai l'Iran si sente sempre più isolato e in conflitto col mondo intero. Non gli interessa minimamente che lo scienziato abbia la doppia cittadinanza, tant'è che non ha neppure risposto, nel 2019, alla richiesta del Parlamento europeo di processarlo secondo gli standard internazionali. E in quel Paese lui non è l'unico caso.

I funzionari iraniani della sicurezza e dell'intelligence, tra cui il Ministero dell'Intelligence e il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche, tendono a rifiutare l'accesso alle cure mediche per detenuti e prigionieri, oppure usano l'assistenza medica o il trasferimento in ospedale come scambio per una confessione.

In questo momento Djalali non ha contatti né col suo avvocato, né con la sua famiglia, né col consolato svedese.

Dopo la diffusione dell'attuale pandemia, le autorità iraniane hanno rilasciato 85.000 persone dalle carceri, compresi vari prigionieri politici, ma Djalali non era nell'elenco. A settembre 2020 è stata rilasciata un'intervista dal carcere in cui egli chiede al governo svedese d'intervenire per aiutarlo.

Lo scorso 24 novembre ha telefonato dal carcere per l'ultima volta a sua moglie, dicendole che sarebbe stato trasferito in isolamento nel braccio della morte e poi impiccato il giorno dopo. La sua condanna a morte, prevista per il 2 dicembre, è stata però rimandata. Ma il rischio di eseguirla resta elevato, anche perché quando ci si rende conto d'aver sostenuto per troppo tempo delle accuse assurde, non si può più far vedere ch'era tutta una montatura.

Al momento Djalali vive in una cella d'isolamento di 180×180 cm di spazio. Niente finestre e niente mobili. La cella è sporca, piena di formiche e scarafaggi, con solo tre vecchie coperte che devono essere utilizzate come materasso, cuscino e riparo dal freddo.

Secondo alcuni, l'Iran, attraverso il proprio rifiuto, spera di poter ottenere il rilascio di un diplomatico dell'ambasciata iraniana a Vienna, membro dell'Intelligence di Teheran: un certo Assadollah Assadi, condannato dal Tribunale di Anversa a 20 anni di carcere con l'accusa di terrorismo, in relazione all'attentato (sventato) contro una manifestazione della Resistenza iraniana (avversa alla Repubblica islamica) a Parigi il 30 giugno del 2018, cui partecipavano diversi esponenti di spicco della politica internazionale. Il piano prevedeva l'esplosione di una bomba. Insieme a lui sono stati condannati una coppia di affiliati che gli avevano consegnato l'ordigno, e un infiltrato dei servizi iraniani tra i simpatizzanti della suddetta Resistenza.

Pare dunque che le autorità iraniane vogliano ripetere quanto già avvenuto col caso di Kylie Moore-Gilbert, la ricercatrice britannico-australiana detenuta nelle loro carceri dal 2018, con accuse di spionaggio per conto di Israele; poi liberata, dopo 800 giorni, in cambio del rilascio di tre prigionieri iraniani in Thailandia, coinvolti in un complotto terroristico, fallito, nel 2012 a Bangkok, il cui scopo era di far fuori alcuni diplomatici israeliani.

A parte tutti questi retroscena di basso livello, una domanda vien spontanea porsi: in che senso gli islamici si possono vantare d'essere migliori dei miscredenti occidentali? Dov'è il loro Dio Misericordioso, il Compassionevole che dicono di pregare ben 5 volte al giorno? Dov'è Colui che tutto assolve? Il Giusto? Il Perdonatore? Dov'è, se mostrano d'essere molto peggio di noi? Tutti gli altri islamici del mondo non si vergognano di sapere che un Paese che professa la loro stessa religione, si comporta in una maniera così disumana?

 

La sabbia proveniente dal deserto del Sahara, che per alcune settimane di febbraio ha ricoperto auto, suolo, neve e reso arancione il cielo della Francia, contiene residui dell'inquinamento radioattivo (cesio-137) dei 17 test nucleari effettuati dalla Francia tra il 1960 e il 1966 nel sud dell'Algeria, all'epoca considerata un dipartimento francese. Il primo test venne effettuato con una bomba atomica da 70 kilotoni, 3-4 volte più potente della bomba che distrusse Hiroshima nel 1945.

Fortunatamente il quantitativo di radioattività non è oggi pericoloso per la salute, poiché il cesio-137 perde la metà della sua radioattività ogni 30 anni, ma di sicuro è un avvertimento serio per le nostre coscienze.

Negli anni '60 il governo di Parigi aveva effettuato numerosi test nucleari nella porzione del deserto del Sahara presente in Algeria, esponendo alle radiazioni sia i suoi soldati che le popolazioni sedentarie e nomadi algerine. Da quel primo test fino all'ultimo esperimento effettuato nella Polinesia francese nel 1996, la Francia ha effettuato 210 esplosioni nucleari, di cui 50 atmosferiche.

Ancora oggi le popolazioni locali del Sahara convivono quotidianamente con tracce di radioattività. Alcuni terreni restano fortemente contaminati, poiché la Francia non si è mai preoccupata di bonificarli.

Anche alcune zone italiane sono state interessate dal fenomeno della sabbia contaminata: Sicilia, Sardegna, una parte della Liguria, Piemonte e Val d'Aosta. In Europa la sabbia ha raggiunto Spagna, Portogallo, Svizzera, Belgio, Regno Unito e Irlanda.

Come noto, tra il 1945 e il 1980 Stati Uniti, Unione Sovietica, Regno Unito, Francia e Cina hanno effettuato 520 test nucleari, raggiungendo livelli stratosferici e disperdendo grandi quantità di prodotti radioattivi sulla superficie del globo, soprattutto nell'emisfero settentrionale. La Francia fu l'ultimo Paese a fermare gli esperimenti.

 

[5] Italia, prostituzione. Vittorio Messori. Cuba, vaccino

 

In questa pandemia è stato negato un sostegno materiale alle lavoratrici e ai lavoratori del sesso che si son trovati disoccupati, così come chiesto dal Comitato per i diritti civili delle Prostitute. Sicché molti di loro son stati costretti a ricorrere all'assistenza pubblica, come fossero indigenti.

Mi chiedo: anche quelli che vendono slot-machine son stati penalizzati dalla pandemia. Dovevano essere aiutati anche loro? Invece di dirci che non tutti i mali vengono per nuocere, ci dobbiamo preoccupare di come tenere in piedi dei lavori che di etico non hanno nulla? Peraltro i venditori di ludopatia pagano le tasse, le prostitute no.

Su questo “Il Fatto Quotidiano” (20 febbraio) non lo capisco. Anche se vendere il proprio corpo non sempre viene fatto perché si è succubi di un'organizzazione criminale o di un semplice sfruttatore, possiamo considerarlo un “lavoro”? Solo perché c'è una “domanda” da soddisfare?

L'articolista è arrivato a sostenere che la legge Merlin rese perseguibili i reati di sfruttamento e favoreggiamento, ma non il lavoro sessuale in sé. Ha fatto passare la Merlin per una democristiana di ampie vedute, quando invece era profondamente cattolica e non avrebbe mai accettato nessuna “libera prostituzione”. Il che non significa che l'abolizione delle case chiuse avesse aumentato il livello di eticità del Paese. Semplicemente aveva trasferito alla coscienza dei singoli la decisione se prostituirsi o meno. Come se per non farlo bastasse aver coscienza dell'immoralità dell'atto. Ma si sa che i cattolici guardano di più ai princìpi che non alle condizioni sociali.

In ogni caso è assurdo sostenere che uno Stato laico non deve esprimere giudizi di merito su un'attività come la vendita sessuale del proprio corpo. Non essendo “etico”, lo Stato – pontifica l'articolista – dovrebbe limitarsi a regolamentare le cose in maniera tale da renderle meno nocive possibile alla salute e alla sicurezza personale.

Vorrei dire a questo esponente della “laicità ad oltranza” che le leggi non si fanno solo per regolamentare degli interessi in gioco, ma anche per precisare dei comportamenti etici. Altrimenti sarebbe bene eliminare qualunque istituzione statale e lasciare che ognuno si comporti come meglio crede.

 

Secondo Vittorio Messori, giornalista e scrittore cattolico, la vita eterna dovrebbe essere il vero, unico, tema di cui parlare nella Chiesa. E si lamenta che il papato parli solo di attualità. Tant'è che dice: “La Chiesa oggi è una succursale dell'ONU. Non parla di vita eterna. Questa è riduzione al mondo. Ma Gesù non si occupò di politica, nella sua predicazione non condannò neppure la schiavitù. Venne a schiuderci le porte del paradiso”.

Chissà perché, se tanto ama la spiritualità, non si sia convertito alla Chiesa ortodossa. I vertici cattolici quando mai non hanno fatto politica? Quando mai si sono posti il problema di rinunciare a uno “Stato” della Chiesa?

Semmai avrebbe dovuto dire che la Chiesa romana parla di politica solo in senso conservatore o, nel migliore dei casi, in maniera del tutto astratta.

Ma come avrebbe potuto farlo, visto che a Gesù Cristo ha sempre negato qualunque personalità politica eversiva?

Messori si convertì tardi al cattolicesimo, ma lo fece nel peggiore dei modi, disprezzando profondamente la teologia della liberazione.

 

Da Cuba arriva il vaccino anti-Covid Soberana-2, essendo giunto all'ultima fase della sperimentazione. Ci vorranno oltre 150 mila volontari nel giro di poche settimane, poi il passo successivo sarà l'approvazione ufficiale e la distribuzione. Richiede tre dosi somministrate a intervalli di due settimane e non ha bisogno di essere conservato a bassissime temperature.

Loro ci sono riusciti, noi no. E l'han fatto in totale autonomia, in quanto finanziati completamente dallo Stato. Un Paese emarginato dalla geografia e dalla diplomazia ha fatto meglio di una delle 10 potenze al mondo come PIL. Il governo stima di poter produrre 100 milioni di dosi entro quest'anno, più che sufficienti per vaccinare il Paese (di 11,3 milioni di abitanti) e, forse, anche i turisti.

Non solo, ma il vaccino sarà completamente pubblico, gratuito e libero da brevetti, benché il Paese non disponga di attrezzature necessarie per esportarlo in tutto il mondo.

Peraltro non è chiaro se proteggerà dalle nuove varianti, una delle quali è già stata individuata sull'isola, portata dai turisti che han potuto tornare a Cuba a novembre, dopo una chiusura di sette mesi, che sicuramente ha peggiorato il già grave isolamento dell'isola, causato dal criminale embargo americano. Il numero di contagi è aumentato vertiginosamente: solo a gennaio ce ne sono stati più che in tutto il 2020.

Resta comunque incredibile un risultato scientifico del genere in un Paese dove non pochi abitanti faticano a comprare il minimo indispensabile per sopravvivere.

Negli ultimi decenni Cuba non è mai stata messa così male. E purtroppo continuano a restare in vigore le sanzioni commerciali imposte dagli Stati Uniti dal 1962 e aggravate da Trump. Per via dell'embargo Cuba non è stata in grado di modernizzare la propria economia, come invece han fatto Cina e Vietnam.

Eppure il settore biotecnologico resta di prim'ordine. Cuba vanta una lunga storia di ricerca scientifica, avendo più di 30 anni di esperienza nel campo della biotecnologia e dell'immunologia. Da sempre decine di migliaia di medici vengono inviati in tutto il mondo per fare attività di ricerca contro epidemie e catastrofi naturali. Già alla fine degli anni '80 produssero il primo vaccino contro la meningite B. Il Paese è riuscito a controllare con successo l'attuale pandemia, poiché il numero totale di decessi non supera i 304.

Cuba comunque si sta trasformando. Da tempo si è capito che il socialismo statale non è il socialismo migliore. Di recente sono stati aperti nuovi spazi all'attività privata: dai 127 settori in cui era consentito il “lavoro autonomo” si passa a tutti tranne 124 che rimangono prerogative dello Stato. La riduzione del settore pubblico non include le principali industrie come lo zucchero e il tabacco, e il governo non permetterà la concorrenza con lo Stato in settori chiave come la sanità o l'istruzione.

Il PIL di Cuba si è contratto dell'11% nel 2020 e la crisi di un alleato storico come il Venezuela ha esacerbato i problemi. Il governo sa che dovrà creare posti di lavoro per circa 300mila impiegati statali, che potrebbero rimanere disoccupati quando smetterà di sovvenzionare le aziende pubbliche.

Vi è poi il problema dell'inflazione. Da quando è stato abolito il sistema della doppia valuta (un pesos come moneta nazionale e un pesos convertibile in dollari), che esisteva dal 1994, il costo della vita è aumentato di parecchio e ormai i prodotti venduti dallo Stato a prezzo calmierato vanno esauriti in poche ore.

 

[6] USA, terrorismo islamico. Cina, obiettivi strategici. Turchia, dittatura culturale

 

Su “Il primato nazionale” un articolo sostiene che gli USA hanno sequestrato dei carichi di aiuti umanitari delle Nazioni Unite aventi come scopo il ritorno dei rifugiati siriani, collocati nel campo di al-Rukban, in patria. L'hanno fatto, con l'aiuto dei kurdi, per supportare le milizie irachene legate a Washington. Queste milizie sono terroristi pronti a riscattarsi dalle sconfitte subite in Siria e pronti a creare pretesti per un intervento americano in Iran.

In pratica la base statunitense di al-Tanf, nel sud-est della Siria, installata nel 2016, sarebbe un autentico centro di reclutamento di nuovi terroristi, benché il generale Joseph Votel, massimo comandante degli Stati Uniti per il Medio Oriente, abbia riaffermato la necessità della continua presenza del suo Paese in Siria per sradicare i combattenti dello Stato islamico e per contrastare la crescente attività iraniana nella regione.

Al-Rukban è un campo profughi che si trova nel sud del territorio siriano, in pieno deserto, vicino al confine con la Giordania. È uno dei posti più critici sul fronte delle condizioni di vita dei residenti. Il campo è infatti sovraffollato e vi scarseggiano servizi igienici, medicinali e beni di prima necessità.

Il governo USA non solo ostacola l'arrivo degli aiuti umanitari, ma cerca anche di ammassare gente in quel campo, impedendole poi di uscire. Col peggioramento delle condizioni di vita giungerebbero quindi più aiuti ONU, i quali verrebbero sequestrati e reindirizzati a gruppi armati terroristici tra Siria e Iraq.

Oltre a questo, ai residenti del campo vengono offerte due alternative: restare nel campo a soffrire il caldo e la fame o arruolarsi in uno dei suddetti gruppi armati, i quali grazie alla base americana di al-Tanf hanno libertà di spostamento tra Siria e Iraq. Molti disperati sceglierebbero così di servire nelle milizie piuttosto che soffrire nel campo profughi.

Insomma gli USA non vogliono andar via dalla Siria (esattamente come i turchi) né vogliono permettere di evacuare il suddetto campo profughi. Vogliono causare il collasso dell'economia siriana e impedire a Teheran di stabilire una linea di comunicazione dall'Iran, attraverso l'Iraq e la Siria, al Libano meridionale per sostenere il movimento di resistenza islamica libanese (Hezbollah). Questo vuol dire fare un grande favore anche a Israele.

La zona dell'ampiezza della base di al-Tanf è di 55 km e taglia l'autostrada Baghdad-Damasco. Controllando questa autostrada, gli USA assicurano che le consegne iraniane alla capitale siriana non possano avvenire via terra. La base può essere facilmente raggiunta sia da Baghdad che dalla Giordania. La base ospita rifugiati affiliati all'ISIS e milizie come Maghaweer al-Thowra, che hanno collaborato attivamente con l'ISIS. Questi gruppi ricevono addestramento dai soldati statunitensi.

Ricordiamo che gli USA sono in Siria senza il consenso di Damasco, né di quello dell'ONU. Non solo l'occupazione militare statunitense e britannica del territorio sovrano siriano è illegale, ma anche il “saccheggio” del petrolio siriano è proibito dalle Convenzioni dell'Aja. Le forze sostenute dagli Stati Uniti producono almeno 30.000 barili di petrolio al giorno.

Le forze speciali britanniche SAS operano a fianco delle forze statunitensi e dei terroristi sin dal 2016 in operazioni nascoste al pubblico. Infatti la SAS è esente dalle leggi sulla libertà d'informazione e opera secondo una rigorosa politica di “no comment”. La segretezza intorno al corpo è pervasiva. Gli inglesi hanno iniziato ad assistere e addestrare i primi ribelli siriani contro Assad sin dal 2011-12 dalle basi in Giordania. Nello stesso tempo la SAS ha anche iniziato a infiltrarsi in Siria e oggi si trova appunto nella base di al-Tanf.

Gli attacchi rivendicati dall'ISIS sia in Iraq che nella Siria orientale sono aumentati in modo significativo nel 2020, con omicidi, imboscate e bombardamenti. Questo anche perché i kurdi hanno rilasciato più di 600 combattenti dell'ISIS e 15.000 sostenitori dell'ISIS dal campo di al-Hol. Inoltre 785 combattenti dell'ISIS sono scappati da Ayn Issa durante i bombardamenti turchi.

 

L'appuntamento annuale della Conferenza politica consultiva del popolo (formata da diversi partiti e organizzazioni) e dell'Assemblea nazionale del popolo (il parlamento), è un grande momento del rituale politico in Cina, con 5.000 delegati in arrivo da tutto il Paese.

Nessuno dei due organi ha vero potere decisionale, ma l'evento viene usato dagli alti ranghi del Partito comunista per annunciare riforme importanti in campo economico e sociale. Il parlamento non riserva mai sorprese, perché deve solo ratificare decisioni prese dal partito. La democrazia politica in Cina è del tutto formale, tant'è che i due organi statali durano solo una settimana.

Oggi esistono alcune problematiche fondamentali per Xi Jinping e per il Pcc.

La prima è legata alla pandemia. Pechino vuol far dimenticare che il Covid-19 è partito dalla Cina, cancellare gli errori delle prime settimane che hanno ritardato l'allerta mondiale e creare un'epopea trionfale per il partito, che ha saputo sconfiggere il virus con metodi autoritari (quelli che noi non abbiamo avuto il coraggio di prendere).

La seconda problematica è quella della rivalità con gli Stati Uniti, acutizzatasi durante il mandato di Donald Trump a causa dei dazi doganali, e che sta peggiorando con Joe Biden, più disposto a usare la forza militare o comunque a scatenare una vera e propria guerra fredda con la Cina. E si sa che per Pechino gli USA restano la principale minaccia per lo sviluppo e la sicurezza.

La terza problematica riguarda il dissenso interno. Chiunque si permetta di criticare la posizione ufficiale del governo rischia pesanti conseguenze. Gli abitanti di Hong Kong l'hanno provato sulla propria pelle con l'incarcerazione di tutti i leader dell'opposizione democratica che non sono riusciti a espatriare.

La legge sulla sicurezza ha posto fine al principio “un paese due sistemi”, che in base agli accordi presi col Regno Unito nel 1997 avrebbe dovuto garantire almeno per 50 anni particolari libertà a Hong Kong.

Pechino sa benissimo d'essere criticata all'estero per la repressione delle recenti manifestazioni democratiche della città, per il destino degli Uiguri nello Xinjiang e per le minacce rivolte all'isola di Taiwan. Quindi è importante che su queste cose il potere controlli l'opinione pubblica interna.

A Hong Kong vi sarà presto un nuovo sistema elettorale per fare in modo che possano essere eletti a cariche rappresentative (nel parlamento unicamerale della città e nelle assemblee locali) soltanto i cittadini fedeli al Pcc. Sarà altresì vietata ogni forma di attività politica che si opponga al governo filocinese all'interno delle scuole della città. Insegnanti e studenti si dovranno controllare a vicenda sul rispetto delle leggi.

Persino l'accesso alla rete verrà regolamentato: cioè come già in tutta la Cina, così anche a Hong Kong non si potrà consultare siti non approvati dal governo (p.es. Facebook, Google, New York Times).

Come noto il governo di Londra ha da pochi mesi varato un nuovo programma d'immigrazione che permetterà a milioni di cittadini di Hong Kong di trasferirsi nel Regno Unito con un visto di 5 anni per vivere, studiare e lavorare. Trascorsi i 5 anni, potranno chiedere di restare per altri 12 mesi e poi di trasferirsi stabilmente, ottenendo la cittadinanza britannica.

Potranno però accedervi solo gli abitanti che avevano già la cosiddetta “nazionalità britannica d'oltreoceano”, uno status concesso ai residenti di Hong Kong che ne avevano fatto richiesta prima del 1997. Il governo inglese ha stimato che le persone che potrebbero legalmente usufruire del visto sono circa 2,9 milioni, a cui si aggiungerebbero altri 2,3 milioni di componenti delle loro famiglie. Un'ipotesi verosimile però è che si trasferiscano tra le 123mila e le 153mila persone entro il primo anno, e fino a oltre 300mila nei prossimi 5 anni. Naturalmente la cosa verrà osteggiata con ogni mezzo da Pechino.

Quanto al destino di Taiwan, la Cina impedirà sicuramente qualsiasi attività volta alla ricerca dell'indipendenza. L'isola autogovernata si è separata dalla Cina continentale nel 1949 dopo una guerra civile. Pechino rivendica Taiwan come suo territorio e nel passato ha minacciato di invaderla qualora cercasse di ufficializzare la sua indipendenza de facto.

La quarta problematica è quella di gestire il Paese nella prospettiva indicata del XX Congresso del Partito comunista, in programma l'anno prossimo. Il Congresso dovrebbe assegnare un terzo mandato a Xi Jinping, primo leader a conservare il potere così a lungo dai tempi di Mao.

Quanto alla situazione economica, più di 55 milioni di persone sono già state liberate dalla povertà negli ultimi cinque anni. L'assicurazione medica di base del Paese ha coperto oltre 1,3 miliardi di persone e l'assicurazione di base per la vecchiaia ha coperto quasi 1 miliardo di persone. Nel frattempo, negli ultimi cinque anni sono stati creati più di 60 milioni di nuovi posti di lavoro nelle aree urbane.

Il PIL cinese nel 2020 è cresciuto del 2,3%, portando il Paese a essere l'unica grande economia del mondo ad avere un segno positivo. Nel 2021 dovrà essere del 6%.

 

La Bosporus University (BOUN) è uno dei primi tre istituti di istruzione superiore della statunitense “Ivy League” in Turchia. Prevede corsi di laurea triennali. L'inglese è lingua ufficiale d'insegnamento.

La BOUN è stata la prima università americana fondata (nel 1863) al di fuori degli Stati Uniti dal ricco filantropo Christopher Robert e dal missionario Cyrus Hamlin della confessione protestante congregazionalista. Da subito accolse gli studenti appartenenti alle minoranze dell'Impero Ottomano: armeni, bulgari, greci, cristiani.

Il College è stato consegnato al governo turco nel 1971. Ancora oggi è uno degli atenei più importanti di tutta la Turchia, tant'è che il 70% degli studenti lo preferisce. Naturalmente gli islamisti turchi son sempre stati contrari alle tradizioni liberali e filo-occidentali della BOUN (soprattutto per la mescolanza dei due sessi nelle aule!).

Il 2 febbraio scorso la polizia turca ha arrestato più di 150 persone che protestavano pacificamente contro la nomina da parte di Erdoğan di un fedelissimo al suo partito, Melih Bulu, come nuovo rettore della BOUN. È la prima volta, dal 1971, che un laureato non BOUN viene nominato rettore dell'università. Studenti e professori protestano ancora oggi, perché vogliono eleggere in proprio il rettore, come sempre è stato fatto. In un mese gli arrestati (considerati dal governo al pari di terroristi) sono raddoppiati. La polizia ha anche fatto irruzione in alcune case dei manifestanti e ha barricato il campus BOUN. In particolare sono stati presi di mira gli studenti universitari LGBTQ, rappresentandoli come devianti dai valori turchi.

Per Erdoğan il dissenso giovanile va bene solo se protesta contro le idee a cui l'islamismo sunnita si oppone, non se protesta contro gli stessi islamisti. Dall'ondata di epurazioni post-golpe del 2016 sono stati travolti centinaia di docenti, licenziati su due piedi. Sono anche stati nominati, con decreto presidenziale, decine di nuovi rettori in altre università. Ora, controllando l'Università del Bosforo, Erdoğan è in grado d'imporre l'egemonia culturale islamica a tutto il Paese. Gli resta solo la Galatasaray University, un'altra rinomata università che ha la specificità d'essere francofona. Per far capire a Macron che non ha apprezzato il disegno di legge sul separatismo, Erdoğan ha imposto agli insegnanti di francese di conoscere anche la lingua turca.

Insomma, ormai il premier si pone come dittatore assoluto: è allo stesso tempo capo del Stato, del governo, delle forze armate, del partito di maggioranza; ha il potere di governare l'esecutivo, il legislativo e indirettamente la magistratura. È anche in grado di controllare completamente la stampa, cioè può fare chiudere i giornali o farli acquistare da parte di uomini d'affari vicini al suo partito. Il suo slogan parla chiaro: “uno stato, una bandiera, una nazione, una patria”. Insomma una società dove non ci siano differenze culturali e religiose.

 

[7] Israele, proiezione di potenza. USA, diritti umani. USA, Siria e Iran

 

Israele sta utilizzando i vaccini che ha ricevuto in più da Pfizer e Moderna, rispetto alle esigenze dei propri cittadini, per costruire alleanze volte a rafforzare l'occupazione della Palestina, senza fornire alcun sostegno nella lotta alla pandemia alla popolazione palestinese.

Netanyahu vuole infatti regalare un po' di vaccini a quei leader africani, europei, sudamericani maggiormente intenzionati a riconoscere Gerusalemme come capitale d'Israele e a trasferirvi l'ambasciata.

Senza contare che gli israeliani stanno imponendo il loro gas ai palestinesi a prezzo di monopolio, impedendo loro di sfruttare il proprio, che hanno al largo di Gaza, inutilizzato da quasi 30 anni. Stretta nel blocco israeliano da oltre 10 anni, Gaza è quasi priva di acqua realmente potabile, con poche ore di elettricità al giorno, con livelli di disoccupazione record, e ha bisogno di tutto. Hamas dovrà per forza evitare frizioni e scontri, altrimenti il flusso del gas per Gaza rischierà l'interruzione.

Last but not least, Israele si permette di bombardare nell'est della Siria, vicine al confine con l'Iraq, col consenso degli USA, 18 obiettivi legati a milizie appoggiate dall'Iran, paese alleato di Assad. Nell'ultimo attacco sarebbero state uccise 57 persone (14 soldati siriani e 43 miliziani).

Motivo? Il governo israeliano accusa l'Iran di voler rafforzare la propria posizione in Siria, per poi trasferire più facilmente armi ad Hezbollah, gruppo radicale sciita libanese che ha tra i suoi nemici proprio Israele. Cioè in pratica colpisce a titolo preventivo.

 

Nonostante la pubblicazione di un report dell'Intelligence americana, in cui si afferma che il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman ha approvato personalmente l'uccisione del giornalista del Washington Post, Jamal Khashoggi, Joe Biden ha deciso che il prezzo per penalizzare direttamente il principe è troppo alto, per cui non farà nulla contro la sua monarchia assoluta e teocratica, che da sempre è il maggiore finanziatore del fondamentalismo islamico in tutto il mondo e che viola continuamente e sfacciatamente gran parte dei diritti umani.

Biden non solo non comminerà nessuna sanzione contro l'Arabia Saudita, ma continuerà a considerarla come il principale alleato della Casa Bianca tra i Paesi arabi. Gli obiettivi americani sono altri: destabilizzare completamente la Siria e l'Iran, gli unici due Paesi mediorientali che gli USA non riescono a controllare come vorrebbero, soprattutto nelle loro risorse petrolifere.

Ricordiamo che il principe Mohammed bin Salman non solo ha imprigionato (o eliminato) tutti i pretendenti al trono della famiglia reale, non solo è un alleato indispensabile degli Stati Uniti in Medio Oriente, in quanto può esercitare una certa influenza su tutti gli Stati del Golfo, ma è anche l'ispiratore di quegli “Accordi di Abramo”, voluti dagli USA, che puntano a creare un'enorme area di mercato e un nuovo potente soggetto geopolitico imperniato sull'alleanza stretta, politica ed economica tra Israele e i Paesi arabi.

Mohammed bin Salman è anche il promotore di un poderoso progetto, “Vision 2030”, che punta a sottrarre l'Arabia Saudita dalla dipendenza dal petrolio e a investire centinaia di miliardi di dollari per lo sviluppo in un futuro prossimo di un'economia saudita basata su hi-tech, industria, servizi e persino turismo. È un progetto che coinvolge nel finanziamento, nell'esecuzione e nella realizzazione tutte le grandi compagnie americane.

Mohammed bin Salman è il leader di quella “trincea sunnita” (ora anche a difesa d'Israele!) contrapposta agli ayatollah sciiti dell'Iran, che l'Amministrazione Biden intende contrastare con ogni mezzo, proseguendo il trend iniziato nel 1979.

Insomma Biden è contro la violazione dei diritti umani solo quando gli fa comodo. Per es. nei confronti della Cina, per la questione di Hong Kong e degli Uiguri.

 

Il governo di Joe Biden, senza nemmeno degnarsi di chiedere, come avrebbe dovuto, il consenso del Congresso, ha colpito con un raid aereo una postazione di frontiera controllata dalle milizie irachene filo-iraniane, nel territorio siriano, al confine con l'Iraq, tra Albu Kamal e Al Qaim.

I morti sono stati 22. Appartenevano alle “unità di mobilitazione popolare”, diventate note per il ruolo giocato sia nell'Iraq occidentale che nella stessa Siria nel determinare la sconfitta del progetto statale dell'ISIS, che peraltro è ancora pericolosamente in azione, sempre ai confini tra Siria e Iraq: in particolare la base statunitense di al-Tanf, nel sud-est della Siria, li sta spalleggiando.

Queste unità popolari avevano già subìto l'uccisione del loro segretario generale, Abu Mahdi al Muhandis, nello stesso raid USA che il 3 gennaio 2020 uccise il generale iraniano Suleimani.

Il Pentagono ha spiegato che il suddetto raid è in risposta all'attacco missilistico contro una base aerea statunitense nel Kurdistan iracheno, avvenuto lo scorso 15 febbraio, nel quale ha perso la vita un contractor civile filippino e sono rimasti feriti alcuni militari statunitensi e di altre forze della coalizione.

I missili erano stati lanciati da un'area vicina al confine con la provincia di Kirkuk ed erano stati rivendicati da un gruppo sciita che si fa chiamare Guardiani del Sangue. L'Iran nega di avere legami con queste milizie terroristiche.

Da notare che gli USA hanno ancora in Iraq circa 3.000 militari, nonostante il parlamento irakeno abbia approvato una mozione a favore dell'espulsione di tutti loro. E hanno allestito diverse basi in Siria con alcune migliaia di militari. Continuano a volere la fine di Assad, il cui Paese è al collasso economico per colpa loro, e sono pronti a fare la guerra contro l'Iran, poiché è l'unico Paese islamico nel Medio Oriente che non riescono a controllare come vorrebbero, se non attraverso il criminale embargo in vigore dal 1979.

 

In Siria, stando ai dati dell'ONU, son quasi 11 milioni le persone che richiedono assistenza e protezione, mentre più di 9 milioni non dispongono di quantità di cibo sufficiente a soddisfare il proprio fabbisogno. Inoltre, sarebbero necessari 6 miliardi di dollari per sostenere i circa 6,6 milioni di siriani fuggiti dal Paese, nel quadro di quella che è stata definita una delle peggiori crisi di rifugiati a livello internazionale.

Eppure gli Stati Uniti continuano a imporre nuove sanzioni alla Siria, prendendo di mira anche la Banca Centrale del Paese e la moglie del presidente, nel continuo sforzo di tagliare i fondi del governo di Bashar al-Assad e spingerlo a negoziare una soluzione politica. Confiscano anche gli aiuti militari dell'ONU dirottandoli verso formazioni terroristiche addestrate da loro.

Le nuove sanzioni coinvolgono funzionari militari siriani, membri del Parlamento, entità governative, nonché aziende e cittadini siriani e libanesi, accusati d'aver tentato di rilanciare l'industria petrolifera siriana: per es. il generale Ghassan Jaoudat Ismail (capo dell'Intelligence dell'aeronautica militare siriana), Amer Taysir Khiti (rappresentante siriano all'Assemblea parlamentare del Mediterraneo), Milad Jedid (comandante del 5° Corpo dell'Esercito Arabo Siriano) e vari uomini d'affari, mentre tra le compagnie coinvolte vi sono Arfda Petroleum Private Joint Stock Company e Salizar Shipping, con sede in Libano e Siria. Nell'elenco c'è anche il Ministero del Turismo!

Si vogliono congelare tutti i beni posseduti negli USA di coloro che sono stati inseriti in una famigerata “lista nera”, cioè si vuole impedire ai cittadini statunitensi e non di avere a che fare con le persone e società elencati in quella lista. Sarà loro vietato di entrare nel sistema finanziario e persino nel suolo statunitense. In particolare si cerca di bloccare i proventi derivanti dalle risorse petrolifere.

Da un decennio la Siria è già soggetta a sanzioni imposte dagli USA e dalla UE. I beni dello Stato sono già congelati e vengono ostacolate le attività di centinaia di aziende e individui. In teoria nessuno può esportare neanche uno spillo in Siria. Sin dall'inizio della guerra gli USA si sono ritenuti gli unici in grado di giudicare se il governo di Assad è democratico o no. E pretendono che il “nemico” (aiutato da Mosca, Iran e dalle milizie libanesi di Hezbollah) scenda a patti dopo averlo immobilizzato del tutto. La UE è completamente succube di questa smaccata violazione dei diritti umani, per non parlare dell'ONU.

 

[8] Ecocidio. Svizzera, referendum sul velo. Nord Corea, economia

 

Come noto, il genocidio (la distruzione deliberata di un gruppo di persone) è diventato perseguibile dalla Corte Penale Internazionale, insieme ai crimini contro l'umanità, ai crimini di guerra e al reato di aggressione commesso da uno Stato contro un altro Stato.

Oggi c'è un movimento, nato nel 2020, che si batte affinché a questi quattro crimini ne sia aggiunto un altro: la distruzione degli ecosistemi e dell'ambiente, ossia l'ecocidio.

Il gruppo di avvocati esperti di diritto internazionale che si sono messi al lavoro per definire in modo formale il reato di ecocidio, è guidato da Philippe Sands, un avvocato anglo-francese esperto in diritto internazionale, e dalla senegalese Dior Fall Sow, ex procuratrice internazionale delle Nazioni Unite.

Una bozza di definizione dovrebbe essere resa nota a giugno. Si spera venga adottata come emendamento allo Statuto di Roma, che regola il lavoro della Corte Penale Internazionale. Si ricorda che il suddetto Statuto è stato sottoscritto da 123 nazioni.

L'ecocidio dovrebbe basarsi sull'idea che la protezione dell'ambiente va intesa come fine a se stessa, a prescindere da qualunque discorso antropocentrico.

La convenzione sul genocidio delle Nazioni Unite proibisce già “di sottoporre deliberatamente” il gruppo aggredito “a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica”. A ciò si potrebbe aggiungere che va proibita la devastazione degli ecosistemi su cui quel gruppo basa la sua sopravvivenza.

Nel 1972, alla conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente di Stoccolma, Olof Palme, all'epoca primo ministro svedese, accusò il governo statunitense di ecocidio per l'uso che fece, durante la guerra in Vietnam, dell'agente arancio, un defoliante costituito da due diversi erbicidi e contenente diossina, usato per defogliare le foreste e far appassire i raccolti. Vaste aree del Paese furono rese sterili.

Le prime bozze dello Statuto di Roma includevano il reato di “grave danno ambientale”, che però alla fine non è stato adottato, se non come disposizione, inclusa tra crimini di guerra, che proibisce “tecniche di modifica ambientale”, come l'agente arancio, che hanno “effetti diffusi, durevoli o gravi”.

La campagna per includere l'ecocidio nei crimini internazionali contro la pace è stata portata avanti anche e soprattutto da Polly Higgins, avvocata e attivista morta nel 2019.

Da notare che all'inizio del 2021 una causa di ecocidio è stata presentata al tribunale dell'Aja da alcuni leader indigeni contro il presidente brasiliano Jair Bolsonaro per la deforestazione dell'Amazzonia.

 

Gli elettori svizzeri e la maggioranza dei Cantoni si sono pronunciati nell'ultimo referendum a favore del divieto del velo integrale (la cosa già esisteva in due Cantoni: Ticino e San Gallo). Il Paese elvetico metterà quindi al bando in tutti i luoghi pubblici il burqa e altri veli che coprono il volto, come il niqab, indossati dalle donne di fede islamica.

La legge vieta anche la copertura del viso con passamontagna e bandane usati nelle manifestazioni, e impedisce di nascondere il volto per uno scopo criminale o terroristico.

Il 51,2% dei votanti e 20 Cantoni su 26 si sono espressi a favore del divieto. Come già avevano fatto, in maniera però insensata, nel 2009, quando con un altro referendum voluto dalla destra avevano proibito la costruzione di minareti, comportandosi esattamente come i musulmani che nei loro Paesi non permettono ai cristiani di costruire delle chiese più alte delle loro moschee.

Curioso che la destra (Comitato di Egerkingen) abbia voluto parlare del referendum come di una decisione da prendere contro la “dissimulazione del proprio volto”. Quando mai le donne islamiche si coprono il viso per dissimularlo? Il velo è una tradizione che indica un controllo del corpo femminile da parte dell'uomo, in forme più o meno radicali, in quanto c'è differenza tra il burqa imposto dai talebani, che non lascia trasparire nulla del corpo femminile, al semplice chador usato in Iran, che permette di vedere l'intero volto e che indica un certo stato sociale, in quanto le prostitute non possono portarlo.

Quando, nel 1936, Reza Scià il Grande bandì il chador, considerandolo incompatibile con le sue ambizioni di ammodernamento, il clero sciita gli rimproverò di voler mettere “nude” le donne in pubblico. E nel 1979 Khomeyni fece pagare ai Pahlevi anche questo affronto.

Votare contro le donne velate in sé non avrebbe quindi avuto alcun senso, proprio perché nell'uso del velo non c'è un consenso spontaneo da parte della donna, a meno ch'essa non abbia introiettato dentro di sé una tradizione maschile come un'usanza naturale.

Al massimo si può pensare che il velo sia una forma di pudicizia o di riservatezza, per tutelare la donna da occhi indiscreti, come già pensavano di dover fare in pubblico, nel passato pre-islamico, quelle della classe dirigente greca e bizantina.

Il governo e il parlamento svizzero han ritenuto eccessiva l'iniziativa, in considerazione del basso numero di casi di burqa o niqab nel loro Paese (solo una trentina di donne li indossano).

Ma anche questo non ha alcun senso, poiché non è questione di poche o molte donne. Le donne islamiche che giungono in un qualunque Paese europeo devono sapere che coprirsi il volto può essere considerato pericoloso o sconveniente o imbarazzante, in quanto non permette di identificare la persona o di avere un rapporto normale. Detto questo, possono portare tutti i veli che vogliono. Solo il laicismo fanatico della Francia impedisce di farlo nelle scuole pubbliche. Per il resto si sa che nella cultura islamica i capelli femminili hanno un'importanza considerevole, in quanto ritenuti oggetto di forte seduzione. E non sarà certo una legge a mutare le opinioni.

In ogni caso, per quanto riguarda i Cantoni, la maggioranza contraria al divieto di dissimulazione del volto (registrata in 6 su 26) include le città più significative: Zurigo, Ginevra e Basilea, e la capitale Berna. Segno che la gente, col tempo, ci fa l'abitudine, e siccome vede che gli islamici sono sempre molto suscettibili su determinate cose delle loro tradizioni, preferisce, per quieto vivere, lasciar correre. Senza però rendersi conto che anche questo atteggiamento è sbagliato. Quando si va a vivere in un Paese straniero, un minimo di uniformità deve esserci, altrimenti l'integrazione diventa impossibile. La società non è un insieme di gruppi separati, che si tollerano con fastidio, sospetto o indifferenza. Questo, indipendentemente da quel che dice la legge in merito alla copertura del corpo.

Anche solo il fatto che un gruppo nettamente dominante, presente in diverse e famose destinazioni turistiche della Svizzera, tolleri una piccola minoranza islamica le cui donne portano il niqab, fa pensare che lo si faccia solo per un interesse economico. Non è questo il modo migliore per affrontare il problema dell'integrazione, che è cosa culturale e valoriale.

In ogni caso l'esito del referendum obbliga a modificare la Costituzione federale. Si dovrà però specificare, come aveva precisato il partito populista di destra UDC, che ci si può coprire il viso quando vi sono “motivi inerenti alla salute, alla sicurezza, alle condizioni climatiche e alle usanze locali“. Si pensi all'attuale pandemia, che di colpo ci ha costretti a coprire il volto come se fossimo diventati dei Tuareg nel deserto.

 

La Corea del Nord è al collasso. Isolata dalla comunità internazionale (se escludiamo Cina e Russia); sottoposta da anni a sanzioni commerciali per il suo programma atomico e missilistico; emergenza Covid-19 come in tutto il mondo; alte temperature, siccità, inondazioni e una serie di tifoni hanno colpito il Paese la scorsa estate; circa 18 milioni di persone, tra cui 1,3 milioni di bambini sotto i cinque anni, sono malnutriti a causa delle misere razioni di cibo giornaliero distribuite dallo Stato (la metà di quelle raccomandate dall'ONU); nel 2019 la produzione agricola ha toccato il livello più basso dal 2008. Mancano 1,4 milioni di tonnellate di cibo.

Secondo il Dipartimento USA dell'Agricoltura (USDA) più di 16 milioni di persone hanno assunto nel 2020 meno di 2.100 chilocalorie al giorno: peggio di loro in Asia solo Yemen (92%) e Afghanistan (67,3%), due zone di guerra.

Kim Jong-un ora punta sull'autosufficienza e sull'autarchia, come il fascismo dopo le sanzioni economiche causate dall'invasione dell'Etiopia. Però nello stesso tempo chiede di sviluppare settori come costruzioni, trasporti e comunicazioni, con un'attenzione particolare alla telefonia mobile e allo sviluppo di un'industria nazionale dell'energia nucleare. Cioè non si rende conto che tutte queste cose sono incompatibili con qualunque forma di autarchia, che storicamente è esistita solo nelle società agricole del mondo feudale o pre-schiavistiche.

Il premier non vuole accettare l'idea che il socialismo statale è una contraddizione in termini, già in bancarotta sin dal tempo di Gorbaciov, e che non sopravviverà neppure nella forma semi-capitalistica cinese, nonostante le apparenze dicano il contrario.

È inutile sostituire tutti i responsabili della politica economica, oppure ordinare l'ingrandimento dei campi di prigionia del Paese (al momento esistono, solo per i prigionieri politici, cinque campi di lavoro). Non servirà a niente punire con la pena di morte o i lavori forzati quanti manifestano idee anti-socialiste, poiché il socialismo che si vuole continuare a imporre come modello ha fatto il suo tempo.

L'occidente va semmai contestato in altre forme e modi. Per es. pratica gli embarghi in forma genocidaria, portando alla fame intere popolazioni, senza che ciò serva minimamente ad abbattere i governi autoritari in carica. Inoltre isola economicamente i Paesi che vogliono avere l'atomica invece di isolare quelli che l'hanno già. Possiamo qui ricordare che il 22 gennaio 2021 è entrato in vigore, come diritto internazionale, il Trattato ONU sul divieto delle armi nucleari.

 

[9] Africa, economia. Qatar, economia. Cina, militarismo e trapianti

 

Josefa Sacko – Commissario all'Economia e all'Agricoltura dell'Unione Africana – ha detto che lo sviluppo dell'Africa passa attraverso l'agricoltura moderna, il rafforzamento della blue economy e il contenimento del cambiamento climatico. E ha aggiunto che è assurdo che il continente spenda ogni anno 45 miliardi di dollari per comprare alimenti da altri Paesi, quando possiede il 60% di terra arabile. L'Africa non ha neppure sufficienti riserve alimentari per fronteggiare qualsiasi tipo di evento improvviso, dai disastri ambientali alle pandemie.

Ha infine lamentato che mentre le donne rurali rappresentano nel continente oltre la metà della forza lavora agricola, solo 1/5 di loro possiede la propria terra.

D'altra parte l'Africa è stata interamente colonizzata dall'Europa e ancora oggi soffre parecchio di tale dipendenza. Si può pretendere che ritorni come un tempo?

 

Sono circa 6.500 i migranti morti in Qatar lavorando alla preparazione dei mondiali di calcio previsti per il 2022. Lo dice “The Guardian”, secondo cui i migranti provenienti da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh, Sri Lanka sono ancora oggi costretti a lavorare a temperature altissime, senz'acqua e in pessime condizioni igienico-sanitarie. Il bilancio totale delle vittime sarebbe addirittura ancor più alto, in quanto i dati non tengono conto del numero di decessi di migranti operai provenienti da altri Paesi, come Filippine o Kenya. Causa indeterminata, morte naturale, ferite multiple: sarebbero queste le cause di decesso indicate più frequentemente.

Nell'ultimo decennio il Qatar ha intrapreso un programma di grandi costruzioni proprio in vista di quei mondiali: sette stadi, hotel, un aeroporto, strade... In media sono deceduti almeno 12 migranti lavoratori ogni settimana, a partire dal dicembre 2010, ossia da quando il Paese si è aggiudicata l'autorizzazione a gestire i mondiali.

Ma perché così tanti morti? Il motivo è molto semplice: i due milioni di migranti che lavorano nel Paese (che nel 2020 aveva 2.805.000 abitanti) sono spesso soggetti al sistema detto “kafala”, che li trasforma in moderni schiavi salariati, totalmente privi di diritti. Proprio come in Arabia Saudita.

Questo sistema prevede che il datore di lavoro abbia il potere di gestire i visti dei propri dipendenti. Di conseguenza i lavoratori migranti non sono in condizioni di denunciare le imprese private sfruttatrici, temendo ritorsioni e possibili espulsioni dal Paese in cui risiedono.

Questo sistema è stato abolito solo lo scorso settembre per ovvie ragioni di opportunità: troppo tardi però per gli oltre 6.500 lavoratori! Rendendosi conto di questa vergogna, pare che l'emiro abbia definitivamente eliminato tutte le restrizioni previste per gli operai stranieri, introducendo anche un salario minimo mensile di 1.000 riyal del Qatar, indennità e sussistenza di base. Cioè circa 275 dollari, più un'altra indennità per gli alimenti e un'altra ancora per l'alloggio, se ciò non è fornito dall'azienda.

In particolare la nuova normativa permette ai migranti di cambiare mestiere senza il permesso del loro datore di lavoro. Avranno però l'obbligo di lasciare l'impiego, dando un preavviso di un mese, se hanno lavorato per meno di due anni, o di due mesi se l'han fatto per più a lungo.

Tuttavia, nonostante ciò, i migranti restano ancora strettamente legati ai loro datori di lavoro, che fungono da “sponsor” (kafeel) per tutta la durata del loro impiego. Infatti è da loro che dipende la richiesta e il rinnovo del permesso di soggiorno. E sono sempre loro che li denunciano quando lasciano il lavoro “senza permesso”.

Inoltre la confisca dei passaporti sembra rimanere diffusa, in particolare tra i 173.000 lavoratori domestici del Paese.

 

Stando ad “Askanews”, Pechino, alla fine del 2020, ha costruito la più grande flotta navale militare al mondo: in totale 360 navi militari, superando gli USA di oltre 60 unità.

Sei anni fa poteva contare su 255 navi, cioè un centinaio in meno! Quale Paese al mondo potrebbe competere con una produttività del genere? Tra il 2014 e il 2018 la Cina ha costruito più sottomarini, navi da guerra, navi anfibie e ausiliari di quello che hanno fatto, tutti insieme, Germania, India, Spagna e Regno Unito. Qui dovremmo dar ragione a Hegel: a un certo punto la quantità fa la qualità.

La forza militare della Marina cinese si è più che triplicata in soli due decenni. Si sono costruiti moderni mezzi di superficie, sottomarini, portaerei, jet da combattimento, navi d'assalto anfibie (che potrebbero far sbarcare migliaia di soldati su coste nemiche), sottomarini con missili nucleari balistici, grandi navi della Guardia costiera e rompighiaccio polari. Sono navi sempre più sofisticate e capaci. Nelle pattuglie e nei mezzi combattenti costieri (corvette ecc.) la Cina è già nettamente superiore agli USA.

Non si procede a questi livelli e in così poco tempo se non si ha intenzione di scontrarsi prima o poi con gli USA, che controllano tutti i mari. Non è più possibile sostenere, da parte del governo cinese, che il suo esercito ha natura solo difensiva.

Negli anni 1970-80 ci si era limitati a piccole scaramucce contro la marina militare vietnamita (ma anche contro forze filippine) per contendere le isole Spratly e le isole Paracelso. Successivamente vi sono state varie azioni minacciose nei confronti di Taiwan, considerata una “provincia ribelle”.

Poi la Marina effettuò una missione contro la pirateria al largo delle coste somale e intorno al 2000 cercò di ostacolare il pattugliamento elettronico statunitense nel Mar Cinese Meridionale. Ma più che altro ci si fermava alle minacce o intimidazioni.

Forse la crisi davvero pericolosa è stata quella del 2012-14 quando la Cina pareva intenzionata a sottrarre al Giappone le isole Senkaku, che un tempo appartenevano a Taiwan quando questa apparteneva alla Cina. Il Giappone non ha mai voluto restituirle a Taiwan, limitandosi a tenerle disabitate per non creare turbative con la Cina.

Ora un ulteriore incremento, fino a 400 navi da guerra, è previsto entro il 2024. Il Dragone sta diventando sempre più bellicoso. Entro quella data Washington dovrebbe raggiungere l'obiettivo di una dotazione di 355 navi militari.

Va però detto che gli USA possono disporre più di 330.000 effettivi in Marina, mentre la Cina solo di 250.000, anche se in totale può disporre di due milioni di militari. Inoltre la Marina degli USA schiera più tonnellaggio (navi armate più grandi e pesanti come cacciatorpedinieri e incrociatori con missili guidati), con un vantaggio significativo nella capacità di lancio dei missili da crociera. Hanno anche più di 9.000 celle missilistiche a lancio verticale sulle loro navi di superficie, contro le 1.000 della Cina.

Infine la flotta di sottomarini d'attacco conta su 50 mezzi interamente a propulsione nucleare: il che offre agli USA un vantaggio significativo in termini di autonomia e resistenza. Pechino possiede infatti solo 7 sottomarini a propulsione nucleare sui 62 complessivi della sua flotta.

Tuttavia gli USA non saranno in grado di garantire nei prossimi anni un aumento del budget annuale per la Difesa del 6,8% del PIL, come invece ha dichiarato di voler fare il governo cinese.

Ma chi è che costringe la Cina ad armarsi in una maniera così preoccupante? Per quale motivo con gli americani non è possibile la sola competizione economica? Dove sta scritto che la Marina americana debba controllare gli stretti e le rotte di transito delle merci di tutto il mondo? La prossima guerra mondiale vedrà per forza gli oceani maggiormente protagonisti rispetto a quanto accaduto nella seconda.

 

In “Epoch Times” viene riportato un recente intervento, piuttosto sconcertante, del deputato statunitense Greg Steube circa una presunta pratica del Partito Comunista Cinese di uccidere i prigionieri di coscienza del Falun Gong per vendere i loro organi.

Oltre a ciò ha anche citato la detenzione di oltre un milione di Uiguri e di altre minoranze musulmane nella regione cinese dello Xinjiang, dove ai prigionieri, per lo più detenuti nel braccio della morte, vengono prelevati gli organi e venduti al mercato dei trapianti. Pare però che la popolazione carceraria composta da praticanti del Falun Gong abbia sostituito gli Uiguri come fonte principale degli organi.

Falun Gong (o Falun Dafa) è una disciplina fondata nel 1992 da Li Hongzi, un funzionario cinese che in gioventù fu allievo di maestri buddisti e taoisti. Vi si coniugano ginnastica e meditazione, spiritualità e rigore morale, intorno ai tre principi cardinali: verità, compassione e tolleranza.

Dopo il sostegno iniziale, dal 1999 il regime guidato dal leader del Pcc Jiang Zemin cominciò reprimere i seguaci e la pratica del Falung Gong, diventato pericolosamente popolare. Nel 1998 il governo stimava che fossero oltre 70 milioni i seguaci.

Al dire del Falun Dafa Information Center, milioni di praticanti sono stati gettati in prigioni, reparti psichiatrici e campi di lavoro, mentre centinaia di migliaia sono stati sottoposti a varie torture, per costringerli a rinnegare la loro fede e a subire l'indottrinamento politico del regime. Ora l'accusa è anche quella di espianto dei loro organi.

La Cina è seconda al mondo per numero di trapianti effettuati, e questo senza procedure stabilite per la donazione di organi o senza un sistema nazionale di allocazione degli organi. Tant'è che i tempi d'attesa promessi da medici e ospedali cinesi sono incredibilmente brevi, non plausibili nei normali sistemi di donazione volontaria di organi. Spesso bastano poche settimane per organi come reni, fegato e cuore.

Il numero di trapianti, condotto effettivamente in Cina, non è coerente con i dati forniti dal sistema cinese di donazione volontaria. Infatti, in base all'analisi delle infrastrutture e della capacità di 146 ospedali cinesi, una stima prudente è che ogni anno vengano condotti tra i 60 mila e i 90 mila trapianti: un dato molto maggiore rispetto a quello di 10-20 mila fornito dal regime.

Questo ha reso la Cina una delle destinazioni principali per il “turismo dei trapianti” e un luogo importante per i test sui farmaci antirigetto. Il commercio di organi umani costituisce anche una fonte di reddito per le strutture mediche, militari e di pubblica sicurezza cinesi. Gli ospedali ottengono gli organi tramite mediatori locali, che s'interfacciano con tribunali, centri di detenzione e prigioni.

I pazienti che ricevono un organo in Cina non vengono informati circa l'identità del donatore, né ricevono alcun documento che attesti il suo consenso. Non conoscono neppure l'identità del personale medico e dei chirurghi.

Si sa che per ragioni culturali il Paese ha tassi estremamente bassi di donazioni di organi volontarie, per cui fino al 90-95% degli organi trapiantati proviene necessariamente da prigionieri giustiziati.

Nel 1984 il governo cinese approvò una norma per consentire la rimozione di organi da criminali giustiziati, a condizione che esprimano un previo consenso, o nel caso in cui nessuno ne rivendichi il corpo.

Ora si tratta di vedere se questa norma viene davvero rispettata. E comunque è facile capire che se si possono espiantare gli organi ai criminali condannati alla pena capitale (per lo più disconosciuti dai parenti o del tutto privi), sarà impossibile che qualcuno verifichi il loro effettivo consenso. Anzi ci sarà una ragione in più per comminare sentenze capitali invece che pene di altro genere. Non a caso è a partire dagli anni '90 che si parla di abusi derivanti dal consenso forzato e dalla corruzione. Già nel 2006 l'Associazione medica mondiale ha chiesto che la Cina cessi il prelievo di organi dai prigionieri condannati a morte, poiché essi non sono nelle condizioni per esprimere il proprio consenso in modo appropriato.

Nel marzo 2014 i membri della Commissione italiana per i diritti umani del Senato hanno adottato all'unanimità una risoluzione che chiede l'immediato rilascio dei praticanti del Falun Gong e altri prigionieri di coscienza in Cina, sollecitando gli ospedali italiani a riconsiderare le collaborazioni con la Cina in materia di trapianti d'organo.

Nel 2015 il Senato italiano ha adottato un disegno di legge che rende il traffico di organi da donatori viventi un crimine.

 

[10] Animali allevati in gabbia. Arabia Saudita, sistema giudiziario

 

Oltre 170 organizzazioni con oltre 150 scienziati e più di 1,5 milioni di cittadini hanno inviato una lettera alla UE per sostenere l'iniziativa “End the cage age”. Chiedono di farla finita con gli animali allevati in gabbia.

Gli scienziati sono convinti che le malattie infettive più pericolose possono essere correlate con la gestione degli allevamenti intensivi.

Si possono cambiare abitudini consolidate? Di necessità si fa virtù. Per es. i pastori nomadi tibetani, dopo secoli trascorsi ad allevare e mangiare yak (di cui il 94% della popolazione mondiale vive proprio sugli altipiani), si sono convinti ad abbandonare il consumo della carne, una volta trasferitisi in città ed essersi incontrati coi monaci buddisti, di regola vegetariani.

Per la vita nomade, priva di terre da coltivare, la principale fonte di sostentamento sono la carne e i latticini o i prodotti caseari.

La cosa assurda è che mentre tali pastori stanno accettando il movimento contro i macelli degli animali allevati, nato all'interno della comunità buddista, le autorità cinesi stanno invece diffondendo tali macelli in Tibet per alleviare la povertà.

Addirittura le autorità locali cinesi esortano a vendere (a volte anche a prezzi molto più bassi di quelli di mercato) i capi di bestiame ai macelli, atto che comporta per i pastori più poveri una via di ripiego ma necessaria al sostentamento.

L'organizzazione Human Rights Watch ha segnalato che dal 2018 in poi chi si oppone all'esproprio di terre per la realizzazione di macelli o supporta la liberazione degli animali viene classificato dalla Cina come “forza criminale sovversiva”.

 

Israa Al-Ghomgham, 32 anni, donna attivista saudita, è stata condannata nel febbraio 2021 dal regime di bin Salman a otto anni di reclusione. Il procuratore aveva chiesto la condanna a morte nell'agosto 2018 (anche per suo marito Moussa al-Hashem). Se la sentenza fosse stata eseguita, sarebbe stata la prima donna a subire una pena del genere per campagne per i diritti umani in Arabia Saudita. Una volta uscita di prigione, non potrà espatriare per altri cinque anni e sarà sottoposta a libertà vigilata, che per una donna islamica si va ad aggiungere alle restrizioni già ben note.

Era stata arrestata perché aveva documentato su vari social i disordini del Qatif (provincia orientale dell'Arabia Saudita) tra le forze di sicurezza saudite e la comunità sciita nel 2017-18, facendo vedere al mondo intero che l'Arabia Saudita non è un Paese democratico. Le proteste erano iniziate nel 2011-12, durante la Primavera araba.

Un altro motivo è perché lei è sciita. Infatti il governo saudita discrimina per principio la minoranza sciita nell'istruzione pubblica, nella libertà religiosa e nell'occupazione, sicché nel sistema di giustizia penale infligge punizioni draconiane.

Peraltro, seguendo il principio della legge islamica del tazir, è il singolo giudice che determina non solo la condanna per un crimine ma anche ciò che costituisce un crimine.

Infatti nella legge islamica della sharia esistono tre principali tipi di punizioni o sanzioni: hadd, qisas e tazir.

Le punizioni per i reati hadd sono fissate dal Corano o dagli Hadith, la cui violazione è considerata dall'islam come un crimine contro Dio e richiede una punizione fissa. I crimini possono contemplare vari tipi di furto o rapina, i rapporti sessuali illeciti o lo stupro, accuse non provate di sesso illecito, bere alcol, apostasia ecc.

Il qisas è invece l'equivalente della legge del taglione (“ritorsione in natura”) o della compensazione monetaria (“denaro insanguinato”), applicata in caso di lesioni personali intenzionali o di morte. Rientra in questa categoria p.es. l'omicidio, che può anche comportare la pena di morte per l'assassino. Ma è previsto anche il taglio della mano per certi tipi di furto. Molto dipende da quanto è esigente la parte lesa.

Tazir invece si riferisce a punizioni a discrezione del giudice, il quale può decidere qualunque cosa, visto che il Corano o gli Hadith non prevedono nulla di preciso.

Qui la casistica è piuttosto complessa. Si va dai furti tra parenti stretti alla rapina tentata ma senza successo, dalla fornicazione che non include la penetrazione ai contatti omosessuali (come i baci) che non si traducono in fornicazione. Ma vi sono anche le false testimonianze, i prestiti usurari di beni mobili o immobili, chi mette in dubbio quanto dice un'autorità, e soprattutto qualsiasi atto che minacci o danneggi l'ordine pubblico, la comunità musulmana o l'islam. È su quest'ultimo punto, in cui si fanno rientrare le accuse di terrorismo, spionaggio ecc. che i giudici emettono sentenze dal sapore chiaramente politico.

Le pene variano a seconda della natura del crimine e possono includere il carcere, la fustigazione, una multa, l'esilio, il sequestro dei beni, fino appunto alla sentenza capitale.

 

[11] Arabia Saudita, attiviste

 

Amnesty International ha chiesto all'Arabia Saudita di rilasciare alcune attiviste attualmente in carcere, tra cui Samar Badawi, Nassima al-Sada, Nouf Abdulaziz e Mayaa al-Zahrani. Di Israa Al-Ghomgham abbiamo già parlato.

Mayaa è stata arrestata il 10 giugno 2018 e condannata a cinque anni e otto mesi il 28 dicembre 2020 solo perché aveva espresso sostegno online a Nouf Abdulaziz, che si offriva volontaria per mettere le persone arrestate in contatto con avvocati e organizzazioni per i diritti umani. La pena è stata poi ridotta a due anni e 10 mesi, ma, come per le altre donne, sarà un rilascio fittizio, in quanto non potrà viaggiare per cinque anni e non potrà più parlare di nulla.

Samar Badawi è la sorella del blogger Raif, condannato a dieci anni solo perché cercava di voler discutere sulla religione in Arabia Saudita. Lei è stata arrestata nel 2016 perché cercava di difendere il fratello. È stata poi liberata, ma siccome chiedeva che le donne potessero votare e presentarsi come candidate alle elezioni municipali, è stata di nuovo arrestata il 30 luglio 2018. Ha anche sostenuto la fine dell'assurdo divieto medievale di circolazione delle donne se non accompagnate o con il permesso del “maschio” di casa. Attualmente è detenuta nella prigione centrale di Dhahban a Jeddah, e come tutte le attiviste arrestate, anche lei è sottoposta a torture e molestie sessuali.

I processi contro queste donne non sono pubblici, né sono ammessi osservatori internazionali. Nessuna informazione sulle accuse viene resa pubblica.

Nouf Abdulaziz era una blogger arrestata nel 2018, nella sua casa di Riyadh con un raid della polizia, per aver scritto espressioni contrarie al regime sul sito femminista saudita Noon al-Arabyiah. Tenuta in isolamento, la sua salute era peggiorata dopo essere stata presumibilmente torturata, incluso l'essere picchiata con una pesante corda. È stata rilasciata solo dopo pressioni internazionali.

Dopo più di tre anni è stata rilasciata Loujain al-Hathloul, ma a condizione che non si sposti dal Paese per cinque anni e sotto stretta sorveglianza. Era stata arrestata nel maggio 2018 negli Emirati Arabi Uniti ed estradata in Arabia Saudita, dove è stata processata in modo molto approssimativo con l'accusa di terrorismo, spesso utilizzata per perseguire gli attivisti. Lottava per riconoscere alle donne il diritto di guidare l'auto, ed è riuscita a ottenerlo il 24 giugno 2018.

Questo è solo un piccolo passo, poiché le donne saudite continuano a subire discriminazioni per il loro matrimonio, per la famiglia, per il divorzio e sulle decisioni relative ai bambini, inclusa la custodia dei figli. Devono sempre ottenere l'approvazione di un tutore maschio per sposarsi, lasciare la prigione e ottenere l'assistenza sanitaria.

In Afghanistan è anche peggio. Tre ragazze di 18-20 anni, attiviste per i diritti umani, sono state uccise nel marzo di quest'anno mentre tornavano a casa. Una quarta è rimasta ferita. Lavoravano in una TV locale, Enikass.

Sono stati gli oscurantisti del Daesh e probabilmente anche la frangia estrema dei Talebani. Il governo non fa nulla contro questi assassini. A dicembre 2020 era già stata uccisa la conduttrice Malalai Maiwand, mentre era in viaggio verso Jalalabad. Era particolarmente impegnata sul fronte dei diritti delle donne e dei bambini: cinque anni fa aveva perso la madre, storica attivista per i diritti umani, uccisa da uomini rimasti ignoti.

 

[12] Ucraina, economia. Francia, laicità

 

L'Ucraina di Volodymyr Zelensky è un Paese distrutto dalla corruzione. Le strutture oligarchiche che l'han resa indipendente nel 1991, dopo il crollo dell'URSS, l'han portata solo alla rovina.

Riforme fallite, periodici rimpasti di governo, giudici corrotti, vertici cambiati alla Banca nazionale, inflazione sulla moneta locale (il cambio con l'euro è arrivato a 34 hryvne, mentre a fine 2019 ammontava a 26), per non parlare dei continui brogli elettorali. Per di più la Corte costituzionale ha revisionato in peggio la legge anticorruzione sui funzionari pubblici.

Conclusione: il Fondo Monetario Internazionale minaccia di sospendere gli aiuti. Dal 1992 il Paese ha firmato diversi programmi col Fondo ma nessuno è mai stato portato a termine.

La cosiddetta “rivoluzione arancione” del 2004 e la “rivoluzione della dignità” del 2013-14 sono servite soltanto a liberarsi definitivamente del socialismo reale e ad avvicinarsi decisamente alla UE, nonché a impedire che alla tutela sovietica si sostituisse l'arbitrio degli oligarchi, ma non hanno saputo costruire nulla di positivo.

In particolare è sull'orlo del fallimento il sistema bancario. È in crisi sin dalla caduta dell'URSS. Da decenni è caratterizzato da strutture poco trasparenti, spesso in mano a potenti oligarchi, che compiono manipolazioni finanziarie di tutti i generi.

La liquidazione di un centinaio di banche commerciali – opera dell'ex presidente Petro Porošenko – ha tolto ad alcuni oligarchi le casseforti in cui riponevano i propri guadagni più o meno illeciti e la tranquillità di navigare tra i meandri della corruzione: “Finanza e credito” del magnate del settore minerario e metallurgico, Kostjantyn Ževago, è fallita. E lo sono state anche Del'ta Bank di Mykola Lagun, e Nadra Bank, del famoso oligarca Dmytro Firtaš, arricchitosi fino al 2014 con il commercio di gas dalla Russia.

Il parlamento ha dovuto vietare la restituzione delle banche insolventi e nazionalizzate ai vecchi proprietari, altrimenti la corruzione avrebbe ripreso a marciare.

A causa della pessima gestione dei risparmi e dell'aumento dei tassi di interesse delle banche sui prestiti (dal 4,5% del 2012 all'8% del 2020) le classi sociali più svantaggiate diventano sempre più povere e indebitate.

Insomma l'Ucraina è uno di quei Paesi che, una volta eliminato il socialismo statale, non è stato capace di costruire un socialismo democratico. Sembra che tra socialismo statale e capitalismo privato non vi sia una terza via democratica. Men che meno democratica è anche la soluzione cinese, che cerca di coniugare entrambi i sistemi sociali.

 

L'Assemblea nazionale, cioè la Camera bassa del Parlamento francese, ha approvato a larga maggioranza il disegno di legge, composto da circa 50 articoli, sul “separatismo religioso”, che prevede un maggiore controllo da parte dello Stato sulle organizzazioni religiose e i luoghi di culto che diffondono “teorie o idee” che “provocano odio o violenza”.

Nel testo è previsto sostanzialmente un nuovo reato, quello “di messa in pericolo della vita altrui attraverso la diffusione di informazioni relative alla vita privata, familiare e professionale di una persona che permettono di identificarla o di localizzarla”. Il che, tradotto, vuol dire: perseguire gli autori di minacce, violenze e intimidazioni per motivi religiosi. E stranamente non prevede il contrario, cioè che si faccia la stessa cosa per motivi anti-religiosi.

La proposta di legge è stata fortemente appoggiata dal presidente francese Emmanuel Macron, ritenendola necessaria per combattere l'Islam radicale; però secondo alcuni sarebbe rivolta a colpire l'Islam in generale, e non solo le sue forme più fondamentaliste.

Il disegno di legge, che ora dovrà essere discusso in Senato (dove il partito di Macron non detiene la maggioranza), prevede, tra le altre cose, che tutte le associazioni rispettino i “valori repubblicani” della Francia e che dichiarino al fisco qualunque donazione ricevuta sopra i 10mila euro (in pratica per tracciare eventuali fondi provenienti da organizzazioni religiose di Paesi come Arabia Saudita, Qatar e Turchia, giudicati i più pericolosi). Insomma le associazioni dovranno certificare tutti i propri conti. Strano però che questa cosa venga chiesta soltanto alle associazioni religiose e non anche a quelle sportive o culturali.

Col termine “separatismo” Macron indica il fatto che molte persone musulmane in Francia vivono in una “società parallela”, disponibile al fondamentalismo islamico e contraria ai valori laici della Repubblica francese: come, secondo lui, hanno dimostrato i silenzi dei musulmani francesi nei confronti degli avvenimenti cruenti collegati alle vignette satiriche contro il profeta Maometto da parte della rivista “Charlie Hebdo”. Ricordiamo che dal 2015 sono morte in Francia, a causa della violenza jihadista, più di 250 persone.

Il testo permette allo Stato di chiudere immediatamente le organizzazioni religiose e i luoghi di culto non moderati. Non a caso chiede d'impegnarsi per iscritto a sostenere i “valori repubblicani”, cioè quelli liberali e illuministi che hanno radici nel '700. In caso contrario non riceveranno sussidi statali.

Per rafforzare poi il controllo sulle scuole coraniche, il disegno di legge stabilisce “il principio dell'obbligo scolastico” per i bambini di età compresa tra 3 e 16 anni e consente deroghe per “ragioni molto limitate, relative alla situazione del bambino o della sua famiglia”, che però  non potranno più essere comunicate attraverso una dichiarazione, ma autorizzate dal ministero dell'Istruzione. Questo perché tutti devono frequentare le scuole statali o comunque pubbliche. Le strutture islamiste clandestine vanno bandite.

Se un dipendente pubblico viene minacciato per ottenere “un'esenzione totale o parziale o una diversa applicazione delle norme”, il responsabile potrà essere incarcerato fino a cinque anni.

Si stabiliscono, inoltre, misure per evitare i matrimoni combinati o forzati, attraverso un maggior potere di controllo assegnato agli ufficiali di stato civile, i quali non potranno neppure rilasciare documenti di residenza o titoli di soggiorno a persone in stato di poligamia. E si vieta il rilascio dei “certificati di verginità” da parte dei medici, fissando una pena che prevede un anno di detenzione e una multa di 15mila euro.

Tuttavia alcune delle misure previste hanno allarmato la Chiesa cattolica, che ha un rapporto istituzionale con lo Stato sulla base della legge di separazione del 1905 (che sostituì il Concordato napoleonico del 1801), e non vuole avere restrizioni per colpa del fondamentalismo islamico. In particolare non sopporta l'idea che ogni associazione di culto debba produrre una dichiarazione di “qualità cultuale”, che dovrà poi essere autorizzata dalla prefettura, per poter fruire di vantaggi fiscali e sovvenzioni pubbliche.

Il clero cattolico sostiene che gli statuti delle loro associazioni sono già depositati da molto tempo nelle prefetture, come le liste dei vescovi, che dirigono le associazioni, e i relativi conti correnti. Per cui si teme che la norma si trasformi in una forma di controllo indebita, che peraltro comporterà un oneroso sovraccarico amministrativo. Ecco perché la Chiesa propone una cosa che il governo nei confronti delle associazioni islamiche non farà mai: il rinnovo automatico delle autorizzazioni, salvo in caso di problemi effettivi, eclatanti.

Inoltre lo stesso clero non sopporta l'idea di far firmare alle associazioni cultuali un “contratto d'impegno repubblicano”, il cui contenuto deve ancora essere stabilito con precisione. Cioè ritiene che sia più che sufficiente rispettare le leggi della Repubblica. Anche gli ortodossi, i protestanti e gli ebrei sono sulla stessa lunghezza d'onda.

Il partito dei Repubblicani aveva addirittura proposto un emendamento per aggiungere nel contratto l'obbligo per le associazioni di culto di rispettare la laicità come valore fondante delle relazioni sociali. Il che è assurdo per un'associazione che vuole conservare il carattere religioso della propria identità.

Per far vedere che è largo di maniche con la Chiesa cattolica, il governo ha aperto la possibilità per le associazioni di culto di trarre profitto dalle proprietà immobiliari, soprattutto affittando uffici e appartamenti. Questa misura è stata inserita per controbilanciare la stretta sui finanziamenti dall'estero, soprattutto per bloccare quelli a favore dell'Islam. In realtà i prelati cattolici hanno sostenuto che il parlamento ha soltanto sanato una situazione di discriminazione, visto che dal 2014 tutte le associazioni, tranne quelle di culto, possono gestire in proprio il patrimonio immobiliare posseduto.

Non poca preoccupazione ha suscitato, negli ambienti della Conferenza episcopale, la norma che vieta la scuola parentale, cioè l'istruzione impartita dai genitori ai propri figli. Improvvisamente i cattolici si sono accorti che se non difendono la libertà di religione degli islamici, la loro stessa libertà viene minacciata. Prima si sentivano dei privilegiati, ora invece non sanno se fare causa comune con gli islamici contro le ingerenze statali, oppure se odiare ancora di più gli islamici, facendo credere d'essere maggiormente affidabili di loro nei confronti dello Stato. Vengono qui in mente le controversie tra cristiani ed ebrei al tempo dell'impero romano.

Certo sarebbe paradossale che il governo, avendo come obiettivo quello di combattere il separatismo degli islamici, riuscisse invece a far superare il tradizionale separatismo che regna sovrano tra le religioni, al punto che queste finiscano per allearsi contro lo stesso governo. A nessun credente infatti piace essere considerato un cittadino di seconda categoria, potenzialmente molesto o addirittura pericoloso, che va sottoposto a particolari sorveglianze.

Insomma qui si ha la netta impressione che il governo voglia trasformare lo Stato in un ente ideologico, facendo della laicità una nuova religione. Superstizione e fanatismo possono certamente essere ostacolati dalla legge, ma quando le religioni hanno l'impressione d'essere perseguitate, ciò verrà considerato come un motivo in più per radicalizzarsi nelle loro convinzioni.

 

[13] Egitto, questione femminile

 

Nel gennaio 2000 venne promulgata una legge in Egitto che dava la possibilità alle donne di porre fine unilateralmente al matrimonio in cambio della rinuncia ai propri diritti patrimoniali. Tempo previsto: tre mesi.

La parola “unilateralmente” era un modo per aggirare una consuetudine del mondo islamico, dove si dà per scontato che la donna sia un essere socialmente inferiore. La prassi voleva infatti che la donna rendesse al marito la sua dote, o qualche altro tipo di pagamento, per indurlo a concederle la libertà. Cioè se la donna voleva divorziare, si poteva stabilire un accordo amichevole tra lo sposo e il padre della sposa, dove quest'ultimo restituiva la dote e riprendeva indietro la figlia. In questo modo il contratto di matrimonio veniva cancellato definitivamente. Ma doveva essere il marito ad accettare, altrimenti la donna non poteva divorziare. L'uomo sa che il matrimonio gli dà sulla persona di sua moglie dei precisi diritti, come se fosse un oggetto.

Prima del 2000 in Egitto le richieste di divorzio portate avanti dalle donne s'insabbiavano nelle corti giudiziarie per 5-10 anni. Questo perché molti esperti di diritto familiare ritenevano che garantire alle donne il diritto al divorzio unilaterale avrebbe condotto alla totale disintegrazione della famiglia. Sostenevano cioè che le donne avrebbero fatto ricorso al divorzio unilaterale di fronte ai primi problemi, essendo esse di natura fortemente emotive e irrazionali.

Ancora oggi non è così consueto trovare in Egitto una donna che dichiari di aver fatto richiesta di divorzio. Secondo l'opinione comune, infatti, l'immagine di una donna che si rivolge a un tribunale per ottenerlo è quella di una donna egoista, irrispettosa nei confronti del marito ed è una cattiva madre.

Poi però, se una donna per divorziare è costretta a impoverirsi, il governo egiziano, nel 2004, dovette inventarsi un Fondo di assicurazione familiare, chiamato Banca Nasser, per il mantenimento della donna e dei figli in caso di divorzio.

Da notare che in Egitto esiste ancora la poligamia. Al tempo di Sadat, nel 1979, si cercò di limitarla sulla base del fatto che la prima moglie subiva un danno economico ed emotivo. Ma dopo la morte di Sadat la legge fu sostituita con una del 1985 che dava alla prima moglie l'onere di dimostrare che a causa della poligamia aveva subìto un danno economico o emotivo. Il che, in una società maschilista come quella, era impossibile.

Nel 2013 l'Egitto è stato classificato come il peggior Paese nel mondo arabo per quanto riguarda la condizione delle donne. Strano che non avessero messo l'Arabia Saudita.

Solo nel 2016 si è avuto il primo caso in cui una donna ha vinto una causa per molestie e violenze sessuali.

Secondo il Gender Gap Report 2019 l'Egitto si classifica 134º su 153 Paesi per quanto riguarda i diritti delle donne. D'altra parte solo il 24,7% delle donne partecipa alla forza lavorativa nel Paese. Il tasso di alfabetizzazione è del 65,5%.

Tuttavia nel gennaio 2021, con la nascita del nuovo Parlamento, più di 1/4 dei 596 membri è costituito da donne.

Oggi il regime egiziano di al-Sisi vuol far passare una nuova proposta di legge contro le donne. Secondo “Il fatto quotidiano” le donne perderebbero il diritto di contrarre un matrimonio qualora fossero state precedentemente sposate.

Verrebbe creata la figura di un “tutor” a favore dell'uomo, in grado di poter dichiarare nullo il matrimonio entro un anno di tempo qualora ritenga la coppia incompatibile o, addirittura, la dote insoddisfacente.

Una madre single dovrebbe anche chiedere il permesso scritto all'ex marito per viaggiare e su decisioni legali.

Già adesso le organizzazioni femminili chiedono che una donna che decide di risposarsi, dopo aver divorziato, possa mantenere la custodia dei figli del precedente matrimonio: al momento la custodia passa al padre o alla nonna, non alla madre. Nel 2005 invece la legge concedeva alla donna divorziata la custodia dei bambini fino all'età di 15 anni.

Le donne cristiane potrebbero perdere la custodia dei figli qualora il marito si converta all'Islam.

 

[14] Francia, nucleare militare

 

Solo adesso si è ammesso che la bomba atomica Aldebaran (di 30 chilotoni, molti di più dei 18 di quella di Hiroshima), sganciata il 2 luglio del 1966 dalla Francia sull'atollo di Muroroa (Polinesia), nell'ambito delle sperimentazioni in epoca di Guerra Fredda, ha procurato conseguenze disastrose. Era solo il primo di una serie di 193 test nucleari, terminati nel 1996, dopo molte proteste internazionali.

L'isola era disabitata e utilizzata solo per la coltivazione delle noci di cocco, ma la nube carica di particelle radioattive venne dispersa dal vento, e a 400 km di distanza c'era l'arcipelago Gambier, abitato. Il risultato furono leucemie, linfomi, cancri alla tiroide, ai polmoni, al seno e allo stomaco. I mali colpirono anche le forze armate francesi, di cui circa 2.000 persone, su un totale di 6.000, avevano contratto il cancro.

Solo nel 2017 lo si è saputo, grazie al dossier “Mururoa files” preparato da una serie di ricercatori, accademici e giornalisti. Oltre 2.000 documenti militari sono rimasti segreti fino al 2013 e sono stati resi pubblici solo grazie a una battaglia legale tra le vittime e il governo francese.

Secondo i nuovi calcoli circa 110.000 persone (e non 10.000!) sono state raggiunte dalle radiazioni ionizzanti, in pratica l'intera popolazione polinesiana dell'epoca. Il ministero della Difesa francese, sapendo di mentire, ha sempre definito i test “esperimenti puliti”. Ancora nel febbraio 2021 l'Inserm, l'Istituto nazionale francese di salute, ha avuto il coraggio di sostenere che non si può stabilire con certezza un legame tra i test nucleari e diversi casi di cancro nelle isole polinesiane.

Un documento del ministero della Salute polinesiano ha però affermato che particolarmente letale fu la bomba Centaur del 1974, quando la ricaduta del plutonio raggiunse Tahiti, a 1.250 km di distanza. Non solo l'aria ma anche l'acqua è stata contaminata. A tutt'oggi l'80% dei casi relativi agli indennizzi richiesti sono stati rifiutati.

 

[15] Regno Unito, “Charlie Hebdo”. Arabia Saudita, Jamal Khashoggi

 

Critiche e proteste in Inghilterra per una vignetta in copertina dell'ultimo numero del settimanale satirico francese “Charlie Hebdo”. Nel disegno viene ritratta la regina Elisabetta sotto il titolo “Perché Meghan ha lasciato Buckingham”. La regina tiene sotto il ginocchio Meghan Markle (disegnata come George Floyd), che risponde: “perché non potevo più respirare”. Come noto, la Meghan ha attaccato Buckingham Palace, evocando anche il razzismo.

Il disegno, che fa espresso riferimento all'omicidio di George Floyd, soffocato col ginocchio da un poliziotto negli USA (a Minneapolis, nel 2020), ha suscitato proteste da parte della stampa conservatrice britannica, ma anche dalle organizzazioni anti-razziste.

“Charlie Hebdo è un falso a tutti i livelli”, ha detto Halima Begum, presidente del gruppo di riflessione sulla lotta contro il razzismo, Runnymede Trust. Indignato anche il collettivo Black and Asian Lawyers For Justice: è una copertina “di un razzismo scandaloso, disgustosa e fascista”, ha fatto sapere.

Gli inglesi si sono accorti solo adesso che la rivista “Charlie Hebdo” non ha alcun senso etico delle cose. Chissà perché quando facevano vignette scandalose contro l'islam, nessuno ha mai detto niente.

 

Il 26 febbraio l'Intelligence statunitense ha pubblicato la versione integrale dell'inchiesta della CIA sull'orribile omicidio del giornalista saudita Jamal Khashoggi, opinionista del “Washington Post”, avvenuto all'interno del Consolato dell'Arabia Saudita a Istanbul: si è dimostrata in maniera schiacciante la complicità del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman.

Nella sua decennale carriera da giornalista, Khashoggi ha lavorato per diversi quotidiani sauditi e panarabi e fino al 2010 è stato direttore di uno dei più importanti giornali del suo paese, “Al Watan”. In quegli anni Khashoggi era riuscito a diventare un punto di riferimento per il giornalismo di qualità in Arabia Saudita, spingendosi fino a chiedere riforme nel campo dell'istruzione e dei diritti delle donne (la violenza domestica è endemica), e a fare appelli al governo per una limitazione dei poteri della polizia religiosa.

Khashoggi venne rimosso dal suo incarico due volte, in entrambi i casi per aver irritato la monarchia. La prima volta, nel 2003, fu invitato a lasciare la direzione di “Al Watan” dopo appena due mesi, perché aveva seguito una linea editoriale indipendente dal governo. Reintegrato nel 2007, fu di nuovo licenziato nel 2010, per “aver spinto il dibattito oltre i limiti consentiti nella società saudita”, ha scritto sul suo sito personale. Per un periodo era stato perfino un consigliere della monarchia. Quindi molti sauditi lo consideravano uno di loro. Fu la paura d'essere fatto fuori che lo spinse ad andarsene dal suo Paese nel 2017.

Qualche Stato ha fatto qualcosa di significativo per mostrare la propria indignazione nei confronti di questo delitto? Nessuno. E pensare che lo stesso governo saudita ha dovuto ammettere che Khashoggi era morto durante un arresto finito male, anche se poi ha aggiunto, mentendo, che il principe ereditario non c'entrava niente. Gli assassini avevano portato con sé un “segaossa”, per far sparire il corpo, che infatti non è mai stato trovato. Quindi l'omicidio era premeditato.

Il principe ereditario saudita, il cui padre è seriamente malato, sta trasformando il suo Paese in una terribile dittatura, in cui nessuno osa dire quello che pensa per paura del carcere o della morte. Il ministero della Comunicazione, per molti aspetti, somiglia al famigerato ministero della Verità descritto da Orwell nel romanzo 1984. Forse sta in questo il tentativo di costruirsi un'immagine riformista negli Stati Uniti, ove ha anche messo suo fratello come ambasciatore.

 

[16] Cina, Hong Kong

 

Dopo la fine della democrazia a Hong Kong, durata 23 anni, nonostante l'accordo cinese col Regno Unito prevedesse che per 50 anni la città sarebbe stata governata secondo il principio “un paese, due sistemi”, a Pechino il Comitato permanente del Parlamento ha adottato la legge sulla sicurezza, destinata a combattere “la secessione, la sovversione, il terrorismo e la collusione con forze straniere” nel territorio.

Quando Hong Kong (città di 6 milioni di abitanti) era una colonia, non c'era ovviamente la democrazia, ma nel momento in cui passò dal Regno Unito alla Cina, nel 1997, aveva preso a sviluppare una stampa e un'editoria libere. Nelle biblioteche si poteva trovare qualunque libro. Le organizzazioni della società civile erano numerose e forti. Le scuole non indottrinavano i cittadini ad amare la patria, l'inno e la bandiera.

Ora la nuova legge sulla sicurezza impedirà un vero suffragio universale e la possibilità di avere voce in capitolo sulla gestione pubblica della città. Infatti solo i “patrioti”, cioè chi ama la Cina e ama il partito, potranno candidarsi alle elezioni.

Fino all'ultimo momento gli abitanti di Hong Kong, compresi i funzionari dell'amministrazione locale, non conoscevano nemmeno il contenuto esatto della legge. Per es. non si sapeva se la pena massima prevista sarebbe stata di dieci anni o l'ergastolo. Quindi i dimostranti arrestati potrebbero rischiare il carcere a vita.

Persino la lingua che i cittadini parlano, il cantonese, potrebbe subire delle restrizioni. A Pechino infatti i burocrati della lingua insistono nel dire che esiste una sola lingua cinese, quella parlata a nord, una sola serie di caratteri, mentre tutto il resto è dialetto.

Oggi la Cina si considera abbastanza forte a livello internazionale da poter agire come meglio crede. Gli abitanti di Hong Kong sono soli davanti al rullo compressore di Pechino.

Il mondo è gestito in maniera autoritaria da chi sa sfruttare la forza-lavoro perché dispone della proprietà privata dei mezzi produttivi, da chi possiede territori da colonizzare, da chi dispone in maniera naturale di risorse strategiche per l'industria, da chi pensa che una ideologia debba imporsi sulla libertà di coscienza, da chi è in grado di sottomettere con la forza la società civile allo Stato... Da tutti meno da chi vuol vivere in pace, secondo il principio della democrazia diretta e autogestendo le proprie risorse.

 

[17] Argentina, economia. Cavi infotelematici strategici

 

L'Argentina è sull'orlo del fallimento economico, anche per colpa della pandemia. Già lo scorso maggio il governo non ha potuto garantire il pagamento di alcuni titoli di stato.

Nel 2020 il PIL del Paese è calato di circa l'11-12%, sommandosi a quelli negativi degli anni precedenti, tra il 2 e il 3% nel 2018 e nel 2019. Il penultimo premier, Mauricio Macri, era già stato costretto nel 2018 a chiedere un prestito al Fondo Monetario Internazionale per evitare il default.

Nel 2020 la percentuale di persone che viveva sotto la soglia di povertà era arrivata al 44%: negli anni precedenti era di circa il 35,5% (in base ai criteri statistici dell'INDEC, l'equivalente dell'ISTAT). L'inflazione è alle stelle, poiché in situazioni del genere chi vende ha la percezione che il denaro valga sempre meno e s'illude che, aumentando i prezzi, valga qualcosa di più. Ma tra un po' si chiederà di pagare solo in dollari o di usare metalli pregiati o persino di ricorrere al baratto.

Il valore complessivo di tutte le aziende quotate in borsa è passato da 350 miliardi di dollari nel 2018 a 20 miliardi, segno che molte sono fallite e altre hanno abbandonato il Paese.

In una situazione così disastrosa è impossibile accedere ai mercati internazionali per finanziarsi facendo nuovo debito. Allo Stato sono rimasti soltanto 5 miliardi di dollari, tra riserve di contanti e di oro. Il governo non è in grado di mettere in atto politiche espansive per sostenere l'economia e i cittadini. E non sa come fare per rimandare di almeno tre anni il pagamento di quei 65-70 miliardi di dollari dovuti a una serie di creditori privati, tra cui i grandi fondi americani BlackRock e Greylock Capital Management.

Il governo sta anche chiedendo al FMI di rimandare il pagamento del prestito chiesto nel 2018, che ammonta a 45 miliardi di dollari. Ma il Fondo lo farà senza porre nuove condizioni capestro, com'è nel suo stile?

Il debito pubblico (quasi 450 miliardi di dollari) rappresenta circa il 90% del PIL: la gran parte è di proprietà estera e quindi in dollari, poi vi sono titoli locali in pesos. I proprietari delle obbligazioni statali sono sostanzialmente 5 grandi fondi di investimento internazionali, che avevano acquistato titoli statali ad alto rendimento, visto il rischio di fallimento del Paese. Il loro comportamento è analogo a quello degli usurai.

Nel corso del 2020 il governo ha stampato così tante banconote che, a un certo punto, per farlo ha dovuto servirsi di imprese in Brasile e in Spagna, poiché quelle argentine, pur lavorando a pieno ritmo, non riuscivano a star dietro alla richiesta. Una soluzione, questa, che ha ovviamente provocato il forte aumento dell'inflazione.

Una delle principali misure adottate dal governo del presidente Alberto Fernández, peronista moderato, in carica dalla fine del 2019, è stata una tassa patrimoniale del 3,5% sugli individui i cui asset superano i 2,3 milioni di dollari, quindi un'infima minoranza. Peraltro, per sfuggire alla tassa, molti imprenditori si sono già trasferiti nel vicino Uruguay, il cui governo è considerato molto più favorevole al business. Tra questi Marcos Galperin, il fondatore di Mercado Libre, la versione latinoamericana di Amazon, e Gustavo Grobocopatel, uno dei principali imprenditori agricoli del continente.

E naturalmente il “Wall Street Journal” ha subito detto, secondo lo stile neoliberista, che qualunque tassa ai ricchi potrebbe penalizzare gli investimenti e la creazione di nuove imprese. Come se durante la pandemia non siano state le imprese a chiedere allo Stato i maggiori rimborsi per i mancati incassi.

Il governo ha cercato anche di sospendere temporaneamente le esportazioni delle derrate alimentari, per ridurre l'inflazione e non far morire di fame la popolazione, ma ciò naturalmente danneggia l'industria agricola. Altre imprese, come Walmart e Nike, han già lasciato il Paese.

Il governo ha anche imposto un blocco dei licenziamenti e ha attivato una specie di cassa integrazione grazie alla quale ha pagato il 50% del salario a centinaia di migliaia di lavoratori, al fine di evitare le manifestazioni di protesta.

È la nona volta che l'Argentina si trova nelle condizioni di dover dichiarare fallimento, la seconda in meno di 20 anni, dopo quella del 2001, quando si scatenò un'improvvisa corsa agli sportelli bancari per convertire i pesos in dollari, mandandoli all'estero.

 

Il cavo Blue Raman di Google, lungo più di 5.000 miglia, nella sua prima parte, cioè Blue, dovrebbe essere realizzato da Sparkle, società di Telecom Italia: partenza dal porto di Genova e arrivo in Israele, passando sotto il Mar Mediterraneo.

La seconda parte, cioè Raman, spetterebbe a Oman Telecommunications: dal porto di Mumbai, sotto l'Oceano Indiano, per arrivare ad Aqaba, città portuale della Giordania, e qui congiungersi col primo ramo.

Il cavo dovrà bypassare l'Egitto, la cui instabilità politica rappresenta un punto debole per le connessioni mondiali, anche se 1/3 del mondo dipende da questo Paese per l'accesso a Internet. La strada alternativa è il Mar Rosso, tra Africa e penisola araba o, se si vuole, tra Mediterraneo e Indo-Pacifico.

Il nuovo cavo Blue Raman partirà dunque da Genova, verrà fatto passare per Israele, deviato verso l'Arabia Saudita e l'Oman, giungendo infine a Mumbai in India. Una fibra ottica che correrà dall'India all'Europa passando per due Stati storicamente rivali, Israele e Arabia Saudita (attraverso la Giordania). Di fronte a interessi così enormi non c'è religione che tenga.

A causa della presenza di questi cavi sottomarini dal valore strategico enorme le potenze mondiali stanno militarizzando il Mar Rosso. L'asse Port Said-Suez è un incrocio cruciale del network internazionale che va dall'Atlantico (europeo e africano) all'Asia.

Il piano di connettività, dal costo di circa 400 milioni di dollari, permetterà a Google di raggiungere due rivali come Microsoft e Amazon nella corsa alla leadership nel settore cloud.

In contemporanea Israele è destinata a essere riconosciuta da tutti i Paesi islamici del Medio Oriente. Per i palestinesi è finita. Che siano gli oleodotti o i cavi informatici, Israele è destinata a diventare un partner privilegiato dei Paesi del Golfo. E i Paesi arabi sanno che se riconoscono Israele, nessuno potrà accusarli di non rispettare i diritti umani.

Dicono anche che lo scontro tra Stati Uniti e Cina sarà proprio all'ombra dei cavi sottomarini, dove passa la quasi totalità delle comunicazioni digitali. Non a caso è particolarmente temuta l'espansione via mare di Pechino. Con la sua rete 5G Huawei, colosso di Shenzen, avrà da penare non poco. Anche perché in Occidente non piace che Pechino si serva delle reti per controllare i cittadini, manipolando i loro dati. L'Occidente lo vuol fare per conto proprio.

 

[18] Gela, bambini malformati. Vaticano, coppie gay

 

Sull'“Espresso” del 16 marzo un articolo agghiacciante sui bambini malformati di Gela, in Sicilia, che hanno subìto in maniera devastante, dagli anni '90 ad oggi, gli effetti dell'inquinamento di una raffineria dell'ENI, ora chiusa e in fase di riconversione.

Bambini quasi ciechi, con la spina bifida, con anomalie urinarie o cardiovascolari e degli arti... Una vasta tipologia di malformazioni che non ha riscontro in altre aree d'Italia. Un feto a Gela poteva essere esposto a circa 200 sostanze chimiche. Per non parlare del fatto che risultano alti anche i tassi riguardanti l'abortività delle donne e l'infertilità maschile.

Qui vi sono tra le percentuali più alte d'Italia e d'Europa per malformazioni congenite. Nell'arco di meno di 15 anni sono nati almeno 450 bambini con gravissimi problemi, uno ogni 166 abitanti. A Taranto, una delle aree più inquinate d'Europa, in rapporto alla popolazione ne sono nati due volte di meno, uno ogni 331 abitanti. E le cifre sono comunque approssimative, perché non c'è mai stato un monitoraggio costante delle malformazioni. A Gela non ci sono neppure centri di recupero, istituti dove fare terapie.

Nei tanti processi, conclusi o in itinere, ancora non si è arrivati a dimostrare un nesso causale tra la grande raffineria che dagli anni '60 ha portato lavoro, fumi e mercurio, e i casi di tumori e malformazioni.

A breve si concluderà un processo civile che vede 100 famiglie chiedere un risarcimento da 80 milioni all'ENI. Ma chi avrà il coraggio di condannare un colosso petrolifero come questo? Non c'è riuscito nei giorni scorsi neppure il Tribunale di Milano, in cui gli imputati erano accusati d'avere “aggiustato” con una mazzetta da un miliardo di euro la procedura per l'assegnazione di una concessione petrolifera in Nigeria. La sentenza è stata una delle solite: “Il fatto non sussiste”.

Intanto fa abbastanza impressione vedere che a causa della pandemia si dica “prima la salute, poi l'economia”, quando invece a causa della miseria si dica “prima il lavoro, poi la salute”. Per fortuna che il virus e ora i vaccini hanno monopolizzato tutta l'informazione. Così di tutto il resto non sappiamo nulla.

 

Il netto no pronunciato dalla Congregazione per la Dottrina della fede sulla benedizione delle coppie omosessuali ha attirato sul Vaticano non solo le critiche delle associazioni per i diritti Lgbt, ma anche l'ira della superstar Elton John, che l'ha accusato d'ipocrisia per aver lucrato in questi anni sul film sulla sua vita, “Rocketman”, che tra le altre cose celebra come un approdo felice proprio il suo matrimonio col regista e produttore David Furnish.

Al suo post sui social il cantante ha allegato un articolo di stampa del 2019, in cui viene detto che il Vaticano era diventato socio di Lapo Elkann con un fondo basato a Malta, il quale, tra le varie operazioni, avrebbe investito 4 milioni di euro per finanziare opere cinematografiche tra cui proprio quella sulla sua vita.

 

[19] UE, sanzioni a Cina. Cina, Alibaba

 

Continua la guerra del governo cinese a Jack Ma (al secolo Ma Yun), l'imprenditore più ricco e conosciuto del Paese, gestore di Alibaba e protagonista tra novembre e gennaio di una misteriosa scomparsa per 3 mesi. Il partito-stato di Xi Jinping è pronto a obbligarlo a cedere gran parte delle quote del suo impero mediatico.

Le autorità cinesi avevano già fermato a novembre l'offerta pubblica iniziale da 37 miliardi di dollari in azioni di Ant Group, il braccio finanziario di Alibaba, quando mancavano una trentina di ore al debutto in borsa a Shanghai. Alibaba aveva ricevuto richieste per 3.000 miliardi di dollari. Mai vista una cosa del genere nella storia delle borse di tutti i tempi.

Il governo di Pechino ha intenzione di ridurre l'influenza della Big Tech di Hangzhou sull'opinione pubblica del Paese, la quale deve restare sotto il controllo del Pcc, senza rischiare di passare nelle mani di società private. Infatti Alibaba negli ultimi anni è stata in grado di giocare un ruolo di primo piano nei settori della carta stampata, dei social media, della pubblicità e dello streaming.

In particolare nel mirino del governo cinese sono finite le quote di Jack Ma del 6,7% di Bilibili, app di condivisione di video molto popolare tra le fasce più giovani, del 30% di Weibo, piattaforma di microblogging simile a Twitter, e soprattutto del 100% di “South China Morning Post”, tra i più importanti quotidiani di Hong Kong in lingua inglese. Inoltre il gruppo Alibaba può contare anche su diverse partecipazioni in alcune società quotate negli Stati Uniti, per un valore stimato da “Wall Street Journal” di circa 8 miliardi di dollari.

Le autorità nazionali dell'antitrust sarebbero pronte anche a far partire una multa record di oltre 975 milioni di dollari, a causa di pratiche anticoncorrenziali riscontrate nel servizio e-commerce della stessa Alibaba.

Ai dirigenti cinesi non è piaciuta l'esternazione di Jack Ma, quando a ottobre, in un discorso a Shanghai, criticò le autorità di controllo finanziario di Pechino e le grandi banche statali, che secondo lui operano con una “mentalità da banco dei pegni”. Ant Group infatti è concorrente delle banche statali, che surclassa per rapidità decisionale.

Intanto sta tremando anche Tencent Holding, che detiene il controllo di WeChat, l'app più utilizzata in Cina per i servizi di messaggistica, social e pagamenti online.

I dirigenti governativi si stanno accorgendo solo adesso che quando si concede troppo spazio al business privato, l'ingordigia non ha più limiti e può anche arrivare al punto da condizionare le basi del potere politico. Con fare paternalistico il potere politico autoritario pensa sempre che quando concede un dito all'iniziativa privata, non gli venga preso tutto il braccio. Strano che, con tutta la cultura millenaria che hanno, i dirigenti del partito non abbiano capito che invece avviene sempre così.

 

I 27 Stati della UE hanno concordato nuove sanzioni alla Cina per la repressione a Hong Kong e la violazione dei diritti umani e civili della minoranza uigura. Non accadeva dai fatti di Piazza Tienanmen del 1989.

È curioso come la Cina non ammetta interferenze nella gestione dei rapporti con le regioni autonome. Ma queste non sono interferenze che comportano un intervento militare. Sono solo delle osservazioni critiche di tipo etico-giuridico, di carattere umanitario. E siccome esiste una reiterazione della violazione dei diritti degli Uiguri, si pensa che ricorrendo a delle sanzioni economiche (o a delle pressioni diplomatiche), la loro situazione possa migliorare.

Il mondo in cui viviamo non può essere diviso in compartimenti stagni non comunicanti tra loro. Né è possibile pensare che le relazioni multilaterali tra le nazioni debbano riguardare solo l'economia e la finanza. Globalismo vuol dire anche che quel che di anomalo succede in un punto qualunque del pianeta, deve interessare tutti.

Semmai ci si dovrebbe chiedere, quando si prospettano sanzioni a qualche Stato per un determinato comportamento, se siamo davvero titolati a farlo. Cioè esistono anche in Europa delle situazioni in cui le minoranze vengono chiaramente oppresse? E, se sì, in maniera altrettanto brutale? Se non esistono nel nostro perimetro geografico, possono forse esistere in quei territori in cui svolgiamo un ruolo chiave in forza del colonialismo del passato? Qui dovremmo aprire una parentesi che prima di chiuderla ci metteremmo un bel po'.

Ecco, da questo punto di vista, prima di comminare delle sanzioni, sarebbe meglio fare una conferenza internazionale sul problema del rispetto delle minoranze. In un'epoca in cui tutto sembra avere una caratteristica di globalità, è necessario riprecisare meglio le condizioni in cui una determinata comunità locale va rispettata.

 

[20] Londra, il declino

 

Su “Il caffè geopolitico” un art. mette a nudo il declino di Londra. Nel 2020 ben 700.000 cittadini di origine straniera hanno abbandonato la città.

Il costo della vita resta elevatissimo (i prezzi medi delle case sono di 130.000 sterline più alti della media della periferia), tant'è che il centro di Londra vede vuoto circa il 27% degli appartamenti presenti. I senzatetto (o senza fissa dimora) sono stati nel 2020 circa 10.000 persone (nel 2009 erano circa 3.600). E affollano ormai ogni quartiere della città.

Il 2021 porterà per la prima volta, dopo 30 anni, una decrescita nella popolazione complessiva.

A Londra vive il 14% della popolazione nazionale, responsabile di circa il 25% della produzione di ricchezza del Regno Unito. Ma la pandemia, che a tutt'oggi ha ucciso circa 14.000 cittadini (più di quanti ne ebbero coi bombardamenti nazisti), ha devastato settori cruciali come turismo e cultura (il West End rischia una contrazione che va, a seconda degli scenari, dal 10% al 97% delle attività economiche che riguardano 26.000 posti di lavoro).

Il governo si vanta d'essere efficiente sul piano della vaccinazione contro il Covid-19, ma l'uscita dalla UE ha spinto molte aziende nel settore finanziario a migrare verso Francoforte o Parigi e ha consentito a gennaio ad Amsterdam di superare Londra per volume di daily trading. Basti pensare che nel 2019 i servizi finanziari, gran parte localizzati a Londra, hanno rappresentato circa il 7% del PIL nazionale, pari a 150 miliardi di sterline.

La Global Britain, su cui poggia il reame Brexit di Johnson, in virtù della quale si vorrebbe tenere assieme le vecchie colonie più progredite, è un obiettivo del tutto antistorico. Di fatto il Regno Unito è sempre più isolato e ininfluente a livello mondiale.

Per rilanciarne i destini della City, il sindaco Sadiq Khan, di origini pakistane, ha promosso una piattaforma, London's Recovery, che mira a coinvolgere i cittadini in un dibattito sul futuro ecologico della città: uno 0,01% del territorio nazionale, fonte del 10% del PIL britannico, che però è sempre più isolato, vuoto e privo di servizi.

 

[21] Turchia, questione femminile. Regno Unito, Brexit

 

Il governo della Turchia ha annunciato che si ritirerà dalla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, un accordo internazionale promosso dal Consiglio d'Europa nel 2011 ed entrato in vigore nel 2014 per prevenire e combattere la violenza contro le donne, lo stupro coniugale e le mutilazioni genitali femminili. L'accordo, firmato da 45 Paesi in tutto il mondo più l'Unione Europea, è noto come Convenzione di Istanbul, poiché fu ratificato nella città turca, e la Turchia fu il primo paese a firmarlo.

Il presidente Erdoğan, il cui governo è diventato sempre più autoritario, ha voluto fare un favore all'ala più conservatrice del suo elettorato islamico, secondo cui la Convenzione sarebbe contraria alle norme dell'islam e incoraggerebbe divorzio e omosessualità.

Il vicepresidente, Fuat Oktay, ha scritto su Twitter che la soluzione per “elevare la dignità delle donne turche” sta “nelle nostre tradizioni e nei nostri costumi”, non nell'imitazione di esempi esterni.

Eppure nel 2019 in Turchia sono state uccise almeno 474 donne, la maggior parte dagli attuali o dai precedenti compagni, dai familiari o da uomini che volevano avere una relazione con loro. Soltanto nei primi due mesi del 2021 ci sono stati 65 femminicidi. Secondo l'OMS almeno il 40% delle donne turche è vittima di violenza compiuta dal proprio partner, rispetto a una media europea del 25%.

D'altra parte in quale Paese islamico viene tutelata la donna? Se lo è, difficile che lo sia grazie a questa religione maschilista.

 

Fin dalla campagna elettorale del referendum sulla Brexit, l'ala più radicale del Partito conservatore aveva promosso l'idea, alquanto velleitaria, che il Regno Unito rivolgesse il proprio interesse commerciale e diplomatico al di fuori dell'Europa, per rafforzare i legami coi Paesi che appartengono al Commonwealth (quello che rimane dell'impero britannico), fra cui soprattutto India, Australia, Singapore, Nuova Zelanda, nella convinzione di poter diventare nel sudest asiatico un Paese economicamente forte come Singapore e la Malesia.

Ora il governo del megalomane Boris Johnson ha presentato un articolato documento di 114 pagine, intitolato “Global Britain in a competitive age”, che delinea la strategia dei prossimi anni sulla politica estera, la difesa, la sicurezza e le relazioni commerciali del Regno Unito.

Tra le varie idee bislacche vi è l'impegno ad aumentare di 28 miliardi di sterline le spese militari nei prossimi quattro anni, il lancio di un satellite interamente britannico entro il 2022, e soprattutto il superamento del limite massimo di testate nucleari che il Paese potrà conservare, che aumenterà per la prima volta in 30 anni da 180 a 260. Tutto il contrario di quello che ha intenzione di fare la UE, che sta cominciando a capire che il nucleare è pericoloso anzitutto per se stessi.

Il piano contiene anche la promessa di dispiegare una delle due portaerei della classe Queen Elizabeth, le ultime costruite dalla marina britannica, nei mari dell'Asia, cosa che sicuramente non sarà gradita dalla Cina, che considera quella regione parte integrante della sua area d'influenza, e le forze britanniche, a livello di proiezione di potenza, non potrebbero certo competere con quelle cinesi.

Gli Stati Uniti rimarranno i principali alleati del Regno Unito, con cui condividere l'opposizione ai modelli economici e sociali di Cina e Russia. Al momento però Biden vuole riprendere i rapporti commerciali con la UE, rinunciando a qualunque dazio protettivo. Inoltre era contrario all'uscita del Regno Unito dalla UE.

Quel che c'è di sicuro, al momento (stando ai dati del loro Ufficio di statistica), è che dal gennaio 2021 l'export del Regno Unito nei Paesi della UE è diminuito del 41%, mentre l'import è calato del 29% rispetto al mese precedente (a prescindere da oro e metalli preziosi). La Brexit sta mandando a picco l'economia inglese, proprio perché non esiste al mondo un altro mercato così ricco e vicino geograficamente alla loro isola (con gli USA scambiano soltanto il 20% delle loro merci, meno della metà di quelle con la UE). Allevatori, pescatori, agricoltori, grossisti abituati a vendere alimenti di origine animale e vegetale sono tutti in grave difficoltà. Per non parlare di quelle aziende costrette a creare delle filiali nella UE per evitare gli inghippi burocratici, facendo però perdere molti posti di lavoro in patria ai britannici.

Insomma se anche il Regno Unito riuscisse a concludere un favorevole accordo commerciale con tutti i Paesi del Commonwealth, ciò potrebbe non essere sufficiente a coprire le perdite causate dalla Brexit: infatti il PIL complessivo del Commonwealth è di circa 8.800 miliardi di euro, poco più della metà del PIL della UE. Per non parlare delle enormi distanze geografiche, che limiterebbero di molto la portata degli scambi, nonché del fatto che non tutti i Paesi del Commonwealth sono disposti a considerare gli inglesi un partner privilegiato.

Johnson farebbe meglio a evitare la frantumazione del suo Paese, dove in Scozia il governo regionale preme per tenere un nuovo referendum sull'indipendenza, mentre gli accordi sulla Brexit hanno fatto riavvicinare repentinamente l'Irlanda di Belfast a quella di Dublino.

 

[22] Medio Oriente

 

A 10 anni dalle cosiddette “Primavere Arabe”, il modello della “Politica europea di vicinato” (basato sul principio “più progressi verso la democrazia, più aiuti economici”) sembra essere andato perduto. Forse per colpa della pandemia, che assorbe ogni attenzione mediatica, la UE, come tale, non come singoli Stati, non s'interessa più del Medio Oriente. E forse anche perché dopo quelle mezze rivoluzioni, gli Stati islamici non hanno dimostrato una chiara volontà di liberarsi dalle catene culturali del loro passato, cioè dai loro limiti di fondo.

La UE non ha presentato iniziative diplomatiche decisive né in Siria né in Libia, lasciando spazio ad altre potenze, come Russia e Turchia. In Israele/Palestina oggi è totalmente assente, eppure la situazione dei palestinesi è andata via via peggiorando. Gli Accordi di Abramo tra Israele, Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Stati Uniti, verranno sicuramente usati da Israele per vessare ancor più i palestinesi.

Nel recente arrembaggio per spartirsi le nuove zone energetiche da sfruttare, trovate nel Mediterraneo orientale, hanno agito separatamente gli Stati membri, mentre la UE, come tale, ha soltanto svolto il ruolo di mero strumento per il raggiungimento dei loro obiettivi geopolitici ed economici.

Dopo aver proseguito per decenni sul binario statunitense, la UE, ora che gli USA mostrano scarso interesse alle rivolte arabe, alla situazione della Libia e del Mediterraneo orientale, preferendo agire aggressivamente contro l'Iran e appoggiando frange terroristiche in Siria, si trova come spiazzata. Non ha una politica estera autonoma. Non è stata neppure capace di contestare gli USA quando rifornivano a spron battuto l'Arabia Saudita di armi sofisticate per la sua guerra, peraltro del tutto fallimentare, nello Yemen.

Non solo, ma la situazione in Medio Oriente si è ulteriormente complicata a causa delle diverse alleanze strategiche che si sono costituite dopo quelle (illusorie) “primavere”; e, ancora una volta, la UE non sa letteralmente che posizione assumere. Si va dallo scontro tra Turchia/Qatar da un lato (col loro appoggio ai partiti e movimenti legati alla Fratellanza Musulmana) ed Emirati Arabi Uniti/Arabia Saudita/Egitto dall'altro, e tra Iran/Siria/Hezbollah libanesi da un lato e Emirati Arabi Uniti/Arabia Saudita/Egitto/Israele dall'altro.

Appare ancora molto lunga la strada con cui risolvere le grandi criticità esistenti in Siria, Libia, Yemen, Iraq, Libano, Palestina..., cui oggi vanno aggiunte l'assurda proiezione di potenza della Turchia (il cui governo vuole ripristinare l'ex impero ottomano) e l'acutizzarsi del conflitto tra Iran e Arabia Saudita (che in Occidente s'interpreta, in maniera approssimativa, come quello tra sciiti e sunniti). E l'approccio prevalentemente militare, divisivo e sanzionatorio degli USA non ha ottenuto alcun risultato, se non quello di permettere loro un certo controllo delle risorse energetiche, che è il loro obiettivo principale.

Di fatto il Medio Oriente continua a restare una pentola a pressione pronta a esplodere in qualunque momento. Il multiculturalismo, il rispetto delle minoranze, la tutela ambientale volta al superamento della dipendenza dagli idrocarburi, l'autoritarismo dei governi politici, l'ideologizzazione religiosa degli Stati, il forte sfruttamento lavorativo della manodopera straniera, l'obsoleta discriminazione relativa al genere e all'orientamento sessuale, l'iperconcentrazione abitativa nelle megalopoli... sembrano essere problemi irrisolvibili in Medio Oriente. E noi europei, che potremmo dire molte cose più sensate di quelle americane, ce ne stiamo con le mani in mano.

 

[23] USA, minoranze

 

Negli anni '80 solo il 6,5% della popolazione nordamericana era di origine ispanica. Oggi i latinos sono 60,57 milioni, e rappresentano circa il 19% della popolazione. Se considerati come un unico gruppo etnico, gli ispanici costituiscono la minoranza più numerosa negli USA. Vi sono più ispanofoni qui che in Spagna (47 milioni) o in Colombia (48 milioni). Solo in Messico ve ne sono di più.

I latinos sono presenti soprattutto in California, Texas e Florida: a Miami si può tranquillamente fare a meno dell'inglese per comunicare con gli abitanti del posto.

Le ultime stime del Census Bureau indicano che circa il 30% degli americani s'identifica come “minoranza razziale o etnica”. Come noto la Corte Suprema sostiene che il termine “razza” si estende a tutte le etnie (anche se tale termine non è applicabile alla specie umana), e quindi può includere per es. ebrei, arabi, polacchi, italiani, irlandesi, ecc.

A livello nazionale i più grandi gruppi demografici etnico-razziali nel 2019 sono stati: Bianchi: 60% (di cui circa il 15% di origine tedesca), Ispanici: 19%, Neri (o afroamericani): 12%, Asiatici: 5,7%. Poi, con percentuali poco significative, vi sono gli Indiani nativi, divisi in 567 tribù che parlano più 100 lingue diverse; i nativi hawaiani e altri isolani del Pacifico, ecc. Nonostante la ancora netta maggioranza bianca, nel 2020 sono nati più bambini non bianchi.

La vitalità della lingua spagnola in questo Paese è evidente. La sua diffusione non si limita solo ai nuclei familiari e ai quartieri in cui risiedono le minoranze, ma ha raggiunto anche la tv e la radio, e sta occupando una posizione di rilievo anche nell'ambiente accademico e universitario.

D'altra parte lo spagnolo è, dopo il cinese mandarino (parlato però solo in Cina, Taiwan e Singapore), la lingua più parlata al mondo: oltre 405 milioni di persone madrelingua in 30 Stati, contro i 360 milioni di inglese madrelingua, che però, sebbene siano solo 1/3 di quelli che parlano cinese, rappresentano la vera lingua mondiale, parlata come seconda o terza lingua da almeno 1,4 miliardi di persone. Poi vi sono l'hindi e l'arabo.

Molti Paesi multilingue promuovono una lingua ufficiale, ma gli USA non l'hanno mai fatto: i Padri fondatori non ne vedevano la necessità. Nel corso della rivoluzione contro la Gran Bretagna, la lingua inglese era già la lingua dominante negli USA, per cui nessuno avvertiva il bisogno di proteggerla. E nel contempo non si volevano offendere i concittadini non anglofoni che avevano contribuito a combattere per l'indipendenza.

D'altra parte le lingue comuni parlate in tutte le 13 colonie includevano, sin dalle origini, olandese, francese e tedesco, per non parlare delle molte lingue parlate dai nativi americani.

Semmai era vietato agli africani schiavi usare la loro lingua madre (e persino imparare a leggere e scrivere in inglese), in quanto gli schiavisti temevano che avrebbero potuto ribellarsi più facilmente. Invece venivano costretti a imparare l'inglese i figli dei nativi americani.

Oggi l'inglese, per molti aspetti americanizzato, è la lingua dei documenti governativi, dei procedimenti giudiziari e dei contratti commerciali. Chi non lo conosce è destinato a vivere come un emarginato, anche se nessun governo ha mai cercato d'imporlo come lingua ufficiale.

Semmai si è cercato di farlo a livello di singoli Stati: attualmente sono 32 quelli che riconoscono l'inglese come lingua ufficiale per legge, mentre in Louisiana, New Mexico e Hawaii vi sono due lingue ufficiali. L'Alaska ha ufficializzato, oltre all'inglese, 20 lingue indigene. California, Massachusetts e Arizona negli ultimi 20 anni hanno emanato leggi che eliminano i programmi di istruzione bilingue. Ma queste leggi sono state abrogate nel 2016-17 (salvo che in Arizona), perché considerate discriminanti. E poi si è convinti che i figli degli immigrati, imparando l'inglese a scuola, rinunceranno col tempo, spontaneamente, alla loro lingua madre. In ogni caso quando in gioco vi è la salute e la sicurezza pubblica, i documenti ufficiali vengono scritti anche in altre lingue.

Nonostante ciò i sostenitori del movimento “English Only” o “Pro English” sono in crescita. Il loro obiettivo è quello di fare dell'inglese la lingua ufficiale del Paese, eliminando l'istruzione bilingue nelle scuole pubbliche. È stato classificato come “gruppo d'odio” (suprematista) dal Southern Poverty Law Center, organizzazione che si batte per sconfiggere l'ingiustizia sociale e razziale. Quando Trump arrivò alla Casa Bianca queste ondate di odio verso i latinos crebbero notevolmente: si pensi solo all'idea di potenziare ulteriormente il muro che separa gli USA dal Messico.

Da noi fu il fascismo a eliminare definitivamente l'uso del bilinguismo italiano-dialetto nelle scuole statali. L'effetto di questa scriteriata decisione fu che l'italiano s'impoverì nel lessico e, a partire dal dopoguerra, s'imbastardì di una infinità di termini inglesi.

 

[24] Togo, dittatura

 

A quanto pare un'intera famiglia di dittatori e faccendieri (i Gnassingbé), che governa nel piccolo Togo a partire dal colpo di stato militare del gennaio 1963, ha il primato mondiale della longevità autoritaria.

Il golpe fu fatto da uno sparuto gruppo di veterani dell'esercito francese: poco più di 600 uomini, bene armati e appoggiati politicamente e militarmente dalla Francia. Per rovesciare il governo in carica, eletto democraticamente, fu sufficiente assassinare il neo eletto presidente Sylvanus Olympio, che aveva portato il Paese all'indipendenza.

L'attuale presidente è al governo, sempre grazie ai militari, dal 2005. Non è mai riuscito a convincere l'istituto statunitense Freedom House a non considerare il suo Paese come “non libero”, anche perché è specializzato, come suo padre, nel truccare le elezioni. Differisce da lui solo perché meno feroce: non fa sbranare gli avversari dai coccodrilli, né coltiva un culto abnorme della sua personalità.

Il Togo, nonostante l'indipendenza dalla Francia coloniale, è funzionale agli interessi delle grandi multinazionali europee, che sfruttano soprattutto i fosfati, ma anche ferro e marmo, e naturalmente cacao, caffè e cotone. Si affaccia su un Golfo di Guinea dove nuota più la plastica che il pesce.

Amnesty International da molto tempo denuncia “l'uso eccessivo della forza, tortura, arresti e detenzioni arbitrari, impunità...”. Se la prende solo col governo, non dicendo nulla, come al solito, delle multinazionali. Fa un discorso giuridico, tant'è che ha gioito quando nel 2009 il parlamento ha abolito la pena di morte. Come se questo potesse bastare per impedire al governo di far fuori gli avversari politici.

Le proteste di piazza però si sono accese in tutto il Paese: la gente non ne può più. Persino il vescovo cattolico emerito della capitale Lomé (con un cognome impronunciabile, Kpodzro), nonostante i suoi 90 anni, ha deciso di schierarsi a fianco dell'opposizione, che in teoria avrebbe vinto le ultime elezioni del febbraio 2020, ma il governo non ne vuol sapere.

L'Unione Europea ha detto forse qualcosa? E la Francia, che ha ancora molti interessi in Togo? Silenzio assordante. La UE è sicuramente un continente più vivibile di molti altri territori (anche perché devastata da due catastrofiche guerre mondiali), ma le sue reticenze nei confronti delle contraddizioni africane restano molto preoccupanti. Forse per cominciare a parlarne abbiamo bisogno di flussi migratori ancora più imponenti.

 

[25] Il Gruppo Bolloré

 

Il Gruppo Bolloré, guidato da Vincent Bolloré, effettua la maggior parte dei suoi investimenti in Africa. È il leader nel trasporto e nella logistica nel continente. Piantagioni, concessioni ferroviarie, logistica e gestione di porti: dal Camerun alla Costa d'Avorio, dal Togo al Burkina-Faso, dal Ghana alla Nigeria. Sono questi i suoi interessi e le nazioni in cui opera. Il suo gruppo è sbarcato nel continente nel 1985, con l'acquisto del Groupe Rivaud, fondato all'epoca d'oro del colonialismo.

È stato preso di mira dal Tribunale di Parigi in un caso di corruzione in Togo e Guinea. Nell'ambito di un accordo legale, la società Bolloré ha accettato il pagamento di una multa di 12 milioni di euro, al fine di evitare che possibili procedimenti penali compromettano la sua attività in Africa. Il gruppo dovrà anche accantonare 4 milioni di euro a copertura dei costi di un programma per conformarsi alle regole dell'Agenzia francese anticorruzione che durerà due anni.

Non solo, ma la giudice, Isabelle Prévot-Desprez, ha rifiutato di validare l'atto di comparizione, previa ammissione di colpevolezza negoziato tra Vincent Bolloré e il Tribunale finanziario, in cambio di una multa di 375 mila euro, poiché secondo lei la sanzione alla persona di Bolloré “è inadatta, considerando la gravità dei fatti imputati”, che hanno “leso l'ordine pubblico economico e la sovranità del Togo”, per cui è necessario un vero processo penale.

La sua colpa stava nella corruzione attiva di pubblici ufficiali stranieri e di complicità nell'abuso di potere, cioè nell'aver finanziato campagne elettorali in Africa in cambio di concessioni e appalti.

A Lomé e Conakry (capitali rispettivamente del Togo e della Guinea) la popolazione ha esultato, perché aveva un motivo in più per contestare i loro governi autoritari, finanziati da questo magnate in cambio di grandi favori commerciali (in particolare, ultimamente, la gestione dei due suddetti porti di Lomé e di Conakry). In questi due Paesi la giustizia è troppo corrotta perché si potesse fare qualcosa contro la società di Bolloré. Non restava che quella francese.

Ma Bolloré è multimiliardario e pagherà tranquillamente: è il secondo azionista di Mediobanca dal 2003; è presidente del Consiglio di Amministrazione della holding Havas, sesto gruppo mondiale nel settore delle telecomunicazioni, del quale possiede il 36%; è l'azionista di maggioranza del colosso Vivendi, tramite il quale detiene il 28,8% di Mediaset e il 23,94% di Telecom Italia. Ha proprietà e interessi in numerose società industriali, commerciali e finanziarie sparse nel mondo. È tra gli uomini più ricchi del mondo.

È stato al centro di numerose polemiche per le sue svariate attività economiche nella cosiddetta Françafrique (trasporti pubblici, logistica, trasporti marittimi, agricoltura), ottenendo grandi privilegi da parte dei governi degli Stati africani, grazie alle pressioni politiche e diplomatiche, a volte anche sfociate in interventi militari veri e propri, esercitate dal governo francese, soprattutto da quello presieduto da Sarkozy, suo grande amico.

Nel 2017 anche sui giornali italiani apparve la notizia che Bolloré era indagato dalla Procura di Milano per concorso in aggiotaggio nella scalata del gruppo francese a Mediaset. L'accusa era stata fatta da Berlusconi.

E poi dicono che non si può più parlare di colonialismo europeo in Africa. E poi ci meravigliamo, nella nostra grande ignoranza di questi meccanismi perversi, dei flussi migratori che giungono sulle nostre coste. Spesso purtroppo i Paesi africani sono in mano a cricche di potere che, in combutta con aziende europee, fanno soltanto i loro sporchi interessi.

Molte ONG – tra cui Greenpeace, Attac, Amis de la Terre – avevano più volte lanciato sospetti di corruzione e abusi di vario tipo, ma l'imprenditore bretone, per tutta risposta, aveva sempre minacciato querele ai giornalisti che volevano indagare.

 

[26] La povertà nella UE

 

OpenPolis ha fatto una ricerca sulla povertà nella UE. Ecco i risultati.

Uno degli obiettivi per il 2019 era la riduzione del 25% degli europei a rischio povertà ed esclusione sociale, cioè 20 milioni in meno. Questo considerando che nel 2019 si trovavano a rischio di povertà ed esclusione sociale oltre 107 milioni su persone: un numero molto elevato, anche se ridotto di 17,1 milioni rispetto al 2005.

Tuttavia dal 2010 al 2019 c'è stato un calo pari a 10,3 milioni di persone in stato di povertà, a fronte degli oltre 20 milioni auspicati.

Ma quand'è che uno è “povero”? Le condizioni sono tre. Quando vive una grave deprivazione materiale: beni e servizi fondamentali sono inaccessibili. Quando, pur lavorando, guadagna meno del 60% del reddito medio nazionale. Quando lavora meno del 20% del proprio tempo di lavoro potenziale.

A) 13 dei 27 Paesi UE hanno meno del 20% di cittadini in condizione di povertà, con valori quindi al di sotto della media europea (21,3%). Si tratta sia degli Stati del nord, come Finlandia (15,6%), Danimarca (16,3%) e Paesi Bassi (16,5%), che di quelli dell'Europa centro-orientale, come Slovacchia (16,4%), Slovenia (14,4%) e, al primo posto, Repubblica Ceca (12,5%), il Paese UE con meno persone a rischio.

B) Gli Stati del sud e dell'est Europa presentano le percentuali più alte di disagio. In primis la Bulgaria (32,8%), seguita da Romania (31,2%), Grecia (30%), Lettonia (27,3%), Lituania (26,3%) e Italia (25,6%).

Poi naturalmente vi sono differenze a livello regionale. L'Italia, che a livello nazionale è il sesto Paese per quota di persone a rischio povertà o esclusione sociale, vede la Val d'Aosta come la regione con la quota media più bassa di persone disagiate (8,1%). Indicativamente le regioni del nord non superano mai il 20% di persone a rischio di povertà.

Invece al centro e al sud le quote sono superiori: su 7 regioni (considerando anche le isole) 4 hanno un valore maggiore del 31%, mentre le percentuali in 2 regioni superano il 40%. In questo panorama, la Sardegna risulta un'eccezione: infatti la percentuale si attesta al 28,1%, un valore calato di quasi 10 punti percentuali rispetto al 2016.

Il nostro Paese resta comunque l'unico in cui tra le regioni vi è un importante divario socio-economico, toccando tutte le fasce di povertà. Infatti la Campania, tanto per fare un esempio, ha quasi il 50% della popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale: è la quota più alta in Europa.

 

[27] Venezuela, sanzioni

 

Le sanzioni imposte dagli Stati Uniti al Venezuela, avallate a più riprese dall'Unione Europea, rendono impossibile ogni transazione internazionale, cioè non solo il commercio petrolifero del Paese, ma anche l'acquisto di alimenti e medicine. Per affamarlo gli USA stanno usando qualunque mezzo, dal blocco delle navi al ricatto di imprese e istituzioni e autorità portuali.

Già nel 2019 hanno requisito la raffineria Citgo, inducendola a staccarsi dalla Pdvsa (la compagnia petrolifera statale del Venezuela che la possiede al 100%). Hanno bloccato gli attivi del Venezuela all'estero, nonché l'oro nelle banche europee. Quasi 90 imprese internazionali sono state incluse nella lista nera per aver mantenuto relazioni col governo di Maduro e con Pdvsa. Tutto è diventato estremamente difficile, nell'indifferenza degli organismi internazionali.

È normale una cosa del genere? Prima delle sanzioni americane, il Venezuela era il quinto esportatore mondiale di petrolio. Le sue riserve petrolifere sono le più grandi nell'emisfero occidentale e rappresentano circa la metà del totale al mondo. Poi vi sono le riserve di gas naturale.

Con la proprietà di Citgo, PDVSA al suo apice, fino al 2013, controllava il 10% del mercato petrolifero interno degli USA.

Viceversa, con l'inizio della crisi il Venezuela ha dovuto prendere in prestito 1,5 miliardi di dollari dalla Russia, offrendo il 49,9% della quota di PDVSA. L'elevata probabilità d'insolvenza del Venezuela significa che Citgo potrebbe essere assorbita dalla Rosneft (grande industria petrolifera russa) nel prossimo futuro.

Perdere Citgo sarebbe disastroso per il Venezuela, poiché verrebbe meno il flusso di entrate che fornisce il 90% dei guadagni in valuta forte del governo.

Intanto l'estrema destra venezuelana da anni chiede l'intervento armato di forze esterne contro il proprio Paese per abbattere il governo di Maduro, democraticamente eletto nel 2013, e sostituirlo con quello di Guaidó, uomo di paglia degli americani.

La destra ha pure il coraggio di proporre il “premio Sakarov” alla golpista boliviana Janine Añez e alla ex deputata di estrema destra venezuelana, Maria Machado.

Uno dei primi atti di governo di Biden è stato quello di prorogare per un anno il decreto Obama, che definiva il Venezuela “una minaccia inusuale e straordinaria per la sicurezza degli Stati Uniti”.

In realtà gli USA, in nome della cosiddetta “dottrina Monroe”, sono l'unico Paese non latinoamericano ad avere basi militari nella regione, e l'unico a non avere problemi di controllo dei principali snodi economico-commerciali. Non vi sono potenze regionali in grado di proporre “un'alternativa credibile”, meno che mai dopo il ritorno a destra di Paesi come il Cile o il Brasile e l'indebitamento gigantesco dell'Argentina.

Semmai a preoccupare gli USA, ultimamente, sono le relazioni privilegiate che molti Paesi sudamericani hanno iniziato a stabilire con la Cina: infatti nell'ultimo decennio Pechino ha superato Washington negli scambi commerciali con la stragrande maggioranza di questi Paesi. Per consentire facilmente il trasporto di minerali di ferro, rame, petrolio e soia, che da soli rappresentano il 70% dell'export dall'America latina verso la Cina, la Via della Seta deve passare anche di qui.

 

[28] Siria, guerra

 

Impressionante analisi di Markus Gelau su “L'Antidiplomatico” del 16 marzo relativa alle menzogne su cui si è retta la decennale guerra in Siria.

Esattamente 10 anni fa, nel marzo 2011, è iniziato il progetto geopolitico delle élite occidentali – col sostegno e il finanziamento dei sauditi e dei qatarini – per eliminare il legittimo governo siriano (democraticamente eletto), sulla base dei modelli già sperimentati in Jugoslavia, Iraq, Ucraina e Libia, e sostituirlo con un governo fantoccio compiacente. Il progetto è fallito grazie all'intervento della Russia, dell'Iran, ma soprattutto grazie alla volontà del popolo siriano.

Qual è stato il prezzo di queste intenzioni distruttive? Quasi 400.000 morti, più di 11 milioni di sfollati (di cui 5,5 espatriati) e un Paese un tempo prospero sull'orlo del baratro. Eppure ancora oggi la maggioranza assoluta del popolo siriano è dietro il suo presidente Assad.

La Siria è l'unico paese laico del Medio Oriente. La religione e lo Stato sono strettamente separati. Forse anche troppo, visto che nel 2010 è stato vietato il “niqab” (velo sul viso) in tutte le università. In ogni caso già nel 1998 la percentuale di donne che studiava in queste università era del 40%. Nel 2001 il 26% di tutte le donne siriane era occupato nel mondo del lavoro. La Siria è l'unico Paese arabo in cui le donne hanno il diritto di voto e di essere elette dal 1949.

Le donne hanno sempre potuto lavorare, guidare, viaggiare, votare, studiare e vivere una vita autodeterminata. Fanno servizio militare volontario, s'impegnano negli affari e nella politica. Ricevono lo stesso salario degli uomini. Il presidente del parlamento siriano è stata nel 2016-17 una donna, Hadiya Abbas. Dal 2017 questa carica è tenuta da Hammouda Sabbagh, un cristiano ortodosso. Entrambi sono del Partito Socialista Arabo Ba'ath.

Il vicepresidente della Siria (cioè la persona più potente della repubblica dopo il presidente Assad) è una donna (Naja al Attar), in carica dal 2006. Un generale di brigata dell'esercito siriano è dal 2017 una donna, Nibal Madhat Badr. Il più importante consigliere politico e mediatico del presidente siriano Assad è dal 2008 una donna, Bouthaina Shaaban. Già nel 2016 il 13% del parlamento siriano era composto da donne. Sono numeri e cariche impensabili per qualunque altro Paese islamico.

Per decenni una grande varietà di etnie e religioni ha vissuto insieme pacificamente. I sunniti sono in grande maggioranza nell'esercito siriano. Combattono insieme a decine di migliaia di volontari e coscritti sciiti, alawiti, drusi, curdi o cristiani ortodossi, a prescindere dalla loro fede. Come concessione all'oltre 80% di musulmani nel Paese, solo il presidente come capo di stato deve essere musulmano.

Non c'è mai stata una “guerra civile” in Siria. Dopo quasi 10 anni di guerra per procura ininterrotta sul suo territorio, il popolo siriano, col sostegno russo e iraniano, è riuscito a sconfiggere non solo l'ISIS, ma anche centinaia di migliaia di mercenari del terrore, portati nel Paese da potenze straniere. Le cosiddette milizie “ribelli” sono sempre state composte quasi esclusivamente da decine di migliaia di mercenari terroristi provenienti da oltre 100 Paesi, ingaggiati da NATO, Israele, Arabia Saudita e Turchia.

Gli USA, la Francia e la Turchia sono invasori della Siria in violazione del diritto internazionale. Anche soldati belgi e australiani operavano in Siria senza essere stati chiamati dal governo. Lo Stato di Israele bombarda la Siria quasi settimanalmente dall'inizio della guerra. L'esercito israeliano ha coordinato per anni le azioni coi gruppi terroristici islamici, equipaggiati da Israele, e i jihadisti feriti sono stati ufficialmente trattati negli ospedali israeliani e turchi. Israele non vuole assolutamente restituire alla Siria le Alture del Golan, abusivamente occupate dal 1967.

Attualmente le aree nel nord della Siria sono ancora occupate da una forza d'invasione turca in violazione del diritto internazionale. La regione di Idlib (nel nord della Siria) è controllata al 100% dal gruppo terroristico islamista Jabhat Fateh al-Sham, il cui nome precedente era Fronte Nusra (affiliato ad Al-Qaeda). Circa 30.000 mercenari sono attualmente in grado di mantenersi a Idlib solo grazie al massiccio sostegno turco e anglo-americano. Inoltre, il governo tedesco ha trasferito oltre 100 milioni di euro di denaro dei contribuenti a Idlib negli ultimi 24 mesi.

La Germania ha avuto un ruolo vergognoso in questa guerra sin dagli inizi: ha sempre sostenuto sia apertamente sia segretamente i terroristi in virtù del Piano Perthes-Feltman. Li ha finanziati e istruiti a livello di intelligence. Il governo tedesco della Merkel ha trasferito più di 10 milioni di euro ai “Caschi Bianchi”, cioè Al-Qaeda.

L'Occidente non ha mai accettato il fatto che il presidente della Siria, Bashar al-Assad, sia stato eletto democraticamente. Persino l'anno scorso tutti i Paesi della NATO (compresa la Germania) hanno vietato ai rifugiati siriani di votare alle ultime elezioni democratiche nelle rispettive ambasciate siriane dei loro Paesi di rifugio.

 

[29] Israele e Siria, le alture del Golan

 

Israele detesta la Siria perché dovrebbe restituirle le Alture del Golan, ma non ha nessuna intenzione di farlo, anche se nessun Paese al mondo le riconosce come territorio israeliano. Per questo, di tanto in tanto, la bombarda, approfittando del fatto che in quel Paese esiste una guerra decennale che l'ha devastato, al punto che l'esercito siriano non è in grado di reagire. Inoltre vi sono presenti truppe iraniane, chiamate da Assad, insieme a quelle russe, per eliminare i terroristi sostenuti da USA, Germania, Regno Unito, Arabia, Qatar ecc. E Israele odia a morte anche l'Iran.

Come noto gli USA hanno avallato ufficialmente l'assurda rivendicazione sionista nei confronti del Golan, parlando non più di “occupazione” bensì di semplice “controllo” da parte di Israele. Inoltre hanno già riconosciuto Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele, facendo chiaramente capire che, proprio come Israele, non sono interessati a rispettare il diritto internazionale. E poi chiedono ai russi di restituire la Crimea all'Ucraina!

Le Alture del Golan appartennero al Governatorato di Damasco dell'impero ottomano fino al 1918. Poi passarono alla Francia, che al termine della prima guerra mondiale controllava la Siria. Quando il mandato francese terminò nel 1944, il Golan divenne parte della Repubblica Araba di Siria.

I 2/3 della regione vennero occupate da Israele nel corso della Guerra dei Sei Giorni nel 1967. In seguito alla guerra dello Yom Kippur del 1973 Israele ha accettato di restituire circa il 5% del territorio alla Siria per il controllo internazionale e da allora il 95% del territorio è conteso tra Israele e Siria. Questo 5% è stato incorporato in una striscia demilitarizzata di terra che corre lungo la linea di cessate il fuoco nota come zona UNDOF, istituita nel 1974, appunto per supervisionare l'attuazione dell'accordo di disimpegno e mantenere il cessate il fuoco. Attualmente vi sono oltre 1.000 membri delle forze di pace delle Nazioni Unite.

Israele procedette, come avvenuto nel resto dei Territori Occupati, a espellere la quasi totalità della popolazione locale e iniziò la costruzione di insediamenti nella regione, fino a quando, nel 1981, approvò la Legge delle Alture del Golan, ponendo la regione sotto il diritto civile, l'amministrazione e la giurisdizione israeliana. Questa scelta è stata condannata dal Consiglio di sicurezza dell'ONU con la Risoluzione 497, che l'ha definita “priva di ogni rilevanza giuridica internazionale”. Però non è stato fatto nulla per obbligare Israele ad andarsene.

Prima della guerra del 1967 vi erano quasi un centinaio di villaggi siriani. Ma finita la guerra circa 100.000 persone avevano perso le loro case e si ritrovarono sfollate nelle zone interne della Siria. Rimasero soltanto gli abitanti di sei villaggi nel nord dell'altipiano: circa 7.000 drusi, diventati al giorno d'oggi circa 20-22.000 con la loro discendenza. Israele distrusse metodicamente tutti i villaggi abbandonati, riassegnando una gran parte delle terre ai propri coloni, che ora possiedono le migliori vigne e i più bei frutteti. Anche la popolazione ebraica è composta di circa 22.000 coloni che vivono in 32 insediamenti ex siriani.

L'importanza del Golan, posto fra Israele, Siria e Libano, è strategica, perché permette di controllare, grazie soprattutto al monte Hermon, tutta la valle settentrionale del Giordano. Israele pensa anche di sfruttare i forti venti per costruire turbine eoliche sulle terre degli agricoltori siriani, confiscandone le proprietà.

Inoltre le Alture del Golan sono uno dei più grandi serbatoi idrici del Medio Oriente. Per l'agricoltura intensiva israeliana avere accesso diretto alle acque del monte Hermon è fondamentale: quelle acque forniscono a Israele 1/3 del fabbisogno idrico complessivo.

Anche la Siria però ne ha bisogno, soprattutto da quando nelle regioni meridionali si è preferito coltivare il cotone al posto di altre piantagioni. Tra l'altro l'acqua è diminuita per via delle recenti dighe costruite dalla Turchia sull'Eufrate, uno dei fiumi fondamentali del Medio Oriente.

Ma quel che è peggio è che nel 2014 il Comitato israeliano per la costruzione delle regioni settentrionali ha approvato un progetto pilota per la perforazione delle Alture del Golan, al fine di sfruttare il petrolio e altre risorse minerarie. L'azienda coinvolta è l'Afek Oil and Gas, che è parte della società statunitense Genie Energy.

 

[30] Cina e America latina

 

Il primo Paese sudamericano ad aderire al progetto cinese detto “La Via della Seta”, è stato Panama, seguito, subito dopo, da Uruguay, Ecuador, Venezuela, Cile, Bolivia, Costa Rica, Cuba, Guyana, Suriname e, ultimo arrivato, il Perù, intenzionato a creare una ferrovia transoceanica di 3.500 km, dal costo di 30 miliardi di dollari, per collegare Oceano Atlantico e Pacifico, dal Perù al Brasile, tagliando in due l'Amazzonia e le Ande e naturalmente favorendo gli scambi con la Cina. Alla faccia dei problemi ambientali.

Del resto quasi tutti i Paesi sudamericani sono anche membri della Banca asiatica d'investimento per le infrastrutture, fondata a Pechino nel 2014, il cui scopo è proprio quello di finanziare progetti di infrastrutture che connettano la regione Asia-Pacifico col resto del mondo.

Pechino ha già costruito centrali idroelettriche in Patagonia e nella selva amazzonica, miniere sulle Ande, raffinerie in Costa Rica, Venezuela, Bolivia, Brasile, Ecuador, una modernissima centrale nucleare in Argentina e vie ferrate tra Brasile, Argentina, Paraguay e Cile. Con diversi Paesi ha già iniziato trattative per la costruzione di reti 5G.

Considerando che nel 2020 i flussi mondiali di investimenti diretti esteri si sono ridotti del 42%, il ruolo della Cina (unico Paese del G20 che l'anno scorso è cresciuto del 2,3%) si sta rivelando centrale.

Ormai è chiaro che quasi tutta l'America Latina si sta appoggiando alle finanze cinesi in funzione anti-statunitense. Praticamente s'illudono che il Dragone, solo perché non li ha mai colonizzati, sia migliore dello Zio Sam, che per circa due secoli non ha accettato interferenze da parte di altre potenze nella regione e che continua a colpire in varie maniere quei Paesi sudamericani colpevoli di non far nulla per arginare i flussi migratori verso il nord del continente.

Da quando poi esiste la pandemia, il bisogno di liquidità s'è fatto straordinariamente urgente. L'America Latina è stata subito attratta dal modello economico di Pechino, che in circa 40 anni ha tolto dalla povertà 800 milioni di persone e aumentato il tenore di vita degli altri cittadini. Che questo poi sia avvenuto sulla base di un capitalismo statale che, per recuperare il tempo perduto, ha dovuto considerare i diritti dei cittadini un problema del tutto secondario, importa poco.

Mentre il PIL dell'America Latina diminuirà, come minimo, del 9% e la povertà estrema aumenterà di quasi il 30% (cioè di quasi 100 milioni di persone), l'economia cinese sarà l'unica tra le prime dieci al mondo a mostrare una significativa crescita produttiva. Entro il 2025 la Cina pensa di poter investire in America Latina e nei Caraibi, tra prestiti finanziari e progetti infrastrutturali, qualcosa come 250 miliardi di dollari, e ha iniziato a farlo solo a partire dalla fine degli anni '90. Il che comporterà un controllo assoluto delle materie prime di quei Paesi e quindi ulteriori vantaggi sul piano politico.

Tutte le megastrutture preventivate e quelle già costruite (soprattutto in campo energetico, telecomunicativo e logistico) andranno protette militarmente, poiché quello è un sub-continente in continua ebollizione, dove le sperequazioni tra le classi sociali sono enormi. Gli stessi nordamericani faranno di tutto per sabotare un processo integrativo tra Cina e Sudamerica in cui loro sono completamente tagliati fuori. D'altra parte dopo il crollo dell'URSS, l'interesse della Casa Bianca si è spostato in Eurasia, lasciando l'America Latina nel limbo.

E Pechino, dopo i tanti finanziamenti concessi, pretenderà inevitabilmente, a titolo cautelativo, di poter installare proprie basi militari. Anche perché oltre il 70% delle aziende cinesi che investono nella regione sono di proprietà statale: questo vuol dire che se ci saranno problemi con un'impresa cinese, ci saranno problemi con tutto il settore pubblico della potenza asiatica. Il fallimento di un progetto potrebbe causare la rottura dei rapporti bilaterali, con effetti in ambito finanziario, culturale, accademico...

E se non saranno basi militari vere e proprie, saranno comunque forme di controllo invasive, come quella p.es. già costruita in Venezuela, dove l'impresa cinese Zte ha investito 70 miliardi di dollari in sicurezza tecnologica per la creazione di un sistema di identificazione elettronica dei cittadini, proprio come in Cina.

 

[31] Mozambico, terrorismo e gas

 

Che succede in Mozambico? Da una settimana nella città di Palma va avanti un attacco terroristico in cui sono già state uccise decine di persone, con decapitazioni di massa. Palma ha circa 75.000 abitanti: si trova a nord, sulla costa, nella provincia di Cabo Delgado, dove nel  nel 2010 sono state scoperte grandi riserve di gas naturale (e di pietre preziose). Nel 2017 l'azienda petrolifera francese Total vi aveva avviato un progetto di estrazione del valore di 17-20 miliardi di euro (il più grande investimento privato in Africa), che forse avrebbe potuto aiutare il Paese, uno dei più poveri al mondo, a migliorare il proprio tenore di vita. Ma da allora il progetto si è dovuto più volte interrompere, minacciato dal terrorismo.

Vi partecipano anche altre aziende petrolifere mondiali, tra cui le italiane ENI, Saipem, Cmc e Bonatti, con decine di dipendenti locali. ExxonMobil, gruppo energetico statunitense, sta valutando un altro progetto di oltre 25 miliardi di euro, sempre a Cabo Delgado, ma, vista la situazione, non ha ancora preso una decisione definitiva.

Di per sé tutti questi progetti non assicurano nulla alla popolazione del Paese. Bisogna sempre vedere come verranno gestiti dal governo: l'avvio della produzione del gas naturale liquefatto è prevista intorno al 2025, facendo diventare il Paese il secondo produttore mondiale dopo il Qatar. Per il momento molti abitanti del luogo sono già stati costretti dal governo a lasciare le proprie case o le proprie attività di pesca o le proprie terre, date in concessione a società private straniere per permettere l'installazione delle relative infrastrutture per lo sfruttamento delle risorse. Il che lascia pensare che vi sia un malcontento piuttosto diffuso all'origine di tali rivolte. In ogni caso non è col terrorismo che si può migliorare l'economia.

Secondo ACLED, un'organizzazione non governativa che raccoglie dati sulle violenze in tutto il mondo, solo nel 2020 nella provincia di Cabo Delgado ci sono stati almeno 570 eventi violenti. Qui le rivendicazioni locali giocano un ruolo molto più importante del terrorismo internazionale. Negli scontri degli ultimi anni sono morte più di 2.600 persone (di cui per metà civili, inclusi vari stranieri), e oltre 670.000 sono state costrette a fuggire dalla zona per paura dei gruppi criminali. Pare che i terroristi abbiano preso di fatto il controllo della città di Palma.

L'attacco jihadista è stato l'ultimo e più evidente di un conflitto che dura da oltre tre anni tra le forze governative (che utilizzano anche dei soldati di professione che lavorano a pagamento) e un gruppo terroristico chiamato Ahlus Sunna wal Jamaa, molto attivo nella zona di Cabo Delgado dal 2017 e che nel 2019 ha giurato fedeltà all'organizzazione dello Stato Islamico (ISIS). Ha raccolto molte adesioni tra i giovani e per questo viene anche chiamato Al-Shabaab (“gioventù”), ma non ha niente a che fare con l'omonimo gruppo terroristico somalo. All'inizio di marzo è stato inserito formalmente dagli Stati Uniti nella lista dei gruppi terroristici internazionali.

Quando nel 2020 i ribelli islamisti sono penetrati nel nord del Mozambico, sono stati gli elicotteri pilotati dai contractor militari sudafricani (reclutati dalla polizia nazionale mozambicana) a salvare le forze governative da una possibile disfatta, che avrebbe minacciato gli investimenti multimiliardari delle aziende internazionali nell'estrazione del gas naturale. La compagnia militare in questione si chiama Dyck Advisory Group. È guidata dal colonnello Lionel Dyck. Ha sede in Sudafrica, ma Dyck ha servito nell'esercito della Rhodesia, lo Stato governato dai bianchi razzisti che, dopo aver ottenuto l'indipendenza nel 1980, è diventato lo Zimbabwe. Negli anni '70, quando Dyck indossava l'uniforme, l'esercito della Rhodesia attaccava il Mozambico e le basi della guerriglia socialista del Frelimo, il partito al potere in Mozambico dal 1975. I tempi cambiano e le alleanze pure.

Ora questa società di contractor (già impegnata nel passato in Repubblica Centrafricana, Malawi e Sudafrica) è accusata da Amnesty International di aver commesso dei crimini di guerra contro i terroristi, sparando coi suoi elicotteri indiscriminatamente sulla folla, attaccando le infrastrutture civili e non facendo distinzioni tra obiettivi militari e civili. Le stesse autorità usano metodi non convenzionali nei confronti della popolazione locale sospettata di complicità coi terroristi.

Secondo alcuni resoconti il Frelimo si era rivolto inizialmente al gruppo russo Wagner, fondato da Jevgenij Prigožin, ma il centinaio di soldati coinvolti sono stati rapidamente sconfitti dai ribelli. Così il governo, che non vuole ammettere la debolezza dello Stato, ha chiesto aiuto a varie società private (p.es. il Paramount Group e la Burnham Global, una società con sede a Dubai che impiega veterani dell'esercito britannico), preferendo non farlo ufficialmente con gli Stati limitrofi o con quelli occidentali.

Altri paesi africani, dalla Nigeria al Mali, stanno affrontando ribellioni interne e si servono di questi mercenari privati, che possono essere composti anche da ingegneri, tecnici, architetti navali, progettisti, matematici, avvocati, contabili, manager... In Africa tendono a preferirli, poiché, raggiunto l'obiettivo, se ne ritornano a casa e non si mettono a colonizzare il Paese assistito. Gli stessi governi occidentali possono supportare, tramite i mercenari, un'azione militare all'estero fingendo di non farlo. Oppure si comportano come il Portogallo (paese che colonizzò l'attuale Mozambico) che, per rifarsi una verginità, ha deciso di inviare 60 unità militari per sostenere il governo centrale.

D'altra parte la stessa ONU, sebbene abbia redatto un trattato che vieta l'uso di mercenari, di fatto se ne serve per compiti di logistica, sminamento e addestramento, sulla base di un certo codice etico di condotta.

Solo che a volte queste operazioni possono sfuggire di mano o coprirne altre di ben diversa natura, come per es. è accaduto in Iraq e Afghanistan. È noto che la Wagner russa è stata arruolata per puntellare diversi regimi africani traballanti o per abbatterli: Sudan, Repubblica Centrafricana, Guinea e ultimamente Libia, dove sostiene il generale ribelle Khalifa Haftar. E molti ricordano ciò che fece Simon Mann, un ex ufficiale delle forze speciali britanniche, che cercò nel 2004 di rovesciare il dittatore della Guinea Equatoriale, un paese ricco di petrolio, ma finì in carcere.

I mercenari comunque di solito sono efficienti, esperti, svelti e flessibili. E poi costano meno degli eserciti regolari: infatti sono pagati a progetto, non a tempo indeterminato. Inoltre hanno un migliore rapporto costi-benefici, a livello di armi a disposizione, rispetto agli armamenti pesanti e costosi che i governi africani spesso importano e che non servono a molto contro i terroristi.

Aprile

 

 

 

[1] Russia, gruppo Wagner

 

A Mosca è stata depositata una denuncia che colpisce indirettamente uno degli uomini più potenti dell'entourage di Vladimir Putin, l'imprenditore Evgenij Prigožin, collegato ufficiosamente, in qualità di proprietario, al gruppo paramilitare russo Wagner, nato nel 2014. Militarmente gestito da Dmitrij Utkin, il gruppo viene definito come un'agenzia di appalto militare privata, i cui contractor (non più di 10.000) avrebbero partecipato a vari conflitti: in Siria, Ucraina, Mozambico, Repubblica Centrafricana, Libia, ecc. Ha uffici in almeno 20 Paesi africani, ma anche in Venezuela, per sostenere il governo di Maduro.

Ebbene, un siriano, il cui fratello ha trovato la morte in condizioni atroci nel 2017, ha presentato un esposto senza precedenti davanti alla giustizia russa, sostenuto da diverse organizzazioni per la difesa dei diritti umani siriane e internazionali, oltre che dal centro Andrej Sakharov, fondato in Russia alla fine dell'epoca sovietica.

Il motivo per cui la denuncia è stata presentata a Mosca riguarda un cittadino russo, Stanislav Dychko, identificato in un video raccapricciante. Le immagini mostrano la vittima, un disertore dell'esercito di Bashar al Assad, mentre viene torturato e decapitato. Il gruppo di sei combattenti russi che hanno commesso queste atrocità fa parte dell'agenzia militare privata Wagner. La denuncia contiene solo il nome di Dychko in modo da limitarne la portata ed evitare che venga facilmente respinta dalla giustizia russa, in quanto la legge vieta gli eserciti privati.

Gli uomini della Wagner sono anche sospettati di aver ucciso tre giornalisti d'inchiesta russi in Repubblica Centrafricana nel 2018. Stavano indagando per conto di una testata finanziata da un uomo d'affari russo in esilio, Michail B. Chodorkovskij, sugli interessi minerari di Evgenij Prigožin. I colpevoli non sono mai stati individuati.

Oggi Prigožin è un uomo dell'ombra che invia i suoi mercenari a fare gli interessi del Cremlino, ottenendo contratti significativi. Per aver violato l'embargo in Libia, figura nella lista delle persone colpite dalle sanzioni europee.

Ovviamente la Russia non è l'unico Paese a fare ricorso agli eserciti privati. Ricordiamo l'azienda Blackwater, legata ai neoconservatori statunitensi e responsabile di gravi abusi in Iraq, che hanno comportato la cancellazione del suo contratto. In Mozambico, dove la Wagner contro i jihadisti ha subìto varie perdite, sono stati alcuni mercenari sudafricani a sostituire i russi. E anche loro sono stati accusati di violare il diritto internazionale.

Insomma soluzioni militari private, per lo più segrete o ufficiose, che i governi possono facilmente smentire, si stanno sostituendo sempre più al diritto internazionale, agli strumenti della politica e della diplomazia. La funzione dell'ONU, peraltro in mano a un ristretto gruppo di 5 nazioni, vincitrici della seconda guerra mondiale, da tempo ha perso della propria credibilità, anche perché basta il veto di una sola nazione per annullare qualunque decisione.

In passato Mosca aveva avuto un ruolo cruciale nel continente africano, sostenendo militarmente e diplomaticamente numerosi movimenti di liberazione in Sudafrica, Mozambico, Angola, Zimbabwe e altri Paesi, collaborando attivamente con diversi altri Stati, anche per permettere a decine di migliaia di studenti africani di poter studiare gratis nelle università sovietiche. Era un modo di far vedere che il socialismo era migliore del capitalismo, che basava la sua ricchezza sullo sfruttamento delle risorse coloniali. Dopo il crollo dell'URSS, però, i rapporti con l'Africa subsahariana erano diventati quasi inesistenti.

Ora la Russia vuol riprendere quei rapporti, ma i motivi sono prevalentemente commerciali: trovare uno sbocco per le proprie aziende energetiche, minerarie e militari, colpite dalle sanzioni economiche occidentali imposte dal 2014. Sono gli stessi obiettivi capitalistici che in Africa hanno la Cina e tutti gli altri Paesi occidentali. In particolare sembra esistere, da parte russa, una chiara volontà di estromettere dal continente gli Stati Uniti e le vecchie potenze coloniali, il Regno Unito e soprattutto la Francia, i cui atteggiamenti razzistici, supponenti e prevaricatori non sono più sopportati da nessun Paese africano.

 

[2] USA e Sudamerica

 

Gli Stati Uniti detestano Bolivia e Venezuela, ma lasciano mano libera alla repressione criminale del governo colombiano di Ivan Duque contro il proprio popolo, essendo la Colombia il principale cavallo di Troia degli USA nella regione. Sono ben 55 i massacri avvenuti nel 2020 contro popoli indigeni, giovani, contadini, donne, afrodiscendenti in diverse aree del Paese. È stato ucciso anche Mario Paciolla, il cooperante italiano impegnato nella Missione di verifica del processo di Pace dell'ONU. E persino la sindaca di una comunità indigena nel dipartimento di Putumayo, uccisa insieme al suo bambino di 5 mesi. Feriti anche un'altra figlia e un nipotino.

Gli USA non hanno mai posto sanzioni alla Colombia, anzi ne foraggiano l'industria militare per la sicurezza col pretesto della “lotta al terrorismo e al narcotraffico”.

Hanno appoggiato anche il golpe in Bolivia contro Evo Morales nel 2019, previo sostegno mediatico della CNN e di “El Pais”, che cominciarono a ventilare che Morales stesse preparando una grande frode elettorale.

Dopo oltre dieci anni di buon governo e dopo appena essere stato riconfermato dalle ultime elezioni, Morales è stato costretto a rinunciare alla sua carica da una pressione violenta esercitata, sul piano interno, da gruppi di oppositori che operano mediante incendi, intimidazioni e pestaggi. Sono state incendiate persino le abitazioni di taluni ministri in carica e dei loro parenti e di sedi diplomatiche come l'Ambasciata della Repubblica bolivariana di Venezuela. Sul piano internazionale gli USA puntano su questo nuovo “anello debole” del continente americano per riguadagnare le posizioni recentemente perse in Argentina.

Purtroppo le gerarchie militari e quelle poliziesche, se prive di una solidarietà sociale e ideologica coi governi progressisti, finiscono per vendersi al migliore offerente, rifiutandosi d'intervenire per garantire la tutela dell'ordine pubblico contro i gruppi terroristici ed estremisti.

Ma questo atteggiamento irresponsabile apre la strada alla guerra civile. Infatti esiste un movimento popolare organizzato, formato prevalentemente da indigeni, contadini, operai e minatori, per nulla disposto ad assecondare la liquidazione politica di Morales e ad assistere alla nuova svendita del Paese alle multinazionali e alle oligarchie interne e internazionali.

È probabile che, nonostante gli sforzi di Morales che – pur di evitare il bagno di sangue – ha ceduto al ricatto della destra dando le dimissioni, si vada verso una non breve stagione di contrapposizione violenta tra il movimento popolare e la destra razzista, che ha sempre visto come fumo agli occhi il presidente indigeno e vuole tornare al tradizionale ruolo di colonia statunitense.

Tuttavia, e per fortuna, si è avuto il coraggio di arrestare l'ex senatrice Jeanine Añez, accusata di “sedizione e terrorismo”. La leader dell'opposizione di destra, che ha governato per un anno il Paese come presidente ad interim, deve rispondere della morte di 36 persone che partecipavano a una manifestazione duramente repressa dalla polizia.

Con lei agli arresti anche i ministri dell'Energia, della Difesa, della Giustizia e della Presidenza. In manette la cupola delle Forze Armate, generali e ufficiali che sostituirono quelli dell'ex presidente Morales subito dopo la sua fuga prima in Messico e poi in Argentina.

L'arresto della Añez ha fatto insorgere l'oligarchia di Santa Cruz, il ricco dipartimento che si atteggia a specchio di Miami, le cui squadracce fasciste – i Comitati civici – hanno imperversato nel Paese per amplificare le denunce di presunti brogli durante le precedenti elezioni parlamentari.

È insorta anche la Conferenza episcopale boliviana, da sempre avversa a qualunque tinta di socialismo nella regione. Sono insorte varie istituzioni, anche internazionali, che quel golpe hanno favorito e coperto, come p.es. l'ambasciata britannica a La Paz, la CIA, l'Organizzazione degli Stati americani diretta da Luis Almagro, uomo di Washington. A loro si sono unite varie agenzie dell'umanitarismo, accompagnate dall'Unione Europea, sempre “preoccupata” per quel che fanno i governi progressisti e socialisti, ma mai per quel che viene fatto contro di loro da quelle forze destabilizzanti.

Almagro è altrettanto responsabile della Añez dei massacri di Sacaba e Senkata e delle centinaia di feriti e dei 1.500 prigionieri politici frutto della caccia alle streghe scatenata dai golpisti e che certo non hanno ricevuto l'attenzione internazionale di cui ha goduto la Añez fin dalle prime ore di detenzione.

In ballo c'è infatti il controllo di una risorsa strategica per il capitalismo: le immense riserve di litio del Paese, le più importanti del pianeta. E meno che mai si sopporta che le fabbriche vengano occupate dai lavoratori o consegnate dal governo boliviano alla gestione diretta dei Consigli Produttivi, organismi di autogoverno operaio, in base all'avanzata legge del lavoro che lo prevede.

Dopo la vittoria del partito di Morales alle ultime elezioni dell'ottobre 2020, le autorità boliviane hanno denunciato Almagro e chiedono che venga deferito alla Corte Penale Internazionale. Morales è potuto rientrare in patria ma è rimasto ai margini della vita politica lasciando il potere a Luis Arce, eletto con posizioni più moderate e centriste. Sono cambiati i ministri e i vertici delle Forze Armate.

 

[3] Israele e Palestina

 

Da 13 anni la Striscia di Gaza vive una crisi umanitaria così grave che l'ONU aveva dichiarato l'invivibilità entro aprile 2020, cioè prima ancora dello scoppio della pandemia da coronavirus.

Infatti nel 2019 il PIL pro capite era sceso del 29% rispetto al 2006 e il tasso di disoccupazione era del 43%, con oltre metà della popolazione che viveva al di sotto della soglia di povertà di 4,6 dollari al giorno.

A Gaza l'inquinamento delle acque è la principale causa di morte dei bambini: oltre 1/4 di tutte le malattie sono causate dalla pessima qualità dell'acqua e dalla sua scarsa accessibilità. E la popolazione cresce del 3,2% l'anno. Il depauperamento progressivo della falda freatica ha anche causato la sua caduta sotto il livello del mare, con infiltrazioni di acqua marina che hanno portato negli ultimi 10 anni i livelli di salinità ben sopra gli standard di accettabilità fissati dall'OMS. Né ci sono adeguati impianti di trattamento delle acque reflue.

L'elettricità è presente per un 1/3 o 1/4 della giornata. Israele controlla l'importazione del carburante diesel necessario per far funzionare l'unica centrale elettrica della Striscia, costruita nel 2002. Nel 2000 era stato scoperto un deposito di gas naturale al largo della costa di Gaza, ma l'embargo imposto da Israele ha impedito di utilizzarlo: cosa che ha reso necessario l'acquisto di carburante dalla stessa Israele, che vende anche l'energia elettrica ai palestinesi, tramite l'Israel Electric Corp.

Non è più possibile vivere in condizioni del genere, soprattutto perché la densità della popolazione è tra le più alte al mondo: poco più di 2 milioni di persone vivono in 365 kmq.

Varie stime sul costo della pandemia indicano una perdita economica compresa tra il 7% e il 35% del PIL, a seconda delle ipotesi di previsione sulla gravità e la durata della pandemia. D'altra parte 140mila palestinesi che lavorano in Israele sono rimasti disoccupati.

Forse non tutti sanno che è Israele a riscuotere le tasse per conto dell'Autorità Nazionale Palestinese, alla quale eroga le somme raccolte in modo arbitrario e imprevedibile. Prima della pandemia, l'UNCTAD dell'ONU stimava che ogni anno l'agenzia delle entrate israeliana tratteneva dalle somme dovute al fisco palestinese una somma pari al 3,7% del PIL o al 17,8% del gettito fiscale totale.

A tutto ciò si aggiunga il considerevole calo del sostegno dei donatori all'ANP: dal 32% del PIL nel 2008 al 3,5% nel 2019. A Gaza ben l'80% della popolazione dipende dà un'assistenza internazionale instabile: infatti il contributo dei donatori istituzionali che sostengono la Palestina sarà appena di 266 milioni di dollari, il più basso da oltre un decennio.

Già ad aprile 2020, cioè solo un mese dopo l'inizio delle restrizioni dovute alla pandemia, le entrate dell'ANP provenienti dal commercio, dal turismo e dai trasferimenti erano scese ai livelli più bassi degli ultimi 20 anni. Trump azzerò gli aiuti americani ai palestinesi.

Essendo sotto occupazione, l'ANP non dispone degli strumenti di politica economica necessari per affrontare l'enorme sfida posta dalla pandemia. Non ha accesso a prestiti esteri, non ha una valuta nazionale propria, non ha una politica monetaria indipendente e non ha autonomia fiscale. In più, a causa della pandemia, la spesa pubblica è di molto aumentata in ambito sanitario, previdenziale e di sostegno alle imprese.

La capacità di contenere la diffusione del virus è molto limitata dalla carenza di attrezzature sanitarie, tra cui farmaci e materiale sanitario usa e getta. La separazione tra Gaza e Cisgiordania e le restrizioni che Israele impone alla libertà di movimento dei pazienti e del personale sanitario ostacolano a livello strutturale il corretto funzionamento del sistema sanitario palestinese.

L'embargo imposto 13 anni fa lascia Gaza senza materiale sanitario e con un personale medico privo di conoscenze mediche aggiornate. Sono più di 9.000 i pazienti – 1/4 dei quali è malato di cancro – che ogni anno hanno bisogno di cure non disponibili a livello locale e che quindi devono chiedere dei permessi speciali a Israele per lasciare la Striscia di Gaza. La diffusione del COVID-19 non ha fatto altro che peggiorare la situazione. A Gaza vi sono soltanto 87 posti letti di unità di terapia intensiva con ventilatori.

Con una popolazione complessiva di 5,2 milioni di abitanti fra Cisgiordania e Gaza, i palestinesi hanno potuto beneficiare sinora di circa 37mila dosi di vaccino, frutto di donazioni da parte di Russia e di Emirati Arabi Uniti. Israele ne ha concessi circa 2.000 solo per il personale sanitario.

Il governo di Netanyahu ha esteso la vaccinazione ai circa 450.000 suoi cittadini che abitano negli insediamenti ebraici in Cisgiordania. Ma non fa nulla per i palestinesi (salvo quelli di Gerusalemme Est), trincerandosi dietro il fatto che la sanità compete alla ANP, pur sapendo che l'ANP non è in alcun modo uno Stato sovrano. Israele controlla anche i valichi di frontiera di Gaza.

L'agenzia delle Nazioni Unite, che offre aiuti primari a 5,6 milioni di palestinesi, discendenti di quanti furono espulsi in seguito alla creazione dello Stato ebraico, ha dichiarato d'essere priva di fondi, a un passo dalla paralisi.

Intanto la Corte Penale Internazionale ha annunciato l'avvio di un'indagine contro Israele: l'accusa è di crimini di guerra condotti nei territori palestinesi.

 

[4] Russia e Venezuela

 

Che cosa hanno in comune Russia e Venezuela? Lo svuotamento delle istituzioni e la privatizzazione del potere dello Stato. Quando le persone che controllano l'esecutivo controllano anche le risorse economiche più lucrative, ogni forma di destabilizzazione (in patria o nei Paesi partner) diventa estremamente pericolosa. Che l'esecutivo sia in mano a poche persone o a un intero partito, non cambia la preoccupazione d'impedire ogni forma d'instabilità.

D'altra parte gli Stati Uniti non sono da meno. Il ruolo dei presidenti della nazione è del tutto marginale rispetto agli apparati economici, finanziari, militari e burocratici. La rivista “Limes” lo dice da tempo.

Quando USA, UE e alcuni Paesi sudamericani si scontrano con Russia e Cina su chi deve governare in Venezuela, la democrazia non c'entra niente. L'unica cosa che conta sono gli affari. E la Russia ne ha parecchi col governo di Maduro. Per non parlare della Cina, che dal 2007 ad oggi ha già prestato al Paese circa 70 miliardi di dollari, in parte rimborsati con forniture di petrolio (ne restano però 20).

Nel passato la Russia considerava il Venezuela come poco più di un mercato, ricco di petrolio, per le proprie armi. L'antiamericanismo di Chávez era un incentivo supplementare. Non dimentichiamo che il Paese è detentore di una delle più grandi riserve di petrolio al mondo.

Oggi la maggiore compagnia petrolifera russa statale, Rosneft, ha affermato di star cessando le attività in Venezuela e di vendere i suoi beni a una società che è posseduta al 100% dal governo russo. Perché fa questo? Perché siccome deve rispondere a investitori privati, teme di soccombere di fronte alle sanzioni americane contro il Venezuela. Il governo russo invece non se ne preoccuperà minimamente.

Lo stesso governo Maduro ha bisogno di un partner commerciale che non si spaventi di fronte all'arroganza dello Zio Sam. Dal 2006 la Russia ha prestato al Venezuela almeno 17 miliardi di dollari. Parte di questo debito è stato ristrutturato, ma il Venezuela deve ancora alla Russia 4-6 miliardi di dollari.

In pratica Putin sta sostenendo il Venezuela, tramite uno scambio petrolio/armi, in chiave antistatunitense, così come l'Ucraina e la Georgia sono state usate dagli USA e dalla UE nella sfera d'influenza della Russia.

Non solo, ma Mosca è anche in grado di rivendere il petrolio di Caracas a tutto il mondo, come se fosse un intermediario in piena regola. Buona parte di questo petrolio finisce persino nelle raffinerie degli Stati Uniti, nonostante le sanzioni contro la Russia.

Per accettare questo scambio i governi venezuelani non hanno puntato solo ai dollari e alle armi, ma anche alla presenza di varie centinaia di mercenari militari russi del gruppo Wagner, di cui il principale proprietario è Evgenij Prigožin, molto vicino a Putin. Maduro infatti sa bene che almeno 5.000 soldati statunitensi sono già in Colombia, al confine col Venezuela.

E naturalmente Chávez e Maduro han dovuto riconoscere i territori separatisti dell'Ossezia meridionale e dell'Abkhazia, che il Cremlino aveva contribuito a separare dalla Georgia, nonché l'annessione della Crimea, dove comunque già stazionava la flotta navale russa.

Tale approccio così spregiudicato alle relazioni bilaterali tra Stati, Mosca in Sudamerica lo sta sperimentando anche con Cuba e il Nicaragua, poiché ha bisogno di punti d'appoggio per far pressione sull'arroganza yankee, che sta tagliando tutte le fonti di finanziamento di Maduro, al punto che Mosca gli sta vendendo l'oro che il Venezuela ha depositato nella banca centrale russa per sicurezza, e inviando 6 aerei pieni di dollari in contanti (315 milioni) a Caracas.

La geopolitica non ha più nulla di ideologico: serve solo a tutelare interessi di potere. E in questo non è da escludere che Mosca cerchi un'alleanza con la Cina per gestire il Sudamerica contro gli USA.

Alexej Navalny, il principale esponente dell'opposizione in Russia, ha accusato il Cremlino d'aver sprecato più denaro in Venezuela di quanto ne spenda ogni anno per l'istruzione e la sanità dei cittadini russi.

 

[5] Turchia

 

Erdoğan, in calo nei consensi e alle prese con una crisi economica senza precedenti, silura il governatore della Banca centrale: è il terzo in meno di due anni. Allo stesso tempo, per conquistare i voti dei conservatori, fa uscire la Turchia dalla Convenzione di Istanbul sui diritti delle donne, col pretesto ch'essa sarebbe contraria alle norme dell'islam e incoraggerebbe divorzio e omosessualità, benché secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità almeno il 40% delle donne turche è vittima di violenza compiuta dal proprio partner, rispetto a una media europea del 25%. Nel 2020 ci sono stati almeno 300 femminicidi e 171 donne sono state uccise in circostanze sospette.

A due anni dalle elezioni, previste per il 2023, Erdoğan e il suo partito AKP sono alle prese con un crollo verticale nei sondaggi, secondo cui, anche contando i voti del partito ultra nazionalista MHP (Lupi Grigi), il presidente non raggiungerebbe la maggioranza del 51% necessaria per governare.

Fu la crisi iniziata 20 anni fa che proiettò al potere lui e il suo partito. Oggi una nuova crisi finanziaria, col crollo della lira turca su dollaro ed euro, fino alla chiusura della Borsa di Istanbul per eccesso di ribasso, rischia di minare il lungo predominio del “sultano”. I tassi d'interesse, con l'obiettivo di frenare l'inflazione e sostenere la lira turca, sono ormai al 20%.

Vengono al pettine i nodi di un'economia speculativa che ha puntato sul denaro a buon mercato per le imprese legate all'AKP (le cosiddette “Tigri anatoliche”), il credito al consumo, l'indebitamento delle imprese, le faraoniche opere pubbliche realizzate senza copertura (gli aeroporti sono ormai mezzi vuoti, come quello di Istanbul, costato 29 miliardi), la colata di cemento dei grandi resort alberghieri e una bolla immobiliare che nessuno sa più come pagare.

Nel 2018 Erdoğan aveva nominato il genero Berat Albayrak nuovo ministro delle Finanze. A un'ora dalla sua nomina, la lira turca aveva perso il 3,8% del suo valore. Alla fine del 2020 ha improvvisamente rassegnato le dimissioni. Aveva contribuito a creare una struttura offshore a Malta e in Svezia per evadere milioni di dollari di tasse per la Çalık Holding, che gestiva come CEO, un enorme conglomerato di 20.000 dipendenti che si occupa di tessile, energia, edilizia, finanza, media, telecomunicazioni e industria mineraria, e che ha sempre goduto di facile credito. Poi come ministro dell'energia e delle risorse naturali aveva promosso la legge “Wealth Peace Act”, per rimpatriare quantità illimitate di denaro contante offshore, senza pagare tasse. Molti ora credono che Erdoğan stia preparando Albayrak come suo successore. Ma anche Devlet Bahçeli, fascista religioso, segretario del MHP, viene indicato come il “leader ombra” della Turchia.

Il Paese è fortemente diviso tra filo-occidentali e filo-islamici e i rapporti sono estremamente tesi con gli alleati della NATO, ma Erdoğan insiste nel suo ruolo di “uomo forte”, senza rendersi conto che convince sempre meno.

Il crollo del turismo per il Covid, che generava la maggior parte delle entrate valutarie, e il calo drastico degli investimenti dall'estero durante la pandemia (ma erano già iniziati nel 2013, all'epoca della rivolta di Gezi Park) hanno assestato un colpo decisivo. La Turchia corteggiata dai mercati è un pallido ricordo.

Sempre più si fa strada la consapevolezza nella popolazione e nelle élite economiche che le imprese militari in Siria, Libia, nel Caucaso e le tensioni nel Mediterraneo orientale per la questione energetica siano state soltanto armi di distrazione di massa per gli 80 milioni di turchi precipitati nella peggiore crisi economica dell'ultimo ventennio.

Erdoğan millanta un potere che non ha più. Ha già perso alle ultime amministrative sia a Istanbul che ad Ankara. È circondato da gruppi di potere politico-affaristici corrotti e vicini a ideologi dell'estremismo di destra-nazionalista.

Ora bisogna vedere quali follie realizzerà da qui al 2023. Di sicuro la UE e il Qatar hanno meno intenzione di sostenere finanziariamente le sue spacconate da bullo di periferia. L'ultima è stata quella di mettere fuori legge l'HDP, il partito curdo progressista d'opposizione e di arrestare il deputato Ömer Faruk Gergerlioğlu, massimo esponente dei quasi 20 milioni di curdi in Turchia. Due anni e mezzo di carcere per un tweet in cui denunciava episodi di tortura avvenuti prevalentemente contro alcune detenute, nelle carceri e nei commissariati di polizia.

Gergerlioğlu era già stato raggiunto dai famigerati decreti KHK varati durante lo stato d'emergenza imposto dopo il fallito golpe del 2016. La sua carriera di prestigioso medico pneumologo era stata distrutta: licenziato dall'ospedale e ridotto in condizione d'indigenza. Essendo stato sospettato di far parte della rete del religioso Gülen, ritenuto la mente del golpe, ha già passato due anni in carcere.

Se sull'HDP dovesse calare la mannaia anche da parte dell'Alta Corte, sarebbe l'ottavo partito filocurdo ad essere bandito per il suo presunto coinvolgimento in attività “terroristiche”. Dal 1963, anno della sua fondazione, l'Alta Corte ha già chiuso 26 partiti, ma già prima della sua costituzione, 18 formazioni politiche erano state eliminate dai tribunali militari ed altre ancora per decisione del Consiglio dei ministri e dei tribunali locali.

In Turchia la democrazia non è mai esistita.

 

[6] Agenzia ACLED sulla violenza politica

 

ACLED raccoglie dati in tempo reale su luoghi, date, attori, vittime e modalità di eventi di violenza politica e di protesta segnalati in Africa, Medio Oriente, America Latina e Caraibi, Asia, Caucaso, Europa e USA. Cosa dice il rapporto annuale 2020?

Anzitutto la pandemia da Covid, pur avendo fatto fuori più di 2 milioni di persone (oggi siamo a 2,85 mil), ha contribuito a una diminuzione del 22% dei livelli di violenza politica esplicita. Solo in Africa i morti causati da queste manifestazioni non sono diminuiti, anzi qui la violenza politica e gli scontri sono aumentati.

D'altra parte con metà della popolazione terrestre più o meno bloccata in casa o sotto coprifuoco, non ci voleva molto a capirlo: è difficile in queste condizioni fare proteste in piazza o rivoluzioni. Al massimo si reagisce ai colpi di stato, come in Myanmar. Si prevede comunque che grazie ai vaccini aumenteranno di molto i conflitti politici nel 2021. Sarebbe meglio non dar la colpa ai vaccini ma alla corruzione degli Stati.

Infatti da dove viene tutta questa violenza? Dalle stesse forze statali che operano a livello nazionale: per il 52% sono loro gli agenti più attivi di conflitto politico.

I Paesi che hanno registrato il maggior numero di eventi di violenza politica nel 2020 sono prevalentemente quelli che stanno vivendo conflitti convenzionali, come Siria, Yemen, Ucraina e Afghanistan. Il Messico però è in cima alla lista perché la violenza tra le bande del Paese ha creato un ambiente di conflitto esplosivo, che ha conseguenze sui civili. Anche in Brasile è così.

È aumentata anche del 46% l'attività violenta delle cosiddette “milizie d'identità”, cioè i gruppi armati organizzati attorno a una caratteristica comune, che può includere comunità, etnia, regione, religione o mezzi di sussistenza. Soprattutto in Africa: Al Shabaab si attesta tra i primi cinque gruppi armati più attivi e violenti.

In generale i maggiori aumenti di bersagli civili da parte dei gruppi identitari sono stati registrati in Brasile, Nigeria, Iraq, Repubblica Democratica del Congo e Camerun. Ma anche l'India non può essere definito un territorio sicuro, soprattutto nel Kashmir e nel cosiddetto “Corridoio Rosso”. I rapimenti e le sparizioni forzate sono aumentate notevolmente in Nigeria (del 169%), Yemen (del 114%), Siria (del 36%) e Repubblica Democratica del Congo (del 21%).

https://acleddata.com/2021/03/18/acled-2020-the-year-in-review/

 

[7] Brasile, crisi politica e sanitaria

 

In Brasile siamo alla vigilia del crollo politico. Lo spaccone Bolsonaro, così tanto simile ad altri megalomani del potere, come Johnson, Trump, Netanyahu, Erdogan..., sembra essere alle corde.

Si sono già dimessi il ministro degli Esteri e della Difesa (suoi fedelissimi), ma anche i comandanti di Esercito, Marina e Aeronautica. Bolsonaro ha deciso di sostituire anche i ministri della Giustizia, della Casa civile, dell'Avvocatura generale dello Stato e alla Segreteria di governo. Il presidente della Camera agita lo spettro dell'impeachment.

Nel conflitto che vede il presidente opporsi ai governatori degli stati regionali, i militari si chiamano fuori, anzi, incredibile a dirsi, si schierano contro ogni deriva autoritaria.

Anche l'ex presidente Lula da Silva, nuovamente eleggibile dopo la cancellazione delle condanne penali, ha definito Bolsonaro “il responsabile del peggior genocidio della storia”.

Nel Paese la pandemia è fuori controllo e la variante brasiliana del virus si sta accanendo in particolar modo sulle fasce della popolazione più giovane, tra i 20 e 40 anni. In molti stati regionali gli ospedali rischiano il collasso e le terapie intensive sono a corto di posti.

Il presidente – dopo oltre un anno di negazionismo ad oltranza sul virus – ha cominciato a indossare la mascherina e a mostrarsi più attento alla situazione, ma continua a essere fortemente contrario a qualunque lockdown, perché non vuole danneggiare l'economia.

Solo che con 333.000 morti c'è poco da scherzare. Ormai a voltargli le spalle ci sono anche banchieri ed economisti, che non riescono più a capire perché si voglia contrapporre l'economia alla salute.

L'OMS ha definito il Brasile una “bomba a orologeria”, una minaccia per la salute globale, il focolaio mondiale della pandemia, in quanto “fabbrica di varianti” anche più aggressive del virus originario. Nell'ultima settimana il Paese ha registrato il 25% delle vittime mondiali, di cui buona parte ha meno di 60 anni. E il virus continua ad accelerare, al ritmo di almeno 50mila contagi al giorno. La mortalità dei ricoverati fra 18 e 45 anni è addirittura triplicata da febbraio. Colpa della variante amazzonica, più aggressiva e letale.

È vero che sono ormai più di 18 milioni le persone che hanno già ricevuto almeno la prima dose del vaccino e oltre 5 milioni quelle a cui è stata somministrata anche la seconda dose, ma il Paese ha 215 milioni di abitanti. Un vaccino “made in Brazil”, prodotto dall'Istituto Butantan, dovrà aspettare il mese di maggio come minimo.

Nel 2021 il tasso di disoccupazione dovrebbe attestarsi al 14,6%, il più alto nella storia recente del Paese, mentre l'inflazione è in crescita costante e, con le attività chiuse, milioni di brasiliani sono ripiombati nella povertà. Per fortuna il PIL è crollato solo del 4%, grazie agli interventi massicci per sostenere l'economia. Ma nel 2022 ci sono le elezioni politiche e Bolsonaro difficilmente riuscirà a riconfermarsi.

 

[8] Microchip

 

Dalla fine del 2020 la pandemia da coronavirus ha provocato un forte rallentamento nella produzione di microchip, mentre nel contempo il forzato lockdown ha aumentato la domanda di apparecchi elettronici ad uso domestico.

Aziende prestigiose sono in difficoltà: Sony e Microsoft, che producono rispettivamente PlayStation e Xbox; Nvidia e AMD, che producono schede grafiche per i computer; Foxconn, la più grande fabbrica al mondo di smartphone, tablet e altri apparecchi tecnologici, che produce per conto di Apple, Samsung, Microsoft, ridurrà la produzione del 10%; la stessa Samsung e la Qualcomm sono in difficoltà. Si è arrivati a ridurre i turni di lavoro e persino a chiudere temporaneamente talune aziende.

La cosa coinvolge molti settori industriali, non solo quelli più strettamente informatici, dalle automobili fino agli elettrodomestici che contengono chip. Negli Stati Uniti si stima che quest'anno saranno prodotte 450-600 mila automobili in meno. La Ford chiuderà per diverse settimane sei fabbriche. La Volkswagen produrrà 100 mila automobili in meno nelle sue fabbriche in Europa, Cina e Stati Uniti perché due dei suoi principali fornitori, Bosch e Continental, non riescono a trovare abbastanza microchip. Nel panico anche la Nissan, la Fiat-Chrysler, l'Honda, la General Motors...

Che sta succedendo? Non aumenteranno solo i tempi di consegna ma sicuramente anche i prezzi. Nel capitalismo la riduzione della produttività ha senso solo in presenza di un monopolio assoluto o di un accordo temporaneo tra aziende dello stesso settore. Ma nel settore dei microchip, assolutamente strategici a livello mondiale, è impossibile fare accordi, meno che mai con la Cina.

La guerra commerciale dell'anno scorso tra l'ex governo di Trump e quello cinese aveva bloccato i commerci di diverse aziende e spinto altre, quelle più tecnologiche (p.es. Huawei), ad accaparrare quanti più microchip possibili prima di finire vittima di sanzioni e divieti. Ciò ha ridotto le scorte dei produttori.

Ma ciò è potuto avvenire perché gli USA ospitano Intel, una delle poche aziende al mondo in grado di produrre i processori di ultima generazione. La Cina cerca da decenni di sviluppare un'industria locale dei microprocessori, ma per ora i risultati sono stati deludenti.

La produzione dei microchip, soprattutto di quelli più sofisticati, è estremamente complessa e richiede enormi infrastrutture e un know-how notevole. Le fabbriche in grado di produrre i microchip più sofisticati sono soprattutto due: TSMC a Taiwan e Samsung in Corea del Sud. La TSMC, il più grande produttore di microchip al mondo, ha già detto che per affrontare questo problema, investirà 100 miliardi di dollari in tre anni.

La concorrenza, in questo settore, è troppo forte per trovare accordi sotto banco. Sta diventando per la Cina una tentazione insuperabile quella di occupare Taiwan. Se poi pensa di occupare anche la Corea del Sud, tramite quella del Nord, l'occidente chiuderà baracca e burattini.

 

[9] Francia, neonazismo nell'esercito. Il QUAD

 

Su “MicroMega” del 31 marzo si parla di un'inchiesta del quotidiano francese “Mediapart” che ha messo in imbarazzo i quadri dell'esercito alle prese con una vera e propria filiera di neonazisti e con vari tipi di abuso di questi stessi soldati neonazisti in operazioni militari all'estero (episodi di bullismo e di abusi sulle popolazioni locali).

Una sessantina i casi scoperti finora, grazie alle numerose tracce lasciate in rete dai soldati stessi, in particolare quelli operanti in zone di conflitto sotto il vessillo della Legion Straniera. Ma potrebbe essere solo la punta di un iceberg.

Oltre ai sei reggimenti metropolitani della Legione, nuovi casi sono stati scoperti anche nel reggimento di paracadutisti, nella marina e nella fanteria.

La maggior parte dei casi identificati sono in contatto con altri militari aventi simpatie simili e si trovano spesso insieme nelle foto di gruppo. Rispetto al totale dei militari (oltre 200.000), i casi individuati da “Mediapart” nell'arco di pochi mesi hanno certo poco peso, ma l'indagine del giornale è stata condotta essenzialmente consultando le pubblicazioni sui social network accessibili a tutti e coi mezzi di un giornale che certamente non possono essere esaustivi, come quelli messi in opera da un'inchiesta interna che il Ministero dell'esercito francese dovrà per forza avviare, sperando non affossi tutto dietro il pretesto della sicurezza statale.

 

Dal 5 aprile la marina francese esegue un'esercitazione navale chiamata “La Pérouse” (nome di un esploratore della sua marina morto nel 1788) nel golfo del Bengala (nordest dell'oceano Indiano). All'operazione partecipano anche le marine di India, Stati Uniti, Giappone e Australia, cioè i Paesi che compongono il QUAD, un coordinamento che la Cina considera l'embrione di una “NATO indo-pacifica”. Evidentemente nei pensieri di tutti c'è la minaccia del Dragone.

Ma che cos'è il QUAD? Il “Dialogo quadrilaterale sulla sicurezza” (“Quadrilateral Security Dialogue”) è nato nel marzo scorso e ha la stessa funzione della NATO, a parte il nemico, che invece d'essere la Russia è la Cina.

I quattro Paesi del QUAD hanno tutti combattuto la Cina negli ultimi 75 anni: USA e Australia (nella guerra di Corea), Giappone (dal 1894-95 alla II guerra mondiale) e India (in sporadici conflitti di frontiera).

È stato il guerrafondaio ex primo ministro giapponese Shinzo Abe a proporlo per la prima volta nel 2007, ma senza successo. A rilanciarlo nel 2017 è stato Donald Trump, nel quadro della sua politica anticinese, e stavolta anche gli altri attori si sono mostrati disponibili. Joe Biden ha appena annunciato d'essere favorevole, anche per poter eliminare Huawei e altre aziende tecnologiche cinesi dalle reti globali 5G.

Anche molti alleati della NATO vogliono aderirvi: già una nave da guerra canadese è salpata verso lo stretto di Taiwan a dicembre, mentre Regno Unito, Francia, Germania e Paesi Bassi ne invieranno una nella regione indo-pacifica quest'anno.

Sono degli irresponsabili, poiché oggi esistono molti motivi di tensione nella regione asiatico-pacifica, sicuramente molti di più di quanti ne esistano in Europa, dove la NATO potrebbe anche essere smantellata, visto che il Patto di Varsavia non esiste più dal 1991.

Ma, si sa, il complesso militare è anche un'industria vera e propria, che arricchisce chi la sostiene, anche se sottrae enormi risorse all'industria civile, che occuperebbe molto più persone e farebbe meno danni, se eco-compatibile. Se non ci fosse un nemico da cui difendersi o da minacciare, chi ci guadagnerebbe qualcosa? È curioso però che si accusino Russia e Cina d'essere aggressive, quando non hanno mai attaccato nessun Paese occidentale.

Intanto i tentativi del QUAD di coinvolgere i Paesi asiatici dell'ASEAN non stanno, per fortuna, avendo alcun successo, poiché per loro, se può far comodo avere un appoggio militare USA nella regione per contenere l'espansionismo di Pechino, non hanno alcuna intenzione di rinunciare alla cooperazione economica con la Cina, che resta il loro principale partner commerciale. La stessa Cina sta già pensando di creare, come forma di contrappeso, una propria “Himalayan Quad”, che la coinvolgerà insieme a Nepal, Pakistan e Afghanistan.

Di dubbia efficacia sarà anche il progetto del QUAD di fornire vaccini nel sud-est asiatico. La diplomazia cinese sui vaccini – Health Silk Road – già copre più di 60 Paesi in tutto il mondo. Siamo solo noi della UE a non fidarci del Sinopharm. Naturalmente per motivi ideologici.

 

[10] Cina, socialismo reale?

 

È possibile che un'impresa la cui proprietà è statale possa non definirsi capitalistica quando orienta la sua produzione non per l'autoconsumo ma per il mercato? In Cina sembra che lo Stato svolga la funzione di una foglia di fico, un paravento dietro il quale ci si può comportare sul piano economico come se si vivesse in un qualunque Paese occidentale che non ha mai conosciuto il socialismo come sistema di vita.

Con questo naturalmente non vogliamo dire che il vero socialismo era quello statale di marca sovietica (un qualunque “socialismo statale” è una contraddizione in termini). Vogliamo semplicemente dire che quello cinese non può essere definito in alcun modo un sistema socialista. Uno Stato che detiene la proprietà dei mezzi di produzione o anche soltanto la terra su cui opera un'azienda privata, è semplicemente uno Stato autoritario. Non è questa l'alternativa al capitalismo privato tipico dei Paesi occidentali. Semmai è un modo di rendere questo capitalismo più efficiente o meno anarchico.

La Cina sta semplicemente sfruttando le tradizioni collettivistiche non solo del suo Paese ma dell'intera Asia, che nel passato avevano dovuto lottare contro i tentativi del colonialismo occidentale d'imporre l'individualismo cristiano-borghese.

Oggi si è arrivati al punto che la Cina, pur non essendo colonizzata da alcun Paese occidentale, ha deciso di assimilarne la mentalità affaristica, all'interno però di una cornice totalitaria, in cui lo Stato pretende in ultima istanza di decidere cosa è bene e cosa è male per gli interessi del Paese.

In Cina le imprese non pienamente capitalistiche, in base alla struttura dei diritti di proprietà, comprendono le imprese statali e le cooperative, ma anche le imprese indirettamente controllate dallo Stato e le stesse unità produttive agricole a base familiare. Il nucleo strategicamente dominante dell'economia cinese rimane sotto il controllo dello Stato. Sono queste imprese che producono la parte maggioritaria del prodotto nazionale cinese.

Un'impresa “socialista” orientata al mercato è un ossimoro. Un'impresa socialista deve soddisfare bisogni non realizzare profitti. E i bisogni vanno decisi da comunità locali o al massimo regionali, in maniera tale che l'impresa li possa conoscere in anticipo e pianificare la propria produzione.

Non c'entra nulla se l'imprenditore è un privato o un collettivo o una cooperativa: l'importante è che soddisfi bisogni decisi da comunità locali, le quali devono poter controllare che lo faccia secondo parametri equi e compatibili con le esigenze riproduttive della natura.

Anche nel capitalismo esistono produttori collettivi, come lo Stato, le società per azioni, le cooperative ecc. Ma ciò che caratterizza la natura sociale di un'economia non è affatto il carattere giuridico della proprietà né la forma della proprietà (pubblica o privata) o il tipo di gestione (centralizzata o decentralizzata, autoritaria o democratica). Ciò che conta è il rapporto sociale di produzione, che in nessun Paese del mondo potrà mai essere garantito dallo Stato. Anzi, ogni Stato che per legge obbliga a rispettare i princìpi della democrazia sociale, eo ipso li viola.

Questo per dire che le posizioni filocinesi di buona parte della sinistra radicale sono illusorie. La retorica del Paese che ha tolto dalla povertà decine di milioni di persone e che è l'unico davvero in grado di ostacolare lo strapotere degli USA, non può nascondere il fatto che qui il socialismo non c'entra niente. Come non c'entrava niente ai tempi del maoismo, che altro non era se non uno stalinismo in campo agrario, con ampi riferimenti impliciti al confucianesimo.

Insomma sto dalla parte di Sebastiano Isaia. Qui i suoi testi liberamente scaricabili https://sebastianoisaia.wordpress.com/scritti-scaricabili-2/

 

[11] NATO, Siria e Ucraina

 

Quando Manlio Dinucci morirà, ne sentiremo una gran mancanza, poiché è l'unico in Italia a conoscere la NATO in maniera approfondita e non convenzionale, cioè critica. Ecco cosa dice a proposito dell'ultimo attacco missilistico sferrato dagli USA alla Siria, di cui i media non hanno parlato assolutamente.

Joe Biden ha mantenuto la promessa di rinnovare le alleanze con i partner europei, in controtendenza rispetto a quanto aveva fatto Trump. Infatti la portaerei Dwight D. Eisenhower e il suo gruppo di battaglia, composto da 5 unità lanciamissili, hanno attaccato dal Mediterraneo Orientale postazioni dello Stato Islamico in Siria e Iraq, poiché questo ha rivendicato un attacco a Palma in Mozambico. Lo comunica ufficialmente la US Navy il 31 marzo, senza spiegare come l'Isis, sconfitto in Siria e altrove, soprattutto in seguito all'intervento russo, ricompaia ora minaccioso con sospetta puntualità.

Dopo aver lanciato l'attacco dal Mediterraneo Orientale – area delle Forze navali del Comando Europeo degli Stati Uniti, con quartier generale a Napoli-Capodichino – la portaerei Eisenhower ha attraversato il 2 aprile l'appena riaperto Canale di Suez, entrando nell'area del Comando Centrale USA che comprende il Golfo Persico.

Qui si è unita alla portaerei francese Charles de Gaulle che, su richiesta di Washington, ha assunto il 31 marzo il comando della Task Force 50 del Comando Centrale USA, schierata non contro l'Isis ma in realtà contro l'Iran. Il fatto che Washington abbia chiesto a Parigi di guidare con la sua nave ammiraglia una forza navale USA rientra nella politica della presidenza Biden, che mantiene comunque il controllo della catena di comando, poiché la Task Force 50 dipende dal Comando Centrale USA.

Lo conferma l'esercitazione Warfighter che, pianificata dall'Esercito USA, viene effettuata dal 6 al 15 aprile da divisioni statunitensi, francesi e britanniche a Fort Hood e Fort Bliss in Texas, a Fort Bragg in North Carolina, e a Grafenwoehr in Germania. In questa esercitazione, brigate francesi e britanniche operano all'interno di una divisione USA, mentre brigate USA operano all'interno di divisioni francesi e britanniche, sempre però secondo il piano USA.

La Warfighter integra la grande esercitazione in corso Defender-Europe 21, che l'Esercito USA in Europa e Africa effettua fino a giugno, insieme ad alleati e partner europei e africani, per dimostrare la capacità degli Stati Uniti d'essere partner strategico nei Balcani e nel Mar Nero, nel Caucaso, in Ucraina e in Africa.

Partecipa alla Defender-Europe 21 il V Corpo dell'Esercito USA che, appena riattivato a Fort Knox nel Kentuky, ha costituito il proprio quartier generale avanzato a Poznan in Polonia, da dove comanda le operazioni contro la Russia. Il 31 marzo, su richiesta statunitense, il generale polacco Adam Joks è stato nominato vice-comandante del V Corpo dell'Esercito USA. È la prima volta – comunica l'Ambasciata USA a Varsavia – che un generale polacco entra nella struttura di comando militare degli Stati Uniti. In altre parole, il generale Adam Joks continua a far parte dell'esercito polacco ma, quale vice-comandante del V Corpo USA, dipende ora direttamente dalla catena di comando che fa capo al Presidente Trump.

Rientrano nella stessa politica le nuove Brigate di assistenza delle forze di sicurezza, unità speciali dell'Esercito USA che organizzano, addestrano, equipaggiano e consigliano forze di sicurezza straniere. Sono impegnate a sostegno di un'autorità di governo in Medioriente, Asia, Africa, America Latina ed Europa, attualmente nel quadro della Defender-Europe. Esse sono un strumento per lanciare, con la copertura dell'“assistenza”, operazioni militari di fatto sotto comando USA.

Ciò spiega perché, dopo una relativa tregua, il capo di stato maggiore ucraino, Ruslan Khomchak, ha dichiarato il 1° aprile che l'esercito di Kiev si sta preparando per l'offensiva nell'Ucraina orientale, ossia contro la popolazione russa del Donbass, usando anche forze di difesa territoriale (come il reggimento neonazista Azov), e che in tale operazione è prevista la partecipazione di alleati NATO.

Insomma, se il Covid-19 ha devastato mezzo mondo con la sua aggressività, questo è niente rispetto a quanto ci attende quest'anno.

 

Caccia F-16 USA, inviati dalla base di Aviano, sono da ieri impegnati in esercitazioni militari in Grecia, che ha concesso nel 2020 agli Stati Uniti l'uso di tutte le sue basi militari (in funzione soprattutto anti-turca). Appartengono al 510th Fighter Squadron e sono aerei da attacco nucleare.

Partecipano all'esercitazione Iniochos 21 anche cacciabombardieri F-16 e F-15 di Israele ed Emirati Arabi Uniti. L'esercitazione si svolge sull'Egeo a ridosso dell'area comprendente Mar Nero e Ucraina, dove si concentra la maxi esercitazione Defender-Europe 21 dell'Esercito USA.

La NATO, dopo aver disgregato la Federazione Jugoslava, si erge ora a paladina dell'integrità territoriale dell'Ucraina.

Il presidente del Comitato Militare della NATO, il britannico Stuart Perch (capo della Royal Air Force), incontrando a Kiev il presidente Zelenskyy e il capo di stato maggiore Khomchak, ha dichiarato che “gli alleati NATO sono uniti nel condannare l'illegale annessione della Crimea da parte della Russia e le sue azioni aggressive nell'Ucraina orientale”. Ha così ripetuto la versione secondo cui sarebbe stata la Russia ad annettersi con la forza la Crimea, ignorando che sono stati i russi di Crimea a decidere con un referendum di staccarsi dall'Ucraina e rientrare nella Russia per evitare di essere attaccati, come i russi del Donbass, dai battaglioni neonazisti di Kiev, cioè quelli usati nel 2014 quale forza d'assalto nel putsch di piazza Maidan, innescato da cecchini georgiani che sparavano sui dimostranti e sui poliziotti, e nelle azioni successive: villaggi messi a ferro e fuoco, attivisti bruciati vivi nella Camera del Lavoro di Odessa, inermi civili massacrati a Mariupol, bombardati col fosforo bianco a Donetsk e Lugansk. Un sanguinoso colpo di stato sotto regia USA/NATO, col fine strategico di provocare in Europa una nuova guerra fredda per isolare la Russia e rafforzare, allo stesso tempo, l'influenza e la presenza militare degli Stati Uniti in Europa.

Il conflitto nel Donbass, le cui popolazioni si sono auto-organizzate nelle Repubbliche di Donetsk e Lugansk con una propria milizia popolare, ha attraversato un periodo di relativa tregua con l'apertura dei colloqui di Minsk per una soluzione pacifica. Ora però il governo ucraino si è ritirato dai colloqui, col pretesto che rifiuta di andare a Minsk, non essendo la Bielorussia un paese democratico. Allo stesso tempo le forze di Kiev hanno ripreso gli attacchi armati nel Donbass.

Il capo di stato maggiore Khomchak, che Stuart Perch ha lodato a nome della NATO per il suo “impegno nella ricerca di una soluzione pacifica del conflitto”, ha dichiarato che l'esercito di Kiev “si sta preparando per l'offensiva nell'Ucraina orientale” e che in tale operazione “è prevista la partecipazione di alleati NATO”.

Non a caso il conflitto nel Donbass si è riacceso quando, con l'amministrazione Biden, ha assunto la carica di segretario di Stato Antony Blinken. Di origine ucraina, è stato il principale regista del putsch di piazza Maidan in veste di vice-consigliere della sicurezza nazionale nell'amministrazione Obama-Biden. Quale vice-segretaria di Stato Biden ha nominato Victoria Nuland, nel 2014 aiuto-regista dell'operazione USA, costata oltre 5 miliardi di dollari, per instaurare in Ucraina il “buon governo” (come lei stessa dichiarò).

Non è escluso che a questo punto, promuovendo un'offensiva delle forze di Kiev nel Donbass, sostenuta dalla NATO, si voglia mettere Mosca di fronte a una scelta che tornerebbe comunque a vantaggio di Washington: lasciar massacrare le popolazioni russe del Donbass o intervenire militarmente in loro appoggio.

 

[12] USA, Corte Penale Internazionale. Bergoglio e il comunismo

 

Che cos'è la Corte Penale Internazionale? È un tribunale che si occupa di genocidio, crimini contro l'umanità, crimini di guerra e, ultimamente, del crimine di aggressione (in senso lato) contro uno Stato. Ha sede all'Aja, nei Paesi Bassi. Ha una competenza complementare a quella dei singoli Stati, cioè interviene solo se gli Stati non possono o non vogliono agire per punire crimini internazionali.

Le competenze e il funzionamento della Corte sono disciplinati dallo Statuto di Roma, redatto nel 1998 ed entrato in vigore nel 2002. Il successo è stato piuttosto scarso, nonostante lo Statuto sia stato ratificato dal 123 Stati. Non solo perché USA, Cina e Russia non vi hanno aderito, ma anche perché dal 2002 al 2012 la Corte ha emesso una sola condanna: il congolese Thomas Lubanga per l'arruolamento di bambini soldato. I processi in corso riguardano i responsabili dei crimini commessi nella Repubblica Democratica del Congo, nella Repubblica Centrafricana, in Uganda, nel Darfur (Sudan), in Kenya, in Libia, in Costa d'Avorio, in Mali e in Georgia. Ma si trascinano per le lunghe, soprattutto se gli Stati firmatari non vogliono collaborare fattivamente.

Non è un nuovo organo delle Nazioni Unite, ma un'organizzazione indipendente, con mezzi finanziari propri: il bilancio è di circa 140 milioni di dollari, buona parte dei quali viene spesa per il personale amministrativo e per pagare i 18 giudici della Corte (aventi un incarico di 9 anni non rinnovabile): sono esperti internazionali che rappresentano i principali sistemi legali del mondo.

Se uno Stato ratifica lo Statuto, in teoria accetta la competenza giurisdizionale della Corte riguardo ai crimini indicati nello Statuto: non possono esserci eccezioni in relazione alla territorialità dello Stato o alla nazionalità della persona o al ruolo ch'essa ricopre. Ingiustificati ritardi o evidenti violazioni nei procedimenti penali, da parte degli Stati nazionali, nei confronti di crimini così gravi sono considerati inammissibili. Le vittime, cioè le persone lese, hanno la possibilità, tramite i loro legali, di presentare proprie dichiarazioni e osservazioni davanti alla Corte.

È previsto un Fondo fiduciario per talune tipologie di vittime, col compito di andare incontro ai loro bisogni: i bambini soldato, le vittime di rapimento o stupro, persone che hanno visto le loro proprietà o vite distrutte... Talvolta può essere denaro che la Corte ordina al criminale di pagare come forma di riparazione del danno commesso.

Il massimo della pena applicabile è 30 anni di carcere. L'ergastolo può essere comminato solo se vi sono circostanze che lo giustificano. Le sentenze vengono eseguite dagli Stati firmatari. Gli imputati e i testimoni vanno naturalmente tutelati sulla base del diritto internazionale.

Al di sopra della Corte vi è l'Assemblea degli Stati firmatari. E qui tralasciamo la descrizione degli organi interni e delle loro funzioni, che chiunque può trovare in Wikipedia.

Ma perché dire tutte queste cose? Perché gli USA, dopo aver stipulato accordi con vari Stati firmatari, diretti a impedire che i propri cittadini (americani) fossero consegnati alla Corte, si riservano d'impiegare qualsiasi mezzo, anche militare, per liberare i soldati statunitensi che venissero tratti in arresto dalla Corte, qualora questa avesse aperto un'inchiesta sui possibili crimini di guerra e crimini contro l'umanità da loro commessi, come per es. è accaduto nella guerra in Afghanistan. Trump nel giugno 2020 firmò un decreto presidenziale che permetteva persino d'imporre sanzioni economiche ai funzionari della Corte. Il “democratico” Biden, su questo, si trova pienamente d'accordo. Infatti si è opposto alla decisione della Corte di aprire un'indagine sui crimini contro l'umanità commessi da Israele nei territori palestinesi.

 

Condividere la proprietà “non è comunismo, è cristianesimo allo stato puro”. L'ha detto il papa di recente, commentando il famoso passo degli Atti degli Apostoli che così recita: “Nessuno tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l'importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno” (4,34s.).

Non vorrei dir niente contro questo papa, di sicuro assai migliore di Wojtyla e Ratzinger. Tuttavia il comunismo dice qualcosa di più del cristianesimo, a prescindere dalle aberranti soluzioni statalistiche sorte dallo stalinismo in poi.

Il cristianesimo primitivo predicava un comunismo distributivo delle risorse monetarie che gli affiliati possedevano. Vendere case e proprietà immobiliari per impoverirsi, veniva fatto, nel migliore dei casi, da chi voleva entrare in un convento eremitico o cenobitico. In ogni caso non è mai stato predicato dal clero un comunismo relativo alla proprietà dei mezzi produttivi, se non appunto nelle suddette comunità isolate dal mondo. I pochi che, a livello urbano, l'hanno fatto sono stati considerati “eretici” e messi al rogo.

È questo il motivo per cui il cristianesimo è sempre stato definito dal marxismo come una specie di “socialismo utopistico”, in cui le disuguaglianze vengono risolte in maniera molto relativa. Tant'è che il cristianesimo sociale nell'antichità classica non ha mai messo in discussione l'istituto della schiavitù, e neppure la servitù della gleba nel Medioevo, e tanto meno la schiavitù salariata sotto il capitalismo.

Il massimo che questo cristianesimo può fare è quello di indurre eticamente i ricchi a fare la carità ai poveri. Ma perché questi ricchi si comportino così devono essere molto molto credenti. Purtroppo però è da un migliaio di anni che il cristianesimo si è imborghesito, a partire cioè dalla nascita dei Comuni italiani, e da allora è diventata molto forte nei borghesi la tentazione di dire che la povertà è un difetto non del sistema in sé ma della volontà personale del povero, per cui fargli troppa carità lo indurrebbe a non uscire dalla sua condizione.

 

[13] 5G e NATO

 

Che cos'è il 5G? Ce lo spiega un corposo articolo, soggetto a virulente polemiche, apparso a dicembre 2020 su www.altroconsumo.it di cui riportiamo solo qualche breve informazione, dando per scontato che sia attendibile.

È una tecnologia di rete mobile (la quinta generazione) destinata a soppiantare l'attuale 4G LTE. Verrà utilizzata dagli smartphone, ma anche da elettrodomestici, auto, semafori, lampioni, orologi... Permetterà molte più connessioni in contemporanea, con una velocità ipotetica fino a 10 volte più elevata rispetto al 4G, quindi con tempi di risposta molto rapidi (utilissimi, per es., quando si guida una macchina o quando ci si deve connettere al web).

Ma come funziona e quali sono i pro e i contro? Anzitutto bisogna dire che non si tratta di una semplice evoluzione del 4G, poiché ha un modo diverso di gestire le comunicazioni e la copertura, con frequenze, antenne e tecniche di trasmissione dei dati differenti rispetto al passato. Gran parte del lavoro verrà fatto dal sistema di antenne e non dall'hardware dello smartphone: quindi potrebbe esserci un risparmio energetico e una maggiore durata delle batterie dei device.

Ma cosa vuol dire più connessioni in contemporanea?

Facciamo alcuni esempi. Si pensa di testare la tecnologia 5G per la trasmissione di video ad altissima risoluzione fatti da droni che sorvoleranno aree sensibili o inaccessibili, colpite da calamità naturali. La trasmissione rapida delle informazioni ai comandi da remoto potranno facilitare il monitoraggio, l'intervento della protezione civile o delle forze dell'ordine o il primo soccorso in situazioni di particolare pericolo.

Dipenderà da chi utilizzerà questa tecnologia e dalle finalità che vorrà porsi, aggiungiamo noi. Infatti, lo sappiamo tutti che più si perfeziona la tecnoscienza e più è facile per i poteri costituiti controllare il dissenso sociale, identificando le persone, ma anche semplicemente per controllarle nei loro spostamenti tramite il riconoscimento facciale.

Le città saranno amministrate in maniera “globale”. Sensori IoT (Internet delle cose o degli oggetti) in determinati punti urbani comunicheranno in tempo reale a una centrale operativa i dati rilevati sul traffico, sull'occupazione dello spazio in occasione di grandi eventi, sulla mobilità, sulla congestione dei parcheggi, l'illuminazione notturna, la situazione dei rifiuti (tramite cestini connessi), consentendo di gestire da remoto e in modo rapido le situazioni critiche o migliorabili.

In medicina gli interventi operatori si potranno fare addirittura a distanza, usando dei robot (telechirurgia). Persino il personale dell'ambulanza potrà immediatamente interagire col chirurgo, in quanto sarà dotato di particolari occhiali che gli permetteranno di visualizzare in tempo reale la storia clinica del paziente e protocolli di soccorso complessi.

I campi di applicazione sono sconfinati. Si pensi alla fruizione intelligente dei musei, in cui le informazioni saranno ai massimi livelli. Ma si pensi soprattutto a cosa vorrà dire per un'azienda poter avere informazioni strategiche in tempo reale e a 360 gradi.

Queste cose le vediamo nei film di fantascienza, ma tra qualche tempo saranno pura realtà. L'hardware in remoto avrà un software così potente da rendere i nostri device dei semplici tentacoli di una piovra, benché il loro prezzo non sarà necessariamente inferiore a quelli attuali.

Ma perché molti parlano di effetti dannosi sulla salute? Sicuramente il 5G viaggerà su frequenze più elevate rispetto a 2G, 3G e 4G. Tuttavia la capacità di penetrazione di queste onde nei tessuti umani rimarrà limitata agli strati superficiali della pelle, mancando l'energia necessaria per causare un danno al Dna (cosa che invece possiedono le onde nello spettro dei raggi UV o dei raggi X).

Certo, molto dipenderà dai livelli di esposizione che si genereranno, visti i crescenti servizi e oggetti connessi, ma i livelli massimi per i campi elettromagnetici di dispositivi e antenne sono soggetti a limiti di legge, al momento molto cautelativi (in Italia 6 volt/metro per quanto riguarda i campi elettromagnetici generati dalle antenne tv, radio, ripetitori telefonici, ecc., mentre la media europea è 60 volt/metro). In ogni caso anche i cellulari di oggi sono dannosi alla salute, in quanto emettono e ricevono onde elettromagnetiche con una certa frequenza in Herz. La cautela nell'uso dei cellulari è sempre consigliata.

Inoltre le antenne del 5G non saranno degli enormi tralicci, ma dispositivi simili a delle scatole, di dimensioni ridotte, che verranno applicati su lampioni, palazzi o semafori. Questo perché le onde del 5G, viaggiando a frequenze molto elevate, hanno una minore capacità di diffondersi attraverso l'aria e superare ostacoli quali la vegetazione e gli edifici: di qui la necessità, per non perdere il segnale, d'installare più antenne.

Semmai sono i 3.000 satelliti attualmente operativi in orbita (di cui un migliaio lanciati negli USA solo nel 2020) a preoccupare. Coi loro gas di scarico e tutte le altre sostanze chimiche (ossido di alluminio, carbonio nero...), che si accumulano nella stratosfera, finiscono per impedire ai raggi del sole di trasformare l'ossigeno in ozono.

Una volta lanciati, i vecchi satelliti possono esplodere, riducendosi in frantumi che generano gas tossici e inquinamento da polveri sottili. L'anno scorso dei detriti in fiamme sono stati causa di incendi in Cile e un satellite Samsung ancora operativo si è schiantato su un allevamento di cavalli nel Michigan, mentre il suo pallone aerostatico è caduto sulla linea elettrica.

Oltre a tutto ciò vi sono i problemi politici che l'articolista non affronta. È ben noto infatti che compagnie cinesi come Huawei e ZTE sono tra i leader mondiali nella fornitura di tecnologie di rete di telecomunicazione. E l'ex segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Mark Esper, aveva detto chiaramente che la dipendenza dai fornitori cinesi di 5G potrebbe rendere i sistemi critici dei Paesi NATO vulnerabili a interruzioni, manipolazioni e spionaggio. Potrebbe anche mettere a repentaglio l'intelligence e la capacità di condivisione della comunicazione e, per estensione, potrebbe compromettere l'alleanza atlantica (si noti la velata minaccia alla UE). Quindi delle due l'una: O Huawei o la NATO.

 

[14] Otto per mille e inoptato.

 

Si è costituito il Comitato “Via le mani dall'inoptato”. È formato da associazioni d'ispirazione laica, quali ArciAtea, Campagne Liberali, Critica Liberale, ItaliaLaica.it., Laici.it, LaicItalia, MontesarchioLib, MovLib, Non Credo.

Ha il solo scopo di eliminare l'ultimo periodo dell'art. 47 c. 3 della legge n. 222/1985 che riguarda la distribuzione dell'8x1.000 inoptato (non espresso esplicitamente) della dichiarazione Irpef.

Cos'è l'inoptato? Ogni anno i contribuenti italiani possono versare l'8x1.000 della propria imposta o allo Stato o alle 12 confessioni religiose che hanno stabilito un'intesa con lo Stato (islamici e geovisti non sono presenti e l'intesa della Chiesa cattolica si chiama “Concordato”, di cui l'ultima revisione è del 1984).

Senonché questa scelta viene fatta da appena il 42-43% dei contribuenti. Il restante non sceglie niente (di qui la parola “inoptato”), pensando, inconsapevolmente, di lasciare all'Erario la propria imposta.

Dov'è il raggiro? Quel rigo della L. n. 222/1985 distribuisce in realtà l'inoptato alle sole confessioni religiose secondo la proporzione delle scelte fatte dagli altri contribuenti (solo due di esse hanno rifiutato questa distribuzione automatica). Cioè con la clausola dell'inoptato circa 17 milioni di cittadini impongono le proprie scelte a circa 23 milioni di cittadini che non hanno scelto niente, come risulta da questi dati ufficiali https://www1.finanze.gov.it/finanze3/stat_8xMilleSerie/index.php?&req_classe=01

Paradossalmente se anche fossero pochissime persone a indicare un qualsiasi destinatario tra quelli in elenco, a quest'ultimo arriverebbe anche il gettito dei contribuenti che non l'hanno direttamente indicato.

In pratica, distribuendo in proporzione l'inoptato, la Chiesa cattolica (a favore della quale si esprime mediamente circa 1/3 dei contribuenti) riscuote intorno a 700 milioni all'anno in più (cioè circa l'80%) di quanto le spetta in base alle scelte effettivamente compiute a suo favore. Questo poi senza considerare che la Chiesa cattolica destina a interventi caritativi meno di 1/3 di ciò che incassa: il resto va al sostentamento del clero e alle esigenze del culto (p.es. l'edilizia).

In ogni caso col raggiro dell'inoptato l'Erario perde un miliardo di euro all'anno. Nei primi anni di gestione dell'8x1.000 lo Stato riscuoteva più di 1/5 delle scelte: oggi meno di 1/10. Da anni la Corte dei Conti critica le incongruenze del meccanismo dell'8×1.000.

Il Comitato, che sta costruendo il suo sito www.vialemanidallinoptato.it, invita i cittadini e formazioni politiche che si pongono questo scopo a prendere contatti alla mail info@vialemanidallinoptato.it

Il problema è già stato sollevato in parlamento ma senza esito

https://youtu.be/qTg9pONj2r0

Il sito del governo che tratta la materia in oggetto è questo http://presidenza.governo.it/USRI/confessioni/ottoxmille.html

 

[15] Scontro tra colossi informatici

 

In campo informatico sta avvenendo qualcosa che potrà portare a tensioni bellicistiche tra gli Stati.

La Nvidia – grande azienda statunitense che si occupa della progettazione di processori e schede grafiche per computer – ha appena deciso di comprare per 40 miliardi di dollari la Arm Holdings, azienda inglese acquistata dalla Softbank giapponese nel 2016, da cui dipende il 90-95% dei microchip montati sugli smartphone, sui tablet e sui televisori di nuova generazione di tutto il mondo, oltre che il 95% dei chip progettati in Cina. L'operazione dovrebbe essere completata (giuridicamente) nel marzo 2022.

Per Nvidia sarebbe un enorme passo avanti nel mondo automotive, nella robotica e nel gaming con una piattaforma più performante di quella in loro possesso.

Infatti Arm è specializzata non nella produzione diretta, ma nel design, cioè nell'architettura di processori estremamente compatti, a basso consumo energetico, di durata superiore, che non a caso, attraverso vendita diretta o per tramite di licenze concesse a terzi, sono utilizzati negli smartphone di gran parte del mondo e nell'internet delle cose (sensori IOT).

Tutti gli iPhone e gli iPad utilizzano processori progettati da Apple con architettura Arm; la maggior parte dei telefoni Android ha processori Arm progettati dall'americana Qualcomm, e anche Samsung e Huawei progettano i loro processori sulla base della stessa architettura. Hanno processori Arm anche i televisori smart e la maggioranza degli aggeggi connessi, come smartwatch e accessori per la domotica.

Negli ultimi anni, con la diffusione degli smartphone e degli altri apparecchi smart, la rilevanza di Arm è cresciuta notevolmente, seppur limitatamente al settore “mobile”. Infatti è soprattutto Intel che produce processori con architettura x86 e che domina il mondo dei computer, sia fissi che portatili.

Il sistema operativo Windows è ottimizzato per processori x86, e fino a poco tempo fa chi provava a costruire un computer con un processore Arm aveva seri problemi, perché la maggior parte dei programmi funzionava male o per niente.

Le cose sono cambiate lo scorso giugno, dopo che Apple ha annunciato che nei prossimi due anni smetterà di utilizzare sui suoi computer processori prodotti da Intel per passare a processori progettati internamente con architettura Arm, e riscriverà il suo sistema operativo macOS. Il primo nuovo computer dovrebbe uscire entro la fine di quest'anno.

Dopo la scelta di Apple, altri produttori di computer hanno cominciato a migrare verso Arm. Sia Microsoft che Samsung han già messo sul mercato computer portatili con processori Arm. Intel dovrà reagire, altrimenti perderà quote di mercato.

Ma il problema è un altro. Col suo modello di business, Arm è sempre stata considerata un'azienda neutrale, che dava in licenza la sua proprietà intellettuale a tutti senza fare distinzioni. La nipponica SoftBank non aveva interessi nel mercato dei microchip. L'unico interesse era quello di poter avere dalle case produttrici di microchip un feedback sull'efficacia della sua architettura, per poterla migliorare vendendola a prezzi superiori. E faceva affari anche con Huawei.

Ma Nvidia, il nuovo proprietario, è già un produttore di processori e c'è il rischio che sfrutti Arm per dare un vantaggio monopolistico alle proprie attività. Se Arm farà parte di un'azienda americana come Nvidia, il governo USA potrebbe vietare a quest'ultima di fare affari con Huawei, per la questione del temuto 5G.

Sul “Global Times” (tabloid inglese di proprietà del governo cinese) è uscito un articolo in cui si legge che con l'unione tra Nvidia e Arm “l'industria cinese dei semiconduttori rischierebbe d'essere controllata dagli Stati Uniti”. L'articolo chiede alle autorità Antitrust di bloccare l'acquisizione.

Ma c'è di più e di peggio. Aziende famose come Apple, Arm, Nvidia e Qualcomm, spesso indicate come produttrici di microchip, in realtà si limitano a progettarli, e poi delegano la produzione effettiva ad aziende come la taiwanese TSMC, che da sola detiene il 56% di tutte le entrate mondiali generate dalla produzione di microchip di ultima generazione.

Infatti costruire un microchip è un'operazione molto complessa e dispendiosa, che richiede l'utilizzo di strutture di precisione ad alta tecnologia, e sono poche le aziende disposte a fare investimenti ingenti in questo settore.

Cosa farà la Cina nei confronti di Taiwan, ora che Huawei rischia d'essere subissata dalla concorrenza della nuova società Nvidia-Arm?

 

[16] Russia, censura sui social

 

Da circa un mese il governo russo sta rallentando l'utilizzo di Twitter nel Paese come misura di ritorsione dopo che il social network non aveva acconsentito alla cancellazione di alcuni tweet ritenuti pericolosi dalle autorità. È Roskomnadzor l'organo di stato che si occupa delle comunicazioni online e, a quanto pare, della censura di internet.

Che sta succedendo in Russia? Possibile che abbiano così tanta paura delle critiche della società allo Stato? Lo stalinismo non è mai finito?

Loro dicono d'aver chiesto la rimozione di 3.168 tweet risalenti al 2017 che “incoraggiano il suicidio dei minorenni e contengono pedopornografia e informazioni sull'uso di droghe”. Twitter ne aveva cancellati solo 1.900.

Ma il “Financial Times” dice che l'obiettivo del governo è di creare un “internet sovrano”, più protetto, controllato e censurabile rispetto a quello occidentale. Un po' come avviene in Cina, che blocca Facebook, YouTube, Google (Google Maps e Play), Yahoo, WhatsApp, Messenger, Telegram, Tik-Tok, Snapchat ecc., a meno che uno non utilizzi una VPN (ma anche queste vengono colpite dal great firewall statale). Persino WordPress.com è vietato! Nel campo della censura del web i cinesi sono fenomenali, proprio perché il governo cominciò a lavorarci sin dagli inizi del 2000 con un enorme investimento di uomini e mezzi.

Twitter, con 700 mila utenti attivi, è un social network piuttosto piccolo in Russia, e il rallentamento è stato visto come una prova generale prima di cominciare a colpire i social network più grandi, come Facebook e YouTube. È la prima volta che le autorità russe usano questa forma di pressione.

A dir il vero esiste un precedente, quello di Telegram, il servizio di messaggistica fondato dal russo Pavel Durov. Nel 2018 Roskomnadzor ne ordinò il blocco dopo che Durov si era rifiutato di dare ai servizi di sicurezza russi l'accesso alle chat di gruppo degli utenti. Il tentativo di bloccarlo non funzionò: Telegram continuò a essere attivo come prima.

In Russia tutti i social network occidentali sono accessibili (tranne LinkedIn), affiancati da alternative locali piuttosto popolari, come il motore di ricerca Yandex. Soltanto a partire dal 2011-12, dopo che il ritorno di Vladimir Putin alla presidenza aveva provocato grandi proteste in tutto il Paese, il governo cominciò a preoccuparsi di controllare il web.

Tuttavia, mentre il firewall cinese può disporre di due milioni di persone per controllare i contenuti, Roskomnadzor invece ha appena 3.000 dipendenti. E da tempo i russi sono abituati ad apprezzare i servizi telematici occidentali.

Senonché nel 2019 il governo russo ha approvato una nuova legge con l'obiettivo di controllare il web, fino al punto in cui sia possibile separare la rete internet russa da quella del resto del mondo. La legge impone a tutti gli operatori di rete d'installare degli apparecchi chiamati middlebox per filtrare tutti i contenuti della rete, usando software specializzati. È un sistema molto complesso e molto costoso: il “Financial Times” parla di 2 miliardi di dollari all'anno. E sarà difficile farlo funzionare in un Paese così vasto.

Nel frattempo Roskomnadzor ha presentato una proposta di legge per obbligare tutti gli utenti dei social network e delle app di messaggistica a consegnare alle autorità copia dei loro documenti d'identità.

Purtroppo questa idea di “internet sovrano” sta solleticando la curiosità di altri Paesi, come India, Brasile, Iran e Sudafrica. Il villaggio globale rischia di trasformarsi nel cortile di casa propria, ben protetto con steccati molto alti.

 

[17] Italia, povertà assoluta. Paesi Asean

 

Secondo le stime preliminari dell'Istat, i dati sulla povertà assoluta in Italia sono i più elevati degli ultimi 15 anni.

Nel 2020 l'incidenza di povertà assoluta è passata dal 4,9% al 6% tra le famiglie composte solamente da italiani, e dal 22% al 25,7% tra quelle con stranieri, che tornano ai livelli del 2018.

Azzerati i miglioramenti registrati nel 2019. Dopo quattro anni consecutivi di aumento, si erano infatti ridotti in misura significativa il numero e la quota di famiglie (e di individui) in povertà assoluta, pur rimanendo su valori molto superiori a quelli precedenti la crisi avviatasi nel 2008, quando l'incidenza della povertà assoluta familiare era inferiore al 4% e quella individuale era intorno al 3%. Pertanto, secondo le stime preliminari del 2020 la povertà assoluta raggiunge, in Italia, i valori più elevati dal 2005 (ossia da quando è disponibile la serie storica per questo indicatore).

La pandemia ha avuto conseguenze più disastrose sul piano economico che sanitario, anche perché saranno di lunga durata. Avrebbe potuto essere l'occasione per ripensare i criteri di vita di questo sistema neoliberista, ma così non è stato.

 

L'epicentro dello scontro geopolitico globale tra Stati Uniti e Cina è oggi il sud-est asiatico: un'area del mondo multipolare che difficilmente può essere inquadrata sotto l'influenza di un singolo potere esterno. Neanche la Cina può considerarsi egemone in quei territori, anche se vorrebbe esserlo. Per es. nel 2015 Xi Jinping aveva promesso a Obama che la Cina non avrebbe militarizzato il Mar Cinese Meridionale, ma un anno più tardi schierò la sua flotta per intimidire gli Stati dell'Asean. Gli USA non fecero nulla per impedirglielo.

Nessuno Stato dell'Asean (Filippine, Indonesia, Malaysia, Singapore, Thailandia, Brunei, Vietnam, Myanmar, Laos, Cambogia, più Papua Nuova Guinea e Timor Est come osservatori) regola le sue relazioni con la Cina esclusivamente sulla base del commercio e degli investimenti. Il nazionalismo rimane una potente leva in politica estera. Anche perché questi Stati han dovuto lottare parecchio per liberarsi del colonialismo euro-americano.

Con l'eccezione della Cambogia (del tutto filocinese) e dell'attuale giunta militare golpista in Myanmar, si può affermare che al momento nessun Paese dell'Asean vede la necessità di allineare i propri interessi a una singola grande potenza, sia essa la Cina, l'India, la UE o gli Stati Uniti.

Resta però il fatto che i regimi filocinesi dell'Asean sono anche quelli più autoritari e meno preoccupati di subire sanzioni da parte dell'occidente. Sanno che la Cina è in grado di soddisfare tutte le loro esigenze.

 

[18] Israele, antisemitismo

 

La recente Dichiarazione di Gerusalemme sull'antisemitismo è uno strumento per cercare di capire come si manifesta l'antisemitismo nei vari Paesi del mondo.

È stata realizzata da un gruppo di studiosi nei campi della storia dell'olocausto, degli studi ebraici e degli studi sul Medio Oriente, ed è stata sottoscritta da 200 firmatari.

Si sono ispirati alla Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, alla Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale del 1969, alla Dichiarazione del forum internazionale di Stoccolma sull'olocausto del 2000 e alla Risoluzione delle Nazioni Unite sulla giornata della memoria del 2005.

Ritengono che la lotta contro l'antisemitismo sia inseparabile dalla lotta globale contro tutte le forme di discriminazione razziale, etnica, culturale, religiosa e di genere.

Hanno preteso di dare una definizione di base, più generale, dell'antisemitismo, da declinare nelle varie situazioni, in alternativa alla Definizione IHRA, il documento adottato nel 2016 dall'Alleanza Internazionale per la Memoria dell'Olocausto, che sicuramente cercava di proteggere Israele dalla responsabilità nei confronti del diritto internazionale e di proteggere il sionismo da critiche razionali ed etiche.

Ora, con questa nuova Dichiarazione, si è cercato di ammettere che l'ostilità verso Israele potrebbe essere non solo un'espressione di ostilità antisemitica, ma anche una reazione alla violazione dei diritti umani, o il sentimento che una persona palestinese prova a causa dell'esperienza fatta trovandosi nelle mani di quello Stato. Detto altrimenti, se l'antisemitismo è sempre una forma di razzismo, l'antisionismo invece può essere considerato legittimo.

Ma procediamo con ordine. In generale – sostiene la Dichiarazione – è una forma di razzismo considerare un tratto caratteriale come innato o fare generalizzazioni negative indiscriminate su una data popolazione, quindi è razzistico anche l'antisemitismo.

Non si può infatti sostenere, come già si faceva nel passato, l'idea di una “cospirazione ebraica”, nella quale gli ebrei in quanto tali possiedono un potere nascosto che usano a spese di altri popoli. Il che oggi vorrebbe dire che sarebbero in grado di controllare i governi o i media o le banche di qualunque Stato, come se fossero “uno Stato nello Stato”.

Esempi di antisemitismo a parole includono affermazioni del tipo: gli ebrei sono ricchi, intrinsecamente avari o antipatriottici; i Rothschild controllano il mondo, ecc. Ma è antisemitico anche negare o minimizzare l'olocausto, sostenendo che il deliberato genocidio nazista degli ebrei non ebbe luogo, o che non c'erano campi di sterminio o camere a gas, o che il numero delle vittime fu una piccola parte del totale reale.

Fin qui nulla da eccepire. I problemi però sorgono quando si scende nella questione spinosa dei rapporti tra Israele e Palestina.

Stando alla suddetta Dichiarazione sarebbe antisemitico ritenere gli ebrei collettivamente responsabili per la condotta di Israele o trattare gli ebrei, semplicemente perché ebrei, come agenti di Israele. Ma anche richiedere alle persone, perché ebree, di condannare pubblicamente Israele o il sionismo. Oppure presumere che gli ebrei non israeliani, semplicemente perché ebrei, siano necessariamente più fedeli a Israele che non al proprio Paese.

Naturalmente la Dichiarazione è costretta ad ammettere che non può essere considerato antisemitico il fatto di sostenere la richiesta di giustizia e di piena concessione dei diritti politici, nazionali, civili e umani da parte dei Palestinesi. E neppure opporsi al sionismo come forma di nazionalismo.

Però poi fa capire, velatamente, che schierarsi contro un qualunque tipo di accordo costituzionale tra ebrei e palestinesi nell'area tra il fiume Giordano e il Mediterraneo, sia che questo accordo avvenga con due Stati, con uno Stato binazionale, con uno Stato democratico unitario, con uno Stato federale o in qualsiasi altra forma, può diventare un atteggiamento antisemitico.

Infatti, secondo la Dichiarazione, se è legittimo paragonare Israele ad altri esempi storici di colonialismo d'insediamento o di apartheid, non è legittimo, proprio perché rischia di diventare antisemitico, negare il diritto agli ebrei dello Stato d'Israele di esistere e prosperare come ebrei.

In ogni caso il vero problema è che c'è molta differenza tra le diverse tipologie di rapporto statuale tra Israele e la Palestina. E sulla scelta politica di quale deve essere l'attuale tipologia o di quale sarà quella definitiva, i palestinesi non hanno e non sono destinati ad avere alcuna voce in capitolo.

 

[19] Iran, nucleare

 

È incredibile come al giorno d'oggi, in cui continuamente parliamo di diritti umani, nessuno dica niente su come Israele, che è una potenza nucleare, impedisca all'Iran di diventarlo. Cosa direbbero a noi se di tanto in tanto andassimo a bombardare la Francia solo perché nel 1987 abbiamo rinunciato con un referendum al nucleare?

Sembra addirittura che il sabotaggio israeliano dell'importante impianto nucleare di Natanz (a 300 km a sud di Teheran) stia avendo delle conseguenze sulla politica interna dell'Iran, già in fermento a causa della crisi economica provocata dalle 1.500 sanzioni internazionali volute dagli USA (un numero enorme, senza precedenti, che sta portando al collasso l'economia del Paese).

Lo scontro tra ultraconservatori, guidati da Ali Khamenei (la principale figura politica e religiosa del Paese, ritenuta più potente dello stesso parlamento), e moderati, il cui leader è il presidente Hassan Rouhani, è diventato più acuto. Anche perché i primi non vorrebbero nessun accordo con gli americani. Esattamente come gli israeliani, che, per motivi opposti, han sempre detto di non fidarsi dell'Iran.

Abituati come siamo a ragionare in termini di buoni e cattivi, ci sembra che gli iraniani siano più cattivi degli israeliani, per cui ci fa piacere quando, in un modo o nell'altro, quel regime teocratico mostra vistose crepe. E così non ci rendiamo conto che le istituzioni iraniane sono gestite, non meno di quelle israeliane, da politici orgogliosi del proprio fondamentalismo, disposti a difenderlo in qualunque maniera.

A giugno in Iran si terranno le elezioni presidenziali, ma sin da adesso possiamo scommettere che vinceranno gli ultraconservatori, cioè quelli che sanno meglio sfruttare politicamente l'embargo economico dell'occidente e gli attacchi militari d'Israele. Basti pensare che è il Consiglio dei Guardiani, controllato dai radicali, a fare una preselezione dei candidati ammessi alle elezioni. E poi il presidente Rouhani non potrà candidarsi per un terzo mandato, essendo al potere dal 2013.

In ogni caso il sistema non è ancora crollato: né per le sanzioni, né per le grosse proteste antigovernative degli ultimi due anni, né per le tensioni nel Golfo Persico, né dopo l'uccisione del potente generale Qassem Suleimani, considerato uno degli esponenti più influenti dell'intero regime.

I colloqui relativi al nucleare iraniano in corso a Vienna non porteranno a niente. Infatti Joe Biden vuole sì tornare agli accordi del 2015, interrotti da Trump nel 2018, ma vuole anche che l'Iran non punti i suoi missili balistici a lungo raggio contro Israele o verso l'Oceano Indiano. Non solo, ma Teheran, prima di riportare l'arricchimento dell'uranio nei limiti previsti dall'intesa (un ridicolo 4%), pretende che gli USA ritirino subito la maggior parte delle sanzioni economiche. Sarà un dialogo tra sordi e se l'Iran deciderà di avvalersi dell'appoggio cinese, pur di non darla vinta all'occidente, la situazione in Medio Oriente diverrà esplosiva. Già oggi si ritiene che l'Iran abbia superato il suddetto limite di almeno 5 volte. E con la Cina è stato firmato un accordo di cooperazione strategica globale di 25 anni. Cina, Iran e Russia hanno anche condotto esercitazioni militari congiunte senza precedenti nel Golfo di Oman e nell'Oceano Indiano alla fine del 2019.

 

[20] Taiwan, Cina e Stati Uniti

 

Nel giugno 2020 il repubblicano Josh Hawley ha introdotto un disegno di legge per affermare che gli USA difenderanno Taiwan usando tutti i loro mezzi militari, compresa la deterrenza nucleare, per prevenire qualsiasi “fatto compiuto”. Che intendeva dire? Probabilmente che entro quest'anno (al massimo entro il prossimo) Taiwan verrà occupata dalla Cina. Il motivo scatenante sarà, molto probabilmente, la questione informatica, ma anche il fatto che Pechino non vuole navi militari americane a ridosso delle sue coste.

D'altra parte da sempre il Pcc rivendica l'isola come territorio cinese e nel passato ha provato anche a invaderla: la prima volta nel 1954, ma la tecnologia era del tutto inferiore a quella fornita dagli USA ai taiwanesi; la seconda volta quattro anni dopo, ma anche allora dovettero rinunciarvi, in quanto gli USA minacciavano di bombardare la terraferma.

E ora che Huawei rischia d'essere subissata dalla concorrenza della nuova società Nvidia-Arm e gli USA vogliono eliminare Huawei e altre aziende tecnologiche cinesi dalle reti globali 5G, cosa farà il Pcc? A Taiwan esiste TSMC, una superpotenza informatica, leader mondiale nella produzione di microchip di ultima generazione. Basterebbe occupare l'isola per avere a disposizione i segreti di questa azienda, che ha dovuto annullare le consegne a Huawei a causa delle nuove leggi americane.

È vero, la Taiwan Relations Act del 1979 stabilisce relazioni “non ufficiali” tra Washington e Taipei. Cioè permette agli USA di fornire a Taiwan le armi necessarie per garantirne l'autodifesa, senza che si sentano obbligati a intervenire militarmente in caso d'invasione. Ma nel '79 cos'era la Cina? Nulla. Oggi invece cos'è? Tutto. E gli USA hanno continuamente bisogno di usare la politica estera come arma per distrarre l'opinione pubblica dai gravi problemi socioeconomici che hanno al proprio interno.

A partire da quella data una certa ambiguità strategica ha evitato sia una dichiarazione d'indipendenza dell'isola che una riunificazione unilaterale da parte di Pechino. Ma oggi la Cina considera Taiwan una “provincia ribelle”, ovvero chiama i leader di Taiwan “secessionisti”, lo stesso termine usato per i democratici di Hong Kong.

È quindi evidente che quanto più l'isola verrà aiutata militarmente dagli USA, tanto prima verrà occupata. In fondo è riconosciuta solo da 17 Paesi nel mondo. Xi Jinping continua a ricordare che Taiwan, occupata dai nazionalisti cinesi quando i comunisti salirono al potere a Pechino nel 1949, è parte integrante della Cina e la riunificazione non può essere rimandata ad libitum. Il futuro di Taiwan deve essere regolato dal principio “un Paese, due sistemi”, che è quello che definisce le relazioni tra la Cina e Hong Kong. Il problema però è che il Pcc intende questo principio solo in senso economico, non politico, mentre il governo di Taipei non ne vuol sapere, anche perché l'accordo del 1992 tra i due Paesi non dava una definizione univoca su cosa si dovesse intendere con la parola “Cina”.

Va detto che l'aggettivo “pacifica”, usato per caratterizzare la riunificazione dei due Paesi, appare ancora nel XIV piano quinquennale cinese (2021-2025), ma appare sempre meno in tanti altri interventi dei “falchi” del partito. I tempi sono enormemente cambiati da quando la Cina, con Deng Xiaoping, ha cominciato a rivedere l'autoritarismo agrario del maoismo, che non concedeva nulla al capitalismo. Ora il Dragone è incredibilmente forte sotto ogni punto di vista.

E gli americani, che pur han fatto di tutto per abbattere il comunismo nel mondo, non sanno come reagire. Si preoccupano soprattutto di due cose: 1) la marina e l'aviazione cinese stanno aumentando le incursioni nelle acque e nella zona d'identificazione della difesa aerea di Taiwan a un ritmo senza precedenti; 2) Taiwan è piuttosto isolata sul piano internazionale, nel senso che la maggior parte dei suoi alleati diplomatici l'ha abbandonata, ad eccezione del Vaticano e di una manciata di microStati. I suoi 110 diplomatici (in 75 Paesi) non hanno ufficialmente neppure lo status di “ambasciatori” e Pechino può fare delle pressioni economiche sull'occidente che fino a qualche tempo fa sarebbero state impensabili. Forse sarà meglio rassegnarsi, come han già fatto gli inglesi con Hong Kong. Il mondo non si è forse rassegnato all'occupazione di mezza Cipro da parte dei turchi? Non ha forse accettato che le Falkland (Malvine) restino in mano inglese? E quando Reagan ordinò di occupare Grenada chi disse qualcosa?

 

[21] Israele, ultime elezioni

 

Nell'arco di sette anni vi sono state cinque elezioni della Knesset israeliana, quattro delle quali in meno di due anni. Le ultime del 23 marzo con un'affluenza del 67%, la più bassa dal 2009. Sono 13 i partiti a dividersi i 120 seggi.

Il Likud ha ottenuto 52 seggi, ma doveva arrivare a 61 per poter governare. E sappiamo bene che Netanyahu è pronto a tutto pur di non affrontare le pesanti accuse di corruzione, frode e abuso di potere, mossegli dal 2019. In questo momento sta chiedendo che si proceda con l'elezione diretta del primo ministro, per prevenire il rischio di una nuova tornata elettorale inconcludente. Ma non è escluso, conoscendo il soggetto, privo di scrupoli, ch'egli preferisca le situazioni in cui nessuno può formare un governo, così lui continua a fare il primo ministro ad interim.

In ogni caso la novità maggiore alle ultime elezioni è stata l'affermazione di partiti di estrema destra e ultrareligiosi, e persino l'ingresso di nuovi partiti di quest'area in parlamento. Tra Sionismo religioso, Potere ebraico e Noam, un miscuglio di xenofobia, omofobia e nazionalismo, uniti a fondamentalismo religioso e violenza, fanno a gara a chi sia più fascista. Queste persone rappresentano un Israele violento, arrogante e isolato che ignora il resto del mondo. Alla faccia della recente Dichiarazione di Gerusalemme sull'antisemitismo.

Per es. il partito Sionista Religioso (alleanza di partiti guidata da Bezalel Smotrich) in passato aveva proposto di segregare i reparti di maternità, in modo che le donne ebree non dovessero partorire vicino a donne arabe. Smotrich si è definito un “fiero omofobo” (nell'alleanza vi è anche il partito Noam, apertamente anti-LGBT). E ha detto che è disposto a fare un governo col Likud solo se Netanyahu rinuncia all'impegno preso con la risoluzione ONU 1325, in base alla quale gli Stati sono obbligati a includere le donne nei corpi decisionali, in particolare quelli che si occupano di pace e sicurezza, a proteggere le donne dalla violenza e a tutelarle nei loro diritti umani.

Un altro partito dell'alleanza Potere Ebraico, guidato da Itamar Ben Gvir. Quest'ultimo si ispira al rabbino estremista Meir Kahane, ucciso negli Stati Uniti nel 1990. Kahane aveva affermato che ebrei e arabi non possono coesistere e che l'unica soluzione è espellerli da Israele. Ben Gvir, che vive in uno degli insediamenti più violenti e provocatori della Cisgiordania occupata, è stato definito l'equivalente israeliano di un leader del Ku Klux Klan ed è già stato condannato per istigazione alla violenza.

Difficile che Netanyahu possa formare un governo con partiti che vogliono annettere la Cisgiordania in modo unilaterale; separare Gaza al fine di mantenere una maggioranza ebraica nello Stato unitario e non ammettere i rifugiati palestinesi. La destra radicale vuole uno Stato unico, non-divisibile, in cui i palestinesi o accettano di definirsi cittadini israeliani o restano rinchiusi a Gaza. Parlare di due Stati, come fa la sinistra, per loro non ha senso.

 

[22] Francia, legge sulla sicurezza globale. Beppe Grillo e la questione del figlio accusato di stupro

 

Dopo il Senato ora anche l'Assemblea nazionale francese ha definitivamente approvato, con 75 voti favorevoli e 33 contrari, la controversa legge sulla “sicurezza globale”, che alla fine del 2020 aveva provocato le proteste in tutto il Paese di mezzo milione di persone.

La parte più contestata era l'art. 24, che introduce un nuovo reato per chiunque diffonda immagini e video in grado di “danneggiare l'integrità fisica e morale” degli agenti di polizia. Chi si opponeva alla legge sosteneva che un reato di questo genere sarebbe stato una limitazione della libertà di espressione. Persino l'Onu aveva giudicato il testo “incompatibile col diritto internazionale dei diritti umani”.

Il governo aveva accettato di riscrivere l'articolo, ma poi si è limitato a dire, pur escludendo le parole “immagini e video”, che va punito chi contribuisce a identificare un agente di polizia in servizio “con l'evidente intento di nuocere alla sua integrità fisica o psichica”. Una formulazione molto vaga, che consente un'eccessiva libertà di interpretazione. Rispetto alla proposta iniziale, sono esclusi da questo reato i giornalisti.

La legge sulla “sicurezza globale” (che sarebbe meglio definire “controllo globale”) è stata fortemente voluta dal premier Emmanuel Macron, sull'onda della islamofobia del governo e di buona parte del Paese. Il quale naturalmente ne ha approfittato, cioè ha allargato la repressione in nome della laicità statale a tutti i casi di dissenso sociale contro le istituzioni.

Il principale sostenitore della legge è il ministro della Difesa Gérald Darmanin, che, dopo la riformulazione dell'art. 24, ha chiesto di aumentare le sanzioni a 5 anni di reclusione e fino 75 mila euro di multa; e la cosiddetta “provocazione dell'identificazione” non si riferisce solo ai gendarmi, agli ufficiali di polizia e ai doganieri, ma anche ai loro parenti.

Quindi, pur non facendo più riferimento esplicito a immagini e video nel testo definitivo, si precisa che, se vi saranno immagini dei volti che possano costituire un rischio per le forze dell'ordine, esse andranno sfocate sia sugli organi di stampa ufficiali che sui social network.

Di fatto ora gli agenti avranno mano libera di comportarsi come meglio credono. L'ha già detto Amnesty International: “la legge può intimidire e scoraggiare i cittadini che intendono registrare e documentare gli episodi di violenza perpetrata dalle forze dell'ordine”. Anche perché nell'art. 20 viene garantito alla polizia un accesso esteso alle telecamere di sorveglianza, persino a quelle dei condomini. E nel n. 22 viene garantita la possibilità alle forze di polizia di servirsi di strumenti di sorveglianza come droni e body cam, con cui p.es. controllare che i cittadini indossino la mascherina anti-covid.

Si è aperta la porta all'impiego massiccio del rilevamento di immagini in tempo reale con l'utilizzo di software automatizzati, tra cui il riconoscimento facciale. Come in Cina. Si autorizza anche la polizia fuori servizio a portare le armi ovunque si trovi.

Il Paese si sta fascistizzando. Lo dimostra anche il fatto che alla discussione finale di una legge che limita così fortemente i diritti dei cittadini, aumentando arbitrariamente i poteri delle forze dell'ordine, si sono presentati solo 108 deputati su 577. La sinistra impugnerà il testo dinanzi alla Corte Costituzionale.

Il recente processo contro Derek Chauvin, il poliziotto accusato di aver ucciso George Floyd il 26 maggio 2020 a Minneapolis, in Francia non si sarebbe neppure fatto, visto che le prove più schiaccianti sono state fornite dal video di una passante. Il che non vuol dire che gli USA siano più democratici della Francia. In passato vi sono stati decine di casi di agenti che hanno ucciso o ferito dei sospettati, e di regola non si arriva nemmeno al processo, poiché i procuratori si considerano come appartenenti alle forze dell'ordine.

 

Non ho capito perché Grillo ha detto: “Mettete in galera me, invece che mio figlio”. Questo non è stato il tentativo della magistratura di colpire politicamente lui colpendo suo figlio.

Un padre che avesse ragionato in termini esclusivamente etico-giuridici avrebbe dovuto dire: “Ho fiducia nella magistratura. Se mio figlio, alla fine del terzo grado di processo, risulterà colpevole, non sarò io a giustificarlo, anche se non potrò non chiedermi dove ho sbagliato sul piano educativo”.

Peraltro io la parola “consenziente”, per sostenere che non si trattava di uno stupro, la toglierei dal linguaggio giuridico. Grillo ha fatto male a farne uso. Per dire che una donna è consenziente, dovrebbe essere lei a prendere l'iniziativa. Ma quando i maschi sono in quattro e due le ragazze, di cui una stava dormendo, come si può essere liberi di scegliere? Per di più non in casa propria e con la mente offuscata dall'alcol...

Per me in questi casi è sempre stupro, anche se non fossero stati in sei ma solo in due. Lo stupro può esistere persino tra marito e moglie, figuriamoci tra ragazzi che s'incontrano in discoteca. Viviamo in una società maschilista: è inutile minimizzare le responsabilità dicendo ch'erano giovani e si volevano divertire. Anche perché si rischia di colpevolizzare la vittima, che se anche ha denunciato in ritardo, non per questo può essere definita “consenziente”.

I giovani subiscono certamente forti condizionamenti in società dove tutto è una merce che si usa e si consuma, ma tra i giovani chi subisce ancora di più sono le ragazze.

 

[23] Le leggi sull'aborto in Europa

 

È noto che le leggi contro l'aborto non impediscono alle donne d'interrompere gravidanze indesiderate o rischiose per la propria vita. Al contrario le spingono a cercare pratiche di aborto illegali e potenzialmente pericolose.

Tra il 2000 e il 2017 i Paesi dell'America Latina che vietano in qualsiasi circostanza l'aborto hanno registrato una media di 151 casi di mortalità materna ogni 100.000 nati vivi, rispetto ai circa 68 casi di mortalità ogni 100.000 nati vivi in altre nazioni.

Nel mondo solo il 37% delle donne in età fertile vive in Paesi in cui l'aborto è permesso senza divieti, se non quelli per un limite massimo di giorni di gestazione (in generale 12 o 14 settimane). Solo 60 Paesi al mondo permettono l'accesso libero e legale all'aborto. Quelli che lo proibiscono totalmente sono 26.

Non è vero che le leggi più restrittive contro l'aborto siano fuori dall'Europa. In Andorra, Malta, San Marino e Città del Vaticano nessuna eccezione specifica è prevista dalla legge. A San Marino presto si farà un referendum. Il governo del Principato di Andorra invece ha intenzione di mettere in galera Vanessa Mendoza Cortes, un'attivista psicologa per i diritti delle donne di Andorra e presidente dell'Associazione Stop alle violenze, che alle Nazioni Unite ha chiesto la decriminalizzazione dell'aborto nel suo Paese.

L'ultimo Paese ad averlo legalizzato è stata l'isola irlandese pochissimi anni fa. In Polonia l'attuale governo conservatore cerca nuovamente d'impedirlo nel caso di malformazioni gravi e letali del feto e di problemi sanitari tali da implicare l'inevitabile morte post parto del neonato. Quindi in pratica lo permette solo in tre casi: pericolo di vita per la madre, stupro e incesto.

A Malta è assolutamente vietato in ogni circostanza e senza eccezioni. Qui ogni anno quasi 500 donne (un numero rilevante per uno Stato di circa mezzo milione di abitanti) si recano all'estero per abortire. Sia le donne che i medici possono subire fino a 3-4 anni di carcere. Stando a un recente sondaggio, la metà della popolazione accetterebbe la morte della donna in gravidanza pur di evitare un aborto. Nell'isola non esiste nemmeno un servizio pubblico di consulenza per le donne e per le famiglie che abbiano bisogno di un confronto sul tema, di un aiuto sulla contraccezione. Unica soluzione è la pillola del giorno dopo, che viene però acquistata (illegalmente) dall'estero e la cui consegna, oltre a non essere sempre garantita nei tempi necessari affinché sia efficace, non risolve comunque il problema per le gravidanze oltre le nove settimane.

L'attuale pandemia ha reso quasi impossibile l'aborto anche in Liechtenstein, Monaco, Polonia e Ungheria. Anzi l'accesso all'interruzione di gravidanza per via chirurgica è stato negato del tutto alle donne coi sintomi di infezione da Covid-19 in 11 territori: Paesi Bassi, Belgio, Germania, Islanda, Lettonia, Lussemburgo, Montenegro, Slovenia, Inghilterra, Galles e Scozia.

Eppure è molto probabile che durante la pandemia la scelta di abortire venga presa da un numero maggiore di donne, a causa delle incertezze economiche, dell'aumentata esposizione alla violenza sessuale e dell'accesso limitato alla contraccezione.

Qui si può consultare la situazione mondiale https://www.wikiwand.com/it/Legislazioni_sull%27aborto. Molto utile anche questa mappa https://maps.reproductiverights.org/worldabortionlaws

 

[24] El Salvador, aborto. Afghanistan, la NATO

 

El Salvador è uno dei tre Paesi dell'America Centrale e una delle 26 nazioni al mondo in cui vige il divieto assoluto di abortire dal 1998. L'aborto è fuori legge anche nei casi di stupro, incesto o pericolo di vita della donna. Persino le donne che subiscono aborti spontanei per complicanze ostetriche o che danno alla luce feti morti possono essere processate per omicidio. La maggior parte di queste donne proviene da aree rurali povere, dove non esiste la contraccezione.

Il personale medico coinvolto nell'esecuzione di un aborto può rischiare dai 6 ai 12 anni di carcere, oltre alla radiazione dall'ordine professionale. Inoltre i familiari che sostengono la donna nella sua intenzione di abortire possono essere puniti con una reclusione da 2 ai 5 anni.

Lo scorso marzo la Corte interamericana dei diritti umani (un tribunale regionale dell'Organizzazione degli Stati Americani istituito per giudicare le presunte violazioni dei diritti umani nei Paesi membri) ha ascoltato le argomentazioni del caso “famiglia di Manuela contro El Salvador”. Il caso riguarda una donna, già madre di due bambini, che nel 2008, a seguito di una caduta nella sua casa nella zona rurale del Paese, aveva partorito un feto morto.

Manuela (nome fittizio), dopo aver perso conoscenza e con un'emorragia in atto, era stata trasportata d'urgenza in ospedale. Il personale medico accusò Manuela d'aver provocato l'aborto volontariamente e chiamò la polizia. La donna fu ammanettata al letto d'ospedale, interrogata dai medici e dalla polizia e accusata di omicidio aggravato. Venne condannata a 30 anni di carcere, ma nel 2010 è morta di cancro, senza ricevere cure adeguate. Ora i parenti chiedono un risarcimento dei danni.

Negli ultimi 25 anni sono state centinaia le donne salvadoregne accusate di aborto o di omicidio aggravato. Secondo il Codice penale, adottato nel 1997, il reato di aborto prevede una reclusione da 2 a 8 anni, mentre nel caso di un omicidio aggravato la pena va da 30 a 50 anni.

Qualche anno fa vi furono i processi penali contro Evelyn Hernandez e “Diana“, anche loro accusate di omicidio aggravato dopo aver dato alla luce feti morti. In entrambi i casi furono registrate notevoli violazioni dei diritti umani, quali discriminazioni di genere, violazioni del diritto alla salute e l'improprio addebito dell'onere della prova alle donne accusate. Avere un giusto processo, essere protetti da un trattamento disumano e godere di una certa privacy sono un optional.

El Salvador garantisce tutti questi diritti nei trattati internazionali vincolanti, ma le autorità continuano a violarli nei processi. Il parlamento non ne vuol sapere di riformare il Diritto penale al fine di conformarsi alla Convenzione americana dei diritti umani. I gruppi pro-vita cattolici ed evangelici sono una lobby molto potente.

Nel 2013, la suddetta Corte ordinò al governo di tutelare la vita e la salute di Beatriz, una donna affetta da lupus e malattie renali che intendeva abortire un feto che non sarebbe sopravvissuto. La Corte Suprema salvadoregna respinse la richiesta di Beatriz d'interrompere la sua gravidanza per salvarsi la vita. Ma quando la Corte interamericana manifestò il suo disaccordo, stabilendo che il diritto alla vita della donna richiedeva un intervento dello Stato, il governo decise di permettere un taglio cesareo salvavita.

L'attuale presidente di El Salvador, Nayib Bukele, in un dibattito presidenziale del 2018, ha dichiarato d'essere favorevole alla legalizzazione dell'aborto nel caso in cui la gravidanza rappresenti una minaccia per la vita della futura madre e ha affermato d'essere del tutto contrario alla criminalizzazione delle donne che abortiscono spontaneamente. Tuttavia, nonostante le pressioni da parte di gruppi femministi e per i diritti umani, il governo non ha fatto nulla per impedire le condanne per aborto spontaneo né per rendere la legge meno severa.

 

La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakhárova, ha detto che l'investimento multimilionario della NATO nella sicurezza dell'Afghanistan non è servito a nulla, se non a peggiorare la situazione. Oltre 20 anni buttati via.

La NATO non è stata capace di creare strutture di sicurezza locali, preparate per il combattimento, che dovrebbero proteggere il Paese in modo indipendente e garantire la legge e l'ordine pubblico.

Inoltre la Zakhárova ha sostenuto che gli Stati Uniti e la coalizione avrebbero dovuto informare il Consiglio di sicurezza dell'ONU sui risultati della missione in Afghanistan, visto che il mandato era stato emesso dal Consiglio di sicurezza. Invece non l'hanno fatto.

Dopo due decenni di scontri i talebani controllano più della metà del territorio del Paese e continuano la lotta armata. L'Afghanistan è diventato un rifugio per il gruppo terroristico ISIS, che conta fino a 4.000 militanti nel Paese e conduce regolarmente attacchi terroristici. Durante la presenza della NATO in Afghanistan l'area di coltivazione del papavero da oppio è cresciuta più di 20 volte. L'Afghanistan rappresenta oltre l'80% del mercato globale degli oppiacei. Secondo i dati dell'ONU, 24 delle 34 province del Paese sono produttrici di droga.

E l'Italia su questo non dice nulla? Noi siamo l'ultima ruota del carro e non abbiamo diritto di parola.

 

[25] UE, libertà di espressione artistica. Tutela ambientale

 

Per l'associazione Freemuse la ricerca “State of Artistic Freedom 2020” rileva l'effetto nefasto della politica nazionalista e populista come in grado di portare a un aumento delle restrizioni sulle espressioni artistiche. Il rapporto denuncia 711 atti di violazione della libertà artistica nel 2019 in 93 Paesi, tra cui soprattutto la UE.

Che significa? Significa che l'Europa è colpevole d'incarcerare il maggior numero di artisti al mondo (Spagna in testa, con 14 persone imprigionate nel 2019), ma anche di gran lunga il continente che prende più di mira i performer appartenenti a minoranze (42%). Insomma i politici al potere sono i primi persecutori degli artisti, soprattutto dei musicisti. Possibile?

Pensavamo fosse un'eccezione il recente caso del rapper Pablo Hasél, che aveva scosso la Spagna sulla libertà di parola. Ma, a quanto pare, non è così. Anzi ci sembrava in parte giustificata la reazione delle autorità, visto che i suoi testi e tweet paragonano i giudici locali ai nazisti ed esaltano il gruppo paramilitare separatista basco ETA; accusano la polizia di usare metodi di repressione violenti (specie nei confronti di migranti); chiamano l'ex re Juan Carlos “boss della mafia” e l'attuale sovrano Felipe IV “tiranno”. Anche se ci era sembrata eccessiva la condanna di nove mesi di carcere. Non a caso il musicista aveva beneficiato della solidarietà di oltre 200 artisti (tra cui Pedro Almodòvar e Javier Bardem) e il sostegno di Amnesty International.

C'è modo e modo di reagire nei confronti di chi canta qualcosa che può essere di cattivo gusto o scandaloso. Le espressioni che non incitano chiaramente e direttamente alla violenza non possono essere criminalizzate così facilmente. Il che non vuol dire che si possa offendere chicchessia con espressioni ingiuriose, altrimenti dovremmo giustificare anche le oscenità della rivista “Charlie Hebdo”.

Indubbiamente in Spagna esiste una Ley Orgánica sulla riforma del codice penale, quella del 2015, che in nome della sicurezza pubblica, rende molto difficile la libertà di espressione. Introducendo una nuova definizione del crimine di “terrorismo individuale”, ha suscitato notevoli dubbi sull'eccessiva vaghezza delle nuove fattispecie criminose.

La legge era stata criticata dall'ONU prima ancora che entrasse in vigore. Anche la Corte Europea di Strasburgo ha già condannato tre volte la Spagna per aver applicato il reato d'insulto contro la corona: i giudici hanno ricordato che una maggiore protezione dei capi di Stato non può passare attraverso una legge che limiti le ingiurie a loro rivolte, perché questa è incompatibile con la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo.

Indubbiamente gli attentati di Madrid del 2004 hanno reso la Spagna il primo Paese europeo, cui segue il Regno Unito, per vittime di attacchi terroristici jihadisti effettuati sul territorio nazionale. Ma questo non può significare che la libertà di espressione può essere tranquillamente ridotta a tutti i suoi cittadini.

Protagonista di una vicenda simile a quella di Hasél, fu quella del rapper Josep Miquel Arenas (in arte Valtònyc), condannato a tre anni e mezzo di reclusione per calunnia, lesa maestà (criticava la monarchia spagnola) e glorificazione del terrorismo. In realtà tutti i suoi testi sono basati su un'ideologia anti-capitalista, repubblicana e antifascista. Da allora vive in Belgio, nonostante gli sforzi della Spagna per farlo estradare. D'altra parte anche l'hip-hop degli afroamericani non è tenero con le istituzioni del loro Paese. Ma nessun governo ha mai pensato di incriminarli solo per questo, anche se il razzismo delle forze dell'ordine nei confronti dei neri resta piuttosto elevato.

Gli artisti si difendono dicendo che la musica non è un manifesto politico o un articolo di giornale: è finzione, è arte. Anche se sappiamo tutti che il confine tra un modo di esprimersi e l'altro può essere molto sottile e che, in fondo, tutto può diventare “politica”. Se un'espressione artistica fa cambiare mentalità, anche il potere politico sarà prima o poi costretto a tenerne conto.

Nel 2017 l'universitaria Cassandra Vera è stata condannata a un anno di carcere con la condizionale e sette anni di interdizione dal pubblico impiego per aver “umiliato le vittime del terrorismo” in un tweet su Luis Carrero Blanco (capo del governo durante la dittatura franchista, ucciso da una bomba dell'ETA che fece saltare in aria la sua auto). Non possono essere solo i giornalisti ad avere diritto di parola.

E tuttavia la Corte Costituzionale spagnola ha avallato la suddetta legge sulla sicurezza pubblica in tutti i suoi articoli, ivi inclusi quelli che prevedono le espulsioni dei migranti che saltano le recinzioni di Ceuta e Melilla per entrare in territorio europeo.

Norme simili a quella spagnola sono state proposte in Belgio, nei Paesi Bassi e nella Francia. Misure eccezionali, prese in particolari situazioni, possano diventare pericolosamente permanenti nella legge, oltre che sproporzionate e discriminatorie nella loro applicazione.

Anche Reporters Without Borders informa che in Ungheria e Polonia la libertà di stampa è in continua discesa, e Paesi dell'Europa occidentale come Francia, Regno Unito e Italia hanno tutti un indice peggiore di nazioni africane o asiatiche.

https://vociglobali.it/2021/03/24/liberta-di-espressione-il-caso-hasel-come-leuropa-limita-larte/

https://freemuse.org/news/the-state-of-artistic-freedom-2020/

 

Al vertice sul clima promosso da Joe Biden, in occasione della Giornata Mondiale della Terra, scavalcando il ruolo istituzionale della Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (COP26), prevista a novembre a Glasgow, i 44 Paesi invitati han fatto le solite dichiarazioni di intenti.

In particolare Biden ha detto che gli USA ridurranno “del 50-52% le emissioni di gas serra entro il 2030” (rispetto ai livelli del 2005), ma ancora oggi il suo governo non ha reso noto alcun piano su come il Paese dovrebbe ottenere questi risultati.

Sconcertanti anche le dichiarazioni di Xi Jinping, secondo cui la Cina continuerà ad aumentare le proprie emissioni di CO2 almeno fino al 2030 e che il Paese non sarà carbon-neutral prima del 2060.

Solo lo scorso anno nel mondo più della metà dell'energia prodotta utilizzando carbone (il combustibile fossile più sporco) è stata prodotta in Cina, dove sono state messe in funzione, solo nel 2020, i 3/4 delle nuove centrali a carbone dell'intero pianeta.

Il mondo industriale guarda la natura dall'esterno, con non poca sufficienza, al massimo con preoccupazioni paternalistiche, come se il problema della tutela ambientale fosse una sorta di favore che si fa alle esigenze riproduttive della natura e non come la condizione primaria della sopravvivenza del genere umano. In nome della tecnoscienza noi pensiamo di poter essere alternativi alla natura. E in ogni caso non riteniamo assolutamente di poter rinunciare alla tecnologia finché ce lo richiedono i mercati globali.

 

[26] Ciad, governo militare

 

Il presidente della Repubblica del Ciad, Idriss Déby Itno, è rimasto ucciso il 20 aprile, mentre era in visita alle truppe impegnate nei combattimenti contro il Fronte per l'alternanza e la concordia del Ciad (FACT), che da oltre due anni cerca di prendere il controllo di alcuni settori della parte settentrionale del Paese, per poi arrivare verso la capitale N'Djamena.

Déby era al governo da tre decenni col Movimento patriottico di salvezza, dopo che nel 1990 aveva rovesciato con un colpo di stato il dittatore Hissène Habré, di cui era capo dell'esercito. Nell'ultimo mandato presidenziale aveva ottenuto il 79% delle preferenze, pur essendo stato più volte accusato di brogli e corruzione, e persino d'avere eliminato alcuni avversari politici. Più volte si cercò di abbattere il suo potere, ma i francesi l'avevano sempre aiutato in maniera decisiva.

Nel 2006 aveva iniziato ad accusare le compagnie petrolifere operanti in Ciad (Chevron e Petronas) di non pagare all'erario le imposte dovute, sicché decise di riportare il 60% della produzione petrolifera del Paese sotto il controllo del governo, destinando i proventi alla sanità, all'istruzione e ai progetti di nuove infrastrutture. Ecco perché l'economia, fino ad allora basata principalmente sul settore petrolifero, cominciò a diversificarsi in maniera significativa. Se nel 2001 il Ciad figurava tra i Paesi africani meno sviluppati, nel 2015 era invece uno dei migliori.

Ora suo figlio, Mahamat Idriss Déby, guiderà un governo militare di transizione di 18 mesi, per poi arrivare a elezioni democratiche. Nel frattempo verranno sciolti governo e parlamento. La sua nomina è stata oggetto di critiche, poiché la Costituzione stabilisce che in caso di morte del capo dello Stato a subentrargli sia il presidente del parlamento.

Gli USA e il Regno Unito hanno già evacuato il personale diplomatico. Parigi invece, stretta alleata di Déby, ha fatto sapere l'intenzione di inviare in Ciad personale di intelligence e militari per il supporto logistico al fine di contribuire alla lotta contro il FACT. Macron infatti è molto preoccupato: dopo la Libia, se cedesse anche la diga ciadiana l'intera regione del Sahel, già duramente colpita dall'insurrezione jihdista dei militanti di Boko Haram e dello Stato Islamico, sarebbe completamente inghiottita.

Tuttavia il FACT non è propriamente un gruppo terroristico-jihadista, ma un'organizzazione politico-militare ciadiana, fondata nel 2016 e formata da militanti che fanno prevalentemente parte di un'etnia centroafricana di pastori nomadi (nota come Dazaga o Gouran). Conta tra i 700 e i 1.500 combattenti, che stanno marciando verso la capitale, avendo rifiutato il piano di transizione del Consiglio Militare, in nome del fatto che il Ciad non è una monarchia, per cui non ci può essere una devoluzione dinastica del potere. Anche i politici dell'opposizione si sono dichiarati contrari a tale esecutivo militare, definendo la presa di potere come un vero e proprio colpo di Stato.

 

[27] La Società della Cura

 

La Società della Cura è un movimento nato sul web nella primavera dell'anno scorso con lo scopo di creare una rete di organizzazioni, associazioni e liberi cittadini per affrontare le questioni fondamentali dovute all'impatto del Covid-19 sull'intero pianeta.

La rete è cresciuta parecchio, ottenendo l'adesione di oltre 1.400 enti, tra cui sindacati, redazioni giornalistiche e partiti politici.

L'obiettivo concreto del movimento è quello di avviare un processo di transizione da un sistema economico, sociale e politico all'insegna del capitalismo, basato sui modelli categorici di produzione, profitto e mercificazione, crescita economica e concorrenza spietata, a una società della Cura, fondata sui valori di impegno e tutela di sé, degli altri e dell'ambiente.

In pochi mesi la Società della Cura ha stilato un proprio manifesto col fine di proporre un progetto realistico e realizzabile per una società alternativa. I temi toccati dal manifesto sono molteplici: dall'inversione dei processi di privatizzazione della sanità e dell'educazione, alla necessità di una reale transizione ecologica della società; dalla riappropriazione sociale di spazi, territori e beni pubblici fino alla riconversione dei sistemi finanziari e di welfare.

L'intento collettivo della Società della Cura è uno e condiviso: costruire insieme una società che “metta al centro la vita e la sua dignità, che sappia di essere interdipendente con la natura, che costruisca sul valore d'uso le sue produzioni, sul mutualismo i suoi scambi, sull'uguaglianza le sue relazioni, sulla partecipazione le sue decisioni”.

Ebbene, tale Società sostiene che dalle bozze del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), con cui si dovrà gestire il fondo Next Generation EU (209 miliardi di euro, il 27,8% dell'intero importo stanziato), emergerebbero dati e piani allarmanti, che sembrano puntare più a un consolidamento del sistema che a una trasformazione.

Per fare solo alcuni esempi, sono previsti finanziamenti ingenti alle multinazionali del petrolio e del gas per progetti sulle energie rinnovabili, senza però che si sia posto uno stop alle trivellazioni; altri miliardi saranno destinati al settore della Difesa, ovvero alle multinazionali delle armi e della guerra, cui già toccheranno circa 27 miliardi dei Fondi pluriennali di investimento attivi dal 2017 al 2034.

La Società della Cura, grazie a un lungo lavoro collettivo che ha coinvolto centinaia di studiosi e cittadini da tutte le regioni d'Italia, ha presentato il piano alternativo noto come Recovery Planet.

Il Recovery Planet contesta al PNRR il fatto che il proprio piano di azione si fondi sugli stessi concetti di crescita economica, concorrenza e competizione che hanno portato alla crisi attuale e, di conseguenza, non possa affatto presentarsi come una soluzione né logica né sostenibile.

I fondi messi a disposizione dall'UE sono stati pensati per rafforzare le componenti digitali e green dell'economia: la Commissione, infatti, ha previsto che, rispetto all'intera cifra destinata ad ogni Paese, il 37% debba essere destinato agli interventi green e il 20% alla trasformazione digitale. Riusciremo a farlo?

Il Manifesto della Società della Cura è qui https://societadellacura.blogspot.com/2020/10/manifesto-uscire-dalla-economia-del.html

 

[28] Rapporto Oxfam sulle disuguaglianze durante la pandemia da Covid-19

 

Secondo il rapporto Oxfam, pubblicato nel gennaio di quest'anno, alla fine del 2019 la ricchezza delle 42 persone più ricche del mondo equivaleva a quella di 3,7 miliardi più poveri.

Tra marzo e dicembre 2020 il patrimonio complessivo dei circa 3.000 superricchi del mondo (per esserlo bisogna possedere oltre un miliardo di dollari) è aumentato del 40%, raggiungendo quasi 12.000 miliardi complessivi, una cifra che corrisponde allo sforzo di spesa pubblica praticato da tutti i Paesi del G20 messi insieme nello stesso periodo di tempo.

Jeff Bezos, l'uomo più ricco del mondo, proprietario di Amazon, nel 2020 avrebbe potuto concedere un bonus da 105.000 dollari a tutti i suoi 876.000 dipendenti, mantenendo un livello di ricchezza personale identico a quello posseduto prima che la pandemia facesse schizzare il già mostruoso ammontare di profitti della regina del commercio online.

Nei primi mesi della pandemia il mercato azionario ha subìto un crollo che ha causato una drastica riduzione della ricchezza finanziaria dei miliardari. Questa battuta d'arresto è stata però di breve durata: nel giro di 9 mesi i 1.000 miliardari più ricchi hanno recuperato tutta la ricchezza che avevano perso, mentre per le persone più povere del mondo la ripresa potrebbe richiedere oltre un decennio. E si stima che nel 2020 l'aumento del numero totale di persone che vivono in povertà potrebbe essersi attestato tra 200 e 500 milioni.

L'aumento della ricchezza dei miliardari dall'inizio della pandemia sarebbe più che sufficiente a scongiurare che tutti gli abitanti della Terra cadano in povertà a causa del virus e a pagare il vaccino per tutti.

La Banca Mondiale ha calcolato che se i governi lasceranno che la disuguaglianza cresca di appena due punti percentuali all'anno, nel 2030 vi saranno 501 milioni di persone in più costrette a vivere con meno di 5,5 dollari al giorno. Se invece i governi saranno capaci di mettere in campo azioni in grado di ridurre la disuguaglianza di due punti percentuali all'anno, potremmo tornare ai livelli pre-crisi nell'arco di tre anni, e nel 2030 vi sarebbero 860 milioni di poveri in meno rispetto allo scenario di aumento della disuguaglianza.

La crisi del coronavirus si è abbattuta su un mondo in cui, in 40 anni, la quota del surplus di reddito andata all'1% più ricco era oltre il doppio di quella fluita alla metà più povera della popolazione globale, e in cui, negli ultimi 25 anni, lo stesso 1% più ricco ha bruciato il doppio di carbone rispetto al 50% più povero, acuendo l'attuale crisi climatica e ambientale.

Da notare, in aggiunta a questi dati, che secondo il “Global Wealth Databook 2019” di Credit Suisse, in Italia nel secondo trimestre del 2019 (prima dell'esplosione della pandemia) il 20% più ricco possedeva quasi il 70% della ricchezza nazionale, mentre il 20% più povero soltanto l'1,3% e il 40% intermedio uno sparuto 12%.

https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2021/01/Sintesi_report_-Il-Virus-della-Disuguaglianza_FINAL.pdf

 

[29] Germania e Italia, scorie radioattive

 

In Germania, dove già da tempo le energie rinnovabili hanno superato nucleare e carbone, hanno un problema ecologico che non sanno come risolvere. Nella Bassa Sassonia, tra Amburgo e Hannover, nelle storiche miniere di salgemma di Asse, fra il 1967 e il 1979 furono stoccati ben 126.000 fusti di materiale radioattivo, al 90% provenienti da centrali atomiche. Dicono – forse per non allarmare – che la gran parte è a bassa radioattività, poco pericolosa, ma di sicuro 300 fusti circa contengono materiale a media attività (si stimano circa 28 chili di plutonio). Gli esperti erano convinti che non sarebbe successo niente, visto che il sale stava lì da 150 milioni di anni.

Tuttavia, dopo 40 anni, la miniera rischia di collassare, in quanto già 12.000 litri di acqua l'hanno bucata come un groviera, corrodendola, provocando persino delle fenditure nei fusti, i cui materiali hanno già inquinato le acque (lo dicono dal 2008!).

Verso la fine di quest'anno si dovrebbe iniziare a rimuoverli, ma non sanno dove metterli. I depositi scavati nelle profondità della terra, a causa della presenza di vari gas, non sono molto sicuri. Si pensa di convertire una vecchia miniera di ferro di 300.000 mq di spazio in una nuova struttura di stoccaggio. Ma ci vorranno 20 anni, se tutto va bene, per spostare tutti i fusti.

Questo è un problema che hanno molte nazioni nuclearizzate: dopo più di mezzo secolo dall'avvio dei primi programmi nucleari civili, non è attivo nemmeno un deposito al mondo che ospiti definitivamente i rifiuti radioattivi, che invece continuano ad essere stoccati in depositi temporanei.

La Germania deve smaltire ben 10.000 tonnellate di materiale altamente radioattivo, proveniente dalle 17 centrali nucleari che verranno eliminate entro il 2022: una decisione presa dopo il disastro di Fukushima.

E comunque se Atene piange, Sparta non ride. La Sogin, la società di Stato responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi, non riesce a trovare alcun deposito nazionale. https://www.depositonazionale.it

Dopo la chiusura delle centrali nucleari, nel nostro Paese sono rimasti 90.000 metri cubi di scorie, di cui il 60% legate allo smantellamento delle 4 centrali dismesse e il restante 40% dalle attività medico industriali, che continueranno a produrre rifiuti radioattivi anche in futuro.

Peraltro nel 2025 ci ritorneranno indietro i rifiuti nucleari che per anni l'Italia ha spedito in Francia e Gran Bretagna per il riprocessamento che ne riduce la radioattività.

Da ultimo, come non ricordare gli oltre 3.000 fusti radioattivi a Statte, paese vicino a Taranto? Il sito di 3.840 mq è sotto sequestro della Procura di Taranto sin dal 2000. Tra i fusti ancora giacenti se ne contano alcuni contaminati dal disastro nucleare di Chernobyl, anche se la maggior parte proviene da attività sanitarie, parafulmini, vetrino con uranio naturale, fili di iridio e altro. Ci vogliono 13 milioni di euro per stoccarli altrove in sicurezza. Ed è sempre la Sogin a doverlo fare.

L'ultima stima di Legambiente del 2019 parla di 31.000 metri cubi di rifiuti radioattivi con 16 siti in otto regioni. Fusti di rifiuti radioattivi si contano anche vicino a Vercelli, Latina, Caserta e Piacenza.

 

[30] Uganda, petrolio contro foreste

 

Nel 2006, nella regione ugandese di Albertine Graben, è stata calcolata la presenza di circa 6,5 miliardi di barili di petrolio grezzo. Da quel momento hanno avuto inizio i negoziati del governo con le compagnie petrolifere che intendevano ottenere accesso alla terra per la ricerca di petrolio, per la costruzione di strade e di un aeroporto; il tutto in assenza di trasparenza e con un controllo pubblico pressoché minimo.

I progetti di sviluppo sostenuti dal governo sono stati caratterizzati da evacuazioni, migrazione forzata, compensazioni molto basse per i terreni espropriati, violenza, degrado del territorio, perdita dei mezzi di sostentamento e una maggiore presenza militare per “proteggere” gli operai e gli impianti petroliferi.

In Uganda sono le donne le maggiori responsabili della sussistenza e dell'assistenza familiare, ricevendo in cambio ben poco sostegno e investimenti da parte dello Stato. Quasi il 73% delle famiglie ugandesi si dedica all'agricoltura di sussistenza e le donne costituiscono i 3/4 della forza lavoro in agricoltura. Eppure possiedono soltanto il 7% della terra e vengono escluse dai processi decisionali riguardo all'utilizzo della terra stessa. Per questa ragione non possono beneficiare dei pacchetti compensativi offerti dai progetti infrastrutturali.

Il petrolio è un disastro per loro. I funzionari delle società petrolifere distruggono i loro raccolti passandoci sopra con trattori, livellatrici, cavi e camion. Non si chiede il loro consenso, né vengono preavvisate: semplicemente vengono sfrattate. La possibilità di far ricorso alla giustizia è minima.

Il governo fa promesse mirabolanti: più posti di lavoro, ricollocazione su terre fertili, ospedali migliori, scuole e altre infrastrutture e pieno risarcimento per la cessione della terra. Ma poi non le mantiene.

Chi viene sfrattato dalla propria terra, anche solo per la deforestazione, senza venire ricollocato, spesso finisce in uno dei campi per sfollati interni dell'Uganda (Internally Displaced Persons camps). Per sopravvivere si svolgono lavori occasionali o ci si prostituisce nei dintorni dell'azienda (non solo petrolifera) che ha preso il posto delle loro abitazioni.

Per questo motivo è nato il Mbibo Zikadde Women's Group in Uganda: un movimento eco-femminista che ha tracciato un collegamento molto stretto tra la violenza contro la natura e la violenza contro le donne, in quanto considera interconnessi la salute e il benessere di entrambi. Alcuni gruppi di donne ripiantano gli alberi nelle foreste saccheggiate, che un tempo costituivano una foresta pluviale protetta: ne perlustrano i confini in cerca di eventuali taglialegna illegali. Vogliono costruire un'alternativa al capitalismo, procurandosi di che vivere in maniera sostenibile, facendo riferimento ad antiche pratiche locali. Ripristinano tante varietà di semi autoctone che pensavano d'aver perso, senza usare pesticidi e diserbanti. In tutta l'Uganda la copertura forestale è diminuita dal 24% della superficie totale nel 1990 al 9% nel 2015!

https://www.gaiafoundation.org/how-women-in-uganda-are-reviving-indigenous-seed/

 

 

Maggio

 

 

 

[1] Niger, Italia e UE. Francia, minaccia di golpe

 

Il nostro governo ha autorizzato la “Missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger - MISIN” (con area geografica di intervento allargata anche a Mauritania, Nigeria e Benin) al fine di incrementare le capacità volte al contrasto del fenomeno dei traffici illegali e delle minacce alla sicurezza, nell'ambito di uno sforzo congiunto europeo e statunitense per la stabilizzazione dell'area e il rafforzamento delle capacità di controllo del territorio da parte delle autorità nigerine e dei Paesi del G5 Sahel (Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger). Lo dice il sito della Difesa.

Cioè a luglio avremo la nostra prima base militare, interamente italiana, in Africa occidentale, mai discussa né approvata in parlamento. E questo semplicemente perché la UE vuole controllare il Sahel e l'intera fascia sub-sahariana, dal Corno d'Africa al Golfo di Guinea, stabilizzando il più possibile la Libia. Naturalmente abbiamo dovuto chiedere il permesso agli USA.

Già in Mali è arrivato il primo contingente delle forze armate italiane (200 uomini) da impiegare nella controversa missione internazionale “Takuba” in Sahel, sotto il comando dello stato maggiore di Parigi.

Il pretesto resta quello più usato negli ultimi tempi: lottare contro il terrorismo internazionale (che in Africa è di matrice islamica), contro l'immigrazione illegale e contro la criminalità transazionale organizzata. Il vero motivo bisogna chiederlo alle industrie estrattive, ovvero alle transnazionali energetiche, francesi in testa, in una regione ricchissima di idrocarburi e uranio.

Secondo la legge di bilancio 2021, MISIN prevede una presenza in Niger e presso il Defence College in Mauritania “fino a un massimo di 295 militari, 160 automezzi leggeri e pesanti e 5 aerei”. Si tratta di team specializzati in operazioni di ricognizione, comando e controllo; personale per l'addestramento delle unità nigerine (che devono saper combattere anche nei centri abitati); team sanitari e del genio per lavori infrastrutturali; una squadra per le rilevazioni contro le minacce chimiche-biologiche-radiologiche-nucleari; unità per la raccolta di informazioni d'intelligence e la sorveglianza. Sino ad oggi quasi tutto il personale italiano è ospitato nella base aerea 101, controllata dalle forze armate francesi accanto all'aeroporto internazionale “Diori Hamani” della capitale Niamey. Lo scalo è messo a disposizione pure delle unità aviotrasportate di US Africom, il comando statunitense per le operazioni nel continente africano.

Oltre che in Niger, le unità di pronto intervento GARSI (gestite dagli spagnoli) sono state istituite anche in altri paesi del Sahel (Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Senegal) grazie a un generoso contributo della UE attraverso il Fondo d'emergenza per l'Africa (66 milioni e 600 mila euro).

Insomma non sappiamo fare altro in Africa per risolvere i problemi causati dal nostro sfruttamento economico.

 

Il 21 aprile una ventina di generali francesi in pensione ha scritto una lettera, pubblicata sul settimanale di estrema destra “Valeurs Actuelles”, indirizzata al governo e a tutta la classe politica sulla difesa della patria “dall'islamismo e dalle orde delle banlieu”. L'appello è stato condiviso da un migliaio di militari in servizio, tra cui varie centinaia di alti ufficiali.

Scongiurano la “disintegrazione” della nazione e chiedono “il ripristino dell'onore dei governanti”. Sottolineano l'importanza del vessillo nazionale. Sostengono che “con un certo antirazzismo si crea disagio e pure odio tra le comunità”. Anche con le “teorie decoloniali” si “disprezza la Francia, le sue tradizioni, la sua cultura, il suo passato e la sua storia”.

In particolare “le orde delle banlieu” (sic!) sono diventate “territori soggetti a dogmi contrari alla Costituzione, quando invece non può e non deve esistere alcuna città o quartiere in cui non si applicano le leggi della Repubblica”. È intollerabile vedere un insegnante (Samuel Paty) decapitato da un estremista islamico, dopo aver tenuto una lezione sulle caricature di Maometto.

Alla fine di questo rivoltante razzismo la minaccia che pongono è chiara: se non s'interviene subito col pugno di ferro, il Paese rischia “la guerra civile”, con cui “si metterà comunque fine a questo caos crescente”, anche se inevitabilmente “le morti, di cui sarete responsabili, saranno migliaia”.

Insomma la minaccia di un colpo di stato militare per salvare la patria non è neppure tanto velata.

Il ministro della Difesa francese, Florence Parly, ha accusato di insubordinazione i firmatari, annunciando “sanzioni” nei loro confronti. Al contrario Marine Le Pen, leader del Rassemblement national e candidata alle elezioni presidenziali del prossimo anno, condivide le preoccupazioni dei generali, in particolare sull'islamismo crescente e sulla “bomba” che rischia di esplodere nelle banlieu.

La cosa è piuttosto preoccupante, anche perché è già stata scoperta una filiera neonazista nelle truppe di terra, grazie a un'inchiesta di “Mediapart”. È inoltre risaputo che l'esercito rimane una delle istituzioni più amate dai francesi.

Peraltro il testo è stato pubblicato esattamente a 60 anni dal cosiddetto “putsch dei generali”, un tentativo fallito di colpo di stato contro il generale De Gaulle, accusato di tradimento per la sua politica favorevole all'indipendenza dell'Algeria.

Siamo alle solite. Una destra che considera il colonialismo uno strumento di civilizzazione occidentale in tutto il mondo, soprattutto in Africa, e che poi non sopporta che da questo continente emigrino milioni di persone colonizzate, di lingua francese, intenzionate a trovare nel territorio della madrepatria un riscatto sociale e un'emancipazione economica, naturalmente (perché no?) conservando la propria cultura (inclusa la religione). Con chi se la prende questa destra che non vuole ammettere l'evidenza? Che vede solo gli effetti e non le cause di quanto prodotto dalla Francia razzista e colonialista nei secoli passati e che continua a produrre nelle ex colonie africane? Perché non se la prende con se stessa quando non riesce ad assimilare gli islamici africani, preferendo vederli ghettizzati? Perché poi si lamenta quando questi immigrati non riescono a integrarsi in una società che giudicano troppo diversa dai loro valori?

 

[2] Australia e Cina. Cina, controllo della popolazione

 

Il 21 aprile il governo australiano ha annullato l'accordo dello Stato federato del Victoria relativo alla “Nuova Via della Seta” di Pechino, dichiarandolo incoerente con la politica estera e gli interessi nazionali dell'Australia.

Al momento circa 70 Paesi (tra cui l'Italia) hanno firmato un memorandum d'intesa per la “Belt and Road Initiative”, ma l'Australia vi ha già rinunciato, per gli stessi motivi della Sierra Leone, che nel 2018 ha annullato un progetto di costruzione da 400 milioni di dollari per un aeroporto che sarebbe stato interamente costruito e gestito dalla Cina.

Il governo è spaventato soprattutto dal fatto che Pechino vuol usare solo imprese statali per realizzare il suo progetto. In tal modo è più facile al Pcc gestire la propria strategia di fusione civile-militare, secondo cui qualsiasi società cinese (e qualsiasi tecnologia civile) può essere utilizzata per scopi militari in qualsiasi momento.

Ma il governo teme anche la cosiddetta “diplomazia della trappola del debito”, secondo cui la Cina tende a offrire, tramite istituti di credito controllati dallo Stato, prestiti che, seppur a tassi agevolati, risultano talmente grandi che nessun Paese partner potrebbe permettersi di restituire nei tempi previsti, almeno non per determinati progetti. Sicché gli enormi oneri di debito potrebbero alla lunga comportare una perdita della sovranità politica delle nazioni mutuatarie.

Ad es. nel dicembre 2017 il governo dello Sri Lanka ha accettato di cedere l'intero porto di Hambantota con un contratto di locazione di 99 anni, in compensazione del suo debito da 1,4 miliardi di dollari. Il porto, nelle mani dei cinesi, sta diventando un punto strategico chiave per il controllo dell'Oceano Indiano. E la Cina è diventata uno dei maggiori investitori esteri nell'isola.

Ma anche a Gibuti, nel Corno d'Africa, è avvenuto lo stesso: qui la Cina è riuscita ad assicurarsi il controllo del principale porto strategico e a creare una base militare come parte dell'infrastruttura. E in Papua Nuova Guinea il Pcc è già in grado di controllare il Paese con le proprie telecomunicazioni.

Gli USA, comunque, avevano già minacciato il governo australiano che se avesse fatto affari coi cinesi, l'intera Australia sarebbe stata scollegata dalle infrastrutture delle telecomunicazioni, cioè non avrebbe più potuto far parte dell'alleanza di intelligence e spionaggio chiamata “Five Eyes” (Cinque Occhi), che include anche Canada, Nuova Zelanda e Regno Unito (il famigerato “Echelon”, coi suoi satelliti spia, cavi sottomarini del web, centrali telefoniche ecc.).

Tuttavia nel 2017 la Nuova Zelanda è diventata la prima nazione occidentale a firmare un memorandum d'intesa non vincolante per aderire alla “Nuova Via della Seta”. Questo perché la Cina resta il più grande sbocco commerciale della Nuova Zelanda, col 29% dell'export che si riversa nello Stato comunista. E al governo non sembra importare nulla di restare nell'accordo dei “Five Eyes”.

 

In Cina per entrare in edifici residenziali, negozi, in un parco o per prendere un treno, un taxi, o semplicemente per cercare di tornare a casa, bisogna avere un cellulare e farsi tracciare. Dopo la comparsa del Covid-19 le applicazioni di tracciamento sono molto diffuse e intrusive.

Una di queste applicazioni funziona sulla popolare piattaforma di social network WeChat, la versione cinese di WhatsApp. L'applicazione genera un codice QR sanitario, che bisogna mostrare per essere ammessi in certi luoghi. Se esce un codice rosso, bisogna mettersi in quarantena per 14 giorni.

L'app determina il proprio status sanitario in base a dove si è stati. Se ci si avvicina a un focolaio di casi di Covid, si potrebbe essere indicati come un caso sospetto. E l'app conserva anche l'archivio di test o tamponi e vaccini fatti per il virus. È anche collegata al numero d'identità. Ogni volta che si effettua una scansione, mantiene una traccia digitale di dove ci si trova in quel dato momento.

In Cina ogni edificio residenziale è sottoposto a sorveglianza e le persone al suo interno potrebbero essere sottoposte a controlli sanitari, con la richiesta di riempire un formulario o di sottoporsi al controllo della febbre. E quindi qualunque ingresso o uscita dal condominio sono registrati.

Nessuno obbliga apertamente a usare l'app di tracciamento. Ma in pratica è impossibile vivere senza. Ai pochi adulti che non hanno uno smartphone – oltre che ai bambini – viene attribuito un codice sanitario da indossare appeso al collo. Contiene dati su identità e indirizzo, in modo che le autorità possano controllare se qualcuno viene da un'area considerata a rischio.

La Cina è uno dei Paesi più connessi digitalmente al mondo, dove esiste uno scarso dibattito sulle questioni della privacy e della protezione dati. Le grandi aziende tecnologiche e gli operatori telefonici non incontrano difficoltà nel tracciare tutti i movimenti dei cittadini.

Ogni volta che qualcuno risulta positivo al virus, è possibile identificare i suoi contatti. Il palazzo in cui abita e perfino il suo quartiere vengono messi in isolamento, se necessario.

Bisogna ammettere che le app funzionano. Alla fine del 2019 la Cina era l'epicentro dell'epidemia di Covid-19. Oggi è uno dei rari Paesi dove il ritmo della vita è tornato praticamente uguale a quello precedente alla pandemia. Un risultato attribuito anche all'uso diffuso di mascherine e ai test di massa.

Tuttavia le app di tracciamento introdotte per lottare contro la malattia, abbinate a una rete pervasiva di telecamere di sicurezza, ha fornito alle autorità formidabili strumenti di sorveglianza di massa. Ormai è impossibile muoversi, entrare in un negozio o cercare lavoro senza uno smartphone o un'app di tracciamento.

 

[3] Fame nel mondo

 

Le proiezioni del World Food Programme (WFP) per il 2021 sono molto preoccupanti. Nel suo ultimo rapporto (“Hunger Hotspots: FAO-WFP early warnings on acute food insecurity“) vi è una lista di 20 Paesi le cui popolazioni, nell'immediato futuro, saranno stremate dalla crescita vertiginosa della fame acuta.

Senza una mobilitazione d'emergenza pari ad almeno 5,5 miliardi di dollari, da accompagnarsi a un cessate il fuoco globale e alla garanzia di rapido accesso agli aiuti salvavita per le comunità vulnerabili, le regioni più povere del mondo raggiungeranno, a causa della pandemia, i peggiori punti critici della scala IPC (Quadro integrato di classificazione della sicurezza alimentare).

Sono 270 milioni le persone strette nella morsa della fame in tutto il mondo. Dal Sahel all'Afghanistan, dal Congo alla Siria, dalla Somalia al Mozambico, fino al Venezuela: 174 milioni di loro stanno già soffrendo livelli critici di insicurezza alimentare. Per 34 milioni è ormai emergenza, e lo spettro della carestia si fa sempre più incombente. Yemen, Sud-Sudan e Nigeria settentrionale sono a un passo dalla catastrofe.

Solo nello Yemen, straziato da una guerra ormai lunga sei anni, 16 milioni di persone soffrono la fame: 1,2 milioni di madri e 2,3 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni rischiano la malnutrizione acuta; 400mila di loro moriranno entro l'anno se non s'interverrà immediatamente. Era già la più grave crisi umanitaria al mondo, ma adesso rischia di diventare la più grande carestia della storia moderna.

La Siria è una nazione al collasso: 6,7 milioni di sfollati, tra cui 2,5 milioni di bambini, oltre che altrettanti rifugiati sparsi per il mondo, sono il frutto del conflitto decennale che ha lasciato sul terreno quasi mezzo milione di morti. Più di 12 milioni di persone stanno faticando a sfamarsi; tra loro, 1,7 milioni degli sfollati baraccati nei campi sono totalmente dipendenti dall'assistenza umanitaria.

Quella della Repubblica Democratica del Congo è la storia di una delle zone più logorate del mondo. Disastri naturali, crisi sanitarie, instabilità economica e politica, e, più di tutto, 30 anni di brutali guerre endemiche. Il costo umano terribilmente alto: 5,5 milioni di sfollati, ammassati in insediamenti sovraffollati senza sicuro accesso all'acqua, all'assistenza sanitaria e agli altri servizi di base; per oltre 27 milioni di persone vi è una carenza di cibo tale da farne la più grande emergenza fame del mondo. 3,3 milioni di quanti non hanno ancora compiuto cinque anni sono già gravemente colpiti dalla fame.

Gli sfollati della provincia di Cabo Delgado, nel Nord-Est del Mozambico, erano 70 mila l'anno scorso. Adesso sono 700 mila, e saranno un milione entro giugno. La metà sono bambini.

A tutt'oggi sono 80 milioni le vittime di migrazione forzata nel mondo: è il dato più alto di sempre, l'1% dell'umanità in fuga.

Eppure più della metà di quanti sono costretti ad abbandonare le proprie case per via degli effetti devastanti di conflitti armati, persecuzioni, calamità e gravi condizioni di insicurezza, non ha mai valicato i confini del proprio Paese. Sono le persone più vulnerabili del mondo, che spesso si trovano a vivere vicino a zone di conflitto, lottando per accedere ai loro diritti fondamentali, ai servizi essenziali e all'assistenza di cui hanno disperatamente bisogno. Per loro nessuno status giuridico speciale, né specifiche misure di protezione. La responsabilità della loro tutela e del rispetto dei loro diritti umani dipende da governi, che però quasi mai hanno la volontà, né tantomeno la capacità, di prendersene cura.

Il conflitto guida la fame, e quando la fame si trasforma in carestia, questa poi guida il conflitto. I costi della violenza sono immensi: solo nel 2019, 14,5 mila miliardi di dollari, cioè il 15% del PIL globale.

https://www.wfp.org/publications/hunger-hotspots-fao-wfp-early-warnings-acute-food-insecurity-march-july-2021-outlook

 

[4] Kenya, Nairobi. Disegno di legge Zan

 

Nairobi, capitale del Kenya, costruita dalla colonizzazione britannica (1899) come deposito ferroviario dell'Uganda Railway, si liberò degli inglesi nel 1963, ma fino a un certo punto, in quanto sono ancora loro che gestiscono i gangli economici del Paese.

È passata dai 25mila abitanti degli anni '20 ai 4,5 milioni odierni, con una proiezione di crescita, secondo l'ONU, del +4% medio annuo almeno fino al 2030. È la più grande città dell'Africa orientale e tra le dieci più grandi dell'intero continente. Secondo l'ONU è fra le città meno sicure del mondo per rapine a mano armata, violazioni di domicilio e furti d'auto.

Pur essendo uno dei cuori commerciali e finanziari dell'Africa (vi sono numerose multinazionali e la quarta borsa africana in termini di volume degli scambi), gli abitanti hanno un gravissimo problema di reperibilità di acqua potabile.

La situazione è talmente critica che nonostante la grande diga sul fiume Thika (70 milioni di metri cubi di capacità), la città è ancora esposta al ciclo delle stagioni e solo il 50% della popolazione ha accesso diretto all'acquedotto, con un tasso di dispersione idrica intorno al 40%. Di fatto in città mancano circa 260 milioni di litri d'acqua al giorno.

Anche sul piano abitativo la situazione è molto critica: un centinaio di baraccopoli, stracolme di miseria e povertà e prive di qualsiasi servizio essenziale, ospitano due milioni di abitanti. Sono le condizioni ideali per l'aumento della criminalità esistente e l'incessante progressione della pandemia, che ormai tocca quota 70mila casi in città.

La crisi è aggravata dall'intenso via vai dalle aree rurali del Paese, dalle quali provengono migliaia di persone che cercano nella capitale una vita migliore, anche se adesso si assiste al fenomeno inverso: per paura del contagio e per sfamarsi molti han cercato di tornare ai villaggi rurali a coltivare i campi. Stare in città non serve a niente.

Circa il 75% della forza lavoro della città guadagna meno di 500 dollari al mese, il 91% vive in affitto, anche a causa degli elevati interessi sui mutui.

In Kenya la disoccupazione giovanile sfiora il 40%. Le scuole sono chiuse da oltre un anno, a causa della pandemia. Il turismo (sua entrata economica più significativa) è morto. Nairobi era la capitale dei safari: quelli col binocolo avevano sostituito la caccia grossa dei decenni passati. Molti negozi sono chiusi anche per mancanza di generi di consumo. Sembra di essere tornati all'inizio del XX sec., quando la città, martoriata dalla peste bubbonica, venne bruciata del tutto.

Vari quartieri sono una discarica a cielo aperto. Intorno alla città sorgono industrie manifatturiere di abbigliamento, tessuti, materiali da costruzione, alimentari, sigarette, pneumatici Goodyear, la Toyota, la General Motors, la General Electric, la Coca Cola, la Celtel. Persino le Nazioni Unite hanno posto qui il quartier generale del Programma sull'Ambiente e sugli Insediamenti umani. Ora è tutto chiuso, tranne l'industria dei fiori.

In questa industria ci lavora una manodopera senza contratto a tempo indeterminato, che guadagna circa 40 euro al mese e ha orari massacranti. Ogni giorno partono un milione di fiori per i mercati europei (per San Valentino raddoppiano). Se una donna resta incinta perde il posto. In molti casi le donne sono vittime di ricatti sessuali da parte dei capi. Non c'è alcun sindacato, non ci sono diritti. Non c'è rispetto di norme sanitarie o igieniche, nemmeno adesso per l'epidemia. Se qualcuno si ammala o muore c'è chi lo sostituisce. La presenza di fertilizzanti e pesticidi può determinare infezioni nei lavoratori. Di certo inquina le acque reflue e così anche il lago Naivasha risulta contaminato. La gente che lavora qui non sa le rose, una volta giunte in Europa, verranno comprate per essere regalate: on pratica si coltivano le rose per farle appassire in un vaso.

Il suddetto lago ha una superficie di 115 kmq e per coltivare un metro quadro di rose servono 7 litri di acqua al giorno. Così il lago si abbassa giorno dopo giorno. Verrà il momento in cui gli animali del Naivasha non avranno più il lago dove abbeverarsi e quelli che l'avranno fatto saranno morti per avvelenamento. Qui è la multinazionale olandese Sher Agencies che comanda, naturalmente in un regime di detassazione o di fiscalità agevolata. In Kenya il mercato florovivaistico garantisce la sopravvivenza di due milioni di persone. È il Paese che attira la maggior parte degli investimenti stranieri nel settore, dopo il tè, per più di 500 milioni di dollari l'anno. È al 5° posto al mondo col 3,6% della produzione globale, ma per la UE è un Paese chiave: tra il 35% ed 40% delle rose vendute viene dalle coltivazioni ad alta quota del Kenya.

 

Stiamo a discutere del Disegno di legge Zan perché siamo un Paese arretrato rispetto al contesto europeo. Alla Camera è già stato approvato, e ora viene discusso in quell'obbrobrio di Senato che, per come è configurato, non dovrebbe neppure esistere.

Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender e Queer semplicemente vanno tutelati perché sono esseri umani. Tuteliamo gli assassini, i mafiosi, i bancarottieri, i corrotti di ogni risma, che mandano in rovina il Paese e, come minimo, la vita degli altri, e non dobbiamo farlo con gente che non fa male a nessuno?

La Lega di Salvini è un partito che in un Paese democratico, basato su un'etica umanistica, non dovrebbe neppure esistere, poiché esprime il peggio degli italiani, i pregiudizi più assurdi, l'ignoranza più atavica. E la destra della Meloni non è molto diversa.

Il Disegno di Legge semplicemente rafforza quanto già stabilito dalla cosiddetta “Legge Mancino” (n. 205/1993), cioè al divieto di discriminazione per motivi razziali, etnici o religiosi, è giusto aggiungere quelli “fondati sul sesso, sul genere, sull'orientamento sessuale, sull'identità di genere e sulla disabilità”. Sì, perché non c'è solo da contrastare l'omofobia e l'omotransfobia, ma anche il sessismo, la misoginia, il bullismo e l'abilismo (compiere azioni difficilissime), in quanto ad essere colpiti maggiormente da violenza, emarginazione e discriminazione sul lavoro sono le donne e le persone con disabilità.

 

[5] Israele, apartheid

 

Il rapporto dell'ong Human Rights Watch, “A threshold crossed” (Una soglia oltrepassata), uscito il 27 aprile, sostiene che lo Stato israeliano è colpevole di crimini contro l'umanità, nello specifico di crimini di apartheid. Il nuovo studio si aggiunge alla denuncia della più importante organizzazione per i diritti umani israeliana, B'Tselem, che a gennaio ha definito l'occupazione israeliana in questi stessi termini nel suo rapporto.

Human Rights Watch è, insieme ad Amnesty International, la voce più autorevole in campo di diritti umani a livello internazionale. Il suo giudizio legale è stato redatto in un rapporto di 213 pagine, in cui dimostra che “le violazioni dei diritti dei palestinesi nei territori occupati da Israele corrispondono a crimini contro l'umanità di apartheid”.

D'altra parte il concetto di “apartheid” è da tempo slegato dal sistema politico un tempo applicato in Sudafrica. Ai sensi della Convenzione sull'apartheid e dello Statuto di Roma che fonda la Corte Penale Internazionale, l'apartheid costituisce un crimine che comporta atti inumani “nel contesto di un regime istituzionalizzato di oppressione sistematica e di dominazione da parte di un gruppo razziale su altri gruppi razziali, al fine di perpetuare tale regime”.

Tra gli atti disumani identificati nella Convenzione e nello Statuto di Roma sono inclusi il trasferimento forzato, l'espropriazione della proprietà fondiaria, la creazione di riserve e ghetti, la negazione del diritto di partire e di tornare nel proprio Paese e il diritto a una nazionalità.

Uno dei principali elementi legali che crea in Israele le circostanze per un “regime istituzionalizzato di oppressione” è la legge sullo Stato-Nazione del 2018, che definisce Israele come lo “Stato-Nazione del popolo ebraico”, Gerusalemme la sua “capitale unita”, e l'ebraico la sola lingua ufficiale. Nessun riferimento a palestinesi, cristiani o musulmani. Questo costituisce una chiara base giuridica di discriminazione a favore degli ebrei israeliani a scapito dei palestinesi d'Israele, che rappresentano peraltro il 21% della popolazione.

E non si può continuare a sostenere che chiunque faccia delle critiche ai governi israeliani, ha intenzione di mettere in discussione il diritto dello Stato di Israele di esistere come Stato-Nazione del popolo ebraico.

Dall'inizio del Ramadan, a metà aprile, Gerusalemme è sull'orlo dell'esplosione. Durante il mese sacro per l'islam, i palestinesi di Gerusalemme hanno l'abitudine di ritrovarsi la sera nei pressi della porta di Damasco, uno degli accessi alla moschea Al Aqsa, nella città vecchia. Non si fa nulla di eversivo. Eppure le autorità israeliane han chiuso l'area ai palestinesi, senza dare nessuna spiegazione. Ciò ha provocato le loro proteste, represse puntualmente dalla polizia israeliana.

Dopo giorni di tensioni, il 22 aprile un gruppo ebraico di estrema destra, Lehava (La fiamma), che sostiene il divieto di matrimoni misti e vuole “espellere gli arabi della terra santa”, ha organizzato un rastrellamento nella città vecchia di Gerusalemme. Al grido di “morte agli arabi”, circa 300 militanti del gruppo sono andati nei centri commerciali e per strada a caccia di palestinesi. Negli scontri che sono seguiti almeno 110 palestinesi sono stati feriti, mentre oltre 50 persone sono state arrestate.

Le difficoltà di Benjamin Netanyahu a creare una maggioranza di governo stabile l'hanno spinto a reclutare anche le frange più estreme, fasciste e razziste, nonché omofobe. In particolare il kahanismo, l'ideologia ebraica ispirata al rabbino Meir Kahane, che propone il trasferimento di tutti gli arabi nei paesi musulmani o in occidente, sta ottenendo sempre più consensi a livello governativo. I kahanisti hanno ora sei seggi in parlamento. La soluzione dei due Stati non è stata mai così lontana.

Dopo gli accordi di Abramo, che hanno determinato varie intese tra Israele ed Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Sudan e Marocco, i negoziati di pace tra israeliani e palestinesi sono a un punto morto a livello politico. E la comunità internazionale non sembra preoccuparsi minimamente che ogni giorno una persona nasca nella prigione a cielo aperto di Gaza, o senza diritti civili in Cisgiordania, o con uno status inferiore per legge in Israele, o condannato allo status di rifugiato permanente nei Paesi vicini, come i suoi genitori e nonni prima di lui, e questo perché è palestinese e non ebreo.

Prima che la Corte Penale Internazionale entri in possesso del dossier e lanci un'indagine per crimine di apartheid – che significherebbe per molti responsabili israeliani essere indagati e anche arrestati non appena varcano il territorio di uno dei 122 Paesi firmatari dello Statuto di Roma – è nell'interesse di tutti (i 6,8 milioni di israeliani ebrei e i 6,8 milioni di palestinesi che vivono tra Israele, Cisgiordania e Striscia di Gaza) costruire un futuro di diritto. E in questo futuro il nuovo governo americano non sembra avere alcuna parte positiva. Biden, infatti, pur avendo rinnovato i finanziamenti all'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (sospesi da Trump), ha chiarito che non intende revocare il trasferimento dell'ambasciata americana a Gerusalemme, né il riconoscimento della sovranità israeliana sulle alture del Golan.

 

[6] Bill Gates e le zanzare

 

Una società biotecnologica chiamata Oxitec, che ha ricevuto circa 4,1 milioni di dollari nel 2018 da una fondazione di Bill Gates, si sta muovendo per un esperimento da Jurassic Park: rilasciare 750 milioni di zanzare geneticamente modificate nell'arcipelago delle Florida Keys.

L'obiettivo ufficiale è quello di ridurre la popolazione delle Aedes aegypti, la cosiddetta zanzara africana della febbre gialla, in grado anche di diffondere malattie come la dengue, la malaria, la zika, la chikungunya. Si riproduce in ambienti caldi e umidi e ultimamente anche nella fascia subtropicale del Nord America. E in genere la si combatte con vari insetticidi.

Si ritiene sia sufficiente introdurre una versione OGM di zanzara di sesso maschile (quindi non pericolosa per l'uomo) che si accoppierà con le femmine presenti in natura rendendole in grado di generare solo una prole maschile, poiché gli esemplari di sesso femminile moriranno allo stadio larvale, ben prima della schiusa.

Secondo quanto fa sapere l'Oxitec, le Aedes aegypti sono solo il 4% di tutte le zanzare dell'arcipelago statunitense, ma sono responsabili della quasi totalità delle infezioni trasmesse dagli insetti (alcune letali per taluni animali da compagnia e da allevamento).

Già nel 2019 la Bill and Melinda Gates Foundation (in procinto di separarsi) aveva fornito circa 19,7 milioni per un progetto analogo, rivolto alla malaria in Brasile, cui Oxitec partecipò, utilizzando zanzare originarie di Cuba e Messico. Senonché la nuova zanzara si sarebbe mescolata con altre specie brasiliane aumentandone la resistenza e rischiando di far scomparire tutte le specie autoctone, meno pericolose. Non solo, ma molti individui di sesso femminile avrebbero comunque raggiunto l'età adulta, continuando a riprodursi. Insomma tutto l'opposto di ciò che si sperava.

Naturalmente questi esperimenti vengono imposti alle popolazioni locali. Chi ha i soldi non ha tempo di aspettare le decisioni democratiche.

Il fondatore di Microsoft ha dato vita a un progetto sperimentale simile anche in Italia, condotto da Andrea Crisanti, nei laboratori di alta sicurezza di Terni. Bisogna però stare attenti a questo soggetto così “filantropico”. Quando faceva l'informatico iniziò regalando il Dos, poi faceva vendere i computer con Windows preinstallato, infine rese impossibile installare qualunque programma senza Windows.

 

[7] Battaglia mondiale per i semiconduttori

 

Il commissario europeo Thierry Breton responsabile della politica industriale della UE, ha detto al quotidiano economico francese “Les Echos”: “Da diverse settimane si registra una penuria di semiconduttori [minuscoli prodotti di silicio che troviamo ormai ovunque] sul mercato mondiale, e questo ha costretto a interrompere l'attività di alcune fabbriche di automobili [dove i chip sono in media 800!] e perfino impianti per la produzione di tostapane. In questa industria l'Europa si è lasciata distanziare per mancanza d'investimenti. La produzione di semiconduttori di ultima generazione si effettua principalmente in Asia, e in particolare a Taiwan, che non può più venderli alla Cina. Soprattutto l'azienda TSMC detiene un quasi monopolio sui semiconduttori di alta gamma. L'azienda statunitense Intel, dominante fino a 10 anni fa, è stata soppiantata. Oggi TSMC produce l'80% dei semiconduttori più sofisticati e si prepara a commercializzare semiconduttori di 3 se non addirittura 2 nanometri [l'unità di misura del settore che corrisponde allo spessore di un capello]. A parte la Corea del Sud nessuno riesce a tenere il passo, neanche la Cina, che oggi è priva dell'accesso all'industria a causa delle sanzioni americane”.

A dir il vero per quanto riguarda la ricerca e progettazione (che non c'entra niente con la fase della fonderia, dell'assemblaggio e imballaggio) gli USA detengono ancora una leadership mondiale, in virtù della quale possono controllare circa la metà delle vendite globali di semiconduttori, contro il 10% della UE e il 5% della Cina. Ben 8 delle 15 più grandi aziende di semiconduttori nel mondo sono negli USA, con Intel prima per vendite annue.

Un quadro radicalmente opposto si delinea invece per quanto riguarda l'attività di fonderia, dominata effettivamente da Taiwan e dalla Corea del Sud, con rispettivamente il 23% e 26% della capacità produttiva del settore. Complessivamente in Asia orientale è concentrato circa l'80% della produzione mondiale di chip. All'interno di questa quota la Cina ricopre il 12%, con una crescita di 10 punti percentuali negli ultimi 20 anni.

La TSMC ha inoltre investito più di 20 miliardi di dollari per la costruzione, nell'area meridionale di Taiwan, di una nuova fabbrica delle dimensioni di 22 campi da calcio, capace di sviluppare le tecnologie a 3nm e 2nm, rispettivamente previste per il 2022 e il 2024.

Parallelamente, USA e UE hanno invece assistito al crollo, negli ultimi tre decenni, della loro quota nella capacità produttiva globale di semiconduttori, da quasi il 40% a rispettivamente il 12% e il 10% circa.

In particolare la UE ha perso la sfida tecnologica per almeno il prossimo decennio, poiché gli investimenti necessari sono colossali. La sola TSMC si prepara a investire 100 miliardi di dollari nel corso dei prossimi tre anni, mentre l'Europa può mettere sul piatto solo una decina di miliardi, più altrettanti di contributi da parte degli industriali. Troppo pochi.

Trump aveva indotto TSMC a costruire una fabbrica in Arizona, con un investimento di 12 miliardi di dollari, per colpire soprattutto il colosso Huawei, accusato dagli USA di collaborare con le autorità cinesi a fini spionistici. I lavori di costruzione (con 1.600 addetti e migliaia di altri nell'indotto) dovrebbe iniziare nel 2021 e la produzione di 20.000 chip al mese a 5 nanometri dovrebbe essere avviata nel 2024. L'impianto sarà la seconda fabbrica della TSMC negli USA. Nel 2017 un'altra big taiwanese, Foxconn, ha annunciato piani per costruire un impianto nel Wisconsin. Anche Intel ha già annunciato un investimento da 20 miliardi di dollari per la creazione di due nuove fabbriche di semiconduttori in Arizona, che dovrebbero iniziare la produzione nel 2024. L'Arizona dovrebbe inoltre accogliere l'impianto da 17 miliardi di dollari di Samsung Electronics. Tutte cose che nella UE ci sogniamo.

Ora Breton vorrebbe convincere i taiwanesi a investire anche in Europa, ma ha già ricevuto un rifiuto: TSMC vuole mantenere l'essenziale della produzione a Taiwan, che però è un'isola rivendicata da Pechino, e l'industria cinese, dopo l'embargo americano sui dazi, ha assolutamente bisogno di quei semiconduttori, anche perché in questo settore patisce diversi anni di ritardo. Infatti ne ha ammassato le scorte prima del blocco e sta investendo nella propria autosufficienza. Poi è venuta la pandemia che ha provocato un incremento nell'uso di materiale informatico.

Insomma ce n'è abbastanza per far scoppiare una guerra, anche perché questo settore tecnologico vale 440 miliardi di dollari di fatturato annuo, ed è in costante crescita (+7,7% previsto nel 2021). Infatti i semiconduttori sono una componente cruciale per smartphone e computer, che insieme costituiscono i 3/5 degli acquisti globali di chip, ma anche per l'industria automobilistica (10% del mercato). In campo militare, poi, sono assolutamente necessari per modellare le traiettorie di missili e droni da combattimento.

Washington mette in pericolo la sopravvivenza di Huawei, orgoglio dell'economia cinese, numero uno al mondo nei dispositivi telefonici e pioniere nella tecnologia 5G, con un giro d'affari globale di oltre 100 miliardi di euro e circa 200.000 dipendenti. E Huawei, già costretta a vendere il suo marchio di smartphone Honor per evitarne il fallimento, è solo la punta dell'iceberg di quella che è ormai una guerra aperta in campo tecnologico. Ricordiamo che un anno e mezzo fa gli USA han fatto arrestare a Vancouver la direttrice finanziaria di Huawei, nonché figlia del fondatore, con l'accusa d'aver violato le sanzioni contro l'Iran.

Pechino infatti sta già prendendo misure ritorsive: bloccherà o rallenterà le esportazioni di terre rare, la famiglia di 17 minerali usati in settori strategici, a cominciare da quello degli armamenti. Servono 435 grammi di questi minerali per fabbricare un aereo da combattimento statunitense F-35. E si può facilmente prevedere che Pechino troverà il modo per piegare Taiwan alle proprie esigenze, anche perché l'isola non può fare a meno del mercato cinese,

Ricordiamo che nel 2010, durante un periodo di tensioni, la Cina aveva già privato il Giappone delle terre rare. All'epoca ne controllava il 95% del mercato; oggi ne controlla ancora l'80%. Ma questa volta sono gli occidentali che stanno cercando di ridurre la loro dipendenza.

 

[8] Egitto, Italia e Regeni

 

Nel 2014 Atene e Il Cairo hanno firmato un memorandum di cooperazione sulla reciproca difesa, volto a rafforzare i loro legami militari e fornire addestramento ed esercitazioni militari congiunti.

Nel 2020 la Grecia ha ratificato un accordo con l'Egitto sulla condivisione delle aree marittime, in risposta all'accordo turco-libico firmato a fine 2019 che consente alla Turchia di accedere a una vasta area marittima nel Mediterraneo orientale.

Sempre nel 2020 sono avvenuti altri due importanti eventi.

1) Il Cairo e Atene hanno firmato un trattato ufficiale che rende il Forum del gas del Mediterraneo orientale un'organizzazione internazionale con sede nella capitale egiziana. Oltre all'Egitto e alla Grecia, il Forum conta altri cinque membri fondatori: Italia, Cipro, Giordania, Israele e Palestina. L'obiettivo è quello di creare un mercato regionale del gas che serva gli interessi dei Paesi membri.

2) Lo sceicco Mohammed Bin Zayed, principe ereditario di Abu Dhabi e vice comandante supremo delle forze armate degli Emirati Arabi Uniti, ha ricevuto il premier greco Kyriákos Mitsotákis per discutere le relazioni tra gli Emirati e la Grecia e i mezzi per rafforzare i legami reciproci a tutti i livelli: investimenti, commercio, politica, cultura e soprattutto difesa, per contenere l'espansionismo turco nel Mediterraneo orientale e nel Medio Oriente.

In tutto ciò Israele ha un ruolo centrale. Le sue prime scoperte di gas offshore sono iniziate nel gennaio 2009 col giacimento Tamar (260 miliardi di metri cubi). Da allora gli annunci si sono moltiplicati: Dalit, Leviathan (650 miliardi), Dolphine (2,3 miliardi), Sara e Mira (180 miliardi), Tanin (31 miliardi), Karish (51 miliardi), Royee (91 miliardi) o ancora Shimshon (15 miliardi). Oggi le riserve totali di Israele, provate o potenziali, sono stimate in circa 1,5 trilioni di metri cubi di gas naturale.

Nel 2019, guidata da un consorzio israelo-americano, è iniziata la produzione del mega-deposito Leviathan dopo anni di lavoro e miliardi d'investimenti. Questo progetto dovrebbe permettere a Israele di ottenere l'indipendenza energetica e persino di esportare gas naturale verso i suoi vicini. Può anche diventare in futuro il principale Paese esportatore di gas verso il Medio Oriente e l'Europa, proprio grazie al progetto del gasdotto del Mediterraneo orientale attraverso Cipro e la Grecia.

L'Egitto di al-Sisi ha la stessa preoccupazione: diventare una potenza strategica nel Mediterraneo orientale. Impossibile che l'Egitto non resti un partner fondamentale per l'Italia. Il caso Regeni è destinato a chiudersi definitivamente.

 

I pubblici ministeri egiziani hanno espresso “riserve” nei confronti delle conclusioni cui sono giunti i magistrati italiani sul caso Regeni, per cui non hanno intenzione di trovare gli assassini, anzi, vogliono chiudere il processo, tanto sanno benissimo che, a causa degli alti interessi economici che legano i due Paesi, il nostro governo non richiamerà mai in patria il proprio ambasciatore, né metterà mai in atto alcuna forma di embargo.

E così non solo Giulio Regeni è stato rapito, torturato e ucciso (la madre l'ha riconosciuto solo dalla punta del naso!), ma ne hanno anche macchiato la reputazione screditandolo, mentendo e ingannando.

A dire falsità ci si è messo pure Matteo Renzi, ch'era primo ministro al momento dell'omicidio, avendo dichiarato che il suo governo era stato informato del rapimento solo il 31 gennaio 2016, per cui non aveva potuto reagire tempestivamente. Come noto, il ministero degli Esteri italiano ha respinto le dichiarazioni dell'ex premier, sostenendo che le istituzioni governative italiane e i servizi segreti erano stati informati sin dalle prime ore dopo la scomparsa di Giulio il 25 gennaio 2016.

È poi apparso un documentario egiziano che mette in cattiva luce la figura di Regeni. Si trova su Youtube in un canale che si chiama “The story of Giulio Regeni”, al quale è associata anche una pagina Facebook. https://youtu.be/YjrHY3sECN4

Il filmato, in lingua araba con sottotitoli in italiano, si presenta come “il primo documentario che ricostruisce i movimenti strani di Giulio Regeni al Cairo”. Compaiono anche le interviste all'ex ministra della Difesa Elisabetta Trenta, al senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri e all'ex capo di Stato maggiore dell'Aeronautica militare Leonardo Tricarico. Tutti e tre hanno preso le distanze da quanto viene riportato nel docufilm. È chiaramente un'operazione egiziana di depistaggio per delegittimare l'attività della Procura di Roma, la quale ha messo sotto accusa 5 imputati appartenenti ai servizi segreti egiziani: Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim e Abdelal Sharif.

Nell'atto di chiusura delle indagini i pm romani parlano di sevizie durate 9 giorni, che causarono a Regeni acute sofferenze fisiche messe in atto anche attraverso oggetti roventi, calci, pugni, lame e bastoni. Torture avvenute nella stanza n. 13 di una villetta al Cairo.

Gasparri, dopo la pubblicazione del documentario, si è difeso: “Ho rilasciato un'intervista a un giornalista egiziano, di cui ho il filmato, in cui ho detto che bisogna indagare sull'Università di Cambridge, dove ci sono docenti probabilmente vicini ai Fratelli musulmani. Anche i giudici della Procura di Roma, com'è noto, si sono recati in Inghilterra senza aver ottenuto alcuna risposta. Ma nessuna parola di discredito su Regeni”. L'ex ministra Trenta ha definito il documentario vergognoso e inaccettabile, un modo per “infangare” Regeni.

Il generale Tricarico si è spinto più in là, dicendo che bisognava indagare di più su Cambridge, perché secondo lui i “mandanti dell'omicidio sono in Gran Bretagna”. Ha poi sostenuto che “la politica estera di un Paese deve essere la sintesi degli interessi nazionali e non essere ostaggio di un singolo caso, per quanto doloroso”. In altre parole “ci sono interessi colossali tra Italia ed Egitto nel settore energetico e questo potrebbe aver disturbato qualcuno. Non va esclusa l'ipotesi di un terzo attore”.

Qui si può aggiungere che la collaborazione tra Italia e Egitto non riguarda solo il settore petrolifero (in cui la multinazionale ENI ha un ruolo centrale), ma anche quello degli armamenti (commesse Fincantieri e Leonardo).

Il che però non implica che l'Italia possa esercitare un'influenza significativa sul Mediterraneo orientale, analogamente alle iniziative poste in essere dalla Turchia. Semmai è l'Egitto a ritagliarsi un ruolo sempre più importante a livello geopolitico in questo mare in funzione antiturca, grazie al sostegno militare ed economico non solo dell'Italia ma anche della Francia e della Germania. È stato proprio grazie all'ENI che l'Egitto ha riacquistato la piena capacità di soddisfare la domanda interna di gas e può destinare la produzione eccedente all'export.

 

[9] Grecia e Cina, Pireo

 

Nel 2019 più di 7 trilioni di euro di investimenti diretti esteri sono approdati nella UE, segno della grande capacità attrattiva del nostro mercato comune. In particolare la Cina si sta comprando il mondo per sviluppare la Nuova Via della Seta. Ma bisogna fare attenzione – dicono in Europa – che gli stranieri rispettino le stesse regole cui sono tenuti i competitor europei, altrimenti sarebbe meglio rinunciare a tutti questi investimenti esteri.

Guardiamo infatti cosa è successo in Grecia, col porto del Pireo, il più grande di tutta la Grecia. Travolto dalla crisi finanziaria del 2008, il Paese, governato da Giorgos Papandreou, vendette alcuni asset nazionali per ripagare i debiti e scongiurare un default dello Stato e l'uscita della Grecia dall'eurozona. Tra gli asset inseriti nel vasto programma di privatizzazioni i tedeschi di Fraport (Frankfurt airport services worldwide) si presero per 40 anni la gestione di 14 aeroporti regionali per 1,2 miliardi, mentre un fondo immobiliare anglosassone comprò gli alberghi a 5 stelle di Astir Palace per 400 milioni. Con questa privatizzazione imposta dalla Troika per concedere un prestito MES ad Atene, si fa iniziare la colonizzazione tedesca in Grecia.

Tuttavia il pezzo pregiato era senza dubbio il porto di Atene. Ad accaparrarselo fu il gruppo Cosco (China Ocean Shipping Company): colosso statale cinese, all'epoca quinta, poi terza compagnia di navigazione al mondo dopo la danese Maersk e la svizzera Msc.

Il terminal cargo del Pireo (con un'area di stoccaggio di 900 mila metri quadrati) è diventato il principale porto del Mediterraneo orientale e il quarto nella classifica dei porti più trafficati d'Europa (dietro Rotterdam, Anversa e Amburgo), cioè movimenta da solo un traffico di merci superiore a tutti i porti italiani messi insieme. È tra i primi 40 porti al mondo ed è il più grande porto passeggeri d'Europa e il terzo nel mondo, col transito di oltre 20 milioni di persone ogni anno. Ecco perché la Cosco, che in tutto pagherà soltanto un miliardo di euro, si è impegnata a costruirne un altro porto e a edificarvi quattro hotel di lusso.

Ormai i cinesi gestiscono il 67% della sua proprietà e vogliono restarci fino al 2052, quando scadrà la concessione. Inizialmente assunsero mille portuali greci senza alcuna preparazione specifica e senza tutele sanitarie e previdenziali adeguate. Oggi sono diventati diecimila e non è che i diritti sindacali siano migliorati. Di fatto Cosco ha creato nel Pireo un proprio “Stato”. E questo è potuto avvenire proprio a causa delle politiche di austerità praticate dalla UE durante la crisi del debito, oggi considerate unanimemente superate.

Ora però Bruxelles sta ponendo dei paletti alle imprese estere che vogliono comprare importanti strutture commerciali della UE, cioè non vuole permettere ai singoli Paesi di comportarsi in maniera autonoma, vendendo i propri gioielli di famiglia al miglior offerente. È difficile infatti gareggiare con la Cina in un'asta pubblica.

Senonché Cosco ha già molte partecipazioni anche in altri scali europei, come p.es. nei terminal container di Rotterdam, Anversa, Zeebrugge, Bilbao, Valencia e negli scali ferroviari di Madrid e Saragozza, mentre un altro colosso pubblico di Pechino, China Merchant, detiene una quota di minoranza a Marsiglia.

Ormai è tardi per opporsi alla Cina. Tant'è che quando la Grecia ha deciso di mettere in vendita anche il porto di Salonicco, si è formato subito un consorzio franco-tedesco per impedire che lo comprassero i cinesi, i quali comunque sono riusciti a far parte di tale consorzio.

La stessa Atene si sta opponendo alle dichiarazioni della UE con cui si critica il governo di Pechino di non rispettare i diritti umani. Anche perché è intenzionata a mettere sul mercato una quota del 35,5% della compagnia energetica Hellenic Petroleum, e una quota del 5% della Ote, la maggiore azienda di telefonia del Paese.

 

[10] La censura in Cina

 

Su “Huffpost” del 6 maggio da leggere un articolo (qui sintetizzato) dedicato alla censura cinese sulle proteste di Hong Kong.

La Radiotelevisione pubblica (RTHK) sta sistematicamente cancellando dai suoi archivi ogni traccia audio e video del recente passato politicamente “scomodo” della città, su precise direttive di Pechino nell'ambito della recente legge della “Sicurezza Nazionale”, che ha imposto la censura del Partito comunista sulla metropoli asiatica.

Documentari, servizi dei telegiornali, interviste che riguardano le proteste oceaniche del 2019, ma anche la memoria audiovisiva della cosiddetta “Rivolta degli Ombrelli” del 2014, quando il centro di Hong Kong fu occupato per settimane da manifestanti filodemocratici: tutto sta rapidamente scomparendo come nel romanzo orwelliano 1984 in cui vigeva il detto “Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato”. Questa censura così invasiva è senza precedenti nella città.

Già nel marzo dell'anno scorso la Hong Kong Baptist University aveva improvvisamente cancellato una mostra fotografica che avrebbe presentato immagini delle proteste anti-Pechino del 2019, mentre il sistema scolastico dell'ex-colonia è stato ormai radicalmente modificato, attraverso una vasta campagna finalizzata all'indottrinamento delle future generazioni di cittadini, usando la storia come strumento per inculcare nell'animo degli studenti più giovani i semi dell'obbedienza e del patriottismo cinese. Nelle università sono state ridotte della metà le ore per l'insegnamento “liberale”, uno dei lasciti della cultura anglosassone, perché considerato pericoloso per la diffusione dei valori democratici.

Una vasta operazione di censura ha trovato la sua realizzazione più ambiziosa anche attraverso il recente varo di “Hong Kong Chronicles”, diviso in 66 volumi dal valore di 100 milioni di dollari, che fornisce una rilettura complessiva e ufficiale della storia di Hong Kong degli ultimi 7mila anni.

La censura sistematica degli avvenimenti del passato che potrebbero offuscare la gloria del Partito comunista al potere da oltre 70 anni, la si nota anche quando si fa una ricerca sul web con le parole “Piazza Tienanmen”: vengono fuori soltanto informazioni turistiche su cosa visitare nei dintorni, nessun cenno ai movimenti degli studenti e al massacro del 1989. Anche altri eventi drammatici del passato sono censurati: dalla tremenda carestia che costò milioni di morti a causa del “Grande Balzo in avanti” voluto da Mao, alle atrocità causate dalla Rivoluzione Culturale e le sue persecuzioni. Ormai diverse generazioni in Cina sono cresciute senza poter conoscere nulla su questi aspetti della loro storia comune.

A Hong Kong il documentarista Bay Choy, sfidando la repressione cinese, ha cominciato a salvare copie dei filmati e delle interviste delle proteste di piazza. Sul suo profilo Twitter ha parlato di lotta “della memoria contro l'oblio”.

 

[11] Scozia, separatismo

 

Quelli di “Limes” gongolano, perché l'avevano previsto: la Brexit comporterà, entro 5 anni, la separazione della Scozia dal Regno Unito e probabilmente la fine dell'Irlanda in due entità separate.

Infatti nelle recenti elezioni scozzesi lo Scottish National Party (avanguardia dei separatisti) ha stravinto per la quarta volta consecutiva, ottenendo 64 seggi su 129 presso il parlamento di Edimburgo, che sommati agli 8 seggi conquistati dai Verdi, altrettanto nazionalisti, garantiscono schiacciante maggioranza al fronte indipendentista.

Nel 2014 gli scozzesi, al referendum, avevano temuto d'essere espulsi dalla UE se si fossero staccati dal Regno Unito, ma ora che è in atto la Brexit sarà difficile che la UE rifiuti il loro ingresso se decidono di staccarsi dagli inglesi.

Il nuovo referendum potrebbe tenersi tra il 2022 e il 2023, prima delle elezioni britanniche del maggio 2024. Se vincesse il sì, calcolando una fase di negoziati e di transizione, Edimburgo sarebbe indipendente non prima del gennaio 2026. E Londra naturalmente farà di tutto per impedirlo.

Come confine cosa metteranno: il Vallo di Adriano? In gioco ci sono 77 mila kmq abitati da 5,5 milioni di scozzesi, da oltre tre secoli incorporati nel Regno Unito. Ricordiamo che è stato Tony Blair nel 1998 a concedere la legge sulla devoluzione.

 

[12] Cina e Vaticano

 

L'accordo stipulato tra il Vaticano e Pechino nel 2018 è il risultato di 40 anni di dialogo molto difficile. In virtù di esso la Cina per la prima volta riconosce il papa come leader della Chiesa cattolica universale, mentre il papa riconosce i vescovi scelti dal Partito comunista.

L'accordo è così importante che il contenuto è tuttora segreto, proprio perché regola una delle principali controversie che hanno influenzato i rapporti tra i due Stati a partire dal 1949: la nomina dei vescovi cinesi. Ricordiamo che nel 1958 Pechino nominò i primi due vescovi senza l'approvazione del papa: da allora, in totale, sono stati 7, tutti scomunicati dal Vaticano.

Pare che l'accordo preveda che il papa abbia diritto di veto sulla loro designazione da parte del Pcc, mentre quest'ultimo sceglierebbero i candidati da presentare al Vaticano. Oltre a questo il governo cinese consentirebbe a tutti i vescovi cinesi di riconoscere l'autorità del papa. Dal 2018 non vi sono ancora state nomine vescovili nel Paese.

Ufficialmente non esiste alcun vero concordato, ma probabilmente si è posto un nuovo modus vivendi, che consiste appunto nel risolvere lo scisma interno alla Chiesa cattolica cinese tra la Chiesa cattolica patriottica (istituita dal Pcc nel 1957) e la Chiesa cattolica clandestina, che riconosce soltanto nel pontefice l'autorità spirituale e politica della Chiesa cattolica universale. In Cina vivono circa 12 milioni di cattolici, mentre i vescovi “occulti” (almeno fino a ieri) sarebbero una trentina. I cattolici fedeli al papa sono sempre stati naturalmente oggetto di repressione.

La Curia romana dovrà però assicurare di svolgere un'autonoma politica internazionale, non dipendente da alcuna potenza occidentale. Una cartina di tornasole di tale autonomia, che ha convinto i cinesi sulle effettive intenzioni del Vaticano, l'ha offerta quest'ultimo in occasione del rinnovo del suddetto accordo nell'ottobre 2020, quando gli USA, inutilmente, han fatto pressioni tramite Mike Pompeo, ex Segretario di Stato dell'amministrazione Trump. Il cardinale Parolin, Segretario di Stato Vaticano, ha dichiarato la volontà della Santa Sede di rinnovare l'accordo con la Cina per altri due anni ad experimentum.

Da parte cinese la volontà di rispettare il trattato sembra abbia un duplice vantaggio. Pare che Xi Jinping abbia iniziato a considerare le comunità cattoliche, di regola coinvolte nella sanità, nell'istruzione e nell'assistenza sociale, come una forza utile per combattere la povertà e le sperequazioni sociali. Non solo, ma a livello di politica estera l'intesa con la Santa Sede potrebbe anche permettere a Pechino di risolvere pacificamente la questione di Taiwan, nel senso che il Pcc spera di annettersi l'isola proprio grazie alla mediazione diplomatica del Vaticano.

Non a caso il papa ha sempre evitato di criticare i cinesi sulla politica autoritaria adottata dal Pcc a Hong Kong, sulle vicende del popolo tibetano e della minoranza musulmana degli Uiguri, nonché sulle vessazioni che subiscono i cristiani in Cina. Ha sempre evitato d'incontrare il Dalai Lama. Eppure in Cina si stanno intensificando le limitazioni ai credenti in generale, nel quadro della “sinizzazione” delle religioni, che sta diventando “nazionalizzazione”, se non allineamento al Pcc.

Il Vaticano ha rapporti con Taiwan dalla metà degli anni '50, dopo che nel 1940 la Cina comunista aveva espulso il nunzio apostolico dal proprio territorio e dopo che le relazioni diplomatiche tra i due Stati s'interruppero definitivamente nel 1951. Pechino ha sempre chiesto di rompere i rapporti con l'isola, ma nessun pontefice l'ha mai fatto. A tutt'oggi il Vaticano è l'unico alleato diplomatico europeo di Taiwan.

 

[13] Canarie, migrazioni

 

Quando si parla di migrazioni dall'Africa verso l'Europa si tende a ridurre il fenomeno al Mediterraneo. Ma c'è anche la rotta atlantica, crocevia tra l'Africa Occidentale e l'arcipelago delle Isole Canarie: il passaggio marittimo più pericoloso per raggiungere l'Europa a causa dell'alto rischio di naufragi e delle grandi distanze da percorrere.

La rotta verso l'arcipelago spagnolo è un canale utilizzato da migliaia di migranti già dalla fine degli anni '90, quando vennero registrati i primi naufragi. Ma è soprattutto negli ultimi anni che l'arcipelago spagnolo è diventato una delle porte d'accesso preferenziali per i migranti diretti verso l'Europa. Le Canarie distano 100 km dalle coste del Marocco.

Lo scorso 7 aprile la Commissione spagnola di soccorso ai rifugiati ha presentato un report in cui denuncia che le Isole Canarie, con l'aumento degli arrivi, stanno diventando un polo di “situazioni disumane” in violazione delle stesse leggi spagnole, attraverso “arresti e privazioni di libertà senza protezione legale, mancanza di assistenza legale ai migranti e, per questo, mancanza di attenzione per i bambini che viaggiano da soli, potenziali vittime di tratta...”.

L'Organizzazione Mondiale per le Migrazioni riporta che lo scorso anno 23.023 individui, la maggior parte dei quali originari del Marocco, Senegal, Gambia, Mali e Mauritania, hanno raggiunto le Canarie, segnando un incremento del 756% (!) rispetto allo stesso periodo del 2019. I decessi registrati sono stati 850, ma i numeri sono approssimativi.

Molti emigrano anche solo per effetto dei cambiamenti climatici globali. In alcune zone del Marocco, p.es., l'acqua è diventata così rara che spesso questa viene dirottata dai terreni agricoli alle famiglie, lasciando i campi completamente asciutti. In Senegal taluni accordi di pesca hanno comportato quasi l'esaurimento delle riserve ittiche al largo delle coste, a causa delle numerose flotte straniere provenienti soprattutto dalla Cina e dall'Europa che si aggirano nei mari al largo dell'Africa occidentale e che spesso operano in situazioni di assoluta illegalità. La pesca industriale ha fatto perdere il lavoro a centinaia di pescatori dediti alla pesca artigianale.

E questo senza parlare delle guerre che da un decennio si stanno consumando in Mali o in Burkina Faso, o del terrorismo che continua a flagellare numerosi Paesi africani, o delle numerose dittature.

D'altra parte l'aumento del numero di persone che decide d'intraprendere questa rotta è anche una conseguenza del fatto che nel 2020 le barriere delle enclave spagnole di Ceuta e Melilla sono state innalzate di ulteriori quattro metri, rendendole di fatto invalicabili: le scale di fortuna non bastano più. Inoltre vi è stata una progressiva militarizzazione delle acque del Mediterraneo e un aumento considerevole delle violazioni dei diritti umani in Libia, che resta comunque un accesso inevitabile per il Mediterraneo.

In risposta all'aumento delle partenze, il governo spagnolo ha provveduto al rimpatrio dei migranti, stabilendo accordi bilaterali coi Paesi d'origine, i quali però (soprattutto Marocco, Senegal e Mauritania) usano il fenomeno migratorio come forma di pressione per ottenere sussidi da parte della UE (cosa che, d'altra parte, fa anche la Turchia).

Gli accordi bilaterali pretesi dalla Spagna prevedono che il Paese firmatario accetti di rimpatriare i migranti di qualsiasi nazionalità espulsi dalle Canarie. Il governo di Sanchez inoltre ha annunciato una nuova strategia, “Africa Focus 2023”, che vedrà maggiori investimenti finanziari in vari Paesi africani per invogliare i giovani a non emigrare. Inoltre Madrid s'impegnerà a chiedere la cancellazione del debito per i Paesi africani alle prossime riunioni del G20. Infine invierà una nave da guerra nel Golfo di Guinea per combattere la pirateria e aumentare la sicurezza nella regione.

Tuttavia l'Africa è allo stremo per colpa di quei Paesi industrializzati che vogliono sfruttarne le immense risorse dandole in cambio solo le briciole, se non addirittura una grande devastazione ambientale. Intanto uno studio dell'UNICEF ha affermato che nei prossimi anni 50 milioni di africani si troveranno in situazione di estrema povertà a causa dell'impatto economico del Covid-19: impossibile che non aumentino i flussi migratori verso l'Europa.

 

[14] UE e Cina

 

L'accordo (voluto soprattutto dalla Germania) sugli investimenti tra Pechino e la UE, firmato nel dicembre scorso dopo 7 anni di trattative e 35 round negoziali, si è già incagliato in sanzioni UE (motivate dalle violazioni dei diritti umani nella provincia dello Xinjiang contro gli Uiguri musulmani) e controsanzioni cinesi (a carico di eurodeputati, parlamentari nazionali e think tank europei). Nel contempo si va rafforzando l'intesa tra la UE e gli USA di Biden.

Ufficialmente sono tre gli argomenti su cui non ci si trova d'accordo: reciprocità di accesso al mercato, parità di condizioni per tutti gli operatori e regole condivise su clima, salute e lavoro.

Ciò è molto strano, in quanto nel 2019 la Cina è stata il più grande partner commerciale della Germania per il quarto anno di fila e le case automobilistiche tedesche vendono più veicoli in Cina che sul territorio nazionale.

L'uscita di scena di Trump e l'indebolimento del traino tedesco (a settembre la Merkel non sarà più cancelliera) hanno convinto le istituzioni europee ad accettare le pressioni dell'amministrazione Biden a boicottare la Cina.

Il governo tedesco ha inoltre detto che la società di telecomunicazioni cinese Huawei può sì partecipare all'espansione della rete 5G in Germania, ma le barriere all'ingresso saranno alte. In pratica la si vuole boicottare.

Infine la Commissione europea vuole evitare che gli aiuti dello Stato cinese alle proprie imprese possano facilitare queste ultime nell'acquistare know-how e tecnologie europee. Infatti chi usufruisce di sussidi pubblici ha una chance in più di vincere bandi di gara o acquisire società o asset di una certa rilevanza. Questo perché l'espansionismo cinese nella UE sta diventando davvero impressionante.

Washington ha addirittura ventilato la possibilità di un boicottaggio delle Olimpiadi invernali del 2022 a Pechino, mentre il Bundestag discuterà a metà maggio se il trattamento degli Uiguri debba essere etichettato come genocidio.

 

[15] Israele e Palestina

 

Perché i politici (che non siano proprio quelli della sinistra radicale) si schierano subito dalla parte di Israele, ogni volta che nella Palestina scoppia un conflitto bellico tra le parti avverse, appartenenti a religioni ufficialmente opposte?

La motivazione va cercata nell'immaginario collettivo, che è più forte di qualunque motivazione reale della guerra in corso.

Quando si parla di terrorismo internazionale, qual è la religione cui l'occidente fa sempre riferimento? L'islam.

Quando si parla di flussi migratori verso l'Unione Europea, qual è la religione prevalente di appartenenza dei migranti? L'islam.

Quando nel Mediterraneo si vedono Paesi con governi autoritari che minacciano la stabilità dei Paesi confinanti, gestiti da governi democratici, a quale religione si attribuisce questa nuova e per noi occidentali fastidiosa proiezione di potenza? L'islam.

Quando mettiamo a confronto un Paese capitalisticamente avanzato come Israele e un altro economicamente piuttosto arretrato come quello palestinese, a quale religione attribuiamo tale arretratezza? L'islam.

Quando sul piano internazionale vediamo che Israele è in grado di muoversi agevolmente con una propria leadership politica e diplomatica, mentre i palestinesi non hanno niente che possa reggere il confronto, a quale religione attribuiamo questo deficit di rappresentanza? L'islam.

Quando l'intero occidente si chiede quale sia una radice culturale che ha determinato la propria civiltà, a quale religione fa riferimento? Ebraico-cristiana.

Quando l'occidente ricorda i tempi del proprio passato colonialismo, ha mai nutrito dubbi sulla necessità di “civilizzare” completamente e radicalmente le popolazioni appartenenti alla religione islamica? Nessun dubbio.

Quando sul piano demografico l'occidente cristiano teme il diffondersi di una religione concorrente, a quale fa subito riferimento? L'islam.

Quando l'occidente pensa all'idea di genocidio, a quale religione associa immediatamente questo crimine? L'ebraismo.

Quando in forza di questo genocidio abbiamo ritenuto che gli ebrei dovessero essere risarciti con un proprio territorio, perché ci è sembrato giusto che dovessero rimetterci i palestinesi? Perché erano islamici.

Dunque, quando Israele si comporta in maniera razzistica, colonialistica, genocidaria nei confronti dei palestinesi, che cos'è che le dà la sicurezza di potersi comportare così in tutta tranquillità? È l'immaginario collettivo che in occidente essa stessa ha contribuito a creare.

 

[16] Israele e Palestina

 

C'è gente che mette sionisti e palestinesi sullo stesso piano e che considera Hamas un partito terrorista islamico come tanti altri.

Fare confronti del genere non ha alcun senso. Israele ha il coltello dalla parte del manico, essendo sponsorizzata dagli USA sin da quando è nata. Può fare quel che vuole in qualunque momento. Ha progressivamente espropriato i palestinesi del loro territorio. Ha fatto guerre contro di loro, contro l'Egitto, la Siria, il Libano ecc. rimaste impunite. Bombarda tranquillamente Paesi come Siria e Iran senza che nessuno dica nulla. Mai nessuno ha messo sanzioni o embarghi a carico di Israele. Hamas è solo una conseguenza del fatto che gli sforzi diplomatici di Arafat non servirono a nulla per riportare la situazione al 1948. Hamas è una conseguenza indiretta dell'atteggiamento imperialistico dei sionisti e fa comodo ai loro interessi, poiché li giustifica ulteriormente.

Prima della nascita dello Stato di Israele e dopo la fine della asfissiante dominazione ottomana, la Palestina era un territorio relativamente tranquillo, oppresso solo dal colonialismo inglese, fonte ultima di tutte le attuali contraddizioni e principale traditore, insieme ai francesi, della promessa fatta di restituire alle popolazioni di origine araba i territori sottratti ai turchi. Non esistevano conflitti di tipo ideologico. Anzi i palestinesi erano i più laici nel mondo musulmano.

Gli ebrei han perso lo Stato 2000 anni fa e l'ONU ha fatto male a ridarglielo a spese dei palestinesi. La storia non passa invano per nessuno. Se la Germania potesse riavere i territori antecedenti alla Grande Guerra sarebbe più estesa di 1/3. Se il Messico potesse riavere i territori sottratti dagli Stati Uniti, sarebbe grande il doppio. E così via.

Gli ebrei di Israele non possono continuare a vivere come Jim Carrey in “Truman show”. Il nemico non è fuori dalla bolla artificiale che si sono costruiti. È nella loro cultura, nella loro religione, che li rende razzisti nei confronti delle altre religioni, e nazionalisti in maniera esasperata nei confronti dei Paesi confinanti.

Han scelto la via del capitalismo avanzato e nel contempo vogliono conservare una religione vecchia di 4000 anni. E vogliono farlo a spese dei palestinesi, continuando a colonizzare i loro territori, a espandere impunemente i propri confini. Se dal 1948 ad oggi non avessero avuto l'appoggio dell'occidente, lo Stato l'avrebbero perso da un pezzo. Non possono continuare a pensare che siccome hanno avuto 6 milioni di morti durante la seconda guerra mondiale, si possono sentire autorizzati a comportarsi come vogliono, senza rispettare alcuna norma del diritto internazionale. Gli stessi ebrei sparsi nel mondo dovrebbero opporsi con forza a questa deriva irrazionalistica, che rischia di ripercuotersi anche su loro stessi.

 

[17] Israele e Palestina

 

Un articolo di “Eurasia” spiega bene com'è nata l'attuale guerra in Palestina.

I sionisti vogliono sfrattare le famiglie palestinesi che vivono nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est. Al momento han cercato di farlo con 5 delle 28 famiglie che vivono lì dal 1948. Di fatto sono dei rifugiati, visto che vennero cacciati dalle loro precedenti abitazioni in seguito al primo conflitto arabo-israeliano.

Il tentativo di sfratto è stato sollecitato da diverse organizzazioni di coloni, tra cui spiccano Nahalat Shimon (che punta all'espulsione di tutti i Palestinesi dall'area) e Ataret Kohanim (movimento teoricamente d'ispirazione religiosa, ma ben legato alla “destra” radicale sionista uscita vittoriosa dalle recenti elezioni). Entrambi i gruppi sostengono il progetto “Greater Jerusalem”, volto alla trasformazione demografica della città vecchia di Gerusalemme, che nello stesso nome richiama un altro progetto sionista: quello del “Grande Israele” dall'Eufrate al Nilo progettato da Theodor Herzl.

Le rivendicazioni sioniste si fondano su una legge, emanata dopo l'occupazione di Gerusalemme Est nel 1967: ai sionisti discendenti da ebrei che abitavano l'area prima del 1948 è consentito di avanzare diritti di proprietà sui territori in cui vive una fascia della popolazione alla quale è negato qualsiasi diritto.

Il Patriarcato latino di Gerusalemme ha condannato la violenza utilizzata contro i fedeli musulmani che si recano a pregare nella moschea di al-Aqsa, e ha parlato di “tentativo ispirato da un'ideologia estremista che nega il diritto di esistere a chi abita nella propria casa”. A fargli eco è stato il Patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme, che per voce di Monsignor Atallah Hanna, già vittima di diverse aggressioni sioniste, ha chiamato cristiani e musulmani a difendere insieme la città.

La seconda causa del conflitto bellico è stata la volontà provocatoria di far passare per il quartiere arabo la cosiddetta “marcia delle bandiere” nel giorno in cui il sionismo celebra l'occupazione della parte orientale della città.

Non si possono dimenticare, a questo proposito, gli scavi effettuati sotto la moschea di al-Aqsa, volti a minarne le fondamenta, o la celebre “passeggiata” nella spianata delle moschee (che scatenò la seconda Intifada) del criminale di guerra Ariel Sharon, responsabile sia delle uccisioni di inermi contadini palestinesi a cavallo tra gli anni '50 e '60 del secolo scorso per mano della sciagurata Unità 101, sia del massacro di Sabra e Shatila nei campi profughi di Beirut nei primi anni '80.

L'occupazione sionista della parte orientale di Gerusalemme nel 1967 ha già largamente prodotto i suoi devastanti effetti. Uno dei primi provvedimenti presi dagli occupanti, infatti, fu quello di radere al suolo un intero quartiere (dall'enorme valore storico) della città vecchia per realizzare un piazzale di fronte al “muro occidentale”.

Insomma i tanto ostentati “Accordi di Abramo” (prodotto del trumpista accordo-truffa del secolo), ben lungi dall'essere accordi di pace, sono solo degli accordi militari-commerciali che in nessun modo possono risolvere il problemi della Palestina e del suo popolo negandone l'esistenza. Anzi tramite quegli accordi i sionisti sono intenzionati a occupare tutta la Cisgiordania. Già adesso Tel Aviv sta tagliando le forniture d'acqua alla West Bank per incrementare il malcontento sociale e destabilizzare gradualmente il Paese.

Di qui il fatto che la Turchia di Erdogan, con uno slancio propagandistico, si stia presentando come protettrice della Palestina (ruolo al quale non possono più ambire le Monarchie del Golfo, terribilmente compromesse col sionismo). Sembra però che l'“Occidente” sia più propenso a vedere la Turchia (membro della NATO) nel ruolo di patrono della causa palestinese, piuttosto che lasciare che in tale ruolo subentri la Repubblica Islamica dell'Iran.

 

Addendum. Anche dando per scontato che il cristianesimo sia un prodotto di Paolo, più che di Gesù, bisogna ammettere ch'esso è stato un progresso rispetto all'ebraismo. Basta vedere con quanta tenacia ancora oggi gli ebrei credono a palesi assurdità come la circoncisione, il sabato e i cibi puri.

Usano queste cose per sentirsi diversi dagli altri popoli, per sentirsi migliori, più credenti di chi non le pratica. Sotto questo aspetto non si capisce perché gli ebrei detestino a morte gli islamici, che, a parte la sostituzione del sabato col venerdì, la pensano come loro. In fondo cos'è l'islam se non un ebraismo meno formale?

Tutto ciò naturalmente non vuol dire che sia sbagliato togliere il frenulo dal pene, o riposarsi dal lavoro un giorno alla settimana o che non sia giusto seguire delle regole dietetiche. È semplicemente assurdo associare queste cose a delle convinzioni religiose. Oggi dovremmo essere tutti atei in maniera naturale, mostrando che la superiorità dell'ateismo sulla religione non sta tanto nell'ateismo in sé, quanto nel modo di vivere praticamente i valori umani.

 

[18] Israele e Palestina. Situazione di Cipro

 

Lucio Caracciolo, direttore della migliore rivista geopolitica che abbiamo in Italia, “Limes”, parla chiaro sul conflitto attuale a Gaza. Il problema, per gli ebrei, sono i numeri. Puoi essere forte, militarmente, quanto vuoi, ma per gestire oltre il 20% della popolazione di origine araba, presente all'interno del proprio Stato, la forza, alla lunga, non serve a niente.

Netanyahu se ne deve andare: non può continuare a sopravvivere politicamente alle inchieste giudiziarie che lo chiamano in causa direttamente, giocando, come unica carta a sua disposizione, la sicurezza minacciata d'Israele. Anche perché non riesce a formare alcun governo, se non con l'appoggio della destra più estrema, intenzionata a cacciare da Gerusalemme Est tutti gli arabi, che sono però i 2/5 dell'intera città. Non c'è nessuno che stia minacciando Israele, se non le proprie ambizioni imperiali (che, peraltro, senza l'appoggio degli USA varrebbero meno di zero).

Il fattore strategico della crisi in corso non riguarda affatto Gaza, dice Caracciolo. Il lancio di missili da parte di Hamas e la volutamente sproporzionata reazione israeliana ricorrono con tragica cadenza più o meno decennale. Ma si tratta di “guerre di manutenzione”, in cui si dà sfogo alla tensione permanente fra la Striscia e Israele. Almeno fin quando Gerusalemme non dovesse decidere d'invadere Gaza. Operazione dai costi umani, geopolitici e di propaganda talmente alti da sconsigliarla.

Il centro della questione è invece l'identità degli israeliani, cioè cosa fare degli arabo-israeliani, quelli che vivono all'interno d'Israele, e non a Gaza o in Cisgiordania. Un anno fa Netanyahu pianificava l'annessione di buona parte della Cisgiordania, abitata da oltre due milioni di arabi palestinesi. Ma evidentemente la cosa non è semplice da far digerire al mondo intero.

Come d'altra parte non è facile per Hamas cercare di sopravvivere politicamente lanciando inutili razzi contro Israele. Hamas è una involontaria creatura del fanatismo sionista. La destra israeliana ha bisogno di Hamas per coltivare l'insicurezza, per alimentare nell'opinione pubblica la sindrome di accerchiamento, divenuta psicologia nazionale. Tra i due estremismi non c'è poi tanta differenza, salvo che uno comanda e l'altro subisce.

Intanto è bene ricordare che le Nazioni Unite avevano già detto che entro il 2020 sarebbe stato praticamente impossibile vivere a Gaza per la mancanza di energia elettrica, per il più alto tasso di disoccupazione al mondo e per l'impossibilità per la popolazione di accedere ai beni più essenziali come cibo e acqua potabile.

 

Tre giorni di colloqui informali a Ginevra (27-29 aprile) coi leader delle amministrazioni cipriote separate, non sono riusciti a delineare una svolta che potesse aprire la strada alla risoluzione della controversia sullo status dell'isola.

Ai colloqui hanno partecipato, oltre alle Nazioni Unite, Ersin Tatar, presidente dell'autoproclamata Repubblica turca di Cipro del Nord, Nicos Anastasiades, presidente della Repubblica di Cipro, e i ministri degli Esteri di Grecia, Turchia e Gran Bretagna. È la stessa Costituzione cipriota del 1960 che assegna a Grecia, Turchia e Gran Bretagna (che ha conservato due basi militari) il ruolo di “garanti dell'indipendenza” della Repubblica.

La situazione anomala dell'isola, la cui parte settentrionale è stata occupata dalla Turchia, destabilizza il Mediterraneo orientale e rappresenta un elemento di tensione tra Grecia e Turchia, entrambi membri della NATO.

Tatar ha affermato che non ha senso tenere colloqui formali su Cipro senza il riconoscimento della sovranità della Repubblica turca ch'egli governa, per cui pretende che il mondo intero accetti la situazione dei due Stati come un dato di fatto.

Viceversa, per il leader greco-cipriota Anastasiades le proposte turche per una divisione de facto dell'isola rappresentano una chiara violazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite e non saranno mai accettate: una proposta a due Stati legittimerebbe la separazione del Paese.

Sulle basi poste dai turchi anche tutti i precedenti colloqui sulla riunificazione dell'isola sotto un sistema federale, come richiesto dalle risoluzioni dell'ONU, sono falliti. La Turchia e la leadership turco-cipriota hanno respinto ulteriori discussioni su un accordo basato su una soluzione di tipo federale, definendole una “perdita di tempo”.

Le tensioni tra la comunità turco-cipriota e quella greco-cipriota si prolungano dal 1960, anno di ottenimento dell'indipendenza dell'isola dal Regno Unito e di nascita della Repubblica di Cipro, sotto la presidenza dell'arcivescovo ortodosso Makarios.

La convivenza si dimostrò fin da subito difficoltosa e il compromesso raggiunto tra le due comunità, che prevedeva un rigido sistema di veti incrociati, non si mostrò sufficiente a placare le tensioni, che sfociarono nel ritiro dei turco-ciprioti dal Governo e nell'intervento, nel 1964, delle forze di pace delle Nazioni Unite.

L'avvento della dittatura dei colonnelli in Grecia esasperò ulteriormente la situazione: il colpo di Stato militare condotto dalla Guardia Nazionale nel 1974 esautorò Makarios. Le forze turche, per prevenire una potenziale annessione dell'isola alla Grecia e per proteggere la minoranza turca dell'isola, lanciarono un'operazione militare, occupando la parte settentrionale di Cipro e istituendovi un proprio Stato. Da allora l'isola è divisa in due: la Repubblica Turca di Cipro del Nord, proclamata unilateralmente nel 1983, attualmente riconosciuta soltanto da Ankara, e la Repubblica di Cipro, che occupa 2/3 del territorio dell'isola, ufficialmente riconosciuta dalla comunità internazionale, ad eccezione della Turchia. Il confine si estende per 180 chilometri e divide in due anche la capitale Nicosia: attualmente è presieduto dai caschi blu delle Nazioni Unite.

Nel 2004 l'isola divisa è entrata a far parte della UE, che deve per forza risolvere una situazione così anomala. Al momento la UE è favorevole a una federazione bi-comunitaria e bi-zonale con uguaglianza politica, con un unico governo e un unico parlamento. Il modello scelto sarebbe quello federale, riassumibile nel motto “Uno Stato, due Nazioni”. Le politiche “identitarie” – come istruzione e welfare – rimarrebbero appannaggio delle due comunità, e perfino gli affari esteri andrebbero negoziati dal Governo centrale coi rappresentanti locali. In generale, all'interno delle istituzioni verrebbe applicato un sistema di garanzie per evitare la “dittatura della maggioranza”.

Tuttavia la controversia energetica tra Repubblica di Cipro, Grecia e Turchia circa i giacimenti di gas naturale nel Mediterraneo orientale e la relativa disputa sull'estensione delle rispettive acque territoriali hanno esasperato ulteriormente le posizioni delle parti. Anche perché la parte greca dell'isola ha vissuto una dura crisi bancaria nel 2013 e continua a soffrire di livelli molto elevati di disoccupazione e debito pubblico, per cui ha assolutamente bisogno di gestire i giacimenti di gas naturale scoperti nelle acque limitrofe.

Da notare inoltre che sul piano energetico la Grecia è sostenuta da altri attori internazionali, avendo già firmato un patto di collaborazione con Egitto, Italia, Giordania e Palestina.

 

[19] Israele, situazione militare

 

Manlio Dinucci ha scritto sul “Manifesto” del 18 maggio che per bombardare Gaza gli israeliani usano 80 caccia, inclusi, per la prima volta, gli avanzati F-35 della statunitense Lockheed Martin.

Israele, che ha già ricevuto dagli USA 27 F-35, ha deciso lo scorso febbraio di acquistarne non più 50 ma 75. A tal fine il governo ha decretato un ulteriore stanziamento di 9 miliardi di dollari: 7 provenienti dall'aiuto militare gratuito di 28 miliardi concesso dagli USA a Israele, 2 concessi come prestito dalla Citibank statunitense.

Mentre i piloti israeliani di F-35 vengono addestrati dalla U.S. Air Force in Arizona e in Israele, il Genio dello US Army costruisce in Israele speciali hangar rinforzati per gli F-35.

Che bisogno ha Israele di usare contro i palestinesi i più avanzati caccia di quinta generazione? Perché serve a testare gli F-35 e i piloti in un'azione bellica reale, usando le case di Gaza come bersagli del “poligono di tiro”. Poco importa se, nelle case-bersaglio, ci sono intere famiglie.

Gli F-35, che si aggiungono alle centinaia di cacciabombardieri già forniti dagli USA a Israele, sono progettati per l'attacco nucleare, in particolare con la nuova bomba B61-12 che gli USA, oltre a schierare tra poco in Italia e altri Paesi europei, forniranno anche a Israele, unica potenza nucleare in Medioriente, con un arsenale stimato in 100-400 armi nucleari. Se Israele raddoppia il raggio d'azione degli F-35 e sta per ricevere dagli USA 8 aerei cisterna Pegasus della Boeing per il rifornimento in volo degli F-35, è perché si prepara a sferrare un attacco, anche nucleare, contro l'Iran.

Le forze nucleari israeliane sono integrate nel sistema elettronico NATO, nel quadro del “Programma di cooperazione individuale” con Israele, Paese che, pur non essendo membro dell'Alleanza, è integrato con una missione permanente nel quartier generale della NATO a Bruxelles. Nello stesso quadro la Germania ha fornito a Israele 6 sottomarini Dolphin modificati per il lancio di missili nucleari.

Da notare che esiste anche una stretta cooperazione militare dell'Italia con Israele, sancita dalla Legge n. 94 del 17 maggio 2005, che stabilisce una cooperazione a tutto campo, sia tra le forze armate che tra le industrie militari, comprese attività che restano segrete perché soggette all'“Accordo di sicurezza” tra le due parti.

Israele ha già fornito all'Italia il satellite Opsat-3000, che trasmette immagini ad altissima risoluzione per operazioni militari in lontani teatri bellici. Il satellite è collegato a tre centri in Italia e a un quarto centro in Israele, a riprova della sempre più stretta collaborazione strategica tra i due Paesi.

Dal canto suo l'Italia ha fornito a Israele 30 caccia Aermacchi della Leonardo, per l'addestramento dei piloti. Ora può fornirgli una nuova versione, l'M-346 FA (Fighter Attack), che – specifica la Leonardo – serve allo stesso tempo per l'addestramento e per “missioni di attacco al suolo con munizionamenti di caduta da 500 libbre e munizionamenti di precisione capaci di aumentare il numero di obiettivi da colpire contemporaneamente”. La nuova versione del caccia – sottolinea la Leonardo – è particolarmente adatta a “missioni in aree urbane”, dove caccia pesanti “vengono spesso utilizzati in missioni poco paganti e con alti costi operativi”. È l'ideale per i bombardamenti israeliani su Gaza, che potranno essere effettuati con “un costo per ora di volo che si riduce fino all'80%”, e potranno uccidere molti più palestinesi.

Insomma Hamas non si rende conto che sparare dei razzi a caso su una potenza criminale del genere non serve assolutamente a nulla: fa solo il gioco del governo Netanyahu e della destra estrema che lo sostiene.

 

Non capisco per quale motivo era necessario che la Palestina tornasse agli ebrei. Qual è stato il criterio? L'olocausto? Ma quante popolazioni han subito olocausti e nessuno si è mai preoccupato di restituirgli le terre? Una su tutte: i nativi americani. Un genocidio di 80 milioni di persone, partendo da Colombo.

Quando gli ebrei sono giunti in Palestina dall'Egitto han dovuto sterminare le popolazioni locali ivi residenti (Cananei, Filistei, Gebusei...). Poi sono stati sottomessi da Assiri e Babilonesi, Persiani e Seleucidi. La stagione dei tre re che hanno avuto (Saul, Davide e Salomone) è stata molto breve.

Quando nel 135 sono stati sfrattati definitivamente dai Romani, praticamente non sono più rientrati a Gerusalemme (che aveva pure cambiato nome). Fino al VII sec. la Palestina è stata in mano ai Bizantini, poi agli Arabi, poi a Turchi per 400 anni, infine agli Inglesi, per 30 anni. Nel 1917 più del 90% della popolazione palestinese era araba, mentre gli ebrei non superavano i 56.000, e il 97,5% dei palestinesi era proprietario di terre.

In tutto questo gli ebrei cosa c'entrano? Se gli ebrei non sanno vivere pacificamente nel mondo, facendo della loro religione non un motivo di divisione ma una risorsa per la libertà di tutti, per quale motivo dovevamo sentirci in obbligo di dar loro uno Stato togliendo pezzi di terra consistente ai Palestinesi? Per quale motivo una qualunque critica al loro stile di vita viene etichettata come una forma di “antisemitismo”? Che senso ha che i sionisti sfruttino il senso di colpa degli europei relativo all'olocausto per comportarsi come i nazisti?

In 73 anni la popolazione d'Israele non ha vissuto un solo giorno di pace. Siamo in presenza del fallimento del progetto politico che ha guidato la nascita di questo Stato, oggi divenuto sempre più fanatico sul piano religioso e pericoloso su quello militare.

La legge approvata il 19 luglio 2018 ha definito la natura etnico-religiosa dello Stato e i suoi caratteri fondamentali, il primo dei quali è l'autodeterminazione “esclusivamente per il popolo ebraico”, nel senso che sono stati riconosciuti gli insediamenti dei coloni nei territori occupati come “valore nazionale”. In altre parole è stata “costituzionalizzata” una situazione di discriminazione e di umiliazione del popolo palestinese. E pensare che tra gli stessi ebrei vi sono alcune frange religiose che ritengono assurda una definizione “etnica” del loro popolo, e persino l'esigenza di darsi uno “Stato”, in quanto ciò deve considerarsi un evento voluto dal messia.

 

Nel 2008 i palestinesi hanno contato 3.202 tra morti e feriti. Israele 853.

Nel 2009 i palestinesi hanno avuto 7.460 morti e feriti. Israele 123.

Nel 2010 il rapporto è di 1.659 a 185.

Nel 2011 è di 2.260 a 136.

Nel 2012 è di 4.936 a 578.

E nel 2013: 4.031 a 157.

Nel 2014, tra gli anni più sanguinosi, i palestinesi hanno subito 19.860 perdite tra morti e feriti. Israele 2.796.

Nel 2015 morti e feriti tra i palestinesi: 14.813. Morti e feriti tra gli israeliani: 339.

Praticamente, per ogni morto o ferito israeliano, ce ne sono 43 palestinesi.

Nel 2016 i palestinesi morti e feriti sono 3.572. Quelli israeliani: 222.

Nel 2017 i palestinesi contano 8.526 perdite. Gli israeliani 174.

Il 2018 è una mattanza: 31.558 palestinesi vengono feriti o uccisi. Gli israeliani sono 130. Cioè: 243 palestinesi uccisi o feriti per ogni singolo israeliano ucciso o ferito.

Nel 2019 il rapporto sarà di 15.628 a 133.

Nel 2020 sarà di 2781 a 61.

Spesso lo chiamano “conflitto israelo-palestinese”. Ma questo è un massacro.

 

[20] Israele e Palestina. Bracconaggio in Africa

 

Sono forse capaci di iniziativa diplomatica i sionisti per porre fine a questa assurda guerra contro Gaza? Neanche per idea. Loro capiscono solo i rapporti di forza. E possono farlo perché sanno di essere perennemente sponsorizzati (economicamente e politicamente) dagli americani, che hanno creato un mostro e ora non sanno come gestirlo. Esattamente come avevano fatto con Al-Qaeda, Isis, Isil e quant'altri.

Tutta la stampa benpensante italiana si è schierata con gli aggressori israeliani. Truppe israeliane si sono già posizionate attorno a Gaza pronte a invaderla. Nei soli primi 4 giorni di guerra, dall'11 al 14 maggio, vi sono stati 132 morti palestinesi e solo 8 morti israeliani. È un rapporto di 1 a 17: i nazisti si accontentavano di 1 a 10. Ora stanno per arrivare a 250, di cui almeno 1/4 minorenni.

Il giorno 14 l'aviazione e l'artiglieria israeliana hanno eseguito uno dei più pesanti bombardamenti mai fatti contro i palestinesi: 160 caccia bombardieri hanno sganciato 150 missili. Vi sono navi da guerra israeliane schierate nel Mar Mediterraneo, carri armati e caccia bombardieri di ultima generazione, il tutto fornito dagli Stati Uniti, pronti per l'invasione non appena verrà creato ad hoc il casus belli.

Da quando si è costituito lo Stato d'Israele, uno degli Stati più razzisti che si conoscano, paragonabile al Sudafrica (e non a caso entrambi sono il prodotto della mentalità aristocratica inglese), i palestinesi hanno avuto solo un momento di respiro: quello degli Accordi di Oslo del 1993, quando Israele riconosceva all'OLP il diritto di rappresentare il popolo palestinese e l'OLP riconosceva a Israele il diritto di esistere. Il premier Rabin e il suo ministro degli esteri Shimon Peres e Yasser Arafat ricevettero il premio Nobel per la Pace. Poi Rabin fu assassinato nel 1995 da un fanatico israeliano. Peres passò dal partito laburista a quello centrista guidato dal guerrafondaio Sharon e Arafat morì di una malattia nel 2004. Da allora la diplomazia non esiste più.

 

Importante art. su “Il Caffè Geopolitico” del 7 maggio riguardante il bracconaggio in Africa, il continente più colpito da pratiche di sfruttamento delle specie protette.

I vuoti legislativi lasciati dalla regolamentazione internazionale in materia e le lacune dei sistemi di sorveglianza soprattutto nei Paesi in via di sviluppo possono soltanto favorire le attività criminali.

D'altra parte il bracconaggio rappresenta una minaccia multidimensionale alla biodiversità, condizione fondamentale per la sopravvivenza dell'uomo. Dunque che fare?

La Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (un accordo internazionale fra Governi entrato in vigore nel 1975), vanta un'estesa copertura in termini di specie animali (5.800) e di specie di piante (30mila), ed è stata firmata da 183 Paesi che devono attenersi ai doveri derivanti dall'accordo ricevendoli nella propria legislazione nazionale.

Ma perché non funziona? Principalmente per tre motivi: 1) i milioni di specie non inserite nella Convenzione continuano a essere oggetto di attività illegali; 2) se i prodotti non vengono trasportati oltre confine, questi non godono di alcuna protezione, in quanto non si tratterebbe di commercio internazionale; 3) i mercati domestici di fauna e flora selvatica sono fuori dalla giurisdizione della Convenzione, dunque non è prevista alcuna sanzione per chi li pratica.

È per queste ragioni che, ad oggi, i crimini contro natura sono il quarto principale mercato criminale e ancora 7mila specie sono minacciate dal bracconaggio e dal commercio illegale.

Ovviamente i prodotti dominanti nel mercato nero sono cambiati nel tempo, a seconda delle esigenze dei Paesi più avanzati del mondo.

Seppur in lieve calo, i prodotti dominanti sul mercato nero di fauna e flora selvatica rimangono zanne di elefante, corna di rinoceronte, palissandro e squame di pangolino, ai quali si sono recentemente aggiunti in maniera preoccupante nuovi traffici riguardanti i rettili, i grandi felini e le anguille europee.

Purtroppo può accadere che alcuni prodotti, sebbene prelevati illecitamente, si inseriscano in mercati legali, contaminando l'offerta legittima di alcune industrie, come avviene per es. con il palissandro e le anguille europee.

Secondo le stime del World Wildlife Crime Report si parla di 157mila elefanti uccisi illegalmente in Africa tra il 2010 e il 2018, circa 17mila ogni anno, crimini da cui la più colpita è l'Africa australe. Il 75% dei rinoceronti viventi è invece concentrato nel solo Sud Africa, dove si è registrato l'86% dei sequestri a livello globale da parte delle autorità e dove, secondo gli ultimi dati rilasciati, nel 2019 sono stati uccisi illegalmente 600 rinoceronti.

È stato osservato che la corruzione è a tutti gli effetti un acceleratore dei crimini di natura, prendendo piede a ogni livello della catena di controllo. In un report del 2018, l'OCSE, analizzando i dati sulla corruzione in Kenya, Uganda, Tanzania e Zambia per contrastare il traffico illegale di fauna e flora selvatica, ha concluso che a essere coinvolti non sono solo gli agenti di polizia, ma anche il personale amministrativo dei rispettivi Governi, una parte dell'esercito e una piccola percentuale di ranger.

Da non sottovalutare poi il fatto che il traffico illegale di avorio e di corni di rinoceronte viene utilizzato come mezzo per finanziare le milizie armate e per sostenere le campagne del terrore in certe zone del continente africano.

Un altro aspetto riguarda le implicazioni del bracconaggio sull'ecoturismo. Un elefante lasciato nel proprio habitat vale circa 1,6 milioni di dollari in termini di entrate economiche derivanti dal turismo (circa 23mila dollari all'anno), di cui una parte viene reinvestita nelle comunità locali e nella conservazione della biodiversità.

 

[21] Israele e Gaza

 

Corposo articolo militare del sito “Analisi Difesa” sulla guerra in corso a Gaza. www.analisidifesa.it/2021/05/razzi-e-politica-nella-guerra-di-gaza-tra-hamas-e-israele/ Ne daremo qui solo un brevissimo cenno.

Il redattore ha dovuto convenire che l'offensiva con razzi e missili da parte dei militanti palestinesi di Hamas e della Jihad Islamica si è dimostrata molto più massiccia del previsto, come numero di ordigni e anche come raggio d'azione sviluppato, con gittate massime dell'ordine ormai dei 250 chilometri. Quindi ora sono in grado di colpire Tel Aviv, Gerusalemme, Ashkelon, Ashdod, Beersheba e Dimona (quest'ultima è il cuore del programma atomico militare e civile ebraico).

Una gittata da 250 chilometri è perfino sovrabbondante per le necessità dei palestinesi, poiché il territorio di Israele è talmente piccolo da ricadervi interamente. Da Gaza le massime distanze di territorio israeliano sono di circa 200-220 km in direzione Nord, verso la frontiera libanese, e verso Sud, fino al golfo di Eliat, mentre in direzione Est, già a una cinquantina di chilometri si è in Cisgiordania.

Questi missili, generalmente di provenienza iraniana, hanno un basso costo unitario, per cui se ne possono accumulare parecchi. Non si può sapere quanti ne abbiano: si sa solo che nella prima settimana della presente crisi, dal 10 al 17 maggio, ne hanno lanciati più di 3.000.

Il conflitto si colloca in una crisi politica senza precedenti sia in Israele, dove il governo di Netanyahu non riesce a trovare una maggioranza parlamentare alla Knesset, almeno non senza l'appoggio della destra estrema; sia in Palestina, dove Abu Mazen ha deciso di rimandare a data da destinarsi due scadenze elettorali per i palestinesi, che in pratica non vanno a votare da oltre 15 anni. La prima era per il 22 maggio (elezioni legislative); la seconda il 31 luglio (elezioni presidenziali).

Abu Mazen teme la preminenza del movimento Hamas, che domina la Striscia di Gaza, sul suo partito Fatah, più arroccato nei territori della Cisgiordania. Teme anche la candidatura “virtuale” di Marwan Barghouti, il rivale interno a Fatah di Mazen, che pur essendo in carcere in Israele da 20 anni, tanto da essere definito “il Nelson Mandela palestinese”, sta diventando la figura di riferimento di una lista di transfughi di Fatah in polemica col presidente in carica.

È quindi evidente che sia per Netanyahu che per Hamas fa comodo che la situazione sia estremamente conflittuale, anche se il motivo scatenante proviene, come al solito, dalle file israeliane, la cui destra fanatica ha voluto espellere alcune famiglie palestinesi da un quartiere di Gerusalemme Est. Di sicuro l'aggravarsi dello stato d'emergenza contribuisce a prolungare l'incarico di Netanyahu, giudicato l'uomo giusto per i casi di emergenza, non avendo scrupoli di sorta.

L'attività diplomatica di Israele coi palestinesi è stata di recente inversamente proporzionale a quella coi Paesi arabi. Infatti con gli “Accordi di Abramo” i sionisti sono riusciti a ottenere un certo consenso da parte di Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Sudan e Marocco. Fino al 1979 solo l'Egitto aveva riconosciuto Israele e fino al 1994 solo la Giordania.

Ora gli attuali scontri non possono che far comodo a chi si oppone a Israele, cioè Turchia e Iran, due Paesi che, quanto a democrazia, possono insegnare ben poco a Israele. Oggi comunque vi è una tregua da ambo le parti, dopo 11 giorni di guerra.

 

Una delle cose più curiose nelle affermazioni di chi sostiene gli israeliani contro i palestinesi è che non citano mai gli ebrei antisionisti, che pur sono esistiti sin dalle prime formulazioni di questa assurda ideologia nazionalistica.

Esistono comunità chassidiche antisioniste, che troviamo p.es. tra i Neturei Karta (discendenti da ebrei ungheresi e lituani trasferitisi in Palestina), per le quali gli ebrei non possono utilizzare forze umane per stabilire uno Stato ebraico finché non venga un nuovo messia davidico. Ciò significa che gli ebrei devono limitarsi a essere cittadini leali delle nazioni in cui vivono, senza cercare di anticipare la fine dell'esilio, che ha la caratteristica d'essere una forma di punizione divina per i peccati commessi nel passato.

L'idea sionista nasce in ambito protestante, quando si pensava che il ritorno degli ebrei in Terra Santa avrebbe accelerato la seconda venuta del Cristo. Era il frutto di un'alienazione religiosa: l'incapacità di essere se stessi in un contesto sempre più secolarizzato.

Il primo congresso sionista, organizzato a Monaco nel 1897, dovette riparare a Basilea dopo che le stesse organizzazioni ebraiche tedesche avevano chiesto al governo di vietarlo. Il sionismo infatti non voleva l'integrazione degli ebrei nelle società occidentali, meno che mai in quelle europee del XIX sec., che avevano concesso agli ebrei pieni diritti civili. Erano più gli ebrei dell'Europa orientale (Russia, Polonia, Lituania...) a chiedere di poter avere un proprio Stato: anche l'Uganda sarebbe andata bene.

Ma c'erano diversità anche sul piano religioso. Per il sionismo infatti ciò che più conta non è la prassi religiosa, ma l'appartenenza etnico-nazionale. Cosa che per i leader religiosi ebraici appariva come una bestemmia, proprio perché gli ebrei devono sentirsi un gruppo confessionale o spirituale, non una nazione separata.

Tuttavia il sionismo, per apparire accattivante agli occhi degli ebrei secolarizzati o meno religiosi, diceva di voler costruire uno Stato sulla base di princìpi laico-socialisti. Fu questo a convincere molti ebrei a desiderare una nazione separata in Palestina.

Ma il socialismo era solo un'infarinatura superficiale, che p.es. si poté vedere nei kibbutz sino alla fine degli anni '60 (oggi son tutti privatizzati). Nella sostanza Israele si è sempre configurato come un Paese capitalistico. Oggi poi ha come cultura dominante quella di una destra fascistoide e militarizzata, razzista e colonialista.

Purtroppo questo ebraismo fortemente nazionalista è largamente sostenuto dagli ebrei americani, poiché appare come l'unica espressione quotidiana di identità ebraica. Di qui gli enormi finanziamenti che elargiscono a Israele.

L'antisionismo (specie quello dei rabbini chassidici) è oggi assimilato all'antisemitismo. Qualunque critica rivolta agli ebrei che metta in discussione l'esistenza dello Stato di Israele o che faccia paralleli tra la situazione dei palestinesi e l'apartheid in Sudafrica viene bollata come una forma di antisemitismo. Paradossalmente è uno degli Stati più aggressivi al mondo che può decidere i criteri per definire quando una posizione politica o ideologica o etica o filosofica è antisemitica oppure no.

 

Gli islamici, arabi prima, poi turchi, han vissuto in Palestina per 1300 anni, e prima ancora c'erano i romani, pagani prima, poi cristiani. Gli ebrei sono stati cacciati definitivamente dai romani nel 135. Gerusalemme prese a chiamarsi Aelia Capitolina. Gli stessi ebrei, per insediarsi in Palestina, furono costretti a sterminare Cananei Filistei Gebusei ecc.

L'ONU ha compiuto un errore madornale a dare agli ebrei uno Stato a spese dei palestinesi. Non si è tenuto conto della storia. Quanto meno avrebbe dovuto chiedere prima ai diretti interessati se sarebbero stati d'accordo ad accogliere una presenza così ingombrante, senza lasciarsi condizionare né dai sensi di colpa dovuti all'olocausto né dalle idee bislacche dell'ideologia sionista, non condivise persino da molte frange ebraiche (che ancora oggi esistono).

Immaginiamo se lo stesso potere fosse stato dato ai bizantini di Istanbul di religione ortodossa, solo perché sono presenti in quella città dal 313 d.C. Ci saremmo messi a ridere, pur sapendo che i turchi son presenti in Turchia da solo mezzo millennio.

Immaginiamo gli italiani residenti in Corsica dai tempi della prima guerra punica fino a Carlo Magno. Poi di nuovo l'isola fu in mano ai toscani fino al 1284, quando, dopo una famosa battaglia navale, furono costretti a cederla ai genovesi, che la tennero fino al 1755. L'isola divenne indipendente grazie a un altro italiano, Pasquale Paoli, la cui cultura illuministica era napoletana. Dopodiché fu conquistata con la forza dai francesi.

Immaginiamo se gli italiani di oggi dicessero alla Francia: l'isola è stata nostra per quasi 2000 anni, siete pregati di restituircela e se non lo fate, veniamo a prendercela. Cosa risponderebbero i francesi? Eppure lo sanno tutti che, per quanto sia politicamente parte della Francia, l'isola è geograficamente, storicamente e culturalmente appartenente all'Italia. Potremmo forse pretendere l'isola pur sapendo che i corsi sono fieri della loro autonomia, che rivendicano persino nei confronti della Francia?

Dunque per quale motivo i palestinesi non possono dir nulla nei confronti degli israeliani?

Insomma dovrebbe essere l'ONU a risolvere un conflitto ch'esso stesso ha creato. Forse la soluzione migliore sarebbe quella d'imporre, almeno provvisoriamente, un unico Stato laico e aconfessionale, aperto a tutte le religioni, non disposto a finanziarne alcuna, nelle cui scuole pubbliche s'impara a convivere pacificamente. L'ipotesi dei due Stati oggi non ha più senso, anche perché la Palestina è divisa in tre territori separati: Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme est.

 

[22] Israele e Gaza, fine del conflitto. Identità di Hamas. Iron Dome

 

Dopo 11 giorni di guerra i palestinesi morti a Gaza sotto i bombardamenti israeliani sono stati 243, inclusi 66 bambini e 39 donne. I feriti sono 1910. Gli sfollati 60.000. Israele ha avuto 12 morti e centinaia di feriti. Le reazioni dei sionisti sono sempre sproporzionate.

Il cessate il fuoco reciproco e senza condizioni è avvenuto tramite la mediazione di Egitto e ONU. Netanyahu ha ringraziato Biden per l'appoggio dato al diritto di difendersi. Come noto gli USA rifiutano di considerare il partito Hamas un interlocutore.

I razzi lanciati da Gaza contro Israele sono stati 3.440, intercettati al 85-90% dal sistema di protezione Iron Dome: circa 500 sono ricaduti all'interno della stessa Striscia. Sotto i raid aerei sono finiti non solo i tunnel e i bunker di Hamas, ma anche l'unico laboratorio in funzione per l'analisi Covid dei tamponi (il virus ha già ucciso più di 930 persone a Gaza), la clinica di Medici senza frontiere, un orfanotrofio, un liceo femminile, gli uffici del ministero della Salute e la torre che ospitava Al Jazeera, la Associated Press e altri uffici di media internazionali (per le informazioni le ONG hanno sostituito i giornalisti). I soliti effetti collaterali, che Netanyahu giustifica ribadendo che Hamas “piazza deliberatamente obiettivi militari dentro la popolazione civile”. L'embargo e la segregazione in cui vivono da anni il palestinesi e la militarizzazione estrema di Israele si autoalimentano a vicenda senza fine.

Nella UE l'unica a non chiedere la fine delle ostilità è stata l'Ungheria di Viktor Orbán.

Intanto sul fronte dell'Autorità Palestinese la leadership del presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen), che guida il partito di al-Fatah e che è al governo in Cisgiordania dal 2005, si sta sgretolando sempre più, anche a seguito del recente conflitto. Questo per dire che i palestinesi non vogliono sentirsi delle pecore nei confronti di Israele. Non a caso Abu Mazen viene additato di “collaborazionismo” con Israele, anche perché il 29 aprile ha deciso di rinviare a data da destinarsi le elezioni generali per il Parlamento palestinese, il presidente dell'Autorità palestinese e il Parlamento dell'Olp, che si sarebbero dovute tenere in questo mese e a giugno dopo oltre 15 anni. Il presidente aveva giustificato il rinvio, dicendo che “gli israeliani non hanno concesso il permesso di votare nel distretto di Gerusalemme Est”. Ma non è escluso che Abu Mazen tema la fine della sua carriera a tutto vantaggio di Hamas.

Questo per dire che il conflitto non ha favorito gli elementi moderati della politica palestinesi ma quelli radicali, che l'occidente definisce con la parola “estremisti”, se non addirittura “terroristi”, come se la democrazia esistesse solo in Israele, e come se solo Israele abbia il diritto di difendersi, mentre i palestinesi hanno solo il dovere di subire la progressiva espropriazione delle terre da parte dei coloni.

 

Hamas è l'acronimo del Movimento di Resistenza Islamica, che si ispira ai Fratelli Musulmani. La sua fondazione risale al 1987, con la prima Intifada. In quanto organizzazione religiosa islamica di carattere paramilitare e politico, viene considerata un gruppo terroristico da Israele e dai Paesi occidentali.

In realtà la sua origine risale agli anni '70, quando lo sceicco Ahmed Yassin fondò la sezione palestinese dei Fratelli Musulmani, nati negli anni '20 in Egitto. Il suo obiettivo è sempre stato quello di riconquistare i territori occupati da Israele nella guerra dei Sei giorni del 1967, utilizzando la lotta armata, e di costituire uno Stato islamico in tutta la Palestina storica, quella delimitata dai confini antecedenti al 1948. Nel programma di Hamas figura anche l'obiettivo di distruggere Israele.

Sono due fondamentalismi religiosi che si fronteggiano. Parteggiare per l'uno o per l'altro non ha senso da un punto di vista laico. Storicamente tuttavia è indubbio che Israele rappresenta l'aggressore e la Palestina islamica la vittima. Se ci pensiamo Israele è la prosecuzione dell'imperialismo occidentale (anglo-francese prima, statunitense poi) in Medioriente, che ha iniziato a manifestarsi sin dalla fine della prima guerra mondiale, quando si sfasciò l'impero turco e si scoprì l'importanza del petrolio.

La prima Intifada fu guidata dall'Olp, l'organizzazione politica per la liberazione della Palestina, il cui leader era Yasser Arafat. Durò oltre 5 anni. Alla fine i negoziati di Oslo definirono il ritiro degli israeliani da Gaza e dalla Cisgiordania e il riconoscimento dell'Olp come interlocutore del governo israeliano. L'Olp dovette naturalmente riconoscere il diritto a esistere di Israele e rinunciare all'Intifada. Nacque così l'Anp (Autorità nazionale palestinese), presieduta da Arafat.

Non rinunciò però alla lotta armata Hamas che, con l'ala militare delle Brigate Ezzedin al-Qassam, negli ultimi tre decenni, attaccò ripetutamente Israele.

Nel settembre 2000 iniziò la seconda Intifada: quasi la metà di tutti gli attacchi compiuti contro Israele vedono come autori i miliziani di Hamas e delle brigate al-Qassam.

Nel 2004 muore Arafat e viene ucciso dagli israeliani lo sceicco Yassin. Il successore di Arafat, Abu Mazen, è critico della rivolta armata: ne condivide i fini politici (la fine dell'occupazione israeliana), ma ritiene che il prezzo pagato sia eccessivo.

Tuttavia nel 2005 Ariel Sharon, premier israeliano, si arrende alla rivolta palestinese e ordina il ritiro da Gaza di 8.000 coloni.

Nel 2006 Hamas vince le elezioni politiche nei Territori palestinesi e Ismail Haniyeh, attuale leader di Hamas, viene nominato primo ministro dall'Anp.

Fatah, partito più moderato che controlla invece la Cisgiordania, cerca di mettere il bastone fra le ruote al nuovo governo e nel 2007 scoppia la guerra civile di Gaza, coi membri di Fatah che vengono espulsi dalla Striscia insieme al loro leader Abu Mazen. Quindi i due movimenti si dividono i due territori della Palestina.

Da allora Hamas ha continuamente rafforzato il proprio potere nella Striscia e nel 2012 ha ottenuto un successo prestigioso imponendo a Israele uno scambio di prigionieri: mille detenuti palestinesi in cambio del caporale israeliano Ghilad Shalit.

In seguito alla Primavera araba l'isolamento internazionale di Hamas è andato però crescendo (particolarmente grave la rottura con l'Egitto di al-Sisi). Da qui la decisione, nel 2014, di sostenere insieme con Fatah un governo di riconciliazione nazionale.

Nello stesso anno però Israele scatena contro Hamas l'operazione “Margine di Protezione”, poiché non sopporta il lancio dei missili. Fu un disastro per Gaza: oltre 2.000 morti di cui oltre 500 i bambini. Tra gli israeliani solo 66 soldati e 5 civili,

All'interno di Hamas vi sono diverse anime politiche: una più moderata, vicina al Qatar; l'altra più radicale, vicina all'Iran. Hamas comunque non controlla completamente la Striscia. Infatti vi sono altri gruppi di miliziani armati, a volte alleati e a volte ostili ad Hamas. Il Jihad Islamico è il più grande di questi gruppi e pare che abbia circa 10.000 affiliati.

Le armi a Gaza giungono da Iran, Siria ed Egitto e dalla produzione locale. Qualcosa anche dalla Russia.

Israele ottiene armi soprattutto dagli USA, ma anche dall'Italia, primo fornitore UE, poi da Germania, Francia e Regno Unito. Non sono mai stati fatti embarghi internazionali sulle armi che giungono ai due Paesi.

 

Israele è difeso da una cupola di ferro. Lo spiega bene il sito “Analisi Difesa” www.analisidifesa.it.

Grande protagonista degli scontri di questo mese, come in precedenti occasioni, si è confermato il sistema antibalistico israeliano a breve raggio, chiamato Iron Dome, cioè “cupola di ferro”, realizzato dal colosso dell'industria militare israeliana Rafael, ed entrato in servizio nel 2011. È attualmente efficiente per l'85-90%, cioè da 10 a 15 ordigni nemici ogni 100 presi di mira dal sistema possono raggiungere città e installazioni ebraiche. Senza poi considerare che il sistema prende di mira solo i missili lanciati su obiettivi sensibili ed è posizionato solo per colpire i missili provenienti da Gaza.

Ovviamente Israele non ha solo questo tipo di difesa, anche perché Iron Dome si limita a intercettare oggetti volanti di piccole dimensioni e anche di limitato sviluppo di volo (da un minimo di 4 e un massimo di 70-72 km dalla posizione della batteria). È cioè rivolto a razzi, missili o anche granate di mortaio. Non è in grado d'intercettare ordigni che provengano da una distanza inferiore a 4 km e che abbiano un tempo di volo inferiore a 28 secondi.

Il grosso della sua realizzazione è stato finanziato dal più potente alleato d'Israele, gli Stati Uniti, per un totale calcolato in un miliardo di dollari, secondo dati ufficiali. Tutta la difesa israeliana è finanziata soprattutto dagli USA. Anche perché costa l'ira di Jahvè: ogni missile dell'Iron Dome va dai 40.000 ai 100.000 dollari, laddove il prezzo di ogni razzo sparato dai gruppi palestinesi si aggira sui 1.000-5.000 dollari.

Ma la cosa più curiosa è che gli americani vogliono testare proprio attraverso le guerre d'Israele (che dal 1948 non sono mai finite) l'effettiva efficacia della cupola di ferro, onde verificare se un analogo sistema può funzionare nel proprio territorio, che però ha un'estensione colossale. Ecco perché una prima batteria di Iron Dome è già stata consegnata agli USA e attivata alla base di Fort Bliss alla fine del 2020, e nei prossimi mesi dovrebbe essere consegnata una seconda batteria.

Per combattere i palestinesi Israele non ha altre armi che l'uso delle armi. 4000 anni di cultura ebraica buttati nella Geenna.

 

[23] Il futuro dell'Artico. Se fossi un ebreo

 

Oggi l'attenzione per il continente Artico muove gli interessi economici e commerciali (ma pure energetici) delle grandi potenze mondiali.

Con l'innalzamento delle temperature del pianeta i ghiacciai si stanno sciogliendo e chi fa affari non vede in questo un problema ambientale, ma un'occasione da sfruttare.

Si stima infatti che l'Artico racchiuda il 40% delle riserve mondiali di combustibile fossile, che detenga il 15% delle risorse ittiche globali e che conservi elevatissime scorte di minerali, compresi quelli che vengono definiti “Terre rare” o Rare Earth Elements (17 elementi della tavola periodica che sono essenziali per la produzione dei componenti di veicoli ibridi o fibre ottiche).

Inoltre lo scioglimento dei ghiacciai sta rendendo possibile la navigazione di rotte commerciali prima non considerate: la Rotta Transpolare, il Passaggio a Nord-Est (PNE) e il Passaggio a Nord-Ovest (PNO). Queste rotte hanno la minor distanza da percorrere rispetto ai tragitti canonici utilizzati per il commercio internazionale, e in più non soffrono di problemi come instabilità politica, terrorismo e pirateria.

La rotta PNO collega Oceano Atlantico a Oceano Pacifico attraverso miriadi di isole artiche canadesi e il Mar Glaciale Artico: il risparmio è di 4mila km rispetto alla tratta passante dal Canale di Panama, il quale peraltro richiede che le navi non superino i 294 metri di lunghezza, i 32 di larghezza e le 52 tonnellate di portata lorda.

Per quanto riguarda il PNE, che collega Atlantico e Pacifico attraverso i Mari di Barents, Kara, Laptev, Siberiano occidentale, passando vicino alle coste norvegesi e russe mediante quella che è chiamata la Northern Sea Route, si è stimato un risparmio in termini di percorrenza marittima dal 20 al 40% per i traffici diretti in Asia.

Infine la Rotta Transpolare (TSR) che porta dal Nord del Pacifico fino in Islanda, passando dallo Stretto di Bering, dal Polo Nord e dallo Stretto di Fram. L'Islanda, con la sua Baia di Finnafjord, ice-free tutto l'anno, diventerà molto importante. Quando non occorreranno più i rompighiaccio per attraversarla, la via sarà molto apprezzata, poiché non dovrà passare per la Russia, sottostando ai suoi dazi e alla sua burocrazia. Ricordiamo che la Russia possiede la più estesa costa artica al mondo e che circa il 40% del PIL nazionale arriva dalle risorse del Circolo Polare Artico.

La “corsa all'Artico” non coinvolgerà soltanto i Paesi che rivendicano la sovranità su porzioni dell'Artico invocando una causa territoriale (Russia, Canada, Stati Uniti, Paesi scandinavi, Islanda, Groenlandia), ma tutto il mondo, che chiederà di conservare il connotato internazionale di questi luoghi, come avviene per l'Antartide, che non è soggetta alla sovranità di alcuno Stato. Anche se il Polo Nord, a differenza del Polo Sud, è mare ghiacciato circondato da terra, e non terra circondata da mare.

 

Se fossi un ebreo di un qualunque Paese del mondo mi guarderei bene dal criticare Israele. Saprei benissimo che occupa abusivamente i territori palestinesi e che usa metodi spropositati quando compie operazioni militari contro di loro, che ovviamente cercano di difendersi. E tutti sanno che senza l'appoggio incondizionato di americani ed europei non potrebbe comportarsi così.

Ma saprei anche che per un ebreo è sempre meglio avere uno Stato che non averlo, perché se mai dovesse succedermi qualcosa di molto grave là dove vivo, potrei sempre rifugiarmi sotto le ali protettive di Israele, che a nessun ebreo negherebbe ospitalità. È vero, il 60% del suo territorio è desertico, per cui man mano che la popolazione cresce ha sempre bisogno di nuove terre, ma il nostro popolo è intelligente: saprà far crescere delle piante anche sulla sabbia. Ah se avessimo avuto uno Stato quando nel passato i cattolici o i nazisti ci perseguitavano!

Ecco perché non dico niente quando vedo che si comportano come bestie coi palestinesi. Ecco perché li finanzio quando vedo che sono in difficoltà. So benissimo di rappresentare le sofferenze di tutti quanti su questo pianeta vorrebbero vivere altrove e non possono farlo.[3]

 

[24] Tassa di successione per aiutare i giovani

 

Il PD ha proposto una redistribuzione di risorse (10mila euro) a favore della metà dei diciottenni italiani (circa 280mila), da finanziarsi non a debito ma con un aumento della tassa di successione/donazione, che toccherebbe le eredità milionarie, quelle dell'1% degli italiani. Quindi il costo complessivo sarebbe di circa 2,8 miliardi annui. La dote, data sulla base dell'Isee familiare, dovrà essere spesa per motivi specifici: formazione e istruzione; lavoro e piccola imprenditoria; casa e alloggio. Da notare che il PD vuol mettere a 18 anni l'obbligatorietà agli studi e ritiene indispensabile favorire l'accesso ai mutui-abitazione per chi non ha genitori in grado di fornire garanzie.

Alla base di questo intervento è prevista una revisione in senso progressivo delle aliquote su successioni e donazioni superiori a 5 milioni, allineandosi ai parametri fiscali europei. Cioè si manterrebbe la franchigia fino a 1 milione di euro, si lascerebbe l'aliquota al 4% per eredità o donazioni di parenti stretti tra 1 e 5 milioni di euro e la si porterebbe al 20% per le eredità superiori a 5 milioni di euro, per la parte eccedente tale soglia.

Se ci pensiamo è una scemenza, nel senso che si potrebbe fare molto di più per i nostri giovani in un Paese di vecchi come il nostro. Oggi, infatti, dalle tasse di successione l'Italia incassa solo 800 milioni contro i 6 miliardi della Gran Bretagna, i 7 miliardi della Germania e i 14 miliardi della Francia. Questo perché l'aliquota di tassazione per eredità o donazioni superiori a 5 milioni di euro tra genitori e figli, è attualmente tra le più basse d'Europa: il 4%. In Germania è al 30%, in Spagna al 34%, in Gran Bretagna il 40%, in Francia il 45%. Se poi andiamo in Giappone e in Sudcorea (che certo poveri non sono) si arriva al 50-55%.

Quindi, volendo, potremmo addirittura prevedere nessuna tassazione per i patrimoni fino a 500mila euro, un'imposta del 5% tra i 500mila e 1 milione di euro, poi un'aliquota marginale del 25% tra 1 e 5 milioni di euro, e infine del 50% per quelli superiori ai 5 milioni (naturalmente scatta l'aliquota più alta solo per la parte di reddito superiore, cioè se una persona eredita 600mila euro non paga niente sui primi 500mila e pagherebbe il 5% sui restanti 100mila).

Dire che “non è il momento di tassare” è ridicolo in questo specifico caso. Temere che questi super ricchi, per non pagare questa nuova tassa, portino i soldi in qualche paradiso fiscale, è legittimo, ma allora vorrà dire che i controlli dovranno essere più severi e punitivi, anche perché l'evasione ed elusione fiscale è una costante nel nostro Paese. La destra, che si vanta di avere un'identità cattolica, è penosa: difende la ricchezza acquisita contro i giovani, salvo poi chiedere ai giovani un voto per avere un governo autoritario.

 

[25] La ricchezza degli italiani

 

Gli italiani, che pur non hanno il senso dello Stato e che si fidano dei politici cialtroni, finanziariamente non se la passano male. Questo perché vi è una grande diffusione della proprietà dell'abitazione, un basso livello di debiti privati (pur contrapposto a un alto debito pubblico) e un'attitudine forte al risparmio. La ricchezza del cittadino italiano “medio”, pari nel 2016 a 143mila euro, è tra le più elevate al mondo. Ancora più forte è la differenza rispetto agli altri Paesi se si guarda il rapporto tra la ricchezza netta privata e il reddito nazionale: siamo circa al rapporto di 1 a 7 (per ogni euro guadagnato ce ne sono 7 di ricchezza accumulata), mentre lo stesso rapporto è attorno a 6 nel Regno Unito e in Francia, 5 in Germania, poco più di 4 negli Stati Uniti.

Il problema semmai è che questa ricchezza è sempre più concentrata in poche mani. Se si va a guardare dentro la media, si scopre che la disuguaglianza in ricchezza è molto più forte di quella dei redditi. Le disuguaglianze sono tra ceti sociali: l'indice di Gini, che misura la concentrazione della ricchezza, in Italia è aumentato di quattro punti dal 1991 al 2016. Durante la crisi dei subprime cominciata nel 2008 la ricchezza media degli italiani è scesa del 15%, mentre quella dei 10 italiani più ricchi è aumentata dell'83%. L'1% più ricco della popolazione possiede il 15% della ricchezza totale.

La disuguaglianza di ricchezza spacca le generazioni, a beneficio dei più anziani, che han guadagnato, mentre gli under 40 han perso. Non solo, ma negli stessi decenni in cui le disuguaglianze aumentavano, gran parte del mondo ricco procedeva a ridurre le imposte sulle successioni e sulle donazioni in famiglia. In Italia le imposte di successione, abolite del tutto dal governo Berlusconi nel periodo 2001-2006, son tornate in forma minima. La percentuale massima del valore tassato in Italia è del 4%, rispetto a una media Ocse del 15% e al 40% nel Regno Unito e negli Stati Uniti (in Francia è del 45%).

Insomma la ricchezza di famiglia conta sempre di più e plasma i destini delle generazioni future assai più di quanto accadesse in passato. Chi nasce nella “classe povera” ha il 32% di possibilità di non affrancarsi dalla sua condizione. Chi nasce in quella ricca il 38% di restarci. I più giovani sono più poveri dei loro genitori e nonni; ma quel che ricevono dai loro genitori e nonni è sempre più importante.

Le donazioni e i lasciti ereditari permettono alle disuguaglianze di ricchezza di cristallizzarsi nel tempo e di crescere. Ecco perché la proposta del PD di tassare le successioni di un certo importo va approvata.

Avremo figli viziati, perché non sanno cosa vuol dire sacrificarsi per ottenere sicurezza economica, ma avremo anche figli violenti, che per superare le loro ristrettezze rinunceranno a ogni scrupolo. E se un viziato incontra un povero con atteggiamenti aggressivi, che fa? Mette mano al portafoglio o si difende a spada tratta?

 

[26] Israele e Palestina

 

Com'è noto, gli ebrei sono sparsi in tutto il mondo a causa della cosiddetta diaspora, iniziata quando nel 70 d.C. l'imperatore Tito conquistò Gerusalemme, poi completamente distrutta dall'imperatore Adriano nel 135. Già prima di queste date moltissimi ebrei vivevano lontani dalla Palestina, ma solo coi Romani persero il diritto di vivere a Gerusalemme, che infatti fu chiamata Aelia Capitolina.

Gli ebrei sono stati criminalizzati per due millenni dal cristianesimo, che li ha considerati un popolo deicida, accusa eliminata solo col Concilio Vaticano II negli anni '60. In Europa gli ebrei sono stati costretti a vivere nei ghetti e obbligati a svolgere solo certe attività, sono stati oggetto di pregiudizi e di false accuse, sono stati linciati e uccisi in massa nei pogrom. Con l'avvento del nazifascismo, che promulgò le leggi razziali e affermò la supremazia dell'inesistente razza ariana, ebbe luogo la Shoah.[4]

Nel Medioevo gli ebrei furono particolarmente vessati dall'Inquisizione e costretti a convertirsi al cattolicesimo, per essere poi cacciati nel 1492 dal regno di Castiglia e Aragona, nel 1496 dal Portogallo, nel 1540 dal regno di Napoli e così via. Nella Russia meridionale gli ebrei Cazari arrivarono a costituire un principato durato fino all'invasione mongola del XII sec.

Secondo molti storici nei domini arabi e islamici gli ebrei si trovavano in condizioni migliori rispetto a quelle nelle nazioni europee, benché fossero obbligati a pagare una tassa speciale e non potessero muoversi liberamente.

A partire dal 1870 in Europa gli ebrei cominciarono a prendere coscienza dei loro diritti e a organizzarsi per ottenere il pieno riconoscimento politico e civile. In Russia solo col potere sovietico furono equiparati agli altri cittadini.

È in questo contesto che sorge il sionismo (da Sion, altura su cui fu fondata Gerusalemme), una corrente politico-religiosa che sostiene la costituzione di uno Stato ebraico autonomo con lo scopo di allontanare gli ebrei da persecuzioni e pregiudizi. Alla fine del XIX sec. comincia la migrazione ebraica verso la Palestina.

I sionisti ottengono buona parte della Palestina dai britannici, i quali però contemporaneamente l'avevano promessa, falsamente, agli arabi in cambio del sostegno dato da questi ultimi alla sconfitta dell'impero ottomano, che la occupava. Infatti nel 1916 gli inglesi, segretamente, avevano stipulato coi francesi l'accordo di Sykes-Picot con cui spartirsi tutto il Medio Oriente. Dalla fine della I guerra mondiale al 1948 la Palestina rimase sotto il mandato britannico: ne aveva bisogno perché il petrolio rubato all'Iraq veniva trasferito in occidente e in Africa passando per il Mar Rosso.

Un passo importante per i sionisti fu fatto con la dichiarazione Balfour del 1917, in cui è delineata la spartizione dell'impero ottomano alla fine della I guerra mondiale. Si tratta di una lettera, scritta dal ministro degli Esteri inglese Arthur Balfour e inviata a Lord Lionel Rotschild (significativo esponente della comunità ebraica inglese e del movimento sionista), in cui si sostiene che il governo britannico non avrebbe ostacolato la creazione di una sede nazionale per il popolo ebraico in Palestina, se fossero stati garantiti i diritti delle altre minoranze ivi stanziate da secoli.

Tuttavia già negli anni '20 la situazione in Palestina si era fatta esplosiva, poiché i sionisti lì trasferiti costituirono gruppi militari che organizzavano attacchi e sabotaggi contro i palestinesi residenti e contro gli stessi amministratori britannici, al fine di accelerare l'emigrazione ebraica, altrimenti sarebbe stato impossibile creare un vero e proprio Stato ebraico.

Gli stessi colonialisti britannici immaginavano che per mezzo dei sionisti avrebbero potuto continuare a controllare quella regione importantissima dal punto di vista strategico e delle risorse energetiche. Ma la situazione per loro divenne ben presto ingestibile, per cui rinunciarono al mandato colonialistico.

E così il 29 novembre 1947 con la risoluzione n. 181 l'ONU decise la spartizione della Palestina, disegnata da una commissione speciale, col voto favorevole di 33 Stati, quello contrario di 13 (tra cui la Jugoslavia che prevedeva una soluzione federativa) e 10 astensioni. Allo Stato ebraico fu assegnato il 56% del territorio, benché in molti casi gli ebrei restassero una minoranza, nonché ampie regioni disabitate e desertiche per fare spazio a quelli che sarebbero arrivati successivamente.

Ai palestinesi veniva attribuita la parte restante della regione, in cui avrebbero dovuto istituire il loro Stato. Gerusalemme sarebbe stata posta sotto il controllo delle Nazioni Unite. I britannici dovevano andarsene entro il 1° agosto del 1948.

Non solo nessun Paese islamico accettò tale soluzione, ma neppure una parte dei sionisti, poiché non volevano che si costituisse uno Stato palestinese in una terra che apparteneva, secondo loro, da tempi ancestrali agli ebrei.

Ecco perché è nata una strategia espansionistica da parte dei sionisti, che sta provocando il genocidio dei palestinesi e creando una situazione di cronica instabilità in Medio Oriente.

Lo Stato ebraico ricevette anche l'appoggio dell'URSS, che gli fornì armamenti e dette impulso all'emigrazione degli ebrei dall'Europa orientale, che in pochi anni in 300.000 raggiunsero quelle terre. La prima conseguenza di questa crescita demografica fu l'espulsione di circa 700.000 palestinesi, cui è sempre stato rifiutato il diritto a tornare nella loro patria. Dal 1948 ad oggi i palestinesi han perso tutte le guerre e sommosse varie, con conseguenze catastrofiche per la loro libertà di movimento e la loro sopravvivenza materiale.

È stato indubbiamente un grave errore da parte dell'ONU far pagare ai palestinesi, senza nemmeno consultarli, l'onere dei misfatti e delle violenze compiuti dall'occidente nei confronti degli ebrei. Semmai avrebbe dovuto essere la Germania a donare loro un lembo della sua terra a scopo di risarcimento.

Resta comunque un fatto che Israele non ha mai riconosciuto le risoluzioni delle Nazioni Unite prese a difesa dei palestinesi, per cui continua a violare in maniera arrogante il diritto internazionale, privando gli arabi delle loro case, i cui titoli di proprietà risalgono all'epoca dell'impero ottomano. E lo fa senza rispettare alcuna proporzione tra gli attacchi palestinesi e le sue reazioni militari, ampiamente sostenute dagli Stati Uniti, che si sono praticamente sostituiti al Regno Unito.

Oggi la popolazione di Gaza vive nel più grande carcere a cielo aperto del mondo. Altri palestinesi vivono in Cisgiordania. Ed entrambi i gruppi sono collocati in una sorta di bantustan tra loro incomunicabili. Creare uno Stato in queste condizioni è impossibile. Persino Gerusalemme est è tenuta separata con un muro di 730 km dalla Cisgiordania.

Nel complesso circa 5 milioni di palestinesi vivono separati tra loro, sono privati della gestione autonoma delle loro risorse e sono controllati da uno degli eserciti più potenti al mondo.

Infine è bene ricordare che Israele è uno Stato teocratico, che si è dotato di una Legge fondamentale nel 2018 secondo cui Israele è “Stato nazionale del popolo ebraico e di nessun altro”: è il luogo deputato all'autodeterminazione solo degli ebrei. Gli arabo-israeliani che vivono in Israele sono cittadini di seconda categoria.

 

[27] Israele e Palestina

 

Lungo art. condivisibile del sito ilpost.it sulla situazione in Israele e Palestina.

A quanto pare se è vero che i sionisti vincono tutte le guerre coi nemici esterni, è anche vero che i 2 milioni di arabo-israeliani che hanno al loro interno stanno cominciando a diventare un serio problema. A fronte della decisione presa dal governo nazionalista di destra di Netanyahu nel 2018 di considerare Israele, per legge, uno Stato esclusivamente ebraico, loro si sono stufati d'essere considerati cittadini di seconda categoria. E hanno cominciato a protestare con scioperi generali non solo contro gli sfratti a Shiekh Jarrah e i bombardamenti sulla Striscia di Gaza, ma anche contro le politiche discriminatorie nei loro confronti.

Israele li teme perché sono il 20% della popolazione e il loro indice di crescita demografico non è certo inferiore a quello ebraico. Inoltre è la prima volta che palestinesi della Striscia e della Cisgiordania e arabo-israeliani han trovato ragioni per protestare insieme contro Israele. Infatti nel corso degli ultimi decenni queste comunità, separate geograficamente, sono state sottoposte a regole diverse, e governate da entità diverse, spesso in competizione tra loro.

Nella Striscia di Gaza non abitano cittadini israeliani. È un'area separata dal resto dei territori palestinesi, occupata da Israele durante la Guerra dei Sei giorni (1967), sottraendola al controllo egiziano, e tenuta in stato di occupazione fino al 2005, quando Israele decise unilateralmente di smobilitare le sue colonie e ritirare i militari. Il che non vuol dire che non la controlli in modo asfissiante.

Anzi, quando nel 2007, al termine di una guerra civile per il controllo di Gaza, il gruppo radicale Hamas (guidato da Ismail Haniyeh) riuscì a cacciare dalla Striscia la fazione più moderata (al-Fatah), Israele impose sulla Striscia un rigidissimo embargo, che dura ancora oggi ed è considerato “disumano” da moltissimi osservatori.

La Cisgiordania, che si estende da Gerusalemme fino alla sponda occidentale del fiume Giordano, fu anch'essa occupata da Israele nel 1967 (poi parzialmente ceduta ai palestinesi con gli accordi di Oslo del 1993). Prima della guerra era sotto il controllo del governo giordano e abitata per lo più da persone di etnia araba. Invece dopo la guerra Israele cominciò a fondarvi senza sosta insediamenti civili di coloni ebrei. Formalmente è governata dall'Autorità Palestinese, in cui prevale il partito moderato Fatah, ma Israele mantiene diversi importanti poteri, tra cui il controllo militare di buona parte del territorio. Per questo il recente conflitto ha fatto capire che il partito Hamas è più importante del partito Fatah, con cui la rivalità dal 2007 non è mai finita.

Anche Gerusalemme est è occupata in gran parte militarmente da Israele dal 1967, ed è separata dal resto della Cisgiordania da un muro costruito dagli israeliani per proteggere i propri insediamenti. È militarizzata come poche metropoli al mondo (d'altra parte Israele è uno dei rarissimi Paesi occidentali ad avere un servizio di leva obbligatorio). Nella parte ovest è sede delle principali istituzioni israeliane come la Knesset (il parlamento), e i vari ministeri. Nessun governo al mondo ha qui la propria ambasciata, eccetto gli USA.

Gli abitanti della parte est non sono cittadini israeliani, ma hanno un diritto di residenza permanente: questa situazione consente loro di avere una vita più facile dei palestinesi che abitano in Cisgiordania, anche se il trattamento resta sempre discriminatorio rispetto agli ebrei.

Gli arabo-israeliani che vivono in Israele discendono per lo più dai palestinesi che abitavano in Palestina prima della nascita dello Stato d'Israele, nel 1948: sono cittadini israeliani a tutti gli effetti, e quindi possono votare o essere votati alle elezioni che si tengono in Israele. Il loro cartello elettorale fatto da diversi partiti, la Lista Comune, da diversi anni riesce regolarmente a entrare in Parlamento, ma non ha mai fatto parte di alcun governo.

In Israele negli ultimi due anni si sono tenute ben quattro elezioni parlamentari, nessuna delle quali ha prodotto una maggioranza stabile. Il premier Netanyahu è in carica ormai da 12 anni, ma è sempre più logorato dai processi per corruzione in corso e dall'assenza di una forte maggioranza politica che lo sostenga. In tutti i suoi ultimi governi è stato ostaggio degli interessi dei partiti della destra nazionalista religiosa, che peraltro sono riusciti a spostare verso destra il dibattito pubblico israeliano.

A breve si dovrà votare per eleggere il nuovo presidente della Repubblica: è lui che assegna personalmente il mandato di primo ministro. In questi anni il presidente Reuven Rivlin, un conservatore moderato, ha rappresentato un discreto contraltare alla svolta a destra dei governi di Netanyahu. Non è chiaro cosa potrebbe accadere se fosse sostituito da un politico con posizioni più radicali.

In Palestina invece le ultime elezioni presidenziali si sono tenute nel 2005, mentre le ultime parlamentari nel 2006 (e il loro esito ha prodotto una sanguinosa guerra civile tra Hamas e Fatah). Le lungaggini sono attribuite soprattutto all'Autorità Palestinese, una forma “embrionale” di Stato palestinese con un proprio governo e parlamento, che dal 2005 governa la Cisgiordania. Il gruppo dirigente dell'Autorità Palestinese, guidato da Abu Mazen, è ancora quello che ruotava attorno al leader Yasser Arafat, morto nel 2004: è composto soprattutto da uomini molto anziani, ormai poco a contatto con l'elettorato palestinese, eppure assai restii a cedere il proprio potere. Preferiscono un compromesso con Israele, che però in definitiva risulta perdente, in quanto non riesce a frenare la colonizzazione degli israeliani.

È evidente infatti che la destra israeliana vuole occupare tutta la Cisgiordania e Gerusalemme Est.

 

[28] Il futuro dell'Africa

 

Su africa-express.info Marcello Ricoveri, africanista da sempre, ha scritto un importante articolo sull'Africa, di cui qui riportiamo alcune tesi.

La totalità degli attuali Paesi africani ha subìto un'occupazione straniera: chi sotto forma di colonia, chi di protettorato. Alcuni per 5 anni, altri per decenni, altri ancora per secoli.

Le culture originarie africane hanno reagito all'impatto con la cultura occidentale dominante, disgregandosi, decadendo e a volte estinguendosi. Anche dopo la fine del dominio straniero vari Paesi africani non sono stati in grado di avviare un vero processo di decolonizzazione, né sul piano culturale, né su quello tecnologico, né su quello politico-sociale.

Oggi resta soltanto un generico rigetto delle proprie radici socioculturali che non aiuta a ritrovare quello spirito comunitario indispensabile a costruire delle vere comunità nazionali.

Gli africani hanno avuto per millenni un'abbondanza tale di risorse naturali da considerarle inesauribili. Questo spiega l'atteggiamento odierno più propenso allo sfruttamento e allo spreco che al risparmio e all'eco-trasformazione di tali risorse.

Altro fatto comune è la conservazione assurda delle frontiere coloniali, stabilite dagli europei senza considerare le realtà socioeconomiche e culturali preesistenti.

Sul piano socio-politico esistono in Africa solo sistemi falsamente democratici, che vanno dall'assoluto dispotismo di maggioranze fasulle, a forme di democrazia formale in cui gli schemi di verifica e consultazione popolare si riducono a trionfi delle formalità, sceneggiate teatrali senza contatto con la realtà. Mancano sia l'adesione culturale delle masse, sia la conoscenza approfondita dei meccanismi democratici, sia una vera partecipazione popolare alla politica dei vari Paesi. Il voto si orienta prevalentemente su basi etniche, tribali, claniche.

L'Africa è un continente geografico in cui la storia non è riuscita a produrre o a valorizzare alcuna omogeneità culturale, se non quella linguistica, che però è stata introdotta dalle colonie (dominano inglese e francese). Le unità statuali o le forme istituzionali del potere politico ricalcano quelle stabilite ai tempi di Bismarck, dalle ex potenze coloniali.

In Africa, a differenza di quanto avvenuto in altri continenti, le distanze tra gli europei colonizzatori e i gruppi o le tribù esistenti in loco da secoli, se non da millenni, sono state enormi e quindi profondissime le disparità, le contraddizioni.

Lo stesso disastro, causato dal “progresso”, è accaduto alle civiltà amerindie, agli Aztechi, ai Maya, agli Incas, agli Indios dell'Amazzonia, agli Aborigeni australiani, agli Ottentotti e ai Boscimani, ai Berberi, agli Etiopi, ai Meroitici... In tutto il mondo si è affermato una sorta di monoculturalismo europeo, bianco, cristiano-borghese, razzista.

Si continua a dire che i conflitti interni al continente africano dipendono da rivalità etniche o tribali, ma sono tutti causati da dinamiche colonialistiche, che sussistono ancora oggi, seppur in altre forme e modi (più economico-finanziari che politico-militari).

L'assenza di un vero processo di decolonizzazione ha fatto sì che le vecchie potenze coloniali, cui se ne sono aggiunte di nuove (cino-arabe-indiane), senza trascurare gli USA, abbiano mantenuto un'economia di sfruttamento industriale delle materie prime. Non è cambiata la finalità ma solo la metodologia e la strumentazione del saccheggio. E spesso le élite al potere, pur essendo composte da nativi africani, sono profondamente corrotte.

L'assenza di leadership di spicco e carismatiche è evidente soprattutto se si paragonano i leaders attuali con le figure dei grandi leaders africani all'epoca delle lotte di liberazione .

Non si vedono alternative per questo continente, perché non è in grado di competere con nessun altro continente sul piano economico. Quindi prepariamoci a costanti flussi migratori.

L'autore è convinto che l'Africa troverà il suo ruolo nel commercio internazionale solo se saprà costruirsi delle “nicchie di specializzazione”, legate all'autenticità socio-culturale dei rispettivi territori, che le impediscano di restare una colonia di chicchessia. Esclude categoricamente ipotesi isolazionistiche o di protezionismo assoluto o autarchiche.

Io invece nutro seri dubbi che l'Africa possa dimostrare d'essere diversa restando dentro l'attuale globalismo. Per me deve usare la forza, espellendo i grandi Paesi che la sfruttano e dedicandosi solo a se stessa.

 

[29] La Shell condannata a pagare

 

Sul “Manifesto” del 26 maggio è scritto che un'associazione ambientalista e 17mila cittadini olandesi hanno vinto contro il nono inquinatore mondiale del petrolio, l'anglo-olandese Royal Dutch Shell, cui una giudice dell'Aja ha ordinato di ridurre del 45% le emissioni di gas serra entro il 2030. Il 95% dei suoi investimenti sono spesi per trivellare petrolio o per cercarne altro.

È una prima mondiale, poiché non sono solo i governi a dover rispettare gli Accordi di Parigi sul clima, ma ora anche le aziende, almeno quelle che hanno fatturati come il PIL di un piccolo-medio Stato.

La suddetta associazione, Milieudefensie, è nata come un gruppo di scienziati nel 1971: oggi è la branca olandese di Amici della Terra e dichiara 90mila iscritti. Con 300mila dollari di budget per avvocati, ricerche ed esperti ha sfidato una delle quattro più grandi compagnie del pianeta, che fattura 260 miliardi di dollari l'anno in 140 Paesi. L'ha sfidata in casa sua: il quartier generale è a Houston, in Texas, ma la sede fiscale è a L'Aja. E l'ha sfidata sulla base del “danno imminente” e della preminenza del danno collettivo sull'interesse aziendale, e anche questa è una prima.

La Shell, nata nel 1907 per contrastare lo strapotere della Standard Oil di Rockefeller, ha annunciato ricorso, sulla base del fatto che gli Accordi di Parigi vanno rispettati dai Paesi che li hanno firmati e non dalle aziende. Anzi ha detto che persino gli Stati Uniti di Trump, pur avendoli firmati in precedenza, avevano deciso di non rispettarli.

I primi 10 inquinatori del mondo sono tutti nei combustibili fossili e da soli fanno oltre 1/3 della percentuale dei gas serra mondiali: China Coal (14,3%), Saudi Aramco (4,5%), Gazprom (3,9), National Iranian Oil (2,3%), ExxonMobil (2%), Coal India (1,9%), Pemex Mexico (1,9%), Russia Coal (1,9%), Royal Dutch Shell (1,7%), China national petroleum (1,6%).

La Shell aveva già presentato un proprio calendario contro i gas serra, che prevedeva di tagliare le emissioni carboniche del 20% entro il 2030, per arrivare a emissioni zero entro il 2050. Il taglio dovrebbe basarsi su una tecnologia detta Carbon capture & storage, che prevede di “catturare” l'anidride carbonica nell'aria e ficcarla in profondi pozzi sotterranei per i secoli dei secoli. Ma questa tecnologia non è ancora completamente disponibile, anche se la Norvegia si sta dando molto da fare per realizzarli nei propri mari.

Intanto già lo scorso gennaio un tribunale olandese aveva condannato la multinazionale a compensare le vittime del disastro provocato dalla perdita di un oleodotto in Nigeria una decina d'anni fa, e in febbraio la Corte suprema della Gran Bretagna aveva reso possibile a migliaia di nigeriani di far causa alla Shell per danni ambientali nei tribunali inglesi.

Il redattore ha aggiunto una bella news: due direttori nel Consiglio d'amministrazione della Exxon – la più grande compagnia petrolifera americana – sono stati cacciati da un azionista “attivista” che protestava perché l'azienda si ostina a investire solo in petrolio e niente in energie alternative. È la prima volta che un azionista vince una battaglia ambientalistica.

 

[30] La sinistra radicale italiana e la Cina

 

Secondo Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli la Cina sostituirà gli USA nella guida del capitalismo mondiale.

Ha già acquisito il primato economico in termini di PIL a parità di potere d'acquisto. Ora sta raggiungendo gli USA anche in campo tecnoscientifico e finanziario.

È una supremazia non-bellica di portata mondiale, paragonabile a quella che determinò il sorpasso produttivo effettuato nel 1880 dagli Stati Uniti rispetto alla Gran Bretagna.

Tuttavia questo sorpasso non viene accettato né dagli USA né dai suoi più stretti alleati (Gran Bretagna, Canada, Australia e Nuova Zelanda).

Lo dimostrano le provocazioni di navi americane contro la Cina ai confini del Mar Cinese Meridionale, l'appoggio ai separatisti tibetani, a quelli di Hong Kong e agli Uiguri; i dazi e le guerre commerciali; il conflitto tecnologico con Pechino sui chip, 5G e Huawei ecc.

Loro dicono che anche la sinistra occidentale è fondamentalmente anticinese e che chi minaccia costantemente la pace nel mondo sono sempre gli USA, coi loro principali alleati, a partire da Israele e Arabia Saudita. Lo fanno attraverso le basi e i consiglieri militari sparsi ormai in quasi 150 nazioni (3/4 dei Paesi della Terra), oltre che mediante un livello di spese militari che, nell'ultimo decennio, costituisce il 40% del budget militare del nostro pianeta.

E fin qui, tutto sommato, possiamo starci, anche se gli atteggiamenti antidemocratici del Pcc nei confronti di chi si oppone all'egemonia politica e ideologica di Pechino non sono un'invenzione dell'occidente.

Ma poi aggiungono: esiste uno scontro planetario ormai plurisecolare tra capitalismo e comunismo, a partire dall'Ottobre Rosso del 1917. Pur tenendo fermo il peso specifico significativo di altri Stati socialisti (Vietnam, Cuba, ecc.) e le potenzialità latenti nella classe operaia occidentale e nei movimenti o Stati antimperialisti del sud del pianeta, è la Cina popolare che costituisce attualmente la forza motrice principale del movimento comunista mondiale e del processo storico dell'umanità, oltre che il più importante vettore politico-materiale che alimenta la tendenza progressiva del genere umano.

Cioè a dire? È semplice: quanto più la Cina viene ostacolata sul piano economico e tecnoscientifico dai Paesi capitalisti, tanto più s'indebolisce la forza politica del comunismo mondiale, il quale peraltro non si è ancora ripreso del tutto dal crollo del muro di Berlino e dal “decennio triste” costituito dagli anni compresi tra il 1989 e il 1998.

Secondo loro la prova fondamentale che la Cina costituisca l'unico baluardo vincente contro il capitalismo mondiale è dato dal fatto che il Terzo Mondo sta uscendo dal proprio sottosviluppo grazie al sostegno materiale dei cinesi.

Secondo me qui si sta sognando. Per come si sta sviluppando economicamente e tecnologicamente la Cina può certamente costituire un grande rivale per gli USA, il Giappone e la UE, ma altrettanto sicuramente non rappresenta alcuna alternativa al capitalismo. Anzi, semmai sta creando una forma di capitalismo ancora più efficiente e pericolosa, in quanto gestita da un partito-stato privo di etica.

L'occidente borghese, sin dai suoi esordi (i Comuni italiani del Mille), ha dovuto trovare dei compromessi con le esigenze umanistiche del cristianesimo. La Cina capitalistica invece è nata senza aver bisogno di compiere questo sforzo. Ecco perché risulta più pericolosa. La Cina non è una nazione pacifica perché “amante della pace”, ma perché sa di non essere ancora pronta a uno scontro militare con gli USA e i loro alleati.

 

[31] La demografia in Israele e in Palestina. La censura in rete

 

Negli anni '70 Yasser Arafat era convinto che il “grembo delle palestinesi” avrebbe creato lo Stato di Palestina. Ma così non è avvenuto, anche perché il “grembo delle israeliane” non è meno fecondo. E poi Israele ha beneficiato soprattutto di ondate migratorie successive al crollo del cosiddetto “socialismo reale”.

Analizzato per religione il tasso demografico oggi è del 3,1 per gli ebrei, del 3,3 per i musulmani (e del 2,2 per i cristiani arabo-palestinesi).

Israele oggi conta 8,5 milioni di abitanti, oltre 10 volte la popolazione del 1948. Le loro statistiche includono nel conto Gerusalemme Est, il Golan e gli insediamenti in Cisgiordania, che però non sono riconosciuti come suo territorio dalla comunità internazionale, ad eccezione naturalmente degli USA.

La popolazione palestinese ora è di 2,6 milioni in Cisgiordania, più 220 mila a Gerusalemme Est, che è stata annessa da Israele nel 1967. Gli abitanti degli insediamenti ebraici sono invece cresciuti fino a 400 mila nella Cisgiordania occupata e 350 mila a Gerusalemme Est.

Queste dinamiche sono alla base dell'espansione degli insediamenti, criticata dall'ONU come uno dei maggiori ostacoli per la ripresa dei colloqui di pace. Ma la costruzione delle nuove case crea tensioni anche all'interno d'Israele, per la banale ragione che c'è sempre meno spazio.

Israele ha una superficie di circa 21 mila kmq, più o meno come la Puglia. E una densità di 366 ab. per kmq, una delle più alte al mondo. Servono ogni anno da 40 a 60 mila nuovi appartamenti, un ritmo di cementificazione assurdo. Con questo tasso di crescita naturale e d'immigrazione, il Paese conterà 15 milioni di abitanti nel 2050, con una densità di 750 ab. per kmq. Escluso il deserto del Negev, sarà di fatto una grande area urbana, come le metropoli americane.

La Cisgiordania, 5.600 kmq, è altrettanto piccola e affollata. Le risorse in acque e terreno coltivabile sono molto scarse, perché sono gli ebrei ad appropriarsene. Per non parlare di Gaza, quasi 2 milioni di abitanti su 360 mq, dove la crescita demografica è ancora oltre il 3% e i figli per donna 5.

In Cisgiordania, nel 1967, non ci viveva neanche un ebreo, ma dopo la conquista militare la popolazione ebraica è cresciuta in maniera esponenziale. Oggi circa 430mila ebrei (15% della popolazione) vivono in 132 insediamenti riconosciuti ufficialmente dal governo d'Israele e in altri 121 avamposti non ufficiali che han richiesto l'approvazione. I coloni vivono in comunità del tutto separate dai palestinesi, e in ogni caso i rapporti non sono mai amichevoli, proprio perché gli ebrei vengono accusati di bruciare i campi e sradicare gli ulivi, ma anche di usare l'acqua in maniera illegale e di costruire strade per tenere collegati le loro colonie, sulle quali non possono muoversi gli automezzi palestinesi.

Israele incentiva parecchio l'afflusso di ebrei in Cisgiordania, al punto che qui il costo della vita è nettamente inferiore rispetto a quello che si registra all'interno d'Israele.

L'Istituto centrale di statistica palestinese sostiene che i palestinesi nel mondo alla fine del 2018 erano circa 13 milioni, di cui solo la metà abitano fra il Giordano e il Mar Mediterraneo: 1,6 milioni in Israele, quasi 3 milioni fra la Cisgiordania e Gerusalemme Est e quasi 2 milioni nella striscia di Gaza.

Secondo le statistiche delle Nazioni Unite i rifugiati palestinesi riconosciuti come tali, discendenti da quei 750.000 palestinesi fuggiaschi o espulsi nel conflitto del 1948, aventi uno status trasmesso di generazione in generazione, sarebbero 5,5 milioni, di cui 1/3 circa abita in campi profughi, il resto in città o villaggi nelle vicinanze di detti campi dove ricevono assistenza alimentare, sanitaria e scolastica. I rifugiati sono circa 2,2 milioni in Giordania, 440.000 in Siria, 470.000 in Libano, 820.000 in Cisgiordania e 1,3 milioni nella striscia di Gaza. Per loro è un disastro assoluto.

La popolazione ebraica del mondo, secondo le statistiche correnti, è di poco superiore ai 14,5 milioni. Nella definizione più estesa, che include coloro che sono in parte ebrei o hanno genitori ebrei, sarebbe di circa 17,5 milioni. Gli ebrei cittadini d'Israele, abitanti in Israele e negli insediamenti dei territori occupati, sono 6,7 milioni (erano circa 600.000 nella Palestina del 1945).

La rivista “Limes” dice però di prendere con le pinze tutti questi dati demografici, poiché entrambi i contendenti dell'area hanno interesse a gonfiarli. Di sicuro è un mito che gli arabi avrebbero un tasso altissimo di natalità, mentre gli ebrei sarebbero destinati a un declino demografico di tipo europeo. Anche se resta indubbio che, per i tassi di crescita, il centro di gravità demografico della Palestina si è spostato dalla Cisgiordania a Gaza.

 

Su arabpress.eu si sono lamentati che nel corso del recente conflitto tra Israele e Gaza i maggiori social come Facebook, Twitter, Instagram si sono posti decisamente dalla parte d'Israele. Il dibattito online è iniziato con la guerra degli hashtag, da #saveelsheikhjarrah, ampiamente diffuso sin da subito, a #Gazaunderattack. Ma i social spesso bloccavano alcuni contenuti filopalestinesi col pretesto che “violavano le norme di pubblicazione”' della piattaforma.

Alla giornalista palestinese-americana Mariam Barghouti è stato temporaneamente bloccato l'account Twitter mentre riferiva le proteste contro l'espulsione dei palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme est.

Uno dei trucchi per eludere gli algoritmi è stato quello di separare le lettere di una stessa parola inserendo un punto o lasciando uno spazio tra di esse. C'è poi quello di sostituire alcune lettere arabe con lettere dell'alfabeto latino, e infine, il trucco più diffuso, quello di scrivere l'intero post in arabo ma senza i caratteristici punti diacritici. Per far questo però han dovuto usare alcuni siti o app che permettono di scrivere nell'arabo di una volta, come Tajawz, Seen o Uktub.

Questo può comportare che un utente nei Paesi islamici non riesca a vedere lo stesso contenuto che visualizza un altro utente in un Paese europeo, anche se nel caso degli eventi in atto in Palestina e Israele, sono stati rimossi interi contenuti a prescindere dal Paese in cui venivano pubblicati.

Possibile che i social, nati per sviluppare la democrazia, arrivino a simili bassezze? Sì, è possibile. Lo spiega la scrittrice Safiya Noble, nel libro Algorithms of oppression, uscito nel 2018: “l'oppressione sistematica presente nella tecnologia digitale contribuisce alla continua repressione di gruppi che da sempre sono vittime di persecuzioni e di ingiustizie, come il colonialismo, la schiavitù, il razzismo, l'omofobia e la discriminazione per motivi di sesso e di genere.” Lo si può vedere in nuce qui https://it.wikiqube.net/wiki/Algorithms_of_Oppression.

Mi pare una lotta impari, destinata alla sconfitta da parte di chi non possiede la proprietà di tali piattaforme. Infatti gli algoritmi si possono sempre aggiornare. L'unica soluzione è quella di creare nuovi social, con l'aiuto di esperti informatici.

Ciò comunque rende evidente che se dovesse scoppiare una guerra mondiale, l'uso dei social, almeno nella fase iniziale, quando ancora la censura non è esplicita o puntuale, sarebbe fondamentale. Solo quando ci si accorge che non esiste più la possibilità di esprimersi liberamente, si smette di frequentarli.

Giugno

 

 

 

[1] Greta Thunberg e la Cina

 

Leggo sul blog sebastianoisaia.wordpress.com che Greta Thunberg, paladina svedese dell'ambientalismo, viene sbeffeggiata dal giornale governativo “China Daily”, che le rinfaccia d'essere ingrassata mangiando carne, mentendo cioè sulla sua adesione a una dieta vegetariana, meno impattante sull'ambiente rispetto a un'alimentazione carnivora.

Questo perché i cinesi non han digerito che la ragazza abbia criticato su Twitter il loro Paese per i suoi altissimi livelli d'inquinamento. Avrebbe scritto: “La Cina è ancora considerata in via di sviluppo, ma non è una scusa per rovinare il futuro. Non possiamo cambiare le cose se la Cina non cambia corso”.

Ai cinesi non è andato giù anche il fatto che la Thunberg sia stata invece morbida sulla decisione del Giappone di scaricare in mare l'acqua radioattiva della centrale atomica di Fukushima. Per questo l'han definita “pupazzo delle potenze occidentali”.

Che la Cina sia con gli USA fra i massimi inquinatori, non ci piove. Ma è anche vero che Greta critica con toni apocalittici senza proporre soluzioni, tanto che lo psicologo [!] norvegese Per Espen Stoknes le ha consigliato di parlare “per il 75% di soluzioni al problema e solo per il 25% di evocare i rischi”. In sostanza, il contrario di quanto fa la Thunberg.

C'è da dire che proporre soluzioni ai problemi dell'ambientalismo restando dentro il sistema capitalistico rischia di avere lo stesso effetto dei sassi tirati dai palestinesi, nelle loro intifade, contro uno degli eserciti, quello israeliano, più armati del mondo.

In ogni caso Greta non è un “pupazzo dell'occidente”, ma una conseguenza del fatto che tra il dire e il fare di tutto il mondo industrializzato, nessun Paese escluso, c'è di mezzo il mare.

 

[2] Germania e Namibia

 

La Germania riconosce le atrocità commesse, in quanto Paese colonialista, razzista e xenofobo, tra il 1904 e il 1908, contro le popolazioni tribali degli Herero (circa 65.000 uccisi su 85.000) e dei Nama (circa 10.000 uccisi su 20.000) in quella che è oggi la Namibia. Fu il primo genocidio del XX sec.

Il governo ha promesso come risarcimento oltre un miliardo di euro per lo sviluppo. Meglio tardi che mai, e soprattutto: piuttosto che niente (come indennizzo) è meglio piuttosto!

Come abbiano calcolato esattamente 1,1 miliardi di euro, bisogna chiederlo alla precisione maniacale dei tedeschi. Che cosa loro intendano per “ricostruzione e sviluppo” si può facilmente immaginare. Intanto si sa con sicurezza che il fondo verrà erogato in 30 anni, e dovrà essere investito in sviluppo dell'agricoltura e progetti di formazione, nonché per altre destinazioni che le stesse comunità colpite saranno libere di scegliere. Insomma un po' di vincoli “coloniali” non guastano mai.

Speriamo solo che a queste popolazioni primitive i soldi non facciano più male delle cannonate di un secolo fa, anche se bisogna dire che con l'arrivo dei coloni, le comunità indigene, perlopiù composte da allevatori e pastori, persero tutto. I sopravvissuti furono costretti a svendere le loro terre e a lavorare per i tedeschi come braccianti e operai.

Povera Namibia! È una delle nazioni più giovani del continente africano, avendo ottenuto solo nel 1990 l'indipendenza dal Sudafrica, che l'amministrava in toto. Dal 1884 al 1919 fu colonia dell'Impero tedesco. Poi fece parte dell'Impero britannico all'interno dell'Unione sudafricana fino al 1961. Infine diventò, sino all'indipendenza, una provincia della stessa Repubblica Sudafricana.

Di sicuro agli inglesi non è mai venuto in mente di chiederle scusa, né d'altronde l'hanno mai fatto con nessuno. Loro non son figli dei sensi di colpa di Lutero, ma dell'arroganza di Enrico VIII, che pur di avere un erede maschio fece uccidere svariate mogli e il suo consigliere più capace, fidato e lungimirante, Tommaso Moro.

Ci sono comunque voluti ben 6 anni di negoziati tra i due governi, anche perché han preteso con insistenza di parteciparvi le suddette comunità etniche, che in un primo momento avevano pensato a una campagna pubblicitaria del governo tedesco. Anche perché, diversamente da quanto richiesto dalle comunità interessate, la Germania ha deciso di offrire un pacchetto finanziario piuttosto che concedere un risarcimento del danno in senso “giuridico”, rendendo conto dei crimini commessi dai funzionari coloniali tedeschi dell'epoca. In effetti, i tedeschi non intendono aprire, almeno per ora, alcuna “legale” richiesta di risarcimento.

Questo perché sanno bene che le odierne comunità della Namibia vorrebbero che la Germania restituisse all'ex colonia le decine di migliaia di resti rubati di parti del corpo appartenenti ai loro antenati, ora conservate nei musei e nelle biblioteche tedesche. Reclamano anche tutte le opere d'arte saccheggiate.

Insomma, una carità un po' pelosa...

 

[3] USA, porto d'armi

 

Il giudice federale distrettuale della California, Roger Benitez, nominato nel 2003 da George W. Bush, già noto per aver bloccato la legge californiana che vietava la vendita dei maxi caricatori, quelli in grado di contenere più di 10 proiettili, ora ha sentenziato che non ha senso vietare la vendita dei famigerati AR-15 o AK-47, i fucili in stile kalashnikov protagonisti della gran parte delle stragi che continuano a insanguinare gli USA.

Per lui i fucili d'assalto non sono altro che armi ordinarie come il coltellino dell'esercito svizzero: “Un'arma di difesa utile per proteggere la propria abitazione e la propria patria”.

La motivazione è molto semplice: il divieto dello Stato californiano del 1989 che metteva al bando i fucili d'assalto “è incostituzionale, poiché il governo di uno Stato non è libero d'imporre ai cittadini americani le sue scelte politiche quando queste riguardano i diritti costituzionali” (qui si riferisce al secondo emendamento, che sancisce dal 1791 il diritto alla difesa tramite delle armi).

Poi ha aggiunto, per fare un favore alle lobbies guerrafondaie: “Qui non stiamo parlando di bazooka, cannoni o mitragliatori, ma di ordinari fucili moderni e popolari”.

Come dargli torto? Nel 2008 già la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva riconosciuto il diritto dei cittadini di possedere armi, dichiarando incostituzionale la legge del Distretto di Columbia che invece ne vietava ai residenti il possesso.

Certo, il parallelo col coltellino svizzero fa un po' ridere. Ma la Costituzione, quando permette ai maggiorenni di difendersi con armi da fuoco, specifica forse il tipo di arma? No, e allora ammazzatevi pure a vicenda. Se per voi vi è più sicurezza nel girare armati per la città che non disarmati, tanti cari auguri di buona sopravvivenza. Non venite però a insegnare a noi che cos'è la democrazia. Statevene pure a casa vostra, perché la vostra compagnia ci fa paura.

E in ogni caso rileggetevi meglio il secondo emendamento, che così recita: “Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una ben organizzata milizia, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto”.

Si riferisce a una “milizia popolare” (pubblica, cittadina) non a chicchessia. E l'art. è relativo a un'epoca in cui gli americani si stavano liberando del colonialismo inglese. E, a essere pignoli, non specifica neppure che le armi debbano essere necessariamente da fuoco. Ci si può difendere anche con un coltellino svizzero.

 

[4] Mali, colpi di stato

 

Il 24 maggio alcuni soldati dell'esercito del Mali hanno arrestato il presidente Bah N'Daw e il primo ministro Moctar Ouane. L'ordine è stato dato dal colonnello Assimi Goïta, lo stesso militare che aveva guidato un altro golpe nell'agosto 2020, rovesciando il presidente Keïta, in carica dal 2013 e rivelatosi del tutto incapace a mantenere al sicuro la popolazione dai continui attacchi terroristici, a sconfiggere la corruzione nella classe politica e a risolvere la crisi economica (6,8 milioni di persone sono bisognose di assistenza umanitaria e nelle comunità isolate più del 15% dei bambini è gravemente malnutrito).

Questo è il terzo colpo di stato in 10 anni. In tutto questo periodo nessuno (ONU, europei, americani, maliani) è riuscito a creare un ambiente favorevole alla nascita di un sistema politico stabile e democratico. Non sono serviti né le armi né i milioni di dollari e di euro profusi. Tanto che si sono formati gruppi armati di autodifesa che si sostituiscono allo Stato. A ciò si sono aggiunte le violenze tra comunità territoriali: gli agricoltori Dogon si contrappongono ai pastori nomadi Fulani (o Pehul) per ragioni di accesso alle risorse naturali e ai pascoli. Gli sfollati interni e i profughi ormai non si contano più. Il Covid-19, con gli ospedali pubblici sovraffollati e carenti di tutto, sta decimando la popolazione.

Per non farsi mancare niente nel Sahel le temperature climatiche stanno aumentando 1,5 volte più velocemente che nel resto del mondo, nonostante la regione, una delle più povere del mondo, produca bassissimi livelli di emissione di gas serra. Ciò provoca fenomeni metereologici estremi: inondazioni, siccità e desertificazione mettono in pericolo la sicurezza alimentare dell'80% della popolazione occupata in agricoltura, dipendente dalle risorse naturali.

Ora il colonnello Goïta è stato nominato presidente a interim del Paese (che conta 18 milioni di abitanti). Il presidente e il premier suddetti sono agli arresti domiciliari.

La Francia ha deciso di sospendere la cooperazione militare con questo Paese sulla base della motivazione che non c'è più legittimità democratica, in quanto i golpisti sono vicini all'islamismo radicale.

Cioè quello stesso islam che la Francia, nell'ambito dell'operazione “Barkhane”, ha deciso di combattere dal 2014, con l'invio di 5.100 soldati nel Sahel, in particolare nel nord del Mali. Qui infatti si sono diffusi i gruppi jihadisti affiliati ad Al-Qaeda e all'organizzazione dello Stato islamico. I quali, insieme agli indipendentisti Tuareg, erano quasi riusciti nel 2012 a far crollare lo Stato centrale. L'anno precedente avevano combattuto nella guerra civile in Libia al fianco di Gheddafi.

L'altro principale sostenitore dell'esercito maliano sono gli USA, che hanno detto di volersi comportare come la Francia.

Il Mali è già stato sospeso anche dagli organismi subregionali – la Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale – e dall'Unione africana, poiché questi vogliono la nomina di un premier civile, non militare, alle prossime elezioni presidenziali e legislative fissate al febbraio e marzo 2022.

Tuttavia le varie centinaia di maliani che sostengono i militari golpisti han fatto capire che non ne possono più dei francesi e che al loro posto preferirebbero i russi. Di sicuro la Francia non ha mai abbandonato la sua FrançAfrique coloniale, e non intende farlo.

 

[5] NATO e Afghanistan

 

Il fallimento della guerra della NATO contro i talebani in Afghanistan è la riprova di due cose da sempre evidenti: non è con le armi che si risolvono i problemi sociali e politici; non è detto che chi ha armi sofisticate possa vincere chi non le ha.

I Paesi occidentali devono per forza riconoscere d'essere stati sconfitti da bande di irregolari male armati, male addestrati, poco equipaggiati e dieci volte meno numerosi. Questa sconfitta ci riporta ai fallimenti degli invasori precedenti in quel Paese: gli inglesi in tre occasioni, i russi e prima di loro altri eserciti stranieri meno importanti come gli iraniani. Del resto non è un caso se l'Afghanistan sia chiamato il “cimitero degli imperi”.

I tentativi diplomatici di arrivare a un accordo di pace sono falliti. 20 anni di guerra, che han procurato circa 150mila morti (di cui circa 4.000 soldati della coalizione e circa 35 mila militari afghani), nonché 4,6 milioni di profughi, non son serviti a niente.

Da mettere in contabilità anche 2mila miliardi di dollari spesi dai contribuenti degli USA e 8,5 miliardi di euro spesi da quelli italiani, che hanno avuto 53 morti.

I Talebani, nel 2001, all'inizio della guerra, controllavano il 30% del territorio, ora ne controllano circa la metà. In più torneranno a governare col consenso internazionale, dato che stanno combattendo l'ISIS assieme alle Forze di sicurezza USA, e dato anche che il ritiro delle truppe alleate e dei contractors determinerà un progressivo crollo delle capacità operative delle forze governative di Kabul.

La democrazia in Afghanistan non è certo arrivata grazie all'occidente. La classe dirigente scelta da USA e alleati si è mostrata alquanto corrotta. Anche perché in 20 anni solo 29miliardi di dollari sono serviti per sviluppare il Paese, che resta tra i più poveri al mondo. La condizione della donna è rimasta disastrosa.

L'Afghanistan doveva servire agli USA come base operativa nell'Asia centrale, per controllare Cina, Russia, Iran e traffico di petrolio. Ma l'obiettivo è completamente fallito.

Ci hanno guadagnato soltanto i colossi statunitensi degli armamenti: Lockheed Marti, Northrop Grumman e Boeing. Ci hanno guadagnato anche i coltivatori di oppio. A fronte di oltre 7 miliardi di dollari stanziati per la lotta al papavero, i campi hanno raggiunto un'estensione di oltre 300 mila ettari. E nel traffico di eroina sono coinvolti anche militari della Nato, inclusi gli italiani (come ha raccontato l'ex-paracadutista Alessandra Gabrieli). L'Afghanistan è tornato a essere il maggior produttore di eroina del mondo.

I governi italiani, di qualunque colore, non sono riusciti a capire in 20 anni che gli oltre 800 militari inviati non servivano a nulla. Siamo stati al carro degli americani, senza avere un nostro punto di vista.

Complessivamente abbiamo speso 8,5 miliardi di euro, più o meno quanto investiamo nell'università e nella ricerca.

Non vi è stata alcuna partecipazione di nostre imprese alla ricostruzione del Paese.

In cambio del nostro impegno volevamo entrare come membri provvisori nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu, ma hanno preferito l'Olanda.

Non siamo neppure riusciti a impiantare una nostra base da utilizzarsi per la prossima Via della Seta.

Tutto sommato era molto meglio il governo laico-democratico della Repubblica Democratica d'Afghanistan, sostenuto dai sovietici (anche militarmente a partire dal 1979) e insidiato dalle rivolte dell'integralismo islamico.

L'intervento sovietico si risolse in un disastro politico e militare anche per l'interferenza degli USA, che, schiavi dell'ideologia della guerra fredda, armarono una sorta d'internazionale di combattenti islamici arruolati dall'Arabia Saudita con a capo un personaggio che poi sarebbe divenuto famoso, Bin Laden. Quando nel 1989 le truppe sovietiche lasciarono l'Afghanistan, si scatenò l'offensiva degli studenti coranici (i talebani), ancora una volta appoggiati dagli USA, che nel 1992 travolsero il governo laico di Najibullah, instaurando uno dei regimi più oscuri che si siano mai visti sulla faccia della terra.

Un altro disastro come in Vietnam. E ora la Corte Penale Internazionale dell'Aja ha aperto un'inchiesta per i crimini di guerra e i crimini contro l'umanità commessi da militari americani e australiani in quel Paese. Ma gli USA han già messo le mani avanti: infatti han negato i visti d'ingresso agli investigatori della Corte, di cui non riconoscono l'autorità.

 

[6] Cina e Medioriente

 

La Cina si sta avvicinando sempre più al Medio Oriente. Sta rifornendo la Siria di un proprio sistema antiaereo (HQ-9), e sta facendo la stessa cosa, con un altro sistema (HJ-12), a Gaza.

Pechino ha già firmato un patto strategico di 25 anni con l'Iran, il quale, come noto, assicura pieno appoggio a Siria, Hezbollah, gli Houthy dello Yemen e le organizzazioni della resistenza palestinese.

In cambio i cinesi chiedono petrolio, poiché ne hanno un bisogno enorme. E chiedono alleanze in funzione anti- americana. Insomma stanno abbandonando la loro tradizionale posizione di neutralità.

Intanto per fortuna è finita l'era del guerrafondaio Netanyahu. Il nuovo esecutivo di Yair Lapid vedrà per la prima volta nella coalizione un piccolo partito arabo-israeliano (Lista araba unita), guidato da Mansour Abbas, che dovrebbe ottenere l'incarico di viceministro degli Interni. Il nuovo governo sarà composto da 8 forze politiche.

Tuttavia Naftali Bennett, leader del piccolo partito religioso Yamina, ex leader dei coloni, che un tempo condivideva molte delle opinioni intransigenti di Netanyahu, fino a diventare suo ministro della Difesa, dovrebbe fare il premier solo per due anni, prima di cedere le redini a Lapid per altri due. Il solito compromesso di un Paese compromesso fino al collo con le sue manie di potenza regionale. Quindi sarà un governo debole. Naturalmente i fedelissimi di Netanyahu, sotto processo per corruzione, considerano un golpe il cambio al vertice.

La Lista araba unita ha ottenuto 4 seggi alle ultime elezioni israeliane. Dal 1996 ad oggi non ha mai ottenuto più di 5 seggi sui 120 totali. Abbas aveva già dichiarato d'essere disposto a lavorare coi partiti sionisti al fine di garantire fondi e riforme a favore degli arabo-israeliani. Ma non ha appoggiato gli Accordi di Abramo, perché prima pretende un trattato di pace coi palestinesi.

 

[7] Francia e Ruanda

 

La Francia ha riconosciuto le proprie responsabilità sul genocidio del 1994 in Ruanda (in quanto si era sbilanciata in favore del governo hutu, responsabile della morte di 800mila tutsi), anche se Macron ha voluto precisare che il suo Paese “non si è reso complice” della strage.

Una dichiarazione ambigua. Che è servita soltanto per annunciare il ritorno nella capitale ruandese di un ambasciatore di Parigi, dopo 25 anni di tensioni dovute appunto al ruolo della Francia nel genocidio. E che è servita per non risarcire i parenti delle vittime.

Il Ruanda aveva rotto le relazioni diplomatiche con la Francia nel 2006, dopo che un giudice aveva spiccato un mandato d'arresto contro 9 consiglieri dell'attuale presidente ruandese Kagame, accusati di essere coinvolti nell'abbattimento dell'aereo su cui, il 6 aprile del 1994, viaggiava il presidente del Ruanda, Juvénal Habyarimana e il presidente del Burundi Cyprien Ntaryamira, l'evento che diede inizio al genocidio. Le relazioni diplomatiche erano state ripristinate tre anni dopo. Ma dal 2015 Parigi non aveva più un ambasciatore.

Macron si è deciso a questa dichiarazione dopo aver ricevuto il rapporto della commissione indipendente guidata dallo storico Vincent Duclert, in cui si conclude che pur avendo avuto la Francia “una responsabilità grave e travolgente” nel genocidio, in quanto non ha agito per fermare le uccisioni, non risulta esserne stata complice. Una seconda ricerca commissionata dal Ruanda e pubblicata dallo studio legale americano Levy Firestone Muse ha invece parlato della Francia come di “collaboratore indispensabile” del regime degli hutu, ma ha escluso la complicità nel genocidio.

A dir il vero la Francia sostenne concretamente il governo a guida hutu di Juvénal Habyarimana contro il Fronte Patriottico Ruandese dominato dai tutsi, che dal 1990 era impegnato in un conflitto volto a ripristinare i diritti dei tutsi ruandesi sia in Ruanda, sia esiliati nei Paesi vicini, in seguito a più di 40 anni di violenza anti-tutsi.

La Francia fornì armi e addestramento militare alle milizie giovanili di Habyarimana, gli Interahamwe e Impuzamugambi, per perpetrare il genocidio, durato 100 giorni. Alla fine del quale le truppe francesi furono dispiegate per istituire la Zona Turchese, che consentì a molti massacratori hutu di riparare in Zaire prima della vittoriosa avanzata delle forze del suddetto Fronte.

Se il ruolo della Francia fosse stato non decisivo, il Ruanda del governo di Paul Kagame non avrebbe rotto le relazioni diplomatiche, soppresso tutte le istituzioni francesi al proprio interno, sostituito il francese con l'inglese e chiesto di aderire al Commonwealth di area britannica, divenendone uno dei pochi membri che in passato non erano stati colonie del Regno Unito.

Nell'analisi della giornalista britannica Linda Melvern, che esaminò i documenti dell'archivio parigino dell'ex presidente François Mitterrand, appare chiaro che la Francia considerava il ruolo del suddetto Fronte come una specie di aggressione ordita da parte di un vicino anglofono (l'Uganda) ai danni di un Paese francofono (il Ruanda appunto).

Di qui la decisione di evitare a tutti i costi una vittoria militare del Fronte. Ecco perché Mitterrand mise in atto, col consenso di alti esponenti politici (il segretario generale Hubert Védrine, il primo ministro Edouard Balladur, il ministro degli esteri Alain Juppé, e il suo braccio destro Dominique de Villepin), una rete occulta di ufficiali delle forze armate, politici, diplomatici, uomini d'affari, e agenti segreti di alto rango.

Il traffico illegale delle armi passava appunto attraverso l'ambasciata ruandese a Parigi, e quando il genocidio finì, negli uffici dell'ambasciata i documenti più compromettenti erano stati distrutti dal colonnello Sebastien Ntahobari, addetto militare ruandese in Francia. Anche nell'ambasciata francese di Kigali tutti i documenti furono distrutti.

La Francia ha sempre avuto in Ruanda una presenza di militari aggregati alle unità più importanti di esercito e gendarmeria in veste di “consiglieri” o “assistenti tecnici”. Ed è indubbio che aiutò gli autori del genocidio a sottrarsi al Fronte, facendoli riparare nel vicino Zaire.

 

[8] Turchi e Kurdi in Siria

 

Nel nord della Siria almeno 300.000 membri dell'etnia curda sono stati sfollati dal regime di occupazione turco, imposto, in completa violazione del diritto internazionale, dal gennaio 2018 ad oggi. La popolazione di Afrin una volta era al 96% curda: oggi è scesa al 25%. Obiettivo della Turchia è di rendere Afrin libera dai curdi, che sono per lo più musulmani sunniti moderati. Un tempo ad Afrin vivevano anche 20-30.000 fedeli yazidi: oggi solo poche migliaia. I cristiani curdi, che fino al gennaio 2018 ad Afrin erano circa 1.200, sono letteralmente scomparsi.

Tra la popolazione civile curda vi sono state anche migliaia di persone uccise o ferite, rapite, torturate, stuprate... Solo nel 2020, 50 siti storici sono stati danneggiati e 250 case sono state confiscate dalle milizie islamiste. In tre anni nella regione di Afrin sono stati distrutti più di 314mila alberi di ulivo. La produzione di olive e di olio d'oliva è uno dei principali settori economici della regione.

I santuari di Yezidi e Alevi e i cimiteri musulmani curdi vengono distrutti o saccheggiati. Alle località vengono cambiati i nomi in turco o in arabo. L'ex Piazza della Libertà di Afrin si chiama ora Piazza Ataturk. La piazza col nome curdo Kawa è stata ribattezzata Ramo d'Ulivo in onore dell'offensiva turca. La lingua turca viene imposta alla popolazione. Le bandiere turche sono esposte sulle uniformi scolastiche e i cittadini siriani sono costretti a portare la carta d'identità turca.

La presidenza per gli affari religiosi in Turchia, Diyanet, sta facendo costruire sempre più moschee nei villaggi Yezidi. Cioè lo Stato turco sta cercando di promuovere l'islamizzazione di una regione un tempo multireligiosa, cercando altresì di diffondere un'interpretazione particolarmente radicale dell'islam sunnita.

Insomma per i curdi non è mai finita e i turchi fanno quello che vogliono in un territorio che non è il loro, nella più assoluta indifferenza della comunità internazionale. Ma lo sanno i tedeschi che questa autorità turca (Diyanet), attraverso la sua succursale tedesca DITIB, vuole ottenere un'influenza ufficiale sull'educazione religiosa islamica anche in Germania?

 

[9] OpenPolis sulle gestioni commissariali degli enti locali

 

OpenPolis.it rileva che dal 1991, anno di istituzione dei commissariamenti per infiltrazioni criminali, in media sono stati commissariati per questo motivo quasi 12 enti all'anno, tra Comuni, aziende sanitarie e altre strutture pubbliche.

Finora si sono registrati 3 picchi negli scioglimenti: 1991-1993 (76 provvedimenti), 2012-2014 (51) e 2017-2019 (65).

La commissione straordinaria è composta di 3 membri, che devono riportare il Comune al voto e ripristinare la legalità nell'ente. Nella prassi il commissariamento viene sempre prorogato a 24 mesi.

Nel 2020 abbiamo avuto 54 gestioni commissariali in 21 Comuni e 2 aziende sanitarie in Calabria, 14 Comuni in Sicilia, 8 in Puglia, 7 in Campania, 1 in Basilicata, 1 in Val D'Aosta, di cui 18 già sciolti in passato per lo stesso motivo. Considerando solo i Comuni, la popolazione complessivamente coinvolta ammonta a oltre 700.000 abitanti.

Il ministro dell'Interno ha constatato una diffusa trascuratezza nella tutela dell'interesse pubblico, attribuibile in parte all'operato del personale ma, soprattutto, alla responsabile inerzia o alla tacita connivenza degli organi politici rispetto agli interessi della criminalità organizzata.

Nel 48% dei casi di commissariamento la popolazione locale mostra sfiducia e rassegnazione.

Se si considera l'intero periodo 1991-2021 hanno subìto più di uno scioglimento per infiltrazioni criminali 68 Comuni e un'azienda sanitaria locale (l'Asl Reggio Calabria), tutti situati in 4 Regioni: Calabria (28 enti), Campania (26), Sicilia (14) e Puglia (1).

La corruzione si manifesta soprattutto nel settore degli appalti pubblici e dell'urbanistica. Il 30% degli enti versa in condizioni di deficit finanziario. Ma in ogni caso il 98% delle commissioni ha dovuto avviare politiche di razionalizzazione della spesa per raggiungere l'equilibrio di bilancio.

Nel 55% degli enti le commissioni straordinarie hanno ritenuto necessaria la sostituzione dei vertici amministrativi.

Insomma gli enti locali son come limoni da spremere. Se non ci fossero, molte zone del sud sarebbero del tutto fuori controllo, ai limiti della guerra civile.

D'altra parte la corruzione è endemica nel nostro Paese: basta guardare cos'è successo, di recente, nella gestione della pandemia per quanto riguarda gli acquisti di mascherine, igienizzanti, guanti, camici ecc. Decine di milioni di euro buttati via. Lo dice chiaramente Report nella puntata del 31 maggio “Affari di Covid”. Il link del PDF è qui www.rai.it/dl/doc/1622560961442_affari_covid_report.pdf

 

[10] USA, spese militari

 

Per l'anno fiscale 2022 la nuova amministrazione Biden propone un budget di 715 miliardi di dollari per le spese militari. Più altre risorse rientranti nell'ambito della difesa (p.es. in campo energetico) si arriva a 753 miliardi.

Ormai siamo al 40% della spesa militare mondiale, più del doppio di quella cinese e quasi dieci volte quella russa.

Per forza che poi chiedono ai Paesi NATO di aumentare la quota dei loro PIL nazionali per le spese militari. Quelle del Pentagono aumentano di 11 miliardi di dollari rispetto ai 704 richiesti da Trump per l'anno in corso.

La Vice-Segretario alla Difesa, Kathleen Hicks, ha detto che il bilancio della difesa è decisamente consacrato al contrasto della minaccia cinese, dato che Pechino risulta essere “in possesso delle capacità economiche, militari e tecnologiche per mettere in discussione il sistema internazionale e gli interessi americani al suo interno”. Cioè la Cina sta divenendo sempre più competitiva nel mondo e, in particolare, nella regione dell'Indo-Pacifico.

Come dire: noi siamo i padroni del mondo e non vogliamo concorrenti di sorta. Fino adesso siamo stati tolleranti coi cinesi, perché il loro capitalismo è sempre meglio del comunismo maoista, però non si possono montare la testa, minacciando la nostra egemonia commerciale mondiale. Il mondo è multipolare solo sulla carta: nei fatti siamo noi che comandiamo. E lo dimostriamo con quello che possiamo spendere nelle armi.

Per garantire alle forze armate americane la superiorità militare nei confronti di Pechino, Biden punta tutto sulla ricerca tecnologica. La spesa per la Ricerca e lo Sviluppo è infatti la più alta di sempre: ben 112 miliardi di dollari, in aumento del 5% rispetto al 2021 (nel 2016 era di 70,6 miliardi del 2016). In soli 6 anni l'incremento è stato del 43%.

Gli investimenti più ingenti riguardano tecnologie come l'intelligenza artificiale, la microelettronica, la scienza quantistica, le armi a energia diretta, la biotecnologia, le armi ipersoniche e le operazioni cibernetiche.

In particolare gli USA vogliono creare un'infrastruttura di rete di sistemi, che permetterà a tutte le loro forze armate di condividere in tempo reale una grande quantità di dati, così da rendere disponibile a ogni operatore sul terreno un'immagine chiara e aggiornata del campo di battaglia.

Per il nucleare sono previsti 27 miliardi di dollari per aggiornare tutti gli elementi del mondo sottomarino, aereo e terrestre.

Queste sono cifre folli, che non servono anzitutto per difendersi ma per attaccare.

Senza poi considerare che gli americani han fatto nascere una nuova forza armata, quella spaziale, su cui vogliono contare sempre più.

Fonte: geopolitica.info

 

[11] Algeria, Francia e Turchia

 

Ora anche l'Algeria, dopo il Ruanda, chiede, per bocca del suo presidente Abdelmadjid Tebboune, che la Francia riconosca la responsabilità del colonialismo esercitato nel Paese nordafricano tra il 1830 e il 1962. Questo perché a distanza di circa 60 anni la popolazione algerina ricorda ancora come la libertà del proprio Paese sia stata conquistata dopo un grande spargimento di sangue.

Ma il governo di Macron non ne vuol sapere: al massimo opterà per atti simbolici in segno di riconciliazione. Di qui l'idea di Tebboune di stringere un partenariato strategico con la Turchia, che ha già investito circa 5 miliardi di dollari in Algeria e senza alcun vincolo di tipo politico, diventando il primo investitore straniero in questo Paese. D'altra parte la stessa Algeria già oggi fornisce alla Turchia 1/3 di gas naturale liquefatto.

Strano però che Tebboune non si sia accorto che la Turchia di Erdoğan ha l'ambizione di ricostituire il vecchio impero ottomano, colonialista anch'esso nei confronti degli algerini.

Per fortuna che Tebboune non ha alcuna intenzione di fare dell'islam un'ideologia statale, per cui cercherà di stare alla larga dall'islam politico di Ankara. Ma una consapevolezza così laica a chi la deve: agli ottomani o ai francesi?

 

[12] La seconda conquista dello spazio cosmico

 

È in atto una seconda “Corsa allo Spazio”, dopo quella storica che vide confrontarsi USA e URSS in piena guerra fredda.

Ora in scena è entrata la Cina, che ha promesso una base lunare entro il 2030. E persino alcuni eccentrici privati danarosi, come Bezos, Musk e Branson, che pensano di mettere in piedi una nuova agenzia turistica per i multimilionari (e sono già 75mila) che potrebbero permettersi un viaggio supercostoso di questo tipo.

Ai tempi di Trump era parso molto chiaro che lo Spazio non può essere inteso come un bene comune ma come un territorio da colonizzare: i primi che ci arrivano prendono tutto. Gli occidentali possono anche collaborare alla battuta di caccia, ma devono sapere che chi deciderà come spartirsi la preda saranno solo gli USA. I quali infatti non hanno alcun interesse a rispettare i trattati internazionali sull'uso dello Spazio (p.es. l'Outer Space Treaty del 1967 o quello sulla Luna del 1979). Non è tanto un problema di sfruttamento di risorse materiali (per ora molto remoto), quanto piuttosto di strategia geopolitica a fini spionistici, telecomunicativi e militari. Al momento i satelliti in orbita son già 5.000.

Chi sta più in alto domina sul piano tecnologico chi sta più in basso. Pur di accaparrarsi i piani alti ci si può anche permettere d'inventarsi un'invasione di alieni, nei cui confronti solo chi dispone di armi adeguate sarà in grado di proteggere l'intera umanità.

Sul piano economico infatti non sono molti i luoghi spaziali con risorse estraibili interessanti, e quelli che le possiedono sono di dimensioni contenute. Ha più senso mettersi a sfruttare i poli artici e antartici del pianeta, sempre più soggetti a scioglimento, o i fondali marini degli oceani.

Insomma il capitale non ha pace. Da qualche parte le risorse ottenute sfruttando il lavoro altrui deve metterle. Anche a costo di affidarsi ai sogni più assurdi. Vengono qui in mente le mega costruzioni dei Romani, che quando furono viste dai barbari, questi dissero: “Ma a che serve tutta 'sta roba?”.

 

[13] Cina tra Pakistan e Afghanistan

 

Quelli di “Limes” sostengono che gli americani, lasciando l'Afghanistan, sono convinti che Talebani e al Qaeda avranno mano libera per infiltrarsi tra gli Uiguri nello Xinjiang e destabilizzare la Cina, già piuttosto criticata per come tratta questa sua minoranza islamica turcofona.

Bisogna però ammettere che la Cina ha una carta che gli occidentali in Afghanistan non avevano: costruire le infrastrutture per realizzare la Nuova Via della Seta. Al momento e in tutto il mondo ai cinesi interessa soprattutto questo.

Han chiuso un occhio persino sulla assurda dittatura in Myanmar. Figuriamoci se ora non approfittano della sconfitta americana per inserire l'Afghanistan nel cosiddetto “Corridoio Economico tra Cina e Pakistan”, un percorso di 3.218 km formato da reti ferroviarie e autostradali che collegheranno il porto pakistano di Gwadar alla regione cinese dello Xinjiang, e che quindi garantiranno un facile accesso della Cina all'Oceano Indiano per realizzare appunto la Nuova Via della Seta, promossa dal presidente Xi Jinping a partire dal 2013.

Il porto di Gwadar, che era in disuso in una delle aree più povere del Pakistan, diventerà presto, grazie ai 54 miliardi di dollari investiti da Pechino, il primo scalo asiatico per le merci che transitano via mare. Entro il 2030 si potrebbe toccare la soglia dei 400 milioni di tonnellate di merci da smistare. La città stessa cambierà volto: le stime prevedono che la sua popolazione, composta oggi da 100mila abitanti, aumenterà di 10 volte entro il 2050.

Coi cinesi non si scherza, anche perché non c'è di mezzo solo l'economia ma anche la geopolitica. Il Dragone è intenzionato a considerare quella vasta area geografica che passa da Gwadar (Pakistan), Hambantota (Sri Lanka), Chittagong (Bangladesh), fino a Sittwe (Myanmar) come una propria zona d'influenza. Il porto di Gwadar potrebbe anche consentire a Pechino di connettersi sia col Golfo Persico che col Mare Arabico, destando grandi preoccupazioni all'India.

Il Pakistan è già una semi-colonia cinese. Di recente Islamabad ha chiesto la ristrutturazione di 3 miliardi d'interessi su un prestito da 31 miliardi concesso dalle banche cinesi per finanziarie le infrastrutture energetiche di cui il Paese ha disperato bisogno. Ma Pechino ha risposto negativamente, peggiorando la crisi economica pakistana.

I soldi sono un'arma di ricatto. L'hanno imparato dagli occidentali. La trappola del debito non ha bisogno di un intervento militare diretto, almeno non nella fase iniziale.

 

[14] Questioni di onore familiare

 

Grazie alle dichiarazioni di tre pentiti, s'è fatta luce sul delitto di Nunzia Alleruzzo, avvenuto a Paternò nel Catanese nel 1995. È stato il fratello Alessandro, che oggi ha 47 anni, ad averla assassinata per riscattare l'onore della famiglia mafiosa degli Alleruzzo, violato dalle relazioni extraconiugali che la donna intratteneva con criminali di un gruppo rivale, dopo avere abbandonato il marito. Tra gli “amanti” di Nunzia vi era un certo Giovanni Messina, che aveva ucciso la madre di lei e che pensava di uccidere lo stesso Alessandro.

Il padre Pippo Alleruzzo negli anni '70 e '80 guidava il gruppo paternese di Cosa Nostra, al centro di numerose faide particolarmente cruente. Poi, dopo la morte violenta della moglie e di un altro suo figlio, divenne un collaboratore di giustizia.

Anche i genitori pakistani di Saman Abbas hanno eliminata la figlia per questioni di onore familiare, in quanto aveva rifiutato un matrimonio combinato. Ci siamo scandalizzati parecchio di questo delitto, ma qual è la differenza? Una c'è: la Saman voleva sposarsi con l'unico ragazzo che amava, che non era un mafioso.

Da notare inoltre che l'onore non può più essere “lavato” in Italia dalla legge n. 442/1981 nel caso d'infedeltà coniugale. Ma, nonostante questo, i femminicidi si susseguono da oltre 15 anni a una media di uno ogni due giorni. E, secondo l'ISTAT, il 74,5% degli assassini è italiano, nato in Italia da almeno una generazione, e non è di religione islamica.

 

[15] I matrimoni forzati nel mondo e legislazione italiana

 

Nel caso di Saman Abbas cosa ci scandalizza di più? Ci indigna sicuramente la pratica del matrimonio combinato, ma soprattutto il fatto che i genitori e alcuni parenti della ragazza non abbiano avuto scrupoli a eliminarla.

In Pakistan (terzo Paese al mondo per insicurezza, violenza e mancanza di diritti per le donne) i matrimoni spesso sono combinati, soprattutto nelle campagne, dove decidono al 100% i rispettivi genitori. Matrimonio è sinonimo di Patrimonio: chi si oppone al primo, minaccia o non garantisce il secondo. Quindi diventa un soggetto inutile o addirittura pericoloso.

Nel 2014 ci fu un caso ancora più grave di questo, sempre in Pakistan. Un ragazzo di 27 anni e la sua innamorata di 23 si erano sposati contro la volontà della famiglia di lei, che non aveva accettato il matrimonio con uno che faceva parte di una comunità tribale inferiore. Si sposarono lo stesso, trovando rifugio dai genitori di lui, ma il padre e il nonno della ragazza, con la complicità di altre persone, prelevarono la coppia dalla propria casa e li decapitarono.

Tuttavia la situazione mondiale, stando all'Unicef, è terribile: oggi vivono 650 milioni di donne e ragazze che sono state date in sposa da bambine o comunque sotto i 18 anni. Circa la metà di questi matrimoni sono avvenuti in Bangladesh, Brasile, Etiopia, India e Nigeria (poi vi sono Ciad, Niger, Guinea, Repubblica Centrafricana, Pakistan, Marocco, Tunisia...). Ogni anno si aggiungono circa 10-12 milioni di ragazze che si sposano prima dei 18 anni, di cui 4 milioni prima dei 15 anni. Nel 2050 circa 1,2 miliardi di ragazze si saranno sposate prima dei 18 anni.

Che i matrimoni siano forzati o combinati tra le rispettive famiglie, cambia poco. E non è che in Europa ignoriamo il fenomeno: in Bulgaria il 9% dei matrimoni combinati coinvolge bambine e ragazze sotto i 18 anni; in Portogallo ed Estonia il 5%; in Grecia il 4%; in Romania il 3%...

L'unico Paese a raccogliere con scrupolo dati statistici è il Regno Unito, dove i matrimoni forzati sono circa 1.500 l'anno. Qui infatti da almeno 10 anni si osserva il fenomeno della sparizione di bambini che, dopo le vacanze estive nei Paesi d'origine delle famiglie, non fanno più ritorno a scuola.

 

In Italia l'art. 84 del Codice civile vieta espressamente il matrimonio tra minori. Ci sono però alcune eccezioni: tra i 16 e i 18 anni ci si può sposare per “gravi motivi”, dopo l'autorizzazione di un giudice (non serve quella dei genitori), che deve accertare la maturità psicofisica e la fondatezza delle ragioni addotte.

Inoltre, a seguito della legge n. 69 del 2019, è stato introdotto nel Codice penale l'art. 588-bis che sanziona i matrimoni forzati in cui è evidente l'elemento della coercizione. Merito di ciò va alla Convenzione di Istanbul del 2011, ratificata dall'Italia nel 2013 ed entrata in vigore nel 2014. Da noi solo lo 0,2% del totale tra i 15 e i 19 anni sono sposati.

Ciononostante la legge non basta. L'abbiamo visto con Saman Abbas, la ragazza pakistana uccisa dai propri parenti perché rifiutava un matrimonio combinato. Non era certo il caso dei suoi genitori, in Italia da una decina d'anni, ma vien da chiedersi: chi controlla le minorenni o comunque le ragazze che appartengono a famiglie migranti, quando lo status di residente dei genitori può essere precario, a breve termine o addirittura in una posizione di irregolarità? Una ragazza può voler scappare da un matrimonio forzato, ma non per questo desiderare che il padre finisca in carcere oppure rischi di venire espulso. Ecco perché se non ci si vuole rivolgere alle forze dell'ordine, si deve chiamare il numero contro la violenza di genere (1522) o contattare i Centri antiviolenza. E Saman l'aveva fatto nell'ottobre del 2020.

Il numero dei matrimoni forzati è destinato sicuramente ad aumentare per colpa della pandemia, che ha impoverito famiglie già in condizioni precarie. E comunque da noi non esiste una ricerca ufficiale e attendibile sul fenomeno delle spose adolescenti. Siamo piuttosto indietro in materia di sensibilizzazione. E le ragazze che cercano aiuto, non sempre trovano un ascolto adeguato. Anche perché abbiamo il culto della famiglia e non pensiamo che i mostri siano proprio lì o nel parentado.

 

[16] Mediterraneo, strategia e ZEE

 

Perché il Mediterraneo è così strategico? Lo spiega il sito formiche.net

Il 27% dei container mondiali; il 20% del traffico marittimo globale; il 71% degli scambi tra Italia e Mediterraneo via mare; 659 milioni di tonnellate sui servizi marittimi a corto raggio; 18 porti; oltre 1 miliardo di tonnellate di beni che passano da Suez e lo rendono uno snodo cruciale tra le quattro macroregioni (Nord America, Europa, Africa e Asia) senza “reali alternative”, neppure davanti alle nuove strategiche rotte come quella artica.

Per la Cina il Mediterraneo è il crocevia per raggiungere i mercati europei, il Nord Africa, il Medio Oriente, con l'opportunità di raggiungere la costa Est degli Stati Uniti. Gli investimenti di Pechino nella logistica e nelle infrastrutture marittime nel Mediterraneo hanno assunto un ruolo determinante nell'aumento esponenziale (+ 500% dal 1995) del traffico merci in entrata nel mare e nella capacità dei porti regionali di assorbirlo e smistarlo. Praticamente è un mare che s'interfaccia direttamente con l'Oceano Indiano e il Mar della Cina meridionale. Non si era mai vista una cosa del genere.

La forte presenza cinese nelle infrastrutture marittime del Mediterraneo è parte di un processo di regionalizzazione della globalizzazione che vede nell'Italia “una sorta di ponte logistico ed energetico tra l'Europa continentale e il Nord Africa”.

La politica italiana, così provinciale e litigiosa, non riesce neppure lontanamente ad afferrare l'importanza di queste cose. Per noi il Mediterraneo è solo una minaccia a causa dei flussi migratori. Abbiamo persino una destra che vorrebbe essere più nazionalista che europeista, quando invece sarebbe meglio il contrario. Siamo più indietro degli stessi antichi Romani, che, dopo le guerre puniche, avevano capito che non è il mare che va visto dalla terra ma la terra che va vista dal mare.

 

Cos'è una Zona Economica Esclusiva (ZEE)? È un'area del mare, adiacente alle acque territoriali, in cui uno Stato costiero ha diritti sovrani per la gestione delle risorse naturali, giurisdizione in materia di installazione e uso di strutture artificiali, ricerca scientifica, protezione e conservazione dell'ambiente marino (si pensi solo agli inquinamenti da idrocarburi e da altre sostanze nocive). Può estendersi fino a un massimo di 200 miglia, incluse le 12 miglia di acque territoriali. In caso di Stati vicini si utilizza in genere il criterio dell'equidistanza. Da notare che la distanza non consente, in nessun punto del Mediterraneo, pretese di 200 miglia.

Sino alla fine degli anni '90 nessun Paese che si affaccia sul Mediterraneo aveva proclamato una propria ZEE. Poi però è iniziato il caos, soprattutto per lo sfruttamento scriteriato delle sue risorse ittiche ed energetiche. Abbiamo vicini di casa piuttosto prepotenti, senza poi considerare che tutti vogliono entrare in questo mare e nessuno vuol prendersi delle responsabilità sulla spinosa questione dei migranti.

La corsa all'istituzione di ZEE è stata iniziata da Cipro (accordi con Egitto, Libano e Israele), cui si sono accodati Tunisia, Libia, Francia e Spagna.

Lo scorso 9 giugno il Senato ha finalmente approvato in via definitiva la legge sulla nostra ZEE, proposta dalla deputata pentastellata Iolanda Di Stasio, approvata con un voto a larghissima maggioranza, trasversale ai partiti.

Sulla base della Convenzione del diritto del mare (UNCLOS) la nuova ZEE creerà i presupposti per rafforzare la marittimità del nostro Paese (sempre molto trascurata dai governi), anche per impedire attività illegali di pesca condotte da flotte straniere vicino alle nostre coste (soprattutto per la cattura del tonno rosso). Ora la Marina militare non deve soltanto controllare 120.000 kmq di acque interne e territoriali, ma ben 500.000 kmq! D'altra parte il mare non è più libero, come ai tempi di Ugo Grozio, ma appartiene in gran parte agli Stati costieri, che devono assumersi responsabilità ben precise e condivise da tutti.

Al momento restano ancora insoluti i problemi di pesca in acque pretese da Libia e Tunisia (che catturano anche i nostri pescherecci per avere dei riscatti economici), Algeria e Malta, almeno finché non si faranno accordi di partenariato con quei Paesi. L'Algeria addirittura pretende di istituire unilateralmente una ZEE che giunge sino alle coste sarde nei pressi di Oristano. La Tunisia vuole l'area del “Mammellone” del Canale di Sicilia, sottraendola ai pescatori di Mazara del Vallo.

Quanto a Malta, nel quadrante a sud est dell'isola la Corte Internazionale di Giustizia nel 1985 ha già riconosciuto l'esistenza di nostri diritti.

 

[17] Il fascismo mai morto in Italia

 

In restellistoria.altervista.org si parla del testo di Francesco Filippi, Ma perché siamo ancora fascisti? (ed. Feltrinelli 2020) e se ne riassume il contenuto, chiedendosi il motivo per cui gli italiani hanno ancora un atteggiamento antistorico, di palese simpatia verso una delle più feroci dittature del Novecento, come ancora si evince in certune frasi dell'immaginario popolare: “Queste cose non accadevano quando c'era Lui”; “Mussolini è stato un grand'uomo. L'unico errore è stato allearsi con Hitler”; “Mussolini amava il suo popolo, molto di più dei politici che abbiamo ora a Roma”; “I treni arrivavano sempre in orario”... Un'altra perla è: “La mafia non aveva il potere di oggi”.

Le risposte che si danno sono tutte condivisibili:

- non c'è mai stata una Norimberga italiana che avrebbe fatto un po' di chiarezza;

- è sempre prevalso un giudizio assolutorio sul fascismo (per es. le Leggi Razziali furono imposte da Berlino. Non era vero. Furono un parto del fascismo);

- non è mai stata colpita tutta quella parte di italiani che ha collaborato a vario titolo alla deportazione degli ebrei;

- i criminali di guerra non furono mai estradati per essere giudicati (Badoglio, Roatta, Graziani, Pirzio Biroli, Grazioli...);

- solo il fascismo di Salò è stato posto sotto accusa (il cosiddetto “nazifascismo”), non invece il fascismo monarchico del Ventennio;

- i vari processi di epurazione del fascismo, finita la guerra, non raggiungono alcun risultato. Nella burocrazia, a tutti i livelli, chi era impiegato o funzionario rimane al suo posto, nonostante talvolta aperte collusioni con il regime. Anche nel mondo economico l'epurazione fu un fallimento. Così nella scuola e nella magistratura;

- con l'Amnistia Togliatti (giugno 1946) in pochi mesi escono dalle carceri migliaia di fascisti già condannati o in attesa del processo. Quindi l'Italia si scopre senza fascisti solamente dopo un anno o due dalla fine della guerra;

- è facile dare la colpa di tutto quanto è accaduto a un uomo (Mussolini) e al regime (compresa la guerra). Eppure l'ingresso in guerra del 10 giugno 1940 era stato accolto con tripudio da molti italiani; la nascita dell'impero sui “Colli fatali” di Roma (9 maggio 1936) aveva visto l'apice del consenso tra gli italiani.

Mio nonno fu sempre un socialista massimalista (era persino amico di Mussolini quando questi da socialista frequentava la provincia di Forlì) e al Congresso di Livorno del 1921, cui partecipò, non aderì al neonato Partito comunista. Quando vide l'amnistia voluta da Togliatti rimase senza parole.

 

[18] NATO 2030. ISTAT, dati sulla povertà

 

Il Summit G7, svoltosi in Cornovaglia l'11-13 giugno, ha avuto come principale obiettivo quello di minacciare Russia e Cina di terribili conseguenze se continueranno a comportarsi in maniera sfavorevole all'Occidente. Tant'è che in base all'agenda “Nato 2030” gli USA schiereranno tra non molto in Europa contro la Russia e in Asia contro la Cina nuovi missili nucleari a medio raggio.

Da qui la decisione del Summit di accrescere ulteriormente la spesa militare: gli Stati Uniti stanno spendendo 785 miliardi di dollari, cioè quasi il 70% di quella complessiva dei 30 Paesi della NATO (che è di 1.100 miliardi di dollari: l'equivalente dell'intero debito studentesco americano). Per questo motivo spingono gli alleati europei ad accrescerla. In linea con la soglia del 2% del PIL sono diventati 11, rispetto ai 9 dell'anno scorso. Oltre agli USA ci sono Stati certamente non benestanti come Grecia, i tre Paesi Baltici, Polonia, Romania, Slovacchia, più Regno Unito, Francia e Norvegia. Canada e UE arriveranno a spendere entro il 2024 la cifra astronomica di 400 miliardi di dollari per la difesa. Contro chi poi non si sa: si sa solo che alla Difesa la pandemia non interessa.

L'Italia, dal 2015, ha aumentato la sua spesa annua di 10 miliardi di dollari, portandola nel 2021 a circa 30 miliardi, la quinta in ordine di grandezza fra i 30 Paesi Nato, ma il livello che dovrà raggiungere supera i 40 miliardi di dollari annui.

Il Consiglio Nord Atlantico, l'organo politico dell'Alleanza, dovrà decidere in modo conforme alla volontà americana. Il che significa che i parlamenti europei conteranno sempre meno in politica estera e militare, dato che 21 dei 27 Paesi della UE appartengono alla NATO.

Naturalmente Gran Bretagna, Francia e Germania trattano con gli USA anche in base ai propri interessi. Viceversa l'Italia si accoda alle decisioni di Washington contro i suoi stessi interessi. Sta diventando sempre più irrilevante chi gestisce la nostra politica estera.

 

Nel 2020, secondo l'ISTAT, sono in condizione di povertà assoluta poco più di due milioni di famiglie (7,7% del totale) e oltre 5,6 milioni di individui (9,4%). Per quanto riguarda la povertà relativa, le famiglie sotto la soglia sono poco più di 2,6 milioni (10,1%).

Ma come fa l'ISTAT a ottenere delle cifre così mostruose? Lo spiega in questa pagina www.istat.it/it/dati-analisi-e-prodotti/contenuti-interattivi/soglia-di-poverta

La soglia di povertà assoluta rappresenta il valore monetario, a prezzi correnti, del paniere di beni e servizi considerati essenziali per ciascuna famiglia, definita in base all'età dei componenti, alla ripartizione geografica e alla tipologia del Comune di residenza. Quindi una famiglia è assolutamente povera se sostiene una spesa mensile per consumi pari o inferiore a tale valore monetario.

Per fare il calcolo questi i parametri:

- la numerosità familiare non può superare i 12 componenti;

- i “Grandi Comuni” includono anche i Comuni della periferia dell'area metropolitana;

- i dati sono disponibili a partire dall'anno 2005.

Quindi proviamo a fare un esempio: scegliamo due persone che hanno un'età da 60 a 74 anni (quindi coi figli fuori casa), che risiedono in un Comune del centro Italia con più di 50.000 abitanti (anno 2020). Vengono considerate in povertà assoluta se al mese dispongono di 994 euro. Se la stessa coppia fosse vissuta al sud sarebbe stata povera con 818 euro. Al nord con 1.051 euro. Questo perché il carovita è diverso.

“Povertà assoluta” è una definizione forte, estrema. In questo caso vuol dire che i due soggetti devono vivere in forti ristrettezze, non essendo stati capaci di ottenere una pensione superiore a 500 euro a testa.

Tuttavia manca un dato fondamentale: questa coppia vive in affitto o ha la casa in proprietà? A quell'età infatti sarebbe assurdo dover pagare un mutuo per la propria abitazione. Ma se vivessero in affitto, sarebbero dipendenti completamente dall'assistenza pubblica, o comunque dovrebbero percepire un reddito di cittadinanza di 8.400 euro (secondo le tabelle).

È solo all'interno del Report che viene detto che le oltre 866.000 famiglie povere in affitto rappresentano il 43% di tutte le famiglie povere. E la voce per l'affitto pesa per il 36% sul totale delle spese familiari quando si è poveri.

A questi livelli dovremmo avere un tasso di criminalità molto elevato. Oppure continue sommosse popolari. C'è quindi qualcosa che non convince in queste statistiche matematiche, anche perché sono la risultante di un'indagine condotta su un campione di sole 25.000 famiglie. Le quali sicuramente avranno avuto problemi a parlare di immobili in proprietà, di lavoro nero o di evasione fiscale. Per stabilire statistiche serie ci vogliono i Comuni e le associazioni di volontariato ad hoc.

 

[19] L'inutilità della pandemia

 

Uno dei sintomi più eloquenti che stiamo uscendo dalla pandemia è l'aumento dei prezzi in molte materie prime. L'inflazione è un bene. Cose da pazzi.

Il prezzo del barile del petrolio è tornato subito a quello pre-Covid, mentre quello dell'oro è cresciuto di circa il 30-35%, segno dell'insicurezza in cui viviamo.

Dato 100 il consumo globale annuo di energia in tutto il pianeta, al 2021 circa l'80-83% viene dall'uso dei combustibili fossili, e cioè petrolio, carbone e gas. Il restante 16-18% proviene dalle energie verdi e nucleari.

Per i consumi attuali si utilizzano circa 90 milioni di barili di petrolio al giorno in tutto il mondo (il barile è pari a circa 155 litri). Il Covid-19 favorì indubbiamente l'ecologia, in quanto il consumo di petrolio scese a circa 83 milioni di barili al giorno. Un barile costava 20 dollari e le trivelle si erano fermate: oggi costa 74 dollari. E nel 2023 i barili consumati saranno oltre 100 milioni, a causa della domanda asiatica.

Il petrolio è ancora oggi di gran lunga la materia prima maggiormente utilizzata per la produzione di energia e la più inquinante (p.es. i mari al 20% sono devastati solo dalla pulizia delle cisterne delle petroliere). Si stima che la quantità di idrocarburi che si perde ogni anno in mare si aggiri su una media di 4 milioni di tonnellate l'anno per tutto il pianeta e di 600.000 tonnellate per il solo Mediterraneo.

Di per sé il virus non è affatto servito a farci cambiare direzione di marcia. Ci ha solo indotti a fare più acquisti online e quindi a dare più fiducia alla moneta elettronica.

Anche se ci fa piacere vivere in un ambiente sano e pulito, non siamo disposti a considerare l'ecologia più importante dell'economia. È la vita stessa, coi suoi costi proibitivi, che c'impedisce di farlo. Ecco perché è inutile porsi degli obiettivi di riduzione delle emissioni: non verranno mai raggiunti (vedi Accordi di Parigi). Non è riuscita la peste nel Medioevo, che sterminò 1/3 della popolazione europea, a invertire la rotta del capitalismo commerciale. Figuriamoci un virus che in tutto il mondo ne ha fatti fuori meno di 4 milioni. Per ripensare il nostro stile di vita ci vuole un cataclisma pari a quello che ha fatto piazza pulita dei dinosauri. E forse non basterebbe neppure.

 

[20] Iran, sempre più conservatore

 

Otto anni dell'era di Hassan Rouhani, in carica dal 2013, sono finiti. Il 48,8% dei 59 milioni di iraniani aventi diritto al voto (la percentuale più bassa dalla nascita della Repubblica islamica) vuole un governo più forte, più conservatore, più antiamericano. Da notare che su una popolazione di 83 milioni di abitanti il 30% non ha l'età minima di 18 anni richiesta per votare.

Il nuovo governo del giudice-mullah Ibrahim Raisi, appoggiato sia dalla Guida Suprema Alì Khamenei (82 anni), che lo vuole pure come suo successore, sia da tutte le altre istituzioni della Repubblica: dal Consiglio dei Guardiani ai Pasdaran, si è aggiudicato quasi 18 milioni di voti.

Raisi si era già candidato alle presidenziali del 2017, costruendosi l'immagine del “giudice anti-corruzione”. Ma vinse di nuovo Rouhani, sostenuto dall'intera fazione riformista (e l'affluenza alle urne fu del 73%). In un dibattito tv Rouhani zittì il rivale dicendo che “gli iraniani non accetteranno chi ha impiccato e incarcerato persone per gli ultimi 38 anni”. E l'elettorato gli diede ragione: Rouhani ebbe il 57% dei voti, Raisi il 38%. Ma oggi gli ha dato torto, anche se sarebbe meglio dire che ha vinto l'astensionismo.

In effetti Raisi, da giovane pubblico ministero, fu tra i 4 membri della cosiddetta “Commissione della morte” del 1988 che, senza processo, decise l'esecuzione di almeno 3.000 (ma qualcuno calcola 30.000) prigionieri politici. E ovviamente nessuno si sogna di rimproverargli quella strage, per la quale gli Stati Uniti lo misero sotto sanzioni. Anche perché ha continuato a eliminare dissidenti nel 2009, 2018 e 2019. Al punto che Abdolnaser Hemmati, suo principale rivale in queste elezioni, gli ha detto in un dibattito televisivo: “Tu sei a capo del sistema giudiziario e sei anche candidato presidente. Mi garantisci che non mi farai arrestare se dico qualcosa contro di te?”. Infatti con Raisi presidente nei prossimi quattro anni tutte le cariche del Paese saranno in mano ai conservatori.

Tuttavia Hemmati, governatore della Banca Centrale, non aveva alcuna chance di vittoria. Il Rial, moneta nazionale, ha perso il 40% del valore nel 2020 e il 30% quest'anno, impoverendo chi non aveva risparmi in valuta estera. Per non parlare del fatto che i prezzi dei generi alimentari di base rincarano quasi ogni settimana e che dall'anno scorso si vende il 40% in meno. I turisti europei e americani non esistono più da un pezzo. Se non si arriva a un accordo con gli americani che liberi il Paese dalle sanzioni, il tracollo è assicurato.

Le sanzioni infatti, causate anche dal mancato accordo sul nucleare, sono durissime (hanno vietato persino le transazioni bancarie con l'estero). L'Iran non ha neppure i soldi per comprarsi un vaccino, e un vero e proprio lockdown non c'è mai stato, anche perché il governo non sarebbe stato in grado di garantire generose misure di welfare. Ecco perché il Paese detiene il record di morti per l'intero Medio Oriente (10.000 nuovi contagi quotidiani), con appena il 6% di vaccinati.

Anche se ha vinto Raisi, il potere degli ayatollah fa acqua da tutte le parti. La rivoluzione khomeinista è stata un totale fallimento. Non basta essere antiamericani per essere democratici, né per garantire uno sviluppo economico accettabile. Lo scollamento con la fetta più giovane del Paese è sempre più netto. L'età media è di soli 27 anni, e 2/3 della popolazione ha meno di 35 anni. Più della metà degli elettori non erano neanche nati quando la rivoluzione islamica trionfò sul regime dello Scià Reza Pahlavi. Ed è difficile capire il motivo per cui i governi debbano essere guidati da dei sacerdoti. O perché i 12 membri del Consiglio dei Guardiani (di cui 6 nominati direttamente da Khamenei) si siano sbarazzati dei candidati ritenuti scomodi, accettandone solo 6 su 600, che poi son divenuti 3 e tutti rigorosamente conservatori.

 

[21] USA, democrazia in declino

 

Biden ha detto a Putin che gli USA non prendono lezioni di democrazia da nessuno. Eppure a livello statale stanno aumentando sempre più le leggi progettate per rendere più difficile il voto.

Negli ultimi sei mesi 14 Stati USA hanno emanato 22 leggi che limitano l'accesso al voto. Altri 61 progetti di legge sono in discussione.

Ma perché si comportano così? A dir il vero ci avevano già provato dopo che le elezioni del 2008 avevano mandato al potere Obama, il primo presidente nero.

Ora gli Stati più conservatori non vogliono che a decidere la politica degli USA siano le minoranze “razziali” (oltre che i poveri e gli anziani).

Nel 2020 per eleggere Biden l'affluenza superò il 60%, la più alta dal 1900. Con essa Biden ha interrotto dopo 28 anni la serie di vittorie da parte dei presidenti uscenti ricandidati dai rispettivi partiti. Trump infatti parlò di brogli elettorali e organizzò pure una sommossa, che comportò l'assalto al Campidoglio nel gennaio di quest'anno.

Le restrizioni riguarderanno soprattutto il voto per corrispondenza postale, ma anche il voto di persona. Vogliono rendere più burocratici i requisiti di identificazione dell'elettore, ridurre i seggi elettorali e limitare i giorni e gli orari destinati al voto anticipato, vietare la distribuzione di snack e acqua agli elettori in attesa di votare (attese che possono durare anche ore)...

Insomma a votare ci devono andare soltanto le persone agiate, tendenzialmente favorevoli ai repubblicani. Alle elezioni del 2016 gli elettori nei quartieri prevalentemente neri hanno aspettato il 29% in più, in media, di quelli nei quartieri bianchi.

Ci manca che mettano una tassa per andare a votare, come al tempo delle famigerate leggi Jim Crow (tra il 1877 e il 1964) e la democrazia in America scomparirà anche in tutta la sua formalità (essendo nella sostanza già ridotta a un nulla).

Ora abbiamo di nuovo una tassa sul voto, solo che viene pagata non in valuta ma in disagio. Ed è una tassa sul colore della pelle, perché è molto più probabile che siano i neri e i latinos i più discriminati.

 

[22] La stampa italiana

 

La stampa italiana, sia cartacea che digitale, è piuttosto in crisi. La pandemia del Covid-19 non ha fatto che peggiorare la situazione.

Nell'aprile del 2020 la holding della famiglia Agnelli ha acquisito il 48,8% di Gedi dalla CIR dei De Benedetti, procedendo fin da subito a una ristrutturazione: almeno 50 prepensionamenti a “La Repubblica” entro il 2021. Inoltre quattro storiche testate locali sono state cedute al gruppo SAE (Sapere Aude Editori), guidato dall'imprenditore Alberto Leonardis: “Tirreno”, “La Nuova Ferrara”, “Gazzetta di Reggio” e “Gazzetta di Modena”. Il gruppo sembra intenzionato ad acquistare anche “La Nuova Sardegna”.

Al gruppo Gedi invece appartengono, oltre a “Repubblica”, “L'Espresso”, “HuffPost Italia”, “La Stampa”, “Il Secolo XIX”, “Radio DeeJay” e tanto altro.

È quindi evidente la concentrazione delle maggiori testate nelle mani di pochi grandi gruppi. Gran parte delle azioni del Gruppo Rizzoli (RCS MediaGroup) sono controllate da Urbano Cairo; poi vi sono anche Mediobanca, Diego Della Valle e l'assicurazione Unipol.

I Caltagirone, potente famiglia di costruttori edili, possiedono invece in larga parte “Il Messaggero”, “Il Mattino”, “Leggo”, il “Gazzettino” e soprattutto “Il Sole 24 Ore”, testata ufficiale di Confindustria.

All'estero avviene la stessa cosa. Le piattaforme di maggior successo dei social network sono pressoché detenute da un'unica proprietà. E il “Washington Post” è stato acquistato da Jeff Bezos, fondatore di Amazon, nel 2013.

In Italia due giornalisti su tre sono liberi professionisti, e il loro reddito è in media 5 volte inferiore rispetto ai colleghi alle dipendenze di una testata. Inoltre una donna giornalista, in media, guadagna il 20% in meno rispetto a un collega uomo.

I titoli della stampa digitale spesso sono sensazionalistici: devono restare in prima pagina per poco tempo, prima di essere modificati per attirare nuovi click. Questo perché l'informazione, veloce, superficiale e bulimica, non può viaggiare in maniera separata dal profitto.

In questo contesto gli investimenti pubblicitari diventano spesso un elemento di sopravvivenza per le testate, che devono avere un certo appeal. L'informazione scientifica è usata in maniera assolutamente approssimativa dalla stampa italiana, per dire tutto e il contrario di tutto. Solo quando vi è in atto il conflitto tra Israele e Palestina non si ha dubbi da che parte stare.

Il ricorso alla voce degli esperti, di cui abbiamo avuto abbondanti esempi durante la pandemia, è un riflesso dell'inconsistenza della comunicazione da parte della classe dominante, che scarica le proprie responsabilità politiche sulle spalle dei tecnici.

La stessa comunità accademica e scientifica si guarda bene dal criticare il modello di sviluppo capitalistico connesso alla pandemia, anzi si esaltano gli sforzi del capitale privato a produrre vaccini.

Il tema della cancellazione dei brevetti sui nuovi vaccini viene appena sfiorato dalla stampa italiana, più per dovere di cronaca che per vere e proprie prese di posizione. Con lo stesso taglio viene affrontata la difficoltà di approvvigionamento vaccinale da parte dei Paesi più poveri.

I social network in genere non producono informazione, ma sono piattaforme gestite da aziende private, i cui proventi vengono dagli investimenti pubblicitari.

La piattaforma viene usata per propagandare posizioni spesso direttamente conflittuali nei confronti della piattaforma stessa, ma il solo fatto di avvicinare utenti in questo modo rappresenta comunque una fonte di profitto per la piattaforma. Il che non vuol dire che non possano esserci vere e proprie chiusure dei vari profili se il conflitto sociale dovesse fare un salto di qualità. Nelle società occidentali sono tollerati i siti internet di collettivi e organizzazioni di sinistra solo grazie al basso livello dello scontro di classe. Chi guadagna dall'informazione non ha interesse a che crescano all'ombra del loro dominio testate indipendenti.

Ecco perché sarebbe bene che la stampa venisse espropriata dai grandi gruppi proprietari e posta sotto il controllo di comitati di giornalisti e dei lavoratori delle tipografie, affinché il giornalismo torni ad essere un lavoro svolto da un soggetto professionale. È dai tempi di Carlo Caracciolo che non esiste più la figura dell'editore puro, cioè che fa solo l'editore.

Fonte: marxpedia.org

 

[23] Vaticano, no al ddl Zan. USA, Texas contro il governo

 

Il Vaticano ha chiesto formalmente al governo italiano di modificare il ddl Zan, il disegno di legge contro l'omotransfobia approvato alla Camera nel novembre del 2020 e ora in discussione alla commissione Giustizia del Senato. Secondo la Segreteria di Stato violerebbe “l'accordo di revisione del Concordato” (del 1984).

Mai la Santa Sede era intervenuta nell'iter di approvazione di una legge italiana esercitando formalmente le facoltà che le derivano dai Patti Lateranensi. In passato aveva interferito pesantemente nel dibattito politico (di recente contro le cosiddette unioni civili), ma senza minacciare potenziali conflitti diplomatici.

In soldoni la Chiesa non vuole che le scuole cattoliche vengano coinvolte nell'organizzazione della futura Giornata nazionale contro l'omofobia, la lesbofobia e la transfobia. E più in generale, esprime timori per la “libertà di pensiero” dei cattolici, che rischierebbero conseguenze giudiziarie nell'esprimere in pubblico le loro convinzioni omofobe.

In realtà i promotori della legge hanno ribadito più volte che la libertà di espressione non viene messa in discussione dal ddl Zan. Contrariamente a quanto temono molti degli oppositori, un'associazione potrà continuare a fare una campagna contro l'equiparazione dei diritti delle coppie dello stesso sesso rispetto ai diritti della cosiddetta famiglia tradizionale. Lo Stato semmai interverrebbe se un'associazione istigasse i suoi seguaci a molestare o linciare una coppia omosessuale in quanto non eterosessuale. Il ddl punisce solo l'incitamento all'odio.

La destra, i movimenti anti-abortisti, i cattolici integralisti, la CEI hanno esultato. Noi invece dovremmo approfittarne per chiedere l'abrogazione del Concordato, dei Patti Lateranensi e la revisione integrale dell'art. 7 della Costituzione.

 

Il governatore repubblicano del Texas, Greg Abbott, se ne infischia di Biden: ha firmato leggi che impediscono di criticare nelle scuole le teorie razziali e che consentono ai texani di portare pistole senza licenza. Inoltre ha detto che vuole porre condizioni per limitare l'accesso al voto alle minoranze razziali (neri, latinos...), e ha annunciato che il Texas (che ha il maggior numero di estremisti di destra) continuerà ad ampliare autonomamente il muro di confine per impedire l'immigrazione dei sudamericani. Insomma vuol diventare il leader della resistenza a Biden. Come lo era già al tempo di Obama.

Ormai il potere regionale è in rotta di collisione col potere federale. L'ex presidente Donald Trump ha già approvato la campagna di rielezione di Abbott per un terzo mandato nel 2022. Anzi Abbott punta addirittura alla presidenza degli USA nel 2024, come già fecero, prima di lui, altri governatori del Texas: Rick Perry e George W. Bush. Trump ha già dimostrato nel 2016 che un repubblicano può portare il sentimento anti-immigrati alla Casa Bianca e vincere.

Non solo, ma mentre Trump aveva pieno appoggio da parte delle comunità evangeliche, Biden sta invece perdendo quello dei cattolici. Infatti la Conferenza statunitense dei vescovi cattolici ha approvato la stesura di un documento con cui si ammoniscono lui e altri politici cattolici dal non chiedere la comunione mentre ricoprono posizioni politiche contrarie alla dottrina della Chiesa, come p.es. sulla questione dell'aborto.

 

[24] Ungheria dittatoriale di Orbán

 

Nel 2020 Viktor Orbán, premier ungherese, ha cambiato la Costituzione per vietare la famiglia omogenitoriale e per far ricevere ai bambini (delle coppie eterosessuali) un'educazione conservatrice “basata sui valori cristiani”. Quali valori però non si sa, perché lui è calvinista, è sposato con una donna cattolica e uno dei suoi cinque figli è pentecostale.

Ha inoltre vietato la registrazione del cambio di sesso sui documenti, mettendo quindi fine al riconoscimento legale delle persone transessuali e intersessuali.

Nel 2021 ha approvato una legge per vietare la rappresentazione dell'omosessualità e della riassegnazione del genere all'interno dei film, delle pubblicità e delle scuole al fine di “proteggere” gli individui al di sotto dei 18 anni.

Durante la pandemia ha sospeso il Parlamento per ottenere pieni poteri a tempo indeterminato. Ha disposto l'arresto di János Csóka-Szucs, membro del movimento liberale di opposizione Momentum, per aver criticato il governo su Facebook nella gestione della pandemia. Attacca continuamente la libertà di stampa, l'indipendenza della magistratura e dell'università. Viola i diritti di lavoratori, dei richiedenti asilo e delle persone Lgbt. Si rifiuta di ratificare la convenzione di Istanbul sulla violenza sulle donne. Criminalizza le Ong.

14 Paesi della UE hanno sottoscritto una dichiarazione in cui esprimono forte preoccupazione per la legge introdotta di recente che “discrimina in modo palese le persone Lgbtiq e viola il loro diritto alla libertà di espressione, con il pretesto di proteggere i minori”.

Che ci fa un soggetto del genere nella UE? Per quale motivo dobbiamo finanziare il suo Paese? Quanto meno si dovrebbe rispettare l'art. 7 dei Trattati europei, che prevede un meccanismo per la sospensione di alcuni dei diritti di adesione di uno Stato membro – come per esempio il diritto di voto nelle sedi istituzionali – in caso di violazione grave e persistente dei princìpi su cui poggia la UE.

 

[25] Italia, ricchezza privata e debito pubblico

 

Secondo Bankitalia le famiglie italiane hanno una ricchezza di oltre 10mila miliardi, che riguarda soprattutto gli immobili e i depositi bancari e postali. I titoli invece sono caduti al 7% del portafoglio dal 30% dei primi anni '90. Ci siamo evidentemente scottati con le tante bolle speculative degli ultimi 20 anni.

In particolare la proprietà immobiliare italiana è molto diffusa e saldamente in mano ai privati. Stando all'Agenzia delle Entrate su quasi 35 milioni unità residenziali censite, oltre 32 milioni risultano possedute da persone fisiche, con una quota pari al 92,3%. In particolare le case in cui il proprietario ha la residenza fiscale sono oltre 19,5 milioni, mentre 13,4 milioni circa le relative pertinenze (il numero delle abitazioni locate è poco più di 6 milioni, quasi equivalente a quello delle unità immobiliari tenute a disposizione).

Il valore totale degli immobili (case e terreni) posseduto da persone fisiche e società è pari a 6.300 miliardi di euro: quasi tre volte il debito pubblico italiano.

La domanda che sorge spontanea è: perché un Paese così ricco sul piano privato ha un debito pubblico così gigantesco? La risposta è molto semplice: gli italiani vedono lo Stato o come un nemico da combattere o come un limone da spremere. Non riescono a vedere nello Stato qualcosa che rientri nella categoria del “bene pubblico”, cioè di tutti.

È sbagliato questo atteggiamento? Diciamo che in un mondo dove gli Stati sgomitano ogni giorno per avere il loro spazio vitale, essere sprovvisti di una forza equivalente potrebbe essere molto pericoloso. Tuttavia a livello di politica interna i cittadini devono essere abituati ad autogestirsi, anche per risolvere i problemi della corruzione e delle lentezze burocratiche. I padri e padroni devono mandarli in pensione.

 

[26] Auto ecologiche

 

Nell'arco dei prossimi 14 anni non esisteranno più in Europa le auto a diesel e benzina e ibride, cioè a partire dal 2035 dovremo comprare un'auto elettrica, a “emissioni zero”. Già nel 2030 si dovrà avere una riduzione del 60% delle emissioni di auto, alzando il limite attuale del 37,5%, per poi arrivare a quello definitivo pari al 100%.

Questo modo di impostare le cose sul piano ecologico, è ridicolo. Sia perché invece di parlare di potenziamento dei mezzi pubblici, si continua a parlare di acquisto di mezzi privati. Sia perché anche le auto elettriche devasteranno il pianeta, a partire dalle loro batterie per finire coi loro sistemi elettronici, senza parlare dei soliti pneumatici.

Anche la produzione di energia elettrica per fare andare le auto ha dei costi ambientali. Per non avere alcun impatto ambientale l'auto dovrebbe andare a pedali.

È lo stile di vita che deve cambiare. Non bastano i mezzi. Per es. la concentrazione massiccia della popolazione nelle aree urbane è un bene? Sicuramente no, anche perché le città sono cantieri aperti ogni giorno, dove la manutenzione, i rifacimenti, le ristrutturazioni non finiscono mai. E non c'è cosa che non inquini.

Potremmo p.es. partire dagli imballaggi plastificati nei supermarket. In Italia stanno crescendo i cosiddetti “negozi leggeri”, a basso impatto ambientale, dove è il cliente a decidere quanta merce acquistare. I prodotti si vendono sfusi, senza packaging, usando i dispenser, e con un occhio al “chilometro zero”. Ai contenitori per portarli a casa deve provvedere il cliente, che tende a riutilizzare sempre lo stesso. E il risparmio si percepisce subito.

 

[27] Il suicidio di McAfee

 

John McAfee, il famoso imprenditore britannico, naturalizzato americano, padre del primo antivirus della storia dell'informatica, si è suicidato in un carcere vicino a Barcellona, poco dopo il via libera alla sua estradizione negli Stati Uniti, dove rischiava 30 anni per evasione fiscale. Aveva 75 anni.

E io me lo ricordavo bene. Non lui ma la sua creatura, nata nel 1987. Quella volta non c'erano molti antivirus in giro, e di sicuro il suo era più leggero del pesantissimo Norton, nato due anni dopo, che si mangiava la poca RAM che avevamo. Il Windows non aveva le protezioni di oggi, anzi era molto più fragile del Mac o di Linux o Unix.

Il McAfee nel 2000 aveva già 50 milioni di utenti registrati. Nel 2010 il colosso Intel aveva acquistato l'azienda per 7,8 miliardi di dollari.

Ma perché ammazzarsi? Era stato arrestato in ottobre in Spagna, su ordine di cattura partito dagli USA, che l'aveva accusato di non aver dichiarato redditi per 23 milioni di dollari fra il 2014 e il 2018, realizzati con false dichiarazioni sulle criptovalute e con la vendita dei diritti sulla storia della sua vita per un documentario. Stava fuggendo verso la Turchia. Tutto qui. Da noi quanti imprenditori evasori fiscali dovrebbero suicidarsi?

Nel 2008 si era trasferito a San Pedro Town, nell'isola di Ambergris in Belize, un paradiso tropicale, dopo aver perso buona parte del suo patrimonio a causa della crisi finanziaria dei subprime. Qui si era fatto costruire un'enorme villa superprotetta, dove trascorreva le sue giornate tra rumorosi party a base di droga e giovanissime prostitute. Aveva anche aperto una fabbrica di sigari, commerciava caffè, e aveva avviato una società farmaceutica e di taxi.

Nel 2012 un vicino di casa con cui litigava spesso, e che gli aveva fatto fuori i suoi cani, fu trovato ucciso. Per sfuggire all'interrogatorio della polizia aveva attraversato illegalmente il confine e chiesto asilo in Guatemala, ma era stato costretto a rientrare negli Stati Uniti, dove però l'avevano scagionato dall'accusa di omicidio.

I troppi soldi gli avevano sicuramente montato la testa. Nel 2015 era stato arrestato in Tennessee per guida sotto l'effetto di sostanze stupefacenti e per la presenza di una pistola nell'auto. Una pistola nell'auto? Nel Paese che ha più armi da fuoco che abitanti? E che è il maggior consumatore al mondo di droghe di tutti i tipi?

McAfee si lamentava d'essere un perseguitato. Dicono che l'uso di droghe e alcol l'aveva reso paranoico. L'ex-moglie però l'aveva denunciato per violenza sessuale. La mania del sesso ce l'aveva sin da quando insegnava in un college inglese, da dove era stato cacciato per una relazione con una studentessa.

Molti dei suoi seguaci (esiste un culto della sua persona negli USA) stanno diffondendo un suo vecchio tweet in cui diceva che, nel caso l'avessero trovato morto, non sarebbe stato un suicidio, come quello di Jeffrey Epstein, il finanziere americano che gestiva un giro di prostituzione minorile per persone molto altolocate, tra cui Andrea di York, secondogenito della regina Elisabetta.

Insomma uno strano soggetto, fatto di genio e sregolatezze. In questo somigliava un po' a suo padre, pure lui alcolizzato, che gli morì suicida quando aveva 15 anni.

Ultimamente stava lavorando a un'app a prova di spie, Chadder, in cui nessuno ha le chiavi per decifrare ciò che viene scambiato dagli utenti. Aveva già prodotto per Android DCentral1, l'app che ti dice quanto sono invasive per la tua privacy tutte le altre app. Perché immagino tu sappia che tutte le app che installi nel tuo cellulare o che trovi già pronte sono uno strumento formidabile per tenerti costantemente monitorato su tutto quello che fai.

Adesso non metterti a scaricare DCentral1, perché nel PlayStore non c'è più e se la trovi da qualche parte, il tuo cellulare ti dirà subito che è pericolosa.

 

[28] La transizione ecologica in Italia

 

Quest'anno è stato istituito il Ministero per la Transizione ecologica. Ma l'Italia è al sesto posto al mondo per disastri ambientali: inondazioni, alluvioni, incendi, frane, trombe d'aria... e naturalmente i terremoti hanno interessato nell'ultimo decennio 507 Comuni. Peggio di noi stanno solo Myamar, Russia, India, Francia e Cina. Tra il 1999 e il 2018 abbiamo registrato quasi 20.000 morti riconducibili a eventi meteorologici estremi.

Secondo il Consiglio Nazionale Italiano Ingegneri sono stati spesi dal 1968 al 2014 per ricostruzioni post sismiche 120 miliardi di euro, quando ne sarebbero bastati 94 per mettere in sicurezza edifici pubblici e privati nelle zone a più elevato rischio sismico.

Il dissesto idrogeologico, dovuto a un'assurda cementificazione, ci devasta periodicamente. Lo smaltimento dei rifiuti non è in grado di risolvere alcun vero problema (soprattutto nell'uso dei materiali tossici e della plastica) e poi spesso avviene in maniera vergognosa. L'uso massiccio degli idrocarburi ci uccide, rendendo irrespirabile l'aria. Spesso le acque sono inquinate oppure si stanno riducendo progressivamente a causa del surriscaldamento climatico.

Da noi la tutela ambientale non è strettamente vincolante per le aziende, a meno che le loro attività non vengano denunciate da qualcuno. L'economia viene decisamente considerata più importante dell'ecologia, come il diritto al lavoro prevale su quello alla salute. Tant'è che il partito dei Verdi, sotto varie denominazioni, è sempre stato qualcosa di numericamente ridicolo. Alla fine ha confluito in vari partiti del centrosinistra.

L'ambientalismo si riduce a discussioni catastrofiste, basate sulle analisi di taluni scienziati, o a iniziative buoniste da parte del volontariato civile, o a indagini giudiziarie che collegano lo smaltimento dei rifiuti alla criminalità organizzata, o a progetti tecnologici avveniristici che nell'immediato non servono a niente.

Figure storiche, come Alexander Langer o Danilo Dolci, non le ricorda più nessuno, se non quegli ambientalisti che, individualmente, fanno scelte di vita che ai più appaiono bizzarre, sicuramente non riproducibili su larga scala.

Nel migliore dei casi siamo bravi a differenziare i rifiuti e a rispettare gli animali. Ma sono gocce in un mare che nei suoi presupposti resta inquinato.

Parlare di vita in campagna, per uscire dalla giungla d'asfalto, è illusorio, poiché nel mondo rurale non esiste più nulla che non sia stato profondamente antropizzato. Per fare un'esperienza un minimo ecologica bisogna cercare posti abbandonati da dio, dove manca qualunque comodità urbana.

La cosa più curiosa è che, mentre da un lato la lotta pro ambiente si attesta in maniera sporadica sui singoli nomi: da Pecoraro Scanio a Elly Schlein, fino a Rossella Murroni (tanto per citarne alcuni); dall'altro il mondo della ricerca scientifico-industriale è quasi esclusivamente orientato verso i temi ambientali, nel timore di non essere sufficientemente competitivi.

Dobbiamo metterci in testa che l'obiettivo primario di qualunque produzione è la circolarità del processo, nel senso che il consumo non può più prevedere degli scarti non riciclabili. L'ecosistema va rispettato nella sua interezza, da monte a valle.

La lotta ambientalista deve diventare una lotta di sistema, anche quando pretendiamo l'uso del vetro al posto della plastica, l'uso dei dispenser al posto dei contenitori usa e getta, la fine degli imballaggi plastificati nelle merci dei supermercati, il consumo di prodotti locali e stagionali, la chiusura degli allevamenti intensivi privi di etica, e così via.

Se non ci convinciamo dell'importanza di queste cose, prepariamoci alla desertificazione, agli spostamenti in massa delle popolazioni, a nuove pandemie... È impossibile risolvere con la tecnoscienza i problemi che essa stessa crea. Soprattutto quando è legata al profitto.

 

[29] Caviro e l'economia circolare

 

“Economia circolare” vuol dire che non ci sono prodotti di scarto e le materie vengono costantemente riutilizzate.

Fra le grandi aziende italiane che hanno maggiormente investito sull'economia circolare c'è Caviro, la maggior cooperativa vinicola italiana, nata nel 1966 a Faenza. Oggi è formata da 29 soci, di cui 27 cantine, e rappresenta più di 12mila viticoltori. Lavora ogni anno circa 1/10 di tutta l'uva da vino prodotta nel nostro Paese, proveniente da 36mila ettari di vigne distribuite in 7 regioni. Esporta moltissimi vini in oltre 70 Paesi (in particolare Germania, Giappone e Russia), tra cui anche il Tavernello, il vino italiano più venduto al mondo (rappresenta da solo il 30% delle vendite del Gruppo).

Caviro negli ultimi 10 anni ha investito oltre 100 milioni di euro in progetti di sviluppo per un modello di produzione sostenibile, tanto che nel 2017 fu citata dall'OCSE come esempio virtuoso di economia circolare.

Peraltro, oltre a progettare soluzioni che rendono la filiera produttiva sempre più sostenibile, Caviro è impegnata nell'obiettivo di sensibilizzare le persone sui temi della sostenibilità. Di qui l'avviamento di un progetto editoriale: un magazine trimestrale online chiamato “Innesti” (www.innesti.com) dedicato a natura, ambiente, cultura urbana, cibo e stili di vita.

Con gli scarti della vite Caviro produce energia elettrica e termica, depura acqua, crea biocarburante e fertilizzanti naturali per concimare le proprie vigne. È riuscita nel 2020 a evitare l'emissione in atmosfera di 82mila tonnellate di CO2 e a processare 555mila tonnellate di scarti agroindustriali (vinacce e fecce) per ottenere diversi tipi di alcol usati nell'industria alimentare, farmaceutica e agricola, l'acido tartarico (molto usato nella cosmesi), l'enocianina (un additivo alimentare) e il mosto concentrato rettificato (per arricchire o dolcificare vini e per la rifermentazione nella preparazione di spumanti). Caviro è diventata il secondo produttore di alcol in Italia e il terzo produttore di acido tartarico naturale al mondo.

Riesce a utilizzare non solo oltre il 99% dei suoi materiali di scarto, ma anche gli scarti vegetali di altre aziende del settore alimentare, al fine di ottenere terriccio, fertilizzanti, biometano ed energia che permette a Caviro di essere autosufficiente al 100% e di immettere energia verde sul mercato. Ha persino inventato un recipiente di cartone per i vini di buona qualità.

Ha ottenuto il rinnovo della certificazione SA8000, un modello gestionale che si propone di migliorare le condizioni dei lavoratori. Ha raggiunto lo standard Equalitas, un'importante Certificazione di Sostenibilità da parte di Valoritalia, la più importante società italiana di certificazione nel campo vitivinicolo. Ed è in grado di allinearsi a ben 7 obiettivi dell'Agenda Onu 2030.

www.caviro.com/wp-content/uploads/2021/03/Caviro-Bilancio-Sostenibilita-2020-1.pdf

 

[30] La Sicilia come discarica

 

La Sogin è la società di Stato incaricata dal governo per trovare e costruire i depositi di scorie radioattive delle nostre centrali nucleari dismesse.

Uno dei luoghi prescelti (tra i 3 in Sicilia e i 67 in Italia) è in territorio di Butera, nella Piana di Gela, a pochi chilometri dal polo petrolchimico (adesso convertito in bio-raffineria), sotto processo per i tanti casi di malformazioni fisiche che ha procurato (soprattutto ai bambini), al punto che oggi la Piana vanta il triste primato di terra con più malformazioni in Europa.

Curioso che adesso si pensi di portare proprio qui le scorie nucleari. Qual è il criterio? Il coltello nella piaga? Li potevano almeno interpellare. Invece i cittadini han saputo della cosa tramite la stampa.

Ma Mattarella, che è siciliano, le sa queste cose? Lo sa che la stessa Regione, che pur si sta battendo per interessi elettorali nella difesa contro le scorie nucleari, ha scelto comunque la provincia di Caltanissetta per interrare l'amianto nelle ex miniere e nelle cave abbandonate del Nisseno?

Negli ultimi anni la costa che lambisce il polo petrolchimico, dopo 60 anni di fumi inquinanti, sta cercando di riprendersi il territorio con uno sviluppo che ha portato alla nascita di diversi villaggi turistici.

Inoltre nel luogo prescelto oggi ci sono alcune delle migliori cantine della Sicilia e dell'Italia, si coltiva uva di qualità, pesche, olive. Agricoltura e turismo sono le uniche alternative praticabili che le popolazioni della zona hanno trovato a fabbriche e raffinerie.

La Sicilia non è una discarica. È forse un caso che la provincia di Caltanissetta sia ai vertici per emigrazione all'estero o al Nord dell'Italia?

 

Luglio

 

 

 

[1] Superare i pregiudizi sull'Africa. Carta di Kurukan Fuga

 

Per una corretta informazione sull'Africa consulta il sito amref.it.

1.       L'Africa non è un Paese ma un continente con 54 Stati e 1,1 miliardi di abitanti. Bisogna contestualizzare il più possibile le informazioni quando si parla di Africa.

2.       Il valore monetario delle sue ricchezze minerarie è di 46.200 miliardi di dollari. A rivelarlo nel 2011 in un articolo del giornale “Les Afriques” è stato l'esperto congolese David Beylard. Con il 12% di questa somma il continente nero potrebbe da solo finanziare tutte le infrastrutture di cui ha bisogno. Sta provando a farlo cooperando anche con la Cina. L'Africa non è un continente povero.

3.       Le religioni africane non sono credenze.

4.       Dopo l'Egitto Antico, i popoli africani hanno creato altre grandi civiltà tra cui quella del Mali (1235 d.C. - 16 secolo d.C.) dove, nel 1236, l'imperatore Soundjatta Keita promulgò la cosiddetta prima “Carta dei diritti dell'uomo”, ovvero il “Kouroukan Fouga”.

5.       L'Africa non è solo immigrazione. In Africa non ci sono solo dittatori, corruzioni e malattia. Giovani e artisti esplodono di creatività, anche se non sempre sostenuti dai governi locali. Nel luglio 2018 alcuni giovani artisti e responsabili dei movimenti civili di diversi Paesi hanno lanciato in Senegal l'Università Popolare dell'impegno cittadino, nell'obiettivo di mobilitare i giovani e incoraggiarli a prendere in mano il destino dell'Africa.

6.       Gli opinionisti africani offrono commenti e analisi sulla base di una sensibilità di chi vive direttamente i fatti. Alcune grandi reti di comunicazione internazionale, come la francese TV5 o l'inglese BBC, stanno infatti rafforzando le loro squadre di reporters e analisti con professionisti africani scelti localmente. Grazie a loro si è scoperto, p.es., che nel gennaio 2016 era stata diffusa a livello internazionale la falsa notizia secondo cui il governo eritreo avrebbe deciso di legalizzare la poligamia costringendo gli uomini a sposarsi almeno con due donne.

7.       Le immagini dei bambini, pubblicate per colpire la pancia, spesso e volentieri violano le norme giornalistiche, in particolare la “Carta di Treviso” del 1990 che condanna questo tipo di comportamenti nel suo art. 7: nel caso di minori malati, feriti, svantaggiati o in difficoltà occorre porre particolare attenzione e sensibilità nella diffusione delle immagini e delle vicende al fine di evitare che, in nome di un sentimento pietoso, si arrivi a un sensazionalismo che finisce per divenire sfruttamento della persona.

8.       Associare indiscriminatamente le comunicazioni sull'immigrazione alle persone di pelle nera è una forzatura. Secondo dati Istat 2017, su 5 milioni di stranieri presenti in Italia, gli africani subsahariani sono 400.000, cioè meno del 10% degli immigrati. Inoltre esistono sempre più neri nati in Italia, tanto che bisognerebbe parlare di afro-italiani. Nelle stesse comunità africane sta affermandosi l'uso del termine “afrodiscendente”.

 

Nella prima metà del 1200, il re Sundjata Keita possedeva un regno (schiavistico) tra l'attuale Guinea settentrionale e il Mali meridionale: l'Impero Mandè (di religione islamica), che si espanse fino al XV sec., lasciando il posto all'Impero Songhai.

Ebbene, questo sovrano riunì un'assemblea generale a Kurukan Fuga, che redasse una specie di Costituzione, detta “Carta di Kurukan Fuga” (o “Charte du Mandè”), che ancora oggi molti considerano come base dei moderni diritti umani.

Tra i suoi articoli, alcuni sono notevoli:

1- il diritto alla vita è sacro (anche se poi si aggiunge che chi lo viola subisce la pena di morte);

2- la pigrizia e l'ozio sono vietati;

3- nei rapporti sociali bisogna essere molto tolleranti e avere capacità di scherzare;

4- l'educazione dei bambini è a carico di tutta la società. La patria potestà appartiene a tutti;

5- se la moglie o un figlio fugge, non andare a cercarli dai vicini;

6- le donne non possono essere né offese né maltrattate e devono essere abilitate ad amministrare qualunque aspetto della società;

7- le bugie che hanno resistito 40 anni devono essere considerate verità;

8- gli schiavi hanno diritto a un giorno di riposo alla settimana e devono smettere di lavorare a un'ora ragionevole;

9- la vanità è segno di debolezza, l'umiltà di grandezza;

10- la parola data va rispettata;

11- non fare mai alcun torto allo straniero né ad alcun ambasciatore;

12- chi ha bisogno va sempre assistito;

13- si può acquisire una proprietà solo attraverso l'acquisto, la donazione, lo scambio, il lavoro e la successione: tutte le altre forme senza prova certa sono equivoche;

14- tutti i beni trovati senza proprietario conosciuto diventano proprietà comune dopo 4 anni;

15- soddisfare la propria fame non è furto se non si ha nulla nella propria borsa o nella propria tasca;

16- prima di incendiare il bosco, non guardare a terra, ma alza la testa verso le cime degli alberi;

17- il nemico lo puoi uccidere, ma non umiliare;

18- durante le grandi assemblee accontentatevi dei vostri legittimi rappresentanti, e tolleratevi a vicenda;

19- il rispetto di queste regole è a carico di tutti.

 

[2] I limiti ecologici delle centrali idroelettriche

 

Sul sito tech.everyeye.it è apparsa una news che ha messo in discussione i vantaggi ecologici delle centinaia di centrali idroelettriche costruite nel bacino amazzonico sfruttando i fiumi che attraversano l'area.

Un team di ricerca guidato dal climatologo Dailson Bertassoli ha constatato che, sebbene non vengano bruciati combustibili fossili, i serbatoi rilasciano sotto l'acqua milioni di tonnellate di metano e anidride carbonica.

Tali emissioni durante i primi due anni di attività di una centrale “ad acqua fluente” (run-of-river), di Belo Monte lungo il fiume Xingu, hanno aumentato di oltre tre volte le emissioni di gas serra.

Una volta che si verifica l'allagamento della terraferma, la materia organica intrappolata nel suolo inizia a degradarsi. Senza contare l'impatto sia ambientale sulle specie acquatiche locali, che sociale sulle comunità indigene che vivono lungo il fiume. In poche parole, per limitare l'aumento dei gas serra, si dovrebbe evitare d'inondare la vegetazione. Cosa che non fa nessuno.

Un rapporto del 2019 dell'Environmental Defense Fund ha evidenziato come alcune delle centrali idroelettriche del mondo siano dei veri “pozzi di carbonio” (assorbono più carbonio attraverso la fotosintesi degli organismi che vivono nell'acqua di quanto ne emettano attraverso la decomposizione), mentre altre sono emettitrici nette.

 

[3] Problemi creati dalle centrali idroelettriche in Svizzera. Catastrofe climatica

 

In Svizzera, per produrre elettricità partendo dall'energia idrica, sono stati costruiti oltre 1.400 impianti che prelevano l'acqua di torrenti e fiumi o la trattengono in laghi artificiali. Si sono accorti solo adesso che molti corsi d'acqua, a valle dei punti di prelievo, hanno una portata del tutto insufficiente a garantire la sopravvivenza di pesci e altri esseri viventi.

Il sovrasfruttamento dei corsi d'acqua per la produzione di elettricità rappresenta una delle minacce più gravi per gli ecosistemi acquatici. Molti fiumi e torrenti vengono deviati in cunicoli bui, bloccati con dighe o sbarramenti oppure flagellati da vere e proprie inondazioni. Spesso gli impianti più datati sono privi di qualsiasi infrastruttura che limiti il loro impatto ambientale. Se i torrenti vengono completamente prosciugati, i pesci non possono portare a termine i loro percorsi migratori. Oltre 2.700 km di fiumi svizzeri sono in secca o hanno una portata d'acqua ridottissima. Il 60% delle specie autoctone di pesci e gamberi sono a rischio di estinzione o già estinte.

Oltre il 95% del potenziale utilizzabile per la produzione di energia idroelettrica in Svizzera è già sfruttato, e in una maniera che supera i limiti della tollerabilità ecologica. Ormai sono ben pochi i corsi d'acqua naturali che possono scorrere liberamente.

In ogni caso già lo si sapeva: la costruzione di dighe, condotte forzate e centrali comporta una deturpazione dell'ambiente, possibili disboscamenti in paesaggi montani e un impatto sulla flora e sulla fauna.

Di ecologico allo stato puro non c'è mai nulla, salvo tra le popolazioni più primitive.

 

Il dirigente dell'Organizzazione meteorologica mondiale, Petteri Taalas, ha dichiarato che la concentrazione atmosferica di CO2 è in questo momento così elevata sul pianeta che “L'ultima volta che la Terra ne ha sperimentata una analoga è stato da tre a cinque milioni di anni fa”. Cioè praticamente, grosso modo, quando è nato l'essere umano. Mi sa che per sopravvivere alla prossima catastrofe, dovremo dar ragione a Nietzsche: ci vuole un “superuomo”. Ma forse ce ne vorrebbe uno anche adesso, per evitarla.

 

[4] La cinica geopolitica di “Limes”. Il fascio-leghismo anarcoide di Salvini. L'Afghanistan e la criminalità organizzata

 

“Limes” ha pubblicato un numero dedicato al Vaticano, riproducendo un editoriale del 1993, giudicato “ancora attualissimo”.

Per i geopolitici di questa prestigiosa rivista i cittadini italiani devono apprezzare l'attività planetaria della Santa Sede, che non si basa sulla potenza delle armi militari.

E questa attività planetaria sarebbe impossibile senza una base territoriale come appunto è lo Stato della Città del Vaticano. Cioè se la cattolica non fosse una religione politica (espressa dalla sua romanità) non avrebbe un vero spessore a livello mondiale.

E qui si cita, come esempio di spessore geopolitico globale il Trattato di Tordesillas del 1494, con cui la Chiesa divise il mondo in due a favore di Spagna e Portogallo, allora grandi potenze coloniali.

Ma si cita anche la mediazione vaticana fra Cile e Argentina per il canale di Beagle (1984). E, dopo la seconda guerra mondiale, la gestione delle diocesi germano-polacche a cavallo della linea Oder-Neisse.

Mi chiedo che ragionamento sia questo. Mi chiedo che senso abbia sacrificare sull'altare della rilevanza geopolitica di una confessione religiosa l'idea di laicità che ogni Stato e persino ogni cittadino dovrebbe avere, tenendo ben distinti gli aspetti religiosi da quelli che non lo sono.

Che una chiesa voglia esercitare una funzione universale, è affar suo. Ma tale funzione può avere al massimo una caratteristica etica non politica. E quindi resta inammissibile che la Chiesa cattolico-romana disponga di uno Stato territoriale in grado di sottrarsi a qualunque controllo da parte dello Stato italiano. Questa è un'anomalia tipicamente nostrana, dovuta alla cronica debolezza politica del nostro Stato, che nessun altro Stato potrebbe mai accettare nel proprio territorio, almeno non nei confronti di una confessione religiosa.

Non ha alcun senso etico sostenere, escluso appunto quello cinico della geopolitica, che se la sede del Vaticano si trovasse altrove (come già in passato è successo ad Avignone), l'Italia subirebbe un “secco declassamento nella gerarchia delle potenze”.

È sui princìpi che a volte bisogna ragionare, e uno di quelli inderogabili è proprio questo: nessuna religione dovrebbe avere una propria sede politica. Proprio perché le religioni, per loro natura, dividono il mondo, e i disastri compiuti nel passato dalle religioni, quando, oltre alle idee, avevano anche le armi, sarebbe bene che non si ripetessero. Anche perché il Vaticano, se deve scegliere fra i propri interessi e quelli dell'Italia, non ha dubbi di sorta. Come in duemila anni di storia non ne ha mai avuti.

 

Voglio dire: di fronte al pestaggio nel carcere di Santa Maria Capua Vetere uno, prima di dichiarare subito solidarietà alle forze dell'ordine, s'informa, chiede di sapere come si sono svolti i fatti, soprattutto come sia stato possibile che quelli abbiano usato così tanta violenza sapendo che sarebbero stati ripresi dalle telecamere a circuito chiuso, e se hanno potuto comportarsi così con o senza l'assenso delle autorità superiori.

Invece Salvini d'istinto ha detto di non stare certamente dalla parte dei detenuti. Hai poi corretto il tiro aggiungendo la frase di rito, che nella circostanza, è priva di qualunque significato: “Chi ha sbagliato paga”. Salvo poi ribadire la contrarietà ai numeri identificativi: “non voglio numeretti in fronte o sul petto di uomini e donne” che devono garantire lo status quo.

Lui, che non rispetta mai alcuna regola, che non ha il senso dello Stato (se al governo non c'è lui), e che cambia parere a seconda di come soffia il vento, vuole ordine e disciplina, anche a costo di far morire in mare i migranti africani.

Che soggetto è questo? Perché gli italiani lo votano? Da dove viene il suo fascio-leghismo anarcoide che avrebbe fatto rabbrividire il filosofo e teorico del fascismo Giovanni Gentile?

 

L'Afghanistan alle soglie della guerra civile. Mentre gli USA si sono ritirati dalla base di Bagram, simbolo della guerra, il governo fatica a contrastare i Talebani e chiede alla popolazione di armarsi.

È quello che dovrebbe fare lo Stato italiano nei confronti della popolazione (soprattutto meridionale) taglieggiata dalla criminalità organizzata. Quando le forze dell'ordine non riescono a far fronte, con tutta la potenza dei loro mezzi, ai criminali incalliti, che vogliono vivere sulle spalle della gente comune; quando queste forze dell'ordine vengono viste come “straniere” o “estranee” dalle stesse persone che patiscono soprusi dai suddetti criminali; quando gli stessi criminali si sentono autorizzati a dire che la loro gestione del bene pubblico sarà migliore di qualunque forza “straniera” - non resta che una cosa: armare il popolo e lasciare che sia il popolo a fare giustizia dei propri criminali. Non si dà spazio al linciaggio, non si precipita nel Far West, non si plaude alla legge del taglione. Semplicemente si ammette che le istituzioni, senza una chiara volontà popolare, sono un guscio vuoto.

Semmai si dovrebbe chiedere alla popolazione, dopo che la si è rifornita di armi, di creare le condizioni affinché non possa sorgere una nuova criminalità organizzata.

 

[5] Apple in Cina

 

L'azienda di maggiore successo nel mondo, in questo momento, è l'Apple. I suoi prodotti in testa alle classifiche di vendita internazionali sono realizzati nelle fabbriche dell'azienda cinese Foxconn. La paga iniziale di un operaio Foxconn è di due dollari l'ora. I lavoratori vivono in dormitori di sei-otto letti per i quali pagano un affitto di 16 dollari al mese. La fabbrica si trova a Chengdu, funziona 24 ore su 24, dà lavoro a 120mila persone e non è neanche lo stabilimento più grande della Foxconn: quello si trova a Shenzhen e ha 230mila operai che lavorano 12 ore al giorno, sei giorni su sette. Quando di recente è scoppiato uno scandalo sui suicidi nelle sue fabbriche, la Foxconn si è limitata a dichiarare che il tasso di suicidi tra i suoi dipendenti è più basso della media cinese, e che ogni giorno è costretta a respingere migliaia di domande di lavoro.

Le condizioni di lavoro negli stabilimenti di Foxconn sono uguali se non addirittura migliori rispetto a quelle delle altre fabbriche locali, e i lavoratori cinesi ritengono comunque la vita dell'operaio preferibile a quella del contadino medio.

E tutto questo avviene nello stato teoricamente comunista più grande e potente del mondo.

A febbraio tutti gli operai della Foxconn hanno avuto da un giorno all'altro un aumento di stipendio del 25%. E non è stato il frutto di una protesta organizzata dei lavoratori, ma il risultato di un articolo sulle loro condizioni di lavoro apparso sul “New York Times”. Le pressioni etiche dell'occidente sono una delle spinte più potenti per migliorare la qualità del lavoro in fabbrica a Shenzhen.

 

[6] Demografia in Cina

 

Dicono che nascono più figli maschi che femmine, in un rapporto di 103-106 a 100, perché i maschi hanno un tasso di mortalità infantile più alto e ce ne vogliono di più per bilanciare il rapporto di genere nella specie. Ma in molte parti del mondo la medicina moderna ha drasticamente ridotto la mortalità infantile, per cui se è abbastanza consueto vedere che a livello demografico vi sono molte più femmine che maschi, è solo perché la donna vive più a lungo dell'uomo.

Tuttavia la difficoltà di vivere in un mondo dove è anzitutto importante avere un benessere economico, ha prodotto in Cina (ma anche in India), tramite la pratica degli aborti selettivi di figlie femmine, degli scompensi di genere molto preoccupanti.

In particolare se in India si prevede che entro il 2030 ci saranno 6,8 milioni di bambine in meno, in Cina già adesso ci sono 35 milioni di uomini in più rispetto alle donne. È dalla fine degli anni '70 che si registra il fenomeno, cioè da quando vi è stata la svolta a favore del capitalismo. In Cina poi il Pcc impose anche la legge sul figlio unico nel 1979. Solo a partire dal 2013 le coppie possono avere due figli, ma devono chiedere il permesso allo Stato. Nel passato tale concessione era solo a favore delle coppie residenti in zone rurali, a condizione che il primo figlio fosse una femmina. Alle coppie di città restava proibito, salvo nel caso in cui entrambi i genitori fossero figli unici. Nel passato chi si azzardava a farne di più, rischiava l'aborto forzato, la sterilizzazione, la confisca dei beni, la perdita del lavoro...

D'altra parte in un sistema fortemente patriarcale, le donne, in ogni classe sociale, rappresentano un peso. Un maschio dovrà mantenere i genitori quando saranno anziani; le femmine non possono tramandare il nome della famiglia, e bisogna procurare loro una dote per potersi sposare.

Attenzione però che anche nel Regno Unito, sempre tra le comunità di immigrati indiani e cinesi, si pratica l'aborto selettivo in base al genere in 1/3 delle cliniche.

La prassi discriminatoria purtroppo si sta diffondendo anche in Albania, Armenia, Georgia, Vietnam... Oggi si ritiene che manchino all'appello circa 140 milioni di donne in tutto il mondo.

 

[7] L'avocado in Cile

 

Nella provincia di Petorca, a nord di Santiago del Cile, l'export di avocado toglie acqua alla popolazione locale.

Il Cile è il terzo esportatore di avocado al mondo: in Europa ne arriva oltre il 61%.

Petorca si trova nella regione di Valparaíso, principale area di produzione dell'avocado, della varietà hass, a buccia nera, più gustosa di quella verde.

Quando nel 2006 sono arrivate nella regione le grandi aziende agroalimentari per coltivare il frutto tropicale sono scoppiati subito dei conflitti con la comunità locale.

Qui ci sono più avocado che persone, solo che alla gente manca l'acqua, mentre all'avocado non manca mai. Per produrre un kg di avocado servono circa 2.000 litri d'acqua: quattro volte in più rispetto alla quantità per un kg di arance o dieci volte di più rispetto a quella che serve per un kg di pomodori.

Le grandi aziende agricole che producono avocado hanno potuto impossessarsi dell'acqua della zona in maniera del tutto legale, ottenendo dallo Stato i diritti di uso gratuito e perpetuo. Infatti col codice dell'acqua cileno approvato nel 1981 dal regime militare di Augusto Pinochet, le fonti e i diritti di gestione dell'acqua sono stati privatizzati e l'acqua è diventata un bene di mercato soggetto a proprietà privata. E quando non possono averla, le aziende la drenano sottoterra in maniera illegale dai fiumi. Tanto sanno che se finiscono in tribunale, le multe saranno irrisorie.

Il business dell'avocado è semplice: i grandi imprenditori comprano a poco prezzo terre brulle sulle pendici delle montagne, distruggono la flora e la fauna locali e piantano gli alberi di avocado, ottengono i diritti di uso dell'acqua, così non pagano per irrigare i campi e poi vendono la frutta a un costo elevato, con guadagni stellari.

Da quando le piantagioni di avocado si sono impossessate dell'acqua, i fiumi si sono prosciugati, così come le falde acquifere.

Quella è una zona molto arida, dove praticamente non piove mai, così per ogni ettaro di avocado coltivato servono circa 100.000 litri d'acqua al giorno: una quantità che corrisponde al fabbisogno giornaliero di mille persone.

Gli abitanti sono costretti a usare l'acqua trasportata da camion cisterna pagati dallo Stato. Ognuno ha diritto a 50 litri al giorno, una quantità non sufficiente, senza considerare che la qualità è pessima: l'acqua spesso è gialla o mista a terra, oppure ha un fortissimo odore di cloro. Dicono che è potabile ma la gente si ammala quando la beve, perché contiene coliformi (batteri presenti anche nelle feci) molto al di sopra dei limiti di legge. Sicché si è costretti a bollirla o a comprare acqua in bottiglia.

In Italia la richiesta di avocado aumenta del 20-30% ogni anno: ci arriva attraverso i porti di Algeciras in Spagna o Rotterdam nei Paesi Bassi. Qui viene stoccato per un periodo che va dai quattro ai sette giorni in celle riscaldate dove può essere usato anche l'etilene, un gas che si diffonde nei tessuti del frutto e che ne accelera artificialmente la maturazione.

Preferiamo quelli con la buccia verde perché sono più grandi e più gradevoli alla vista, e perché siamo abituati ad associare la buccia nera e rugosa a un prodotto andato a male.

Il frutto si fa circa 15.000 km di percorso, in tre settimane, dentro celle frigorifere, per arrivare sugli scaffali dei nostri supermercati, dove viene venduto come se fosse stato appena raccolto, anche se ormai è passato un mese da quando è stato staccato dall'albero.

Quanto più ne mangiamo tante più persone lasciano la loro terra, vendendo le loro case a prezzi ridicoli, per rifarsi una vita altrove.

Gli attivisti infatti sono molto pochi, perché rischiano d'essere ammazzati o di perdere il lavoro. E per tener buona la popolazione locale, le grandi aziende garantiscono lavoro nelle piantagioni, costruiscono chiese, centri sociali, campetti da calcio e così via. Quando le persone si lamentano per la mancanza d'acqua, arrivano le minacce di togliere questi benefici, e in breve tempo torna tutto a posto.

La popolazione però deve fare i conti anche con le sostanze chimiche che vengono spruzzate nelle piantagioni e che si diffondono nell'ambiente: pesticidi (a base di clorpirifos etile), erbicidi (a base di glifosato), fertilizzanti (a base di azoto) e ormoni (a base di uniconazolo) che inquinano la natura e danneggiano la salute degli abitanti, oltre a essere un possibile rischio per il consumatore che quell'avocado se lo mangia.

 

[8] L'Irlanda del Nord e la Brexit

 

L'Irlanda del Nord appartiene al Regno Unito dal 1921 con un atto unilaterale del governo britannico. A unirli era soprattutto la religione protestante, mentre l'Irlanda è da secoli abitata soprattutto dai cattolici.

Tuttavia la Brexit ha innescato un processo che potrebbe portare all'unificazione dell'Irlanda del Nord con l'Irlanda, che fa parte della UE in quanto Stato indipendente.

Questo perché col passare del tempo e la progressiva secolarizzazione dei nordirlandesi, soprattutto dei più giovani, in tanti stanno riscoprendo la propria identità irlandese in opposizione a quella britannica. Non solo, ma sempre più britannici considerano l'Irlanda del Nord come una regione problematica, bisognosa di investimenti e risorse, essendo la più povera del Regno Unito.

Gli accordi sulla Brexit sono stati criticati in maniera così trasversale dai nordirlandesi che il Dup (principale partito di destra, alleato dei conservatori al Parlamento britannico) è stato costretto a cambiare sia il proprio leader sia il primo ministro della regione.

Il Sinn Féin invece, partito di sinistra e schierato storicamente a favore della riunificazione con l'Irlanda, spera che alle prossime elezioni (maggio 2022) il suo attuale 25% cresca in modo tale da permettergli di governare. Gli stessi sindacalisti sono tutti contrari agli accordi commerciali post-Brexit effettuati tra Regno Unito e Irlanda del Nord (tutti i beni subiscono controlli e rallentamenti insopportabili).

Peraltro, sempre che le differenze religiose abbiano ancora un senso, l'ultimo censimento del 2011 segnalava che la popolazione protestante, storicamente maggioritaria, si era ridotta al 48% del totale, mentre i cattolici rappresentavano il 45%. Già nell'anno scolastico 2019-20 gli studenti protestanti erano soltanto il 32,3% del totale, mentre i cattolici più della metà.

Un sondaggio realizzato lo scorso ottobre ha mostrato che i nordirlandesi che hanno meno di 45 anni preferiscono l'unificazione con l'Irlanda alla situazione attuale, anche se nei sondaggi che comprendono tutta la popolazione l'unificazione è sostenuta soltanto dal 30%.

Saranno i giovani, più concreti e meno ideologici, a decidere il futuro dell'Irlanda del Nord. Anche perché nei sondaggi la popolazione classificata come “altra/non determinata” (né cattolica né protestante) nella fascia d'età di 16-24 anni oggi è al 22%.

 

[9] Taiwan, la Cina e il Giappone. Ergastolo ostativo in Italia

 

“Taiwan è uno Stato democratico e indipendente: se Pechino proverà a invaderlo, noi interverremo a fianco degli Stati Uniti per difenderlo”, ha dichiarato senza mezzi termini il vicepremier nipponico, Taro Aso.

Quindi il Giappone si aspetta un'annessione in tempi brevi, ovvero un qualche incidente che ne scateni la pretesa. Non solo, ma teme anche per l'incolumità del proprio Paese. E fa bene, considerando che a più riprese il Giappone ha fatto cose assolutamente vergognose in Cina (dalla strage di Nanchino ai terrificanti esperimenti su cavie umane nella famigerata “Unità 731” ad Harbin), senza peraltro mai chiedere scusa né compiere risarcimenti materiali.

Più tardi Aso ha cercato di fare marcia indietro, dichiarando che “comunque il compito di risolvere eventuali crisi va affidato prima di tutto alle diplomazie dei Paesi coinvolti”. Ma la frittata era fatta.

Naturalmente i cinesi non hanno fatto attendere la loro risposta: “l'ossessione del Giappone per Taiwan ha dimostrato che Tokyo non ha imparato le lezioni della storia”. Il riferimento è al controverso passato coloniale del Giappone, che ha dominato su Taiwan nel periodo 1895-1945.

Nel 1895 la dinastia che governava allora in Cina, i Qing, cedette la provincia di Taiwan col trattato di Shimonoseki, dopo la vittoria di Tokyo nella prima guerra sino-giapponese. Il movimento di resistenza di quella che a quel tempo si chiamava ancora “Repubblica di Formosa” fu coraggioso, ma di breve durata, e venne represso nel sangue dalle truppe nipponiche, le quali nei cinque decenni successivi procurarono grandi sofferenze alla popolazione civile. L'espansione a Taiwan fu parte della generale politica di espansione verso sud del Giappone durante la fine del XIX sec.

Xi Jinping ha fatto più volte capire che va intrapresa un'azione risoluta per sconfiggere completamente qualsiasi tentativo d'indipendenza di Taiwan, che conta 23 milioni di abitanti. La riconquista dell'isola è vista come una “missione storica e un impegno incrollabile” per il Pcc, che da sempre la considera come una provincia rinnegata, da restituire al controllo della terraferma, se necessario con la forza.

L'isola è alquanto militarizzata grazie agli americani (i soldati in servizio sono 165 mila, più 1,6 milioni in riserva), tanto che solo alla fine degli anni '80 le forze militari taiwanesi hanno iniziato a limitarsi a compiti meramente difensivi nei confronti della Cina, rinunciando alla loro aggressività, anche perché la Cina è diventata il primo partner commerciale di Taiwan.

Il controllo dell'isola permetterebbe ovviamente a Pechino il libero ingresso nell'Oceano Pacifico, che oggi avviene sotto la sorveglianza delle basi degli USA in Corea del Sud, Giappone e Filippine.

Taipei non ha mai fatto un referendum per dichiarare ufficialmente l'indipendenza dell'isola, poiché teme che un eventuale esito positivo provocherebbe una reazione militare cinese.

A tutt'oggi la sovranità dell'isola è riconosciuta solo da 17 Stati al mondo, incluso il Vaticano.

 

La Corte Costituzionale dice che l'ergastolo ostativo contraddice la finalità rieducativa della pena (art. 27 della Costituzione).

La legge però dice che se uno non collabora non esce dal carcere, poiché si ritiene il detenuto socialmente pericoloso.

Come si risolve questo problema?

È semplice: garantendo al collaborante (che ovviamente deve essere effettivo) una vita del tutto anonima o segreta. Non vorremo mica sindacare sull'autenticità morale del pentimento!

 

[10] Il litio in Cile. Le ville di Erdoğan

 

Il Salar de Atacama, nel nord del Cile, è un lago salino che si trova nel più arido deserto del mondo. Neanche a farlo apposta però detiene il 40% delle riserve mondiali di litio, un minerale ultraleggero usato per produrre le batterie ricaricabili, che stanno diventando sempre più importanti da quando si è deciso di puntare sulle auto elettriche per risolvere i problemi ambientali.

Il boom di questa tecnologia a basso impatto ha trasformato l'area in una delle zone minerarie più sfruttate, distruggendo il già fragile ecosistema del deserto: il litio si ottiene attraverso un processo di evaporazione dell'acqua, ovviamente molto scarsa nel Salar. Le società minerarie interessate sono la statunitense Albemarle e la sua principale concorrente, la SQM (Società Chimica e Mineraria del Cile), secondo produttore al mondo di litio.

Qualche anno fa la SQM ha dovuto pagare 30 milioni di dollari per evasione fiscale e per aver corrotto vari personaggi politici influenti.

“I paesi che comprano il litio dovrebbero sapere che se nel deserto non ci sarà più acqua, per noi sarà la morte”, dice Sonya Ramos, leader di un'antica cultura indigena e attivista cilena, che insieme ad altri attivisti ha percorso a piedi 350 chilometri nel deserto, fino alla città di Antofagasta, per convincere le autorità a non ampliare ulteriormente l'attività estrattiva. Scomparirebbero anche i rari fenicotteri rosa cileni.

Alcune tra le principali case automobilistiche, come le tedesche Volkswagen e Daimler, si sono unite quest'anno alla richiesta di una più sostenibile estrazione del litio in Cile.

Non è curioso che, proprio quando noi occidentali ci preoccupiamo di trovare produzioni economiche ecosostenibili, finiamo col danneggiare chi vive già in armonia con la natura?

 

Il megalomane Erdoğan, dittatore turco, s'è fatto costruire una villa di 300 stanze su un'area di 85mila mq nella baia di Okluk Cove, nel distretto di Marmaris, sulla costa egea meridionale della Turchia, una delle più esclusive del Paese. Tanto che quando c'è lui l'accesso alla baia è vietato ai pescherecci. E la sorveglianza aumenta quando capi di Stato e di governo esteri arrivano in visita

Non gli bastava il “palazzo bianco” nella capitale Ankara, un complesso che copre un'area di 300mila mq con più di mille stanze. Ora è arrivato anche il “palazzo d'estate”, costato circa 62 milioni di euro (presi dal budget presidenziale tra il 2018 e il 2021), e un altro ancora è in via di costruzione nella città di Ahlat, nella provincia di Bitlis.

Naturalmente tutto a spese dei contribuenti, che vivono in gravi difficoltà economiche causate dalla pandemia, tanto che devono sopportare una pesante svalutazione della lira turca.

A insorgere anche gli ambientalisti, poiché l'area è stata sottoposta a un massiccio disboscamento per costruire altri 5 edifici di diverse dimensioni che ospitano il personale, oltre a una pista per elicotteri, mentre un'area di 10.966 mq è stata riempita con sabbia e ghiaia speciali e trasformata in una spiaggia.

Il “Corriere della sera” si è permesso di aggiungere che recentemente la First Lady Emine Erdoğan aveva invitato la popolazione a ridurre le porzioni di cibo nel piatto per evitare sprechi.

Sembra di assistere a quegli episodi assurdi che in Francia precedettero la rivoluzione francese:

- Il popolo ha fame ma non c'è pane.

- Dategli delle brioches.

 

[11] Il capitalismo avanzato in Cina. I vantaggi fiscali per le imprese americane

 

Il congresso del Partito Comunista Cinese nel 2022 affiderà un terzo mandato a Xi Jinping con poteri sempre più accentrati.

Per ottenerlo ha rivendicato di aver ristabilito l'ordine a Hong Kong e ha annunciato che Taiwan tornerà sotto il controllo di Pechino.

Poi abbiamo capito che la Cina dispone di almeno 100 silos per missili balistici in grado di colpire gli Stati Uniti. Questo è sufficiente per permettere a Xi di dire che la Cina non “accetterà mai le prediche ipocrite da parte di coloro che sentono di avere il diritto di impartirci lezioni”.

La Cina sta assumendo sempre più i toni di un qualunque Paese capitalistico avanzato. Anzi con meno furbizia, poiché non accetta di gareggiare sul rispetto dei diritti umani e sui tassi di democrazia politica.

Dove sia tutta l'alternativa sbandierata contro l'occidente non la si vede. Che un capitalismo sia statale invece che privato cambia poco sul piano dei valori democratici. Ogni giorno di più scopriamo che i cinesi son come noi: usano solo una maschera diversa.

 

Negli USA le imprese pagano pochissime tasse semplicemente perché chiedono enormi agevolazioni fiscali in relazione alla loro attività di ricerca e sviluppo, con cui poi dicono di poter garantire molti posti di lavoro.

È noto che tale attività tecno-scientifica permette loro d'essere sempre all'avanguardia nel mondo, ma è anche vero che, essendo completamente detassata, impedisce d'avere nel Paese un forte Stato sociale. Di qui le grandi discriminazioni tra le classi, i tentativi di far ricadere sugli immigrati le cause di queste contraddizioni e le periodiche guerre contro gli “Stati canaglia” usate come forma di distrazione di massa e per appropriarsi delle risorse altrui. Anche il razzismo viene usato per far credere che le cause di questi problemi non sono di natura sociale ma etnica.

Il fondatore di Amazon, Jeff Bezos, ha guadagnato consensi all'inizio di quest'anno quando, in controtendenza con l'America corporativa, ha annunciato che la sua società avrebbe sostenuto un aumento dell'aliquota dell'imposta per sostenere il pacchetto infrastrutturale di Biden. Ma poi, dietro le quinte, fa pressioni sul Congresso per continuare ad avere forti agevolazioni fiscali.

Non solo, ma Amazon, quotata in Borsa, beneficia anche di norme fiscali che le consentono di detrarre il costo delle azioni che dà ai suoi dipendenti come parte della loro retribuzione.

La legge fiscale repubblicana del 2017 includeva una disposizione che avrebbe impedito alle aziende di detrarre immediatamente l'intero importo delle spese di ricerca e sviluppo, ponendo come alternativa una detrazione spalmata su un quinquennio. Ma ciò è rimasto sulla carta, proprio perché negli USA non è la politica che comanda ma l'economia. Poi con la pandemia si è avuto un motivo in più, da parte delle imprese, per non pagare le tasse.

Come se non bastasse alcuni settori del capitalismo privato americano cominciano a guardare con favore quello cinese, in cui le imprese pagano sì le tasse, ma è lo Stato che sostiene completamente la ricerca e lo sviluppo che permette a quelle imprese d'essere tra le prime al mondo. Che poi il costo del lavoro in Cina sia ridicolo, questo è un problema che non può interferire col profitto.

 

[12] Cina e Afghanistan

 

Da quando Washington ha annunciato il ritiro delle truppe dall'Afghanistan e da quando i talebani hanno preso il controllo della provincia di Badakhshan, al confine con la Cina, la politica estera del Dragone ha deciso di includere il Paese nel grande progetto della Nuova Via della Seta, estendendo il corridoio Cina-Pakistan in territorio afghano.

Pechino, insomma, pur sapendo che i talebani rappresentano ciò che non vorrebbe mai avere entro i propri confini, starebbe puntando a ricostruire proprio in stretta collaborazione con loro le infrastrutture devastate dalla guerra.

Infatti il Pcc si è già convinto della sostanziale incapacità dell'attuale governo afghano, capeggiato dal premier Ghani, di mantenere il controllo del Paese (si prevede che crollerà entro 6 mesi).

Gli stessi talebani, pur odiando l'ateismo dei cinesi e pur criticando la repressione delle minoranza islamica nello Xinjiang e il ruolo indiretto di Pechino nella repressione degli islamici Rohingya in Myanmar, stan facendo buon viso a cattiva sorte.

La loro sede politica è a Doha, in Qatar, ma, controllando già l′85% del territorio, stanno per ritornare (dopo 20 anni) al potere nel loro Paese e hanno bisogno di un appoggio significativo. Chi meglio dei cinesi? Il Pcc non si fa dei problemi coi diritti umani. Se in un contratto commerciale si stabilisce che per rispettarlo si prescinderà da qualunque giudizio sulla politica interna dei rispettivi Paesi, ci si assicura a priori che non verrà mai usato lo strumento delle sanzioni commerciali.

Insomma il dio quattrino apprezza tutti, credenti e non credenti, fanatici e moderati, sulla base del singolo prezzo di ognuno. Tanto dall'Afghanistan si possono ottenere ricavi altissimi: qui infatti vi sono le più grandi riserve non sfruttate al mondo di rame, carbone, ferro, gas, cobalto, mercurio, oro, litio e torio, per un valore di oltre 1.000 miliardi di dollari. Già nel 2011 la China National Petroleum Corporation ha vinto un'offerta di 400 milioni di dollari per perforare tre giacimenti petroliferi per 25 anni, contenenti circa 87 milioni di barili di petrolio.

I talebani prometteranno ai cinesi molto di più di quanto han già promesso agli americani, cioè non solo non entrerà nel Paese alcun gruppo terroristico (come p.es. al-Qaeda), ma non troveranno più rifugio nel loro Paese neppure i combattenti separatisti uiguri cinesi.

 

[13] Che cos'è una “comunità energetica”?

 

I nuovissimi pannelli solari su un tetto di San Giovanni a Teduccio, nel quartiere Villa (periferia orientale di Napoli), sono un primo esempio pratico di “transizione energetica”.

Il “tetto solare” è un piccolo impianto per produrre energia elettrica sufficiente a una ventina di famiglie, che si sono associate in una cooperativa registrata davanti a un notaio, e che possono diventare 40 nei prossimi due anni.

L'espressione “comunità energetica” è entrata nel linguaggio ufficiale solo nel dicembre 2020, quando il parlamento ha approvato un emendamento al decreto cosiddetto “Milleproroghe”, che riconosce le associazioni di produttori-consumatori di energia rinnovabile, come previsto da una direttiva europea del dicembre 2018: singoli cittadini, enti locali o piccole aziende e cooperative possono associarsi e diventare comproprietari di impianti di energia rinnovabile “di vicinato” (fino a 200 chilowatt di potenza), quindi scambiarsi energia per autoconsumo, ma anche con la possibilità di mettere in rete l'energia e ricevere un incentivo dal Gestore dei Servizi Energetici, l'azienda pubblica che promuove le rinnovabili.

Si è capito che è meglio produrre energia in tanti piccoli impianti decentrati sul territorio, invece che in grandi centrali: basta che vengano gestiti in modo collettivo. Esempi di comunità energetica stanno nascendo in tutta Italia (Legambiente ne elencava 32 in un rapporto di giugno 2020), promosse a volte da cooperative di cittadini, a volte da piccoli Comuni.

Possono formare una comunità di produttori-consumatori le utenze collegate alla stessa “cabina secondaria” della rete elettrica, e per sapere a quale cabina è collegato il proprio contatore è stato necessario fare una richiesta all'Enel. Succede infatti che abitazioni vicine dipendano da cabine diverse. Inoltre non possono far parte di una comunità energetica le associazioni del terzo settore.

L'impianto fotovoltaico è composto da 166 pannelli, per una potenza complessiva di 53 chilowatt, garantito per 25 anni. Potrà produrre 60mila chilowattora in un anno. Un sistema di accumulo permette d'immagazzinare l'energia e mettere in rete quella in più; il ricavato sarà redistribuito a fine anno ai soci. Secondo le previsioni, ognuna delle famiglie associate riceverà tra 200 e 300 euro. Quindi risparmio sulla bolletta, contributo a fine anno ed energia pulita.

Last but not least: fine della solita etichetta del quartiere di camorra e degrado.

 

[14] Canada, indigeni discriminati ed eliminati

 

Nelle ultime settimane in Canada sono state scoperte centinaia di tombe anonime in diverse fosse comuni ritrovate nei pressi di tre ex collegi per indigeni, quelli che in inglese vengono chiamati Indian Residential School, molto diffusi tra XIX e XX sec. Furono gestiti prima dalla Chiesa cattolica, poi dallo Stato dei coloni, che misero in atto un'assimilazione forzata e violenta della cultura autoctona, di cui proprio i collegi furono uno dei principali strumenti.

Le iniziative con cui il governo canadese ha riconosciuto il “genocidio culturale” subìto dai popoli indigeni sono state molte, e le prime scuse pubbliche rivolte ai sopravvissuti dei collegi arrivarono nel 2008, quando era primo ministro il conservatore Stephen Harper.

Negli anni successivi venne costituita la “Commissione per la verità e la riconciliazione”, che pubblicò nel 2015, dopo 6 anni, un rapporto esteso sulla questione dei collegi, raccogliendo le testimonianze di 6.750 persone.

I popoli indigeni abitano il territorio canadese da migliaia di anni prima che venisse colonizzato dagli europei. Generalmente vengono distinti in tre grandi gruppi: le Prime Nazioni, gli Inuit e i Métis (“meticci”), molto diversi tra loro. Le tribù delle Prime Nazioni sono storicamente stabilite nella parte più meridionale del territorio canadese, a sud della cosiddetta linea degli alberi (quella al di sopra della quale non ci sono le condizioni climatiche perché gli alberi crescano); gli Inuit abitano invece la regione artica; i Métis abitano la parte più occidentale del Canada e hanno una discendenza mista tra europei e indigeni.

I primi contatti con queste tribù avvennero da parte dei popoli scandinavi nell'XI sec. Ma gli insediamenti coloniali più commerciali cominciarono a partire dal XVI sec., quando sempre più pescatori europei vennero attirati dai pescosi mari al largo della costa canadese. Il bene più cercato e prezioso per gli europei erano però le pellicce.

Nel XVII sec. la competizione tra le monarchie europee nel nuovo continente aumentò, sicché s'ingrandirono le colonie in Nord-America. Ben presto il Canada divenne presidio dei francesi, che cominciarono a stabilirsi in quelle che oggi sono le Province marittime, sulla costa orientale. Ma vi furono anche avamposti territoriali inglesi a ovest.

Gli indigeni trovavano utili le merci che ricevevano in cambio delle pellicce: principalmente armi da fuoco e lavorati in acciaio. Tuttavia gli interessi economici in ballo portarono spesso anche a scontri armati con gli europei e a rivalità tra inglesi e francesi, che si contendevano il vasto territorio canadese.

Dopo lunghe battaglie – in cui gli indigeni furono coinvolti per sostenere militarmente gli schieramenti in campo – gli inglesi ebbero la meglio e la Francia dovette rinunciare alle sue pretese territoriali. Nel 1763 la monarchia britannica fece un proclama reale con cui stabiliva le regole e i confini dei rapporti tra le colonie inglesi e le Prime Nazioni. In sostanza, i territori in prossimità della costa orientale erano da considerarsi di competenza inglese. Gli indigeni che avevano aiutato gli inglesi si dovettero accontentare di alcuni territori a occidente.

Le cose cominciarono a cambiare a causa dei nuovi coloni che arrivavano dagli Stati Uniti, che, divenuti indipendenti dal Regno Unito, pretendevano sempre nuove terre. Furono soprattutto gli indigeni a rimetterci: infatti finirono dentro piccole riserve inadatte al loro stile di vita. Le acquisizioni andarono avanti fino alla metà del XIX sec.

Gli stessi inglesi non sopportavano più gli indigeni, poiché li vedevano come un ostacolo alla loro espansione. Sicché cominciò ad affermarsi l'idea che gli indigeni fossero bisognosi d'essere “civilizzati” secondo lo stile di vita europeo. Di qui il Gradual Civilization Act del 1857, che offriva denaro e terreni per gli indigeni a patto che accettassero di alfabetizzarsi e di cambiare vita.

La legge più rilevante fu l'Indian Act del 1876, voluta dal dominio federale del Canada formatosi nove anni prima. Fino al 1927 questa legge allargò sempre più il campo in cui l'autorità canadese poteva intervenire, per forzare le Prime Nazioni ad abbandonare i loro usi e costumi. Si arrivò persino a sostenere che ogni maschio indigeno che avesse superato i 21 anni e che parlasse e scrivesse inglese e che avesse negato le proprie origini etniche (persino il proprio nome), poteva entrare a far parte pienamente della comunità britannica, ottenendo cittadinanza e diritto di voto.

Un ruolo rilevante nell'assimilazione culturale degli indigeni l'ebbero le Indian Residential School, collegi religiosi che cominciarono a diffondersi a fine '800. Alcune rimasero aperte fino a poco più di 20 anni fa. Arrivarono a costituire una rete di 132 istituti, dove i bambini venivano tenuti in condizioni igieniche spesso al limite della sopravvivenza, costretti a non parlare la loro lingua e a rimanere a migliaia di chilometri dalle proprie famiglie, spesso prelevati con la forza dalle loro case. Dovevano convertirsi al cristianesimo e molti di loro venivano picchiati e subivano violenze fisiche e psicologiche. Migliaia di loro morirono per malattie, malnutrizione, negligenze o suicidio: molti nel tentativo di fuggire.

 

[15] Craxi, una vicenda di corruzione mai risolta. Condannata Nicole Minetti

 

Il 7 luglio la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di Stefania e Vittorio Craxi e di Anna Moncini, moglie del leader socialista morto latitante ad Hammamet in Tunisia nel 2000, contro due avvisi di accertamento per le tasse evase da un conto svizzero (aperto nella seconda metà degli anni '80 e comparso nei processi Enimont e All Iberian) a lui riconducibile in via esclusiva, e in nessuna maniera al partito. E, in quanto eredi, li ha condannati a pagare 20mila euro di spese legali. Più le tasse evase negli anni '90.

Il conto ginevrino, International Gold Coast, sul quale erano arrivati i finanziamenti occulti al partito, riguardava oltre 19 miliardi di vecchie lire e un imponibile complessivo di oltre 23,5 miliardi di lire, cui corrispondeva un'Irpef pari a 10,7 miliardi di lire.

Secondo la famiglia nulla è dovuto, avendo essa rinunciato all'eredità prima col beneficio d'inventario, cioè separando la loro posizione dalla sua, e poi del tutto. Prevista dal codice civile, l'accettazione con beneficio d'inventario limita la responsabilità dell'erede al valore dell'attivo ereditario, evitandogli di compromettere il proprio patrimonio nel caso in cui emergano debiti rilevanti nell'eredità. Evidentemente sapevano che lui possedeva beni illeciti, che però dicono di non aver ereditato, in quanto i conti esteri non erano intestati a lui.

Nel 1995 Giorgio Tradati, amico di Craxi, spiegò, una volta arrestato, il meccanismo secondo cui lui era il prestanome di due conti svizzeri, sui quali erano transitati 30 miliardi di lire. E disse che, una volta esplosa Tangentopoli, Craxi gli chiese di far sparire quei soldi, ma siccome lui rifiutò, fu incaricato di farlo Maurizio Raggio, il ristoratore di Portofino, ex compagno della contessa Francesca Vacca Agusta (morta nel 2001). Raggio vive tra Portofino, Acapulco e Miami. I soldi non finirono al partito, ma furono comprati, tra le altre cose, 15 kg di lingotti d'oro.

Ricordiamo tutti quando Craxi diceva che la politica era diventata molto costosa, per cui tutti i partiti avevano bisogno di una grande quantità di soldi. Fece espellere dalla RAI il comico Beppe Grillo quando si permise di dire, scherzando, che i socialisti rubavano.

Tutti i leader socialisti gongolavano al vedere il crollo dell'URSS nel 1991: per loro era la riprova che il socialismo occidentale era superiore al comunismo orientale. Eppure proprio in quegli anni esplosero non solo Tangentopoli, ma anche il debito pubblico, passando dal 60% del PIL a ben oltre il 100%.

Sul piano economico Craxi fu un disastro per i lavoratori: nel 1984, in quanto capo del governo, tagliò 3 punti di scala mobile tentando di raffreddare l'inflazione, allora a due cifre. E fu sempre lui che fece arricchire a dismisura Berlusconi con le reti Mediaset, permettendogli di trasmettere su tutto il territorio nazionale e quindi di rompere il monopolio della RAI.

Naturalmente la Lega di Salvini e Forza Italia hanno subito espresso solidarietà alla famiglia Craxi. Non riescono ad accettare che la giustizia possa funzionare dopo così tanto tempo.

Ma qui si sta parlando di uno che ha subìto, per corruzione, bancarotta fraudolenta e illecito finanziamento dei partiti, non pochi processi e alcuni con condanne definitive, che avrebbero comportato almeno una decina d'anni di carcere.

Si consiglia la lettura del libro Mani pulite, la vera storia, di Gianni Barbacetto, Peter Gomez e Marco Travaglio (Editori Riuniti, Roma 2002).

 

L'ex igienista dentale di Silvio Berlusconi, nonché ex consigliera regionale lombarda. Nicole Minetti, nel processo di secondo grado con al centro la cosiddetta “Rimborsopoli” al Pirellone, ovvero le “spese pazze” relative al periodo in cui era in Consiglio regionale, ha patteggiato 1 anno e 1 mese in continuazione con i 2 anni e 10 mesi inflitti per il processo “Ruby bis”.

I fatti sono avvenuti tra il 2008 e il 2012: “Gratta e vinci”, cene e banchetti di nozze, cocktail e feste erano stati rimborsati dalla Regione per un totale di oltre 3 milioni di euro, stando a quanto emerso nell'inchiesta coordinata dal pm Paolo Filippini. Tra le spese di cui Minetti aveva chiesto il rimborso, anche il libro Mignottocrazia da 16 euro.

Ma la Minetti non era quella donna eccezionale plurilaureata e plurilingue tanto osannata da Berlusconi, che cercava di ridicolizzare le accuse di favoreggiamento alla prostituzione? Proprio lei, quella che lo intratteneva con le sue performance da burlesque!

 

[16] Torture nel carcere di Santa Maria Capua Vetere

 

Guardando quel che è successo nel Reparto Nilo del carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), dove parecchi agenti della polizia carceraria hanno malmenato pesantemente 292 detenuti, vien spontaneo porsi una domanda: chi sta in carcere ha diritto a protestare? Se sì, fino a che punto? Deve farlo a titolo individuale o può farlo in maniera collettiva? E può avvalersi di mezzi comunicativi al di fuori del carcere?[5]

Secondo la destra becera di Salvini e Meloni i carcerati, in genere, non hanno alcun diritto, per cui era inevitabile esprimere immediata solidarietà ai secondini, prima ancora di sapere com'erano andati i fatti.

I suddetti carcerati, durante un'unica giornata, avevano semplicemente protestato a causa della mancanza di protezione rispetto al Covid. Il pestaggio è avvenuto il giorno dopo, quando la protesta era già rientrata.

Peraltro tutta la catena gerarchica, che va dal direttore del carcere fino al ministro, era perfettamente in grado di sapere cos'era successo il 6 aprile 2020, ma nessuno ha mai voluto avviare un'inchiesta. Persino quando il quotidiano “Domani” aveva dato ampio risalto ai fatti, e denunciato in modo circostanziato gli orrori di quella “mattanza”, nessuno dei grandi mezzi d'informazione aveva ripreso l'inchiesta giornalistica.

Dunque che sta succedendo? Ora si parla del caso di Santa Maria Capua Vetere, ma al momento vi sono altre 16 inchieste in corso che riguardano pestaggi di massa in altrettante carceri. Qualcuno, tra i picchiatori, si è vantato anche del “sistema Poggioreale”, una sorta di cliché operativo che consisterebbe in plurime e gratuite percosse e lesioni da parte di un numero elevato di agenti di polizia penitenziaria.

I sindacati degli agenti sostengono che la tortura viene “compresa” come prassi quotidiana o al massimo come sottoprodotto del sovraffollamento e della carenza di organico, e si lamentano che la magistratura è più preoccupata a tutelare i diritti dei detenuti che non quelli degli operatori penitenziari (che amano autorappresentarsi come “vittime sacrificali”).

L'ufficio inquirente guidato da Maria Antonietta Troncone aveva chiesto misure cautelari per 99 indagati, ma il giudice, malgrado abbia riconosciuto la gravità indiziaria per 62 soggetti, ha ritenuto opportuno emettere solo 52 misure cautelari sulla base della sussistenza del pericolo di reiterazione del reato (sono quasi tutti in servizio).

Nell'inchiesta, complessivamente, sono oltre 110 le persone indagate. Gli arresti riguardano quasi esclusivamente agenti del carcere di Santa Maria Capua Vetere: quella sera intervennero ben 283 poliziotti, un centinaio provenienti da Napoli Secondigliano, altri da un carcere dell'Avellinese. Di quelli provenienti da strutture penitenziarie diverse da quella casertana solo due sono stati riconosciuti dai detenuti.

La prassi quotidiana vuole che il detenuto picchiato non denunci quasi mai, perché terrorizzato di subire anche di peggio. Perché lo faccia, occorrerebbe un processo per direttissima dei colpevoli. Cosa più facile a dirsi che a farsi. È vero che le indagini sono approdate a 8 arresti in carcere, 18 arresti ai domiciliari, 3 obblighi di dimora e 23 interdizioni dall'esercizio del pubblico ufficio. Tra le persone coinvolte dai provvedimenti vi sono alcuni dirigenti e il provveditore delle carceri della Campania (non dimentichiamo che un detenuto in isolamento si è suicidato).

Ma abbiamo già visto cosa è accaduto ai torturatori di Bolzaneto: i pochissimi che si opposero o ruppero l'omertà, la carriera se la sono sognata.

 

[17] Risarcito Hatem Yakoubi per ingiusta detenzione

 

Cosa sono 90.000 euro di risarcimento per un anno passato ingiustamente in carcere? Nulla, anche perché una buona fetta dovrà esser data agli avvocati.

È quanto è accaduto di recente un tunisino accusato di omicidio per aver fatto cadere mortalmente nel 2017 una pensionata di Lugo (Ravenna) nel tentativo di strapparle la catenina d'oro.

Fu processato con l'accusa di omicidio preterintenzionale. Era stata la badante dell'anziana a indicarlo come responsabile del reato.

Il pm aveva chiesto 20 anni di reclusione, ma i due avvocati riuscirono a dimostrare che non poteva essere stato il loro cliente ad aver compiuto il crimine. Semmai si doveva indagare su un marocchino già in carcere per scippi violenti, accusato da alcuni suoi connazionali.

Hatem Yakoubi, questo il suo nome, vinse il processo e anche il ricorso della Procura (assolto per non aver commesso il fatto, sebbene con formula dubitativa per insufficienza di prove), ma siccome era irregolare sul territorio italiano, dopo la scarcerazione gli venne immediatamente notificato il decreto di espulsione. Quel giorno il 29enne minacciò anche il suicidio. Ora vive in Tunisia.

Perché emettere sentenze così frettolose? È semplice: siamo condizionati da un immaginario collettivo: Yakoubi è un nero, magari una testa calda del Maghreb, per giunta irregolare, quindi con una percentuale di colpevolezza superiore alla media. Certi neri poi son come i cinesi: si somigliano tutti. E la gente vuole che la giustizia abbia un decorso veloce.

A titolo di curiosità: secondo il codice di procedura penale, l'entità della riparazione non può mai eccedere l'importo di 516.456,90 euro. Tale cifra divisa per 2.190 (l'equivalente in giorni della durata massima della custodia cautelare in carcere, che è pari a 6 anni), darà come ammontare del risarcimento per ciascun giorno di ingiusta detenzione 235,82 euro. Quindi l'importo ottenuto dal tunisino, che s'è fatto 385 giorni di carcere, è equo. Solo che non li ha pagati la Procura ma tutti noi.

 

[18] Angelo Del Boca e il colonialismo italiano

 

Angelo Del Boca, morto a 96 anni, a Torino, il 6 luglio scorso, merita d'essere ricordato non solo perché è stato un partigiano e un giornalista competente, ma soprattutto perché è stato il primo e più importante storico del colonialismo italiano.

È stato lui a smontare, attraverso numerose pubblicazioni, il falso mito degli “italiani brava gente”, andati in Africa per costruire strade e scuole, con cui abbiamo coperto tante infamie.

Fu lui a documentare in modo inoppugnabile i crimini, le stragi e il tentativo di genocidio compiuto dall'esercito italiano in Libia e in Africa orientale, dove Mussolini “pensava perfino di ricorrere alla guerra batteriologica in Etiopia, anche se sapeva perfettamente che nessuno al mondo l'aveva praticata”.

Del Boca trovò i telegrammi con cui Mussolini autorizzava i comandanti militari Rodolfo Graziani e Pietro Badoglio a usare contro gli etiopi le armi chimiche, proibite dalla Convenzione di Ginevra del 1925. Denunciò anche i bombardamenti italiani sui centri abitati, le fucilazioni di massa, la strage di civili nella capitale Addis Abeba a seguito della rappresaglia scatenata dagli italiani dopo l'attentato al generale Rodolfo Graziani, il massacro di monaci copti nella città-convento di Debra Libanòs nel 1937, l'apertura di campi di concentramento per l'internamento di guerriglieri e personalità nemiche e il ricorso alle deportazioni di massa di migliaia di civili, come p.es. avvenne con le popolazioni della Cirenaica.

Un'immagine, questa, molto lontana da quel “colonialismo mite e bonario, portato avanti grazie all'azione di un esercito cavalleresco, incapace di compiere brutalità, rispettoso del nemico e delle popolazioni indigene”, descritto da quel fascista di Indro Montanelli sul “Corriere della Sera”, che poi si scusò pubblicamente con lui nel 1996, quando l'allora ministro della Difesa, il generale Domenico Corcione, dovette ammettere l'uso di armi chimiche.

Per le sue denunce Del Boca è stato per anni contestato dalla stampa conservatrice e dalle associazioni di reduci e di profughi italiani dall'Africa, che nel 1982 lo volevano addirittura portare in tribunale a causa dei suoi scritti e l'avevano quasi minacciato di morte.

Non dimentichiamo che ancora oggi, quando si parla di colonialismo italiano (si pensi anche alle foibe) l'immaginario collettivo, creato dalla destra nazionale, vede solo il “bene” compiuto dagli italiani a popolazioni giudicate arretrate.

Prese in esame anche la soppressione del brigantaggio meridionale da parte dei Savoia, le violenze del contingente italiano presente in Cina durante la rivolta dei Boxer nel 1899, la guerra d'occupazione nei Balcani (1940-41) e il collaborazionismo della Repubblica Sociale Italiana nelle deportazioni naziste.

Per i 60 anni in cui durò il suo Impero in Albania, Libia, Eritrea, Etiopia e Somalia, l'Italia mantenne un dominio assoluto e spesso spietato su 12 milioni di persone, sottoposte all'arbitrio dei nostri governatori, che favorirono in tutti i modi i 200 mila civili italiani che si trasferirono nelle colonie.

Del Boca non si iscrisse mai al PC perché non condivideva, come tanti altri ex partigiani, il decreto sull'amnistia voluto da Togliatti, allora ministro di Grazia e Giustizia. D'altra parte nel dopoguerra la Democrazia Cristiana e i suoi alleati chiesero con insistenza agli Alleati la restituzione di almeno una parte delle nostre colonie, ma Francia e Regno Unito, che di colonialismo se ne intendevano, si opposero. Come d'altra parte tutti i governi italiani si opposero alla richiesta degli etiopi di processare i responsabili dei crimini di guerra. La stessa sinistra preferì non fare una battaglia su questo tema, temendo un rigurgito nazionalista.

Nel 2014 l'Università di Addis Abeba conferì a Del Boca una laurea onorifica in Storia africana, rendendolo il primo europeo a ottenere tale riconoscimento in Etiopia dopo la II guerra mondiale.

 

[19] Le assurde pretese integralistiche d'Israele

 

L'Alta Corte di Giustizia d'Israele (il grado più elevato del sistema giuridico), coi suoi 11 giudici, ha convalidato la legge fondamentale approvata dalla Knesset tre anni fa, che definisce Israele come “Stato della nazione ebraica” (cioè di “proprietà ebraica”) e non di tutti i suoi cittadini, molti dei quali però (circa il 21%) sono arabi. Dieci degli 11 giudici – ha fatto eccezione solo George Karra, l'unico arabo nella Corte –, hanno sostenuto che la Stato-nazione non contravviene “il carattere democratico” d'Israele.

Il testo della Corte non contiene la parola “uguaglianza”, che pure è inclusa nella Dichiarazione d'Indipendenza d'Israele. Inevitabilmente rappresenterà una fonte primaria per le sentenze delle Corti minori, le quali potrebbero discriminare i cittadini non ebrei nell'assegnazione delle terre statali e nella sfera pubblica.

Si tratta di una svolta in senso regressivo. Infatti se prima Israele si definiva ebraico e democratico, ora è lo Stato della sola nazione ebraica, cioè la natura ebraica d'Israele diventa di molto superiore ai valori democratici dello Stato. Ovviamente per gli israeliani le due cose coincidono, ma sarebbe ingenuo non pensare che quando si privilegia una religione, si finisce sempre col negare la libertà di coscienza e quindi la democrazia.

La legge Stato-nazione tra i suoi vari punti afferma che la biblica Terra d'Israele è la patria storica degli ebrei e che al suo interno è stato fondato lo Stato d'Israele, lasciando intendere che i cittadini non-ebrei non hanno diritto di reclamare la propria appartenenza a quella stessa terra. Detto altrimenti: un ebreo che abita a New York e non ha mai vissuto in Israele può vantare diritti e appartenenza nettamente superiori a quelli di un cittadino arabo-israeliano, che pure con la sua famiglia vive da generazioni nella sua terra storica.

Vien quasi da pensare che la democrazia in Palestina sarà più facile realizzarla solo quando lo Stato israeliano e quello palestinese non avranno alcuna connotazione religiosa.

 

[20] Software pericoloso prodotto in Israele

 

Messa in allarme dalla Citizen Lab dell'Università di Toronto (Canada), la Microsoft sostiene che una società israeliana, di nome Candiru, ha creato un codice dannoso (malware), chiamato DevilsTongue, che attacca il sistema operativo Windows, e che è stato utilizzato contro 100 persone, tra cui politici, attivisti per i diritti umani, giornalisti e accademici, dipendenti delle ambasciate e dissidenti politici.

Fondata nel 2014, l'azienda recluta il suo personale da un corpo d'élite dei servizi d'intelligence delle forze armate israeliane e ha elevate risorse finanziarie. Si è specializzata nella vendita di spyware esclusivamente ai governi che possono accedere senza autorizzazione a computer, telefoni, infrastrutture di rete, server e cloud, per infettarli e/o monitorarli. Tra i suoi clienti migliori vi sono Uzbekistan, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Qatar e Singapore, ma ha lavorato anche per ex repubbliche sovietiche, Paesi europei, latinoamericani e asiatici. Tutti i marchi e i device possono essere colpiti, da iPhone ad Android, da Mac a Windows.

Delle oltre 100 vittime note, circa la metà si trova in Palestina, mentre il resto in Israele, Iran, Libano, Yemen, Regno Unito, Turchia, Armenia e Singapore. Microsoft non ha fornito ulteriori dettagli sull'identità o sulla natura delle vittime. Sottolinea però nella sua dichiarazione che in Spagna ha agito solo contro gli utenti che vivono in Catalogna, ma anche contro Carles Puigdemont che vive in Belgio e a cui di recente il Parlamento europeo ha tolto l'immunità parlamentare, permettendo così al governo spagnolo di richiederne l'estradizione. Questo perché la UE vuole che la questione catalana venga risolta soltanto all'interno della Spagna.

Il Citizen Lab ha rilevato un'intrusione simile a quella già segnalata, anche da parte di un'altra azienda israeliana – in questo caso NSO –, che ha interessato il cellulare di Roger Torrent, presidente del Parlamento della Catalogna. Il programma Pegasus ha attaccato il cellulare di Torrent e altre 1.400 personalità in tutto il mondo nel 2019.

L'ex presidente della Generalitat de Catalunya, Quim Torra (2018-20), chiese le dimissioni del ministro degli Interni, Fernando Grande-Marlaska, presumendo che il programma di spionaggio utilizzato in Catalogna provenisse dal governo spagnolo.

Secondo Microsoft, DevilsTongue è stato in grado di infiltrarsi anche in siti web popolari come Facebook, Twitter, Gmail, Yahoo e altri per raccogliere informazioni, leggere i messaggi delle vittime e recuperare foto. In questi giorni infatti vi è stato, da parte di Microsoft, un aggiornamento relativo alla sicurezza.

 

[21] Molto pericolosa la situazione ad Haiti

 

Nella notte tra il 6 e il 7 luglio il Presidente di Haiti, Jovenel Moïse, è stato assassinato nella sua casa di Port-au-Prince da un gruppo di mercenari stranieri ben addestrati, che parlavano spagnolo e inglese. Sua moglie è rimasta ferita. Stranamente tutti i membri della guardia presidenziale sono rimasti illesi nello scontro.

La polizia ha ucciso quattro dei mercenari e ne ha arrestati altri due, i quali avrebbero detto che l'obiettivo originario era solo quello di rapirlo. Non si sa chi sia il mandante. Al momento vi è uno stato di emergenza, dichiarato da Claude Joseph, premier ad interim.

La polizia haitiana sostiene che la mente dell'operazione sarebbe stata quella del pastore evangelico Christian Emmanuel Sanon, nativo di Haiti ma residente da alcuni decenni in Florida. Costui avrebbe affermato d'essere stato investito da Dio (e dagli USA) per sostituire Moïse e per cambiare il suo Paese, iniziando con la sostituzione della lingua francese con quella inglese.

Sanon avrebbe reclutato un gruppo di mercenari attraverso la società CTU Security, che ha la sua base in Florida ed è gestita dal “rifugiato” venezuelano Antonio Emmanuel Intriago Valera. Il commando sarebbe stato composto di 28 uomini: 26 colombiani (in larga parte ex soldati) e due statunitensi di origine haitiana. Molti di questi uomini avrebbero ricevuto addestramento negli Stati Uniti, mentre erano ancora parte dell'esercito colombiano.

Insomma gli USA, come al solito, sono coinvolti sino in fondo. Stanno cercando un pretesto per intervenire militarmente nel Mar Cinese Meridionale. Diversi membri del Congresso statunitense hanno apertamente accusato la Cina d'interferire nella politica interna di Haiti, sostenendo che tale interferenza si sta rapidamente espandendo nell'intero bacino caraibico.

Lo stesso giornale “South China Morning Post” ha dichiarato che il Presidente Moïse (in carica dal 2017), interessato ai progetti della Nuova Via della Seta, era addirittura pronto al repentino rovesciamento della tradizionale impostazione diplomatica haitiana favorevole a Taiwan.

È parso sospetto infatti che dopo l'assassinio del Presidente, parte del commando sarebbe penetrato, senza particolari difficoltà, all'interno del perimetro dell'ambasciata di Taiwan, dove la polizia avrebbe arrestato almeno 11 di loro. Haiti è uno dei 17 Paesi che intrattiene pieni rapporti diplomatici proprio con Taiwan. A quanto pare Moïse, che stava governando per decreti, senza più un Parlamento che gli facesse da contrappeso, sciolto quasi due anni fa e mai rinnovato, aveva intenzione di avvicinarsi alla Cina. Esattamente come hanno fatto recentemente Burkina Faso, El Salvador e Repubblica Dominicana, che sul piano diplomatico hanno abbandonato i legami diplomatici con Taiwan in favore di Pechino.

 

[22] Chi inquina paga di meno

 

Se c'è una cosa che a Beppe Grillo va riconosciuta è la sensibilità per i problemi ambientali, sin da quando faceva il comico.

Ultimamente scrive nel proprio blog: una nuova ricerca, guidata dal Monterey Bay Aquarium (Stati Uniti), e pubblicata su “Science Advances”, rivela che non saranno necessariamente coloro che emettono più gas serra a soffrire maggiormente degli effetti del cambiamento climatico. Questo perché quando a livello locale bruciamo combustibili fossili – carbone, petrolio o gas – il rimescolamento nell'atmosfera produce surriscaldamento anche in luoghi molto lontani.

Gli scienziati hanno lavorato sulle emissioni dei quattro principali gas serra che hanno rappresentato il 92% delle emissioni tra il 1970 e il 2018: anidride carbonica, metano, ossido nitroso e nero di carbone. Hanno confrontato le fonti di queste emissioni con le proiezioni di temperatura in tutto il pianeta. Conclusione: se il 90% delle emissioni viene generato sull'8% della superficie del pianeta, più della metà del territorio subirà un riscaldamento estremo entro la fine di questo secolo.

In particolare lo studio mostra che i Paesi industrializzati, ad es. Europa occidentale e America nord-orientale, che emettono la maggior parte dei gas serra, subiranno un impatto climatico relativamente minore rispetto ad Africa o Asia centrale, che emettono meno CO2.

Insomma è il solito discorso olistico del pianeta come un tutto unico, cui non vogliamo credere perché ci appare troppo paradossale: il batter d'ali di una farfalla in Brasile può provocare un tornado in Texas. Lo diceva Konrad Lorenz già nel lontano 1972. E aveva usato l'esempio della farfalla al posto del gabbiano (usato da un meteorologo un decennio prima) perché amava la poesia.

 

[23] Molto precaria la situazione sociale in Sudafrica

 

La figlia di Nelson Mandela, Makaziwe, ha detto a Sky News che la pandemia ha contribuito all'aumento del razzismo a livello globale, quindi anche in Sudafrica, aumentando le disuguaglianze in atto.

Ha fatto cioè capire che in questo Paese (in cui l'80% degli abitanti è nero), nonostante le battaglie vittoriose di suo padre, è cambiato ben poco, tant'è che è aumentata l'ondata di violenza a seguito dell'arresto dell'ex presidente dell'African National Congress, Jacob Zuma.

L'ANC fu il partito di riferimento di suo padre, che con quello andò al potere. Dunque che succede? Succede che è in atto, dentro il partito, uno scontro frontale tra il presidente del Sudafrica, Cyril Ramaphosa, e il segretario generale del partito, Ace Magashule, che il 5 maggio scorso è stato sospeso dal suo incarico. Indagato per corruzione, frode e riciclaggio, Magashule, alleato dell'ex presidente Jacob Zuma (che deve fronteggiare 700 accuse di frode, corruzione e appropriazione indebita), ha reagito con una lettera indirizzata allo stesso Ramaphosa, in cui giunge a sospenderlo dall'incarico di presidente dell'ANC.

Magashule, rinviato a giudizio con l'accusa di appropriazione indebita di fondi pubblici, mentre era premier della regione del Free State, è stato sospeso dopo aver rifiutato l'ultimatum da parte del Comitato esecutivo ristretto del partito. Ha dichiarato che non ha nessuna intenzione di dimettersi. In ogni caso non ha certo l'autorità di sospendere il presidente dell'ANC.

Pare che sia diventata una condotta abituale dei membri corrotti del partito: nessuno vuole dimettersi dai propri incarichi.

È proprio vero, tutto il mondo è Paese, con o senza un Mandela che fa sognare i poveri cristi.

Certo l'eredità di Mandela è ancora viva, ma le disuguaglianze sociali restano ampiamente visibili nel secondo Paese africano per ricchezza dopo la Nigeria: restano molto forti la disoccupazione, la crisi abitativa, i bassi tassi d'istruzione, i servizi pubblici sono precari e la sanità è appannaggio quasi solo delle classi agiate.

Dal 62% di quel 1994, l'Anc ha toccato il suo massimo nel 2004 con il 69% dei voti. Alle ultime elezioni, però, il partito ha perso sette punti percentuali rispetto a quel record, tornando a quota 62. Al momento nei sondaggi è tra il 53 e il 56%.

Questo perché sta crescendo parecchio l'estrema sinistra dell'Economic freedom fighters (10%), intenzionata a espropriare le terre coltivabili senza compensazioni per i proprietari, in gran parte bianchi. Punta anche alla nazionalizzazione di banche e miniere.

Il principale avversario dell'ANC, la Democratic Alliance, oggi è in forte calo. Infatti, pur essendo guidata da un nero cresciuto nella township di Soweto, Mmusi Maimane, sostenitore del libero mercato, resta percepita come il partito dei bianchi.

 

[24] Esiste la democrazia in Marocco?

 

“Africa ExPress” scrive che una giovane, figlia di marocchini, ma nata in Italia, a Vimercate, e cresciuta in Brianza, è stata condannata a tre anni e mezzo di galera e a una multa di 4.800 euro per offesa pubblica all'Islam fatta su Facebook.

L'hanno arrestata a Rabat, appena scesa dall'aereo, dove si era recata per incontrarsi col padre. La denuncia era stata presentata da un'associazione religiosa di Marrakech.

Nel 2019 la giovane avrebbe pubblicato sulla sua pagina Facebook un post parodistico in lingua araba di un estratto del Corano “Kautar”, ribattezzandolo “versetto del whiskey“. La ragazza afferma che qualcun altro avrebbe condiviso il link sulla sua bacheca. Anche perché lei non è in grado di scrivere in arabo.

Quale lezione si può ricavare da questo fatto?

1) A quanto pare Facebook viene tenuto sotto controllo da gente malintenzionata, per cui bisogna fare attenzione non solo a quello che si scrive di proprio pugno, ma anche a quello che gli altri scrivono nel nostro profilo.

2) Il Marocco si vanta d'essere un Paese islamico più laico di tanti altri, un prezioso alleato per l'Occidente contro l'islamismo fondamentalista. Tant'è che chi vuole uscire dall'Islam non rischia più la condanna a morte. A quanto pare però la strada verso la democrazia è ancora lunga. Non tanto perché si penalizza chi offende una religione (cosa che, quando sono in gioco i sentimenti altrui, non è mai giusta e non solo nei confronti dei credenti islamici), quanto perché quando si emettono delle sentenze così gravi, il processo deve essere equo, rispettando le regole fondamentali del diritto.

La stessa Association marocaine des droits humains si è chiesta come mai si sia arrivati a un processo in così breve tempo e perché non siano state fatte indagini più approfondite.

Per inciso la forma statuale del Marocco, “una monarchia esecutiva con una Costituzione”, non corrisponde affatto ai paradigmi occidentali di monarchia costituzionale e di Stato democratico.

 

[25] Il Camerun del corrotto Paul Biya

 

Il sito di “Africa ExPress” scrive che Paul Biya, l'88enne presidente del Camerun, al potere dal 1982, è stato nuovamente contestato da un centinaio di manifestanti camerunensi della Diaspora résistante davanti al lussuosissimo hotel Intercontinental, nel Quartier des Nations, nella periferia nord di Ginevra, in Svizzera, dove è andato per farsi curare.

Già giorni prima del suo arrivo la Diaspora aveva chiesto alle autorità di Berna di negare l'autorizzazione al capo di Stato di entrare nel Paese e di congelare i suoi beni. Il presidente è infatti accusato di brogli elettorali, di sottrazione indebita di fondi pubblici e di violazioni dei diritti umani (di recente, p.es., si è macchiato del sangue nei confronti della minoranza anglofona nelle due province del Nord-Ovest e Sud-Ovest del Camerun, dove si consuma, grazie anche all'appoggio della Francia, un sanguinoso conflitto dalla fine del 2016, che ha già causato 3.500 vittime e oltre 775.000 sfollati).

La petizione presentata dalla coalizione è stata bocciata dal Gran Consiglio del Cantone di Ginevra. Motivo? Biya considera la Svizzera come la sua seconda casa, tant'è che è disposto a spendere per ospitare lui e il suo staff all'Intercontinental sui 40.000 dollari al giorno. Ovviamente a spese delle casse dello Stato, mentre la maggior parte della popolazione camerunense vive in miseria (attualmente 1,6 milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria urgente).

E poi Biya alle ultime elezioni del 2018 ha preso oltre il 70% dei voti, che gli permetteranno di restare Presidente della Repubblica presidenziale monocamerale fino al 2025. Vero. Peccato però che in quel Paese (di circa 25 milioni di abitanti) pochi elettori vanno a votare, essendo del tutto sfiduciati dalla politica: nelle ultime elezioni parlamentari del 2020 i voti validi sono stati meno di 3 milioni. Paul Biya nel 2018 ne aveva presi 2,5 milioni. Nelle regioni anglofone, dove risiede oltre 1/4 della popolazione, solo il 5% si reca alle urne.

 

[26] Facebook e i regimi totalitari

 

Uno pensa che ciò che scrive su Facebook o su Twitter, mettendolo a disposizione di tutti, siano solo delle parole. Certo, a volte sono parole impegnative, che al massimo possono servire per organizzare una petizione, un sondaggio o persino una manifestazione da qualche parte.

Ma tu prova a scriverle vivendo in un Paese dittatoriale, poi vedi se anche la più piccola parola non rischia di trasformarsi in una pietra. Le dittature lo sanno, per questo vietano l'accesso ai social o si preoccupano di crearne di propri, ad uso interno, per così dire.

Si potrebbero fare molti esempi di gente incriminata per delle parole. E non perché queste violavano la dignità o la sensibilità di qualcuno, ma semplicemente perché erano parole che esprimevano un'opinione personale, un punto di vista.

L'ultimo esempio ce lo offre la cantante curdo-tedesca Hozan Canê (al secolo Saide Inac), che per aver cantato per la libertà del popolo curdo e aver protestato contro le politiche etnocide dello stato turco, si è presa una condanna a oltre 6 anni di prigione.

La cantante era stata arrestata poco prima delle elezioni presidenziali e parlamentari in Turchia nel giugno 2018 nella città di Edirne, dove aveva sostenuto la campagna elettorale del Partito democratico dei popoli (filo-curdo), che il governo sta cercando di mettere fuori legge.

Era stata accusata di propaganda del terrore sulla base dei contenuti che la cantante aveva condiviso sui suoi profili Facebook e Twitter dal 2014 al 2018. In particolare avrebbe condiviso foto che mostrano il capo del PKK incarcerato Abdullah Öcalan. Altre foto mostrano un evento a Colonia in cui vengono sventolate bandiere del PKK e poster di Öcalan. Tuttavia durante l'interrogatorio la cantante aveva dichiarato che i due profili Facebook non erano suoi.

Dicono anche che appartenga al Partito dei lavoratori curdi PKK, un partito che la Turchia, la UE e gli USA considerano terroristico (ma non l'ONU!). Anche il suo film, The 74th Genocide in Sinjar, da lei diretto e interpretato, è stato considerato terroristico dal regime turco. Anche la figlia, Gönül Örs, è stata imprigionata.

La Canê ha 49 anni: è già stata arrestata, imprigionata e torturata varie volte dalla polizia turca. La prima volta fu a un concerto a Van nel 1991: imprigionata per nove mesi. Poi dopo varie vessazioni e aggressioni ha deciso di espatriare in Germania, dove ha ottenuto la cittadinanza.

Nel 2017 è apparsa in un video in cui criticava la detenzione del politico curdo Selahattin Demirtaş da parte del governo turco. Ha affermato: “Condanniamo la mentalità che considera terroristica la volontà di 6 milioni di persone” (si riferisce ai voti presi dal Partito democratico dei popoli).

 

[27] A quando il reato di ecocidio?

 

Una squadra di giuristi da tutto il mondo con competenze in diritto penale, ambientale e climatico, ha formulato la prima definizione legale di ecocidio, primo passo per un'introduzione del reato da parte della Corte Penale Internazionale. Se riconosciuto, si tratterà del primo crimine internazionale volto a proteggere la natura partendo da una prospettiva ecocentrica, in cui il danno agli esseri umani non è un prerequisito per il reato. Sarà il quinto crimine internazionale dopo quelli di genocidio, crimini contro l'umanità, crimini di guerra e crimini di aggressione stabiliti dallo Statuto di Roma della suddetta CPI.

Si è finalmente capito che non è possibile decontestualizzare gli umani dal resto del mondo vivente e non è possibile separare la nostra esistenza da quella dagli ecosistemi che ci sostengono.

Non è certo un caso che l'80% della biodiversità sia presente nei territori abitati dalle comunità indigene, dove la cosmovisione si presenta come un modello alternativo allo sviluppo delle società occidentali. Ad oggi sono 37 i Paesi nel mondo che in diverse forme hanno riconosciuto i diritti della natura e una decina di loro hanno leggi nazionali specifiche in materia di ecocidio.

Il termine ecocidio fu per la prima volta introdotto dal bioeticista e fisiologo vegetale Arthur William Galston durante la guerra in Vietnam, per protestare contro l'uso da parte delle truppe statunitensi del famigerato agente arancio, un defoliante costituito da due diversi erbicidi e contenente diossina, utilizzato per distruggere le coltivazioni, la vegetazione e le foreste nelle zone occupate dai vietcong e che ancora oggi continua ad avere gravissimi effetti sia sugli ecosistemi che su tutte le generazioni nate dopo la guerra. Tant'è che il Vietnam è stato il primo, nel 1990, a inserire nel codice penale il reato di ecocidio come crimine contro l'umanità, superando così l'approccio del tipo “chi inquina paga”, che non fa altro che legalizzare il danno ambientale regolamentando la quantità d'inquinamento nei limiti delle norme vigenti.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso l'hanno offerta, nel 2019, i piccoli Stati insulari di Vanuatu e delle Maldive, minacciati di scomparire dall'innalzamento del livello del mare.

L'iter legislativo però potrebbe durare anni, se non decenni, com'è successo per il crimine di aggressione entrato in vigore nel 2018 dopo una fase di negoziazione iniziata nel 1998.

Non dimentichiamo che originariamente il reato di “grave danno ambientale” fu incluso nella bozza dello Statuto di Roma del 1991 come quinto crimine contro la pace, ma poi fu rimosso in una fase avanzata della stesura a causa delle pressioni da parte di Paesi Bassi, Regno Unito e Stati Uniti. Nella versione finale il danno ambientale non andò più a costituire un reato a sé, ma si decise di menzionarlo tra le varie disposizioni inerenti ai crimini di guerra dove vengono proibite “tecniche di modifica ambientale”, come appunto l'agente arancio, che hanno “effetti diffusi, durevoli o gravi”.

Insomma in cauda venenum. Anche perché se questa proposta passa, sarà finalmente possibile perseguire ministri di stato o amministratori delegati o alti funzionari di società ecc. Non solo, ma il riconoscimento internazionale del reato avrà effetto anche sui Paesi che non fanno parte della suddetta Corte (come p.es. USA, Cina e India), poiché a tutte le imprese che si trovano ad operare oltre frontiera non sarà più permesso attuare pratiche ecocide in nessuna giurisdizione che abbia incorporato la legge, o in quelle aree sotto giurisdizione internazionale.

 

[28] Francia e Giappone contro la Cina

 

La Francia e il Giappone si sono impegnati a collaborare “attivamente” in una partnership indo-pacifica per lavorare per il progresso su questioni tra cui la sicurezza marittima e il cambiamento climatico, l'ambiente e la biodiversità.

È una cosa assolutamente ridicola. Da un lato vogliono far vedere che sono interessati a risolvere i problemi al momento più urgenti per l'intero pianeta. Dall'altro però non riescono neppure a nascondere le loro vere intenzioni: aumentare la presenza diplomatica e militare nell'Indo-Pacifico di fronte alla crescente influenza della Cina nella regione.

In particolare il Giappone ha un contenzioso aperto con la Cina sulle isole chiamate Diaoyu da Pechino e Senkaku da Tokyo (sono rivendicate anche da Taiwan). Al momento sono amministrate dal Giappone, ma intorno alle loro acque e sui loro cieli sta crescendo la presenza militare di entrambe le parti.

In tale contesto gli Stati Uniti hanno ribadito che in caso di scontro armato sosterrebbero il Giappone in base al Trattato di mutua cooperazione e sicurezza concluso tra Tokyo e Washington il 19 gennaio 1960.

Peraltro il Giappone ha già minacciato d'intervenire militarmente a fianco di Taiwan se questa verrà occupata dalla Cina.

Quanto alla Francia, è l'unico Paese europeo che ha una presenza militare permanente nella regione dell'Indo-Pacifico. Infatti cos'ha fatto Macron dopo aver parlato col premier nipponico Yoshihide Suga? Ha visitato i territori insulari francesi nel Pacifico: l'isola di Reunion nell'Oceano Indiano e la Polinesia francese nel Pacifico meridionale. Ecco di cosa ha paura il governo francese: che la Cina minacci i tradizionali possessi coloniali della Francia.

 

[29] Vaticano sempre più corrotto. La fame nel mondo

 

Lo scorso febbraio, in seguito a vari scandali finanziari, il papa disse di voler chiudere tutti i conti vaticani in Svizzera, togliendo la cassa alla Segreteria di Stato per trasferirla all'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. Che solo ora, dopo oltre 50 anni, rende nota una sintesi di bilancio relativo al 2020.

Tra i vari dati spiccano quelli sul numero di edifici in possesso del Vaticano: più di 5.100, di cui 4.051 in Italia (il 92% nella Provincia di Roma). Il resto, cioè circa 1.200 immobili, è gestito all'estero, in quartieri di lusso, tra Londra, Parigi, Ginevra e Losanna, e in Italia dalle società partecipate, escluse le ambasciate vaticane.

Come noto, tra beni mobili e immobili il Vaticano ha a disposizione un tesoretto di circa 10-11 miliardi di euro, che è andato diminuendo a causa della pandemia del Covid, rivelatasi disastrosa, più che per la riscossione degli affitti, per il turismo religioso. Nell'intero pianeta può contare su un patrimonio valutato oltre 2 mila miliardi, comprese università, scuole e ospedali, spezzettato in vari “tesoretti”.

Il Vaticano possiede circa il 20% dell'intero patrimonio immobiliare italiano: il maggiore nel nostro Paese. E, nonostante ciò, più volte il nostro Stato è stato accusato dalla UE per aver emanato leggi salva-Vaticano per svariate centinaia di milioni di euro: l'esenzione-Ici/Imu per le realtà religiose no profit e lo sconto del 50% sull'Ires per associazioni di assistenza e beneficenza, di cui suore e preti beneficiano per far funzionare ospedali, scuole e hotel facendo concorrenza ai privati. E in Italia vi sono decine di migliaia di scuole, ospedali, centri sanitari, case di riposo, istituti di ricovero e ospizi di matrice cattolica.

Ora però il Vaticano è alle prese con un processo a carico di un cardinale, Giovanni Angelo Becciu, e di un'altra decina di imputati di alto livello per truffa, riciclaggio, peculato e corruzione. Un “marcio sistema predatorio e lucrativo”, secondo i magistrati del papa, dove soggetti “improbabili se non improponibili” hanno attinto alle risorse della Santa Sede grazie anche a “limitate ma assai incisive complicità e connivenze interne”. Complessivamente tra il 2016 e il 2020 il deficit cumulato è stato pari a 187 milioni di euro e per colpa più della corruzione che non della pandemia.

Ci hanno messo una decina d'anni per capirlo. Chissà se i fedeli che versano soldi al Vaticano sanno che dal cosiddetto “Obolo di San Pietro”, che si raccoglie ogni anno il 29 giugno nelle chiese di tutto il mondo, solo il 10% viene usato dai pontefici per la carità, mentre il resto serve a sostenere le spese della Curia Romana, le ambasciate (nunziature), la comunicazione, i giornali, l'uniformità del rito in tutti i Paesi, fino ai tribunali ecclesiastici.

 

“Nonostante l'alimentazione riguardi la salute di tutta la popolazione del pianeta e le aziende agricole familiari e di piccola scala producano oltre il 70% del cibo che consumiamo, solo poche grandi imprese dettano le politiche in campo agricolo e stabiliscono cosa dovrà essere prodotto, come e quanto dovrà costare il cibo”, ha dichiarato Vandana Shiva (attivista e ambientalista indiana) che ha preso formalmente posizione contro il prossimo vertice dell'Onu sui Sistemi Alimentari indetto dal Segretario Generale Antonio Guterres e previsto a New York il prossimo settembre.

Di fronte alla fame contano solo i fatti.

 

[30] Salvini e la questione gender

 

Matteo Salvini dice che col ddl Zan si finisce con l'insegnare ai bambini che siamo “fluidi”, cioè che non esistono maschietti e femminucce.

Ebbene, se c'è una cosa che ai bambini bisogna insegnare in società maschiliste come le nostre è di fare attenzione a come si parla. Usare espressioni come “maschietto e femminuccia” indica già una discriminazione di genere. Se a un maschio si dice che non deve fare la femminuccia, lo si induce a credere che la sua identità di genere sia basata sulla forza, la violenza, la sopraffazione. I tanti femminicidi che avvengono in Italia dipendono anche dal fatto che la donna viene considerata un oggetto che l'uomo può possedere o disfarsi a proprio piacimento.

Salvini confonde completamente le questioni sessuali da quelle culturali. È proprio sul piano culturale che dobbiamo imparare a considerarci “fluidi”, cioè intercambiabili nei ruoli. Le differenze che la natura impone a fini riproduttivi non vanno colte come un pretesto per rimarcarle anche sul piano culturale. Anche perché nelle società maschiliste il passaggio dal piano culturale a quello sociale può essere anche molto veloce: le donne facilmente si trovano a essere discriminate sul lavoro o nella politica o nella gestione di un qualunque ruolo di responsabilità.

La fluidità sul piano sessuale è un'altra cosa, è un atteggiamento che può prendere un adulto. Non è cosa che può essere insegnata a dei bambini sessualmente immaturi. Al massimo si può far capire che nessun orientamento sessuale può essere colpevolizzato. Devono imparare da subito che qualunque etichetta è sbagliata perché fossilizza. Così da adulti non avranno bisogno di fare dell'atteggiamento nei confronti della sessualità una questione politica.

Se in uno Stato laico l'atteggiamento nei confronti della religione dovrebbe essere lasciato alla libertà di coscienza di ogni cittadino, senza forzature che lo obblighino a fare questa o quella scelta, non si capisce perché tale libertà non debba valere anche sul piano sessuale. Il problema è che Salvini, che fa politica col rosario in mano, che affida il Paese al cuore immacolato di Maria, che bacia il crocifisso in piazza Duomo, che si autodefinisce “l'ultimo dei buoni cristiani”, non ha la più pallida idea di cosa voglia dire “laicità”.

 

Sempre su Salvini ho scritto:

Se di fronte a una pandemia, fenomeno eminentemente sociale che comporta conseguenze sull'intera economia nazionale, uno se ne esce dicendo che la decisione di vaccinarsi spetta alla libertà individuale, allora vuol dire che non si è in grado di gestire il bene comune. Come possa Salvini pretendere di fare lo statista lo sa solo lui. Da come ragiona non sarebbe neppure in grado di gestire un'assemblea condominiale.

 

[31] Che succede in Tunisia?

 

Che succede in Tunisia? Il capo di Stato Kais Saied (vicino al mondo dei conservatori dello status quo sunnita) ha sollevato dall'incarico il primo ministro Hicham Mechichi e ha annunciato il “blocco” delle attività parlamentari per 30 giorni, autonominandosi alla guida dell'esecutivo, “con l'aiuto di un governo” di cui designerà il nuovo premier. È stata chiusa anche la sede locale della tv araba con base in Qatar, Al Jazeera, vicina alle istanze degli islamici moderati di Ennahda, principale partito di maggioranza. Ai politici è stata revocata l'immunità e non possono uscire dal Paese. È stato anche sostituito sostituito il direttore generale della tv pubblica.

Il leader di Ennahdha, Rashid Ghannushi (vicino all'Islam politico della Fratellanza musulmana), ha detto che si è in presenza di un colpo di stato contro la rivoluzione del 2011 e contro la Costituzione, ovvero che si vorrebbe trasformare una democrazia parlamentare in un regime presidenziale, personalistico e autoritario.

Tuttavia la destituzione di Mechichi è avvenuta in un contesto di forte rabbia popolare contro l'esecutivo e la sua gestione della crisi economica e sanitaria. Lo stesso presidente Saied ha dichiarato che se è vero che la Costituzione non lo autorizza a sciogliere il parlamento, è anche vero che in caso di “pericolo imminente” l'art. 80 gli consente di sospenderne i lavori per 30 giorni, trascorsi i quali spetta alla Corte costituzionale prendere una decisione finale. Peccato che questa Corte non esista affatto: è dal 2014 che il Paese l'attende.

Il governo sembra non essere in grado di affrontare la pandemia del Covid-19 e le conseguenze sull'economia. I ministri della sanità si avvicendano di continuo, perché non sanno cosa fare. Eppure i morti, quasi 19 mila su 12 milioni di abitanti, non sono tantissimi: se confrontati con noi avrebbero dovuto averne oltre 25.000.

Il vero problema è che, nonostante sia passato un decennio dalla rivoluzione del 2011 che ha rovesciato il dittatore Ben Ali, la Tunisia rimane soggetta a molta instabilità politica, priva di governi duraturi ed efficaci: da allora ad oggi vi sono stati ben nove primi ministri. I servizi pubblici sono in rovina ed è impossibile realizzare le riforme richieste dal Fondo Monetario Internazionale. Dilaga la disoccupazione, che supera il 17%, con punte superiori al 30% in alcune aree e tra i giovani. Un quinto della popolazione vive sotto la soglia di povertà.

Di sicuro un presidenzialismo forte in stile egiziano è impossibile, poiché in Tunisia i militari non sono attori centrali ma marginali, anche se il principale interlocutore del presidente di Tunisi è proprio il dittatore egiziano Al Sisi. Quindi la tentazione autoritaria c'è. E se la UE non si dà da fare per scongiurarla, non avremo solo a che fare con maggiori flussi migratori, come già sta avvenendo adesso, ma anche con nuove tendenze terroristiche.

La UE ha già concesso alla Tunisia, tra il 2011 e il 2016, più o meno 3,5 miliardi di euro. Altri 240 milioni di euro li ha dati nel 2020 e ne ha promessi altri 600. Ma bastano i soldi per favorire i processi democratici? A quanto pare no.

 

Agosto

 

 

 

[1] Riforma Cartabia, matrimonio coi fichi secchi

 

Non è curioso che una come Marta Cartabia, che sicuramente non è l'ultima arrivata in merito di giurisprudenza, essendo stata Presidente della Corte costituzionale, pensi che la giustizia possa migliorare solo perché si deve pretendere che i tempi per garantirla siano accelerati?

Questo, a dir poco, è un atteggiamento idealistico, utopistico, se non addirittura irresponsabile, poiché sortirà sicuramente effetti contrari a quelli voluti. Cioè gli indagati, sapendo che per essere processati avranno meno tempo a disposizione, faranno meno fatica per allungare questi tempi, rendendo la prescrizione (che verrà domani chiamata “improcedibilità”) il deus ex machina della loro impunità, quella prescrizione che la cosiddetta “legge spazzacorrotti” del ministro Alfonso Bonafede voleva invece abolire dopo una sentenza di primo grado, e che su questo trovò consensi nella UE.

Già da molti anni Berlusconi insegna che per rinviare ad libitum i processi basta mettersi malati, corrompere i giudici, accusare le procure di avere pregiudizi ideologici... Craxi era addirittura fuggito all'estero. I boss mafiosi, al tempo della Democrazia cristiana, minacciavano i giudici e li inducevano a chiedere il trasferimento per incompatibilità ambientale. Il criminale comune può revocare il mandato all'ultimo minuto... Lo sanno tutti che per vincere una causa, sfruttando tutti i gradi del processo, ci vogliono almeno 7 anni (infatti chi non può permettersi di pagare spese astronomiche preferisce trovare subito un accordo con la controparte).

Con la riforma Cartabia queste tattiche dilatorie aumenteranno a dismisura. Sparirà persino l'istituto del patteggiamento, in quanto gli inquisiti cercheranno di sfruttare tutti i gradi dei processi, allungando il più possibile il momento della sentenza finale, che così non ci sarà mai. Infatti la legge ha introdotto nel secondo grado del processo un nuovo concetto, l'improcedibilità: se l'Appello non si conclude entro due anni, il processo non può più andare avanti. Lo stesso vale per quello in Cassazione, dove la tagliola scatta entro un anno. Sarà una riforma che favorirà gli imputati più abbienti e naturalmente gli avvocati più bravi, mentre penalizzerà i pubblici ministeri e i giudici, che alla fine potrebbero prendere decisioni anche molto affrettate.

È vero che in questi giorni il governo ha accettato di escludere dalla improcedibilità, scaduti i termini previsti, i reati di associazione mafiosa e terroristica, il voto di scambio politico-mafioso, le violenze sessuali e l'associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, ma non ha voluto inserire i reati ambientali e tutti quei reati (sicuramente i più diffusi e devastanti nel nostro Paese) connessi alla corruzione.

Lo sanno tutti che i processi per disastro ambientale e sanitari si rivelano spesso molto complessi dal punto di vista tecnico-scientifico (come p.es. quello dell'ILVA di Taranto), sicché una tempistica eccessivamente ristretta porterebbe a non avere a disposizione elementi di prova tali da andare oltre il “ragionevole dubbio”. Cioè porterebbe non a un processo breve, ma alla morte del processo stesso.

Insomma migliaia di processi andranno in fumo, in particolare quelli relativi a tentato omicidio, estorsione, corruzione, riciclaggio, sequestro di persona, contrabbando, favoreggiamento, depistaggio, ecc. proprio perché vi è una incredibile carenza del personale giudiziario. L'Italia ha 12 magistrati ogni 100mila abitanti: siamo al 22° posto su 27 nella UE, dove la media è di 21. La Germania ne ha il doppio; l'Austria addirittura 27. Invece siamo al quarto posto per numero di avvocati: circa 390 ogni 100mila abitanti (quasi il doppio della Germania e il quintuplo dell'Austria).

Indubbiamente i processi devono essere veloci, ma i princìpi costituzionali come l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e l'obbligatorietà dell'azione penale non possono arretrare di fronte a esigenze come quelle legate ai fondi dell'Unione Europea. Occorre una nuova organizzazione della magistratura, a partire dal personale. E questo non è affatto previsto dalla riforma Cartabia.

 

[2] La situazione delle carceri italiane

 

L'associazione Antigone, che si occupa di tutelare i diritti delle persone che si trovano in carcere, ha presentato il suo rapporto di metà anno sulle condizioni di detenzione in Italia.

Al 30 giugno 2021 risulta che nelle nostre carceri ci siano 53.637 detenuti su 47 mila posti disponibili: il tasso di affollamento supera il 113% ma in 11 istituti è superiore al 150%. I cinque peggiori istituti sono: Brescia (378 detenuti, 200%), Grosseto (27 detenuti, 180%), Brindisi (194 detenuti, 170,2%), Crotone (148 detenuti, 168,2%) e Bergamo (529 detenuti, 168%).

Bisognerebbe incentivare le misure alternative al carcere, ovviamente per i detenuti (poco meno di 20.000) che hanno una parte di pena ancora da scontare inferiore a 3 anni: semilibertà, diverse forme di detenzione domiciliare e di affidamento in prova al servizio sociale. Ma lo si fa? A quanto pare no. Non dimentichiamo che la stragrande maggioranza dei detenuti è incriminata per droga, furto e rapina.

Un ulteriore intervento positivo potrebbe riguardare una profonda modifica della legge sulle droghe. Sempre al 30 giugno le persone detenute per violazione del Testo Unico sulle droghe erano 19.260 (18.602 uomini e 658 donne). Oggi 1 su 4, avendo una diagnosi di tossicodipendenza, non dovrebbe neppure star chiuso in carcere. Ricordiamo che nel 2014 una sentenza della Corte Costituzionale dichiarò incostituzionale la legge n. 49/2006 di Fini-Giovanardi, che aveva di fatto eliminato qualsiasi distinzione tra droghe leggere e pesanti.

Le detenute, in tutto, sono 2.228 (4,2%). Abbiamo solo 4 istituti penitenziari esclusivamente femminili in cui attualmente sono recluse 528 donne, mentre i 3/4 delle donne sono detenute nelle 43 sezioni femminili collocate all'interno di carceri costruiti per uomini, senza molto riguardo a necessità di salute particolari e ai bisogni relativi alla maternità. Inoltre, per evitare situazioni di promiscuità, spesso viene negato alle donne l'accesso alle strutture comuni per fare sport, per studiare o fare dei corsi e soprattutto per lavorare. Insomma sono più carcerate degli altri. Sono 29 i/le bambini/e di età inferiore ai 3 anni che vivono insieme alle loro madri detenute.

Tra l'intera popolazione carceraria le persone straniere sono 17.019 (32,4%), provenienti prevalentemente da vari Paesi africani, ma anche da Albania, Romania e altri Paesi europei. Gli stranieri aspettano la condanna definitiva in carcere in percentuale maggiore rispetto agli italiani.

Il 15,5% delle persone detenute è in attesa del primo giudizio; il 14,5% risulta condannata ma non ancora in via definitiva e il 69,4% sta scontando una condanna definitiva. Da noi non esiste la possibilità del rilascio anticipato dell'imputato per cauzione, perché si pensa che in questo modo si favorirebbero solo le persone più agiate. Quindi si è costretti a fare il carcere anche se alla fine si risulta innocenti, salvo risarcimento successivo.

Il profilo del carcerato medio è quello dell'uomo italiano fra i 50 e i 59 anni con un basso livello di istruzione. Le regioni con la maggiore popolazione carceraria sono Lombardia, Campania, Lazio e Sicilia.

Solo 1/3 della popolazione detenuta lavora, e l'88% è alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria per mansioni da svolgersi all'interno dell'edificio. Il 12% lavora per cooperative o imprese esterne.

Nel 2020 i suicidi sono stati 62.

Al 26 luglio 2021 sono 29 i detenuti positivi al COVID-19, tutti asintomatici.

Il carattere corporale della pena riguarda il sovraffollamento, le condizioni igieniche precarie e l'assistenza sanitaria insufficiente, ma anche celle con schermature alle finestre che impediscono il passaggio di aria e luce naturale. Nel 36% delle carceri vi sono celle senza doccia (il 31% senza acqua calda).

Vi è un poliziotto ogni 1,6 detenuti e un educatore ogni 91,8 detenuti.

La detenzione costa allo Stato circa 3 miliardi di euro all'anno, di cui il 68% è impiegato per la polizia penitenziaria.

Solo nel 65% degli istituti visitati c'è un direttore assegnato in via esclusiva, altrimenti il direttore è responsabile di più strutture.

 

[3] I quartieri urbani più pericolosi in Italia

 

Nella classifica stilata come ogni anno dal “Sole 24 Ore”, sui dati forniti dal dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell'Interno, che valuta l'indice di criminalità delle città in Italia, per il 2020 si è confermata Milano al primo posto. A seguire Firenze Rimini Bologna Torino Roma Prato Imperia Livorno Modena...

Ma esiste anche una classifica dei quartieri più pericolosi d'Italia, dove regna la delinquenza (anche minorile), dove la qualità della vita è ridotta al minimo e dove l'igiene è scarsa.

1° POSTO: Librino a Catania. È situato nella periferia di questa città il quartiere più pericoloso e malfamato d'Italia. Qui il traffico di armi e di droga e gli omicidi sono all'ordine del giorno. Paradossalmente il quartiere era stato concepito come luogo di cultura e innovazione.

2° POSTO: Quarto Oggiaro a Milano, sede delle principali attività criminose del capoluogo lombardo, dove la vendita della metanfetamina (tra le droghe più pericolose in assoluto) è ai suoi massimi livelli. È facile trovare minorenni completamente immersi nel mondo degli stupefacenti, sia come spacciatori che come utilizzatori, e non pochi di loro muoiono. La dispersione scolastica supera il 30%.

3° POSTO: Rione Forcella a Napoli, dove regna la disoccupazione, l'abbandono scolastico, l'emarginazione sociale, la micro e macrocriminalità e lo spaccio di droga. Il quartiere Scampia e i Quartieri Spagnoli stanno invece mutando in meglio.

Poi a seguire:

Quartiere Begato a Genova, tristemente noto come il quartiere dei morti ammazzati. Qui domina la desolazione più assoluta, al punto che sui marciapiedi si trovano sparsi dei mazzolini di fiori a ricordo di un omicidio avvenuto in quel luogo poco prima.

Lo scenario, poi, è completato da carcasse d'auto abbandonate, altre bruciate, edifici bui e fatiscenti. In questo quartiere dimenticato, vittima di degrado e malavita, vivono circa 2.500 persone di cui una percentuale superiore ai 3/4 si trova ai servizi sociali. Gli abitanti vivono in uno stato cronico di paura, rischiando d'essere taglieggiati anche nel prendere l'ascensore.

Quartiere Zen a Palermo, simbolo dell'Italia abbandonata a se stessa. Ospita circa 16.000 abitanti. Vi si spaccia in maniera incontrollabile. La dispersione scolastica è tra le più alte in Italia: 2 ragazzi su 3 abbandonano la scuola per entrare nella microcriminalità. Tantissime famiglie sono povere e vivono ammassate in veri e propri tuguri e i bambini giocano tra i rifiuti.

Il Serpentone di Corviale a Roma, dove, tra degrado e disperazione totale, un ruolo di grandissimo rilievo è ricoperto da qualsiasi tipologia di droga. Gli scambi della sostanza, le vendite e persino l'utilizzo tra le vie del quartiere avvengono in totale libertà. Qui infatti domina la camorra e la criminalità organizzata romana, anche se gli enti sociali della zona e della Chiesa tentano di contrastarle.

Le Vallette a Torino hanno un carcere e una discarica e per i torinesi è sinonimo ed epicentro della delinquenza giovanile, di disagio e povertà economica. La situazione però, grazie alla volontà di alcuni residenti, sta migliorando.

 

[4] Morta Nawal al-Sa'dawi, grande femminista egiziana

 

“Tutte le religioni sono prigioni per le donne”, sosteneva con coraggio e lucidità la scrittrice e intellettuale femminista egiziana Nawal al-Sa'dawi, morta nel 2021 all'età di 90 anni. Suo padre era stato un funzionario governativo del ministero dell'Educazione Nazionale, che aveva preso parte alle lotte contro i britannici nel corso della rivoluzione del 1919.

Scrisse numerosi libri sulla condizione della donna nell'islam, dedicando particolare attenzione alla pratica della mutilazione genitale femminile, ancora presente in alcune parti della società egiziana e che lei stessa aveva subìto in giovane età.

Si laureò in medicina all'Università statale del Cairo nel 1955 e si specializzò in psichiatria. Mentre operava come medico nel suo villaggio natale di Kafr Tahla, denunciò le brutali ineguaglianze sociali cui erano sottoposte le donne in quell'ambiente rurale, e per questo fu richiamata al Cairo.

Divorziò da due mariti che volevano imporle di abbandonare la sua carriera di medico e di scrittrice, poiché consideravano queste attività imbarazzanti e ostacolanti per le proprie carriere rispettivamente di medico e di avvocato.

Divenne Direttrice della Sanità Pubblica e qui incontrò il suo terzo marito, Sherif Hetata, che ricopriva un incarico presso il ministero della Sanità. Hetata era stato prigioniero politico per 13 anni.

La Sa'dawi fu allontanata dal suo incarico presso il ministero della Sanità a causa della sua attività politica. Perse anche il posto di redattore-capo di un giornale sanitario e di Segretario Generale aggiunto dell'Associazione Medica in Egitto. Questo perché era stato ristampato il suo primo libro, Women and Sex, dopo essere stato bandito in Egitto per quasi due decenni.

Poi però dal 1973 al 1976 lavorò come ricercatrice nel campo delle nevrosi nella Facoltà di Medicina dell'Università statale di 'Ayn Shams, al Cairo. Nel 1979-80 fu consigliera delle Nazioni Unite per il Women's Programme in Africa e Medio Oriente.

I suoi libri (una cinquantina) sono sempre stati sottoposti a censura: autorità religiose, capi-villaggio e autorità statali l'accusavano di non rispettare i valori tradizionali e d'incitare le donne a ribellarsi contro la Legge e la religione. La sua autobiografia la scrisse in prigione sulla carta igienica con una matita per gli occhi ch'era stata introdotta di nascosto nella sua cella.

Fu incarcerata nel 1981 per crimini contro lo Stato, insieme a circa 1.500 attivisti, che protestavano contro il “Trattato di pace di Gerusalemme” firmato dal Presidente Anwar al-Sadat. Fu rilasciata alla fine dell'anno, un mese dopo l'assassinio di Sadat. Di quella sua esperienza ha scritto: “Il pericolo ha fatto parte della mia vita fin da quando ho impugnato una penna e ho scritto: 'Niente è più pericoloso della verità in un mondo che mente'”.

Fonda The Arab Women's Solidarity Association, la prima organizzazione legale indipendente femminista. Ciò le provoca nuove persecuzioni e minacce da parte di gruppi fondamentalisti islamici e la condanna a morte per eresia. Il suo nome era stato incluso in una lista di morte pubblicata in Arabia Saudita.

L'Associazione, dichiarata fuori legge, venne chiusa. Di nuovo Sa'dawi visse l'esperienza del carcere, fin quando, nel 1992, è costretta all'esilio. Si trasferì, insieme al terzo marito, medico e scrittore che curava la traduzione in inglese dall'arabo dei suoi libri, nel North Carolina, presso la Duke University (Asian and African Languages Department).

Nel 1996 tornò in Egitto, ma nel 2002 un avvocato integralista egiziano richiese il divorzio coatto tra lei e il marito, i quali però vinsero la causa grazie a una mobilitazione internazionale.

Continuò nella sua azione attivistica e prese in considerazione la possibilità di presentarsi candidata alle elezioni presidenziali del 2005 contro Mubarak, ma poi decise di boicottarle quando vide che i suoi seguaci erano stati minacciati di morte.

Nel 2007 fu denunciata due volte per apostasia, una volta con la figlia economista Mona Helmy, e la seconda volta per apostasia ed eresia a causa del suo spettacolo teatrale “God Resigns at the Summit Meeting”. Entrambe le cause sono state vinte dalla scrittrice egiziana.

Nel 2008 in Egitto sono state promulgate alcune leggi per le quali lei aveva lungamente combattuto: le donne egiziane hanno conquistato il diritto di registrare i figli nati fuori dal matrimonio con il proprio cognome; l'età minima per il matrimonio è stata alzata a 18 anni; la circoncisione femminile, la clitoridectomia e l'infibulazione sono ora un reato perseguibile e punibile con il carcere o una pena pecuniaria.

Nel 2010 divorziò anche da Hetata, che aveva una relazione con un'altra donna.

L'ultimo suo scontro con le autorità laiche e religiose avvenne nel 2011, all'età di 79 anni, quando si unì ai manifestanti in piazza Tahrir al Cairo per protestare contro il presidente Mubarak, che si dimetterà nello stesso anno.

 

[5] Il forte laicismo della sociologa algerina Marie-Aimée Hélie-Lucas

 

Un volume di Irene Strazzeri – Marie-Aimée Hélie-Lucas. Ritratto di una sociologa algerina (ed. Meltemi) – analizza il prezioso contributo della sociologa alla lettura della condizione femminile nel mondo musulmano.

La sociologa è stata una militante della guerra di liberazione algerina. Oggi è un'attivista per il riconoscimento dei diritti umani delle donne nel mondo islamico.

L'obiettivo principale per cui si batte è non solo la parità di genere, ma anche e soprattutto la laicità dello Stato. Alle donne vanno riconosciuti i diritti umani proprio perché “esseri umani”, a prescindere dalle interpretazioni che all'interno delle religioni dominanti si può dare al ruolo della donna.

Nel mondo islamico infatti il miglior femminismo è quello laico, per il quale il “femminismo islamico” è un vero e proprio ossimoro. Le femministe laiche preferiscono riferirsi non al Corano ma alle convenzioni internazionali per i diritti delle donne, mentre ritengono che la religione debba rimanere confinata alla sfera privata.

Il che non vuol dire che la laicità di marca occidentale sia la migliore laicità possibile. Sappiamo tutti che ogniqualvolta si presenta la donna in forma passiva, come un “oggetto desiderabile”, la parità di genere è già stata negata.

Molto controverso è anche il rapporto, nel mondo islamico, tra femminismo e nazionalismo anti-colonialista. Infatti se è vero che nel passato le donne non hanno potuto sottrarsi a una battaglia contro l'oppressione occidentale, condotta anche sulla base della tutela delle tradizioni islamiche, è anche vero che, una volta conseguita la liberazione nazionale, non hanno ottenuto una vera parità di genere.

Ovunque si trovino, le donne sembrano essere destinate a compiere sempre una lotta supplementare, quella contro i propri uomini, soprattutto quando questi le vogliono vincolare al rispetto delle tradizioni culturali.

Tale lotta può anche partire da una reinterpretazione dei valori islamici a favore dell'uguaglianza di genere. In tal senso non è detto che la migliore esegesi dei princìpi della legge islamica contenuti nella Sharia debba essere compiuta da uomini.

Al momento le femministe che non vogliono rinnegare l'islam, basano le loro rivendicazioni su tre assunti: 1) le leggi islamiche sono suscettibili di cambiamento, nel tempo e nello spazio; 2) devono evitare di danneggiare le persone; 3) devono mirare a promuovere l'interesse pubblico.

Per le donne invece che lottano per la laicizzazione dello Stato è illusorio pensare che sul piano dell'emancipazione femminile una religione possa essere considerata migliore di un'altra. Questo perché non c'è religione che non consideri le donne “eterne minorenni sotto tutela”.

 

[6] Il cacao non arricchisce chi lo produce. Palamara radiato dalla magistratura

 

Il cacao della Costa d'avorio, nell'Africa occidentale, rappresenta il 45% della produzione mondiale di questa materia prima. Le sue esportazioni fruttano al Paese 3,5 miliardi di dollari all'anno. Ma gli agricoltori guadagnano solo 0,78 dollari al giorno, 1/3 in meno di quanto l'organizzazione Fairtrade International ritiene sia un salario minimo di sussistenza: 2,51 dollari al giorno (da noi è 15 euro).

Per affrontare la questione, nel 2019 la Costa d'Avorio (col Ghana) ha deciso di aumentare di 400 dollari il prezzo a tonnellata del cacao esportato. La nuova misura è entrata in vigore durante la stagione del raccolto 2020-21.

Tuttavia alcune multinazionali non ci stanno. Infatti la Olam ha ridotto la sua quota di cacao ivoriano e ghanese; l'azienda dolciaria Mars ha raddoppiato il burro di cacao nei suoi prodotti e la Hershey ha comprato i chicchi di cacao dal mercato a termine, invece di farlo direttamente dai fornitori fisici al prezzo corrente, per non pagare la nuova imposta. Sembra invece che si siano adeguate la Nestlé, la Lindt & Sprüngli e la Barry Callebaut.

Resta però il fatto che, nonostante questo aumento di prezzo, il crollo della richiesta di chicchi di cacao alla fine del 2020, in seguito alla pandemia da Covid-19, ha messo i contadini della Costa d'Avorio in gravi difficoltà.

Non c'è niente da fare: il globalismo (che una volta chiamavamo imperialismo e prima ancora colonialismo) continua a regnare sovrano. I Paesi più deboli sono costretti a produrre quanto viene richiesto dai mercati dei Paesi più forti. Sicché si trovano ad avere solo beni monocolturali da esportare. Si arricchiscono con valuta pregiata, ma diventano fragilissimi, proprio perché alla mercé di fattori esterni imponderabili. Oggi la pandemia, domani potrebbe essere un mutamento nei gusti o nelle diete alimentari, una sostituzione del cioccolato con prodotti chimici, un boicottaggio per motivi politici... O chissà quale altra diavoleria.

 

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di Luca Palamara contro la sentenza dell'ottobre 2020 con cui la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura lo aveva radiato dalla magistratura per aver cercato d'influenzare la nomina del procuratore di Roma per interessi personali, per aver screditato il procuratore aggiunto Paolo Ielo, per aver ricevuto regali e benefici in cambio di favori, e per aver tentato di danneggiare chi aveva avviato un'indagine su di lui. Insomma un soggetto che ti raccomando.

Però voglio dire: Palamara tra il 2008 e il 2012 era stato presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati.

Come ci era arrivato? Nessuno si era mai accorto di nulla? Il potere gli aveva fatto perdere il senso dello Stato? Esiste la democrazia in questa prestigiosa Associazione?

 

[7] Il successo letterario della femminista Djaïli Amadou Amal

 

Djaïli Amadou Amal è nata nel 1975 a Maroua, nel Camerun, è di madre egiziana e padre fulani, etnia nomade dell'Africa occidentale, dedita alla pastorizia e al commercio.

Data in sposa a 17 anni a un cinquantenne di buona famiglia, riesce a liberarsi nel 1998 dopo 5 anni di convivenza.

Si sposa una seconda volta, ma si separa anche da questo marito, che giudica violento. Lui, per ripicca, le sottrae le sue due figlie.

Decide così di stabilirsi a Yaoundé, capitale del Camerun, dove vende i suoi gioielli, compra un computer, un tavolo, una sedia e inizia a scrivere. Viene riconosciuta come la prima donna scrittrice del settentrione camerunese. Il suo primo romanzo Walaande, l'arte di condividere un marito, del 2010, le ha dato fama immediata. Racconta la storia di quattro donne che vivono nello stesso tetto e che aspettano solo il loro turno col marito. “Quando entri in una famiglia poligama, devi essere cieca, sorda e muta”. Il premio della giuria della Prince de Claus Foundation di Amsterdam consente di tradurre l'opera in arabo e distribuirla nei paesi del Maghreb e del Medio Oriente.

Amal denuncia gli oneri sociali e la discriminazione contro le donne che derivano da tradizioni obsolete e dalle religioni maschiliste.

Nel 2012, il giorno dopo il suo ritorno dagli Stati Uniti dove aveva preso parte a un programma del governo americano, l'International Visitor Leadership Program, incentrato sulle donne leader negli Stati Uniti, ha creato l'associazione Donne del Sahel, per l'istruzione delle donne, sostenuta dall'Ambasciata degli Stati Uniti in Camerun.

Il suo secondo romanzo, Mistiriijo, il mangiatore di anime, pubblicato nel 2013, conferma il talento della scrittrice. Il bimestrale camerunese, “L'Oeil du Sahel”, l'ha ritiene nel 2014 tra le cinque donne più influenti del Nord Camerun. Il quotidiano “Le Jour” la esalta come scrittrice.

Nel 2016 un decreto del Ministro delle Arti e della Cultura la inserisce nel Comitato Organizzatore del Festival Nazionale delle Arti e della Cultura, tenutosi a Yaoundé nello stesso anno. Da parte del Capo di Stato camerunese, Paul Biya, riceve l'onorificenza di Cavaliere dell'Ordine al Valore. Viene eletta nel consiglio di amministrazione della Società Civile per il Diritto d'Autore della Letteratura e delle Arti Drammatiche.

Il suo terzo romanzo, Munyal, le lacrime della pazienza, esce nel 2017, collocandola definitivamente tra i migliori scrittori africani. Con questo libro ha vinto nel 2018 la selezione dell'Alleanza internazionale degli editori indipendenti: è la prima volta per un autore africano.

Riceve vari premi letterari molto prestigiosi, nonché ampi riconoscimenti nel suo Paese, al punto che i suoi libri cominciano a essere inseriti nei curricoli scolastici.

La casa editrice francese Emmanuelle Collas vuole rielaborare il testo di Munyal in modo che possa essere letto ovunque nel mondo (viene persino tradotto in arabo perché sia distribuito nei Paesi dell'Africa francofona). Alla fine del 2020 è ristampato col titolo Le impazienti (Solferino edizioni). L'edizione francese si aggiudica il Goncourt des Lycéens nel 2020. Ora lei è famosa in tutto il mondo. È premiata anche nel Regno Unito, in Tunisia, in Serbia, in Algeria, in Cekia, in Grecia... Sarà nominata Ambasciatrice dell'Unicef il 9 marzo 2021.

Ma di cosa parla Le impazienti? Il romanzo si basa sulla constatazione che il matrimonio, per le donne islamiche, rappresentata un affare economico e un simbolo di status, stabilito dalla famiglia d'origine, così come da quella del marito, che sale di valore nel caso del matrimonio poligamico.

La parola chiave del racconto è appunto “pazienza”, peculiare solo per le donne, come attitudine indispensabile per sopravvivere ai precetti imposti alle mogli.

Eccone i più salienti: “Rispettate il dovere delle cinque preghiere quotidiane. Leggete il Corano affinché i vostri discendenti siano benedetti. Siate sottomesse a vostro marito. Mantenete le vostre menti al riparo dalle distrazioni. Siate le sue schiave, lui sarà il vostro prigioniero. Siate la sua terra, lui sarà il vostro cielo. Siate il suo campo, lui sarà la vostra pioggia. Siate il suo giaciglio, lui sarà la vostra capanna. Non supplicate, non reclamate nulla. Siate modeste. Siate riconoscenti. Siate pazienti”.

Il libro appare come una raggelante ripetizione di alcuni precedenti testi, quali Il racconto dell'ancella di Margaret Atwood, Ogni volta che ti picchio dell'indiana Meena Kandasamy, anch'esso testimonianza autobiografica dall'interno del fondamentalismo induista.

Ne Le impazienti, in particolare, c'è la penosa descrizione dell'inevitabile rivalità tra le donne della famiglia. Le dispute tra co-spose non si esauriscono mai, e anche una tregua è impossibile, poiché ogni moglie aspetta con impazienza il minimo passo falso per mettere in difficoltà le sue rivali. Amal ha dovuto imparare a proteggersi dalle co-spose, le nemiche più esplicite, ma anche dalle cognate subdole, dalle mogli invidiose dei cognati, dai figli del marito, da sua madre, dalla sua famiglia.

L'autrice, che si fa ritrarre con copricapi molto colorati lontani dal triste e punitivo velo dell'islam conservatore, ha voluto specificare che la sua “è una storia di finzione, ispirata a fatti reali”. Un mosaico di ritratti di donne che provano a ribellarsi e non sempre sfuggono alla follia e all'annientamento della loro personalità, inflitto dal sistema poligamico islamico.

Oggi Amal risiede nel suo Paese, a Douala, col marito Hamadou Baba, ingegnere e scrittore.

 

[8] Un amore impossibile in Sudan

 

Eshan A. Abdallah e Deng A. Awen hanno poco più di vent'anni. Lei è musulmana del Sudan. Lui cristiano del Sud Sudan. Nel 2018 si sono conosciuti e innamorati.

Un anno fa sono fuggiti dal Sudan perché la famiglia di Eshan era contraria alla loro unione. Però si sono sposati col rito musulmano, sperando di non incorrere nelle ritorsioni dei genitori di lei.

Ora aspettano il loro primo bambino, ma temono di essere uccisi da un gruppo islamico. Perché? Lo stesso ministro della giustizia del Sud Sudan ha detto di non poter far nulla per aiutarli.

Rivolgendosi a un Consiglio musulmano locale, la famiglia di Eshan ha sostenuto che lei era stata rapita, per cui il matrimonio andava considerato nullo e la coppia andava arrestata. A nulla è valsa la dichiarazione che lei aveva lasciato su Facebook. Anzi il suo post in cui appariva senza nessun velo aveva scatenato una campagna d'odio nei loro confronti.

La società conservatrice (patriarcale) sudanese, ancora soggetta alla Sharia, è estremamente severa in merito ai matrimoni misti: la donna non può sposare un uomo appartenente ad altre religioni (o un miscredente), senza il consenso del suo “tutore”, che in genere lo concede solo se l'uomo è disposto a sottoscrivere una dichiarazione di fede islamica (come ha fatto il nostro podista Massimo Stano con la sua donna marocchina). Se invece è un uomo a voler sposare una donna non islamica, può farlo liberamente.

Eshan lo sapeva ma sperava che col tempo i suoi avrebbero accettato la sua decisione. Invece quelli han preteso una fatwā, che spesso si tramuta in una condanna a morte.

Non hanno scampo. Dovrebbero espatriare. I rispettivi governi non vogliono ufficialmente intervenire, perché il Sud Sudan (animista e cristiano, ricco di petrolio) si è separato dal Sudan islamico nel 2011 con un referendum sull'indipendenza, dopo una guerra civile durata 20 anni, dal 1983 al 2005, costata 2 milioni di morti e 4 milioni di sfollati (preceduta da un'altra guerra civile negli anni 1955-72t). Sicché temono nuovi scontri sanguinosi.

Possibile che nessun Paese al mondo sia disposto a dare asilo alla coppia?

Ricordiamo che nell'aprile 2019 il premier sudanese Omar al-Bashir è stato destituito, dopo ch'era salito al potere con un golpe nel 1989. Oggi sta per essere processato dalla Corte Penale Internazionale per i crimini compiuti nel Darfur. Qui infatti sono state uccise oltre 300.000 persone, altre 2,5 milioni hanno lasciato le loro case, per non parlare delle violenze subite da donne e bambini.

In Sud-Sudan la situazione è anche peggio: il paese più giovane del mondo, diviso in 60 gruppi etnici che seguono diverse religioni locali, sta affrontando la peggiore crisi alimentare di sempre, con 7,2 milioni di persone, tra cui milioni di bambini, che soffrono la fame o sono sull'orlo della carestia. Vi sono stati 5 anni di violenti scontri tra il governo e le forze ribelli, che hanno comportato quasi 400.000 morti. Solo alla fine del 2018 si è raggiunta un'intesa.

 

[9] Nauru, destino ingrato per una piccola isola del Pacifico

 

La Repubblica presidenziale di Nauru, un'isoletta del Pacifico (Micronesia), è l'unico Stato al mondo a non avere una capitale. In compenso nella bandiera reca la scritta, molto impegnativa (ma anche molto ironica), “God's Will First”, cioè “Prima il volere di Dio”. Ha una popolazione di circa 10-11.000 ab. su un territorio di 21 kmq.

Prima dell'arrivo degli inglesi, del 1798, vi erano 12 tribù guidate da un sovrano. Poi in base a una convenzione anglotedesca passò sotto la Nuova Guinea tedesca nel 1888 e vi restò sino al 1919. I tedeschi ne sfruttarono i fosfati, scoperti nel 1900.

Siccome però persero la I guerra mondiale, nel 1920 la Società delle Nazioni (antesignana dell'ONU), invece di dichiarare l'isola indipendente, l'assegnò in mandato fiduciario a Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda, col diritto di sfruttarne le miniere.

Tuttavia nel 1940 la Germania nazista bombardò l'isola danneggiando le miniere, e permise nel 1942 ai giapponesi di occuparla. Loro deportarono 1.200 abitanti nell'isola di Chuuk (Micronesia) perché svolgessero un lavoro da schiavi; i circa 800 superstiti furono rimpatriati alla fine della guerra.

Dopo la II guerra mondiale l'ONU assegnò l'isola all'Australia, da cui gli isolani si liberarono solo nel 1968.

Tuttavia i diritti sulle miniere di fosfato vennero acquistati dalla Gran Bretagna nel 1970. Nel 1993 Australia, Nuova Zelanda e Regno Unito pagarono un risarcimento per i danni causati dallo sfruttamento eccessivo dei fosfati sull'80% del suo territorio.

Nel 2001 l'isola, in cambio di un campo d'accoglienza australiano per immigrati clandestini, ha ottenuto 10 milioni di dollari.

Dal 2004 gli isolani, privi di mezzi di sostentamento, vivono in una grave crisi economica. Peraltro quasi metà della popolazione è affetta da diabete di tipo 2; il 70% è obeso. E sull'isola non esistono più risorse di valore.

Eppure i suoi fondali marini (il Paese ha il controllo esclusivo su 75mila kmq in una zona tra le Hawaii e il Messico) sono ricchi di minerali pregiati e indispensabili per le tecnologie più avanzate: cobalto, nickel, rame, manganese e terre rare.

Ora, con quale impresa il presidente di Nauru, Lionel Aingimea, ha stipulato una convenzione per lo sfruttamento di queste risorse? Con la DeepGreen, in procinto di chiamarsi The Metals Company e di entrare nell'indice di borsa Nasdaq. La sua sede è a Vancouver, in Canada.

L'amministratore delegato, Gerard Barron, ha già detto che l'impresa farà del bene all'umanità: infatti, ora che “Il mondo sta vivendo una grande spinta verso l'allontanamento dai combustibili fossili, di cosa abbiamo bisogno per questo processo? Di costruire molte batterie”.

Senonché le grandi aziende potenzialmente interessate ai metalli dei fondali marini, come quelle del gruppo della Bmw, della Volvo e della Samsung Sdi (queste ultime entrambe produttrici di batterie), hanno dichiarato che non accetteranno minerali estratti dal fondale marino fino a quando non sarà dimostrata la loro sostenibilità dal punto di vista ambientale.

Ora, quando mai estrarre minerali da un fondale marino non ha conseguenze sul mare e sulla terra emersa circostante? Persino Paesi come Papua Nuova Guinea, Vanuatu e le Fiji hanno il terrore di dover pagare anche loro gli effetti di questo prossimo sfruttamento economico, che verrà fatto con giganteschi macchinari sottomarini a profondità che raggiungono i 6.000 metri. E poi davvero pensiamo che il passaggio dai combustibili fossili all'energia sostenibile comporti la trivellazione dei fondali marini?

 

[10] Provocazioni israeliane contro l'Iran. Le lacrime di Messi

 

Pur non avendo alcuna prova, il governo sionista di Israele sta pianificando un attacco militare contro l'Iran col pretesto d'aver subìto un attacco a una propria petroliera nel mare di Oman (la Mercer Street). Di qui la richiesta di un appoggio militare a USA e Regno Unito.

Ne ha bisogno perché l'Iran dispone di un notevole esercito e di una forte difesa missilistica. È in grado di colpire Israele in ogni parte del suo territorio e di scatenare una reazione di tutte le forze alleate: Hezbollah in Libano, le forze sciite in Iraq, la Siria e gli Houthi dello Yemen.

Inoltre ha rapporti strategici con Russia e Cina. In particolare Mosca ha già iniziato ad aiutare il presidente siriano Bashar al-Assad a chiudere lo spazio aereo siriano agli aerei israeliani.

Alle accuse d'Israele si è associato, in maniera scriteriata, il rappresentante della UE, Borriol, senza pensare che rischia di profilarsi uno scenario di guerra totale nella regione mediorientale.

L'Iran ha già inviato un memorandum all'ONU denunciando che Israele ha compiuto varie azioni di attacco (almeno 10 negli ultimi mesi) alle petroliere iraniane, in particolare a quelle dirette in Siria, il cui territorio viene costantemente bombardato da Israele col pretesto del terrorismo islamico. A ciò si devono aggiungere gli omicidi mirati di scienziati iraniani. Israele teme enormemente un Iran armato con armi nucleari. Vuole essere l'unico Paese ad averle nella regione.

 

Le lacrime di Messi mi son sembrate esagerate. Certo, ha reso grande il Barcellona per 16 anni, ma ora a Parigi prenderà in due anni 70 milioni di euro netti. Ed è alla fine della sua carriera, quando rende 10 volte meno del periodo giovanile. L'avrei capito di più se avesse accettato col Barcellona un contratto molto meno favoloso (aveva chiesto un rinnovo biennale che rischiava di costare come una squadra di Serie A di medie dimensioni) o se si fosse ritirato definitivamente. Pare che all'incontro con la dirigenza del Barcellona ci fossero anche Jorge Messi, il papà, nonché il fratello del giocatore, e ognuno dei due aveva chiesto per sé un bonus di 50 milioni di euro.

Forse non tutti sanno che per il periodo che va dal 2017 al 2021, Messi avrebbe ricevuto l'incredibile cifra di 555.237.619 euro in totale, che equivarrebbero a circa 139 milioni lordi a stagione. Impossibile non pensare che l'attuale debito a breve termine del Barça (730 milioni di euro), sia dipeso anche da questi contratti assurdi.

 

[11] Quale alternativa all'ora di religione cattolica?

 

Su “MicroMega” del 9 agosto: l'Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti ha lanciato un paio di mesi fa un bando aperto alle scuole secondarie di primo grado statali per l'assegnazione di 175 kit LEGO® Spike per l'apprendimento della robotica.

A candidarsi sono stati 85 istituti, quasi sull'intero territorio nazionale. Per accontentare tutte le richieste l'associazione ha investito circa 70 mila euro.

Ma perché una cosa del genere? Perché l'ora alternativa alla religione incontra notevoli difficoltà tecniche e amministrative per funzionare. Ora si spera che con questa iniziativa ultramoderna le istituzioni scolastiche s'impegnino di più a valorizzarla.

In fondo si tratta di uno strumento molto utile per apprendere materie fondamentali come scienza, tecnologia, ingegneria e matematica.

Il kit LEGO® Spike, combinando elementi di costruzione colorati, un hardware semplice da usare e un intuitivo linguaggio di programmazione, si presta perfettamente all'apprendimento di una didattica tecno-scientifica nella fascia d'età 11-14 anni.

Non l'avessero mai fatto. Lo Snadir, sindacato degli insegnanti di religione cattolica, ha bollato l'iniziativa come discriminatoria, poiché un approfondimento di materie scientifiche dev'essere destinato a tutti gli studenti e non solo a chi sceglie l'insegnamento alternativo alla religione cattolica.

Poi ha pontificato dicendo che se non si trova una vera alternativa alla fede, la colpa è della laicità non dell'ora di religione.

Mi chiedo: non sarebbe meglio togliere di mezzo l'insegnamento confessionale della religione cattolica dai curricoli disciplinari della scuola statale, che dovrebbe essere laica? Si può capire un insegnamento sulle religioni in generale e sull'etica laica, ma in un Paese pluriconfessionale come il nostro, dove addirittura i matrimoni civili han superato quelli religiosi, un approccio catechistico alla religione non è forse ridicolo?

 

[12] Alcune specie animali si stanno rimpicciolendo

 

Su ilpost.it del 10 agosto un curioso art. relativo a quegli scienziati che hanno osservato che negli ultimi decenni diverse specie di uccelli e roditori, ma anche di anfibi, pesci e mammiferi, si sono rimpicciolite a causa dell'aumento delle temperature provocato dalle attività umane. Conseguenza di ciò: più di 1.000 specie animali di grande taglia sono destinate a estinguersi.

Il problema è che per colpa nostra il pianeta si sta riscaldando a un ritmo di circa 10 volte più veloce rispetto alla media del riscaldamento durante le ere glaciali storiche, sicché la maggior parte degli animali ha poco tempo per adattarsi, meno che mai senza correre rischi.

Uno studio del 2018 ha evidenziato che negli ultimi 125mila anni la taglia di diversi mammiferi è diminuita del 14%, mentre una ricerca condotta nel 2019 su 15.500 specie di mammiferi e uccelli, pubblicata sulla rivista scientifica “Nature Communications”, ha mostrato che nei prossimi 100 anni queste specie saranno più piccole del 25%, sempre a causa dell'uomo.

Il rimpicciolimento degli animali è coerente col principio di Bergmann, secondo cui gli individui di una popolazione di animali a sangue caldo, come uccelli o mammiferi, sono più grandi nei climi più freddi e più piccoli in quelli più caldi. Questo perché gli individui più grandi hanno più facilità a conservare il calore quando fa freddo e gli animali più piccoli hanno più tempo a rinfrescarsi quando fa caldo.

Tuttavia un'analisi del 2017 su oltre 950 specie di uccelli e mammiferi ha scoperto che la maggior parte delle specie aveva dimensioni simili indipendentemente dalla temperatura del loro ambiente.

Naturalmente i cambiamenti climatici hanno conseguenze anche sugli animali a sangue freddo: non c'è nessun animale più favorito di altri.

Non solo, ma se certi animali si rimpiccioliscono più velocemente rispetto al loro predatore, questo potrebbe avere bisogno di più prede per sfamarsi, e quindi sarebbe compromessa la sopravvivenza di ancora più specie. Inoltre per alcune specie (p.es. quelle specializzate per lunghe migrazioni) una taglia più piccola potrebbe tradursi in una prole meno numerosa. Forse per questo le ali di alcuni uccelli migratori si stanno allungando: devono compensare le loro dimensioni corporee più piccole.

Certo, se tutto diventasse più piccolo allo stesso ritmo, forse avremmo meno problemi. Ma quando mai le cose procedono in maniera lineare? A partire dalla rivoluzione industriale abbiamo sconvolto a tal punto i processi naturali da non poter più tornare indietro.

 

[13] Pericolose concessioni belliche dell'Ucraina alla NATO. Surriscaldamento climatico e migrazioni di massa

 

In Ucraina le forze USA hanno iniziato ad installare missili termonucleari puntati contro la Russia, in grado di raggiungere in pochi minuti Mosca e San Pietroburgo.

Questa nuova mossa degli USA, ben presenti con le loro truppe in Ucraina, si somma alle manovre nel Mar Nero della flotta della NATO e alle continue provocazioni alle frontiere della Federazione Russa, la quale non ha più speranze di allacciare rapporti amichevoli neppure con l'Europa, troppo succube alla politica estera americana. Non le resta che la Cina per difendersi dalle crescenti ambizioni egemoniche degli USA.

Putin potrebbe riconoscere l'indipendenza delle due repubbliche del Donbass, inviando proprie truppe in aiuto dei secessionisti. Questo renderebbe definitiva la spartizione dell'Ucraina e annullerebbe qualsiasi possibilità di accordi futuri sulla base di quelli raggiunti a Minsk, che l'Ucraina ha sempre rigettato.

Un'altra opzione per Mosca potrebbe essere quella di far installare a sua volta missili nucleari in Venezuela, a poca distanza dalle coste della Florida, minacciando gli obiettivi sul territorio nord americano.

Il comportamento scriteriato della dirigenza ucraina è dipeso dall'illusione che i problemi del Paese (perdita di territori, crisi economica, perdita del gas russo) sarebbero stati rapidamente risolti dagli USA e dalla UE con lo strumento delle sanzioni economiche anti-russe. Ma così non è avvenuto.

I Paesi ex comunisti non riescono a capire che gli USA non fanno regali a nessuno, pensano solo ai loro interessi, il principale dei quali è quello di impadronirsi delle infinite risorse energetiche della Russia. In Irak, Libia, Afghanistan... han fatto la stessa cosa: destabilizzano i Paesi per poterne controllare le risorse economiche. Là dove decidono di andarsene, lasciando i Paesi in mano ai terroristi islamici, loro comunque ci hanno guadagnato.

In particolare l'Ucraina rischia addirittura di scomparire come Stato autonomo.

 

Negli ultimi 6000 anni il genere umano ha vissuto in zone della Terra caratterizzate da un intervallo di temperature medie molto ristretto, tra gli 11 e i 15 gradi, idoneo alla sopravvivenza.

Ma nei prossimi 50 anni 1/3 della popolazione si troverà a vivere in ambienti con una temperatura media attorno ai 29 gradi, quella che oggi si registra nello 0,8% della superficie terrestre. Quindi entro il 2070 le zone estremamente calde come il Sahara (che ora ricoprono meno dell'1% della superficie terrestre) potrebbero estendersi a quasi 1/5 del territorio del pianeta.

Lo scioglimento dei ghiacci, inoltre, alzerà il livello delle acque tra gli 8 e i 13 cm entro il 2030, tra i 17 e i 20 cm entro il 2050 e tra i 35 e gli 82 cm entro il 2100, a seconda dei modelli matematici. L'innalzamento del livello dei mari comporta una sempre maggiore salinizzazione del suolo, con gravi conseguenze sull'agricoltura.

Le guerre saranno inevitabili, se non sapremo affrontare insieme questi problemi. Anche perché aumenteranno a dismisura i migranti climatici. Ci sono studi che prevedono circa 200 milioni di persone entro il 2050, cioè più dei 192 milioni che oggi vivono lontano dal proprio luogo di nascita. E il diritto internazionale non riconosce neppure il diritto all'asilo per motivi ambientali.

La Banca Mondiale, nel 2018, studiando gli effetti del cambiamento climatico in atto in tre regioni (Africa subsahariana, Asia meridionale e America Latina) ha stimato migrazioni all'interno dei propri confini, dalle aree rurali alle città vicine, di 143 milioni di persone entro il 2050: 86 milioni di persone in Africa, 40 milioni in Asia del Sud, 17 milioni in America Latina.

Un'altra ricerca pubblicata nel novembre del 2017 dalla ONG Oxfam aveva parlato di 22 milioni di persone all'anno che, tra il 2008 e il 2016, sono state costrette in tutto il mondo ad abbandonare la propria casa a causa dei mutamenti climatici. Nel sud-est asiatico, dove le piogge e la siccità dei monsoni hanno drasticamente abbassato le rese dell'agricoltura, la Banca Mondiale ha parlato di oltre 8 milioni di persone che si sono spostate verso il Medio Oriente, l'Europa e il Nord America.

In tutto il mondo, quando il cibo scarseggia, le persone si spostano verso le città. In questo momento poco più della metà della popolazione del pianeta vive nelle aree urbane, ma entro la metà del secolo, secondo la Banca Mondiale, nelle città vivrà il 67% della popolazione. Il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha detto che il 96% della futura crescita urbana avverrà in alcune delle città più fragili del mondo, che hanno già alti livelli di conflitto.

Tuttavia la storia ci insegna che quando le città presentano conflitti irriducibili ed esasperati o quando si combattono tra loro (e oggi lo farebbero con armi di distruzione di massa), si verifica il fenomeno opposto: la gente (quella poca sopravvissuta) si rifugia in campagna. E qui si torna all'autoconsumo.

 

[14] Sesso e amore nelle carceri italiane

 

L'Italia non ammette che le persone detenute possano avere incontri intimi consensuali con chi desiderano.

Solo lo scorso settembre alla Commissione Giustizia del Senato è stato assegnato un disegno di legge (n. 1876) che prevede il diritto a una visita prolungata al mese, in apposite unità abitative, senza controlli audio o video.

Si è cominciato a parlare di riconoscimento dell'affettività sul piano sessuale dentro le carceri italiane alla fine degli anni '90, prevedendo apposite unità abitative realizzate all'interno degli istituti. La motivazione appariva legittima: “la pena non può aver nulla di afflittivo oltre la perdita della libertà”.

Tuttavia il Consiglio di Stato bloccò qualunque proposta operativa, dicendo che avrebbe dovuto essere il parlamento a decidere.

Da allora vari enti o organi di rilevanza nazionale e internazionale si sono espressi a favore di questa possibilità. Ma a tutt'oggi il nostro parlamento non ha mai preso alcuna decisione.

La legge che ha sostituito definitivamente il regolamento carcerario fascista del 1931, basato esclusivamente su punizioni, privazioni e sofferenze, è stata la n. 354/1975, riformata in alcuni passaggi nel 2018. Essa prevede finalità rieducative e risocializzanti e quindi il diritto delle persone detenute alla relazione affettiva, da esercitarsi attraverso la corrispondenza epistolare, le telefonate, la preferenza per la detenzione in un istituto di pena territorialmente vicino alla residenza, i colloqui e i permessi.

Il principale strumento per mantenere in presenza i rapporti affettivi è quello dei colloqui, che hanno però un tempo ridotto (di regola un'ora) e che spesso si svolgono in sale affollate e rumorose dove non è garantita la riservatezza e dove è impedito qualsiasi contatto fisico o gesto affettuoso. La legge infatti continua a prevedere che durante i colloqui sia obbligatorio il controllo a vista da parte degli agenti di custodia o delle telecamere, per ragioni di sicurezza.

L'altro strumento legislativo concesso è il permesso premio, cioè un breve periodo da trascorrere a casa. Ma riguarda una quota minoritaria di persone detenute.

Di fatto la forzata privazione sessuale, che può essere a vita nel caso dell'ergastolo, diventa una pena accessoria delle carceri italiane, che colpisce indirettamente anche i partner che stanno fuori dal carcere. Come se le istituzioni non sapessero che il contesto unisessuato del carcere può portare a forme di omosessualità “indotta” o di autoerotismo infantile, connessi a un processo di spersonalizzazione e di rassegnazione.

Ora però sembra che il parlamento voglia conformarsi a quanto da tempo viene garantito in quasi tutti i Paesi europei. Stare in Europa ci sprovincializza.

 

[15] Governo polacco sempre più antisemita

 

Dopo la caduta della Cortina di ferro nel 1989, diversamente da altri Paesi del blocco ex comunista, il governo di Varsavia non ha provveduto alla restituzione automatica dei beni confiscati dai nazisti agli ebrei sopravvissuti alla shoah, costringendo i singoli cittadini a rivolgersi alla giustizia, senza alcuna garanzia.

Anzi di recente il Parlamento di Varsavia ha approvato un provvedimento che impedisce a tutti gli ex proprietari, non solo agli ebrei, e ai loro discendenti, di tornare in possesso di tali legittimi beni: 309 deputati su un totale di 460 hanno sostenuto la nuova normativa, mentre 120 membri dell'opposizione si sono astenuti. Nessun deputato ha votato contro.

È bastato dire che non si possono impugnare le decisioni amministrative dopo un periodo di 30 anni. Quindi i beni restano confiscati per tre volte: sotto i nazisti, sotto i comunisti e ora sotto la destra reazionaria. Qui conta poco essere cattolici o protestanti, atei o credenti: di fronte al vil denaro si è tutti uguali. Anzi i cattolici polacchi han voluto distinguersi nel loro consueto antisemitismo.

Di più. La linea portata avanti dal partito Diritto e Giustizia, al potere dal 2015, è incentrata su una narrazione revisionista, secondo cui i veri martiri del nazismo sono stati anzitutto i polacchi. Son stati loro ad aiutare gli ebrei contro Hitler, non il contrario.

Un vero insulto alla storia, in quanto furono in realtà molti polacchi a collaborare coi nazisti contro gli ebrei. Basta vedere cosa fecero a Jedwabne: 340 ebrei polacchi del villaggio furono rinchiusi da altri polacchi in un granaio, cui fu appiccato il fuoco. Gli ebrei morirono tutti bruciati. O quello che accadde a Kielce, nel 1946, dove 42 ebrei, dei 200 tornati dai lager nazisti, persero la vita (80 i feriti) nel pogrom scatenato dai loro vicini di casa.

A quanto pare si fa presto a dimenticare la storia, che, a quanto pare, non è maestra di niente e di nessuno: 6 milioni di polacchi, metà dei quali ebrei, furono uccisi durante la seconda guerra mondiale in Polonia, patria degli ebrei dal XII sec., quando venivano perseguitati dal sacro romano impero. Qui arrivarono ad essere il 10% dell'intera popolazione.

 

[16] Di nuovo i talebani a gestire l'Afghanistan. L'esercito israeliano e la democrazia

 

Dove hanno studiato gli studenti talebani dell'Afghanistan, che governeranno il Paese?

Originari prevalentemente di tribù di etnia pashtun, i talebani, finanziati per molto tempo dagli americani in funzione anti-sovietica, hanno studiato nelle madrasse, le scuole coraniche pakistane. In queste scuole si dà un'interpretazione molto radicale della sharia, la legge islamica.

I talebani infatti prevedono punizioni ed esecuzioni pubbliche per chi viola la legge. Obbligano gli uomini a portare la barba e le donne a indossare il burqa. Le donne non possono guidare bici, moto e auto, né utilizzare cosmetici e gioielli, tanto meno entrare in contatto con qualsiasi uomo che non sia il marito o un parente.

Quando presero il controllo di Kabul, nel 1996, fondarono l'Emirato Islamico dell'Afghanistan, che fu riconosciuto solo da Emirati Arabi Uniti, Pakistan e Arabia Saudita, i quali fornirono loro aiuti logistici, economici e umanitari.

I talebani vietarono la televisione, la musica e il cinema, ma anche, formalmente, la coltivazione del papavero da oppio, di cui l'Afghanistan era ricchissimo. In realtà la produzione di oppio continuò in maniera illegale, seppur in numeri ridotti: questo perché gli stessi talebani, grazie alle estorsioni imposte ai coltivatori, si arricchirono notevolmente.

Distrussero tutte le statue raffiguranti il Buddha. Ospitarono le basi dell'organizzazione terroristica al Qaida, fondata all'inizio degli anni Novanta dal saudita Osama bin Laden, il quale organizzò gli attentati dell'11 settembre del 2001 contro gli Stati Uniti.

Dopo che USA e Regno Unito dichiararono guerra all'Afghanistan, per distruggere al Qaida e rovesciare il regime dei talebani, questi si trasferirono in Pakistan, dove, con l'appoggio dei servizi segreti pakistani, si riorganizzarono.

Ora, dopo 20 anni di resistenza anti-americana, hanno ripreso il potere e vogliono ricostituire l'emirato islamico. Potrebbero farlo senza l'appoggio del mondo islamico? Quanto tempo resteranno al governo ora che hanno ottenuto anche l'appoggio di Pechino? Intanto prepariamoci ad accogliere milioni di profughi.

 

Il capo dell'esercito israeliano Aviv Kochavi è, dal 2019, una delle personalità con maggior potere decisionale in Israele. Ha creato la divisione dell'esercito israeliano dedicata all'innovazione tecnologica, perfino una rete formata da più unità che comunicano tra loro.

Guida un esercito a cui non interessa nessuno Stato (Libano, Siria, Iran...). L'esercito israeliano può fare di loro ciò che desidera. Non esiste diritto internazionale né comunità internazionale, non esiste un popolo palestinese, e quest'ultimo non ha alcun diritto, nessuna emergenza sociale, nessun ospedale in rovina, nessuna pandemia in pieno corso. Esistono solo l'esercito sionista, il bilancio per la sicurezza e pensioni scandalose.

Vari governi d'Israele hanno alimentato la menzogna che si possono ridurre tutti i bilanci tranne uno, quello sulla sicurezza.

Il suo predecessore, Gadi Eisenkot, prendeva ogni tanto le distanze dalle azioni criminose dei suoi soldati contro i palestinesi: “Non è necessario svuotare un caricatore su una ragazza che ha delle forbici in mano”, diceva. Il suo successore non dice neanche questo.

Cfr “Internazionale” del 12 agosto.

 

[17] Corpo e mente sono interconnessi

 

Un lungo art. scientifico su “Internazionale” del 7 giugno spiega bene cosa fare per garantirsi la salute mentale.

Bisogna partire da un presupposto: muoversi fa bene. La diminuzione del quoziente intellettivo e l'aumento dei disturbi mentali sono collegati alla mancanza di movimento fisico. Muoversi e pensare sono attività interconnesse.

Ma quali sono i movimenti che dobbiamo fare?

Bisogna anzitutto camminare, non necessariamente correre. L'importante è conservare un certo ritmo, mantenere un passo costante. Quindi bisogna darsi un obiettivo spazio-temporale. L'ideale sarebbe aumentare il ritmo della camminata fino a quello della marcia, sincronizzando i battiti del cuore e il ritmo dei passi: 120 battiti e 120 passi al minuto.

L'esercizio fisico in generale aumenta la materia grigia nell'ippocampo, che è fondamentale per la memoria e la consapevolezza spaziale. Anzi la forza fisica è legata a una maggiore autostima e a un maggiore senso di sicurezza in vari aspetti della vita.

Per rafforzarsi non è necessario andare in palestra o comprarsi dei pesi: basta usare il peso del proprio corpo. Trascorrere più tempo seduti sul pavimento, per es., è un buon modo per irrobustire i muscoli delle gambe.

Ballare è un'altra attività che fa benissimo, soprattutto alla memoria, non solo alla socializzazione. Dà ottimismo. Persino bambini di pochi mesi sorridono di più. Muoversi in sincrono con altre persone aumenta la possibilità che ci interessiamo a loro e che condividiamo le nostre esperienze.

Il rafforzamento fisico è una potente arma per contrastare depressione e ansia, anche quando non rientra in un programma più ampio d'allenamento.

Un ritmo regolare crea soddisfazione anche perché facilita la previsione di cosa succederà. Abbiamo bisogno di tenere la situazione sotto controllo.

Anche controllare i muscoli del torace e del diaframma, attraverso la respirazione, può cambiare in maniera decisiva il modo di pensare e sentire. Abituarsi a sentire gli odori è più importante di quel che possiamo pensare.

Dovremmo respirare al ritmo di sei respiri al minuto: inspirando per cinque secondi e poi espirando per altri cinque. Questo è il modo più efficiente per riempire d'aria i polmoni e lasciare che l'ossigeno si diffonda nel sangue. Questo ritmo può aumentare la saturazione d'ossigeno dell'1 o 2% circa, abbastanza per migliorare un po' le funzioni cerebrali e per riportare il corpo a uno stato di calma dopo lo stress.

Si è anche capito il motivo per cui una postura eretta e distesa produce un atteggiamento mentale più positivo: tenere il corpo dritto durante un evento stressante aiuta le persone a essere meno colpite e a recuperare più velocemente. Sono noti gli effetti antistress degli esercizi che si concentrano sul tronco, come quelli di pilates, yoga e tai chi.

Lo stretching, che aiuta a stirare i muscoli, migliora la risposta del sistema immunitario allo stress o a una ferita o a un'infezione. Alle infiammazioni incontrollate sono associati depressione, dolore cronico e fatica. Queste infiammazioni sono aggravate anche dallo stile di vita sedentario e dall'obesità, e accelerano man mano che invecchiamo. Insomma dobbiamo concederci pause regolari per fare stretching. Mens sana in corpore sano, dicevano gli antichi.

 

[18] I talebani e la loro interpretazione della sharia

 

A Kabul le studentesse nascondono i documenti che provano la loro iscrizione nelle università. Bruciano i vestiti e svuotano le trousse con i loro trucchi. Chiudono i profili Instagram, si procurano dei chadari, i burqa afghani.

Tutti in Afghanistan stanno distruggendo ciò che può compromettere la sicurezza personale: libri, vestiti, carte e fogli che provino un rapporto di qualsiasi tipo con gli occidentali. La ong Pangea, dal 2002 impegnata nella lotta alla violenza di genere in Afghanistan, sta bruciando il proprio archivio per far sì che nessuno risalga all'identità delle donne aiutate nei loro progetti o a quella delle volontarie.

Sulle ONG però il giudizio è piuttosto negativo. Create come funghi dopo l'11 settembre, hanno fatto prevalentemente gli interessi degli USA. Tant'è che corruzione e tangenti passavano proprio attraverso di loro.

L'Afghanistan è ancora oggi considerato il peggior posto al mondo in cui nascere se sei donna. Secondo Human Rights Watch l'87% delle donne afghane ha subìto violenza fisica o sessuale almeno una volta nella vita. La legge sull'eliminazione della violenza contro le donne approvata nel 2009 non è mai stata davvero implementata. Una donna che subisce una violenza sessuale in Afghanistan ha più probabilità d'essere incriminata per aver fatto sesso fuori dal matrimonio che di vedere in carcere il suo stupratore.

A molte resterà solo la clandestinità, come quella portata avanti da Rawa, l'Associazione rivoluzionaria delle donne dell'Afghanistan, nata nel 1977 a Quetta, nel vicino Pakistan, grazie a Meena Keshwar Kamal. In queste ore si sta organizzando per preparare la resistenza. Molte altre resteranno e dovranno imparare da zero come si sopravvive in un regime fondamentalista, misogino e criminale, schiacciate dalla violenza patriarcale di chi considera le donne nient'altro che come beni di cui disporre.

Dalla caduta dei talebani, nel 2001, sono stati fatti pochissimi progressi per garantire l'uguaglianza di genere. Negli ultimi 20 anni le donne hanno dovuto sopportare mancanza di sicurezza, guerra diffusa, attacchi suicidi, omicidi mirati di giornaliste, vaccinatrici, giudici, polizia, medici..., una corruzione dilagante, il contrabbando di droga e la tossicodipendenza, la povertà diffusa, gli sfollamenti, gli attacchi a scuole e ospedali... Sul piano sessuale un vero disastro: casi di stupro, rapimento, matrimoni forzati, matrimoni tra minorenni e violenza domestica sono stati all'ordine del giorno.

Gli unici successi sono stati quelli relativi al fatto che le ragazze non sono più state espulse dalle scuole e che le donne hanno potuto svolgere alcuni lavori.

Bisogna dire che i media sono riusciti ad arrivare anche in villaggi molto remoti e la gente ha avuto accesso alle trasmissioni radio e TV. Sono stati introdotti sistemi di comunicazione come cellulari e internet.

Forse per questo gli odierni talebani, almeno in questa fase iniziale, mostrano d'essere molti tranquilli. Ma, una volta stabilizzato il potere, le epurazioni e le vendette saranno durissime. Questo perché mantenere le promesse di democrazia è impossibile in nome della sharia.

 

[19] La tragedia dell'Afghanistan. Saviano durissimo coi talebani

 

Jalalabad è stata teatro della prima grande insurrezione degli afghani contro la riconquista del potere da parte dei talebani. Hanno manifestato contro il vilipendio della bandiera nazionale, che in molti luoghi è stata sostituita da quella del movimento islamico. E i talebani hanno reagito con violenza, anche sparando sulla folla. Si sono tolti subito la maschera del moderatismo ostentata in questi primi giorni. D'altronde han detto di non voler praticare la democrazia ma solo la medievale sharia.

Molti afghani cercano di scappare con gli aerei, ma l'aeroporto di Kabul è presidiato dai talebani, che non vogliono far partire nessuno.

È invece riuscito a fuggire tranquillamente l'ex presidente Ashraf Ghani, protetto dagli americani: un uomo molto corrotto e incapace. Si è rifugiato con la famiglia ad Abu Dhabi, portando con sé 169 milioni di dollari pubblici.

 

Dopo il ritorno del mullah Abdul Ghani Baradar (presidente de facto dell'attuale emirato islamico), è stato annunciato il rientro in Afghanistan dal Pakistan di un altro leader talebano, Khalifa Sirajuddin Haqqani, considerato dall'FBI come un ricercato “most wanted”. C'era una taglia su di lui di 5 milioni di dollari per aver compiuto vari attentati terroristici.

 

Nel terzo giorno di occupazione i negozi hanno riaperto, ma sono poche le donne in giro. Han promesso il rispetto dei diritti delle donne ma nell'ambito della sharia e non hanno fornito dettagli. Già adesso non vogliono che guidino le auto né che lavorino nelle banche. Sharia vuol anche dire, tra le altre cose, punire l'adulterio con la lapidazione e il furto con l'amputazione e il tradimento della patria con la decapitazione in pubblico (e per essere un traditore basta essere un traduttore per il nemico).

 

Han detto che non useranno vendetta per chi ha collaborato con gli occidentali, ma hanno anche chiesto di esercitare il perdono nei confronti dei talebani che hanno ucciso degli afghani in questi anni di guerra. Però in 20 anni han commesso innumerevoli ed efferati crimini, non solo uccidendo gente inerme. È dalle province che arrivano i racconti dei rapimenti delle ragazze e della giustizia sommaria.

 

Alle ambasciate di Russia, Cina e Turchia è stata garantita piena sicurezza, ma non prenderanno profughi nei loro Paesi. Questi tre Paesi, nonché il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, han detto che non si può non parlare coi talebani, dato che han vinto la guerra, han promesso di combattere i terroristi dell'Isis (l'autoproclamato califfato islamico) e di sradicare il traffico di droga.

In realtà non han vinto un bel nulla, si sono sempre autofinanziati con la droga e l'Isis l'han sempre protetta. Semplicemente gli USA si sono ritirati e gli altri occidentali li han seguiti a ruota, mentre l'esercito afghano ha tradito il proprio Paese evitando di combattere. In particolare i russi temono che i talebani occupino il Tagikistan. E i cinesi non vogliono assolutamente che i talebani abbiano rapporto con gli Uiguri. I turchi addirittura han realizzato a tempo di record un muro di 110 km nella zona di confine con l'Iran per impedire ai profughi di giungere nel loro Paese.

 

Roberto Saviano è durissimo coi talebani. Lo dice sul “Corriere della sera” del 18 agosto.

I talebani sono sempre stati narcotrafficanti. Oltre il 90% dell'eroina mondiale è prodotta in Afghanistan. Insieme ai narcos sudamericani sono i narcotrafficanti più potenti del mondo. Negli ultimi 10 anni hanno iniziato ad avere un ruolo importantissimo anche per l'hashish e la marijuana.

Nel 2001 finsero solo di proibire la coltivazione del papavero. E gli americani non si sono mai preoccupati in 20 anni di combattere il loro narcotraffico. Anzi hanno investito miliardi di dollari contro una guerriglia che si finanziava vendendo eroina proprio ai loro cittadini. Gli USA hanno speso 80 miliardi in 20 anni di guerra per addestrare un esercito afghano, creare ufficiali, truppe, poliziotti e giudici locali. I talebani, in 20 anni, han guadagnato oltre 120 miliardi dall'oppio. Qual era l'esercito più ricco? Con chi conveniva stare?

Prima dei talebani il racket era organizzato dai mujaheddin, sostenuti dall'occidente nella guerra contro i sovietici.

Tutta la valle di Helmand, a sud dell'Afghanistan, è coltivata a oppio, e chiunque si sia opposto, in questi ultimi 20 anni, è stato evirato. Hibatullah Akhundzada, leader dei talebani dal 2016, oggi è indicato come uno dei trafficanti più importanti al mondo.

L'eroina talebana rifornisce camorra, ‘ndrangheta e Cosa nostra, fornisce i cartelli russi, nonché Cosa nostra americana e tutte le organizzazioni di distribuzione in USA, a eccezione dei messicani, che cercano di rendersi autonomi dall'oppio afghano.

Tramite la rotta Afghanistan – Pakistan - Mombasa (Kenya) i talebani riforniscono anche i cartelli di Johannesburg in Sudafrica. Forniscono eroina ad Hamas, altra organizzazione che si finanzia (anche) con hashish ed eroina. Infatti Hamas li ha subito riconosciuti.

L'eroina talebana ha creato un asse importantissimo con la mafia di Mumbai, la D-Company di Dawood Ibrahim, il sovrano dei narcos indiani protetto da Dubai e dal Pakistan e che è il vero distributore dell'oro afghano.

Il mercato cinese ancora non è conquistato ma l'ambizione talebana guarda a Est, a prendersi anche il Giappone (la Yakuza si rifornisce in Laos, Vietnam e Birmania) e soprattutto le Filippine, che hanno un mercato florido e da sempre sono in rotta con l'eroina birmana che, come l'eroina cinese, è direttamente gestita dai militari.

Il massimo storico stimato per la produzione di oppio è stato raggiunto nel 2017, con 9.900 tonnellate, per un valore di circa 1,4 miliardi di dollari, ma se si tiene conto del valore di tutte le droghe – hashish, marijuana ed eroina – l'economia illecita complessiva dell'Afghanistan, quell'anno, sale a 6,6 miliardi di dollari.

Cosa nostra e i marsigliesi, dagli anni Sessanta agli anni Duemila, importavano l'eroina dal sud-est asiatico: il monopolio dell'oppio era in Indocina, nel triangolo d'oro Birmania-Laos-Thailandia. Ora i talebani hanno preso il loro posto, lasciando un mercato residuale al sud-est asiatico che va dall'1% al 4%.

Da notare che senza oppio non c'è né morfina né codeina. È vero che le case farmaceutiche comprano oppio da produttori autorizzati, ma questi ultimi sempre più spesso comprano da società indiane che si approvvigionano direttamente dall'Afghanistan. I talebani decidono anche delle nostre anestesie e dei nostri psicofarmaci.

Le nuove generazioni di talebani sono identiche alle vecchie con una sostanziale differenza: i vecchi talebani vedevano i mujaheddin antisovietici come eroi; i nuovi talebani invece vedono come riferimento i grandi trafficanti, coloro che hanno cambiato le sorti della guerra (e le proprie) con l'oppio.

I talebani utilizzano la legge islamica per creare un regime autoritario, necessario ai loro traffici; vietano la musica e l'ombretto mentre la droga, fino a 20 anni fa, la vendevano solo fuori dai confini. Ora la vendono anche internamente. La tossicodipendenza in Afghanistan è un'epidemia che cresce di anno in anno.

Ma c'è di più. L'Iran ha bisogno di eroina esattamente come di benzina, e l'eroina consumata a Teheran viene tutta dall'Afghanistan. I trafficanti iraniani vogliono poter controllare l'eroina afghana, poter essere loro e non più i turchi, i libanesi (e i kurdi) a essere i mediatori con l'Europa. Vogliono non avere solo Hezbollah come strumento del traffico di hashish ed eroina, vogliono controllare l'oppio afghano, e i talebani a breve saranno nemici da sconfiggere per sostituirli con i loro uomini.

 

[20] OMS, bambini e discariche digitali. In Kuwait il più grande cimitero di pneumatici del mondo

 

L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato un allarme sullo smaltimento dei rifiuti elettronici, che vede coinvolti bambini e donne, anche incinte. È il primo report dell'OMS sull'argomento, “Bambini e discariche digitali”.

Il problema sta nelle oltre 1.000 sostanze nocive utilizzate in questi prodotti, tra cui piombo, mercurio, nichel e idrocarburi. E purtroppo la situazione va di anno in anno peggiorando, poiché esiste una diffusione sempre più ampia di computer, smartphone e altri dispositivi elettronici, per i quali non esiste, o quasi, uno smaltimento all'insegna della sicurezza.

Stando al report dell'OMS sarebbero 12,9 milioni le donne impiegate in questo settore, mentre il numero di bambini e adolescenti arriverebbe a 18 milioni, tra cui non mancano piccoli di appena 5 anni, ritenuti particolarmente utili grazie alle loro piccole dita in grado di maneggiare i diversi componenti con più facilità. E tutti sanno che un organismo in fase di sviluppo è più vulnerabile e meno in grado di metabolizzare ed eliminare sostanze tossiche. Le malattie principali sono quelle respiratorie, della pelle, le infezioni agli occhi e il cancro, e non solo per quanti lavorano direttamente allo smaltimento, ma anche per chi vive nelle vicinanze.

Come mai delle cifre così spaventose? È semplice: i rifiuti vengono smaltiti nei Paesi più poveri del mondo, utilizzati come discariche, e dove naturalmente le infrastrutture, la formazione e le tutele ambientali e sanitarie sono spesso inesistenti. Per es. l'Europa smaltisce i rifiuti in Africa, evitando così di pagare le ingenti somme necessarie allo smaltimento in sicurezza.

Particolarmente critiche le situazioni in Nigeria, Ghana e Costa d'Avorio. Ogni mese, solo in Nigeria, entrano circa 500 carichi di container, ciascuno contenente 500.000 pezzi di dispositivi elettronici usati, provenienti da Europa, Stati Uniti e Asia. Si tratta di un vero e proprio razzismo ambientale.

È stato fatto anche un esempio concreto. Nel 2006 Trafigura, una compagnia petrolifera multinazionale con sede nei Paesi Bassi, non volendo pagare 500.000 euro per smaltire i propri rifiuti tossici nel proprio Paese, si è rivolta a un appaltatore ivoriano che per 18.500 euro l'ha fatto in oltre 12 località intorno ad Adibjan, facendo credere che non si trattasse di materiale tossico. Successivamente, però, oltre 100.000 persone si ammalarono e 15 morirono. Sebbene il governo ivoriano abbia ricevuto una somma importante di denaro come risarcimento da parte della compagnia, pochissimi ne hanno beneficiato.

Insomma bisognerebbe pensarci due volte prima di buttar via o sostituire (magari seguendo le mode) un qualunque oggetto elettronico. E soprattutto bisognerebbe pretendere che chi produce determinati beni si preoccupi anche di smaltirli, quando l'acquirente non ha i mezzi per farlo.

 

Qual è il più grande cimitero di pneumatici del mondo? Quello della zona di Arhiya in Kuwait.

Quanti sono i pezzi? Circa 50 milioni.

Quanto tempo c'è voluto per creare questa mostruosità? Un ventennio.

Quanto materiale ci vuole per produrre una gomma? Oltre 25 litri di petrolio grezzo.

Il materiale dismesso può essere in qualche modo rigenerato o recuperato come materia prima o per produrre energia, ma occorrono centri specializzati.

I pneumatici non riutilizzabili vengono classificati come rifiuti speciali non pericolosi.

Da noi sono circa 2 milioni di tonnellate.

I tempi medi di decomposizione di un pneumatico superano i 100 anni. Ha senso che un mezzo da usarsi per pochi anni, debba durare così tanto?[6]

 

[21] Afghanistan, guerra inutile e costosa. Sistema scolastico pakistano

 

Sull'assurda guerra in Afghanistan bisogna dire che anche il nostro centrosinistra ha fatto una figura meschina. Soprattutto quando, coi vari D'Alema, Napolitano e Prodi, criticava i pacifisti che non credevano in una guerra giusta in quel Paese, costata peraltro inutilmente 2 trilioni di dollari. Era meglio stare a sentire Gino Strada, che condannava la guerra senza se e senza ma. Avremmo evitato di buttare a mare 8,7 miliardi di euro, dei quali 840 milioni diretti alle Forze Armate afghane, quelle che non hanno mosso un dito per fermare i talebani.

Quali progressi sono stati fatti sul piano civile in 20 anni? Probabilmente nessuno. I rapporti pubblici della CIA americana, che arrivano al 2010, parlano chiaro. L'aspettativa di vita è scesa da 46,6 a 44,6 anni. L'alfabetizzazione è diminuita dal 36 al 28%. La mortalità infantile è aumentata del 4,6% tra il 2002 e il 2010, mentre la popolazione sotto la soglia di povertà è cresciuta dal 23 al 36%.

Paradossalmente la CIA diceva l'opposto dei governi USA / NATO. Lo riporta il “Washington Post” in questi giorni, ripreso dal sito peacelink.it

Un dato in particolare salta all'occhio: sono morti più soldati americani per suicidio (30.177) che in combattimento (2.312). Vi sono 18 suicidi al giorno negli USA tra i reduci delle guerre. Anche se la cifra non è assolutamente da paragonare ai morti ammazzati dagli USA dopo l'11 settembre 2001: oltre 800 mila!

 

In Pakistan il sistema educativo è piuttosto intollerante nei confronti dei ragazzi non islamici, cioè cristiani e induisti. Da sempre.

Anzi nelle scuole pakistane le differenze non sono solo religiose ma anche di classe o di ceto. Per le minoranze non c'è posto. Basti sapere che chi non è islamico ottiene sempre un punteggio inferiore per l'accesso ai college e ai posti pubblici.

Non a caso in questo Paese si sono educati i talebani, che non sanno nulla né di democrazia né di diritti umani. Infatti le madrasse coraniche sono mille volte peggio: lì il fondamentalismo è allo stato puro. Per di più, siccome lo Stato investe sempre meno nell'istruzione pubblica, sono proprio le madrasse private a diffondersi (ne esistono più di 40.000). È facile che l'estremismo islamico peschi adepti tra poveri e ignoranti.

Nel 2017 in una scuola pakistana statale i compagni di classe di Sharon Masih arrivarono persino a farlo fuori sulla base di un certo razzismo religioso (lui era un cristiano del Punjab). Aveva semplicemente attinto acqua da un contenitore riservato ai soli studenti musulmani.

Il docente musulmano della classe, Rana Surbland Khan, così si giustificò alla polizia: “non ho visto il pestaggio in quanto impegnato a leggere il giornale”. Poi aggiunse di aver detto alla classe che lo studente cristiano non poteva bere acqua dal frigorifero presente nell'aula perché gli studenti musulmani si lamentavano.

Il caso di Masih ricorda quello di Asia Bibi, accusata nel 2009 di essere indegna di trasportare acqua per le sue colleghe musulmane e di aver offeso Maometto nella discussione che ne era seguita. Messa in carcere nel 2010, condannata a morte nel 2014, esecuzione sospesa nel 2015. Fu messa in isolamento per evitare che la taglia posta sulla sua testa spingesse qualcuno a ucciderla. Il governatore del Punjab, Salman Taseer, che era andato a trovarla in prigione, e il ministro cristiano Shahbaz Bhatti furono ammazzati per aver dato voce a quei detenuti coinvolti dalla legge sulla blasfemia, che prevede l'ergastolo per chi offende il Corano (dagli anni '80 almeno 1.300 persone).

Dal 2018 Asia vive in Canada. Il suo avvocato nei Paesi Bassi.

Intanto in Pakistan non esiste più il ministro per le minoranze religiose.

 

[22] I bacha-bazi in Afghanistan. Shamsia Hassani, street artist dell'Afghanistan

 

In alcuni paesi del mondo i bambini hanno un prezzo: chi lo paga ne decide anche l'identità. Accade in Afghanistan e loro sono i bacha-bazi. È una pratica atroce, anche se socialmente accettata, perché protetta dallo scudo della tradizione secolare di questo Paese.

I bacha-bazi sono letteralmente i “bambini per gioco”, minori di 7-18 anni, maschi, provenienti dalle fasce povere della società, costretti a indossare abiti femminili e a truccarsi come donne, per ballare di fronte ai loro compratori, e che, oltre all'intrattenimento, sono vittime di abusi sessuali, anche in forma violenta. Alle donne, infatti, è vietato lavorare come ballerine o intrattenitrici.

L'enorme tasso di povertà causato dai numerosi conflitti ha impedito a molti bambini e ragazzi di poter andare a scuola, dovendo invece provvedere al mantenimento delle famiglie. I bambini analfabeti e privi di un'educazione formale vengono venduti dalle famiglie, o rapiti, o raccattati da quartieri poveri offrendo l'illusione di una vita migliore.

Possedere uno o più bacha-bazi è uno status symbol, che esprime il ruolo di potere rivestito dall'uomo all'interno della sua comunità sociale. Infatti il bacha-bazi non viene praticato solo da uomini ricchi o signori della guerra, ma anche dalle forze della polizia e dell'esercito. Per es. si stima che il 40% degli uomini adulti pashtun (che sono il 55% dell'intera popolazione afghana), sia coinvolto nello sfruttamento sessuale dei bambini.

Quello del bacha-bazi è un argomento tabù, perché è una forma “istituzionalizzata” di pedofilia diffusa in Afghanistan fin dai tempi antichi. Nessuno si è impegnato ad abolirla, tranne i talebani, che lo consideravano non islamico e incompatibile con la legge della Sharia.

Dal 1993 fino all'invasione americana del 2001 la pratica era punibile con la morte. Il bacha-bazi è tornato a crescere col declino del regime talebano nel 2002 e da allora il fenomeno è tornato in auge non solo in paesi remoti ma anche nelle principali città come Kabul e Kandahar.

In 20 anni nessun governo della NATO ha preso l'iniziativa per porre fine a questa barbarie, nonostante diverse inchieste portate avanti dal “New York Times” e da “Agence France Press”. Il massimo che si riesce a trovare è una risoluzione del Parlamento europeo che nel 2019 “esorta il governo afghano ad avviare una campagna nazionale per educare la società al divieto del bacha-bazi”.

Il governo afghano nel 2018 aveva reso illegale la pratica, punendola da un minimo di 7 anni fino all'ergastolo. Ciononostante, la dilagante corruzione governativa e l'alta diffusione dei violenti abusi tra le fasce più abbienti e tra i soldati afghani hanno reso l'arresto dei colpevoli quasi impossibile. Molti funzionari di alto rango risultavano coinvolti nei bacha-bazi e raramente venivano perseguiti dai loro colleghi. Questo perché pagavano tangenti o avevano rapporti con forze dell'ordine, pubblici ministeri o giudici compiacenti, che li hanno effettivamente esentati dall'accusa.

Su questa cosa l'ONU è intervenuto più volte ma inutilmente.

Sia nel romanzo Il cacciatore di aquiloni che nel film omonimo viene rappresentata la pratica del bacha-bazi, ma il giovane diventa schiavo sessuale di uno dei più alti funzionari del governo dei talebani, il quale aveva violentato anni prima il padre del ragazzo.

vimeo.com/11352212

 

Shamsia Hassani è la prima street artist dell'Afghanistan. Nata in Iran nel 1988 – dove i suoi genitori erano emigrati a causa della guerra – soltanto nel 2005 ha potuto far rientro nel suo Paese e studiare l'arte che l'appassionava, riuscendo a studiare all'Università di Kabul e a trovare lavoro prima come docente incaricata e in seguito professore associato di scultura presso l'università. Fonda il collettivo d'arte contemporanea Rosht.

La svolta avviene nel 2010 quando, durante un workshop organizzato a Kabul, apprende l'arte dei murales da Chu, un artista del Regno Unito. Capisce subito quanto questa forma d'arte sia in grado di raggiungere ogni angolo remoto del suo paese, di lanciare un messaggio in modo ancora più chiaro e immediato della parola.

I suoi lavori di street art in giro per Kabul sono molto stilizzati e semplici, probabilmente anche per la necessità di essere veloci e non avere problemi di sorta durante l'esecuzione da parte di chi non apprezzava simili iniziative. A maggior ragione se a crearle era una donna.

Le sue muse preferite sono ovviamente le donne, rappresentate spesso senza la bocca. come se qualcuno avesse tolto loro la voce. Donne sognanti e piene di energia che però, col ritorno dei talebani, sembrano di nuovo sprofondare in una nuova oscurità.

Shamsia ha raggiunto fama internazionale negli ultimi anni, viaggiando per il mondo e portando con sé unicamente la propria arte.

Nel 2014 è comparsa nella classifica dei 100 migliori pensatori globali di Foreign Policy e la sua storia è narrata nel celebre volume Storie della buonanotte per bambine ribelli.

Gli ultimi lavori di Shamsia restituiscono al mondo tutta l'angoscia delle giovani afghane. L'oscurità che avanza alle loro spalle. Il senso di solitudine ma al tempo stesso anche la forza di resistere, di non voler tornare indietro. Uno dei simboli più presenti nelle sue opere infatti è il Dente di Leone, il fiore che simboleggia la forza, la speranza e la fiducia.

Da quando i talebani hanno iniziato la loro avanzata verso Kabul, il profilo Instagram di Shamsia si è popolato di nuove immagini. Protagoniste sono sempre le ragazze di Kabul. Avvolte da abiti azzurri come il mare, piene di grazia e dignità, tengono tra le mani i simboli della loro libertà: un palloncino a forma di cuore, una pianola e un fiore di tarassaco. Rispettivamente, l'amore, la musica e la libertà.

www.instagram.com/shamsiahassani/

 

[23] Le nostre missioni militari all'estero

 

Come noto, il nostro Parlamento continua ad approvare il rifinanziamento delle missioni militari all'estero, senza mai metterle in discussione. L'abbiamo fatto fino a ieri con quella in Afghanistan, ma continuiamo a farlo anche con quella in Libia, dove deleghiamo alle varie milizie libiche, che non sanno neanche lontanamente cosa siano i diritti umani, la gestione con ogni mezzo del flusso di migranti.

Ben 1,2 miliardi di euro abbiamo previsto per le nostre missioni estere nel 2021, quasi 100 milioni in più rispetto al 2020, già in piena pandemia. Il provvedimento di luglio porta fino a quota 20 miliardi e 500 milioni la somma dei soldi spesi per le forze armate italiane nel mondo dal 2004 a oggi.

Per l'anno 2021 le missioni finanziate sono 40, due in più rispetto all'anno precedente (nello Stretto di Hormuz e in Somalia). Le svolgiamo in ambito NATO, Unione Europea e ONU. A queste missioni vanno aggiunte altre 3 nel contesto di “Coalition of the willing” (“Coalizione dei volenterosi”, nominata dal Dipartimento di Stato degli USA nel 2003), mentre le rimanenti 8 (più Gibuti e Golfo Persico) sono esclusivamente nazionali.

Oltre 9 mila i soldati dispiegati in tre continenti (Europa, Asia e Africa). Solo nell'area africana, in quel triangolo che va dal Golfo di Guinea al Corno d'Africa, col vertice in Libia, sono ben 17. È un record per numero di missioni, mentre per unità impegnate il dato è inferiore solo al 2005, quando l'escalation del conflitto in Afghanistan aveva portato a 10 mila i militari schierati.

Alcuni esempi. La guerra di Bush all'Iraq nel 2003 è finita da almeno 10 anni e di fatto è stata persa da USA ecc., ma l'Italia, “per stabilizzare il Paese e combattere il terrorismo”, resta impegnata con 900 unità e, solo per il 2021, con oltre 230 milioni di euro finanziati; dal 2003 a oggi l'Italia ha investito in Iraq la bellezza di 3 miliardi e 700 milioni di euro. Nel 2022 Italia guiderà addirittura la missione NATO in questo Paese.

In Libano, dove continua il preoccupante stallo istituzionale e il progressivo degrado della situazione economica, siamo impegnati quasi ininterrottamente dal 1978: attualmente 1.300 soldati al costo di 200 milioni. Poi 9 miliardi nello Stretto di Hormuz, 50 milioni nel Corno d'Africa, 44,5 milioni in Niger, 49 milioni in Mali ecc.

Ricordiamo che un caccia F35 costa quanto 7.113 ventilatori polmonari.

Per i dettagli vedi www.analisidifesa.it/2021/07/il-rinnovo-delle-missioni-militari-italiane-allestero/

 

[24] Il dramma di Cuba

 

Il dramma più grande che Cuba sta vivendo è il blocco economico americano deciso a partire dal febbraio 1962 e mantenuto fino ad oggi da tutti i presidenti, sia democratici che repubblicani. Il neonazista Donald Trump lo aveva aggravato con altre 243 misure tra il 2017 e il 2021, e Joe Biden non ha cambiato assolutamente nulla, nemmeno la famigerata collocazione dell'isola nella lista dei Paesi “sponsor del terrorismo”.

Quel blocco è ripudiato dalla stragrande maggioranza dei Paesi, come espresso dall'Assemblea generale dell'ONU dal 1992 ad oggi. Si sono registrate 29 votazioni a favore di Cuba, l'ultima il 23 giugno 2021, con un risultato di 184 voti contro 2 (USA e Israele). Nonostante questo ripudio, che qualifica l'embargo come criminale e genocida, l'imperialismo yankee lo sostiene.

L'obiettivo è prendere per fame e malattia un popolo che ha scelto la via al socialismo, con le sue radici in José Martí e la leadership di Fidel Castro, proseguita da Raúl e ora da nuove generazioni di leader (il governo cubano è presieduto da Miguel Díaz-Canel).

Viene impedito a Cuba di commerciare liberamente, accedere a valuta estera, acquistare medicinali e forniture mediche, ricevere voli charter e crociere turistiche dagli Stati Uniti, ecc. Puniscono le compagnie di navigazione che trasportano petrolio a Cuba, minando così la distribuzione del carburante, il commercio, i trasporti e la produzione di elettricità; sanzionano le banche che operano con l'isola, bloccano i trasferimenti di denaro da parenti cubani all'estero, ecc. I danni economici diretti tra aprile 2019 e dicembre 2020 arrivano a 9.157 milioni di dollari.

Come se non bastasse, l'economia isolana ha subìto l'impatto della pandemia del Covid-19 e la sospensione del turismo, quindi il suo PIL è sceso di quasi 11 punti nel 2020.

Ciononostante il settore scientifico e biochimico di Cuba è riuscito a produrre ben due vaccini, Abdala e Soberana 02, e ha organizzato 56 missioni estere della Brigata medica internazionale “Henry Reeve”, composta di 2.500 medici e personale sanitario. Né si è rifiutato, a differenza degli USA, di rilasciare gratuitamente l'uso dei brevetti per i vaccini, come richiesto dall'Organizzazione Mondiale della Sanità.

L'isola deve anche affrontare le provocazioni di Miami, che, con propaganda, reti e dollari, sostiene il movimento pseudo-culturale San Isidro, l'ONG di Rosa María Payá (che ha chiesto di votare contro la candidatura dell'Avana per un seggio al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite) e altri dipendenti dagli ordini del Dipartimento di Stato e dell'USAID. In particolare il movimento San Isidro vuol generare dinamiche sociali di disobbedienza civile e ingovernabilità, come si riflette nei manuali della CIA sulla cosiddetta “lotta non violenta”.

L'11 luglio scorso diverse centinaia di cubani si sono radunati in una protesta guidata da mercenari che hanno preso il comando sotto l'etichetta pseudo-umanitaria di “SOS Cuba”. Con grande opportunismo hanno approfittato di un picco di carenza di cibo, carburante ed elettricità, unita all'aumento dei contagi e dei decessi per Covid-19 in quei giorni. Sono scesi in piazza in 7 o 8 città, che le agenzie di stampa occidentali hanno aumentato a 50. In tutto poche migliaia di persone, che non stavano affatto chiedendo la “fine della tirannia comunista”.

Nessuno a Cuba vuol tornare ai tempi di Batista, quando era una colonia americana, piena zeppa di bische e di bordelli.

Piuttosto sono gli Stati Uniti che devono togliere l'embargo all'isola, restituirle l'area usurpata di Guantánamo, e soprattutto devono eliminare l'emendamento Platt del 1901. Che così recita: Cuba non può prendere decisioni che possano compromettere la sua indipendenza o consentano a una potenza straniera di assumere il controllo dell'isola; Cuba s'impegna a non incorrere in un indebitamento che superi i propri mezzi (poiché ciò potrebbe provocare un intervento straniero); gli Stati Uniti hanno facoltà d'intervenire per mantenere l'ordine e l'indipendenza cubana; Cuba accetta di vendere o affittare agli Stati Uniti siti per basi navali o depositi di combustibile (fu così che Guantánamo divenne la principale base statunitense).

Nel frattempo sarebbe già tanto che l'ONU modificasse la sua Carta in modo che una mozione votata dai due terzi dell'Assemblea Generale sia vincolante per il Consiglio di Sicurezza.

 

[25] Scuole coraniche in Sudan. Una scuola coranica in India contro il terrorismo

 

Il giornalista sudanese Fateh Al-Rahman Al-Hamdani ha condotto per 18 mesi un'indagine per la BBC all'interno delle scuole coraniche del Sudan, dette khalwas. Come un infiltrato ne ha visitate oltre 23, e ha documentato una quotidianità fatta di abusi sistemici nei confronti dei più piccoli da parte di insegnanti locali. Giovanissimi picchiati in maniera così brutale da finire in coma, piccoli alunni vittime di sevizie e stupri, bastonate, cinghiate, umiliazioni e torture.

Pare che questa realtà non riguardi solo il Sudan, ma anche il Senegal e forse tutta l'Africa saheliana. Solo nel Sudan ci sono più di 30.000 scuole coraniche, dove ai bambini dai 5 anni all'età adolescenziale viene insegnato a imparare a memoria il Corano.

Le scuole sono gestite da direttori e maestri scolastici, che di solito forniscono cibo, bevande e riparo gratuito. Questo il motivo per cui le famiglie più povere spesso mandano i loro figli alle khalwas anziché nelle scuole pubbliche.

Le autorità sudanesi, in seguito alla pubblicazione del video, han dovuto ammettere che durante il governo di Omar Al Bashir i funzionari competenti sono stati ciechi e sordi alle denunce contro gli abusi.

In Senegal addirittura, dove questi studenti sono oltre 100.000, i maestri pretendono che facciano i mendicanti, imponendo una quota giornaliera minima di soldi da portare a scuola. Se non ce la fanno possono essere puniti con pestaggi o espulsi dalla scuola e lasciati in balìa delle metropoli.

È peraltro noto che nel Sahel si registrano violenze di ogni genere nei confronti dei bambini, perché questa è una zona di guerra, dove proliferano lo jihadismo e il fanatismo di Boko Haram, che arruolano come militari anche i bambini delle scuole coraniche con la complicità dei maestri.

E poi in Italia abbiamo la destra che vorrebbe sparare sui migranti che provengono dall'Africa.

 

La Madrasa Manzar-e-Islam (fondata a Bareilly in India nel 1904), scuola coranica dell'Uttar Pradesh (uno degli Stati regionali indiani), quest'anno vuole mostrare come talune realtà terroristiche del mondo islamico (Isis, Stato islamico, al-Qaida, talebani ecc.) distorcono i testi sacri dell'Islam (Corano e hadith, cioè i detti del Profeta) a uso e consumo della propaganda terroristica. Per il momento le lezioni sono aperte solo agli studenti laureati dell'istituto. L'insegnante e direttore del corso è il Mufti Mohammed Saleem Noori (su cui in rete non si trova nessuna info davvero utile).

Senonché questa stessa scuola, per bocca del suo muftì, ha emesso nel 2007 una fatwa (editto religioso) contro l'attore cinematografico indiano di religione islamica Salman Khan (uno dei più famosi del cinema di Bollywood) per aver collocato Ganesh (una divinità elefante indù) nella propria casa per un giorno e mezzo. Improvvisamente lui, sua moglie, i genitori, i fratelli e le cognate sono diventati non musulmani. Il muftì è arrivato addirittura a dire che se i membri maschi della famiglia Khan sono sposati, le loro azioni invalidano i loro matrimoni e dovrebbero risposarsi dopo essersi pentiti.

Come se questo fatto meritasse una qualche considerazione pubblica! Quanti feticisti abbiamo in occidente? Semmai ha fatto più scalpore il fatto che nel 1998 l'attore abbia ucciso due antilopi della rara specie delle cervicapre mentre recitava in un film o che, durante la liberà provvisoria, abbia ammazzato in un incidente automobilistico un senzatetto ferendo altre quattro persone.

Nel 2015 un'altra fatwa della suddetta scuola, in stile Salman Rushdie, è stata indirizzata contro Azam Khan, ministro islamico dell'Uttar Pradesh, sulla sua proposta di costruire un tempio per il presidente del suo partito Mulayam Singh Yadav. Questo perché “nell'Islam credere in qualcuno che non sia Allah è illegittimo e quindi parlare di costruire un tempio per qualcuno è sbagliato”.

Insomma, con questi precedenti si fa fatica a credere che un gruppo islamico possa contestare un altro gruppo islamico per aver dato un'interpretazione arbitraria di taluni passi del Corano o degli hadith che avrebbero potuto far assumere atteggiamenti terroristici. Fino adesso (in epoca moderna) chi l'ha mai fatto? Si sarebbe subito sollevato un coro di alto tradimento o di collusione col mondo occidentale, colonialista, imperialista ecc.ecc. Vedremo quindi cosa saprà fare questa scuola coranica.

 

[26] Economia e finanza in Afghanistan e ruolo dell'occidente

 

L'Afghanistan era un Paese povero, dipendente dagli aiuti internazionali (4 miliardi di dollari all'anno), anche prima che i talebani prendessero il sopravvento. Il trilione di dollari speso dall'occidente non è mai servito per risolvere il problema della fame, né altri problemi strutturali del Paese.

Oggi però coi 14 milioni di persone (di cui 10 milioni di bambini) che faticano a sfamarsi, il Paese ha bisogno di centinaia di milioni di dollari per affrontare il problema, altrimenti sarà una catastrofe umanitaria. Tra inondazioni, forti nevicate, carestie persistenti, covid-19, conflitto in atto, rimesse prosciugate, impossibilità da parte dei talebani di accedere ai loro beni all'estero o all'assistenza finanziaria, la situazione è già disperata.

Gli Stati Uniti hanno ufficialmente congelato le riserve estere dell'Afghanistan (che ammontano a circa 9 miliardi di dollari, la maggior parte dei quali si trova in banche straniere, soprattutto americane). Biden ha già preventivato la possibilità d'imporre sanzioni economiche contro il regime. Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale hanno interrotto l'accesso a prestiti o altre risorse. La Western Union e la MoneyGram non permettono più le transazioni verso l'Afghanistan. Il commercio di valuta si è interrotto e il valore della valuta afghana sta crollando. Stanno finendo i contanti. L'inflazione sui beni primari è alle porte: il prezzo del grano è già salito del 25% negli ultimi mesi. Tra un po' si passerà al baratto.

Le risorse a disposizione dei talebani sono risicate: oltre a quelle illegali del narcotraffico, vi sono il controllo delle vie commerciali (confini, ponti, autostrade), l'imposizione di dazi e altri oneri economici sui traffici. Non ci sono industrie rilevanti (se non quella del talco, del marmo e qualcosa in campo agricolo), le enormi risorse minerarie non sono sfruttate, il 38% del territorio è incolto o improduttivo. I depositi di pietre preziose sono oggetto di un traffico illegale col vicino Pakistan.

Potrebbe diventare “l'Arabia Saudita del litio”, invece è uno dei Paesi più poveri al mondo. Circa 4,2 milioni di bambini, tra cui 2,2 milioni di ragazzi, non vanno a scuola. L'UNICEF e l'OMS ormai non sono più in grado di fare nulla.

I talebani non vogliono che la gente parta, perché si tratta dell'intellighenzia, ma nessuno crede alle loro promesse di rispettare i diritti umani. Infatti si parla già di esecuzioni sommarie di civili e di membri delle forze di sicurezza; di restrizioni delle libertà delle donne, compreso il diritto a muoversi liberamente e quello a frequentare le scuole; di reclutamento di bambini soldato; di repressione delle proteste pacifiche... La maggior parte dei funzionari del governo rimane nascosta o sta tentando di fuggire. Neppure i due atleti paralimpici han potuto recarsi a Tokyo (e lei sarebbe stata la prima atleta afghana donna a partecipare a una Paralimpiade).

Se la situazione non si stabilizza, quel Paese rischia di fare la fine della Polonia nel '700, spartita tra le potenze confinanti.

 

Il democratico Jake Auchincloss, un veterano dei marines che guidava le ricognizioni in Afghanistan, ha detto: “I taliban stanno ereditando un Paese diverso da quello che hanno lasciato vent'anni fa. Il tasso di alfabetizzazione è raddoppiato, la mortalità infantile si è dimezzata, l'accesso all'elettricità è triplicato o quadruplicato, il numero dei ragazzi iscritti a scuola è dieci volte quello di 20 anni fa, e di loro il 40% sono bambine. I taliban stanno ereditando un Paese dove sono stati fatti dei reali progressi”.

Supponendo che tutto ciò sia vero, resta il fatto che la questione per i governanti occidentali non dovrebbe essere soltanto se i taliban manterranno questi progressi, ma perché, nonostante questi progressi, il Paese sia comunque ricaduto nelle loro mani e in maniera così repentina da far pensare che la stragrande maggioranza della popolazione non vedesse l'ora che gli occidentali se ne andassero.

Di tutte le forme di corruzione possibile nel Paese han preferito quella dei talebani, ideologicamente fanatici e misogini, politicamente dittatoriali e socialmente narcotrafficanti. Ancora noi non riusciamo a capire che non esiste un modello di società, di sviluppo e di democrazia esportabile in tutto il mondo. Tanto più che, se anche riuscissimo a rendere tutto il mondo come noi, finiremmo con lo sterminarci a vicenda. In fondo se il capitalismo occidentale trionfa sul piano internazionale è perché la stragrande maggioranza dei Paesi lo subisce passivamente. E se qualcuno non lo fa, è perché per noi è un terrorista o un comunista.

 

[27] L'ipocrisia dei talebani. I talebani come prodotto indiretto della politica americana

 

Dopo quattro esplosioni che hanno fatto almeno 170 morti, tra cui anche diversi bambini, e circa 200 feriti, per non parlare della morte di 13 militari americani, oltre a 15 feriti, Biden si dovrebbe dimettere e la UE dovrebbe uscire dalla NATO, perché qui si ha a che fare con un branco di incapaci e di irresponsabili.

Inoltre se è vero che gli attacchi sono stati rivendicati da una cellula dell'ISIS, è anche vero che i talebani sparano per disperdere la folla al gate dell'aeroporto e continuamente dagli altoparlanti invitano gli afghani a non uscire di casa. Cioè sono loro che preparano il terreno agli attentati.

Peraltro il loro portavoce, Zabihullah Mujahid, ha dichiarato di non avere ancora informazioni sui possibili responsabili dell'attentato, che fonti di USA e Regno Unito attribuiscono chiaramente dall'ISIS-K, l'Islamic State della provincia afghana del Khorasan. Se questa non è ipocrisia, che cos'è? I talebani non hanno mai combattuto l'ISIS, anzi, semmai l'hanno protetto. Lo sanno bene le migliaia di persone accalcate fuori dall'aeroporto di Kabul, che non si fidano minimamente delle loro dichiarazioni moderate dopo la presa del potere.

Ha detto la famosa scrittrice afghana Nadia Ghulam Dastgir: “Prima i talebani tutto ciò che facevano, lo facevano in pubblico, senza nascondersi. In questo momento a Kabul vanno casa per casa, a cercare famiglie, donne e persone che hanno lavorato per il governo precedente o che collaboravano con organizzazioni internazionali o con la stampa. Tutte queste persone stanno scomparendo una dopo l'altra. E i talebani ripetono che loro non sanno nulla, che non sono stati loro. Hanno imparato a mentire”.

La tragedia è in questo momento che persino i soldati stranieri impediscono agli afghani di entrare nell'aeroporto. Li stanno condannando a morte, perché su di loro, se non partono, vi saranno durissime ritorsioni dopo il 31 agosto: infatti i talebani li schedano ai check-point. Biden e il suo staff sono dei criminali, perché unicamente interessati a salvare gli americani e i loro collaboratori afghani, senza peraltro riuscire a rispettare neppure questo impegno minimo.

 

In una conferenza stampa il portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, ha detto: “Abbiamo chiesto agli americani di non incoraggiare gli afghani ad andarsene. Abbiamo bisogno delle loro competenze”.

Mente. Gli stessi americani han già detto che non porteranno via se non loro stessi e i loro collaboratori più stretti. Inoltre i talebani considerano traditori tutti gli afghani che vogliono partire e dopo il 31 agosto non li risparmieranno solo perché rappresentano l'intellighenzia del Paese, gli elementi più acculturati, anzi, questo sarà un motivo in più per farli fuori.

Ha poi dichiarato: “La strada verso l'aeroporto è stata chiusa. Gli afghani non possono più andare lì, possono farlo gli stranieri. Abbiamo impedito ai cittadini afghani di recarsi lì perché c'è pericolo di perdere la vita a causa della calca, e gli americani quando c'è la calca sparano, e la gente muore. Noi vogliamo che gli afghani siano al sicuro da questo”.

Mente di nuovo. Obbligano gli afghani a star chiusi in casa non con l'intento di tutelare la loro vita, ma perché non vogliono far vedere che di loro gli afghani urbanizzati e acculturati non si fidano. Vogliono far vedere d'essere loro e non gli americani i garanti della pace, ma stanno preparando il terreno al terrore su vasta scala e legittimato dalla sharia, che in questo momento non possono esercitare come vorrebbero perché sono sotto i riflettori del mondo. Vogliono far partire solo gli occidentali, così quando cominceranno a eliminare gli afghani giudicati traditori, non ci saranno gli stranieri a guardarli.

Ciò che poi ha detto sulle donne è terribile, anche se voleva apparire rassicurante: “Le forze di sicurezza al momento non sono operative e non sono addestrate nell'affrontare la donna, nel parlare con le donne e in questo momento dobbiamo obbligare le donne a restare in casa e a non lavorare finché non ci sarà una piena sicurezza per loro”.

Cioè ha ammesso che i talebani sono profondamente maschilisti, per cui le donne, se non vogliono avere conseguenze spiacevoli su di loro, è meglio che non si facciano vedere in giro e tanto meno sul lavoro. Per la donna la sicurezza sta solo nell'obbedire a direttive imposte dall'uomo.

 

Nel periodo dal 2009 al 2019 sono stati uccisi almeno 35.518 civili afghani e ne sono stati feriti 66.546. Questo significa oltre 3.000 morti innocenti all'anno: è come se dal gennaio del 2009 al dicembre del 2019 in Afghanistan ci sia stato ogni anno un 11 settembre.

In uno dei Paesi più poveri del mondo, miliardi sono stati spesi ogni anno per l'aria condizionata delle caserme che ospitavano soldati e ufficiali statunitensi, mentre cibo e vestiti venivano regolarmente trasportati in aereo dalle basi in Qatar, Arabia Saudita e Kuwait.

È cresciuto un enorme slum ai margini di Kabul, di pari passo col radunarsi di poveri alla ricerca di avanzi nei bidoni della spazzatura. I bassi salari pagati ai servizi di sicurezza afghani non sono riusciti a convincerli a combattere contro i loro connazionali. L'esercito, messo su in due decenni, è stato infiltrato in una fase iniziale da sostenitori talebani, i quali da un lato hanno ricevuto una formazione gratuita nell'uso di moderne attrezzature militari e dall'altro hanno agìto da spie per la resistenza afghana.

Durante gli anni dei talebani la produzione di oppio era controllata da loro. Dall'invasione degli Stati Uniti è aumentata sensibilmente e ora rappresenta il 90% del mercato globale dell'eroina, facendo sorgere la domanda se questo prolungato conflitto debba essere visto, almeno in parte, come una nuova guerra dell'oppio.

Migliaia di miliardi di dollari sono stati condivisi tra i settori afghani che hanno servito l'occupazione. Gli ufficiali occidentali sono stati generosamente pagati al fine di consentire il narcotraffico. Un giovane afghano su dieci è ora dipendente dall'oppio. Le cifre per le forze della NATO non sono disponibili.

Una delle più importanti femministe afghane in esilio ha detto che le donne avevano tre nemici: l'occupazione occidentale, i talebani e l'Alleanza del Nord (dopo la presa del potere dei talebani del 15 agosto molti capi combattenti dell'Alleanza del Nord sono tornati in attività, sotto la guida di Ahmad Massoud, nella resistenza del Panjshir). Con la partenza degli Stati Uniti, ha detto, ne avranno due.

Nonostante le ripetute richieste di giornalisti e attivisti, non sono stati rilasciati dati affidabili sull'industria del lavoro sessuale, cresciuta per servire gli eserciti occupanti. Né ci sono statistiche credibili sugli stupri, sebbene i soldati statunitensi abbiano usato frequentemente la violenza sessuale contro i “sospetti terroristi”, stuprato civili afgani e dato via libera agli abusi sui minori compiuti da milizie alleate. Durante la guerra civile jugoslava, la prostituzione si moltiplicò e la regione divenne un centro per il traffico sessuale. Il coinvolgimento delle Nazioni Unite in questa redditizia attività era ben documentato. In Afghanistan i dettagli devono ancora emergere.

Secondo l'Associated Press, al 2021 sono 47.245 i civili afghani morti a causa dell'occupazione occidentale. Gli attivisti afghani per i diritti civili insistono sul fatto che siano morti 100 mila afgani (molti dei quali non combattenti) e siano stati feriti tre volte quel numero.

Un soldato americano di lungo corso si è detto convinto che almeno un terzo della polizia afghana fosse tossicodipendente e che un'altra fetta consistente fosse costituita da sostenitori dei talebani.

Donald Rumsfeld già nel 2003 aveva detto: “Se non riesci a distinguere tra alleati e avversari dopo un attacco bomba in un affollato mercato cittadino, rispondi scagliandoti contro tutti, creando così sempre più nemici”.

Il colonnello Christopher Kolenda disse che il governo Karzai era “auto-organizzato in una cleptocrazia”, come in Pakistan, dove è radicata a tutti i livelli.

Non è normale che ad un certo punto gli afghani abbiano preferito i talebani agli americani?

Cfr “MicroMega” del 25 agosto.

 

[28] Prossima tragedia: la Somalia

 

Ci siamo meravigliati del repentino crollo dell'occidente in Afghanistan, ma presto avremo a che fare anche con la Somalia, dove da 14 anni la Missione dell'Unione africana in Somalia (Amisom), cioè le truppe provenienti da Uganda, Burundi, Gibuti, Kenya ed Etiopia, mandate là per combattere il gruppo terrorista Al-Shabaab (affiliato ad Al-Qaeda), non riescono a combinare nulla di significativo, nonostante il grande appoggio dell'occidente: 900 milioni di dollari all'anno.

Il governo di Mogadiscio resta debole e diviso, con scarsa legittimità popolare, afflitto da clientelismi e corruzione. Esattamente come in Afghanistan. In compenso Al-Shabaab resta dominante in molte zone rurali ed è capace di compiere attentati devastanti nella capitale. La crescita economica è limitata alle città, ma l'occupazione prevalente si concentra in un'agricoltura scarsamente produttiva.

Noi occidentali abbiamo in testa un modello di sviluppo che non funziona in quelli che una volta venivano chiamati Paesi del Terzo mondo e che sono stati per molto tempo oggetto del nostro colonialismo.

Le categorie economiche del capitalismo, non avendo nulla di naturale, non possono essere acquisite così facilmente. E quando si cerca di imporle, gli strati sociali più deboli o con meno cultura possono anche reagire in maniera scomposta. È illusorio pensare che la forza militare basti a sconfiggere gli estremisti o a garantire la trasformazione delle società.

L'anno scorso il Paese si è posizionato all'ultimo posto nel mondo nell'indagine statistica “Doing Business” del 2020.

 

[29] Il neofascismo in Texas. Afghanistan e fascismo religioso

 

Sempre più fascista il Texas. Gli Stati federali a favore dei repubblicani vogliono ridurre il diritto di voto alle minoranze razziali, ai poveri e agli elettori più anziani, di regola favorevoli ai democratici. Non vogliono che si ripeta alle prossime elezioni la storica affluenza del 2020.

Nel parlamento texano i democratici cercano di boicottare il raggiungimento del quorum, necessario per approvare progetti di legge così fascisti. Molti di loro a luglio hanno lasciato lo Stato alla volta di Washington per attirare l'attenzione del Congresso sulla questione. La risposta dei repubblicani texani non si è fatta attendere: hanno autorizzato le forze dell'ordine a obbligare i democratici assenti a presenziare all'assemblea, sotto mandato d'arresto, se necessario.

Già adesso in Texas non è facile votare: p.es. il voto per corrispondenza è limitato alle persone con più di 65 anni, agli elettori che sono fuori città durante il voto, o che sono in prigione, o hanno una malattia o una condizione fisica che impedisce loro di andare alle urne. Tutti gli altri devono per forza recarsi fisicamente alle urne, sempre che vi riescano. Questo Stato infatti è non solo uno dei cinque che non ha ampliato il voto per corrispondenza durante la pandemia nel 2020, ma anche quello che ha già chiuso 750 seggi elettorali: più di qualsiasi altro Stato e in modo sproporzionato nelle comunità nere e latine.

Le restrizioni prevedono: la riduzione della finestra di tempo per richiedere il voto per corrispondenza e del termine per la consegna della scheda; la limitazione del numero di cassette postali per le schede elettorali; il rafforzamento dei requisiti d'identificazione dell'elettore sia per il voto per corrispondenza sia per il voto di persona; il divieto di distribuzione di snack e acqua agli elettori in attesa (attese che possono durare anche ore); la riduzione dei seggi elettorali e la limitazione dei giorni o degli orari destinati al voto anticipato, ecc. A farne le spese sono le minoranze razziali, oltre che i poveri e gli anziani.

Nonostante nel 2020 abbia visto la più alta affluenza alle urne in quasi 30 anni, il Texas si piazza ancora al 44° posto tra gli Stati federali per partecipazione al voto. In ogni caso è in “buona compagnia”: tra il 1° gennaio e metà maggio, 14 Stati hanno emanato 22 leggi che limitano l'accesso al voto. E almeno altri 61 progetti di legge sono in discussione. Il record precedente era stato registrato nel 2011 quando erano state emanate 19 leggi restrittive in 14 Stati. Questo dopo che le elezioni del 2009 avevano determinato un importante cambiamento politico: l'elezione del suo primo presidente nero.

 

Mehdi Hasan, un conduttore della tv americana MSNBC, ha così twittato: “Abbiamo invaso l'Afghanistan per combattere un gruppo terroristico, Al Qaeda, che ci aveva attaccato. Ora che ce ne andiamo, siamo attaccati da un altro gruppo terroristico, l'IS (Stato Islamico), che è peggio di Al Qaeda e che non esisteva quando abbiamo invaso il Paese. In sostanza la guerra al terrorismo ci ha dato solo più guerra e più terrorismo”.

Infatti l'IS-KP è un nemico giurato dei taliban e ideologicamente ancora più estremo. Tra le sue file ci sono anche alcuni taliban contrari ai colloqui di pace con gli Stati Uniti. Al Qaeda invece concentra le proprie forze, dal 2011, nel Sahel, in Somalia, nello Yemen e in parte in Siria. Il suo leader, dopo la morte di Osama bin Laden, è diventato Ayman al Zawahiri, terrorista di origine egiziana. Su di lui pesa una taglia americana di 25 milioni di dollari.

IS-KP (o anche ISIL–KP) vuol dire Stato Islamico dell'Iraq e del Levante – Provincia di Khorasan: è un ramo dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (ISIL), attivo in Asia centromeridionale. Il Khorasan è una regione che incorpora parti di Afghanistan e di Pakistan. Gli attuali talebani al potere non riescono a controllarla.

Il gruppo, nato nel 2015, è attivo in Afghanistan, Pakistan, Tagikistan, Siria e India. Ma anche il Movimento islamico dell'Uzbekistan ha promesso fedeltà all'ISIL.

In Afghanistan l'IS-KP recluta i suoi adepti non solo dai villaggi, ma anche dalla classe media urbana e persino dall'Università di Kabul. In Pakistan invece li recluta da moschee e madrase (scuole coraniche). Generalmente l'addestramento militare i terroristi islamici lo ricevono in Pakistan. L'ideologia estremista è nota agli analisti come “salafismo jihadista”.

I suoi classici obiettivi sono i musulmani sciiti, le donne e gli stranieri, oltre al personale militare o addetto alle infrastrutture civili. Prima dell'attentato del 26 agosto, in cui sono morte oltre 170 persone, tra cui 28 talebani e 13 militari statunitensi, l'IS-KP aveva già ucciso, in un altro attentato dell'8 maggio, almeno 90 persone davanti a una scuola di Kabul: la maggior parte delle vittime erano ragazze tra gli 11 e i 15 anni.

La cosa più sconcertante è che durante l'avanzata dei talebani su Kabul, centinaia o forse migliaia di prigionieri dell'IS-KP sono stati liberati dagli stessi talebani.

Qui non abbiamo a che fare solo con un semplice fondamentalismo islamico, ma con un vero e proprio fascismo religioso. I talebani vogliono proporsi come la faccia meno estrema di questo fanatismo criminale, ma sono soltanto più ipocriti.

 

[30] Il rapporto Doing Business del 2020. Le assurdità della sharia

 

Elaborato per la prima volta nel 2003, il rapporto “Doing Business” presentato annualmente dalla Banca Mondiale, in collaborazione con l'International Finance Corporation, è diventato un vademecum per gli investitori internazionali.

Le domande che si pone sono: dov'è più facile mettere in piedi un'impresa e fare affari, restando ovviamente nella legalità, ove cioè son chiari i diritti di proprietà, veloce la risoluzione delle controversie, ragionevole la tassazione, snella la burocrazia, stabile la governabilità di un Paese, ecc.?

Gli Stati oggetto d'indagine sono 190: quindi praticamente l'intero pianeta, visto che all'ONU sono 193.

Come è messa l'Italia nel report del 2020? Male, come al solito, anche se non malissimo. Gli Stati europei nella top ten sono Danimarca (quarta, davanti a Corea del Sud, Stati Uniti e Georgia), Regno Unito (ottavo), Norvegia (nona) e Svezia (decima). L'Italia occupa il 58mo posto, in calo di 7 posizioni rispetto all'anno precedente e di ben 12 rispetto al 2018.

Ma com'è possibile che sia preceduta da Kosovo, Kenya, Romania, Cipro e Marocco? Cos'è che non funziona da noi? Perché nelle prime tre posizioni si trovano sempre Nuova Zelanda, Singapore e Hong Kong? Perché i Paesi che hanno scalato più posizioni in classifica sono stati Arabia Saudita, Giordania, Togo, Bahrain, Tagikistan, Pakistan, Kuwait, Cina, India e Nigeria?

È presto detto: da noi la tassazione è troppo alta, l'accesso al credito molto difficile, la burocrazia è asfissiante, la giustizia è lentissima e i governi sono troppo instabili.

Strano inoltre a dirsi, ma la migliore città italiana in cui fare business è Bologna non Milano. A Milano è molto facile avviare un'impresa, ma è molto difficile affrontare la parte burocratica riguardante le proprietà immobiliari e l'elettricità. Palermo, Reggio Calabria e Napoli ti uccidono per la burocrazia, mentre Roma non vuol sentir parlare di nuove imprese.

Comunque, a titolo di curiosità, i peggiori al mondo sono Venezuela, Eritrea e Somalia.

www.doingbusiness.org/content/dam/doingBusiness/media/Subnational/DB2020-SNDB-ITL-Report-Italian.pdf

 

Ha fatto bene Mattarella a sentirsi sconcertato per le profusioni di solidarietà nei confronti del popolo afghano, cui non corrisponde, da parte di taluni Stati europei, la disponibilità ad ospitare i profughi.

Sconcertante è anche vedere che nessun Paese islamico condanna il comportamento dei talebani. L'islam ormai è diventato una religione da usarsi solo in chiave politica contro gli occidentali. Costi quel che costi. Alla faccia dell'etica, dei diritti umani, della libertà di coscienza, dell'uguaglianza di genere e della democrazia in generale.

Quando un Paese dice che non vuole essere democratico perché deve applicare la sharia, in nome della quale, tanto per fare un esempio, venerdì scorso ha fatto fuori un musicista del folk afghano, solo perché non si vuol sentir parlare di musica, di canti e di danze, può far parte di qualche organismo internazionale?

È normale essere bastonati se gli uomini non portano la barba lunga di almeno un palmo sotto il mento? Anche in altri Paesi islamici è forse vietato giocare a carte o a scacchi o far volare gli aquiloni o scrivere libri o guardare film o dipingere?

Per non parlare del trattamento che riservano alle donne, ridotte a schiave della misoginia. Il burqa abbiamo imparato a conoscerlo. E sappiamo anche che non possono uscire di casa se non sono accompagnate da un parente maschio. E possiamo anche capire che in questa violenza quotidiana sia vietato alle donne-schiave di usare cosmetici o gioielli. Ma che dire del fatto che non devono parlare se non per rispondere? E che non devono ridere in pubblico, se no vengono bastonate? E che non devono guardare negli occhi neppure i propri mariti?

Perché nessuno Stato islamico, nessuna associazione religiosa musulmana dice niente su queste assurdità?

 

[31] Il potere delle multinazionali farmaceutiche negli USA

 

Un recente art. abbastanza agghiacciante del sito swissinfo.ch spiega bene il comportamento delle multinazionali farmaceutiche svizzere negli Stati Uniti. Si tratta della Roche e della Novartis, che solo durante il primo trimestre del 2021 han speso rispettivamente 3,13 milioni e 2,17 milioni di dollari in lobbying a Washington. Semplicemente per impedire la discussione in Congresso su un disegno di legge mirante ad abbassare il prezzo dei farmaci.

Gli USA infatti sono uno dei Paesi coi prezzi più alti al mondo per i farmaci con prescrizione medica. Se il disegno fosse trasformato in legge il prezzo dell'insulina, tanto per fare un esempio, scenderebbe fino al 75, e questo in un Paese devastato dal diabete.

Le medicine sono così costose che i pazienti non abbienti ritardano o rinunciano alle cure o saltano le dosi o tagliano le pillole a metà. Ormai neppure i farmaci salvavita si possono permettere.

Le somme in gioco sono colossali. Nel 2020 le multinazionali Roche e Novartis, solo nel mercato statunitense, han generato, rispettivamente, vendite di 23,6 miliardi e 14,3 miliardi (cioè il 53% e il 36% del loro fatturato). Secondo varie stime se il disegno di legge fosse approvato, il governo americano risparmierebbe fino a 456 miliardi di dollari in 10 anni.

Inutile dire che nella sua crociata contro l'abbassamento dei prezzi dei farmaci, il lobbismo in America ha un potere enorme. Le aziende farmaceutiche si piazzano tra le maggiori fonti di finanziamento ai politici: p.es. alle elezioni del 2020 hanno donato più di 500 milioni di dollari ai candidati repubblicani e democratici. Sfidare i poteri di queste industrie (in mezzo ci sono anche Merck, Pfizer e Johnson & Johnson) è praticamente impossibile.

 

 

Settembre

 

 

 

[1] Campagne antislamiche in India. Rapporti tra India e Afghanistan

 

Continua la campagna antislamica in India, col tentativo del partito al potere dal 2014, il Bharatya Janata Party, di rendere il Paese sempre più esclusivamente hindu a scapito delle altre religioni. Ora vengono prese di mira le scuole coraniche.

Il governo dello Stato dell'Assam ha infatti appena approvato una legge per chiudere 700 scuole coraniche statali. La trasformazione delle madrasse in licei statali laici, appartenenti a uno Stato indiano dove i musulmani sono il 34% della popolazione, creerà sicuramente delle tensioni.

Già nel 2019 due milioni dei 33 milioni di abitanti dell'Assam si sono visti revocare la cittadinanza con la scusa di una verifica dei documenti anagrafici. L'intento dichiarato era di stanare chi era immigrato illecitamente dal vicino Bangladesh, Paese musulmano. Il risultato è stato quello di creare il panico nella popolazione islamica locale e nazionale, anche perché sono stati istituiti dei campi di concentramento dove mettere chi non riusciva a trovare i certificati anagrafici.

Il ministro dell'Istruzione dell'Assam, Himanta Biswa Sarma, ha detto che il Paese ha bisogno di più medici, poliziotti, burocrati e insegnanti che provengano dalla minoranza musulmana, piuttosto che imam per le moschee. Aggiungendo poi che “le madrasse coraniche non sono in grado di preparare nessuno per il mondo temporale e le sue necessità terrene. Vogliamo laicizzare la scuola e non pagare le scuole religiose coi soldi pubblici”.

Strano che dica questo l'esponente di spicco di un partito fondamentalista religioso di destra, anche perché è previsto che le scuole religiose induiste diventino Istituti per lo Studio della Civiltà indiana, affiliate alle Università.

Insomma siamo alle solite: un fondamentalismo contro un altro. Esattamente come da noi, con la differenza che da noi c'è un po' più di laicità, ma neanche tanta.

 

Il “Caffè Geopolitico” ha evidenziato un problema poco dibattuto: l'India è tra le vittime eccellenti della vittoria talebana in Afghanistan. Delhi ha infatti perso ogni possibilità d'influenzare il destino di un Paese strategico (partner chiave nel conflitto contro il Pakistan) in cui ha investito molto e non solo in denaro.

È dal 1947 che Delhi sfrutta la rivalità esistente tra Pakistan e Afghanistan per stringere relazioni con Kabul. Tale strategia ebbe una battuta d'arresto con l'instaurazione dell'Emirato Islamico Teocratico in Afghanistan nel 1996. In quell'occasione Delhi decise di appoggiare l'Alleanza del Nord, guidata dal generale Massoud, che, grazie al decisivo sostegno degli USA, sconfisse i talebani nel 2001 riaprendo le porte del Paese all'India (anche se proprio in quell'anno Massoud venne assassinato).

Da quel momento in poi Delhi ha sostenuto le Amministrazioni Karzai e Ghani, investendo circa 3 miliardi di dollari in infrastrutture destinate a favorire lo sviluppo del Paese. La firma della Partnership Strategica nel 2011 aveva poi esteso la cooperazione tra i due alleati anche in campo militare. L'accordo prevedeva l'addestramento di truppe afghane e la fornitura all'esercito afghano di circa 300 mezzi militari ed elicotteri d'attacco Mi-25 e Mi-35, ora caduti in mano ai talebani, da sempre molto vicini a Islamabad.

Al momento tutti questi sforzi sono svaniti nel nulla, anche se il governo indiano sta già pensando di sostenere la resistenza nel Panjshir, guidata dal figlio di Massoud, per una nuova Alleanza del Nord.

Ora l'India sa di avere un nemico in più, che potrebbe rendere il Pakistan ancora più forte.

 

[2] Boko Haram in Nigeria. L'Ucraina chiede agli USA un risarcimento

 

Decine di guerriglieri malconci e relative famiglie del gruppo jihadista e terrorista Boko Haram si sono arresi e consegnati alle autorità della Nigeria. Mai vista una cosa del genere.

Il conflitto ultradecennale che ha ucciso 40.000 persone e ne ha sfollate oltre due milioni, per non parlare delle migliaia di studenti rapiti per ottenere un riscatto, pare a una svolta. Non è escluso che a ciò Boko Haram sia stato costretto a causa di lotte intestine coi jihadisti rivali.

Oltre 15 milioni di euro è la cifra che in tutti questi anni ha reso il sequestro degli studenti: ultimamente circa 1.000 euro per il rilascio di ognuno di loro. D'altra parte le famiglie e il governo nigeriano sono disponibili a pagare i riscatti. A differenza della Chiesa cattolica, che non vuole trattare coi terroristi, specie perché islamici (a partire dal 2000 in tutti gli stati del nord del Paese è in vigore la sharia, applicata a tutti gli abitanti senza distinzioni: il che ha generato conflitti a non finire con le comunità cristiane).

A dir il vero anche il governo sostiene di non aver mai pagato alcun riscatto. Ma lo dice solo per motivi propagandistici, tant'è che non impedisce di farlo ai governatori regionali. Anzi, a livello locale i flussi di denaro dei riscatti spesso diventano occasione di guadagno per taluni funzionari pubblici, che trattengono parte della somma usata per liberare gli ostaggi.

In ogni caso è troppo presto per cantare vittoria. Il meccanismo dei rapimenti degli studenti potrebbe anche continuare. Le scuole e i collegi con dormitori dove avvengono i sequestri, per la maggior parte nella zona nordoccidentale del Paese, sono spesso isolati e fuori dai centri cittadini: qui la sicurezza – già poco presente nelle città – è praticamente inesistente.

Inoltre coi soldi guadagnati di volta in volta, i gruppi criminali si stanno armando ulteriormente e stanno diventando ancora più difficili da contrastare. Di qui la decisione di molte famiglie di non mandare i figli a scuola.

 

Dopo 20 anni buttati via in Afghanistan, gli USA si preparano a compiere un'altra idiozia, questa volta in Ucraina, dove non vedono l'ora di fomentare una guerra contro la Russia.

Il presidente ucraino, Zelensky, ha fatto visita a Biden e gli ha chiesto due cose: soldi e ingresso nella NATO, perché anche il governo di Kiev non vede l'ora di riprendersi il Donbass (cacciando dal suo territorio tutti i filorussi) e la Crimea, dove da sempre esiste la più grande base navale russa.

Sul piano militare per il momento si devono accontentare di congiunte esercitazioni navali Sea Breeze presso il poligono di tiro nella regione di Cherson, nel Mar Nero. La UE infatti teme che l'ingresso dell'Ucraina nella NATO possa provocare una spiacevole reazione russa.

Su quello finanziario invece le cose vanno meglio: il governo ucraino ha ottenuto 60 milioni di dollari, più la promessa di acquisto di titoli di stato, anche se vorrebbe un sostegno analogo a quello garantito all'Afghanistan in passato.

Ma cos'è che ha fatto peggiorare improvvisamente le relazioni tra Russia e Ucraina? È il gasdotto North-Stream 2 di 1.200 km, che lega Berlino a Mosca, senza passare per il territorio ucraino (i tubi poggiano sul fondo del Mar Baltico). Il che impedisce a Kiev di poterci speculare sopra ricavandone l'introito dell'affitto: quei tre miliardi di dollari di “tasse di transito” che annualmente incassa da Mosca, in base a un contratto per un altro gasdotto, di 4.500 km, nato nel 1984: il contratto dovrebbe restare in vigore fino al 2024. Né Kiev potrà più sfruttare il percorso per sospendere le forniture di gas alla UE e far pressione sui negoziati con la Russia. E non potrà più essere sicura che la Russia eviti di attaccare il sistema energetico del Paese, attraverso il quale fino adesso ha portato il suo gas verso l'Europa.

Ecco perché Zelensky ha chiesto a Biden una sorta di risarcimento, finanziario e militare. E Biden, dopo la figuraccia in Afghanistan, non vedeva l'ora di rifarsi la verginità.

 

[3] Talebani afghani e talebani pakistani. India, Afghanistan e Pakistan

 

I legami tra Pakistan e talebani sono sempre stati molto profondi. L'Inter-Services Intelligence (ISI), la più potente agenzia d'intelligence pakistana, intrattiene da anni rapporti con loro, fornendo risorse e riparo di ogni tipo, persino passaporti per viaggiare all'estero. I talebani possiedono anche proprietà immobiliari redditizie in Pakistan e hanno significativi interessi commerciali nelle città di Karachi, Peshawar e Quetta.

Oltre ai talebani il Pakistan ha ospitato sul proprio territorio (e lo fa tuttora) diversi gruppi terroristici da tempo attivi contro qualunque obiettivo dell'India. Tra questi spiccano Jaish-e-Mohammed (responsabile dell'organizzazione degli attentati terroristici a Mumbai del 2011) e il Network Haqqani, un gruppo che l'esercito americano una volta ha descritto come un “vero e proprio braccio dell'ISI pakistano”, come il principale collegamento dei talebani con al Qaeda. Il capo di questa rete, Sirajuddin Haqqani, è stato nominato uno dei due vice leader dei talebani nel 2015: su di lui pesa una taglia di 5 milioni di dollari, perché responsabile di vari attacchi terroristici.

La stessa vittoria talebana in Afghanistan rischia di alimentare il terrorismo di taluni gruppi islamici, jihadisti e settari, che in Pakistan vogliono rovesciare il governo. Come han cercato di fare i talebani pakistani Deobandi (Tehrik-e-Taliban Pakistan) tra il 2007 e il 2014. Questi estremisti prendono di mira anche gli interessi cinesi in Pakistan. Un micidiale attentato dinamitardo del luglio 2021 ha ucciso almeno 13 persone, tra cui 9 cittadini cinesi che lavoravano a un progetto idroelettrico sotto l'ondata multimiliardaria di investimenti cinesi attraverso il corridoio economico Cina-Pakistan. Circa il 20% dei dei sunniti pakistani s'identifica come Deobandi, come anche il 20% dei musulmani indiani (influenzati dal wahhabismo).

Insomma pensare che i talebani al potere in Afghanistan s'impegnino a contrastare il terrorismo è quanto meno ingenuo.

 

L'India è un nemico storico del Pakistan ed è evidente che il ritorno dei talebani a Kabul ha avuto anche l'effetto di allontanare Delhi dall'Asia Centrale, rallentando lo sviluppo di progetti infrastrutturali strategici per il governo Modi, come l'ampliamento del porto iraniano di Chabahar, hub che fornirebbe all'India un'opzione marittima per le proprie merci, non più costrette così a seguire rotte cinesi e pakistane. In bilico è anche il progetto TAPI (Trans-Afghanistan Pipeline), che a questo punto imporrebbe a Delhi di pagare royalties ai talebani sul gas proveniente dal Turkmenistan.

L'avventato ritiro delle truppe americane dall'Afghanistan è parte di una più ampia strategia che vede Washington allontanarsi dall'Asia Centrale per concentrare risorse e mezzi più a oriente in funzione anticinese. Ma questo vuol dire che l'India si sente tagliata fuori. Infatti non era stata neppure interpellata dai presidenti americani nel processo di pace a Doha coi talebani.

Il problema però è che un'India insicura sul piano militare (la vittoria talebana in Afghanistan può rafforzare il terrorismo islamico, soprattutto pakistano) e strozzata su quello economico, può diventare pericolosa. Ricordiamo che poco prima che i talebani prendessero il potere in Afghanistan, gli USA avevano annunciato la creazione di una nuova piattaforma quadripartita per le consultazioni riguardanti il processo di pace afghano. Oltre a loro dovevano esserci Uzbekistan, Pakistan e Afghanistan: l'India era esclusa. Eppure in Afghanistan aveva investito parecchio in dollari e mezzi militari; aveva inoltre 4 consolati e un'ambasciata e aveva subìto molte esperienze negative dai talebani.

L'India è un'alleata degli USA in funzione anticinese, ma a tutto c'è un limite.

 

[4] Mancanza di camionisti in Inghilterra per colpa della Brexit. Cina ricca o povera?

 

Altra conseguenza disastrosa della Brexit. Naturalmente per gli inglesi. C'è una forte di carenza di camionisti (almeno 100.000), in genere provenienti dall'Europa dell'est. Nando, la grande catena di fast food, è chiusa in attesa di rifornimento. Carenza di polli. McDonald's ha dovuto togliere i frullati dai suoi menu per mancanza di latte. Le catene di rifornimento di polli e latte sono tarate sul “just in time”, non possono fare affidamento su grandi volumi di scorte. Milkshake e bevande in bottiglia sono temporaneamente non disponibili nei ristoranti di Inghilterra, Scozia e Galles.

Gli inglesi non han più voglia di lavorare in un settore dove l'ipersfruttamento è al massimo. Come in miniera una volta. Che lo facciano gli stranieri! Sì, ma se non li fanno entrare, chi lo fa?

Anche negli allevamenti e nella macellazione, la manodopera è prevalentemente straniera, tant'è che 70.000 maiali destinati al macello sono bloccati per mancanza di personale.

Se poi alle assurde nuove regole sull'immigrazione dovute alla Brexit, si aggiungono le più generali difficoltà di movimento per le restrizioni della pandemia, la crisi alimentare è ad portas. Come Annibale.

Molti temono che la crisi si allargherà a tutti i beni di importazione e alle produzioni in cui è alta la presenza di manodopera straniera.

Sarei curioso di sapere come verrebbe accettato nel Regno Unito lo slogan della nostra destra analfabeta: “gli immigrati ci tolgono il lavoro”.

Intanto il governo, totalmente fuori della realtà, ha chiesto agli industriali di affrontare la crisi dei camionisti all'insegna dello slogan “british first”, cioè “assumete i britannici”. Quel “first” non ricorda forse il neonazista Trump?

Ma il governo se ne frega delle lamentele. Infatti ha già detto che a fine settembre scadranno i sussidi ai disoccupati che hanno perso il lavoro per la pandemia, per cui ci sarà molta gente in cerca di lavoro, e per chi non sa o non vuol fare i lavori richiesti, bisognerà che gli industriali paghino dei corsi professionali oppure diano più salari o migliorino le condizioni di lavoro.

Come se non si sapesse che, dovendo comportarsi così, gli industriali aumenteranno subito i prezzi delle loro merci.

 

Secondo il Credit Suisse Annual Survey, l'1% più ricco dei cinesi possiede il 30,6% della ricchezza nazionale. Un aumento di 10 punti in 20 anni. Stando alle previsioni, il numero di milionari dovrebbe aumentare del 92% nei prossimi cinque anni. Un record mondiale. Eppure, allo stesso tempo, 600 milioni di cinesi vivono con meno di 130 euro al mese.

Il Pcc è preoccupato di questo trend. Il presidente Xi Jinping ha annunciato una nuova rotta, “la prosperità comune”, che dovrebbe ridurre le disuguaglianze considerevoli emerse in questi ultimi 40 anni.

Ce la farà? Di sicuro non sarà sufficiente prendersela coi singoli miliardari, come alcuni mesi fa è stato fatto con Jack Ma, fondatore del gigante del commercio online Alibaba, prima “scomparso” per diverse settimane e poi riapparso, ma solo per essere emarginato.

La gente comune si lamenta di molte cose, dal prezzo eccessivo degli immobili (oggetto di speculazione massiccia, anche da parte di numerosi quadri del partito) al costo della retta scolastica, chiave della riproduzione dell'élite cinese. I giganti del digitale sono l'obiettivo principale delle critiche. Ai giovani è stato vietato di trascorrere più di tre ore sui videogiochi. Si è imposto lo studio del pensiero di Xi sin dalle elementari (nulla di simile dai tempi di Mao). Si critica duramente l'influenza della cultura occidentale.

Ma son tutti palliativi. Ormai il vaso di Pandora dell'arricchimento personale a tutti i costi è stato aperto. Ora il terrore è che gli USA possano soffiare sul malcontento per destabilizzare il Paese: un obiettivo che per Biden sarebbe molto più gratificante che perdere tempo e risorse in Afghanistan. Anche perché tra poco più di un anno Xi, l'uomo più potente del mondo, dovrebbe ottenere il suo terzo mandato, dopo aver eliminato il limite dei due mandati istituito da Deng Xiaoping.

Sembra di assistere al replay di ciò che fece la Chiesa romana al tempo del Rinascimento: il potere politico dei papi flirtava con quello economico della borghesia, almeno finché questa non volle diventare protestante per ridurre il peso dei prelati. In men che non si dica scoppiò una durissima Controriforma e chi non ebbe la forza di opporsi, tornò al Medioevo.

 

[5] Donne afghane pronte al suicidio. La CEI e il progresso scientifico

 

16 milioni di donne sono rimaste in Afghanistan, angosciate per le restrizioni annunciate dal nuovo regime. Alcune di loro stanno iniziando seriamente a pensare al suicidio. L'ha detto Zahra Ahmadi, attivista e imprenditrice afghana.

In effetti se per i talebani le donne sono solo fattrici e serve, a quelle più consapevoli dei loro diritti, della loro dignità cosa resta?

Nella mitologia greca e sarmatica diventavano Amazzoni e si bruciavano il seno destro per tendere meglio l'arco. Nella famosa commedia di Aristofane, Lisistrata, scioperavano sul piano sessuale per indurre i mariti a firmare la pace. A Masada gli ebrei (uomini e donne) pur di non diventare schiavi dei Romani, si uccisero tutti. Nella guerra civile spagnola le donne combattevano insieme agli uomini. In Italia ebbero un ruolo fondamentale nella Resistenza.

In ogni caso i misogini talebani devono capire che chi non se n'è andata dal Paese non l'ha fatto perché non c'è riuscita, ma perché li odia a morte e farà di tutto per toglierseli dai piedi.

 

Il 3 settembre, sulla questione dell'atomo, il presidente della CEI, card. Gualtiero Bassetti, ha detto che “non sempre lo sviluppo è sinonimo di progresso”. Infatti “le armi moderne non sono un indice di sviluppo, sebbene siano tristemente un segno di progresso; le articolazioni scientifiche dell'economia moderna, che impediscono ad alcuni popoli di progredire, sono addirittura un'involuzione; lo stesso ragionamento si può fare per le moderne tecniche fotografiche che caratterizzano le patinatissime pagine della pornografia o infine il nucleare a cui non bisogna stare molto attenti a dargli la patente di sviluppo”.

Impossibile dargli torto, anzi bisogna complimentarsi per la lucidità del pensiero. Due cose però stupiscono. La prima è che debba essere la Chiesa a dire queste sacrosante verità e non un qualunque politico dotato di un minimo di razionalità. È dai tempi dell'Ariosto che andiamo sulla Luna a cercare il senno perduto degli uomini, ma a quanto pare non l'abbiamo ancora trovato. La seconda riguarda la stessa Chiesa: perché, pur avendo una consapevolezza del genere, continua ad appoggiare la destra e a stare ben ancorata al sistema dominante? Perché si ostina a fare la parte del sepolcro imbiancato?

 

[6] L'auto elettrica è davvero una soluzione ecologica? Esiste il terrorismo in Bulgaria?

 

Non è sintomatico che a inizio 2020 la Tesla (l'azienda statunitense di automobili elettriche fondata da Elon Musk), per poter produrre le sue auto in Germania, vicino a Berlino, abbia dovuto anzitutto disboscare l'area in cui sarebbe dovuta sorgere? E che lo stia facendo dove si trova una falda acquifera, che la stessa azienda intende utilizzare per le proprie attività produttive con un consumo stimato di 1,4 milioni di metri cubi all'anno?

L'iniziativa da 4 miliardi di euro ha il sostegno di tutti i maggiori partiti, anche perché, avviando la transizione verso i veicoli elettrici, potrà creare fino a 12mila nuovi posti di lavoro.

Domande: Perché siamo sempre così ingenui? Quanti posti di lavoro si perderanno nel settore automobilistico non elettrico? Come si può parlare di ecologia favorendo l'uso di auto private? Che fine faranno quelle col motore a scoppio? Verranno smaltite in Africa? Ma soprattutto: lo sanno i tedeschi che le batterie delle auto elettriche sono altamente nocive per la natura (contengono cobalto, nickel, manganese ecc.)? E che in caso di incidente automobilistico possono folgorare all'istante a causa del loro alto voltaggio? Sono batterie in grado di accumulare tensioni di circa 400 Volt DC ed erogare correnti fino a 125 Ampère (in casa dalle prese escono 220V AC con 16 Ampère).

Queste batterie sono poi realizzate con materiali (litio e ioni) che si possono incendiare anche soltanto a contatto con l'acqua. Se le auto hanno un incidente e prendono fuoco, ci vuole un estintore. È molto più facile attualmente riciclare le tradizionali batterie con piombo e acido. Non a caso alcuni produttori di auto elettriche pensano ad auto a idrogeno come alternativa più sicura alle elettriche. Senza poi considerare che già adesso il metano offre scenari ecologici e di pericolosità assai più convincenti dell'elettrico. Solo che le auto a metano non sono state incluse nel piano degli ecoincentivi.

Non era meglio fare come ad Heidelberg, dove gli autobus sono a idrogeno e le biciclette hanno delle superstrade e i quartieri sono perfettamente pedonabili? I residenti che rinunciano alla propria auto possono utilizzare i mezzi pubblici gratuitamente per un anno. Chi non può utilizzare il car sharing perché vive troppo lontano e non ha mezzi di trasporto pubblici, può prendere l'auto ma solo per recarsi verso una stazione dei treni e non verso il centro.

 

Tra il 2017 e il 2020 la Procura generale bulgara ha condotto azioni antiterrorismo che hanno portato a una serie di arresti poco chiari. Le autorità non ne vogliono parlare.

Sappiamo solo che le istituzioni in Bulgaria, e soprattutto il sistema giudiziario, giacciono nella corruzione e nel lobbismo, per cui sono aumentate le critiche da parte della UE.

Il Paese è stato colpito da forti ondate migratorie provenienti dalla Siria. Ciò ha determinato un aumento del populismo e del nazionalismo: gruppi xenofobi sono diventati parte del governo.

La protezione delle frontiere si sta però rivelando un'opportunità finanziaria, con le forze di polizia rafforzate grazie ai fondi europei. I vari governi bulgari ci tengono a dimostrare all'Europa d'essere dei partner affidabili, in modo che Bruxelles possa smettere di criticarli.

Il problema è che in Bulgaria il pericolo del radicalismo o del terrorismo è bassissimo, per cui non si giustificano tutti questi arresti, che avvengono senza alcuna prova credibile diffusa dall'intelligence. È vero che dopo svariati mesi si viene in genere rilasciati, ma intanto la professione svolta o la carriera intrapresa vengono sconvolte definitivamente, come p.es. è successo a Mohamed Abdulqader, che ha vinto tre campionati nazionali di wrestling in questo Paese.

Peraltro le autorità bulgare rifiutano d'ufficio di accettare documenti di profughi siriani, iracheni e afghani, a meno che uno non accetti di diventare un informatore del Ministero degli Interni o di pagare una percentuale sugli affari.

La Bulgaria, a differenza di altre regioni dei Balcani, non ha una storia di attività legate al fondamentalismo islamico. Eppure, incredibile a dirsi, vuol dimostrare di averla.

Fonte: frontierenews.it

 

[7] Il sistema scolastico in India. Lo ius soli in Italia

 

La Commissione nazionale dell'India per la protezione dei diritti dei bambini ha raccomandato al governo di portare le scuole delle minoranze religiose all'interno del sistema di educazione governativo. La comunicazione è arrivata subito dopo la pubblicazione di un rapporto sullo stato delle scuole in India, tra cui le madrase musulmane e gli istituti cristiani. Le scuole private costituiscono il 20% di quelle presenti nel Paese e contano il 30% degli studenti.

Cosa dice questo rapporto? Dice che esiste un numero sproporzionato tra fedeli e scuole.

Infatti secondo l'indagine il 74% degli studenti delle scuole missionarie cristiane non è cristiano e solo l'8,76% degli studenti proviene da ambienti socialmente ed economicamente svantaggiati. I cristiani gestiscono il 73% delle scuole private e i musulmani il 23%. Per es. nel Bengala occidentale il 93% delle minoranze è musulmano e il 2,5% cristiano: vi sono però 114 scuole cristiane e solo due madrase islamiche. Nell'Uttar Pradesh, anche se la popolazione cristiana è meno dell'1%, ci sono 197 scuole cristiane.

La popolazione cristiana in tutto il Paese arriva solo al 2,3%, ma ha un potere enorme nella gestione privata dell'istruzione, che pur non è finanziata dallo Stato e che, per questa ragione, si rivolge a un'utenza molto benestante, che non è neppure cristiana.

Il governo teme un indottrinamento indesiderato. Ma non si chiede come mai in India vi sia il più grande numero di ingegneri al mondo e molti scienziati di fama mondiale, e, contemporaneamente, il più elevato numero di bambini che non vanno a scuola. Vengono creati 2 milioni di laureati all'anno (soprattutto nelle discipline scientifiche), ma 1/3 della popolazione è analfabeta. Solo il 10% degli studenti arriva all'università, che ha costi elevatissimi. Su 320 milioni di giovani in età scolare, solo il 24% ha un accesso a internet.

La scelta politica d'introdurre le lingue regionali come veicolo d'insegnamento ha portato la borghesia a optare per le scuole private che insegnano solo in inglese. Oggi inoltre il 50% delle scuole elementari pubbliche non ha servizi igienici, nel 60% non c'è corrente elettrica e il 25% degli insegnanti non si presenta al lavoro. Il 90% dei bambini in età scolare si iscrive a scuola, ma il 25% abbandona prima della quinta classe, e quelli che ci arrivano non hanno imparato a leggere e contare in maniera soddisfacente. Insomma l'istruzione nelle scuole governative indiane non è considerata in grado di fornire un'alta qualità di apprendimento agli studenti. In queste condizioni la religione dovrebbe essere considerata l'ultimo dei problemi. E infatti le famiglie hindu benestanti l'han capito.

 

In Italia si parla spesso di ius soli, senza che siano stati mai fatti passi concreti per farlo diventare legge. La questione è tornata a essere dibattuta perché alle Olimpiadi di Tokyo hanno partecipato diversi atleti italiani nati in Italia da genitori stranieri, e che hanno ottenuto la cittadinanza italiana solo dopo averne fatto richiesta una volta compiuti i 18 anni.

Lo ius soli è in vigore in vari Paesi, soprattutto nel continente americano, mentre in Italia è in vigore lo ius sanguinis (dal latino, “diritto di sangue”): un bambino è italiano se almeno uno dei genitori è italiano, mentre un bambino nato da genitori stranieri, anche se partorito sul territorio italiano, può chiedere la cittadinanza solo dopo aver compiuto 18 anni e se fino a quel momento abbia risieduto in Italia legalmente e ininterrottamente. È una forma di razzismo, è evidente, che piace tanto alla nostra destra xenofoba.

È il caso di Desalu, il velocista vincitore della medaglia d'oro nella staffetta 4×100 metri insieme a Patta, Jacobs e Tortu. Desalu è nato a Casalmaggiore, in provincia di Cremona, ma essendo figlio di genitori nigeriani ha dovuto aspettare il compimento dei 18 anni per diventare italiano. Jacobs invece è italiano dalla nascita, in quanto figlio di madre italiana e padre statunitense.

A proposito del caso di Desalu e di tutti gli atleti che si trovano nelle sue condizioni in Italia, il presidente del CONI, Giovanni Malagò, ha detto che è necessario approvare una legge che introduca quello che ha definito ius soli sportivo, che permetta ai minori nati in Italia da genitori stranieri di gareggiare per l'Italia.

Dal 2016, infatti, esiste una legge che permette loro di essere tesserati dalle federazioni sportive italiane a partire dai 10 anni di età, ma non di poter essere convocati per le selezioni nazionali. “Oggi in Italia c'è una legge. Ma se tu aspetti 18 anni per fare la pratica, rischi di perdere la persona. Allora farò una proposta: anticipare l'iter burocratico, che è infernale. Altrimenti o l'atleta smette, o si tessera col Paese d'origine, o arrivano altri Paesi che studiano la pratica e lo tesserano loro”, ha detto Malagò.

Generalmente le proposte ruotano attorno a questi princìpi:

1) un bambino nato in Italia diventa automaticamente italiano se uno dei due genitori si trova legalmente in Italia da almeno 5 anni;

2) se il genitore in possesso di permesso di soggiorno non proviene dalla UE, deve avere un reddito non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale, disporre di un alloggio che risponda ai requisiti di idoneità previsti dalla legge, superare un test di conoscenza della lingua italiana;

3) possono chiedere la cittadinanza italiana i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni che abbiano frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni e superato almeno un ciclo scolastico;

4) i ragazzi nati all'estero ma arrivati in Italia fra i 12 e i 18 anni possono ottenere la cittadinanza dopo aver abitato in Italia per almeno sei anni e avere superato un ciclo scolastico.

 

[8] L'illusione dei Bitcoin nel Salvador. Le varianti del Covid-19. Le assurdità dei novax

 

Il governo di El Salvador ha iniziato ad acquistare Bitcoin, installando appositi bancomat, dove i cittadini possono convertire la criptovaluta in dollari statunitensi, la valuta ufficiale. Quindi il Bitcoin avrà corso legale come moneta reale.

Nessuno però ha aggiunto che la maggior parte della popolazione appare preoccupata dal piano governativo. Oltre il 67% è in disaccordo con l'uso del Bitcoin come moneta a corso legale, secondo un sondaggio della Central American University, un'università gesuita con sede a El Salvador. Il sondaggio, condotto ad agosto, ha anche mostrato che 9 persone su 10 non hanno una chiara comprensione del Bitcoin e 8 su 10 hanno affermato di avere poca o nessuna fiducia nel suo utilizzo.

Infatti il Paese potrà essere facilmente ricattato da chiunque possegga quella moneta. Prima lo era solo dai dollari americani.

 

Il frequente sequenziamento genomico del Covid-19, che in passato non era mai stato fatto su scala così vasta, ci ha consentito di tracciare e mappare l'evoluzione del virus in tempo reale, seguendone adattamenti e mutazioni.

Attualmente la variante più pericolosa a livello mondiale è la Delta, ma ce ne sono altre che infestano il pianeta e ci obbligano a prendere tutte le precauzioni possibili: Eta, Iota, Kappa e Lambda, le cosiddette “varianti d'interesse”, e Alfa, Beta, Gamma e Delta, dette “varianti di preoccupazione”.

Gli scienziati ritengono che l'indiana Delta sia almeno il 50% più contagiosa dell'inglese Alfa, a sua volta più contagiosa del ceppo originario di circa il 50% circa. In particolare la Delta, poiché può colpire, seppure in maniera ridotta, anche i vaccinati, ci ha fatto capire che dobbiamo rinunciare all'immunità di gregge.

Speriamo non si debba usare tutto l'alfabeto greco per dare un nome a tutte le possibili varianti. Nell'ultimo anno e mezzo, il Covid-19 si è fatto strada in circa 200 milioni di persone, e non è ancora sazio. Infatti nel gennaio 2021 è comparsa una nuova variante (d'interesse) in Colombia, meno forte della Delta, ma già diffusa in 39 Paesi: l'han chiamata Mu, di cui abbiamo già avuto 34 casi in Svizzera.

Al momento i vaccini ci proteggono abbastanza bene contro l'infezione sintomatica e contro la malattia grave provocata da tutte le varianti del virus fin qui individuate. Ma la guerra non è ancora vinta. E se si continua a dire che si tratta di un semplice raffreddore o al massimo di una polmonite o che colpisce solo gli anziani o che i vaccini non servono a niente o che è una macchinazione dei governi e altre amenità del genere, sicuramente ne usciremo sconfitti, anche se è assodato che i genomi virali non sono infinitamente mutevoli.

 

Scrive Teresa Simeone su “MicroMega” del 6 settembre:

Esiste una minoranza, rumorosa e residuale, che aspira a farsi maggioranza (senza riuscirvi) e che, dall'inizio della pandemia, è stata, nell'ordine, negazionista, No Mask, No Lockdown, No Vax, No Dad e ora è, naturalmente, No Green pass.

Per mesi hanno portato a sostegno delle proprie tesi ogni sorta di notizie, prendendo i dati che fanno loro comodo. Prima negavano che ci fosse una pandemia, poi che fosse veramente letale. Quando i contagiati sono aumentati a tal punto da intasare le terapie intensive, han cominciato a sostenere che si diffondevano numeri sbagliati per imporre il terrore e controllarci con varie misure di sicurezza. Il termine “dittatura sanitaria” ha iniziato a girare col fascino intrigante del complotto governativo.

A supporto della libertà da difendere non sono mancate le voci di autorevoli capi di Stato come Johnson, Trump e Bolsonaro, che inizialmente promettevano che mai avrebbero ridotto gli spazi di autonomia economica nei propri Paesi, salvo poi essere smentiti dalle morti e dalla richiesta degli stessi cittadini di arginare il virus.

Tuttavia quando ci si è resi conto che i morti da pandemia non potevano essere quelli da semplice influenza, i novax han cominciato a sostenere che la colpa di tutti questi morti era delle scelte governative.

Ora il nuovo slogan è diventato: tamponi gratuiti per tutti (quei tamponi che prima non servivano a niente perché il covid è un'invenzione e poi erano demonizzati perché violentavano bambini e giovani!). Cioè lo Stato, che ti mette a disposizione la possibilità di immunizzarti gratuitamente col vaccino, deve accollarsi anche il costo giornaliero di migliaia di tamponi e magari impegnare personale specializzato distogliendolo dal suo lavoro.

Vivere in società significa superare il proprio irriducibile individualismo: non si tratta di difendere lo spazio di libertà personale dall'ingerenza dell'altro, quanto limitare le proprie pretese nella considerazione che ci sono soggetti che, come me, hanno diritti. Comporta proteggere i beni pubblici, perché ne usufruiamo tutti.

Anche fumare in luoghi chiusi è un comportamento lesivo della salute altrui: in nome di una presunta libertà assoluta, si sarebbe dovuto tutelare il diritto a fumare di chi diffonde veleno e non quello di chi ha diritto a non inalarlo?

 

Scrive Vincenzo Cottinelli su “MicroMega” del 6 Settembre:

Oggi, in tutto il mondo, i non vaccinati per il Covid sono in testa alle classifiche di mortalità e sono gli occupanti quasi esclusivi (in un certo senso abusivi) di terapie intensive e posti letto, a danno di bisognosi di tutte le altre patologie.

Ci sono anche gli anticapitalisti duri e puri, che rifiutano il vaccino perché sarebbe un prodotto di giganteschi mostri unificati sotto il nome di Big Pharma. Cioè le industrie farmaceutiche, colossi multinazionali, spesso monopolistiche, secondo loro: a) fanno parte, insieme a governi, gruppi finanziari, singoli miliardari (Bill Gates, Clinton, Soros) di un complotto mondiale finalizzato a indurre un falso bisogno di un farmaco da loro prodotto, con la sottomissione di interi popoli a misure restrittive e all'assunzione coatta di una sostanza non verificata o di dubbia efficacia; b) in ogni caso lucrano miliardi da questa produzione artificiosamente indotta, a spese dei governi e dei popoli. L'opposizione al vaccino è dunque un momento fondamentale di una guerra di resistenza anticapitalistica e antiautoritaria.

Chiedo: c'è una norma costituzionale che garantisce una generale “libertà di fare i propri comodi”? No, anzi, all'opposto, nell'art. 2 si pongono i doveri inderogabili di solidarietà. Vaccinarsi è essere solidali. Ma forse c'è un diritto generale all'esenzione dal vaccino? La risposta la dà l'art. 32 della Costituzione “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Dunque la legge può obbligare a vaccinarsi. Non lo può fare il Sindaco né il Prefetto, ma il Parlamento sì, di sua iniziativa o su input del Governo.

E perché mai il Parlamento dovrebbe ficcare il naso nella mia salute obbligandomi a fare il vaccino? È ancora l'art. 32 che risponde: caro cittadino, la tua salute non è solo un tuo diritto, ma è “interesse della collettività”, cioè tutti abbiamo bisogno che tu stia bene, perché da malato ci costi, non produci, non consumi e magari contagi pure i sani, se ti ammali di covid.

 

[9] La sharia talebana per le donne. I fanatismi religiosi. Nuovo governo talebano

 

Cosa ti comporta la sharia talebana se sei donna? Niente di particolare: solo alcune piccole limitazioni...

Devi accettare di avere sempre un tutore quando esci di casa, camminandogli un metro indietro. Non puoi mai guardare negli occhi nessun uomo, neppure tuo marito. Non puoi avere alcuna vera istruzione e puoi fare solo determinati lavori. Non potrai avere alcuna carica pubblica né praticare alcun tipo di sport. In tribunale la tua testimonianza vale la metà e anche nelle eredità hai diritto solo alla metà. Sempre che tu ti sia comportata bene. Non puoi gestire nessun conto corrente. Non puoi truccarti in alcuna maniera e se usi lo smalto per le unghie ti tagliano la punta del pollice. Non puoi ballare, cantare o ascoltare musica non autorizzata dal governo. Meno che mai in pubblico. Non puoi provare i vestiti in un camerino quando li acquisti perché susciti fantasie morbose nel negoziante. Devi sottostare a tutte le voglie sessuali del marito e non puoi praticare alcuna contraccezione. Sei fattrice e serva. Non puoi comprare nessuna bambola per tua figlia. Non potrai leggere o sfogliare nessuna rivista non preventivamente censurata. Non potrai guidare nessun mezzo, né prendere un taxi. Se rubi ti tagliano la mano. Se tradisci il marito ti lapidano. È facile che tu venga frustata se in pubblico ti comporti male: basta non portare il burqa. E se sei in età da marito, aspettati un matrimonio combinato.

Come vedi, solo piccole limitazioni per il tuo bene, per la tua sicurezza. Così dicono i talebani.

 

L'unica differenza tra i vari fanatismi religiosi è che mentre in Europa siamo stati capaci di combattere quello cattolico e protestantico, anche a rischio di fare del laicismo una nuova religione, nel mondo islamico invece non sono stati capaci di combattere il proprio fanatismo. Tant'è che nessun Paese islamico, in questi giorni, sta condannando quel che fanno i talebani. Come ieri nessuna persona influente dell'islam condannava ufficialmente, espressamente gli atti terroristici compiuti da Al-Qaeda, ISIS, Boko Haram ecc.

Il motivo è uno solo: i Paesi islamici generalmente coincidono con quelli che han subìto il colonialismo europeo, per cui son portati a politicizzare al massimo la loro religione, proprio in funzione antioccidentale. Han vissuto la rivoluzione industriale come un prodotto d'importazione, ma la cultura inerente a tale rivoluzione non l'hanno acquisita, se non in maniera superficiale.

 

I talebani devono conquistare la fiducia della comunità internazionale per ottenere di nuovo gli aiuti che coprivano il 30% del budget del Paese e il 90% dei salari pubblici. Soldi senza i quali l'Afghanistan non può andare avanti.

A Kabul si fa la fila in banca per ritirare 20mila afghani, la moneta locale, pari a 200 dollari, il massimo consentito. Le riserve delle banche afghane sono per il momento congelate nelle mani degli Stati Uniti.

Il nuovo governo talebano è composto da 33 mullah, 4 dei quali sono sottoposti a sanzioni statunitensi. Il governo sarà guidato da uno dei loro fondatori, Mohammad Hassan Akhund, che risulta nella lista Onu di persone designate come “terroristi o associati a terroristi”. Come ministro dell'Interno c'è un militante ricercato dall'FBI con una taglia da 5 milioni di dollari, Sirajuddin Haqqani, leader dell'omonima rete di milizie ritenuta vicina ad Al-Qaida.

I fondamentalisti al potere cercano appoggio e chiedono di aprire negoziati coi governi di mezzo mondo. Ma solo il Qatar, al momento, continuerà a ospitare le ambasciate occidentali. La Cina ha però affermato d'essere subito pronta a costruire relazioni amichevoli.

Nel mezzo dei colloqui tra le diplomazie, il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid, ha fatto sapere che il nuovo governo sarà islamico e formato da soli uomini. E avrà come modello quello della Repubblica islamica dell'Iran. Hibatullah Akhundzada sarà riconosciuto come il leader supremo dell'Afghanistan, la più alta carica del Paese, che avrà il potere di decidere la linea politica, annullare le leggi e anche rimuovere il presidente.

La repressione contro qualsiasi espressione di dissenso è iniziata. Rinnegando le promesse fatte questo esecutivo non è né “inclusivo” né “rappresentante” della diversità etnica e religiosa del Paese. Le donne sono state bandite dallo sport e le studentesse sono invitate a restare a casa. Il Ministero per gli affari femminili è già stato sostituito con il Ministero per le virtù e la prevenzione del vizio.

 

[10] La prigione americana di Guantanamo. Controllo dei giudici in Polonia

 

La prigione americana di Guantanamo Bay, a Cuba, è stata inaugurata nel 2002. Vi sono detenute ancora 40 persone, 15 delle quali dall'anno della sua apertura. Da allora vi hanno transitato 780 detenuti. Barack Obama voleva chiuderla ma non c'è riuscito. Donald Trump voleva invece che restasse ben aperta. Joe Biden non ha promesso di chiuderla. D'altronde molti parlamentari democratici si sono schierati al fianco dei repubblicani per tenerla aperta.

Eppure sin dalla sua creazione, Guantanamo rappresenta per gli USA una vergogna sia umanitaria che giuridica. È stata aperta calpestando tutte le leggi internazionali, ed è stata organizzata come un prolungamento della rete di prigioni segrete della CIA, dove si praticava massivamente la tortura.

Nel corso del tempo il carcere è diventato anche uno scandalo sul piano finanziario e amministrativo. Il suo funzionamento mobilita 1.500 persone (tra militari, personale amministrativo e legale, medici, ecc.) e costa più di 500 milioni di dollari all'anno, per soli 40 detenuti (13 milioni di dollari a detenuto!). Dopo 20 anni dovrebbero anche essere investiti centinaia di milioni di dollari per effettuare dei lavori di ristrutturazione.

Nel 2018 il Pentagono ha ordinato alla direzione della prigione di pianificare le sue operazioni fino al 2043! Questo perché i militari non vogliono che la sorte dei 40 prigionieri venga decisa da procedure giudiziarie ordinarie e non dalle “commissioni militari”, cioè i tribunali eccezionali creati appositamente. Infatti una procedura “normale” rivelerebbe gli abusi e le torture subìte dai detenuti e porterebbe all'apertura di procedimenti giudiziari contro i loro autori, da quelli diretti (i militari) a quelli indiretti (i politici).

Amnesty International dice che Guantanamo è sinonimo di “detenzioni inesorabilmente legate a molteplici livelli di condotta illegale da parte del governo nel corso degli anni: trasferimenti segreti, interrogatori segreti, alimentazione forzata per chi era in sciopero della fame, torture, sparizioni forzate e assenza totale di rispetto della legalità”.

Ancora oggi 25 detenuti non sono né incriminati né giudicati, ma restano lì perché considerati “altamente pericolosi”, secondo i servizi segreti e il ministero della Difesa.

 

Il partito populista che governa la Polonia dal 2015 si rifiuta di smantellare, come richiesto dalla UE, la “Camera disciplinare della magistratura”, istituita per sorvegliare il lavoro dei giudici, con tanto di potere di revoca della loro immunità o di riduzione dei loro stipendi, quando sono in gioco determinati processi penali. Per la Commissione europea questa nuova istituzione mina lo Stato di diritto e va contro gli standard democratici degli Stati membri.

Curioso che il partito al governo si chiami “Diritto e Giustizia”. Si è difeso dicendo che la riforma del sistema giudiziario serve per combattere la corruzione e a porre fine all'eredità dell'era comunista.

Peccato che la corruzione sia più dei politici che non dei giudici. Senza poi considerare che la dipendenza della magistratura all'esecutivo era proprio una caratteristica dei regimi comunisti.

In realtà il governo accusa i giudici d'essere troppo schierati politicamente. La stessa accusa veniva fatta alla nostra magistratura al tempo dei governi di Berlusconi, uno dei politici più corrotti del nostro Paese, che l'attuale destra vorrebbe come capo di stato.

Intanto Bruxelles ha anche minacciato di congelare i fondi europei a cinque regioni polacche che si sono dichiarate apertamente anti-Lgbt. Se va avanti così, la Polonia meriterebbe d'essere espulsa dalla UE.

 

[11] La svolta puritana della Cina di Xi Jinping. Cina e sinistra radicale

 

Le nuove regole moralizzatrici varate dal governo cinese di Xi Jinping colpiscono ora anche il mondo dello spettacolo e dei talent show, denunciando la creazione di “idoli” che potrebbero influenzare negativamente i giovani.

Nel mirino in modo particolare gli artisti con comportamenti più “effeminati”. Già all'Università di Shangai era stato chiesto, tempo fa, di redigere una lista coi nomi degli studenti appartenenti alla comunità Lgbt. Siamo alle solite: si colpiscono le minoranze ritenute “eccentriche” per educare tutto il popolo.

Il Partito-Stato intende infatti sfornare servitori del regime pronti a sacrificarsi per la patria tanto nella guerra economica contro la concorrenza imperialistica (Stati Uniti, in primis) di oggi, quanto in quella propriamente militare di domani. Ha bisogno di “virilità”.

Di qui la necessità di tagliare nei film scene di rapporti sessuali o comportamenti sessuali anormali e di oscurare temi scomodi sui social media. L'obiettivo è di proteggere le giovani generazioni, considerate vittime delle influenze straniere che tendono a ribaltare i canoni di genere.

Lo stesso pensiero vigeva già all'epoca di Mao Zedong, che concepiva l'amore per lo stesso sesso come un malevole effetto del capitalismo occidentale da punire. Mao addirittura denunciò come espressione della “degenere cultura borghese e dei corrotti costumi occidentali” baciarsi in pubblico, tenersi per mano e altre manifestazioni d'affetto di stampo “piccolo-borghese” che “deprimono lo spirito collettivistico e la volontà di lotta delle masse proletarie”. Durante la Rivoluzione Culturale ogni segno di femminilità era bandito e, allo stesso modo, qualsiasi discorso riguardante la vita personale e l'ambito sessuale considerato moralmente inappropriato. La propaganda celebrava le eroine rivoluzionarie, donne forti e robuste che sfidavano la propria femminilità con l'indistinzione unisex e il duro lavoro fisico. Vi era un processo di omologazione al maschile della società che imponeva alle donne di comportarsi e vestirsi come gli uomini. Parlare d'amore, cantare una canzone d'amore o passeggiare con una persona del sesso opposto erano proibiti.

Oggi non siamo a questi livelli, ma ci manca poco. Secondo la direttrice del Beijing Lgbt Center, “In Cina ci sono circa 90 centri che offrono un trattamento a pagamento (circa 100 euro a seduta) che non ha nulla di scientifico e che mira al passaggio all'eterosessualità: vengono effettuati elettroshock ai genitali e somministrate droghe che inducono alla nausea durante la visione di film pornografici gay, oppure si fa ricorso all'ipnosi. Come centro ci battiamo molto per aiutare i giovani a ottenere dalle cliniche un risarcimento danni per il trattamento ricevuto” (“Il Manifesto”, 6/2/2021).

Impossibile che qui non venga in mente il film “Arancia meccanica”.

 

Quando la sinistra radicale sostiene che la Cina, a partire dalla fine del 1991, è diventata l'Unione Sovietica dei nostri giorni, mi fa pensare che il termine “talebano” non sia riconducibile a una persona fisica, ma sia in realtà trasversale a molte persone, anche ideologicamente contrapposte, a prescindere dall'atteggiamento che possono avere nei confronti della religione.

Quando questa sinistra è disposta a soprassedere sulle gravi mancanze del governo cinese in merito a democrazia e diritti umani, solo per poter far valere l'idea che nei confronti degli USA e dell'occidente in genere esiste un valido e temibile antagonista, sul piano sia tecnoscientifico che economico e militare, mi viene da pensare che in nome di una ideologia, sia di destra che di sinistra, si può essere disposti a compiere qualunque cosa.

Magari al di fuori di questa ideologia si è delle ottime persone. Però quando si toccano certi argomenti, si diventa subito intolleranti, si diventa come matti. La politica sembra diventare l'ambito in cui la psicopatologia mostra il suo volto più pericoloso.

 

[12] Che cos'è l'islam politico? La lezione dall'Afghanistan

 

L'islam politico è nato dopo la fine dell'impero ottomano (1922), e la sua radicalizzazione anti-occidentale è una conseguenza dell'atteggiamento prevaricatore di Francia, Regno Unito e Stati Uniti in Medio Oriente e, più in generale, nel mondo islamico. Mustafa Kemal Atatürk pose fine al Califfato ottomano (ultimo riconosciuto al mondo) nel 1924, creando uno Stato laico, che però oggi Erdoğan ha messo in discussione.

Islam politico non necessariamente vuol dire terrorismo o sharia, però certamente non vuol dire democrazia. E anche la sua concezione dei diritti umani (soprattutto nei confronti delle donne) contiene aspetti che il mondo occidentale giudica molto primitivi.

L'islam politico può riguardare gli Stati islamici oppure i gruppi e movimenti che lottano per avere un ruolo governativo all'interno dei loro Stati. In ogni caso sia gli uni che gli altri usano la loro religione come uno strumento politico con cui difendersi dalle mire colonialistiche e imperialistiche dell'occidente capitalistico.

L'islam politico è un mondo incredibilmente vasto e complesso, ma in generale si può sostenere che l'ideologia di fondo contiene tre princìpi standard:

- la volontà di organizzare l'intera società e la politica sulla base della religione islamica (è il fondamentalismo o integralismo religioso);

- una condivisa mitizzazione del passato che porta a idealizzare la purezza del primo islam, considerato come modello ideale di riferimento (il che comporta la subordinazione di qualunque minoranza);

- l'obiettivo di purificare la società musulmana dalle contaminazioni culturali importate dall'esterno, considerate motivo del declino dell'islam (di qui l'acceso nazionalismo).

Naturalmente i modelli europei sono stati adottati da molti leader islamici al momento della costruzione dei rispettivi Stati, non solo per costrizione esterna, ma anche perché parte delle élites erano convinte che l'arretratezza dei loro Paesi fosse dovuta proprio alle strutture sociali, economiche e politiche dell'islam.

Era piuttosto l'ortodossia islamica di matrice clericale a ritenere che la “modernità” occidentale avrebbe allontanato la comunità musulmana dalla pratica dell'islam.

Purtroppo è stato il generale fallimento del modello occidentale nei Paesi islamici che ha indotto a cercare dei modelli alternativi basati sui princìpi islamici, in grado di fornire tutte le risposte alle necessità dei nuovi Stati-nazione mediorientali.

È in questo contesto che nasce il primo movimento islamista, la Fratellanza Musulmana, fondata in Egitto nel 1928. Pur essendo repressa da Nasser (1954-70), essa si è presto diffusa in Siria, Giordania, Tunisia e nei territori palestinesi.

Poi, nella seconda metà del '900 sono comparse organizzazioni jihadiste, e il fenomeno ha conosciuto una deriva armata e violenta. Tuttavia laddove l'islam politico è riuscito a entrare nei sistemi di governo (p.es. in Tunisia o in Marocco), si è rivelato totalmente incapace a esercitare il potere e a gestire gli affari nazionali.

A tutt'oggi il risultato più significativo e duraturo è stato ottenuto dalla Repubblica Islamica dell'Iran, con la rivoluzione teocratica compiuta da Khomeini nel 1979, che ha deposto lo scià filo-occidentale Reza Pahlavi. Per l'ayatollah sciita Khomeini “L'islam o è politica o non è nulla”. E i talebani afghani la pensano come lui. Infatti han preso l'Iran come modello.

 

La principale lezione che ci ha impartito l'Afghanistan è forse la seguente. Il loro islam politico e il nostro liberismo economico sono due facce della stessa medaglia: l'intolleranza.

La differenza è che l'attuale liberismo è frutto di una rivoluzione della mentalità iniziata mille anni fa nei Comuni italiani, mentre l'islam politico, nato dopo la fine dell'impero ottomano, ha cercato di difendersi da una cultura borghese imposta con la forza, senza però riuscire a creare alcuna vera alternativa.

Il liberismo occidentale si ritiene superiore all'islam in nome della democrazia parlamentare, dei diritti umani e del libero mercato, ma l'islam politico avverte tutti questi valori come del tutto formali, in quanto l'occidente ha cercato di imporli al mondo intero attraverso la pratica del colonialismo e dell'imperialismo (oggi chiamata globalismo).

Ecco perché l'islam politico, non avendo mai conosciuto alcuna vera democrazia, si sente autorizzato a usare il radicalismo nell'interpretazione dell'Islam e le armi del terrorismo contro l'occidente.

Potrà resistere l'islam politico in un mondo in cui il liberismo economico è stato assunto anche da tre colossi asiatici come Cina, India e Russia? Dipende da quanto verrà foraggiato con mezzi economici e militari dalle superpotenze che si combatteranno tra loro. Gli USA l'han fatto in Afghanistan per eliminare lo Stato laico di Najibullah Ahmadzai, ultimo presidente della Repubblica Democratica dell'Afghanistan, sostenuto dai sovietici, e questo è il risultato. Di sicuro l'islam politico non è un'esperienza che può insegnare qualcosa di positivo a qualcuno. Cacciare un invasore straniero o abbattere una dittatura per tornare al Medioevo non serve a niente.

 

[13] Marocco e Algeria ai ferri corti

 

Marocco e Algeria hanno interrotto le relazioni diplomatiche. I rispettivi consolati resteranno aperti, ma aumenteranno i controlli al confine, lungo circa 1.500 km, già chiuso dal 1994.

Il primo motivo di contesa è il Sahara occidentale, la regione nel sud del Marocco, in parte controllata dal Fronte Polisario, movimento nazionalista che da più di 40 anni chiede l'indipendenza dal governo marocchino.

La disputa sul Sahara occidentale iniziò nel 1975, quando il Marocco decise di annettere una parte dell'area, considerandola parte integrante del suo Paese e rivendicando la sovranità anche sul tratto dei territori desertici meridionali, ricchi di giacimenti naturali.

In quegli stessi anni, il Fronte Polisario – riconosciuto dall'ONU come rappresentante legittimo del popolo Sahrawi, gruppi tribali arabo-berberi che abitano quelle zone – annunciò la nascita della Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi, instaurando un governo in esilio ospitato dall'Algeria, che ne diventò in qualche modo protettore. Il Fronte ha continuato a chiedere al governo marocchino un referendum per l'indipendenza, che però non si è mai svolto. La guerriglia per l'indipendenza è proseguita fin quando, nel 1991, venne dichiarato un cessate il fuoco.

Tuttavia le tensioni sono riprese nel 2020. In particolare si sono aggravate dopo il rafforzamento delle relazioni tra Marocco e Israele, avvenuto appunto in quell'anno, con la mediazione degli Stati Uniti, nell'ambito della normalizzazione dei rapporti d'Israele con varie potenze arabe del Nord Africa e del Medio Oriente.

Per incoraggiare il Marocco a riconoscere Israele, l'allora presidente statunitense Trump fece una promessa del tutto scriteriata: impegnò gli USA a riconoscere la sovranità del Marocco sul Sahara occidentale, cosa che naturalmente suscitò lo sdegno dell'Algeria.

Forte del sostegno statunitense e israeliano, il Marocco, quest'anno, ha aperto altre due crisi diplomatiche con Spagna e Germania. A maggio, quando migliaia di migranti sono arrivati nella città di Ceuta, enclave spagnola circondata dal Marocco, la Spagna ha accusato il governo marocchino d'aver sospeso i controlli alle frontiere come ritorsione per la decisione del governo spagnolo di accogliere nel Paese per cure mediche un leader del Fronte Polisario, Brahim Ghali, malato di Covid-19.

Sempre a maggio il Marocco aveva richiamato il proprio ambasciatore a Berlino dopo aver accusato il governo tedesco di aver definito il Sahara occidentale un territorio “occupato dal Marocco”. Berlino aveva anche chiesto una riunione d'emergenza del Consiglio di sicurezza dell'ONU per lo svolgimento del suddetto referendum.

A questa situazione già tesa si è aggiunto il sostegno espresso qualche settimana fa dal rappresentante permanente del Marocco alle Nazioni Unite, Omar Hilale, al diritto all'autodeterminazione della regione algerina della Cabilia, a maggioranza berbera, portato avanti dal Movimento Separatista per l'Autonomia della Cabilia.

Per Hilale l'Algeria non avrebbe dovuto negare questo diritto in Cabilia proprio mentre ne sosteneva uno identico per il Sahara occidentale. L'Algeria, che in maggio aveva classificato il Movimento per l'autodeterminazione della Cabilia e il movimento islamista Rachad come gruppi terroristici, ha risposto che le dichiarazioni di Hilale erano di un'estrema gravità e lo scorso 18 luglio il ministero degli Esteri algerino ha richiamato in patria il suo ambasciatore a Rabat.

Il governo algerino ha inoltre scoperto che il Marocco sta utilizzando il software israeliano Pegasus per spiare funzionari e cittadini algerini. Ha altresì accusato il Marocco d'essere coinvolto (sostenendo i suddetti gruppi terroristici) nei vasti incendi che hanno colpito il nord del Paese e la Cabilia all'inizio di agosto, in cui sono morte almeno 90 persone.

Ci mancava anche questa grave tensione nel Nord Africa e nell'Africa occidentale, dove la situazione è già parecchio complicata a causa della guerra civile in Libia e nel Mali.

Che fine faranno poi i 50.000 marocchini che lavorano in Algeria non si sa. Si sa soltanto che tutti questi problemi a noi europei sembrano non interessare.

Non dimentichiamo che esiste anche il gasdotto Maghreb-Europa, che collega i giacimenti algerini alla Spagna attraverso il Marocco. Il contratto scadrà il prossimo 31 ottobre e, per ritorsione, l'Algeria potrebbe non rinnovarlo, anche se, a quanto pare, esiste un altro gasdotto, detto Medgaz, che collega direttamente Spagna e Algeria.

 

[14] La fine di Abimael Guzmán, fondatore di Sendero Luminoso. Il ruolo della Cina

 

L'11 settembre è morto il filosofo comunista peruviano, e in seguito terrorista, Abimael Guzmán, fondatore del movimento Sendero Luminoso, che si stima abbia provocato, direttamente o indirettamente, la morte di circa 70.000 persone fra il 1980 e il 2000 (vari siti però parlano di oltre 30.000). Aveva 86 anni ed era nel carcere di massima sicurezza alla base navale peruviana di Callao.

La sua idea di società prevedeva l'assenza di soldi, commercio, banche e industrie: secondo lui i peruviani avrebbero dovuto vivere da proprietari terrieri e l'economia doveva basarsi sul baratto. La principale ispirazione di Sendero Luminoso erano le idee del leader comunista cinese Mao Zedong (il cui “Grande Balzo in Avanti” del 1958-62 provocò la morte di 40-45 milioni di persone e la cui rivoluzione culturale, nel 1966, uccise altre 700.000 persone), nonché dei comunisti cambogiani, gli Khmer Rossi, che sterminarono il 25% della popolazione del loro Paese.

Dal 1980 il gruppo si era trasformato da banda disordinata di contadini e studenti radicali a una delle organizzazioni di guerriglia più aggressive del Sud America. Cercò anche di prendere il potere attraverso una serie di attentati esplosivi in luoghi pubblici, omicidi e rapimenti, soprattutto nei confronti di chi collaborava col governo.

Nel 1992 Guzmán venne catturato in una villa di Lima dove si nascondeva. L'anno dopo dichiarò pubblicamente la pace col governo peruviano, dopodiché circa 6.000 guerriglieri rinunciarono alla lotta armata. Ma lui rimase in carcere. Nel 2006 fu condannato all'ergastolo.

Domanda: perché da istanze giuste si arriva a vivere delle esperienze che di umano non hanno nulla?

Risposta: perché si ha troppa fretta. Se le istanze sono giuste, sarà il popolo a trasformarle in un'esperienza di liberazione.

 

Dicono che all'interno dello scontro planetario ormai plurisecolare tra capitalismo e comunismo, generatosi e riprodottosi senza sosta per tutto il globo a partire dall'Ottobre del 1917, fermo restando il peso specifico significativo di altri Stati socialisti (Vietnam, Cuba, ecc.) e le potenzialità latenti nella classe operaia occidentale e nei movimenti o Stati antimperialisti del sud del pianeta, la Cina popolare costituisce attualmente la forza motrice principale del movimento comunista mondiale e del processo storico dell'umanità, oltre che il più importante vettore politico-materiale che alimenta la tendenza progressiva del genere umano.

Per dire un'assurdità del genere bisogna fare delle enormi e assolutamente ingiustificate concessioni all'ideologia. Cioè bisogna guardare la vita coi paraocchi. Solo in questo modo infatti si può ritenere possibile che la Cina sia il Paese più democratico del mondo. Mi chiedo come sia possibile ritenere ch'essa sia un modello vincente per l'umanità solo perché si pone come antagonista dell'Occidente borghese e individualista e che lo faccia in nome del marxismo e del socialismo con caratteristiche cinesi? Davvero è sufficiente dirsi diversi per esserlo veramente?

Anche il terrorismo islamico dice di essere anti-occidentale, e noi possiamo dire che non è democratico solo perché compie attentati dinamitardi, non rispetta i diritti delle donne e delle minoranze e non fa progredire l'umanità sul piano economico? Qual è il criterio della democrazia? Quella vera, non soltanto quella che ci fa votare. Riusciamo a capire che il rispetto dei diritti umani va al di là di qualunque ideologia ed economia?

 

[15] Gli aiuti ai talebani. La Lega e la Disney

 

Il segretario generale dell'ONU, Antonio Guterres, ha detto a Ginevra che stanno raccogliendo almeno 600 milioni di dollari da destinare agli aiuti umanitari in Afghanistan. La stessa ONU destinerà 20 milioni dal suo fondo d'emergenza per sostenere 11 milioni di afghani (su una popolazione di 38 milioni), mentre gli Stati Uniti hanno annunciato lo stanziamento di quasi 64 milioni di dollari.

Ci si fida delle promesse di un gruppo di criminali, fanatici e misogini, che in questi giorni sta massacrando, solo per rappresaglia, molti civili nel Panshir. Han detto che garantiranno un accesso sicuro agli aiuti internazionali, una protezione della vita degli operatori umanitari e che non entreranno nelle basi delle Nazioni Unite e delle altre organizzazioni. Anche in agosto avevano detto che non erano più quelli di 20 anni fa e che avrebbero rispettato i diritti delle donne.

Prima con una mano gli blocchiamo i fondi che hanno all'estero per indebolirli sempre più e isolarli a livello internazionale. Poi con l'altra sosteniamo finanziariamente il loro popolo, impedendo così che si ribelli alla fame che patisce per colpa del nuovo governo.

Di Maio ha addirittura detto che il sostegno economico servirà a impedire nuovi flussi migratori. Cioè praticamente li aiuteremmo per fare del bene a noi stessi.

Come se l'Afghanistan non sia destinato a diventare un rifugio per i terroristi di tutto il mondo...

 

L'Agcom ha comminato alla Walt Disney una multa di 62.500 euro per la messa in onda il 12 marzo su Fox di una puntata (peraltro vecchia di anni) della serie “I Griffin”. L'accusa si fonda sul reato – ancora esistente nel nostro ordinamento giuridico – di “offesa al sentimento religioso”, poiché avrebbe ironizzato sull'immacolata concezione relativa alla nascita di Gesù. Nel corso dell'episodio si assiste “a dialoghi caratterizzati dall'uso reiterato e gratuito di espressioni volgari, di scurrilità e turpiloquio, di offese alle confessioni e ai sentimenti religiosi”.

Protagonisti della denuncia il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli e Daniele Belotti, parlamentare della Lega. Ma è stata condivisa anche dal senatore Simone Pillon, che ha detto: “l'educazione dei bambini, specialmente su temi sensibili come la religione o la morale sessuale spetta ai genitori, e non ai messaggi ideologici dei big media o delle lobby”.

Ora, a parte che educazione o istruzione su questi temi spetta anche alle scuole, che nella stragrande maggioranza in Italia non sono confessionali, ciò che più stupisce è che a farsi paladini dell'etica religiosa siano esponenti di un partito notoriamente ladro e xenofobo, razzista e anti-islamico, privo di senso dello Stato, guidato da uno dei suoi leader più cialtroneschi del parlamento italiano

Il che non vuol dire che non vada tutelato l'atteggiamento che ogni cittadino può avere, nel rispetto della democrazia e dei diritti umani, nei confronti delle questioni religiose. “MicroMega” sostiene giustamente che la fede è un fatto privato, anche se poi aggiunge che in uno Stato laico il sentimento religioso non può diventare un bavaglio alla libertà d'espressione.

Che significa questo? Davvero si risolve il problema della libertà di coscienza dicendo che se qualcuno trova sgradevole un episodio televisivo, cambierà canale?

È vero, un credente non può pensare che il suo sistema di valori morali e religiosi sia universale, e pertanto automaticamente esteso a tutti, a tal punto dal dover essere protetto dalle leggi dello Stato. Ma è anche vero che sulle questioni sensibili non è opportuno fare ironie fuori luogo. La laicità non è solo una questione intellettuale, ma anche un atteggiamento etico, e sul piano etico deve dimostrare di avere maggiore sensibilità di qualunque religione. La satira non aiuta a diventare più laici, anzi, può favorire la radicalizzazione della fede. E oggi non abbiamo certo bisogno di nuove guerre di religione.

Capziosa, in tal senso, la difesa della Disney quando spiega che la sitcom non è un prodotto per i minori, ma “concepito per un pubblico più maturo che si colloca nel filone stilistico e narrativo dell'animation comedy, ben distinto dal tradizionale genere cartoon, inteso come cartoni destinati ai bambini”. In realtà non c'entra niente l'età del target di riferimento. È una questione di principio, come già il caso di Charlie Hebdo ha ampiamente mostrato.

 

[16] Il regolamento di Dublino III. La Lega ambiente e la UE

 

Il regolamento della UE n. 604/2013, più noto come regolamento di Dublino III, prevede tre criteri per determinare quale Stato-membro sia competente a esaminare la domanda di asilo degli immigrati:

1) occorre vedere qual è lo Stato dove può realizzarsi il ricongiungimento familiare;

2) oppure qual è lo Stato che ha concesso al richiedente asilo un visto o un altro titolo di soggiorno valido;

3) infine qual è lo Stato in cui il richiedente asilo è entrato varcando le frontiere in modo irregolare.

Che significano queste clausole? Che i Paesi come il nostro le cui frontiere sono più esposte ai flussi migratori ci rimettono: è quasi sempre lo Stato di primo ingresso a occuparsi di esaminare la richiesta di asilo. E alla fine risulta impossibile un'equa distribuzione dei richiedenti asilo tra gli Stati. Anzi, la normativa non permette neppure ai suddetti richiedenti di esprimere una preferenza sullo Stato in cui inoltrare la domanda.

Si è cercato di revisionare il testo nelle parti più deficitarie. Ma i parlamentari che hanno votato contro la modifica del regolamento provengono quasi tutti da Paesi dell'Europa orientale. Si tratta in particolare di Slovacchia (100% di voti contrari) e Repubblica Ceca (17 contrari e un astenuto), ma anche di Ungheria, Polonia e Lettonia.

La Lega di Salvini non si è mai presentata a nessuna delle 22 riunioni che si sono tenute per discutere l'argomento.

I Cinque Stelle non sono convinti che la riforma del testo sia abbastanza coraggiosa.

https://fb.watch/7_NLZ8g568/

 

L'Italia ha all'attivo tre procedure d'infrazione con la Commissione Europea per le elevate concentrazioni degli inquinanti atmosferici in alcune città. Rischia di pagare una multa da 1,5 a 2,3 miliardi di euro.

Il dossier “Mal'aria 2021 edizione speciale – I costi dell'immobilismo” di Legambiente parla chiaro: l'aria di molte città è irrespirabile, soprattutto quelle della Pianura Padana.

L'Italia era già stata condannata nel novembre 2020 per il superamento continuativo dei limiti del particolato PM10 negli anni che vanno dal 2008 al 2017.

Ora la multa potrebbe comportare il taglio di futuri fondi europei destinati al nostro Paese e alle singole Regioni inadempienti. Anzi ci si aspettano nuove multe, nei prossimi mesi, a causa di altri due inquinanti: PM2,5 e NO2 (biossido di azoto).

Non ci rendiamo bene conto che le misure antismog devono portare a una riduzione del 55% degli agenti inquinanti entro il prossimo decennio, in accordo col Piano d'azione europeo “Verso l'inquinamento zero”.

La Regione messa peggio è la Lombardia, seguita a ruota dal Piemonte. Ma anche il Veneto e l'Emilia-Romagna hanno espletato solo il 40% dei compiti ecologici. Non basta limitare la circolazione dei vecchi diesel euro4.

La maglia nera per le polveri sottili è detenuta da 11 città, le prime delle quali sono Verona e Venezia, seguite da Vicenza, Brescia, Cremona, Treviso, Alessandria ecc.

Per di più siamo l'unico Paese dell'arco alpino che non limita la velocità sulle strade e le autostrade a causa dell'inquinamento, anzi distribuiamo incentivi per le stufe a legna inquinanti o per le auto a combustibili fossili.

 

[17] In che senso la Cina ha superato gli USA?

 

Dicono che la Cina abbia superato gli Stati Uniti come questi verso il 1880 avevano superato la Gran Bretagna. Ovviamente stiamo parlando in termini di efficienza produttiva.

Ora, se anche fosse, in che senso sarebbe un vantaggio per l'umanità?

Abbiamo merci meno costose, ma anche di qualità inferiore (non solo per il tipo di materiali usati o per quelle scarse rifiniture che richiedono tempo per essere fatte bene, ma anche per i livelli di sicurezza, che non rispettano gli standard europei). E se anche la qualità è equivalente, i loro prezzi decisamente più contenuti stanno mandando in rovina i nostri esercenti, i quali, per non fallire, sono costretti a rivendere proprio le merci cinesi, confidando nel fatto che ancora non sono molti quelli che fanno acquisti online e che, in tale maniera, eliminano gli intermediari.

Nel mondo circolano molte più merci e molto più diversificate, ma non è questo che fa aumentare la democrazia o che garantisce meglio il rispetto dei diritti umani. Anche se naturalmente i ceti benestanti si aspettano di veder aumentare il proprio peso politico.

Abbiamo un mondo multipolare (non dominato solo dagli USA e dai suoi alleati), ma nessuno potrebbe dire che è anche più sicuro, poiché la concorrenza tra Paesi capitalisti porta facilmente alle guerre, come è già successo nelle ultime due. È vero che oggi la guerra tra Occidente e Cina è soltanto fredda, ma l'ultima che abbiamo vissuto, quella tra USA e URSS, non si è trasformata in un olocausto nucleare solo perché uno dei due contendenti si è arreso.

Insomma dove sta il vantaggio per l'umanità? Forse nel fatto che il capitalismo futuro sarà più facilmente tenuto sotto controllo statale, come appunto sta avvenendo oggi in Cina? Bene, così non solo ci illuderemo di non far parte dei ceti emarginati, visto che potremo acquistare a poco prezzo molti beni, che poi si riveleranno immancabilmente di dubbia utilità; non solo avremo un mercato che inonderà il pianeta di merci altamente pericolose per la tutela ambientale, ma avremo anche da combattere un gigantesco Leviatano che ci farà credere di stare dalla nostra parte contro gli avidi speculatori.

 

[18] Il gas che ci manca. Mille km di muri in Europa

 

Pare che le riserve di gas nella sola Siberia occidentale dureranno più di 100 anni. L'ha detto il CEO di Gazprom, Alexei Miller. E tutti sanno che le riserve di gas in Russia sono le più grandi al mondo. E possono essere fornite a prescindere da qualunque condizione atmosferica. Tra l'altro il gas naturale è una delle risorse più pulite, affidabili e accessibili, priva di una vera alternativa al momento.

Invece noi (che ci reggiamo per il 40% sul gas naturale) siamo costretti ad aumentare le bollette del 40% perché siamo senza gas o i fornitori ce lo vendono a caro prezzo. Che senso ha mantenere l'embargo contro la Russia per colpa dell'Ucraina? Anzi per colpa degli USA, che tentano d'impedire qualunque rapporto strategico della Russia con la UE. Noi non siamo un partner degli americani ma solo una loro area periferica priva di potere politico.

Il problema è che il gas che gli europei non comprano dai russi finisce per essere venduto in Asia, a Corea, Giappone, India e soprattutto Cina, che ne ha grande bisogno e che non a caso è diventata il più grande acquirente del gas siberiano. I russi non finiscono in miseria per la nostra ottusità, anche perché le fonti energetiche sono quasi l'unica risorsa che hanno da vendere. L'altra sono le armi.

 

Oltre mille km di muri, fili spinati e recinzioni elettrificate segnano ormai i confini dei Paesi europei. Servono per sbarrare la strada ai migranti nel nome di una presunta questione sicurezza.

Atene annuncia il completamento di 40 km di barriera ad alta sorveglianza tecnologica alla frontiera settentrionale con la Turchia, lungo il fiume Evros, da anni via di passaggio per chi tenta d'incamminarsi sulla rotta balcanica. Vi sono decine di veicoli equipaggiati con videocamere termiche e cannoni sonori, motovedette e palloni aerostatici dotati di apparecchiature per l'identificazione automatica.

Lituania e Polonia rivelano l'intenzione di serrare i valichi della rotta migratoria che passa dalla Bielorussia. In Lituania vi sarà il più lungo muro della UE (508 km) entro il 2022. Varsavia ha in progetto 130 km di recinzione sui 2/3 dell'intero confine con la Bielorussia. La recinzione, alta 2,5 metri, avrà le caratteristiche di quella costruita dall'Ungheria al confine con la Serbia nel 2015.

Una data, quella del 2015, significativa, poiché l'Europa si svegliò con la paura di oltre un milione di profughi, tra afghani, siriani, e iracheni che tentavano la risalita del crinale balcanico.

I muri ungheresi sono lunghi 500 km: infatti non c'è solo quello con la Serbia, ma anche quelli con la Croazia, la Slovenia e la Romania. Il bello è che il governo di destra chiede finanziamenti alla UE col pretesto della protezione di tutti i cittadini europei dall'ondata di migranti illegali.

L'Agenzia europea per i diritti fondamentali, alla fine del 2020, contava 12 sbarramenti alle frontiere europee coi Paesi fuori dall'area Schengen. È come se la UE avesse ricostruito per sei volte quello demolito a Berlino oltre 30 anni fa.

Ci sono anche i 235 km di muro che impediscono l'attraversamento dal territorio turco alla Bulgaria, e i 289 km in costruzione dalla Lettonia per coprire il confine con la Russia.

C'è l'espansione delle barriere di cui si sono circondate le storiche enclaves spagnole di Ceuta e Melilla sulla costa settentrionale del Marocco (che già negli anni '90 avevano anticipato il modello esportato oggi in tutta Europa).

Il grande muro di Calais, alto quattro metri e lungo un chilometro, voluto dal governo di Londra per impedire ai migranti di passare dalla Francia alla Gran Bretagna, è stato terminato dopo meno di tre mesi di lavori.

E, ancora: l'Austria ha costruito un muro anti-profughi sul confine sloveno; la stessa Slovenia ha piazzato il suo muro di 200 km sul confine croato.

Esistono anche muri europei fuori dall'Unione, come quelli in cui è chiusa la Macedonia del Nord sui fronti greco e serbo, e persino quelli dell'Unione fuori dall'Europa, come quello voluto a dividere per 800 chilometri Siria e Turchia.

Poi ci sono i tanti muri senza cemento né metallo, fatti di confini marittimi e di sistemi high-tech di monitoraggio e sorveglianza.

Siamo il continente dei diritti umani, ma vogliamo aiutare i profughi solo a casa loro.

 

[19] Può esistere una difesa europea comune?

 

Nel suo Discorso sullo Stato dell'Unione la Presidente della Commissione Ursula Von der Leyen ha detto che la UE ha bisogno di una difesa comune. Al momento non l'abbiamo non per mancanza di capacità e di risorse ma per mancanza di volontà politica.

Ha cioè capito (finalmente!) che nella NATO la UE non conta niente, in quanto succube degli USA: al massimo contano i singoli Stati, e tra questi in primis Francia e Inghilterra (quest'ultima continua a contare ma fuori dalla UE, come ha dimostrato il recente accordo con USA e Australia per controllare la Cina nell'Indo-Pacifico tramite i sottomarini nucleari).

In effetti abbiamo visto il ruolo ridicolo svolto dalla UE in Afghanistan e i ruoli devastanti svolti negli scenari bellici degli ultimi 20-25 anni: dalla ex Jugoslavia all'Iraq, dalla Libia alla Siria, ecc. Il fatto di obbedire ciecamente ai diktat americani non ha certo reso il mondo più sicuro. Cosa d'altra parte impossibile quando una grande nazione come quella statunitense usa la politica estera per distrarre l'attenzione dai gravi problemi interni di natura socioeconomica.

La UE è sicuramente più preoccupata a risolvere i propri problemi interni, ma bisogna ammettere che senza una vera e autonoma politica estera non potrà mai esserci una comune difesa europea, e i singoli Stati europei saranno condannati a una progressiva ma irreversibile irrilevanza sul piano internazionale. Soprattutto perché il centro di gravitazione geopolitico ed economico mondiale va sempre più spostandosi verso l'area Indo-Pacifica.

Sembrano contare molto di più gli attori non statali, come i gruppi jihadisti (oltre 100 nel mondo), i gruppi di autodifesa (alcune centinaia solo in Africa) e le compagnie private di sicurezza militare (come p.es. il gruppo Wagner).

Certo è che se la UE vuole superare il concetto di “cessione di sovranità controllata” (come sta sperimentando nella NATO ma anche nell'ONU, dove a comandare sono cinque nazioni), solo per aumentare la sua capacità offensiva nel mondo, qualche riflessione in più sarà meglio che se la faccia.

 

[20] Colpo di stato in Guinea. Sconfitto il governo del partito islamico in Marocco

 

In Guinea i militari hanno preso nei giorni scorsi il potere e sciolto l'Assemblea nazionale. Un vero e proprio colpo di stato, con cui han sostituito il premier e altre personalità di spicco.

Ma cosa aveva fatto di così grave il presidente Alpha Condé? Niente di particolare. Aveva semplicemente modificato la Costituzione per avere un terzo mandato. Cosa che molti premier han già fatto: Putin, Xi Jinping, Erdoğan, Abe... Anche il presidente della regione Campania, Vincenzo De Luca, è intenzionato a ricandidarsi per la terza volta allo stesso incarico nel 2025. E che dire di Zaia, governatore del Veneto, che il terzo mandato l'ha già avuto, lui che si era vantato che la sua Regione aveva introdotto il limite dei due mandati per presidente, assessori e consiglieri regionali prima ancora che lo chiedessero i Cinquestelle?

Condé era accusato di autoritarismo e di aver arrestato dozzine di attivisti dell'opposizione. Non è quindi vero che il potere logora chi non ce l'ha, come diceva il cinico Andreotti, facendo sfoggio di bieco psicologismo. Chi ce l'ha se lo vuol tenere ben stretto. E se anche riesce a far logorare gli altri, sfruttando le loro interne divisioni, lui non mostra certo d'essere un campione di eticità.

E pensare ch'era stato il primo presidente democraticamente eletto della Guinea nel 2010. Ora con un golpe militare in atto la situazione peggiorerà sicuramente. Riuscirà infatti il Paese a mantenere gli impegni assunti coi vari attori internazionali, compresi quelli minerari, come nel caso del gigante russo dell'alluminio Rusal? Quando mai i militari si sono dimostrati esperti economisti? L'estrazione mineraria rappresenta circa il 35% del PIL, in particolar modo della bauxite, usato per produrre alluminio: una ricchezza che sfiora appena i cittadini, a causa della corruzione e della mancanza di infrastrutture.

Quando mai i militari han saputo favorire la democrazia e assicurare la giustizia sociale? A che servono i colpi di stato?

 

Alle elezioni parlamentari di settembre in Marocco hanno partecipato 32 partiti col 50,3% di affluenza.

Risultato eclatante? Dopo un decennio alla guida del governo il Partito islamico della Giustizia e dello Sviluppo ha subìto una netta sconfitta. Nel 2016 trionfò conquistando 125 seggi, oggi invece ne ha presi solo 12 su 395.

I cittadini l'hanno punito per la politica fallimentare in tema di giustizia sociale e di lotta alla corruzione, due suoi cavalli di battaglia e di propaganda da sempre.

Gli islamici sono forti quando stanno all'opposizione, ma quando devono governare sono un disastro. Questo dovrebbe essere un insegnamento per la destra fondamentalista e xenofoba che abbiamo in casa, quella di Salvini e Meloni, che attende con ansia il 2023.

 

[21] L'eutanasia in Svizzera

 

La Svizzera è la Mecca del suicidio assistito: molti stranieri vi si recano appositamente per morire con l'aiuto di un'organizzazione ad hoc. Nel 2014 fecero addirittura un documentario televisivo sul parlamentare This Jenny, malato terminale di cancro allo stomaco, che si tolse la vita con l'aiuto dell'organizzazione Exit. I cittadini non sollevarono alcuna protesta. In Italia sarebbe scoppiata una guerra civile per motivi religiosi.

Nel 2011, poco dopo che l'elettorato del cantone di Zurigo aveva bocciato seccamente un'iniziativa che voleva proibire l'aiuto al suicidio, il governo svizzero decise di rinunciare a disciplinare a livello nazionale l'assistenza organizzata al suicidio. I richiami della UE a una maggiore eticità non li prese neppure in considerazione.

D'altra parte le norme svizzere sull'eutanasia indiretta e quella passiva sono in vigore da molto tempo. Ciò ha contribuito a creare fiducia tra la popolazione sul fatto che la legalizzazione non porta ad abusi.

Lo ritengono un'opzione giusta dopo che tutte le altre alternative sono state esaminate e solo come ultima ratio per le persone con un desiderio consapevole e motivato di suicidarsi. Naturalmente chi aiuta a farlo deve essere un professionista e non deve avere alcun motivo per indurre la persona a chiederlo (p.es. perché trae dei vantaggi materiali).

Soltanto se a voler morire non sono malati in fase terminale, ma persone stanche della vita o con malattie psichiche, l'aiuto al suicidio può provocare controversie. In questi casi vi sono dei medici che non sono disposti a rilasciare la ricetta per un farmaco letale. L'importante comunque è sapere che lo Stato non può costringere qualcuno a vivere contro la propria volontà.

Alcune organizzazioni no profit svizzere s'impegnano anche all'estero perché si ottenga ovunque la legalizzazione dell'accompagnamento alla morte volontaria, in modo che le persone gravemente malate non siano costrette a recarsi in Svizzera, dove ogni anno più di mille persone pongono fine alla loro vita in tale maniera. Tra i Paesi favorevoli, o perché han già approvato una legge o tendono a farlo, vi sono al momento Olanda, Canada, Germania e Australia.

Gli assistenti al suicidio si occupano anche dei familiari e degli amici che vogliono essere vicini al proprio caro nel momento del trapasso. Per diventare assistente bisogna seguire una formazione di un anno durante la quale si acquisiscono conoscenze in medicina, diritto e psicologia e s'impara a interagire coi pazienti. In particolare bisogna avere:

- conoscenze o competenze in psicologia e comunicazione

- capacità di rispettare il diritto all'autodeterminazione

- personalità solida, empatia e pazienza

- conoscenza della situazione giuridica sull'eutanasia

- età minima 40 anni.

Gli assistenti hanno un contratto di lavoro. Ricevono un indennizzo forfettario di 650 franchi per ogni caso. In più ottengono un contributo base per le piccole spese, come le telefonate o i viaggi verso il luogo di residenza del paziente. Di regola un assistente al suicidio si occupa per circa 20 ore di un cosiddetto dossier. Ciò equivale a uno stipendio di 35-40 franchi all'ora. È la paga oraria di chi svolge una professione infermieristica. A volte gli assistenti al suicidio accompagnano un paziente per decine di ore sull'arco di più anni.

Bisogna pensarci a queste cose perché tra un po' avremo un referendum da votare e ne sentiremo sicuramente di tutti i colori, forse anche più del Covid-19.

 

[22] Il referendum sull'eutanasia

 

“A chi appartiene la tua vita se non a te? E chi altri ha diritto di decidere sulla sua fine se non tu stesso? Grazie al progresso della medicina spesso la decisione sulla morte non spetta più alla natura ma a noi stessi. E se non siamo liberi di decidere sul nostro fine vita, stiamo appaltando la nostra vita a qualcun altro.”

Con questa frase la rivista “MicroMega” è intervenuta sulla campagna referendaria a favore dell'eutanasia.

Si chiede di abrogare una parte dell'art. 579 del Codice penale (risalente al periodo fascista ma tuttora in vigore), che di fatto, impedendo l'introduzione dell'eutanasia legale in Italia, stabilisce che la nostra vita non ci appartiene.

È evidente che qui si vuole combattere la morale religiosa della Chiesa cattolica, secondo cui la vita appartiene a chi, in ultima istanza, la dà, cioè a Dio.

Ora, supponiamo che non esista nessun Dio (il che è piuttosto facile per chi non crede). Supponiamo anche che uno, una volta raggiunta la maggiore età, non sia più tenuto a rendere conto ai propri genitori, fatta salva ovviamente l'assistenza materiale se risultano indigenti.

La domanda che a questo punto si pone è: davvero la mia vita appartiene solo a me? Fisicamente certo, e bisognerebbe impedire alla scienza di fare del nostro corpo ciò che vuole, specie se non siamo in grado di decidere. In taluni casi l'eutanasia è un gesto d'amore nei confronti di una persona che chiede di non essere più torturata.

Ma sul piano sociale è possibile dire che siamo davvero soli? Se io mangio così male da farmi venire il diabete, i costi per curarmi non ricadono forse su tutti? Cioè l'eutanasia deve passare premiando il nostro diritto all'individualismo?

Io penso che dovrebbe essere un sentire comune, e non solo dei parenti stretti di chi la chiede (i genitori, il partner, i figli, i nipoti...). Chiunque dovrebbe sapere che non incorre in alcun reato se, confrontandosi non solo col soggetto che invoca la propria fine, ma anche con le persone titolate a prendere una decisione (p.es. i parenti del soggetto in questione, i dottori, un giudice, una autorità locale...), si sente autorizzato a porre fine alla vita di un altro proprio perché si rende conto che la vita, quella sociale, quella dignitosa e gratificante, non esiste più.

Se esistesse questo sentire comune, l'eutanasia dovrebbe essere praticata anche quando il soggetto non è in grado di far valere la propria volontà (p.es. perché è in coma irreversibile). Cioè anche quando non è in grado di percepire alcuna tortura.

L'eutanasia non dovrebbe essere concepita solo come una forma di pietà, ma anche e soprattutto come una necessità inerente al fatto che un determinato soggetto non è più in grado di vivere una vita significativa, a prescindere che ne sia più o meno consapevole.

Se è cosciente si può indurlo a cercare un'alternativa alla morte. Ma non si dovrebbe obbligarlo a vivere, approfittando del fatto che il soggetto si trova in una condizione in cui, in ultima istanza, non può prendere alcuna decisione (perché p.es. è legato a un respiratore). Fare della tecnologia un pretesto per impedire la libertà di coscienza è disumano. Ancora più vergognoso è sostenere che non si può far decidere una cosa irreversibile a un soggetto troppo condizionato dalla precarietà dello stato in cui vive. Fateci firmare in un testamento biologico, ora che siamo padroni delle nostre facoltà mentali, quali sono le condizioni che vogliamo vengano rispettate, nel caso in cui non abbiamo la volontà per farlo da soli, e poi smettetela d'intromettervi tra noi e il nostro destino.

 

L'eutanasia diventa un'opzione quando uno è in condizioni fisiche tali da non poter prendere alcuna decisione conforme al suo testamento biologico, scritto in precedenza nel pieno delle sue funzioni cognitive.

Diventa un'opzione quando i medici gli assicurano che dopo una determinata terapia non diventerà mai più come prima, in quanto perderà delle importanti funzioni vitali.

Più in generale si può anche cercare di convincere un malato, per un certo tempo, usando mezzi e metodi diversi, che la vita merita ancora d'essere vissuta, ma in ultima istanza bisogna rispettare le sue volontà, senza approfittare del fatto che non è in condizione per farsi valere.

 

[23] Macron chiede scusa agli Harki. I cattolici e l'eutanasia

 

Macron ha annunciato un progetto di legge di “riconoscimento e riparazione” per gli Harki, i 200.000 algerini che tra il 1954 e il 1962 combatterono a fianco dell'esercito francese durante il conflitto contro il locale Fronte di Liberazione Nazionale.

Motivo di questo tardivo riconoscimento dell'aiuto dei collaborazionisti? Una volta terminato il conflitto, alla maggior parte di loro fu negata l'accoglienza in Francia. Considerati traditori dal nuovo regime di Algeri, furono vittime di rappresaglie sanguinose. Chi riuscì a lasciare l'Algeria, portandosi con sé la famiglia, fu alloggiato in campi di transito, vivendo condizioni di vita durissime. In totale ne arrivarono in Francia circa 90.000 fino al 1965.

Dopo 60 anni la Francia non ha chiesto scusa agli algerini che combattevano per la loro indipendenza, ma a quelli favorevoli alla schiavitù del Paese. Magari se avesse vinto, li avrebbe aiutati, a condizione ovviamente che rimanessero nel loro Paese. Insomma, siamo alle solite.

Che poi parlare di “liberazione” dell'Algeria dal colonialismo francese, è tutto relativo. Il 17 settembre è morto l'ex presidente dell'Algeria, Abdellaziz Bouteflika. Era stato tra coloro che nel biennio 1961-62 aveva partecipato al colpo di stato contro il governo provvisorio algerino che avrebbe dovuto prendere il potere nell'Algeria liberata.

Guidò il Paese in maniera autocratica per 20 anni, a partire dal 1999, cercando di ottenere un quinto mandato, ma fu travolto da imponenti proteste e manifestazioni di piazza. L'Algeria è scossa da almeno un lustro da proteste giovanili contro il regime.

 

Si può presumere che non pochi cattolici, al referendum sull'eutanasia, voteranno contro sulla base della solita motivazione: la vita non possiamo togliercela perché appartiene a Dio, che in ultima istanza ce l'ha data.

Ora, ha ancora senso una motivazione del genere quando sappiamo benissimo che in realtà sono le macchine che ci tengono in vita contro la nostra volontà (e anche a prescindere dalla nostra volontà se siamo in coma irreversibile)? Perché oggi quando diciamo che la natura deve fare il suo corso, se si parla di eutanasia si rischia subito d'essere accusati di omicidio da quegli stessi credenti che ci chiedono di usare la tecnologia per rispettare il diritto alla vita? Vedi il famoso caso di Eluana Englaro.

Il segretario della CEI, monsignor Stefano Russo, ha già detto: “Non comprendo come si possa parlare di libertà. Qui si creano i presupposti per una cultura della morte”. Secondo lui si vuole affrettare la fine dei malati terminali per risparmiare le risorse del Sanità, come avvenne 75 anni fa con la deriva eugenetica della Germania nazista.

L'episcopato canadese la pensa uguale: “Dichiarare il suicidio assisto un diritto non rappresenta un prendersi cura e nemmeno è un atto di umanità, ma è piuttosto un falso atto di misericordia, mentre la richiesta di depenalizzare suicidio assistito e eutanasia sembra sottintendere un dato falso, ovvero che una persona perde dignità semplicemente a causa della diminuzione di un numero di capacità fisiche e mentali”.

Anche questo papa progressista è sulla stessa lunghezza d'onda: ha già ammonito il mondo medico a non usare la medicina “per assecondare una possibile volontà di morte del malato” e definisce inoltre l'eutanasia una “falsa compassione”. In particolare ha detto: “si può e si deve respingere la tentazione (anche quando indotta da mutamenti legislativi) di usare la medicina per assecondare una possibile volontà di morte del malato, fornendo assistenza al suicidio o causandone direttamente la morte con l'eutanasia”.

Una posizione, questa, più regressiva di quella espressa dal card. Martini al tempo del caso Welby: “Non me la sentirei di condannare le persone che compiono un simile gesto su richiesta di un ammalato ridotto agli estremi, né quelli che in condizioni fisiche e psichiche disastrose lo chiedono per sé”. Chiedeva solo che non fossero i medici a decidere.

Da notare, tra le altre cose, che, nel caso in cui una persona abbia espresso la volontà di ricorrere al suicidio assistito, la Chiesa non negherà le esequie cristiane, ma solo a condizione che ciò “non provochi scandalo pubblico”. Quindi il funerale andrà fatto a porte chiuse. È già qualcosa rispetto al totale rifiuto riservato al cattolico Pierluigi Welby.

 

[24] La geopolitica americana. Martini e Conte sull'eutanasia

 

I geopolitici dicono che nella prima metà del XX sec. gli USA combatterono guerre per evitare che in Europa una potenza prevalesse sulle altre, mentre nella seconda metà han fatto la stessa cosa in Asia, proprio perché vogliono essere gli unici a dominare il mondo.

In particolare erano entrati in Afghanistan per controllare la Cina. Oggi possono farlo usando la forza navale nell'Indo-Pacifico e nel Mar Cinese Meridionale. Si erano posti il compito di destabilizzare ogni sforzo cinese di fare dell'Asia un continente più importante dell'occidente, e a tale scopo miravano a creare tensioni nello Xinjiang attraverso il Movimento Islamico del Turkestan Orientale (non a caso depennato dalla lista delle organizzazioni terroristiche sotto l'amministrazione Trump).

In sé l'Afghanistan non è mai interessato agli americani, tant'è che non hanno mai cercato di sfruttarne le enormi risorse minerarie (rame, ferro, terre rare, oro, zinco, litio, uranio e mercurio). La più grande miniera di rame al mondo, situata nella regione del Logar, ad es., è sotto direzione cinese. In 20 anni di occupazione militare, la coalizione occidentale ha semplicemente ingrossato le tasche dei signori della guerra e della droga locali, e ha palesemente fallito nella costruzione di poli industriali regionali. Anzi la produzione di oppio è aumentata in modo esponenziale (ad essa si è addirittura aggiunta la raffinazione direttamente in loco): dai 70.000 ettari coltivati nel 2001 si è passati ai 300.000 del 2017. Ad oggi il 90% della produzione mondiale di eroina arriva dall'Afghanistan: un primato strappato all'Indocina (altra regione sottoposta ad aggressione nordamericana a cavallo degli anni '60 e '70). La coalizione occidentale ha preferito favorire la produzione di oppio piuttosto che vedere le masse contadine ingrossare ulteriormente le fila della resistenza.

Dopo aver vinto la guerra fredda contro il blocco sovietico, gli USA avevano capito che il loro prossimo nemico economico e militare sarebbe stata la Cina. Non se ne sono andati dall'Afghanistan perché han perso ma perché han cambiato strategia.

Per decenni han pensato che una Cina aperta al commercio avrebbe rappresentato un enorme vantaggio per il sistema globale a guida nordamericana, la cui superiorità tecnologia pareva fuori discussione. Non potevano immaginare che i cinesi si sarebbero sviluppati così in fretta, sotto tutti i punti di vista.

Han cominciato ad aver paura dei cinesi dopo la crisi finanziaria del 2008 (contrastata attraverso cure palliative senza soluzioni di lungo periodo). Si sono inoltre resi conto che l'occidente a guida nordamericana si ritrova in una condizione in cui non può fare a meno della Cina (USA ed Europa dipendono rispettivamente all'80% e al 98% dalla Cina per la fornitura delle terre rare, che sono fondamentali per la “transizione verde” che si sta cercando d'imporre al capitalismo occidentale).

 

Diceva il vescovo Martini a proposito dell'eutanasia: “La crescente capacità terapeutica della medicina consente di protrarre la vita in condizioni un tempo impensabili. Senz'altro il progresso medico è assai positivo. Ma nello stesso tempo le nuove tecnologie che permettono interventi sempre più efficaci sul corpo umano richiedono un supplemento di saggezza per non prolungare i trattamenti quando ormai non giovano più alla persona”. Cioè in prativa aveva individuato un punto delicato nel fatto che “per stabilire se un intervento medico è appropriato non ci si può richiamare a una regola generale quasi matematica, da cui dedurre il comportamento adeguato, ma occorre un attento discernimento che consideri le condizioni concrete, le circostanze e le intenzioni dei soggetti coinvolti. In particolare non può essere trascurata la volontà del malato”.

Accidenti, pur essendo un prelato, era più avanti dello stesso Conte, che sicuramente è un politico democratico. Lui infatti si è limitato a dire: “Da cattolico e da giurista non ci sono dubbi che l'uomo abbia il diritto alla vita. Esiste il diritto alla determinazione, ma pensare di scegliere di essere condotto alla morte da personale qualificato, questo genera qualche dubbio”. Dopodiché ha evidenziato che nella Legge “dovrebbe essere prevista l'obiezione di coscienza per i medici”.

Conte, il problema è un altro: va bene il diritto alla vita, ma il malato non può avere anche il dovere di vivere in condizioni pietose. E se non è in grado di decidere di passare a miglior vita, bisogna che qualcuno lo faccia per lui e che non venga per questo incriminato. Altrimenti i più facoltosi andranno in Svizzera, e gli altri patiranno le pene dell'inferno.

 

[25] L'elettroshock esiste ancora. Eutanasia e Catechismo cattolico

 

Molta gente crede che l'elettroshock (terapia elettroconvulsivante o TEC) non sia più usato nella società moderna. Invece su scala mondiale circa un milione di persone continuano a ricevere elettroshock ogni anno, di cui quasi 500 in Italia, in 91 centri pubblici.

Circa 1/3 sono pazienti involontari, a cui la TEC viene applicata in maniera coatta. In Italia non risultano casi di TEC senza consenso, ma non è retorico chiedersi quanto “informati” fossero stati i consensi. A volte infatti questo tipo di terapia viene impiegata ancor prima dei più comuni farmaci antidepressivi, come succede in Svezia davanti a pazienti a un altissimo rischio di suicidio.

La TEC consiste nella somministrazione di scosse elettriche al cervello, con voltaggio fino a 460 volt. Lo scopo è di provocare convulsioni che, se non fossero attenuate da un anestetico generale di 1-2 minuti e da un farmaco che rilassa i muscoli, sarebbero più forti di quelle che si manifestano durante una crisi epilettica. Un tempo i pazienti arrivavano a rompersi ossa e denti a causa delle violente convulsioni. Ricordiamo tutti il celebre film “Qualcuno volò sul nido del cuculo”.

La scossa trasmessa è equivalente a un peso di 20 kg che cade dall'altezza di due metri. Il trattamento prevede di solito 6 sedute, a distanza di un giorno o due l'una dall'altra.

Secondo la circolare Bindi del Ministero della Sanità del 15 febbraio 1999, in Italia la TEC “è considerata ancora oggi un'opzione terapeutica che va riservata a pazienti affetti da episodio depressivo grave con sintomi psicotici e rallentamento psicomotorio (classificazione ICD10), quando non possono attuarsi terapie farmacologiche, ovvero nei casi di vera e accertata farmacoresistenza…”.

In realtà è una cosa mostruosa. Non esiste alcuna evidenza scientifica a sostegno di ciò. Anzi la TEC può causare:

- Emorragie o edemi al cervello

- Convulsioni prolungate o ritardate

- Complicazioni cardiovascolari e respiratorie

- Perdita permanente di una parte della memoria o comunque una diminuzione da 20 a 40 punti del quoziente d'intelligenza.

Come disse un bio-ingegnere: “Sostenere che il tuo cervello necessiti di una scossa da 460 volt è come dire che il tuo computer necessiti di un fulmine”.

Dicono che chi l'ha già fatto con successo, lo richieda in caso di ricadute, poiché ha visto che è un mezzo veloce di uscire dal male. Come se fosse una droga. Anzi un salvavita. Siamo davvero alla follia, non dei pazienti ma della scienza.

 

Cosa dice il Catechismo della Chiesa Cattolica sull'eutanasia?

L'art 2.277 dice: “Qualunque ne siano i motivi e i mezzi, l'eutanasia diretta consiste nel mettere fine alla vita di persone handicappate, ammalate o prossime alla morte. Essa è moralmente inaccettabile. Così un'azione oppure un'omissione che, da sé o intenzionalmente, provoca la morte allo scopo di porre fine al dolore, costituisce un'uccisione gravemente contraria alla dignità della persona umana... L'errore di giudizio, nel quale si può essere incorsi in buona fede, non muta la natura di quest'atto omicida, sempre da condannare e da escludere”.

Però poi a quello successivo si dice il contrario: “L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente”.

Poi però al n. 2.279 si ribadisce la posizione iniziale: “Anche se la morte è considerata imminente, le cure che d'ordinario sono dovute ad una persona ammalata non possono essere legittimamente interrotte. L'uso di analgesici per alleviare le sofferenze del moribondo, anche con il rischio di abbreviare i suoi giorni, può essere moralmente conforme alla dignità umana, se la morte non è voluta né come fine né come mezzo, ma è soltanto prevista e tollerata come inevitabile. Le cure palliative costituiscono una forma privilegiata della carità disinteressata. A questo titolo devono essere incoraggiate”.

Come interpretare queste circonvoluzioni mentali che portano a non saper quale decisione prendere? Siamo sinceri: la Chiesa accetta di staccare la spina solo quando il paziente è già morto! Rifiuta l'accanimento terapeutico solo quando per i dottori non c'è più speranza. E questo perché? Perché la vita solo Dio la dà e quindi solo lui può decidere quando toglierla.

 

[26] Ha senso l'agricoltura biodinamica? Quale agricoltura in futuro?

 

In provincia di Pescara, a Loreto Aprutino, vi è l'azienda agricola De Fermo, i cui proprietari dicono d'ispirarsi direttamente ai princìpi della biodinamica esposti da Rudolf Steiner nelle lezioni sull'agricoltura tenute a Koberwitz (un castello della Slesia) nel lontano 1924. Le idee furono poi sviluppate da Ehrenfried Pfeiffer, Maria Thun e Alex Podolinsky.

In quell'occasione il filosofo austriaco formulò la credenza secondo cui l'azienda agricola deve essere considerata un organismo vivente, in cui ogni singola parte contribuisce al benessere del tutto. Così, accanto alle vigne ci devono essere gli animali d'allevamento, le api, le orticole, i cereali, oltre a una pratica agronomica basata sulla rotazione delle colture, sulla concimazione vegetale attraverso i sovesci (interramento di colture allo scopo di mantenere o aumentare la fertilità del terreno), sull'assenza di trattamenti chimici: il tutto secondo protocolli che ricalcano in parte quelli dell'odierna agricoltura biologica.

Ma, udite udite, la biodinamica parla anche apertamente di influenze astrali, di energie cosmiche che devono essere attivate grazie alle forze nascoste della natura e all'azione dei corpi celesti.

Le varie operazioni agricole sono quindi dettate da un preciso calendario lunare e planetario. P.es. l'imbottigliamo avviene sempre in fase di luna calante, quando la forza attrattiva del nostro satellite è minore. Bisogna sapere bene quali sono i giorni più propizi alla semina, alla raccolta, alla potatura e alla trasformazione dei prodotti.

La biodinamica utilizza nove preparati, di cui due celebri: il corno-letame e il corno-silice. Il primo è costituito da letame di vacca infilato nel cavo di un corno proveniente da una vacca che abbia partorito almeno una volta. Dopo essere stato riempito, il corno è sotterrato e lasciato a fermentare durante l'inverno. Recuperato in primavera, il contenuto, trasformato in humus, viene diluito in acqua di pozzo e irrorato sui campi con l'obiettivo dichiarato di rinvigorire il terreno. Il corno-silice è costituito invece da polvere di quarzo lasciata sotterrata in un corno e poi diluita in acqua e spruzzata direttamente sulle piante nei mesi invernali per stimolarne la fruttificazione e i processi legati alla fotosintesi. Quindi sono dei potenziatori.

Questi preparati han fatto discutere il nostro parlamento. C'è chi infatti vieta di equiparare la biodinamica all'agricoltura biologica, giudicando queste pratiche non solo antiscientifiche, ma schiettamente esoteriche e stregonesche. Ma il parlamento è a favore del disegno di legge, e non è interessato al parere della comunità scientifica, la quale giudica la biodinamica come un mero trucco di marketing, in quanto tale agricoltura avrebbe rese inferiori a quella convenzionale, non ha prodotti di migliore qualità, e tuttavia riesce, in virtù di una narrazione giudicata fiabesca, a spuntare prezzi anche quattro volte più alti tra i consumatori creduloni.

In effetti, secondo i dati del Ministero dell'agricoltura il fatturato medio per ettaro di un'azienda certificata biodinamica è di 13.309 euro, quattro volte di più di un'azienda convenzionale. D'altra parte la produzione biodinamica ha costi di manodopera più elevati, poiché richiede un controllo costante dei terreni e molte pratiche manuali. Va detto però che mentre l'agricoltura convenzionale spinge per la monocultura, che impoverisce il terreno (essendo basata sulla chimica e sul cosiddetto ciclo azoto-fosforo-potassio), la biodinamica deve invece essere considerata un piccolo ecosistema, in cui la chiave fondamentale è la biodiversità.

Senza dubbio l'agricoltura biodinamica è un po' particolare, in quanto usa parti di animali – quali teschi, pelli di topo, corna di vacca o vesciche urinarie di cervo – nelle quali infilare cortecce, fiori o letame, da sotterrare e dissotterrare dopo qualche tempo. A fondamento di ciò, essa evoca forze cosmiche come motrici di qualunque azione terrena, responsabili perfino della fecondazione della femmina da parte del maschio.

È anche vero però che da uno studio scientifico sul corno-letame risulta che l'interazione tra la cheratina, componente principale dei corni, funga da biostimolatore sulle famiglie di funghi presenti nel letame di vacca, consentendo la produzione di classi batteriche (fino a duemila tipi diversi) utili al terreno.

Va detto comunque che le aziende biodinamiche (migliaia in tutto il mondo) non inquinano, sono sostenibili e hanno un approccio agronomico simile a quello biologico, in quanto rifiutano i trattamenti chimici del terreno, inclusi gli ormoni che fanno crescere le piante.

Chi pensa di criticare la biodinamica per bloccare il biologico è fuori strada. La stessa UE chiede che il 25% dei terreni vengano coltivati in regime biologico entro il 2030. In Italia le aziende biodinamiche sono circa 4.500 e coprono 15.000 ettari, cioè lo 0,11% della superficie agricola coltivata. La biodinamica non ha un sistema di certificazione ufficiale ed è finanziata solo in quanto dotata di una certificazione di agricoltura biologica.

Fonte: Internazionale

 

L'agricoltura convenzionale, monocolturale, basata sulla chimica e sul cosiddetto ciclo azoto-fosforo-potassio, è figlia della rivoluzione verde lanciata nel secondo dopoguerra dallo scienziato statunitense Norman Borlaug, che attraverso la selezione genetica e l'uso di fertilizzanti di sintesi ha aumentato in modo rilevante le rese e la produttività dei campi, permettendo di salvare da fame e malnutrizione centinaia di milioni di persone, ma consumando le risorse dell'ambiente.

L'agricoltura biodinamica rappresenta invece un ritorno a pratiche meno invasive, basate sull'osservazione e sull'uso di input non chimici.

Il primo metodo aggiunge quello che manca e interviene per rimuovere i problemi; il secondo cerca la causa dei problemi e agisce costantemente per prevenirne l'insorgere. La biodinamica rappresenta la frontiera più estrema di quest'ultimo modello, che trova varie declinazioni (dal biologico all'agroecologico, per arrivare all'agricoltura organica e rigenerativa), tutte improntate a una riduzione dell'impatto che l'agricoltura ha sugli ecosistemi in termini d'inquinamento delle falde acquifere e dei terreni (ma si pensi anche alle emissioni di gas serra).

I fautori della prima scuola sostengono che la seconda non sarebbe mai in grado di garantire la sicurezza alimentare a una popolazione mondiale in crescita; quelli della seconda insistono che l'agricoltura convenzionale ha mostrato da tempo i suoi limiti, producendo danni ambientali e sociali largamente più rilevanti dei benefici iniziali.

I primi affermano che solo attraverso la tecnologia si potrà ottenere un'agricoltura più sostenibile, che consumi meno suolo e richieda meno acqua e sia di conseguenza favorevole all'ambiente. I secondi ribattono che l'agricoltura si è avvalsa di tecniche rigenerative per migliaia di anni e che solo nel secondo dopoguerra si è deciso di renderla intensiva attraverso un processo di industrializzazione che ha spezzato i cicli naturali, puntando sulle monocolture e sulla chimica.

I produttori biodinamici sono visti dagli scienziati come un manipolo di idealisti che stanno convincendo anche i politici, spingendo per un'agricoltura che sarà di pura sussistenza e porterà il mondo verso il collasso alimentare. Tuttavia i biodinamici si considerano pionieri di un nuovo paradigma agricolo, basato sul rovesciamento del dogma della produttività che ha guidato la produzione alimentare negli ultimi 70 anni.

Cosa dunque dovremo fare in un mondo sempre più sovrappopolato e sfiancato dal surriscaldamento globale? Come riusciremo a sfamare tutti? Bisognerà puntare su nanotecnologie, tecniche di manipolazione genetica e sviluppo di varietà più resistenti e adatte al nuovo contesto climatico, oppure avere un'attenzione più marcata verso il rispetto degli ecosistemi, la biodiversità, la sostenibilità? Lo scontro è aperto ed è solo all'inizio.

Fonte: Internazionale

 

[27] L'eutanasia sul piano giuridico

 

Il referendum sull'eutanasia legale vuole parzialmente abrogare l'art. 579 del Codice penale, introducendo l'eutanasia attiva. Quest'ultima sarà consentita nelle forme previste dalla legge sul consenso informato e il testamento biologico, e in presenza dei requisiti introdotti dalla sentenza della Consulta sul “Caso Cappato”. Rimarrà invece punita se il fatto è commesso contro una persona incapace o contro una persona il cui consenso sia stato estorto con violenza, minaccia o contro un minore di diciotto anni.

Ma cosa dice la suddetta sentenza? La Corte Costituzionale è intervenuta dopo che Marco Cappato, una volta accompagnato Fabiano Antoniani (detto DJ Fabo) in Svizzera, dove si era sottoposto alla procedura del suicidio assistito, si era autodenunciato dando inizio al processo nei suoi confronti per il reato di aiuto al suicidio.

L'Antoniani, a seguito di un grave incidente stradale, avvenuto nel 2014, era rimasto cieco e tetraplegico; non era più autonomo nella respirazione, nell'alimentazione, nell'evacuazione; e continuava a soffrire di contrazioni violente e spasmi che nessun farmaco riusciva a lenire. Si era così rivolto all'associazione Dignitas in Svizzera e all'associazione Luca Coscioni in Italia, conoscendo Marco Cappato. Preso atto della irrevocabilità della decisione di Fabo, Cappato lo accompagnò in Svizzera, dove morì nel 2018.

La Corte stabilì che, una volta appurata, dopo innumerevoli terapie, l'irreversibilità di una situazione sanitaria sofferente, non è perseguibile penalmente l'irrevocabile decisione di porre termine alla propria vita. Sicché anche la richiesta d'essere aiutato in tale decisione è legittima. Cioè in pratica l'accanimento terapeutico (p.es. idratazione e alimentazione artificiale) non può violare la libertà di coscienza o un'autonoma decisione (sulla base del principio dell'habeas corpus) solo perché è in gioco il diritto alla vita che la medicina deve sempre tutelare. Il che ovviamente non vuol dire che il medico non possa esercitare l'obiezione di coscienza, nel senso che resta libero di scegliere se esaudire o meno la richiesta del malato.

 

Qual è la differenza tra le varie forme di eutanasia?

- L'eutanasia è attiva diretta quando il decesso è provocato tramite la somministrazione di farmaci che inducono la morte (per esempio sostanze tossiche).

- L'eutanasia è attiva indiretta quando l'impiego di mezzi per alleviare la sofferenza (per esempio: l'uso di morfina) causa, come effetto secondario, la diminuzione dei tempi di vita.

- L'eutanasia è passiva quando è provocata dall'interruzione o dall'omissione di un trattamento medico necessario alla sopravvivenza dell'individuo (come nutrizione artificiale e idratazione artificiale).

- L'eutanasia è detta volontaria quando segue la richiesta esplicita del soggetto, in grado di intendere e di volere (oppure mediante il cosiddetto testamento biologico).

- L'eutanasia è detta non-volontaria nei casi in cui non sia il soggetto stesso a esprimere tale volontà ma un soggetto terzo designato (come nei casi di eutanasia infantile o nei casi di disabilità mentale).

- L'eutanasia è detta involontaria quando è praticata contro la volontà del paziente.

- Il suicidio assistito è l'aiuto medico e amministrativo portato a un soggetto che ha deciso di morire tramite suicidio, ma senza intervenire nella somministrazione delle sostanze.

Si distingue l'eutanasia anche da altre pratiche concernenti la fine della vita:

- La terapia del dolore attraverso la somministrazione di farmaci analgesici, che possono condurre il malato a una morte prematura. Questa non è considerata una forma di eutanasia, in quanto l'intenzione del medico è di  le sofferenze del paziente e non di procurarne la morte.

- Non si configura come eutanasia il rifiuto dell'accanimento terapeutico. Il medico, nei casi in cui la morte è imminente e inevitabile, è legittimato a interrompere o rifiutare trattamenti gravosi per il malato e sproporzionati rispetto ai risultati che è lecito attendersi.

- È garantita la libertà di cura e terapia attraverso gli articoli 13 e 32 della Costituzione: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Cioè nessuna persona capace di intendere e di volere può essere costretta a un trattamento sanitario, anche quando indispensabile alla sopravvivenza.

- Non si può definire eutanasia la cessazione delle cure dopo la diagnosi di morte, in particolare dopo la diagnosi di morte cerebrale.

Intanto è bene sapere che l'eutanasia, nelle varie sue forme, è legale in quasi tutta Europa.

 

[28] Il femminicidio, questione femminile e “Codice Rosso”

 

Quando si parla di femminicidio s'intende ovviamente un omicidio di genere. Fu la criminologa ed esponente del femminismo mondiale, Diana EH Russell (1938-2020), che lottò per l'istituzione a Bruxelles di un Tribunale internazionale sui Crimini contro le Donne. Cosa che si fece nel 1976.

Non erano delegate di partiti, governi, gruppi politici o economici. Simone de Beauvoir diceva infatti che l'oppressione subita dalle donne è trasversale a qualunque regime, legge, codice morale, ordinamento sociale, ecc.

La loro lotta non doveva essere condotta esclusivamente nell'ambito della nazione, perché – come affermavano – le nazioni sono state create dagli uomini, mentre le donne appartengono alla “terra di nessuno”.

Nel Tribunale non esisteva una commissione specifica di giudici e si considerava “criminale” qualunque forma di oppressione esercitata dagli uomini sulle donne, incluse le leggi patriarcali, proprio perché il femminicidio non è che la conseguenza di comportamenti sociali misogini.

L'antropologa e politica messicana Marcela Lagarde disse infatti che nelle società appare naturale che ci sia violenza sulle donne. Le stesse donne tendono a minimizzarla, proprio perché la violenza è diventata parte delle relazioni parentali e sociali, di lavoro, educative... Siamo di fronte al paradosso di una violenza illegale ma legittimata.

Ecco, contro la violenza che si esercita conto le donne afghane ci vorrebbe un tribunale internazionale gestito dalle donne, visto che gli uomini, a qualunque Stato appartengano, non sono assolutamente in grado di fare nulla.

 

In Italia il termine “femminicidio” compare per la prima volta nell'edizione del 2009 del Devoto-Oli. D'altra parte abbiamo riconosciuto la violenza sessuale come delitto contro la persona solo nel 1996. Prima era contro la morale!

Bisogna dire che nel nostro Paese la situazione è piuttosto preoccupante. Secondo un'inchiesta ISTAT oltre il 7% delle persone ritiene accettabile che in alcune circostanze un ragazzo schiaffeggi la sua fidanzata. Addirittura il 39% della popolazione è convinta che una donna è in grado di sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole. Il 24% pensa che siano le donne a indurre la violenza sessuale, e un 15%, è dell'opinione che una donna che subisce violenza sessuale quando è ubriaca o sotto l'effetto di droghe sia almeno in parte responsabile. Per il 10% della popolazione spesso le accuse di violenza sessuale sono false. Inoltre un 7% afferma che di fronte a una proposta sessuale le donne spesso dicono no ma in realtà intendono sì, e per il 6% le donne serie non vengono violentate. C'è poi uno zoccolo duro del 2% che persiste nel ritenere che non è violenza se un uomo obbliga la moglie ad avere un rapporto sessuale contro la sua volontà.

Il clero cattolico è poi noto nel definire assassine le donne che accedono all'interruzione volontaria di gravidanza servendosi di “sicari-medici”, o snaturate perché programmano la nascita di un figlio e desiderano che nasca sano!

In Italia assistiamo a una carneficina di oltre 100 donne ammazzate ogni anno. E ciò avviene soprattutto quando i maschi non accettano la fine della relazione.

È fuor di dubbio che il nostro Stato non è in grado di proteggere le vittime di violenza domestica. Non è in grado di adottare o di far rispettare gli obblighi imposti dalle Convezioni internazionali. Basti pensare che nei casi di stalking i tribunali preferiscono concedere la misura del divieto di avvicinamento al posto degli arresti domiciliari. Il pericolo d'essere ammazzata viene sempre sottovalutato. E i giudici motivano la loro decisione dicendo che sono le donne a non tenere una condotta univoca, in quanto tendono a essere indulgenti nei confronti della violenza maschile. La maggior parte delle donne ha ancora molta paura a chiedere aiuto e ancor di più a denunciare alle autorità la propria situazione. Si è abbassata inoltre l'età media di chi subisce violenza, ma anche degli aguzzini.

La magistratura sembra non essere in grado di capire la gravità e la complessità del fenomeno, anche quando le leggi per affrontarlo ci sono. Senza poi considerare l'assoluta insufficienza delle risorse umane e materiali, che non permette un controllo adeguato di chi sia destinatario di una misura cautelare.

Nella UE, secondo la Commissione, una donna su tre ha subito violenze fisiche e/o sessuali. Le disuguaglianze di genere risultano più marcate nel settore del potere, inteso come potere decisionale sia politico che economico.

Oggi è reato diffondere illecitamente immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate, lo è il matrimonio forzato, lo è devastare e deformare con l'acido il volto di una donna.

Ma non basta di sicuro. Delitti odiosissimi come la violenza sessuale rimangono perseguibili solo se la vittima decide di sporgere querela, quando invece sarebbe meglio procedere d'ufficio, come chiede la Convenzione di Istanbul (anche per il delitto di atti persecutori).

L'Eurobarometro, che fa sondaggi d'opinione, ha rilevato che fra gli italiani solo quattro su dieci riconoscono la rilevanza della promozione della parità di genere come fattore fondamentale per una società giusta e democratica. Inoltre di fronte all'affermazione se il compito primario della donna sia quello di occuparsi della cura della casa e della famiglia, la quota di consenso in Italia raggiunge il 51%, mentre in Svezia è solo dell'11% e in Danimarca del 14%. D'altra parte è difficile sperare in meglio quando il tasso di occupazione femminile è del 50%, con una distanza di 18 punti percentuali rispetto a quello maschile. Senza contare che al Sud è fermo al 33%. Colpevole di questa situazione è anche la carenza degli asili nido. Tra le donne con figli in età prescolare e quelle senza figli c'è una differenza abissale. Il peso della famiglia determina un'estrema difficoltà a conciliare vita e lavoro.

 

Sulla G.U. del 25 luglio 2019 è stata pubblicata la Legge n. 69 (denominata “Codice Rosso”). È a favore delle donne. Cosa prevede?

1.       Un avvio più veloce del procedimento penale per alcuni reati: maltrattamenti in famiglia, stalking, violenza sessuale.

2.       La polizia giudiziaria, acquisita notizia di reato, riferisce immediatamente al pubblico ministero, anche in forma orale.

3.       Il pubblico ministero entro tre giorni dall'iscrizione della notizia di reato, deve assumere informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato i fatti di reato. E quindi gli atti d'indagine devono essere celeri.

4.       Il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa è tassativo, anche a costo di usare il braccialetto elettronico. La pena va da 6 mesi a 3 anni di carcere.

5.       È vietato diffondere immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate (cd. revenge porn), e anche se c'è il consenso, è vietato diffonderli per danneggiare la persona interessata, soprattutto usando mezzi informatici. (Per me queste cose dovrebbero vietarle anche se c'è il consenso, perché coi mezzi informatici non si sa dove vanno a finire e chi può fruirne).

6.       È stato introdotto il reato penale di deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, sanzionato con la reclusione da 8 a 14 anni.

7.       È stato introdotto il reato di costrizione o induzione al matrimonio, punito con la reclusione da 1 a 5 anni (ma è di più se il danno è subìto da un minore). Vale anche per gli stranieri.

8.       Per i maltrattamenti contro familiari e conviventi la pena va da 3 a 7 anni di carcere.

9.       Per lo stalking la pena va da 1 anno a 6 anni di carcere.

10.   Per la violenza sessuale la pena va da 6 a 12 anni di carcere. Se è di gruppo da 8 a 14. La pena aumenta fino a 1/3 se viene offeso un minore di 14 anni.

 

[29] Demografia italiana

 

Il presidente dell'Istat Gian Carlo Blangiardo dice che siamo un popolo potenziale di 32 milioni di abitanti, perché ci stiamo spopolando: nel 2021 non si riuscirà a raggiungere quota 400.000 nati.

Mi chiedo: è davvero così importante essere in tanti? Probabilmente sì in rapporto allo stile di vita consumistico che conduciamo, ma questo stile va dato per scontato?

Perché quando si parla di decrescita sul piano dei consumi come un fatto positivo, diventa invece un fatto negativo sul piano demografico? Al tempo di Augusto l'impero romano dominava su una popolazione di circa 55 milioni di persone (di cui 8-10 milioni in Italia). Quella era una civiltà barbara perché schiavistica, ma chi si lamentava della denatalità?

L'aumento incredibile della popolazione è avvenuto dopo la rivoluzione industriale, ma oggi è sotto gli occhi di tutti la devastazione ambientale che ciò ha provocato.

Insomma l'Istat dovrebbe dirci come vivere meglio nella prospettiva d'essere di meno e non dare per scontato che staremo peggio.

Lo sappiamo tutti che avere figli rappresenta sempre più, per difficoltà oggettive, una scelta posticipata e, in quanto tale, ridotta rispetto a quanti idealmente se ne desiderano. L'età media al parto ha raggiunto i 32,2 anni e si arriverà al punto che, se andiamo avanti così, si deciderà di non riprodursi per niente, perché diventerà impossibile vivere un'esistenza normale. Se uno non capisce queste cose, è meglio che cambi mestiere.

 

[30] Il nucleare civile nel mondo

 

Ieri sera mi è capitato di vedere un video della CityGlobe Tour su Youtube dedicato alle nazioni che più usano il nucleare per scopi civili.

Al primo posto ovviamente gli USA, che vogliono sempre essere i primi, soprattutto nelle cose peggiori.

Al secondo la Francia, che in Europa non resiste alla tentazione di fare sfoggio della propria grandeur, altrimenti si dovrebbe chiedere il senso di tutti gli esperimenti assurdi compiuti nelle colonie del Pacifico e, prima ancora, in Algeria, che hanno ammazzato e ammalato migliaia di persone.

Al terzo il Giappone, alla faccia di Fukushima! La storia non insegna proprio niente. Non sono bastati 16.000 morti, 2.500 ancora dispersi, 470.000 sfollati, di cui più di 40.000 non potranno più tornare alle loro abitazioni. Senza parlare dell'inquinamento del mare e del pesce che si mangiano.

Al quarto la Russia, altro territorio la cui natura è stata completamente devastata sin dai tempi dello stalinismo.

Al quinto la Corea del Sud, che a differenza di quella del Nord se ne frega del nucleare militare e pensa solo a fare soldi.

Al sesto la Germania. Ma non era diventata verde? No, perché si chiede che senso abbia smantellare le ultime 17 centrali quando i Paesi confinanti non lo fanno.

Al settimo il Canada: strano che non sia abbastanza ricco da affrontare in maniera migliore i rigori dell'inverno. È il principale produttore di energia idroelettrica nel Nord America ed è secondo solo alla Cina a livello internazionale. Lo sanno i tanti immigrati che vogliono andare là che è un Paese a rischio?

All'ottavo (incredibile!) c'è ancora l'Ucraina, che ha più centrali della Cina (subito dopo)! Chernobyl ce la ricordiamo tutti, perché dopo quel disastro immane noi abbiamo chiuso col nucleare. E avevamo solo quattro centrali. Non c'è costata molta fatica. L'unico nucleare è rimasto nelle basi NATO, ma su queste il nostro governo non può metter becco perché siamo a sovranità limitata.

Al decimo la Svezia. Ma non era un Paese pacifico e democratico, amante della natura? Due le han chiuse. Gliene sono rimaste tre, che danno il 40% dell'energia elettrica. Naturalmente dove le han messe? Non nella parte nord quasi spopolata, ma a sud, rigorosamente vicine alle poche città che hanno.

Poi Regno Unito (che si vanta di produrre più energia da eolico, idroelettrico, solare e nucleare che dai combustibili fossili, come se il nucleare fosse meno pericoloso del carbone!), Belgio (sono 20 anni che promette di chiudere le centrali nucleari e forse lo farà nel 2025, ma intanto perché invece di esportare le riserve di gas non se le tiene?), Brasile (sfruttare a mani basse l'Amazzonia non è più sufficiente), Cekia (con solo due centrali produce il 35% dell'elettricità e ora ne vuole una terza pagata dalla UE!), Svizzera (la facevo più intelligente, visti i suoi grandi mezzi finanziari: non le basta l'energia idroelettrica, vuole anche quella nucleare per poterla vendere!), India (qui ancora non hanno capito che il gravissimo incidente chimico di Bhopal, a confronto di uno di tipo nucleare, fitti come sono a livello demografico, apparirà come una sciocchezzuola), Finlandia (sono quattro gatti e pensano al nucleare!) e Spagna (qui hanno gli impianti fotovoltaici più grandi d'Europa e sono il terzo produttore mondiale di energia eolica. No, vogliono anche il nucleare: cinque centrali non bastano!).

La UE ha talmente tanti obiettivi civili strategici e pericolosi che se vengono colpiti in caso di guerra (e lo sarebbero sicuramente), rischiamo di tornare all'età della pietra e senza neppure poterci riprodurre in maniera normale.

 

Ottobre

 

 

 

[1] Difficili i rapporti tra Vaticano e Messico

 

Papa Bergoglio ha invitato i messicani a riconoscere gli errori commessi in passato, citando esplicitamente sia quelli inflitti dalla Chiesa cattolica, sia quelli che la Chiesa ha subìto: le politiche anti-cattoliche del governo di Calles (1926-29), che diedero origine alla guerra dei cattolici messicani, detti cristeros. Strano che abbia messo sullo stesso piano due situazioni violente avvenute in un lasso di tempo incredibilmente diverso. L'intero Sudamerica sta aspettando da mezzo millennio che vengano riconosciuti abusi e nefandezze, sfruttamenti e genocidi compiuti a suo danno dagli europei e dagli americani.

Non solo, ma il papa non ha fatto alcuna menzione della richiesta arrivata in Vaticano l'anno scorso sulla restituzione di alcuni antichi manoscritti relativi alla cultura indigena dei Maya e degli Aztechi conservati nella Biblioteca Vaticana, qui arrivati dopo le razzie dei conquistadores.

Il presidente messicano Obrador avrebbe voluto esporli al pubblico in occasione del 500° anniversario della conquista spagnola del Messico, ma non c'è stato niente da fare.

Anzi, alle parole di scusa del papa inviate ai vescovi messicani sono giunte immediatamente le critiche della presidente della Comunità di Madrid, Isabel Díaz Ayuso, esponente del Partito popolare, che ha definito “sorprendente” il mea culpa del Papa per i “peccati” della Chiesa all'epoca dei conquistadores.

Da notare che solo nel 1537 una bolla papale – la Sublimis Deus – promulgata da Paolo III, vietò la schiavitù degli indios, invalidando qualsiasi contratto, e decretando che gli indios erano davvero esseri umani. A quanto pare però non per tutti gli spagnoli, ancora oggi, lo sono.

 

[2] I camionisti in Europa

 

Gli inglesi attribuiscono alla Brexit la mancanza di camionisti che trasportano carburanti e derrate alimentari, ma se Atene piange Sparta non ride.

I camionisti mancano in tutta Europa. E i motivi stanno nelle cattive condizioni di lavoro, nelle lunghe distanze e nelle settimane (anche mesi) lontani da casa.

Le aziende che li pagano non rispettano le leggi. Fanno guidare i camionisti anche fino a 20 ore consecutive, utilizzando alcuni trucchetti per eludere i controlli relativi ai tempi di guida e di riposo (spesso dormono in cabina). Non li sottopongono a nessun controllo medico periodico, obbligatorio per chi opera in questo settore. Li costringono a viaggiare su mezzi malfunzionanti. Molte aziende di autotrasporto consegnano Durc falsi che attestano un'inesistente regolarità contributiva.

Inoltre aprono filiali in Paesi dell'Europa dell'est o addirittura fuori della UE per ridurre i costi, ma poi vogliono che i conducenti lavorino in Europa occidentale per lunghi periodi con stipendi relativamente bassi (quelli del loro Paese d'origine).

Non hanno certamente condizioni di lavoro paragonabili a quelli dei ferrovieri. P.es. il regolamento prevede che il conducente, dopo aver guidato per 4 ore e mezza di fila, debba fermarsi per una pausa di 45 minuti consecutivi, a meno che gli autisti non siano due. Ma queste cose non succedono mai, salvo per gli autisti dei pullman turistici. In ogni caso, anche se vi è multipresenza, gli autisti non possono guidare più di 56 ore settimanali, e nel corso di due settimane consecutive non possono superare le 90 ore di lavoro.

 

[3] Proteste giustificate nel porto di Genova

 

Nel porto di Genova, il più grande d'Italia, uno dei più importanti d'Europa, transitano navi saudite cariche di armi. Ufficialmente noi, con la legge n. 185/1990 (modificata nel 2019), abbiamo revocato l'export di armi o anche solo il transito a quei Paesi che usano come risoluzione finale dei conflitti l'atto della guerra. Però all'Arabia Saudita (e anche agli Emirati Arabi Uniti) permettiamo che le loro navi attracchino nei nostri porti. Così, di fatto, le armi raggiungono contesti di guerra, Yemen in primis.

Le organizzazioni dei portuali genovesi non sono disposte a collaborare con questo traffico di morte (che tra l'altro colpisce soprattutto i civili) e si stanno rifiutando di operare sui carichi di navi battenti bandiera saudita, che si riforniscono di armi in molti porti dei Paesi occidentali. Per es. il governo di Macron nel solo 2020 ha venduto bombe, siluri e razzi all'Arabia Saudita per circa 10 miliardi di euro. Stessa cosa (lo si sa per certo) viene fatta in alcuni porti spagnoli. Pare che la Francia fornisca anche agenti per la guerra chimica. Dopo hai voglia a parlare di democrazia, laicità e diritti umani...

Non è forse assodato da molto tempo che in un mondo integrato come il nostro, dove tutto è interconnesso, non può accadere nulla che in qualche maniera non ci coinvolga? Lo vediamo a livello climatico, ma si può partecipare a una guerra anche senza sparare un colpo.

Il fatto che l'Italia sia l'ottavo partner commerciale dell'Arabia Saudita (vi sono una cinquantina di nostre aziende in quel Paese), non giustifica che si debba offrire libero accesso alle loro navi cariche di armamenti, anche perché i sauditi sono espressione di un governo assolutamente autoritario. E allora perché quando i portuali genovesi cominciano a protestare efficacemente (come han fatto nel maggio 2020), arriva poi la Procura che inizia a indagarli per associazione a delinquere finalizzata a minacciare la sicurezza pubblica dei trasporti? Diventa pericoloso accendere persino un fumogeno!

In realtà son proprio le navi saudite cariche di armi che possono causare seri incidenti nei porti dove attraccano. Ce lo ricordiamo tutti quel che è successo nel porto di Beirut, quando nell'agosto 2020 l'esplosione di una nave carica di nitrato d'ammonio ha ucciso 214 persone, ferendone altre 7.000. Peraltro il porto di Genova è gestito da 13 aziende diverse con 13 protocolli di sicurezza diversi: se scoppia un incendio in una banchina o in un terminal, gli altri non sanno neppure come comportarsi.

Pensare che fino a pochissimo tempo fa producevamo anche armi per i sauditi. Lo faceva la RWM, sita in Sardegna, a Iglesias, per conto della Rheinmetall tedesca. In Germania, dopo la seconda guerra mondiale, alcune tipologie di armi non possono essere più prodotte. Tranquilli, lo facciamo noi. Basta che paghiate. L'ultimo governo Conte disse però basta. La RWM ha fatto ricorso, perché delle questioni etiche non gliene può fregare di meno, ma a maggio 2021 il TAR del Lazio ha confermato il blocco.

cfr Frontierenews.it dove sull'argomento vengono dette molte più cose.

 

[4] Talebani e taglio della mano ai ladri

 

Il taglio della mano, che i talebani vogliono ripristinare come quando erano al governo negli anni '90, è terribile. È previsto dal Corano per entrambi i sessi. La prima volta la mano destra, la seconda il piede sinistro, la terza la mano sinistra e la quarta il piede destro. Devono essere incrociati. La quinta volta viene giustiziato. Chissà come uno fa a rubare senza mani e senza piedi... Pentirsi comunque non serve a niente.

Lo stesso Maometto fece eseguire una sentenza del genere a quanti avevano razziato i suoi cammelli (e in più li fece accecare). Siccome i cammelli erano suoi, fondatore della nuova religione, il reato doveva considerato addirittura contro Allah: in tal caso era prevista un'immediata esecuzione capitale (anche tramite crocifissione). Ma Maometto era indulgente e si limitò a una pena inferiore, che comunque portò i ladri a morire, come sempre succede se la ferita non viene cauterizzata (una volta si usava olio o pece bollente).

Amnesty International sostiene che eseguire queste pene incredibilmente crudeli non ha niente a che fare con la giustizia e serve solo a mostrare il completo disprezzo delle autorità per la dignità umana. In un sistema giudiziario forte non c'è posto per sanzioni del genere. L'amputazione di un arto è pura e semplice tortura, e compiere atti di tortura è un crimine di diritto internazionale.

Il governo talebano, su questo, la pensa esattamente come quello iraniano, che in pubblico usa anche le frustate e l'accecamento. Da notare che la procedura per l'esecuzione delle pene corporali come l'amputazione richiede la presenza di un medico, in evidente violazione dell'etica medica e del diritto internazionale.

Attenzione però a non esaltarci quanto a rispetto dei diritti umani. In Europa, durante l'inquisizione, il carnefice tagliava lingua, orecchie, nasi, mani, cavava gli occhi e praticava tante altre pene corporali di indicibile sofferenza, soprattutto agli indigenti che non avevano i mezzi per pagare forti multe. Ai ladri colti in flagranza era tagliata la mano sinistra la prima volta e, in caso di recidiva, la mano destra. Si dava per scontato che la destra servisse più della sinistra. Bisogna ammetterlo: una finezza rispetto ai talebani. Però i talebani sono più scrupolosi in altra maniera: il ladro viene bendato.

 

[5] Russia e social da vietare

 

Il Roskomnadzor è un organo della Federazione Russa che controlla le comunicazioni di massa (le connessioni web), la privacy e le frequenze radio. Ha il potere di oscurarle se le ritiene nocive agli interessi statali e nazionali.

Ebbene l'Associazione russa per la protezione del diritto d'autore su Internet si è rivolta al Roskomnadzor chiedendo di agire contro Facebook a causa dell'enorme distribuzione di libri piratati sul network Instagram. Mark Zuckerberg ha comprato Instagram nel 2012.

Anzi più di 2.000 materiali illegali su Facebook e Instagram sono stati rintracciati: illegali perché contenenti elementi pedopornografici, suicidari, pro-narcotici, falsi, estremisti... giudicati pericolosi per i cittadini russi.

Ma Roskomnadzor ce l'ha anche con Google per la ripetuta mancata cancellazione delle informazioni vietate su YouTube (dal 2014 ad oggi più di 3.000 materiali illegali sono stati individuati). L'ha già multata di 6,5 milioni di rubli. Anche TikTok e Twitter sono nel mirino dei tribunali di Mosca.

Insomma il web sta diventando sempre più pericoloso. L'ha detto anche il senatore statunitense Richard Blumenthal (democratico del Connecticut), per il quale dietro l'attacco al Campidoglio del 6 gennaio di quest'anno vi era un'organizzazione realizzata tramite Facebook e Instagram.

Secondo il “Wall Street Journal” Instagram può persino contribuire alla formazione di disturbi mentali nelle ragazze adolescenti, compreso lo sviluppo dell'anoressia e la comparsa di pensieri suicidi. Navigare su Instagram fa sì che alcuni utenti, circa il 40% dei quali sono giovani sotto i 22 anni, si sentano inferiori perché non abbastanza attraenti o ricchi.

 

[6] L'inquinamento del digitale è mostruoso

 

Si calcola che un'email da 1 mega emetta circa 19 grammi di CO2. Un semplice tweet ha un'impronta di 0,2 grammi. Una riunione di 5 ore in videoconferenza tra partecipanti di diversi Paesi produce fra i 4 e i 215 kg di CO2 o, se si preferisce, 4 ore di streaming consumano quasi quanto un frigorifero in una settimana.

Una ricerca inglese ha calcolato che se i britannici evitassero di inviare messaggi inutili di posta elettronica, farebbero la stessa cosa che togliere dalle strade 3.000 macchine diesel!

Secondo i dati forniti da Facile.it sul consumo medio per elettrodomestici, una famiglia italiana composta da quattro persone per l'utilizzo annuale di 2 televisori, 2 computer, 2 condizionatori, frigorifero, lavastoviglie, lavatrice e scaldabagno elettrico, consuma mediamente 3600 kWh. Ebbene, un giorno di smartphone in Italia (ne abbiamo circa 80 milioni) equivale al consumo energetico annuale di 33 famiglie di questo tipo.

Secondo un report di Shift Project, le tecnologie digitali sono responsabili del 4% delle emissioni di gas serra, una cifra che potrebbe raddoppiare già entro il 2025 e arrivare nel 2040 al 14%.

Un rapporto dell'European Environmental Bureau del 2019 ha calcolato che soltanto in Europa l'intero ciclo di vita degli smartphone europei è responsabile di 14 milioni di tonnellate di emissioni (CO2eq) ogni anno, che è più del bilancio del carbonio della Lettonia. Se il ciclo di vita dei dispositivi venisse allungato anche solo di un anno si potrebbe risparmiare il corrispettivo di 2 milioni di emissioni equivalenti.

Questo per dire che l'infotelematica (e il digitale in generale) è uno degli strumenti più impattanti che esistano. Non c'è solo il petrolio e il nucleare. Questo poi senza considerare che non abbiamo affatto diminuito la carta: abbiamo solo affiancato a questa un altro prodotto.

Nel nostro Paese la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili si attesta intorno al 35%, che non serve certo a fermare il surriscaldamento climatico e i disastri ambientali. Con l'energia elettrica utilizzata dal digitale in Italia potrebbero essere alimentate quasi 1,5 milioni di case.

Qui è l'intero stile di vita che va modificato. Dovremmo pensare a risparmiare il più possibile. Invece ci dicono che dobbiamo spendere il più possibile, per far girare l'economia. Per gli analisti se aumenta l'inflazione è un buon segno, altrimenti siamo in recessione.

 

[7] Le donne in Afghanistan

 

Da quando ha ripreso il controllo dell'Afghanistan, il governo dei talebani sta dando indicazioni restrittive sull'istruzione femminile, come avevano fatto col primo regime tra il 1996 e il 2001, quando per le donne era vietato andare a scuola dopo i 12 anni.

Per ora alle studentesse afghane sarà permesso l'accesso all'educazione primaria (l'equivalente delle scuole elementari italiane) e alle università, anche se in entrambi i casi in sezioni riservate a sole studentesse; all'università i corsi (con programmi riveduti e corretti) dovranno essere tenuti solo da docenti donne. Non può esistere alcuna libertà d'insegnamento.

Non è invece chiaro cosa intendano fare con l'educazione secondaria, l'equivalente delle nostre medie e superiori: una fascia d'istruzione necessaria a garantire, anche in futuro, la continuazione degli studi, altrimenti una volta esaurito il numero di studentesse attualmente iscritte all'università, non ci saranno più ragazze che potranno iscriversi.

Per ora le studentesse che dovrebbero frequentare le scuole secondarie (tra i 12 e i 17 anni) non sono tornate in classe, con grave danno soprattutto per chi si deve diplomare. Anche le dipendenti del Comune di Kabul non possono più andare a lavorare. E nessuna può più fare sport, indossare abiti colorati, utilizzare lo smartphone e molte altre cose. La maggior parte delle donne ha dovuto chiudere la propria attività commerciale, oppure affidarla agli uomini.

È stato sostituito il rettore dell'Università di Kabul con un certo Ashraf Ghairat, un giovane militante talebano molto fanatico, privo di qualunque qualifica per svolgere un ruolo così importante.

Hanno anche chiuso il ministero degli Affari femminili, una specie di ministero delle Pari opportunità, per sostituirlo con un ministero per “la diffusione della virtù e la prevenzione del vizio”. Le donne vanno tenute sotto controllo etico, poiché è per colpa loro se nel Paese si diffonde il “vizio” (sic!).

Purtroppo le proteste delle donne urbane non sono accompagnate da reazioni simili nelle campagne, dove vive più del 70% della popolazione afghana. Nelle campagne le donne vivono soprattutto dentro casa, non parlano volentieri con gli estranei, né hanno intenzione di lasciare il Paese. Qui l'instaurazione del nuovo regime non ha destato alcun malcontento, anzi viene vissuto come un momento di pace rispetto all'occupazione degli occidentali, che per trovare i talebani finivano col l'uccidere dei civili sospettati di esserlo, o portandoli in prigione. Gli stessi programmi d'istruzione venivano percepiti come un'imposizione di valori occidentali.

Due cose sono evidenti, anzi tre: la democrazia non può essere imposta in nessuna maniera, e più si tengono analfabete le donne, meno strumenti culturali avranno per opporsi a questa banda di misogini criminali. La terza è che, avendo un estremo bisogno di aiuti internazionali, i talebani preferiscono, per certi aspetti, restare ancora nel vago.

 

[8] La pedofilia nella confessione cattolica

 

Ormai la questione della pedofilia nell'ambito del clero cattolico ha raggiunto livelli tali per cui un genitore, prima di affidare il figlio a un prete (anche solo per apprendere il catechismo), deve pensarci molto bene.

Che non sia il caso di eliminare l'obbligo del celibato? In fondo per mille anni i preti cattolici sono stati spostati. Anzi a livello giuridico l'obbligo del celibato è stato deciso solo nel Concilio di Trento (1545-63) in opposizione alle tesi protestanti.

Diciamo però che già verso il Mille, con la riforma gregoriana, le gerarchie cattoliche avevano rinunciato alla pratica degli ortodossi, secondo cui non è possibile diventare preti se non si è sposati (solo una volta e con una donna non divorziata), a meno che uno non rinunci al matrimonio, ma in tal caso deve sapere che se diventa prete non potrà più sposarsi, anche se potrà accedere ai ruoli alti del sacerdozio (vescovo, metropolita...). In genere gli ortodossi per questi ruoli si servono dei monaci, a meno che uno non si separi dalla moglie. Naturalmente non s'impediva a un prete rimasto vedovo di risposarsi, ma doveva accettare la riduzione allo stato laicale.

Nella chiesa protestante i preti possono sposarsi e, visto che il matrimonio non è considerato un sacramento, possono anche divorziare.

Per gli ebrei addirittura (ma anche per gli islamici) celibato e nubilato sono, a livello generale, fortemente sconsigliati per qualsiasi essere umano. “Non è un uomo colui che non abbia moglie”, diceva il rabbino Elazar nel II sec. d.C.

 

Resta abbastanza curioso che nell'ultimo report sulla pedofilia negli ambienti cattolici francesi, per il periodo tra il 1950 e il 2020, a livello generale le vittime di abusi sessuali sono per il 75% femmine e per il 25% maschi, mentre per quanto riguarda gli abusi perpetrati dal clero l'80% delle vittime sono maschi, il 20% femmine. Il maschilismo impera anche in questo campo.

Inoltre più di 1/3 delle aggressioni sessuali nella Chiesa cattolica sono state commesse non da chierici o religiosi, ma da laici.

Probabilmente in questa confessione religiosa, arrivati a questo punto, non basterebbe neppure eliminare il celibato obbligatorio del clero. Qui ci vuole una profonda rieducazione etica in senso lato.

 

[9] UE contraria agli algoritmi che violano dignità e privacy. Obblighi e divieti talebani

 

Per combattere la discriminazione e garantire la privacy, gli eurodeputati, a larga maggioranza, han chiesto forti salvaguardie quando gli strumenti dell'Intelligenza Artificiale sono utilizzati dalle forze dell'ordine e dalla magistratura. Le persone monitorate dai sistemi alimentati da algoritmi devono avere accesso a eventuali ricorsi: questo perché i diritti fondamentali sono incondizionati.

Molte tecnologie già in uso commettono un numero sproporzionato di errori d'identificazione e di classificazione, danneggiando soprattutto le persone che appartengono a determinati gruppi razziali o etnici, le persone LGBTI, i bambini, gli anziani e le donne: il che crea situazioni particolarmente preoccupanti.

Per garantire il rispetto dei diritti fondamentali, gli algoritmi dovrebbero essere trasparenti, tracciabili e sufficientemente documentati, e le autorità pubbliche dovrebbero divulgare le loro applicazioni come software open-source.

Per rispettare la privacy e la dignità umana, i deputati chiedono un divieto permanente dell'utilizzo del riconoscimento automatico delle persone negli spazi pubblici, notando che i cittadini dovrebbero essere monitorati solo se sospettati di un crimine.

Il Parlamento chiede di vietare anche l'uso di banche dati private di riconoscimento facciale (come il sistema americano Clearview AI, banca dati di oltre tre miliardi di immagini raccolte illegalmente dai social network, già in uso) e la polizia predittiva basata sui dati comportamentali.

Gli eurodeputati chiedono anche di vietare i sistemi di punteggio sociale, che cercano di valutare l'affidabilità dei cittadini in base al loro comportamento o alla personalità.

Infine il Parlamento europeo si è dichiarato contrario al progetto iBorderCtrl, preposto a velocizzare il lavoro delle guardie di frontiera, fornendole di un aiuto-poliziotto in forma di avatar in grado non solo di rilevare i dati biometrici dei viaggiatori, quali impronte digitali e tratti del volto, ma anche di scoprire le loro emozioni, individuando chi mente ed è quindi un potenziale terrorista. Un “sistema intelligente di rilevamento delle bugie” per l'ingresso dei viaggiatori nella UE è semplicemente un sistema da idioti.

 

Quali divieti i talebani han già messo? Vediamo quelli per le donne:

- lavorare fuori casa, il che vale anche per insegnanti, ingegneri e la maggior parte delle professionisti (solo alcune donne medico e infermiere hanno il permesso di lavorare in alcuni ospedali a Kabul);

- qualunque attività fuori casa, se non accompagnate da un mahram (parente stretto come un padre, un fratello o un marito);

- trattare con negozianti maschi;

- essere curate o assistite da dottori maschi;

- parlare o dare la mano a uomini non mahram;

- andare in taxi senza un mahram;

- andare in bicicletta o motocicletta anche se con il mahram;

- ridere ad alta voce (nessuno straniero dovrebbe sentire la voce di una donna);

- portare tacchi alti perché produce suono quando camminano (un uomo non deve sentire i passi di una donna);

- studiare in scuole superiori (sono previste le scuole elementari e, provvisoriamente, che chi è già iscritta all'università la concluda);

- indossare vestiti con colori vivaci, sessualmente attraenti, o portare pantaloni larghi anche sotto il burqa, l'abito che le deve coprire, in pubblico, da capo a piedi (sono previste frustate in pubblico se hanno le caviglie scoperte);

- i sarti maschili non possono prendere misure per le donne o cucire vestiti femminili;

- essere presenti in radio, televisione o incontri pubblici di qualsiasi tipo;

- praticare sport o entrare in un centro sportivo o in un club (i bagni pubblici femminili sono stati chiusi);

- incontrarsi in occasioni di festa o per scopi ricreativi;

- lavare i vestiti vicino a fiumi o in luoghi pubblici;

- apparire sui balconi dei loro appartamenti o case;

- viaggiare sugli stessi bus: i bus pubblici sono ora stati nominati “solo per uomini” o “solo per donne”;

- fotografare o filmare, anzi neppure un uomo può fotografare una donna per giornali e libri o appendere la foto sulle pareti delle case e dei negozi;

- uso di qualunque cosmetico (per le unghie smaltate può essere tagliato un dito);

- la stessa parola “donna” è vietata (per es i “giardini per donne” sono stati chiamati “giardini di primavera”).

Naturalmente è prevista la lapidazione pubblica per le donne accusate di avere relazioni sessuali al di fuori del matrimonio.

A parte queste restrizioni sulle donne, i talebani hanno vietato di ascoltare musica, guardare film, televisione e video sia agli uomini che alle donne. La festa del capodanno (Nowruz) del 21 marzo han detto che non è islamica. E quella del Giorno del Lavoro (1 maggio) l'han tolta perché considerata “comunista”. Vogliono che tutti i nomi islamici siano cambiati in nomi islamici. Anche gli uomini devono indossare vestiti islamici (tutti gli studenti devono portare il turbante), né si devono radere né ornare le loro barbe. Le minoranze etniche devono portare un contrassegno distintivo sui vestiti. Tutti devono seguire le preghiere nelle moschee cinque volte al giorno. È vietato tenere piccioni o giocare con uccelli o far volare aquiloni. Chi legge libri proibiti o cambia religione viene giustiziato. Gli sportivi devono cantare “Allah-o-akbar” (Dio è grande) e gli spettatori non devono applaudire.

 

[10] Diga turca di Ilisu

 

La Turchia ha completato la costruzione della diga di Ilisu sul fiume Tigri, nel cuore del Kurdistan turco, che allagherà più di 313 kmq. Sarà la seconda più grande del Paese in termini di capacità d'acqua e la quarta per produzione di energia elettrica.

È prevista la scomparsa di almeno 300 siti storici e archeologici, tra cui il più importante di tutti, quello di Hasankeyf, uno dei più antichi insediamenti della storia dell'umanità, dove ancora oggi sono visibili le tracce lasciate da assiri, medi, persiani, greci, romani, bizantini, arabi, ottomani..., meta di pellegrinaggio per oltre 30.000 persone l'anno.

C'è poco da fare: i turchi odiano i kurdi e disprezzano la storia. L'avevano già dimostrato con un'altra diga, quella di Ataturk sul fiume Eufrate nella pianura di Harran, luogo mitico nella storia della civiltà kurda dove sorgeva il leggendario “Tempio del Peccato”, scomparso sotto le acque insieme a più di 600 villaggi. Gli abitanti furono deportati a Istanbul e ad Ankara. Intanto nella zona sono comparse malattie prima sconosciute, come la malaria, la schistosomiasi e la leishmaniosi.

Ora la rilocazione forzata non solo riguarderà gli oltre 3.000 abitanti di Hasankeyf, ma anche circa 80.000 persone di 199 villaggi della valle del Tigri, con compensazioni del tutto inadeguate per le loro terre.

Il megaprogetto della diga Ilisu toglierà molta acqua anche alla Siria (di cui il Tigri segna il confine) e soprattutto all'Iraq, che ha già conosciuto stagioni di grave siccità, anche perché la Turchia di Erdoğan non lascia scorrere le acque. Si rischia quindi una guerra dell'acqua. Esiste persino il concreto pericolo che la Turchia voglia conquistare il Kurdistan autonomo nel nord della Siria.

Insomma una diga che avrà una vita di 50 anni inghiottirà una storia di 12.000 anni.

 

[11] L'egoismo della Svizzera

 

Perché la Svizzera non vuole entrare nella UE e fa saltare tutti i negoziati (esclusi ovviamente quelli bilaterali)? Gli ultimi sono durati ben 7 anni, senza alcun risultato.

I motivi sono i seguenti:

1- I salari svizzeri sono più alti rispetto a quelli dell'UE e non vogliono metterli in discussione.

2- La libera circolazione di tutti i cittadini della UE potrebbe rendere più facile l'accesso alle prestazioni sociali svizzere, che sono molte alte e verrebbero ridotte ai cittadini svizzeri.

3- Berna vuole essere autonoma nel decidere gli adeguamenti del diritto svizzero a quello della UE e non le piace il ruolo della Corte di giustizia europea nella risoluzione delle controversie.

4- Agli svizzeri non piace che la UE impedisca agli Stati di aiutare le imprese onde evitare sleali forme di concorrenza.

Per questo preferisce accordi bilaterali tra Stati: dal 1972 ad oggi sono stati circa 120 accordi. E non è che con questi accordi sia la Svizzera a guadagnarci di più, anzi, la bilancia commerciale tra Svizzera e UE pende per diversi miliardi in favore di Bruxelles. La Svizzera è il quarto partner commerciale dell'Europa e pesa per il 7% sulle esportazioni continentali: gli scambi ogni giorno sono stimati intorno al miliardo di euro.

Viceversa per Berna la UE rappresenta il primo partner commerciale, con un valore pari al 42% delle sue esportazioni e al 50% delle sue importazioni. Germania, Italia e Francia assorbono praticamente la metà elle esportazioni elvetiche.

L'egoismo degli svizzeri fa un po' pena. Lo sanno tutti che si sono arricchiti soprattutto grazie ai depositi degli altri Paesi nelle loro banche, che avevano un segreto bancario assoluto, in vigore dal 1713. Solo dal 2018, in seguito all'inchiesta della nostra Tangentopoli, è in vigore lo scambio automatico di informazioni tra Italia, Svizzera e altri 98 Paesi UE.

Che poi, se andiamo a leggere cosa è scritto qui, dovremo constatare che la Svizzera continua a restare un paradiso per il riciclaggio del denaro.

www.swissinfo.ch/ita/banques-blanchiment-corruption_il-segreto-bancario-rimane-un-modello-di-affari-per-le-banche-svizzere/46328626

Gli stessi, recenti, “Pandora Papers” hanno raccolto dei dati finanziari che riguardano 14 diverse entità presenti in Paesi e territori che includono la Svizzera, Singapore, le Isole Vergini Britanniche, Belize e Cipro.

 

[12] Corruzione alle stelle nel Perù

 

Nel 2016 il brasiliano Marcelo Odebrecht, ex presidente di una propria società di costruzioni, rivelò al Dipartimento di Giustizia americano d'aver pagato, per ottenere appalti di lavori pubblici, circa 800 milioni di dollari di tangenti ai governi di 12 Paesi, per lo più dell'America Latina, una regione colpita dal flagello della corruzione. In genere erano contributi in contanti per le campagne elettorali.

Questa ammissione ha avuto soprattutto in Perù effetti mai visti prima, in riferimento alle indagini sull'enorme complotto corruttivo denominato “Lava Jato”. Tutti gli ex Presidenti degli ultimi 20 anni sono attualmente indagati per corruzione o si trovano agli arresti domiciliari.

Odebrecht disse di aver dato 29 milioni di dollari ad alti funzionari peruviani tra il 2005 e il 2014, durante le presidenze di Alejandro Toledo (arrestato nel 2019 in California e detenuto nel carcere di San Francisco, in attesa della sua estradizione), Alan García (suicidatosi nel 2019 quando la polizia giunse a casa sua), Ollanta Humala (finito in carcere con la moglie per 9 mesi) e Pedro Pablo Kuczynski, che, dimessosi dalla presidenza dopo essere stato 20 mesi in carica, ora sta scontando 36 mesi di detenzione preventiva domiciliare ed è in attesa di giudizio. Favorì Odebrecht quand'era ministro dell'Economia nel governo di Toledo.

Le indagini hanno raggiunto anche l'ex candidato presidenziale Keiko Fujimori, che poche settimane fa ha lasciato il carcere preventivo dopo più di 13 mesi. Anche il primogenito di Fujimori, Alberto, si è fatto 36 mesi di carcerazione preventiva, ma deve scontare una condanna a 25 anni per corruzione, appropriazione indebita, usurpazione di funzioni, distrazione di fondi e responsabilità nell'omicidio degli studenti de La Cantuta.

Sono coinvolti anche un'altra dozzina di ex funzionari peruviani di alto livello, tra cui due sindaci di Lima e alcuni ex governatori regionali. Insomma lo scandalo Odebrecht ha colpito duramente la destra e la sinistra politica peruviane. Ed è il più grande dell'intera storia sudamericana.

C'è poco da fare: è il denaro il peggior flagello dell'umanità. Lo è perché esistono i mercati e i mercati esistono perché i mezzi produttivi dei beni di consumo appartengono a poche persone. Questa separazione tra chi produce e chi consuma è la fonte di tutti i mali. Ma fino adesso come si è cercato di risolvere il problema? Con la statalizzazione dei mezzi produttivi, che ha eliminato il libero mercato e ha reso poco significativo l'uso del denaro. In pratica al mercato Leviatano si è sostituito lo Stato Leviatano. Con quale risultato? Autoritarismo politico, conformismo ideologico, burocrazia asfissiante, perdita della libertà personale...

La variante di questo socialismo statale sta nell'esperimento cinese, che però, invece di un Leviatano, ne ha due: lo Stato socialista e il Mercato capitalistico, coi peggiori difetti di entrambi.

La vera alternativa a tutte queste assurdità sta soltanto nell'eliminare tutte le forme di dipendenza sia dallo Stato che dal Mercato, lasciando che sia la società ad autogestirsi.

 

[13] Una donna alla guida della Tunisia

 

Dopo due mesi e mezzo di stallo, il presidente tunisino Kais Saied ha annunciato oggi la formazione del nuovo esecutivo. Incredibile a dirsi: è capeggiato dalla premier Najla Bouden, la prima donna alla guida del governo di uno Stato islamico, un governo composto da 25 ministri di cui 9 donne.

Durante il giuramento la Bouden ha affermato che la priorità del nuovo esecutivo sarà “la lotta alla corruzione”. La premier, nata nel 1958, è docente alla Scuola nazionale di ingegneria di Tunisi ed è stata funzionaria del ministero dell'Interno.

Bisognerebbe farlo sapere a quella banda di criminali che governa l'Afghanistan, ma sarà difficile perché hanno vietato qualunque programma radiofonico e televisivo, per non parlare dell'accesso alla rete: tutto vietato perché hanno paura anche della loro ombra.

 

[14] In Italia si studia poco

 

Senza un diploma secondario superiore un Paese non cresce. Lo si sa da un pezzo. E chi ha più laureati che sviluppano ricerche scientifiche batte tutti.

Ebbene – scrive OpenPolis.it – noi nel 2020 abbiamo avuto solo il 63% dei diplomati, mentre nella UE la media europea è del 79%. Meglio poi che non guardiamo i dati delle università, perché qui c'è da spararsi. Anche solo nelle facoltà triennali siamo indietro come i gamberi (una media del 20% contro il 33% europeo). Tonino Guerra diceva che i romagnoli non leggono neanche se li ammazzi. Mi sa che questa frase vada applicata all'intero territorio nazionale.

Il problema grosso è che da noi il 13% di giovani abbandona prematuramente gli studi. Ed è una media nazionale, che non tiene conto delle enormi disparità a livello regionale. Ai primi posti della classifica sugli abbandoni scolastici troviamo infatti Sicilia (19,4%), Campania (17,3%), Calabria (16,6%) e Puglia (15,6%).

Nel complesso solo Malta (16,7%), Spagna (16%) e Romania (15,6%) sono messe peggio di noi.

 

[15] Il nucleare si ripropone in Europa come scelta strategica

 

Francia, Finlandia, Cekia, Slovacchia, Croazia, Slovenia, Bulgaria, Romania, Ungheria e Polonia hanno pubblicato un documento congiunto a favore dell'energia nucleare, sottolineando il ruolo che, a loro dire, svolgerebbe contro il riscaldamento globale. Il testo inoltre sostiene che il nucleare, contribuendo all'indipendenza energetica, proteggerebbe i consumatori europei dalla volatilità dei prezzi.

Temono di non poter realizzare gli obiettivi europei della decarbonizzazione e di non avere sufficienti mezzi per fronteggiare la minaccia del caro-energia. Ma dietro queste richieste c'è lo zampino dei francesi, che hanno protestato contro l'orientamento di Bruxelles di non inserire il nucleare tra le fonti pulite. Macron ha già detto che la Francia vuole lanciarsi nella costruzione di reattori su piccola scala, che andrebbero in supporto delle centrali più vecchie, e lo farà entro il 2030. Nei piani di Parigi uno dei perni per la produzione di idrogeno, su cui il governo ha già investito 7 miliardi coi fondi europei di Next Generation Eu, è proprio l'energia nucleare. D'altra parte dal Generale De Gaulle in poi nessun presidente francese ha mai voluto rinunciare all'atomo. Il nucleare è la loro pietra angolare dell'autonomia strategica, civile e militare, interna ed estera.

La Francia si era convertita al nucleare negli anni '70, in reazione agli choc petroliferi. La generazione di centrali costruite fino agli anni '90 sono state omologate per 40 anni e quindi si avvicinano alla scadenza. Solo una, quella di Fessenheim, vicina al confine tedesco, è stata chiusa. Per tutte le altre l'autorità di sicurezza nucleare ha approvato una proroga di altri 10 anni. L'anno scorso la Francia è stata costretta a riaccendere le sue centrali a carbone per assicurare la produzione elettrica, perché 24 dei 54 reattori nucleari, che garantiscono più del 70% della produzione elettrica, erano fermi causa manutenzione o guasti tecnici. Il che l'aveva anche costretta a importare energia dall'estero, in particolare dalla Germania, Paese ancora fortemente dipendente dal carbone dopo aver detto addio al nucleare.

Certo, mettere a confronto la potenza del nucleare con quella dell'eolico è ridicolo, ma qui bisogna guardare anche l'impatto sull'ambiente, non solo l'efficienza produttivistica. Chissà perché infatti i suddetti Paesi europei non hanno parlato del problema delle scorie. Non lo sanno che l'unico nucleare sensato è quello a fusione non a fissione, cioè quello del Sole, non quello che produce bombe atomiche? Ma per quello a fusione non abbiamo abbastanza potenza energetica per farlo funzionare.

La stessa Francia non sa come smaltire i rifiuti. Al momento hanno solo promesso di seppellire le scorie in un deposito scavato 500 metri sotto terra, nel contestatissimo progetto Cigéo in corso a Bure, nell'est del Paese.

Intanto i francesi sono alle prese coi gravi problemi tecnici del reattore nucleare Epr a Flamanville, sul litorale della Manica, che dal 2007 non si riesce a inaugurare e per il quale l'investimento iniziale è salito da 3 a 12 miliardi di euro: un fallimento clamoroso nel Paese più nuclearizzato al mondo. Solo nel 2023 si pensa di concluderlo.

Da notare che la nuova tecnologia Epr era stata venduta dalla Francia ai cinesi per rifornire di elettricità un territorio equivalente alla Gran Bretagna, ma con una popolazione doppia. Macron andò di persona a Taishan, nel 2018, a inaugurare i primi due reattori di nuova generazione, ma proprio lì si segnalò subito una fuga radioattiva. La centrale non è mai stata fermata perché secondo le autorità cinesi non c'è niente di anormale nella radioattività intorno ai reattori! Tanto più che i tassi radioattivi delle norme cinesi sono tre volte quelli francesi!

 

[16] Di nuovo il nucleare in Italia?

 

Di possibile ritorno al nucleare si è parlato anche in Italia, dopo una frase del ministro della Transizione Roberto Cingolani che a inizio settembre ha riaperto il dibattito sul nuovo nucleare di quarta generazione, “senza uranio arricchito e acqua pesante”.

Da noi la produzione di energia nucleare, inaugurata nel 1963 con la prima centrale a Latina, si è fermata nel 1987, a seguito del referendum promosso dopo l'incidente avvenuto nel 1986 alla centrale ucraina di Chernobyl.

Dal 1988 al 1990 le centrali furono chiuse, i cantieri degli impianti in costruzione interrotti. L'azienda statale incaricata di smantellare i rifiuti radioattivi, la Sogin (Società gestione impianti nucleari), nata nel 1999, non sa ancora dove metterli, perché nessuna Regione li vuole. Tutti i costi dell'operazione sono comunque coperti dalla bolletta elettrica che paghiamo ogni bimestre.

Le centrali nucleari si trovano a Trino Vercellese (Vercelli), Caorso (Piacenza), Latina e Garigliano (Caserta). Gli impianti del ciclo del combustibile sono invece a Eurex di Saluggia (Vercelli), Ipu e Opec di Casaccia (Roma), Itrec di Rotondella (Matera), Fn di Bosco Marengo (Alessandria) e il reattore di ricerca Ispra-1 nel CCR di Ispra (Varese).

Stando a dati ufficiali, abbiamo circa 31.000 metri cubi di rifiuti radioattivi, collocati in 24 impianti, distribuiti su 16 siti in 8 Regioni. Ma ancora non abbiamo un deposito nazionale, e questo ci serve anche per l'attività che si svolge ogni giorno nella medicina nucleare, nell'industria e nella ricerca scientifica.

Nell'ambito della UE la gamma di fonti energetiche disponibili comprende cinque diverse fonti: prodotti petroliferi (compreso il petrolio greggio) al 36%, gas naturale al 22%, energia rinnovabile al 15%, energia nucleare e combustibili fossili solidi entrambi al 13%. Tuttavia in Francia e Svezia la quota del nucleare sale, rispettivamente, al 41% e al 31% (in Svezia però un altro 41% proviene da fonti rinnovabili).

Il maggior produttore di energia nucleare nella UE è la Francia (52,1% del totale), seguita da Germania (9,8%), Svezia (8,6%) e Spagna (7,6%), più altri 9 Stati. Sono 14 i Paesi in cui non sono presenti centrali nucleari attive: Italia, Danimarca, Austria, Polonia, Portogallo, Irlanda, Grecia, Cipro, Malta, Estonia, Lettonia, Lituania, Croazia e Lussemburgo. Tuttavia la Germania ha deciso di spegnere tutti i suoi reattori entro il 2022: l'operazione costerà ai tedeschi 2,4 miliardi di euro.

Siccome 13 centrali europee sono collocate a meno di 200 km dai nostri confini, le province italiane esposte a maggior rischio sono Cuneo, Torino, Aosta, Varese, Sondrio, Bolzano, Udine e Trieste. Ma a seconda delle condizioni climatiche una nube tossica può arrivare tranquillamente anche a Milano, Bologna e Firenze. Da notare, in tal senso, che la centrale francese di Tricastin, a cui il governo vuol estendere la licenza d'uso per altri 10 anni, oltre ai 40 anni previsti, è in zona sismica e l'ultimo terremoto si è verificato l'11 novembre 2019.

 

[17] Quale nuova rivoluzione fiscale?

 

Già si parla di rivoluzione fiscale, in riferimento all'approvazione da parte del G20 dell'accordo sulla riforma della fiscalità internazionale che prevede una tassazione minima al 15% per le multinazionali con fatturato globale superiore a 20 miliardi di euro, nonché una web tax, basata sulla territorialità, da corrispondere al Paese in cui l'impresa digitale opera, in ragione di almeno il 25% dei profitti che superano un margine del 10% dei ricavi: quindi in base alla presenza fisica di una stabile organizzazione in un dato Paese.

Questa svolta, definita “epocale”, farà guadagnare al fisco degli Stati circa 150 miliardi di dollari l'anno, andando così ad aiutare i conti pubblici disastrati a causa della pandemia.

Si sono trovati d'accordo 140 Paesi (del G20, dell'OCSE, della UE, ecc.), con la sola esclusione di Estonia, Kenya, Nigeria, Pakistan e Sri Lanka, che non sono certo dei giganti dell'economia mondiale. Russia, India e Cina al momento stanno a guardare.

Non ci sarà più competizione fiscale tra Stati ma un approccio collaborativo. Frasi come “vieni a mettere le tue sedi da me, che ti agevolo fiscalmente”, non potranno più essere pronunciate. Le grandi economie mondiali si sono rese conto che la competizione fiscale coi Paesi piccoli o emergenti, che offrono tassazioni ridicole alle multinazionali, è autolesionista, in quanto ottengono solo perdita di gettito fiscale: le loro stesse aziende più grandi non versano nulla nelle casse statali.

In pratica cos'è successo? È successo che, siccome nel capitalismo la politica di un singolo Stato non può far nulla contro il business della singola multinazionale, si è deciso di mettere d'accordo le politiche di quanti più Stati possibile, cercando d'indurre tutte le multinazionali a non espatriare, in quanto troverebbero ovunque la stessa percentuale di tassazione fiscale. Naturalmente in virtù di tale decisione ci rimetteranno non solo le suddette multinazionali (anche se il 15% resta una tassazione ridicola), ma anche i Paesi più piccoli che sulla competizione fiscale basavano la loro ricchezza. Apple, Google, Pfizer e tante altri in teoria non avranno più motivo di tenere le sedi fiscali in Irlanda, tanto per fare un esempio, dove pur le grandi imprese danno lavoro a un irlandese su otto.

Tuttavia proprio l'Irlanda ha mantenuto il diritto d'imporre un'aliquota soltanto del 12,5% alle imprese con ricavi annui inferiori a 750 milioni di euro. L'Ungheria invece ha ottenuto che il previsto periodo di transizione di sette anni venga allungato fino a 10. Bene, fatta la legge trovato l'inganno. Ora per il prossimo decennio molte grandi imprese andranno in Ungheria o resteranno in Irlanda. Tanto la globalizzazione non la ferma nessuno. E, quanto alle imprese di minori dimensioni, quelle che rimangono rinchiuse nel perimetro dei loro Stati nazionali, continueranno a essere colpite da una pressione fiscale di molto superiore a quella delle multinazionali, che possono sfruttare le economie di scala e la delocalizzazione della produzione.

Insomma accontentiamoci di un compromesso politico tra alcuni dei più grandi Paesi del pianeta. In realtà la strada per una effettiva realizzazione del progetto appare ancora molto lunga, checché ne pensi il nostro Gentiloni. Infatti continuano a mancare regole comuni sulla determinazione della base imponibile su cui applicare l'aliquota fissata. Inoltre mancano dei controlli accurati sugli effettivi bilanci delle multinazionali. I recenti “Pandora Papers” sono la riprova che i grandi le tasse non le vogliono proprio pagare.

Per non parlare del fatto che le criptovalute (che tendono a sottrarsi a qualunque forma di tassazione, distruggendo le economie reali) sono cresciute enormemente negli ultimi anni: gli utenti totali sono passati da 5 milioni nel 2016 ad almeno 100 milioni nel 2020. Con un valore unitario inferiore a 1.000 euro all'inizio del 2017, il prezzo di Bitcoin è salito a oltre 42.000 euro. La capitalizzazione di mercato delle criptovalute totali ha raggiunto i 2 trilioni di euro (l'equivalente del PIL italiano). L'uso principale delle criptovalute è l'investimento, ma ci sono anche commercianti e persino società, banche e Stati (p.es. El Salvador) che accettano Bitcoin come mezzo di pagamento. Le criptovalute possono essere considerate come un nuovo tipo di paradiso fiscale, poiché gli utenti sono quasi anonimi e non operano in una giurisdizione fiscale specifica. Vengono tassate (fino a un certo punto) solo se si fa trading. Di fatto stanno diventando un'alternativa alle valute nazionali instabili. Gli Stati Uniti sono arrivati a minacciare le banche svizzere se non offrono dettagli contabili e patrimoniali sui clienti americani.

 

[18] Davvero i fascisti in Italia non esistono più?

 

Dicono che i fascisti non esistono più in Italia, che sono solo nelle fantasie degli antifascisti. Non siamo più al tempo dei NAR della strage di Bologna.

Ma come, non esiste più il Movimento Fascismo e Libertà fondato dal senatore Giorgio Pisanò nel 1991, dopo la scissione dal Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale? No, perché dopo la morte di Pisanò, nel 1997, il Movimento nel 2001 subì una scissione, con alcuni dirigenti che hanno fondato il Nuovo Ordine Nazionale. Attenzione a quando compaiono parole come “Nuovo Ordine”!

Nel 2009 il Movimento Fascismo e Libertà ha cambiato denominazione in Movimento Fascismo e Libertà - Partito Socialista Nazionale (MFL-PSN). Ancora si mescola fascismo con socialismo!

Ma sono ancora vivi il Movimento Politico, Base Autonoma, Azione Skinhead (Veneto Fronte Skinheads fu fondato negli anni 1985-86), L'Uomo Libero e Meridiano Zero, posti fuori legge nel 1993 dal decreto Mancino? È dubbio che siano morti. In Italia non si muore mai. Siamo il Paese con più vecchi al mondo.

E che dire di Alleanza Nazionale e del Movimento Sociale - Fiamma Tricolore, fondato nel 1995 da Pino Rauti con la svolta di Fiuggi e lo scioglimento dell'MSI-DN? Li escludiamo? Si sono democratizzati? A sentir parlare la figlia di Rauti pare proprio di no. Rauti fondò anche il Movimento Idea Sociale nel 2004, dopo la scissione dal Movimento Sociale - Fiamma Tricolore. Son come le teste dell'Idra.

Forse pochi sanno che esiste una versione italiana del Front National francese della Le Pen, amica di Salvini: il Fronte Nazionale, fondato nel 1997 da Adriano Tilgher e Tomaso Staiti di Cuddia dopo la loro espulsione dal Movimento Sociale - Fiamma Tricolore.

E che dire di Forza Nuova, fondato nel 1997 da Roberto Fiore e Massimo Morsello? Non la si vorrà mica considerare neofascista solo perché ha distrutto a Roma la sede della CGIL? Non hanno mica occupato il Parlamento!

E il Nuovo MSI, fondato nel 2000 da Gaetano Saya, ex-militare messinese successivamente accusato di voler creare una “Nuova Gladio” e una polizia parallela? Chissà se rimpiange Cossiga?

E i Fasci Italiani del Lavoro, fondati agli inizi degli anni 2000 nel Comune di Sermide dall'ultrà milanista ed ex missino Claudio Negrini, la cui figlia fu eletta nel 2017 consigliera comunale di Sermide e Felonica? Fu un caso nazionale, perché il suo partito ottenne il 10% dei voti! Lei fu destituita perché c'era il sospetto di ricostituzione del partito fascista, anche se poi al processo penale al gruppo furono assolti tutti. Come al solito. Da noi i processi, quando ci sono di mezzo i fascisti, non arrivano mai a nulla.

E il Blocco Studentesco, organizzazione studentesca di CasaPound nata ufficialmente nel 2003? Loro stessi dicono di ispirarsi al fascismo.

E Rifondazione Fascista, fondata nel 2006 a Cisterna di Latina da Quinto Mariani, ex-missino: persino dalla denominazione si capisce di che razza è.

E CasaPound Italia, nata nel 2003? E Alternativa Tricolore, nata nel 2011? E la Comunità dei Dodici Raggi (Do.Ra), di chiara ispirazione nazifascista, fondata a Caidate, frazione di Sumirago nel 2012? Sono fascisti solo quelli che si dichiarano anche nazisti?

E la Destra Sociale, fondata da Luca Romagnoli dopo l'estromissione nel 2014 dalla carica di segretario del Movimento Sociale Fiamma Tricolore?

E il Manipolo d'Avanguardia Bergamo (M.A.B.), non è forse un movimento d'ispirazione nazifascista? Già la parola “manipolo” dovrebbe farlo pensare...

E il Nuovo Ordine Nazionale (NON), fondato a Foggia da Giuseppe Martorana, ex-segretario di Fascismo e Libertà, attivo soprattutto nel sud Italia?

Ma quelli che fanno più paura sono i fascioleghisti di Salvini e i Fratelli d'Italia della Meloni, di La Russa e Crosetto. Questi se vanno al governo, avranno l'appoggio incondizionato di tutti gli altri, inclusi Forza Italia e i cattolici di destra (come p.es. Comunione e Liberazione), che non sono certo pochi.

 

[19] È possibile avere rapporti commerciali equi con l'Africa?

 

Dicono che la posizione italiana nei confronti dell'Africa sia passata da un'esclusiva attenzione per le questioni migratorie e securitarie, a un approccio olistico vero e proprio. Nel senso che dobbiamo sostituire la tradizionale visione dell'Africa come “continente senza speranza” con la concezione di un grande “territorio di opportunità”, soprattutto alla luce della nuova area commerciale chiamata AfCFTA (African Continental Free Trade Area), che copre una popolazione di 1,2 miliardi di persone e costituisce la più grande area di libero scambio al mondo per numero di Paesi coinvolti, che dovrebbe crescere fino a raggiungere i 2,5 miliardi entro il 2050.

Naturalmente per noi occidentali “libero scambio” vuol dire anzitutto reciprocità nell'abbassamento dei dazi. Per i Paesi africani che vi hanno aderito vuol dire invece abbassare i dazi intracontinentali e permettere a qualunque cittadino africano di potersi trasferire facilmente in qualunque Paese africano, superando i confini del passato coloniale.

Nel recente documento strategico del Ministero degli Affari esteri, “Partenariato con l'Africa”, l'Africa Mediterranea, il Corno d'Africa e Mar Rosso, il Sahel e l'Africa australe vengono definite come “un'assoluta priorità della politica estera italiana”, la quale deve superare l'anacronistica logica beneficiario-donatore, per promuovere invece un rapporto paritario che rafforzi la cooperazione, soprattutto in materia di politiche di migrazione (i flussi migratori sono per noi insostenibili), di sicurezza (il terrorismo in Africa non accenna a diminuire) e di adattamento ai cambiamenti climatici (l'intero continente patisce in maniera abnorme un disastro ambientale provocato dai Paesi più industrializzati del mondo).

Insomma se l'Africa vuol diventare come noi europei, smettendo di piangersi addosso per il passato colonialismo (che noi italiani peraltro abbiamo praticato in aree molto limitate), noi saremo ben disposti ad aiutarla, anche perché sarà nel nostro stesso interesse, in quanto siamo il principale punto d'approdo degli immigrati africani. Inoltre possiamo fare affari come tutti gli altri Paesi avanzati del mondo.

In realtà l'Africa, pur essendo ricchissima di risorse naturali, è debolissima per colpa del colonialismo europeo subìto nel passato. Basti pensare che molti Paesi sono specializzati nell'export di poche materie prime (imposte ieri dagli europei e oggi dal globalismo), diventando così vittime della volatilità dei prezzi sui mercati internazionali. Non solo, ma l'intero continente è così dipendente da potenze straniere che la quota del commercio tra Paesi africani è appena del 19%.

Trattare alla pari con un continente così debole non ha senso. La metà del PIL africano viene prodotto in soli tre Stati: Nigeria, Sudafrica ed Egitto. L'Unione Africana ha risorse finanziarie che dipendono in larga parte dai donatori esterni, in particolare dall'Unione Europea.

Il Fondo Monetario Internazionale ha già detto che se ai Paesi africani afflitti dalla pandemia del COVID (anche perché privi dei vaccini) non verranno dati finanziamenti aggiuntivi pari a 285 miliardi di dollari entro il 2025, gli effetti saranno catastrofici per il mondo intero.

 

[20] L'arte di spacciare fake news nei social

 

Impressionante un art. di “Internazionale” del 19 ottobre sulle fake news che appaiono nei social nati nel terzo millennio.

Facebook è stato concepito agli inizi del 2004 e arriva in Italia alla metà del 2008. YouTube pubblica il suo primo video alla metà del 2005. Twitter nasce nel 2007. WhatsApp è stata lanciata alla fine del 2009. Instagram nasce nel 2010. Telegram nasce nel 2013. Il lancio di TikTok è del 2016. Google precede tutti perché nasce nel 1998.

Grazie a loro in rete aumenta la velocità di consegna delle notizie. Il costo medio di produzione e la qualità delle notizie inevitabilmente diminuiscono. Le persone sono incentivate a investire sempre più tempo per consumare sempre più notizie irrilevanti e di cattiva qualità.

Questo risultato si ottiene profilando gli utenti, confezionando notizie su misura (quindi, alterandole in modo che risultino più gradite a ogni singolo utente) e radicalizzandone i contenuti. Paradossalmente ai siti che diffondono fake news le inserzioni pubblicitarie rendono più di 1,5 miliardi di dollari all'anno, e questo nel solo mercato statunitense.

Infatti, oltre ad avere un ridottissimo costo di produzione (non c'è bisogno di preparazione e competenza, di indagini sul campo, di verifiche) in rete le notizie false offrono una redditività molto più alta di quella delle notizie vere: raggiungono molte più persone, viaggiano più in fretta e arrivano più in profondità. Il motivo è semplice: le notizie false sono più “nuove”, sorprendono, scandalizzano, impauriscono o fanno arrabbiare di più. In sostanza coinvolgono di più. Quindi procurano anche più pubblico agli inserzionisti pubblicitari.

Poiché l'allocazione delle inserzioni è automatizzata, molte grandi marche, senza neanche saperlo, finanziano i siti di fake news attraverso la pubblicità. In pochi anni una larga parte dell'investimento pubblicitario ha smesso di sostenere i mezzi d'informazione tradizionali, riducendo drammaticamente le risorse necessarie a fare buona informazione. In Italia, nel decennio 2010-20, i ricavi dei maggiori gruppi di editoria dell'informazione si sono più che dimezzati. Negli USA lo smantellamento dell'informazione locale è stato uno degli sviluppi più devastanti del web.

Nel 2020 appartiene unicamente a Facebook (con 2,9 miliardi di utenti attivi mensili) il 45% dell'investimento pubblicitario mondiale. Google segue con un 10%. Il 4 ottobre Facebook, Instagram e WhatsApp si sono spente per sette ore circa a causa di un errore umano nella configurazione dei router. È il blackout più lungo di sempre. Il titolo ha perso 6,11 miliardi di dollari!

A fronte di guadagni giganteschi, la tassazione è sempre stata irrisoria: per anni i colossi digitali hanno spostato i loro profitti nei paradisi fiscali. Finalmente 136 Paesi hanno concordato di applicare, a partire dal 2023, una (modesta) aliquota del 15% sui profitti, e di farlo là dove i guadagni sono realizzati.

Tuttavia la critica a questi social è durissima. Si comincia a parlare di neocolonialismo digitale. I social sono progettati per suscitare reazioni emotive forti, che vanno ben oltre i confini nazionali. Attraverso questi strumenti si può organizzare qualunque cosa, anche l'assalto di Capitol Hill. Se prima le diseguaglianze erano nei possedimenti terrieri, nei mezzi produttivi, oggi lo sono nei big data, l'asset più prezioso della nostra epoca.

 

[21] L'Africa alla deriva

 

Son capitato casualmente sul sito vaticannews.va, sempre alla ricerca di notizie interessanti, e ho trovato un'intervista del 25 maggio scorso, concessa dal comboniano Giulio Albanese, editorialista dell'“Osservatore Romano”, esperto africanista, che merita d'essere riassunta.

Anzitutto ha detto che il passaggio dall'Organizzazione dell'Unità Africana, nata nel 1963, all'Unione Africana, nata nel 2009, ha comportato il totale ripensamento di uno dei punti fermi su cui si reggeva la passata Organizzazione, il fatto cioè che non ci si potesse ingerire negli affari interni dei singoli Paesi. Oggi, invece, quando avviene un colpo di Stato in qualsiasi Paese africano, la prima iniziativa che viene presa da Addis Abeba, sede dell'Unione, è quella di sospendere il Paese da tutte le attività e dagli organi decisionali dell'UA (di recente l'ha fatto con la Guinea).

Rimane però aperta la questione della intangibilità dei confini: ancora oggi una sorta di principio categorico. Il problema però è che sono avvenuti dei cambiamenti radicali: pensiamo alla nascita dell'Eritrea agli inizi degli anni '90, che prima faceva parte dell'Etiopia, o nel 2011 alla nascita del Sud Sudan, che ha diviso in due il più grande Paese africano. Questo rappresenta motivo di preoccupazione, anche perché, considerando che i confini degli Stati sono un retaggio dell'epoca coloniale, altri potrebbero imitarli.

Non dimentichiamo che la prima cosa da fare oggi per garantire la pace nel continente è assicurare la sicurezza alimentare e poi la partecipazione democratica di tutti coloro che, all'interno dei Paesi, sono chiamati a esercitare il diritto di voto. Noi sappiamo che in Africa questo è un altro grosso problema, perché quando ci sono le consultazioni, in molti Paesi spesso si verificano brogli.

Questo continente (grande tre volte l'Europa) sta attraversando una penosa congiuntura, per l'impennata della conflittualità tra gli Stati, dalla Somalia alla Repubblica Democratica del Congo, dalla Nigeria settentrionale alla recente crisi del Tigrai: la lista è lunga. Poi vi sono i pesanti condizionamenti derivati dalla crisi libica, con la costante penetrazione di cellule jihadiste verso l'Africa subsahariana. Se a questo aggiungiamo la crisi economica scatenata dal Covid-19, che ha innescato meccanismi recessivi senza precedenti, unitamente a quello che è l'accanimento della speculazione finanziaria internazionale e la debolezza del sistema sanitario continentale, per non parlare poi dei cambiamenti climatici, il tanto declamato “Rinascimento africano”, in questo frangente, sembra essere svanito in una bolla di sapone.

Nonostante ciò bisogna dire che l'Africa non è assolutamente povera come spesso si pensa. Semmai è “impoverita”, ma questa è un'altra storia. L'Africa non chiede la nostra beneficenza, chiede il riconoscimento della propria dignità. Questo continente, se fosse davvero rispettato, non si manifesterebbe come una sorta di terra di conquista da parte soprattutto di organizzazioni, imprese e aziende straniere multinazionali. L'Africa ha bisogno davvero di una cooperazione perspicace, intelligente perché poi, se andiamo a vedere i dati dell'UNCTAD, il paradosso è proprio questo: che sono molti di più i soldi che gli africani nel loro complesso danno alle nazioni ricche e industrializzate, rispetto a quelli che noi presumiamo di dare a loro. E questo perché c'è un'attività fortemente speculativa proprio sulle ricchezze naturali del continente.

Un altro aspetto assai preoccupante è la questione del debito. Nel momento in cui vengono prestati dei denari ai Paesi africani, noi assistiamo a quel fenomeno che viene definito in gergo “finanziarizzazione del debito”. In sostanza significa che il pagamento degli interessi è legato alle speculazioni in borsa. Si tratta di un sistema vessatorio, perché è dimostrato matematicamente che se il debito viene finanziarizzato, chi riceve i soldi non sarà mai nelle condizioni di poter restituire, rispettando la tabella di marcia, ciò che ha ricevuto. Gli interessi sul debito gli impediranno di crescere.

Infine la pandemia ha colpito anche l'Africa. Il sistema sanitario continentale lascia molto a desiderare, anche perché le zone rurali spesso sono isolate dal resto del mondo. Oggi in Africa c'è penuria di vaccini e c'è davvero bisogno di solidarietà dal punto di vista della salute, perché è il continente nel mondo in cui c'è la maggior circolazione di fake medical, cioè di farmaci contraffatti che, invece di guarire le persone, in molti casi addirittura possono determinarne la morte. Finché ci sarà penuria di vaccini nelle periferie del mondo, in particolare in Africa, il rischio di nuove varianti è quasi scontato.

L'Africa ha delle straordinarie potenzialità, ha saperi ancestrali, ha 1.500 popoli diversi, è stata la culla dell'umanità, poiché lì l'homo sapiens ha mosso i primi passi. Queste culture hanno dato molto all'umanità. Pensiamo alla civiltà egiziana, a quella axumita (in Africa centro-orientale), pensiamo anche a tutte quelle etnie che sono anni luce distanti dal nostro immaginario, ma che possiedono un sapere che è parte del bene comune dell'umanità.

 

[22] La barbarie talebana fin dove arriverà?

 

L'Unione Europea ha confermato il suo sostegno economico all'Afghanistan e tra il 2021 e il 2025 metterà sul piatto 1,2 miliardi di euro. I talebani però han decapitato una giocatrice di 18 anni della sez. giovanile della squadra nazionale femminile di pallavolo, Mahjabin Hakimi, di etnia hazara, di fede sciita e d'origine cinese. Aveva anche prestato servizio come poliziotta.

Motivo? Non voleva abbandonare la propria disciplina, che la costringeva a non usare l'hijab. Era stata una delle giocatrici di maggior successo del club di Kabul, un esempio per le altre donne.

Se voi talebani credete davvero in Allah, dovreste sapere che non è scritto da nessuna parte che le donne non possano fare alcun tipo di sport. In tanti Paesi islamici le donne sono sportive.

Se avete paura di una cosa così banale, non avete alcun futuro. Il vostro fascismo religioso verrà spazzato via dalla storia. E lo stesso Allah avrà orrore della vostra barbarie, perché, anche se una delle sue virtù è la compassione o la misericordia, state pur certi che con voi non ne avrà.

La vostra interpretazione dell'Islam è una vergogna dell'umanità. E mi meraviglio che contro di voi non si sollevino gli stessi Paesi islamici, più moderati o più democratici di voi. Mi stupisco che non siano anzitutto loro a isolarvi e a sostenere con forza che con un governo privo di qualunque forma di umanità, non vogliono avere nulla a che fare.

Non siete voi che potete decidere che cosa per una donna è necessario fare o no. Né che cosa una donna può tenere coperto o scoperto. Le volete ermeticamente chiuse nei burqa, però non vi siete fatti scrupolo di mostrarla nei social col collo mozzato e sanguinante. E siccome siete dei vigliacchi, capaci solo di far le cose di nascosto, perché in fondo avete paura anche della vostra ombra, non avete detto a nessuno l'ora e le modalità esatte della vergognosa esecuzione. Peraltro solo oggi abbiamo saputo che l'avete ammazzata all'inizio di ottobre, poiché avevate minacciato di ritorsioni la famiglia se avesse parlato. Volevate avere campo libero a perquisire le case di un certo numero di ragazze sportive in varie città. Questo perché sapete bene che di quella squadra solo due pallavoliste sono riuscite a scappare prima che voi entraste nello scalo aereo. Le altre sono state costrette a nascondersi in luoghi sconosciuti anche ai parenti. Un'altra di loro è stata uccisa ad agosto a colpi di pistola.

La cosa ancor più grave è che gli sforzi della squadra nazionale di pallavolo femminile per ottenere il sostegno di organizzazioni straniere al fine di lasciare il Paese finora non hanno avuto successo. Come se non si sapesse che sono a rischio tutte le attività delle donne in ambito sportivo, politico e sociale.

Per fortuna che la scorsa settimana la FIFA e il governo del Qatar hanno evacuato con successo 100 calciatrici e i loro familiari. Sì, anche i familiari devono andarsene, perché i talebani son come i mafiosi: si rifanno anche sui parenti.[7]

 

[23] Duri a morire i pregiudizi maschilisti

 

Lo storico Alessandro Barbero su “La Stampa” avrebbe detto frasi sessiste piuttosto imbarazzanti: “Vale la pena chiedersi se non ci siano differenze strutturali fra uomo e donna che rendono a quest'ultima più difficile avere successo in certi campi”. E anche: “È possibile che, in media, le donne manchino di quella aggressività, spavalderia e sicurezza di sé che aiutano ad affermarsi”. Strana questa caduta di stile in una persona intelligente, culturalmente molto preparata.

Gli è stato detto che l'aggressività non dovrebbe essere un valore, né sul lavoro né altrove. E in ogni caso gli uomini non sanno quanto le donne devono faticare ogni giorno per avere successo anche senza essere spavalde, aggressive e sicure di sé. Questo sul piano etico.

Ma il problema è un altro e dipende proprio dalla storia. Per evitare di cadere in questa grossolana svista sarebbe stato sufficiente leggersi quanto dicevano Horkheimer, Fromm e Marcuse già negli anni '30 sull'autorità e la famiglia: l'uomo moderno è una bestia perché riflette valori borghesi, mentre la donna ha un maggior senso etico perché riflette valori pre-borghesi.

Certo da allora le donne purtroppo son diventate come gli uomini: questo perché il capitalismo ha stravinto su tutti i fronti. E se oggi le donne non si affermano come gli uomini, è solo perché il maschilismo continua a regnare sovrano, come retaggio che ci portiamo dietro sin dai tempi dello schiavismo. Non è questione di psicologia né di biologia, ma proprio di cultura.

 

[24] Una guerra mondiale nucleare alle porte?

 

Dopo la vergognosa ritirata della NATO dall'Afghanistan la UE si è messa a parlare di “esercito europeo”. Abbiamo una nostra dignità da difendere e non vogliamo che la cosa si ripeta, anche perché non ci è piaciuto affatto d'essere stati tenuti all'oscuro dalle decisioni unilaterali statunitensi.

Cioè invece di dire alla NATO di togliersi dai piedi dal nostro continente, stiamo pensando di aggiungere alle innumerevoli e potentissime armi americane nuove armi europee, sotto il pretesto di un uso diversificato. In pratica altro denaro da buttare a mare.

Si vuole arrivare a un esercito europeo di almeno 5-6.000 unità, che faccia riferimento esclusivo a Bruxelles, dove però non esiste alcuna politica estera comune. Jens Stoltenberg, Segretario generale della NATO dal 2014 (fino al 2022), ha subito voluto precisare che la NATO chiede da molti anni agli alleati europei d'investire di più e di fornire maggiori capacità di alto livello, senza aver la pretesa di duplicare le strutture dell'alleanza.

Questo servo stolto degli americani, che è norvegese e quindi non fa neanche parte della UE, e che apparteneva al partito laburista, infangando le gloriose tradizioni socialiste di questo partito, viene a dire a noi che dobbiamo continuare a stare sottomessi agli USA, poiché sono loro che garantiscono la nostra sicurezza. Infatti lo vediamo tutti i giorni nei continui tentativi della NATO di far compiere alla Russia un passo falso per poter far scoppiare una guerra nucleare in Europa. Gli USA vogliono le risorse della Siberia e temono la concorrenza commerciale degli europei. Le basi NATO non se ne andranno mai dall'Europa, che ha perso la II guerra mondiale e che viene considerata dagli yankee un territorio a sovranità limitata.

Da tempo gli americani ci stanno facendo capire che dobbiamo tenerci pronti a una nuova guerra mondiale, questa volta contro Cina e Russia (che pur, nella sostanza, sono capitalisti come loro, per cui non c'è neppure il pretesto dell'anticomunismo), una guerra che sarà necessariamente nucleare, perché quelli sono due colossi. E senza la NATO non potrà essere vinta. Infatti la prima potenza militare europea, considerata atomisticamente, è la Francia, solo settima nella classifica mondiale.

Per gli USA l'unico modo di affrontare i problemi interni, che sul piano economico sono sempre più gravi, a causa del loro esasperato individualismo, è quello di provocare guerre contro il nemico di turno (che dopo l'URSS era diventato il terrorismo islamico, mentre ora è soprattutto la Cina). Fanno la stessa cosa che facevano i Romani. I nemici servono per distogliere l'attenzione dai problemi interni e per accaparrarsi le risorse altrui. E siccome noi siamo succubi della loro politica estera, non possiamo pensare di non avere gli stessi nemici che hanno loro.

Già stanno cercando di farci capire che la Cina ha sviluppato un nuovo missile ipersonico – manovrabile da remoto – in grado di volare fino a 8.643 km/h, sorvolando l'intero globo ed eludendo la difesa statunitense. Un qualche motivo per far scoppiare una guerra si trova sempre, sia esso reale o fittizio, come quando Powell disse all'ONU di avere le prove delle armi di sterminio di massa di Saddam Hussein, ed esibì una ridicola fialetta di antrace, fornita dalla CIA, con cui si fece scoppiare la guerra contro l'Irak.

Purtroppo non c'è niente da fare: l'idea che una maggiore sicurezza proviene dal disarmo progressivo di tutti gli Stati, a partire dallo smantellamento delle armi nucleari, non viene presa in considerazione da nessuno. L'ultimo ad averla è stato Gorbaciov, giudicato un povero sognatore.

 

[25] Perché al governo turco fa tanta paura Osman Kavala?

 

Chi è Osman Kavala, quel 64enne, di origine greca, detenuto dal 2017 nelle carceri turche con l'accusa di aver partecipato al tentato golpe del 2016 e alle manifestazioni antigovernative del 2013 di Gezi Park, per il quale il presidente Erdoğan è intenzionato a espellere gli ambasciatori di Canada, Francia, Finlandia, Danimarca, Germania, Olanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Svezia e Stati Uniti che ne chiedono la scarcerazione?

Nel 2019 la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo aveva già chiesto la stessa cosa e il Consiglio d'Europa, a cui la Turchia ha aderito nel 1950, aveva ventilato una procedura per infrazione contro Ankara.

Kavala, prima dell'arresto, stava curando diversi progetti legati alla difesa delle minoranze e dei diritti umani in Turchia. Ha ereditato un'azienda del tabacco dal padre, ma si è sempre dedicato all'editoria e alla cultura. Ha creato diverse ONG ecologiste, è molto noto negli ambienti archeologici, in quanto si preoccupa attivamente di tutelare il patrimonio culturale in pericolo del suo Paese, soprattutto con la sua fondazione di beneficenza. È un finanziatore di Amnesty International, in quanto difensore dei diritti umani.

Insomma è una persona di cui i turchi dovrebbero andare fieri. Cos'è che, di quello che fa, dà tanto fastidio al governo? Qual è l'origine delle accuse nei suoi confronti? Kevala è stato un membro fondatore della Open Society Foundation in Turchia, una rete internazionale di donazioni creata dal miliardario americano-ungherese George Soros, che però nel 2018 ha cessato tutte le sue attività in Turchia. L'accusa sostiene che dietro la cospirazione per abbattere il governo turco vi sarebbe proprio George Soros.

Kavala ha già subìto vari processi ma è sempre stato prosciolto per mancanza di prove. Ciononostante il governo lo vuole in carcere e fa pressioni sulla magistratura affinché gli commini l'ergastolo.

 

[26] Gli anni contati dei ghiacciai alpini

 

Dal 1850 il volume dei ghiacciai alpini si è ridotto di circa il 60%. Potrebbero scomparire entro la fine del secolo. Ed è bene ricordare che i ghiacciai del pianeta immagazzinano il 95% di tutte le riserve di acqua dolce.

Nell'estate torrida del 2019 in sole due settimane si sono perse nelle Alpi 800 milioni di tonnellate di neve e ghiaccio: in pratica un cubo di ghiaccio alto tre volte la Torre Eiffel, che è la quantità di acqua potabile consumata dalla popolazione elvetica (8,5 milioni di persone) in un anno.

In Svizzera sono molto preoccupati, perché quasi il 60% della corrente proviene dalla forza idrica, la quota più alta in Europa dopo la Norvegia (il resto proviene dalle cinque centrali nucleari). Costatano infatti che i ghiacciai diminuiscono anche quando hanno abbondanti nevicate in inverno ed estati fresche.

Siccome dall'era preindustriale la temperatura in Svizzera è aumentata di quasi 2°C, il doppio rispetto alla media mondiale, prevedono che la metà dei 1.500 ghiacciai scomparirà nei prossimi 30 anni. Soltanto nell'anno idrologico 2017-2018, i circa 1.500 ghiacciai hanno perso circa il 2,5% del loro volume.

Lo scioglimento è particolarmente allarmante nella regione dell'Himalaya e sulle Ande, dove dai ghiacciai dipende l'esistenza di centinaia di milioni di persone.

Le conseguenze sono note: rischio di disastri naturali quali inondazioni, colate detritiche e frane. I laghi che si formano all'interno di un ghiacciaio rischiano di riversarsi improvvisamente a valle, spazzando via villaggi e infrastrutture.

La portata dei grandi fiumi europei – Rodano, Reno, Danubio e Po – e quindi dei laghi potrebbe sensibilmente diminuire, rendendo più difficile la navigazione e il trasporto di merci. Danneggiato inevitabilmente sarà il sistema idroelettrico. Si rischieranno guerre per avere acqua potabile.

Sul piano estetico poi dovremo abituarci a vedere le montagne di colore nero. Addio quindi al turismo alpino.

Alternative a questo disastro? Cambiare stile di vita, sempre più energivoro e consumistico.

E in attesa? Proteggere il ghiacciaio con la neve artificiale o coi teli bianchi geotessili per schermare i raggi del sole (non concepiti però per salvare un ghiacciaio intero). Siccome le precipitazioni non saranno più nevose ma liquide, sarebbe bene conservare l'acqua piovana. Gli scienziati svizzeri stanno anche pensando di riciclare l'acqua di disgelo che scorre a valle durante l'estate. Cioè pensano di conservarla ad alta quota e ritrasformarla in ghiaccio durante l'inverno. Oppure riutilizzarla per produrre neve artificiale.

 

[27] Che sta succedendo in Sudan?

 

In Sudan alcuni militari legati al generale Abdel Fattah al-Burhan hanno arrestato il 25 ottobre il premier Abdalla Hamdok e un certo numero di ministri del governo ad interim. Al-Burhan ha dichiarato lo stato d'emergenza e imposto il coprifuoco nel Paese, pur assicurando il passaggio democratico a un nuovo governo da eleggersi nel giugno 2023.

L'ufficio del premier ha chiesto al popolo di scendere in piazza usando “tutti i mezzi pacifici possibili per riprendersi la rivoluzione dai ladri”. Perché i mezzi debbano essere “pacifici” non è chiaro. Il colpo di stato è militare. E infatti i militari stanno cominciando ad ammazzare i manifestanti.

Il governo in carica era di transizione, poiché, dopo la rivoluzione che aveva tolto di mezzo, nell'aprile 2019, l'ex presidente-autocrate Omar al-Bashir, al potere da 30 anni, si era formata una strana alleanza, di tipo civile-militare, tra il vecchio e il nuovo, in attesa di diventare del tutto civile. Infatti al-Burhan rappresentava il fronte militare di tale alleanza.

I problemi sono emersi quando il principale blocco civile (Forze per la libertà e il cambiamento), che ha guidato le proteste anti-Bashir nel 2019, si è frammentato in due fazioni, di cui una vuole il ritorno a un governo militare. Il governo ad interim infatti stava riformando l'esercito, cercando di epurarlo dai tanti militari rimasti fedeli all'ex regime, i quali, con le loro ingerenze, impedivano di compiere riforme radicali, soprattutto in campo economico.

In particolare le Forze di supporto rapido – organizzazione paramilitare creata dall'ex presidente al Bashir per reprimere le rivolte in Darfur – non vogliono essere integrate nell'esercito regolare, poiché ciò le costringerebbe a cedere parte del loro enorme potere economico e politico (al momento controllano indirettamente l'80% dell'economia sommersa sudanese). Anzi, si può dire che le forze armate, come nel vicino Egitto, controllano molte attività strategiche del Paese, tra cui il commercio del gas da cucina e l'estrazione mineraria.

Il Sudan rappresentava uno degli ultimi tentativi di democratizzazione ancora in corso nel mondo arabo. Dunque cos'ha insegnato questa svolta? Che è impossibile creare governi rivoluzionari cercando un'intesa coi vecchi carnefici che pretendono l'impunità per i crimini del passato e non vogliono perdere i loro privilegi economici.

Intanto la situazione economica è sempre più grave: Tasso d'inflazione 388%, Debito estero 70 miliardi, Tasso di disoccupazione 18%. Ed è stato perduto il petrolio del Sud Sudan, indipendente dal 2011.

 

[28] I mutamenti climatici ci uccideranno tutti?

 

Durante la conferenza ONU sul clima di Copenaghen nel 2009, i Paesi industrializzati avevano deciso di stanziare 100 miliardi di dollari all'anno entro il 2020 per aiutare gli Stati più poveri o vulnerabili a fronteggiare il cambiamento climatico. La cifra non è stata ancora raggiunta. E sarebbe già qualcosa se il problema del clima potesse essere risolto in maniera finanziaria.

Tuttavia l'approccio al problema che i Paesi più ricchi hanno è quanto meno disarmante: “sappiamo bene di essere noi a devastare l'ambiente con le emissioni di gas serra, anche quello dei Paesi che non sono responsabili dei mutamenti climatici, ma più che aiutarvi finanziariamente al momento non possiamo fare. Ci vuol tempo per cercare un'alternativa all'energia fossile”.

Il vero problema però è un altro ed è a monte: i Paesi ricchi non vogliono rinunciare ai loro standard vitali, non vogliono cambiare stile di vita. Anzi spingono i Paesi poveri a diventare come loro, a produrre sempre di più per un mercato globale, a consumare sempre di più per raggiungere il mito del benessere. Tutti dobbiamo puntare a una ricchezza insensata in un pianeta ormai al collasso.

È stato calcolato che se tutti vivessero come gli svizzeri, la popolazione mondiale avrebbe bisogno di tre pianeti per disporre di sufficienti risorse naturali. L'impronta di una persona residente nella Confederazione è di 14 tonnellate di CO2 all'anno, mentre la media globale è di 6 tonnellate. In media la popolazione svizzera vola in aereo tre volte più spesso dei cittadini europei, guida le auto più grandi d'Europa ed è uno dei maggiori produttori di rifiuti al mondo. Più della metà dei pendolari preferisce recarsi al lavoro in auto piuttosto che coi mezzi pubblici, in bicicletta o a piedi. Mentre gran parte dell'Europa ha bandito la plastica monouso, la Svizzera non ha intenzione di farlo. La Svizzera utilizza più olio da riscaldamento rispetto ad altri Paesi europei ed è al di sopra della media per quanto riguarda le perdite di calore.

Per i Paesi ricchi l'alternativa all'energia fossile è solo una: quella nucleare. Passeremo dalla padella alla brace. Questo perché non crediamo che l'energia rinnovabile sia sufficiente. Ci siamo infilati in un cul-de-sac da cui non è più possibile uscire.

Come faremo a chiedere ai Paesi che basano prevalentemente la loro ricchezza sulla produzione degli idrocarburi a ridurla drasticamente? O a quelli che producono carne e latticini a fare altrettanto? Li abbiamo costretti noi a puntare su ciò di cui noi abbiamo più bisogno.

Non basta dire “chi inquina paga”. È l'intero modello che va ripensato, e chi è benestante non ha interesse a farlo. Le soluzioni che cercherà o saranno dei palliativi o peggioreranno il problema. L'anno scorso l'Earth Overshoot Day – cioè il giorno in cui l'umanità aveva consumato tutte le risorse prodotte dal pianeta in un anno – si trovava alla fine di luglio.

Tra l'altro – ma questo resti tra noi – solo il 20% dei finanziamenti per il clima viene erogato sotto forma di aiuti diretti. Il resto sono prestiti che vanno prima o poi rimborsati. E secondo il Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente, entro il 2030 il costo annuale delle misure di adattamento climatico nei Paesi in via di sviluppo potrebbe raggiungere i 300 miliardi di dollari. Continueremo a usare il debito per strangolarli: potete scommetterci.

 

[29] Cos'è il doomscrolling?

 

Il doomscrolling è una parola apparsa su Twitter nel 2018 ed è formata dai termini inglesi doom (destino funesto, rovina, sventura, castigo…) e scrolling (far scorrere la schermata di un dispositivo elettronico).

Aza Raskin, nel 2006, a 22 anni, il figlio del creatore dell'interfaccia grafica di Apple, inventò lo scorrimento infinito delle news, dei post, eliminando la linguetta della “pagina seguente”. Cosa che vediamo in Facebook, Twitter ecc. Oggi è pentito e lotta contro le tecnologie che creano dipendenza.

E il doom? Le reti sociali sono mosse da intelligenze artificiali che capiscono rapidamente chi siamo, per cui ci propongono soprattutto contenuti che dovrebbero interessarci. L'essere umano è fatto in modo che le cattive notizie catturino la sua attenzione. E così, se si pensa che lo scorrere verso il basso, senza mai arrivare a una fine, fa sì che le persone non si sentano mai completamente aggiornate, il risultato negativo è assicurato.

Sean Parker, ex presidente di Facebook, ha ammesso che il social è stato concepito per attirare gli utenti con delle scariche di dopamina, il famoso “ormone del piacere”. Ci sentiamo più eccitati da disinformazione e contro-verità. Abbiamo bisogno di notizie estreme, catastrofiste, spaventose, quelle che ci fanno arrabbiare o che danno un senso alla nostra stessa ansia. Per es. durante la pandemia è bastata un'ampia condivisione di qualche immagine di scaffali vuoti per far precipitare la gente ad acquistare quel che restava.

Il sovra-consumo di schermi di tutti i tipi è cominciato con la televisione, è proseguito col computer e le console per videogiochi, si è amplificato con lo smartphone e il tablet ed è esploso col lockdown pandemico, che ha fatto traboccare brutte notizie da tutte le parti e ha ridotto drasticamente le attività che prima funzionavano da distrazione o socializzazione.

Il doomscrolling non è proprio una dipendenza fisica, ma un comportamento di dipendenza psicologica. Anche se i maniaci dello scrolling non sono né alcolisti né drogati, un punto in comune c'è: la difficoltà nel riconoscere la propria mania.

Al momento solo i giochi d'azzardo e i videogame figurano nella Classificazione internazionale delle malattie dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. Eppure le nuove manie o fobie stanno aumentando. Le elenca il libro La memoria del pesce rosso, del giornalista francese Bruno Patino.

Athazagorafobia: La paura d'essere dimenticato dai propri pari induce a inviare continui messaggi elettronici.

Nomofobia: La paura di ritrovarsi senza cellulare.

Phubbing (da phone e snubbing, snobbare). L'atto di ignorare le persone fisicamente presenti, guardando il proprio smartphone anziché comunicare con loro.

Vibrazione fantasma: La sensazione di sentire il proprio telefono vibrare o suonare anche se è inattivo.

Zombiewalking: Camminare per strada mentre si guarda il telefono.

Tutte queste paure e manie possono aver portato il suicidio, durante la pandemia, a diventare la seconda causa di morte tra i giovani compresi tra i 15 e i 24 anni? È una domanda.

 

[30] Una svolta in Svizzera per le coppie omosessuali

 

In Svizzera il matrimonio per tutti e tutte entrerà in vigore nel luglio 2022. Le coppie dello stesso sesso potranno sposarsi, adottare un bambino e avere accesso alla naturalizzazione agevolata.

Le coppie di donne sposate avranno accesso anche alla donazione di sperma. Poiché la legge svizzera vieta la donazione anonima, il bambino potrà conoscere l'identità del donatore a partire dai 18 anni di età, ed entrambe le donne saranno riconosciute come madri del bambino dalla nascita. Tuttavia se hanno fatto ricorso a una banca del seme all'estero, solo la madre biologica sarà riconosciuta.

La svolta è avvenuta il 26 settembre 2021, quando il 64% dell'elettorato si è espresso in un referendum a favore di una modifica del Codice civile che legalizza il matrimonio per le coppie dello stesso sesso.

Gay e lesbiche avevano la possibilità di procedere a un'unione registrata già dal 2007. Ma questa forma di unione civile non dava loro gli stessi diritti delle persone eterosessuali.

Il 9 febbraio 2020 la comunità LGBTIQ aveva già ottenuto un'importante vittoria in una votazione federale. Il popolo aveva accettato di sanzionare la discriminazione basata sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere allo stesso modo di quella basata sull'appartenenza razziale, etnica o religiosa.

Tuttavia la vera notizia è un'altra. Per ottenere questi nuovi diritti le persone omosessuali han trovato le Chiese tradizionali più aperte del mondo politico. Inoltre in Svizzera l'uso del referendum ha una notevole importanza: in ultima istanza sono i cittadini che decidono.

Da noi è il contrario: sono i politici che vogliono decidere e ai cittadini non resta che organizzare, sempre con molta fatica, un referendum. Questo dipende forse dal fatto che noi abbiamo uno Stato centralista, mentre loro ce l'hanno federalista con tanto di democrazia diretta? È una domanda.

 

[31] Restituire il maltolto all'Africa è già qualcosa

 

Il 27 ottobre il Museo del Quai Branly, a Parigi, ha restituito al Benin 26 sculture del regno di Abomey, frutto di una conquista militare francese nel XIX sec., nonché una parte essenziale del patrimonio storico di cui il Paese è stato privato per 130 anni. Il suo re, Behanzin, finì in un esilio permanente.

I francesi non erano certo peggiori dei britannici in Nigeria, dei belgi in Congo o dei portoghesi in Angola. Era solo per dire che il disastro dell'Africa odierna ha radici molto precise e neanche troppo lontane.

Non dimentichiamo che il 90-95% del patrimonio culturale africano è stato portato via con la forza in Europa, dove oggi arricchisce i tesori del Quai Branly, del British Museum, del Museo Reale del Belgio o della Fondazione Humboldt in Germania, che ora infatti ricevono una legittima richiesta di restituzione del maltolto artistico. La Francia ha preso per prima l'iniziativa. E considerando il carattere inalienabile delle collezioni nazionali di questo Paese europeo, dove qualsiasi opera che entra, non esce più, non è poco.

Certo, questa restituzione ha più che altro un valore simbolico e diplomatico (ci vorrà ben altro sul piano economico), ma consideriamolo un primo passo. Anzi, un primo, timido e interessato passo era già stato fatto nel 1993, quando il presidente francese François Mitterrand effettuò una visita nella Corea del Sud nella speranza di vendere al governo di Seoul il treno ad alta velocità francese, il TGV. A quel tempo i coreani reclamavano la restituzione di 287 manoscritti reali sottratti dalla marina francese durante il Secondo Impero (1852-70), come rappresaglia dopo un massacro di missionari cristiani. Niente manoscritti, niente TGV.

Mitterrand portò con sé un unico manoscritto per avviare il negoziato, contro il parere dei responsabili della Biblioteca Nazionale di Francia, che non volevano assolutamente restituirlo. Alla fine, per poter costruire in Corea il TGV, i 287 manoscritti furono restituiti tutti. Come si dice: quel che è bene, finisce bene.

 

Novembre

 

 

 

[1] Anche le banche evadono il fisco grazie ai paradisi fiscali

 

L'Osservatorio Fiscale della UE si è accorto che ogni anno alcune delle principali banche europee spostano circa 20 miliardi di euro nei cosiddetti paradisi fiscali per pagare meno tasse. Il ricorso a tali paradisi ha avuto una forte impennata dopo la crisi finanziaria mondiale del 2008. Tra le banche italiane vi sono Monte dei Paschi di Siena e Intesa Sanpaolo.

Dunque, come si può vedere, non lo fanno solo le persone più facoltose ed egoiste, non solo le multinazionali per potersi espandere più velocemente e battere la concorrenza, ma anche le banche che dovrebbero concedere mutui e prestiti a chi ne ha bisogno utilizzando i depositi dei loro clienti.

Non è un comportamento criminale questo? Il fatto è che i sistemi fiscali della maggior parte dei Paesi del mondo non sono capaci di inseguire gli spostamenti di capitali verso i paradisi fiscali.

Poco tempo fa 130 Paesi hanno deciso di porre un'aliquota del 15% per tassare gli utili delle multinazionali. Faranno lo stesso con le banche? Difficile.

Il suddetto Osservatorio avrebbe preferito, per le multinazionali, un'aliquota minima globale non inferiore al 25%, per non penalizzare le piccole e medie imprese locali, che pagano di più e che peraltro non possono utilizzare manodopera a basso costo, materie prime a prezzi molto più bassi e maggiori volumi di produzione.

Viceversa molte tra le grandi banche del mondo han detto che la tassazione degli utili al 15% era troppo alta. Infatti quelle che di loro portano i capitali nei paradisi fiscali pagano molto meno.

Quali sarebbero questi paradisi fiscali? I soliti noti: Bahamas, Bermuda, Isole Vergini Britanniche, Isole Cayman, Guernsey, Gibilterra, Hong Kong, Irlanda, Isola di Man, Jersey, Kuwait, Macao, Malta, Mauritius, Panama e Qatar. In alcuni di questi Paesi (Bermuda, Panama, Isole Vergini Britanniche e Isole Cayman) l'aliquota è pari a zero!

Si stima che ammontino almeno a 427 miliardi di dollari i mancati guadagni e le tasse non pagate da multinazionali e individui benestanti.

Fonte (riassunta di molto): notiziegeopolitiche.net

 

[2] La pirateria in Africa è più forte che mai

 

Fino al 2011 il principale teatro della pirateria marittima è stato il Golfo di Aden (soprattutto nella zona vicina alle coste somale), con l'apice di casi raggiunto proprio in quell'anno: ben 276 attacchi. La neutralizzazione del fenomeno è avvenuta grazie alle missioni antipirateria della NATO e della UE con la Somalia.

Dal 2012 l'attenzione verso la pirateria, in calo a livello globale, si è spostata dall'altra parte del continente africano, verso il Golfo di Guinea, dove sono avvenuti, nel 2020, ben 130 su 135 rapimenti in mare a scopo di riscatto.

La scelta del luogo è dipesa dal fatto che circa il 90% dei prodotti e delle materie prime commerciate in Africa occidentale transita attraverso il Golfo, da dove soprattutto partono le rotte più importanti al mondo per il trasporto di petrolio greggio e gas estratti nel delta del Niger, destinato alle raffinerie europee e statunitensi.

I pirati han dimostrato di poter raggiungere distanze notevoli e di avere grandi capacità corruttive di funzionari locali. Anche perché han capito che l'aumento del traffico mercantile lungo le coste, unito alla congestione dei porti e alla necessità delle navi di procedere a velocità ridotte o a rimanere ancorate per giorni, ha ampliato di molto il numero di bersagli da colpire. Furto di petrolio e rapimenti diffusi sono diventati un vero business.

La maggior parte dei pirati proviene dal sud della Nigeria, una regione impoverita che ospita vaste riserve di petrolio, dove le trivellazioni hanno contaminato terra e acqua locali, distrutto la fauna ittica, rovinato l'ecosistema e contribuito al disastro economico di molte persone. Infatti numerosi disoccupati, cercando altre fonti di reddito, si sono uniti a bande dedite alla pirateria, la quale spesso è legata ai movimenti di rivolta armata nigeriani (separatisti e fondamentalisti) contro il controllo delle risorse da parte del governo federale.

Questa attività fa ovviamente aumentare i costi non solo delle materie prime ma anche delle assicurazioni navali.

L'Unione Europea importa la gran parte del petrolio africano proprio dalla Nigeria e la stessa Italia ha interessi strategici da parte di ENI e Saipem nel delta del Niger. E ci stiamo attrezzando per difenderli con la nostra Marina Militare.

Insomma il colonialismo non è mai finito. Andando avanti così non finiranno mai neppure i flussi migratori provenienti dall'Africa. E noi avremo sempre qualche politico lungimirante che bloccherà al largo le navi dei migranti col pretesto che minacciano le nostre coste.

Fonte (di molto riassunta): ilcaffegeopolitico.net

 

[3] Musica laica vietata in Afghanistan

 

Tre miliziani talebani hanno ucciso due giovani e feriti altri dieci perché ascoltavano della musica a una festa di nozze. È accaduto a Surkh Rod, nella provincia di Nangarhar. Siccome l'esecutivo si oppone a tali atti di violenza arbitrari, due degli uomini che hanno sparato sono stati arrestati; il terzo sarebbe ricercato.

Perché l'han fatto? Perché durante il primo regime dei talebani, tra il 1996 e il 2001, le autorità di Kabul avevano messo al bando tutta la musica non religiosa. E da quando han ripreso il potere, non hanno ancora legiferato in merito. Tant'è che molti cantanti e musicisti sono fuggiti dall'Afghanistan: un cantante folk è già stato ucciso.

A tutt'oggi il comportamento ufficiale da tenere è quello non di vietare l'ascolto della musica non religiosa, ma soltanto di persuadere a non farlo. Una preoccupazione pedagogica ridicola, in netto contrasto col fatto che i miliziani girano per le strade o entrano nelle case con un mitra in mano.

Questo governo di criminali non si rende conto che quando, anche solo per una volta, ti comporti nella maniera più assurda possibile, o pretendi per legge delle cose insensate, le conseguenze possono essere imprevedibili e avere strascichi che durano per molto tempo, soprattutto da parte di chi prende tutto alla lettera e non è abituato a ragionare con la propria testa.

Ufficialmente infatti sono stati arrestati solo perché hanno ucciso di propria iniziativa, senza ricevere un mandato dall'alto.

 

[4] La filosofa britannica Kathleen Stock costretta alle dimissioni

 

La filosofa britannica Kathleen Stock, che insegnava alla Sussex University dal 2003, si è dimessa il 28 ottobre 2021, dopo essere stata accusata di transfobia da parte di alcuni gruppi studenteschi queer, trans e non binari, altrimenti detti LGBT+. L'Università, naturalmente privata, non l'ha protetta a sufficienza, nonostante le minacce all'incolumità della sua persona. In barba alla nomina, ricevuta nel 2020, di “Ufficiale dell'Ordine dell'Impero Britannico”, in riconoscimento dei servizi all'istruzione superiore.

Era stata criticata anche da un gruppo di 600 filosofi accademici, secondo cui la sua “retorica dannosa” aveva contribuito all'emarginazione delle persone transgender.

Ma che cos'è che diceva? Semplicemente che il genere, donna o uomo, è biologicamente fondato e non può essere lasciato alla discrezionalità del momento secondo lo spirito identitario. Cioè la biologia, fino a prova contraria, ha ancora un certo peso. Secondo lei molte donne che si dichiarano “trans” sono ancora “maschi con genitali maschili, molte sono sessualmente attratte dalle femmine e non dovrebbero trovarsi in luoghi, come prigioni, rifugi o spogliatoi, in cui le femmine si spogliano o dormono in modo completamente libero, e ai minorenni non dovrebbero essere somministrati, da parte del servizio sanitario, i bloccanti della pubertà”.

La Stock è stata sposata e, dopo essersi separata, è diventata lesbica. Oggi è riconosciuta come un'eminente femminista di sinistra, fiduciaria della LGB Alliance, che si oppone all'autoidentificazione transgender. In pratica contesta le disposizioni approvate nel 2005 dal Gender Recognition Act che permettono a persone di tutte le età d'identificarsi legalmente come un genere particolare senza il requisito di una diagnosi psicologica o medicalizzata. La sua tesi è che esiste “una nuova ortodossia, in cui il sesso lascia il posto al sentimento, e il sentimento prevale sui fatti”. Si oppone “all'istituzionalizzazione dell'idea che l'identità di genere è tutto ciò che conta, cioè che il modo in cui ti identifichi sessualmente conferisce automaticamente tutti i diritti dovuti a un determinato sesso”.

Di sicuro si sarebbe opposta alla decisione americana di emettere un passaporto con la X per indicare il terzo genere, per le persone che non si riconoscono nella categoria binaria maschio/femmina. Come se gli umani potessero essere ermafroditi o potessero praticare la partenogenesi. Neppure il veggente Tiresia, nella mitologia greca, pur avendo vissuto parte della propria esistenza sia come uomo che come donna, aveva mai sperimentato i due generi sessuali allo stesso tempo.

Purtroppo in tutta questa vicenda la libertà di opinione e di ricerca ne è uscita sconfitta, anche se un gruppo di oltre 200 filosofi accademici del Regno Unito aveva difeso la Stock.

 

[5] Jacob Zuma e Berlusconi

 

C'è un ex premier africano che somiglia al nostro Berlusconi. È Jacob Zuma, che fu presidente del Sudafrica dal 2009 al 2018. Combatté l'apartheid insieme a Mandela, facendosi vari anni di carcere. Si dimise perché sfiduciato dal parlamento.

Oggi deve rispondere alla Corte Suprema che l'accusa di corruzione per un affare di armi da 2,5 miliardi di dollari, ma per qualche motivo di salute non si presenta mai al processo. In realtà pendono sul suo capo tantissime accuse di corruzione, traffici illeciti, riciclaggio di denaro sporco, frode ed evasione fiscale, che partono sin da quando non era presidente, cioè dalla fine degli anni '90, quando faceva affari con la società di armi francese Thales. Ma una volta divenuto premier, ogni inchiesta fu messa a tacere.

Quando è stato arrestato il 7 luglio 2021 i suoi sostenitori, che si trovano anche tra l'esercito, han scatenato violente proteste. Doveva farsi 15 mesi di carcere per oltraggio alla Corte, ma dopo due mesi è stato rilasciato per sottoporsi a un intervento chirurgico non specificato. Oggi ha 79 anni, 5 mogli e 20 figli dichiarati. E la Corte, che lo vuole processare a tutti i costi, non si preoccupa delle accuse di parzialità o di scopi politici mosse dagli avvocati di lui. È già stato condannato per aver utilizzato 215 milioni di rand (circa 13 mln di euro) di fondi pubblici per la ristrutturazione e la “messa in sicurezza” della sua lussuosa villa a Nkandla, nella provincia sudafricana del KwaZulu-Natal.

Ma qual è la filosofia politica che lo rende così simile al nostro ex premier? È questa: se un premier ti sta simpatico, gli concedi qualunque cosa. Lo consideri come una specie di sovrano e non ti dispiace d'essere un suo suddito. Arrivi al punto che ti sembra del tutto normale ch'egli aiuti la sua famiglia, il suo gruppo tribale e i suoi amici. I princìpi dello Stato di diritto e delle garanzie costituzionali sono una pura formalità. In una situazione in cui vi è conflitto tra il leader e le leggi del Paese, i cittadini devono modificare le leggi per proteggere il leader: di qui le tante leggi ad personam.

È forse un caso che il suo secondo nome, Gedleyihlekisa, voglia dire “uno che sorride mentre ti fa del male” nella lingua zulu?

 

[6] L'Africa e i Pandora Papers

 

Nei “Pandora Papers” (quelli relativi ai paradisi fiscali off-shore) del Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi figurano anche una cinquantina di leader politici e funzionari pubblici che appartengono a 18 Paesi africani. Il peggiore di tutti è la Nigeria (11 soggetti), poi Angola (9) e Costa d'Avorio (5).

Uno pensa: l'Africa l'abbiamo colonizzata per mezzo millennio, e in un certo senso continuiamo a farlo ancora oggi, però può darsi che nel suo profondo siano rimasti valori e criteri di vita superiori ai nostri, più umani. Sbagliato. Questo continente l'abbiamo completamente distrutto, non solo sul piano materiale ma anche morale.

Ricchezze che in Africa servirebbero per i servizi sanitari, l'istruzione e i diritti civili finiscono nelle tasche di leader e burocrati corrotti, come, p.es., tre presidenti: Uhuru Kenyatta (Kenya); Denis Sassou Nguesso (Repubblica del Congo) e Ali Bongo (Gabon).

La famiglia Kenyatta ha accumulato segretamente una fortuna personale dietro veli societari offshore, pari a circa 30 milioni di dollari. Il bello è che Uhuru Kenyatta è conosciuto per la sua guerra contro la corruzione durante la campagna presidenziale del 2017, portata avanti anche dopo la sua ultima elezione. E che dire di Denis Sassou Nguesso, al potere in Congo da 36 anni? È un fanatico dei diamanti! E la famiglia Bongo, al potere in Gabon da 50 anni? Quante volte è stata accusata di saccheggiare il Paese?

Uno pensa: che bisogno abbiamo di praticare il colonialismo in maniera brutale, come si faceva all'inizio, quando i dirigenti politici sono così profondamente corrotti? È come se continuassimo a essere presenti con una pelle diversa: da bianca a nera.

Dicono che in un Paese tipico africano il cittadino medio non si aspetta molto dai suoi politici, perché si stanca di ripetute promesse che non vengono mantenute. Se è così, non fanno un po' ridere quanti sostengono che dobbiamo stare attenti a tutti questi migranti africani, perché rischiano di minacciare i nostri valori, il nostro stile di vita?

 

[7] Assassinate in maniera brutale quattro attiviste afghane

 

La nota attivista per i diritti umani e docente di economia Frozan Safi, 29 anni, è stata uccisa in Afghanistan a colpi di arma da fuoco.

Il corpo è stato ritrovato dopo oltre due settimane dalla sua scomparsa. L'hanno riconosciuta all'obitorio solo dai suoi vestiti. Aveva ferite da proiettile non solo sul volto (completamente distrutto) e sulla testa, ma anche sul cuore, sul petto, sui reni e sulle gambe. Gli assassini hanno rubato anche il suo anello di fidanzamento e la sua borsa.

Non hanno ucciso solo lei, ma anche altre tre donne, invitate in casa dai killer con una richiesta telefonica di raccogliere le prove del loro attivismo e di spostarsi in un luogo sicuro, e ovviamente con la promessa dell'espatrio. Poi le hanno buttate in un fossato. I cadaveri delle altre tre donne sono ancora senza identità.

Tutta questa barbarie e ipocrisia in nome di un fascismo religioso e misogino. Due persone sospettate sono state arrestate. Cosa gli faranno? Niente, c'è da scommetterci. Da settimane i Talebani danno la caccia alle attiviste. La polizia è in grado di arrivare in posti che le donne nominano solo nelle chat riservate. Non solo, ma alcune spie s'infiltrano presentandosi come giornaliste, e invece raccolgono informazioni. I Talebani sanno benissimo che bastonarle in pubblico crea un certo problema d'immagine, per questo incaricano di eliminarle privatamente.

In che razza di Dio credano questi criminali è davvero incomprensibile. Dicono che tra gli attributi di Allah vi siano anche quelli di “Colui che chiude la mano e umilia”, “l'Osservatore e ben informato”, il “Vendicatore che cancella tutto”. Speriamo che se ne ricordi quando li dovrà giudicare.

 

[8] Continuando a deforestare ci ammaleremo sempre più

 

Gli scienziati han verificato che tra più di 330 malattie emerse dal 1940 al 2004, circa i 2/3 sono state trasmesse dagli animali selvatici agli esseri umani.

Alla trasmissione di una malattia concorrono diversi fattori: la crescita della popolazione, le migrazioni, i cambiamenti climatici e le alterazioni ambientali dei territori. Quel che nuoce soprattutto è la deforestazione, che si fa per favorire monocolture agricole e allevamenti intensivi, ma anche estrazione di minerali, produzione di legname da vendere, caccia di animali esotici o selvatici per i mercati di tutto il mondo, costruzione di strade... La popolazione mondiale di animali selvatici è diminuita in media del 68% negli ultimi 50 anni, secondo il WWF.

Esiste sicuramente un legame tra la riduzione della superficie forestale globale dal 1990 al 2016 e l'aumento delle epidemie, anche perché la deforestazione di solito determina un aumento di esseri umani che vivono nelle sue vicinanze. Man mano che in quegli anni la superficie forestale si riduceva (arrivando fino a -30%), inevitabilmente aumentavano roditori, zanzare, pipistrelli e alcuni primati che trasmettono nuovi virus a umani e bestiame (bovini, suini, pollame...).

Per es. tra il 2004 e il 2014 le epidemie di Ebola in Africa, trasmesse da pipistrelli e primati infetti, sono nate così. I pipistrelli sono i probabili serbatoi di Ebola, Nipah, Sars e Covid-19. Oggi si pensa che le deforestazioni accrescano la minaccia di infezioni virali trasmesse anche attraverso punture di zanzare, come zika, dengue e chikungunya.

Gli alberi di mango piantati nelle fattorie suine della Malesia attirarono nel 1998-99 i pipistrelli della frutta, che trasmisero il Nipah, un virus che provocò malattie respiratorie nei maiali ed encefalite letale nelle persone, e che ogni anno provoca gravi epidemie in Bangladesh.

Anche il Covid-19 è collegato a deforestazione, commercio di animali selvatici, ricerca di materie prime... Solo che preferiamo non saperlo, perché ci rendiamo conto che cambiare stile di vita è impossibile. Dovrebbe esserci un cataclisma di portata globale ed epocale a costringerci a farlo.

Al momento possiamo soltanto constatare che sul nostro pianeta, che non ha mai avuto 7,7 miliardi di grandi vertebrati appartenenti a un'unica specie, la devastazione dell'ambiente marcia spedita. Porsi degli obiettivi ecologici tra mezzo secolo è semplicemente ridicolo. Non solo i cambiamenti climatici sconvolgeranno la nostra esistenza, ma anche la proliferazione di nuovi virus.

 

[9] Sarnella: l'acqua che elimina. Punto

 

Dove si trova il fiume più inquinato d'Europa? Nel nostro Paese, è ovvio. È il Sarno, lungo 24 km, che, insieme ai torrenti connessi Solofrana e Cavaiola, attraversa 39 Comuni delle Province di Napoli, Salerno e Avellino, coprendo un bacino idrografico di circa 440 kmq, interessando una popolazione che oscilla tra i 750.000 e il milione di abitanti.

L'associazione Controcorrente chiede dal 2018 l'aggiornamento del registro dei tumori, fermo al 2015, e l'avvio di un'attività di screening per tutti i Comuni.

Il fiume è praticamente morto: le sue acque sono maleodoranti e ricche di metalli pesanti e altri inquinanti cancerogeni sin dagli anni '60, che provocano tumori, malattie neurodegenerative e morti.

Nel territorio interessato si trovano i poli industriali agroalimentare e conciario, ma anche industrie farmaceutiche e conserviere che troppo spesso riversano abusivamente nelle acque del fiume i residui della lavorazione dei prodotti, così come i pesticidi e i fitofarmaci utilizzati negli stessi campi che vengono poi irrigati con l'acqua contaminata.

Insomma qui si trova la locomotiva dell'economia del territorio, ma anche la fonte più elevata d'inquinamento ambientale. Tutto ciò non provoca solo gravi malattie ma anche la fine delle ricchezze naturali e storico-archeologiche di quest'area. Lo scorso ottobre altri due imprenditori sono stati messi agli arresti domiciliari.

Uno magari si può anche chiedere che senso abbia inquinare un fiume già morto. Invece un senso ce l'ha, poiché per il disinquinamento del Sarno, iniziato nel 1973, è stato avviato il Progetto speciale di risanamento dell'intero Golfo di Napoli. Solo che a più di 30 anni di distanza non si è ancora combinato niente. Col decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 aprile 1995 è stato dichiarato lo stato di emergenza, che prevede la costruzione del nuovo sistema depurativo del fiume, la realizzazione delle reti fognarie dell'intero bacino, i lavori di dragaggio e bonifica dei sedimenti del fiume stesso.

Siamo alle solite: possiamo forse salvaguardare gli interessi dell'economia e dell'ecologia con gli strumenti del nostro sviluppo industriale, che ci garantisce un benessere cui non vogliamo rinunciare? A quanto pare no. E allora perché ci meravigliamo quando i potenti della Terra, di fronte ai grandi problemi ambientali dell'umanità, sanno fare soltanto bla bla bla?

 

[10] Davvero la Catalogna non può decidere il proprio destino?

 

Jordi Cuixart i Navarro è presidente di Òmnium Cultural, un'associazione che promuove la cultura, la lingua e l'autodeterminazione catalana e che ha sede in Svizzera.

La sua lotta per i diritti umani e per una Catalogna indipendente l'ha costretto a passare quasi quattro anni di prigione in Spagna. Nel 2017 era stato condannato dalla giustizia spagnola per “sedizione” a nove anni di reclusione e al divieto di ricoprire qualsiasi carica pubblica. Ma nel 2021 è stato graziato insieme ad altri prigionieri.

È stato di recente intervistato dal sito swissinfo.ch.

Ha detto che in Catalogna non esistono il diritto di manifestare, il diritto di riunione e il diritto di espressione politica. Un referendum non viene considerato un crimine né in Svizzera né in Spagna. Lo è invece in Catalogna, tant'è che i dissidenti esiliati che l'hanno sostenuto (tra cui cantanti, artisti e politici) non possano rientrare in questa regione senza finire in galera. Quelli che lo Stato spagnolo ha graziato nel 2021 devono la loro libertà unicamente alle pressioni internazionali. Eppure al referendum del 2017 più di 2 milioni di persone, nonostante le minacce di violenza della polizia, votarono a favore dell'indipendenza della regione.

Ci rendiamo conto – si chiede Cuixart – che la Spagna è l'unico Paese europeo che ha dei prigionieri politici? Questo anche se il conflitto riguardante i diritti umani e la democrazia sembra avere molte analogie con quanto avviene in Polonia e Ungheria, dove il potere giudiziario è utilizzato abusivamente come potere politico: non interpreta più le leggi, ma detta legge.

È vero, la Costituzione spagnola vieta alle regioni di dichiararsi indipendenti, ma è anche vero che quando essa venne formulata, 45 anni fa, godeva di grande approvazione in Catalogna. Oggi i sondaggi mostrano che più della metà dei catalani è contro la Costituzione, e il movimento indipendentista ha più sostegno di quattro anni fa: è al 56%. Sono le categorie sociali più deboli non quelle più forti che vogliono l'indipendenza: il 25% della popolazione è a rischio di esclusione sociale; il 40% dei giovani è disoccupato. Sono i ricchi che dicono che la Spagna va a gonfie vele.

 

[11] La Svizzera un Paese tranquillo? Non per i femminicidi

 

Dicono che la Svizzera sia un Paese tranquillo, efficiente, molto benestante. Eppure una donna viene uccisa ogni due settimane dal marito, dal partner, dall'ex-partner, dal fratello, dal figlio o da uno sconosciuto. Ogni settimana una donna sopravvive a un tentato femminicidio. La situazione è molto preoccupante a Ginevra, nel Ticino e soprattutto nel cantone di Zurigo, stando a quanto dice swissinfo.ch.

Nel periodo 2009-2016 la polizia ha denunciato ogni anno una media di 50 vittime di omicidio nelle coppie: per ogni 15 uomini ammazzati dalle donne, ci sono state 108 donne ammazzate dagli uomini, cioè sette volte di più! E le statistiche non riguardano i tentativi non denunciati. Anzi non esiste neppure un organismo ufficiale che abbia il compito di registrare i femminicidi.

Infatti la violenza domestica contro le donne viene ancora considerata come un delitto passionale, un dramma familiare, una tragedia relazionale, un caso isolato, o comunque un mero omicidio. Il termine femminicidio non ha ancora un'accettazione politica, tant'è che è stato di nuovo respinto dal Consiglio degli Stati nel 2020, in barba alla Convenzione di Istanbul (accettata in Svizzera nel 2018), che designa i ruoli patriarcali e maschilisti come una componente importante nella violenza contro le donne, da intendersi come una violazione dei diritti umani.

Non solo, ma la Convenzione dice che va considerato un aggravante il fatto che il reato sia stato “commesso contro l'attuale o l'ex coniuge o partner da parte di un membro della famiglia, dal convivente della vittima, o da una persona che ha abusato della propria autorità”. Di questo il Codice penale svizzero non ne parla proprio: gli omicidi sono semplicemente suddivisi in tre categorie: omicidio intenzionale, assassinio e omicidio passionale. Dal punto di vista del genere è neutro.

E pensare che esistono anche i femminicidi in cui gli autori non conoscevano le vittime: p.es. nei casi di razzismo, di omo- e transfobia, di ostilità nei confronti di disabili o contro le prostitute.

Chissà perché un Paese così avanzato in tante cose, su questa è così indietro...

 

[12] Israele costretta a confrontarsi col diritto internazionale

 

Il 24 ottobre il ministro della difesa israeliano, Benny Gantz, ha accusato sei ONG palestinesi (finanziate dalla UE) d'essere organizzazioni terroristiche, poiché avrebbero legami segreti col Fronte popolare per la liberazione della Palestina, considerato un'organizzazione terroristica da Israele, USA e UE. Il ministro però non ha voluto fornire alcuna vera prova. Ciò è stato condannato dalle principali organizzazioni internazionali per i diritti umani: Amnesty International, Human Rights Watch... e dall'alta commissaria dell'ONU per i diritti umani, Michelle Bachelet.

Ma perché una decisione così improvvisa e impopolare? Lo spiega una delle ONG, la Al Haq, la più autorevole associazione palestinese per i diritti umani, fondata 40 anni fa. Al Haq ha iniziato a collaborare con la Corte Penale Internazionale, che l'anno scorso ha deciso di estendere la sua giurisdizione a Israele e ai Territori occupati.

Una delle inchieste della Corte riguarda i crimini commessi da Israele durante la guerra di Gaza nel 2014. E, guarda caso, proprio Benny Gantz era allora il comandante in capo dell'esercito israeliano. Ormai le prove raccolte a suo sfavore sono schiaccianti.

Chissà, forse questa è la volta buona per far capire a Israele che esiste anche un diritto internazionale e che non ha alcun senso eliminare la distinzione tra lotta legittima e illegittima. Se viene accusato di terrorismo chi ha scelto la lotta pacifica, non rimane alcun altro modo non violento per contestare le violazioni dell'occupazione israeliana. Il bello è che esistono anche organizzazioni israeliane per i diritti umani che difendono i diritti dei palestinesi e collaborano da anni con queste ONG. Anche loro sono terroristiche?

A tutto ciò si deve aggiungere il fatto che da due anni l'esercito israeliano conduce un programma di sorveglianza nella Cisgiordania occupata per monitorare attivisti e difensori dei diritti umani palestinesi usando il riconoscimento facciale e una rete di telecamere e smartphone. Anche questa non è forse una grave violazione dei diritti umani?

Noi in Italia ne sappiamo qualcosa col recente rapimento di Eitan Biran da parte del nonno. Abbiamo spiccato un mandato di arresto internazionale a suo carico, in quanto si teme una reiterazione del reato, ma il governo israeliano ha già fatto sapere che non estrada i propri cittadini, in quanto lo Stato non ha mai accettato la Convenzione europea di estradizione stipulata a Parigi nel 1957.

Fonte: “Internazionale” del 10-XI-2021

 

[13] Esercitazione segreta della NATO in Italia

 

Il G20 fa gli incontri sul clima a Roma e dal 18 ottobre, per una settimana, i cieli dell'Italia settentrionale sono stati teatro di una grande esercitazione segreta della NATO, denominata “Steadfast Noon”, per addestrare i piloti dei cacciabombardieri a lanciare ordigni nucleari. La tempistica ha coinciso anche con la riunione dei ministri della difesa NATO, dove si è detto, con un curioso ragionamento bellicistico, che lo scopo fondamentale della capacità nucleare della NATO è preservare la pace, prevenire la coercizione e dissuadere l'aggressione.

Cioè mentre si era impegnati a Roma a costruire un mondo più unito, più pacifico e soprattutto più pulito, da un'altra parte si stava facendo esattamente il contrario. Senza poi considerare che a fine settembre proprio davanti alla base dell'Aeronautica militare di Ghedi si era tenuta una mobilitazione per chiedere all'Italia di ratificare il Trattato di proibizione delle armi nucleari in occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione totale delle armi nucleari, che nelle nostre due principali basi operative: Aviano (Pordenone) e Ghedi (Brescia), stanno aumentando o perfezionandosi sempre più.

Infatti le testate nucleari tattiche B-61-12 sono state aggiornate e potenziate: possono anche essere guidate digitalmente e sono quattro volte più potenti di quella sganciata su Hiroshima). Verranno utilizzate dai nuovi cacciabombardieri F-35 “Lighting II”, acquistati anche da noi. Di qui la suddetta esercitazione.

In Europa vi sono sei basi contenenti armi nucleari dell'aviazione statunitense: Volkel (Olanda), Kleine Brogel (Belgio), Buchel (Germania), Incirlik (Turchia), Ghedi e Aviano. Il totale stimato di dispositivi nucleari non si conosce: va da 100 a 500, anche perché, p.es., sia in terra bresciana che in terra friulana ci sono bunker in grado di contenerne parecchie altre. Sappiamo solo 50 nuove bombe atomiche stanno arrivando nelle basi di Aviano e di Ghedi. Naturalmente è a carico del Paese che le riceve l'onere per 2/3 o totalmente delle spese per il mantenimento e l'aggiornamento.

In tutto il mondo, al 2019, si contano circa 14.000 armi nucleari: quanto basta per far saltare l'intero pianeta più e più volte. Gli USA spenderanno fino a 12 miliardi di dollari per produrne altre 400.

Hai voglia a parlare di clima. Qui si sta preparando un clima di guerra. E nella UE l'obiettivo da colpire è sempre quello, dai tempi di Napoleone: la Russia.

 

[14] I lavoratori italiani si stanno impoverendo sempre di più

 

Negli ultimi 30 anni nella UE i salari medi annuali sono andati progressivamente aumentando. Fa eccezione l'Italia, dove nel 2020 si guadagna meno che nel 1990! Infatti da allora il salario è diminuito del 2,9%. Anzi addirittura del 5,9% tra il 2019 e il 2020.

Se all'inizio degli anni '90 l'Italia era il settimo Stato europeo subito dopo la Germania per salari medi annuali, nel 2020 è scesa al tredicesimo posto, al di sotto di Paesi come Francia, Irlanda, Svezia (che negli anni '90 avevano salari più bassi) e Spagna.

In generale, ad avere i salari medi più alti sono i paesi dell'Europa nord occidentale (Lussemburgo, Paesi Bassi, Belgio, Danimarca), mentre quelli più bassi si trovano nell'Europa centrale (Slovacchia e Ungheria) e meridionale (Grecia e Portogallo).

L'aumento maggiore dei salari si è registrato nei Paesi dell'ex blocco sovietico. In Polonia, Cekia e Slovacchia, ad es., sono raddoppiati. Addirittura nei Paesi Baltici (Estonia, Lettonia, Lituania) sono più che triplicati.

Ovviamente si tratta di Paesi in cui i salari medi annuali, 30 anni fa, erano molto bassi rispetto a quelli degli altri Stati europei. In Lituania, p.es., nel 1995 la retribuzione era pari a poco più di 8.000 dollari l'anno. Nel 2020, invece, è salita a circa 32.000!

Fonte: openpolis.it

 

[15] Le SLAPP usate dai poteri forti per silenziare l'opposizione

 

Gli eurodeputati si sono chiaramente pronunciati contro le SLAPP, cioè contro quelle azioni legali prive di legittimità, infondate o basate su rivendicazioni esagerate e spesso abusive, che mirano a intimidire e screditare professionalmente i loro bersagli: giornalisti, ONG e le organizzazioni della società civile che si espongono su questioni d'interesse pubblico, criticando i poteri forti.

Si sono opposti alla prassi di trasformare i tribunali in un parco giochi per individui ricchi e potenti, aziende o politici, che mirano a ricattare e costringere al silenzio chi denuncia i loro abusi.

E soprattutto non vogliono che queste SLAPP vengano finanziate dai bilanci statali o che il loro uso venga fatto in combinazione con altre misure statali contro media indipendenti, giornalismo e società civile.

La cosa strana è che nessun Paese EU ha finora approvato una legislazione mirata contro le SLAPP. Infatti il ricorrente sceglie la giurisdizione a lui più favorevole e non quella dove il convenuto ha la propria residenza abituale. Inoltre il ricorrente non subisce sanzioni se non riesce a giustificare il motivo per cui l'azione che ha compiuto non è abusiva.

Insomma l'Europa deve per forza rappresentare solo i ricchi e i potenti, o ci sono altre possibilità? E soprattutto la UE ha un potere effettivo per obbligare i singoli Stati a rispettare un diritto equo e imparziale? Oppure la UE è solo un'espressione geografica?

 

[16] Il Covid-19 ha fatto aumentare di molto la povertà

 

Salgono a 5,6 milioni gli italiani in condizioni di povertà assoluta che non possono permettersi pasti adeguati a causa del peggioramento delle condizioni economiche, aggravate dalla pandemia Covid. È quanto emerge da un'analisi della Coldiretti su dati Istat diffusa in occasione della V Giornata Mondiale dei Poveri.

Fra i nuovi poveri ci sono coloro che hanno perso il lavoro, piccoli commercianti o artigiani che han dovuto chiudere, le persone impiegate nel sommerso che non godono di particolari sussidi o aiuti pubblici e non hanno risparmi accantonati, come pure molti lavoratori a tempo determinato o con attività saltuarie, che sono state fermate dalle limitazioni rese necessarie dalla diffusione dei contagi per Covid. Persone e famiglie che mai prima d'ora avevano sperimentato condizioni di vita così problematiche. Con la crisi un numero crescente di persone è stato costretto a far ricorso alle mense dei poveri e molto più frequentemente ai pacchi alimentari.

Per arginare questa situazione quasi 1 italiano su 3 ha partecipato a iniziative di solidarietà, facendo beneficenza e donazioni.

Vien da chiedersi se le manifestazioni contro la vaccinazione anti-Covid non abbiano motivazioni tutt'altro che medico-sanitarie…

 

[17] Il muezzin a Colonia devono sentirlo tutti

 

Dallo scorso 12 ottobre le 35 moschee di Colonia possono invitare alla preghiera del venerdì col tradizionale azan, il richiamo del muezzin, diffuso tramite altoparlanti.

Le condizioni stabilite dal Comune riguardano solo il volume massimo del richiamo e l'orario fra le 12 e le 15 del venerdì e per 5 minuti. Come se gli islamici non sapessero che il venerdì è giorno di preghiera e non avessero gli orologi!

La giunta (Verdi e Cdu) si è giustificata dicendo che il pluralismo religioso vale per tutte le confessioni, anche per quelle che non usano le campane.

Cioè invece di impedire a tutte le religioni di politicizzare la propria fede, si è fatto il contrario. Per quieto vivere tutte possono farsi valere pubblicamente contro la laicità, esibendo, o meglio, imponendo i propri simboli religiosi a tutta la cittadinanza. Si è anche concesso il diritto alle donne islamiche di portare il velo quando svolgono funzioni pubbliche (insegnanti, poliziotte, avvocate ecc.).

Non solo, ma a Colonia la moschea centrale di Ehrenfeld gestita dalla turca Ditib è diventata un simbolo dell'islam politico favorevole alla dittatura di Erdoğan. Alla faccia di tutti i dissidenti politici turchi che hanno ottenuto asilo in Germania.

Come si spiega che una religione medievale, sommamente patriarcale e maschilista (che impone burkini, hijab, chador e burqa per sottomettere le donne, e che ancora prevede i matrimoni combinati e il delitto d'onore), sembra avere la meglio sul moderno laicismo, che dovrebbe esigere la privatezza delle proprie opinioni religiose? Come si può dare spazio a una confessione che là dove ha la possibilità di imporsi come chiesa di stato risulta essere particolarmente intollerante verso il laicismo, le apostasie e le altre religioni? Come si può accettare una religione che tenta spesso d'imporre la sharia e che non condanna mai pubblicamente i comportamenti criminali di chi usa il terrore per farsi valere?

Il motivo per cui l'occidente sta zitto è che la gran parte del petrolio di cui ha quotidianamente bisogno proviene proprio dai Paesi islamici. Non siamo ancora in grado di farne a meno.

Quanto poi alla sinistra occidentale, è ancora convinta che l'islam politico vada difeso perché è contro gli americani. Ancora non ha capito che è anzitutto contro gli stessi popoli islamici.

Liberamente tratto da MicroMega.net

 

[18] La teoria gender e i pregiudizi sessisti

 

Una professoressa di educazione fisica del liceo artistico “Marco Polo” di Venezia ha vietato l'uso del top alle ragazze per non distrarre i compagni maschi. Un divieto che è stato subito violato da alcune di loro che si sono presentate a scuola con un top sportivo, sfidando il freddo e srotolando su un ponte uno striscione contro la prof: “Cambiate mentalità, non i vestiti”.

Gli studenti del liceo classico “Zucchi” di Monza, per combattere la disparità di genere facendo in modo che l'abbigliamento non sia più sinonimo di alcun pregiudizio, hanno istituito una giornata in gonna per tutti gli studenti, maschi e femmine.

Le ragazze dicono di vivere sapendo che il sistema sociale non le difende se indossano una gonna o un vestito corto, per cui si sentono costrette a portare i pantaloni. Anche i maschi dicono di essere stanchi che sia la società a dettare cosa significhi essere uomo. Sia i maschi che le femmine non vogliono che siano degli estranei a decidere la loro identità di genere o a mettere in discussione il loro orientamento sessuale.

Insomma nelle nuove generazioni l'identità di genere vuole sganciarsi completamente dalla biologia sessuale. Quel che conta è la psicologia: è come ci si sente, non come si è. Non vogliono essere etichettati in alcuna maniera.

A questo punto ci si potrebbe chiedere: il sesso a cosa serve? Per la teoria gender sembra non serva a niente. È una mera casualità. In un certo senso non serve nemmeno a riprodursi. Non solo perché non si ha più voglia o interesse a fare figli, ma anche perché i figli ormai si possono fare in varie maniere artificiali.

Sembra che sia diventato un problema gigantesco essere definiti sulla base di un genere sessuale, poiché si teme che questo comporti subito l'emergere di pregiudizi maschilisti basati sul sesso. Di qui l'esigenza di vestirsi come meglio si crede, di truccarsi come si vuole, di frequentare indifferentemente ambienti cosiddetti maschili o femminili, di avere rapporti sessuali con chiunque, e così via.

Per timore che la diversità venga strumentalizzata con pregiudizi e stereotipi culturali (che pur esistono), si preferisce essere tutti asessuati. La differenza è diventata un peso. L'uniformità si gestisce meglio.

L'evoluzione della specie umana, divisa per genere, sembra essere giunta al capolinea. L'unica cosa che conta è l'io e il modo come ci si sente in un determinato momento o periodo.

 

[19] Cosa contano le comunità indigene? Niente!

 

Per i delegati indigeni alla conferenza sul clima di quest'anno a Glasgow la delusione è stata totale.

Si sono chiesti infatti che senso abbia fornire risorse finanziarie ai governi nazionali per piantare miliardi di alberi, quando questi stessi governi sono parte del problema climatico a causa delle deforestazioni che favoriscono. Cioè che senso ha escludere i popoli indigeni che proteggono le foreste e il clima ogni giorno, dai progetti di riforestazione?

Queste comunità tradizionali pensano che i finanziamenti andranno sicuramente sprecati. Non solo, ma la piantumazione massiva di alberi pone una serie di rischi per il suolo e gli ecosistemi locali. Non la si può fare senza attenti criteri scientifici, che conoscono bene proprio le popolazioni indigene, da sempre residenti nelle foreste. Come si può non coinvolgerle in progetti del genere?

Le popolazioni indigene costituiscono il 5% della popolazione mondiale, ma proteggono l'82% della biodiversità. E non hanno neanche il pieno controllo dei loro territori attraverso il riconoscimento di confini precisi.

Viviamo in un mondo ridicolo, dominato da Stati che anche quando si riuniscono pensando di fare del bene al pianeta, contribuiscono, contro le loro stesse intenzioni, a peggiorarne sempre più le condizioni.

 

[20] La letteratura esiste ancora in Turchia?

 

In Turchia per gli scrittori è finita. Puoi essere anche un premio Nobel, ma al governo non importa un fico secco.

Di recente infatti Orhan Pamuk, vincitore del Nobel per la letteratura nel 2006, è stato accusato d'aver insultato l'identità nazionale turca nel suo ultimo romanzo Le notti della peste, che si ispira, tra le sue molteplici fonti, ai Promessi sposi del Manzoni, a La peste di Camus e al Diario dell'anno della peste di Defoe.

Nel passato l'avevano accusato di aver parlato di genocidio armeno e di repressione dei kurdi (argomenti tabù in Turchia), ma non si era arrivati a una condanna.

Il romanzo di Pamuk (uscito a marzo 2021 e già tradotto in 40 lingue) parla della peste del 1901 e, pur non contenendo alcun riferimento a Mustafa Kemal Atatürk, fondatore della Repubblica turca, figura molto popolare nel Paese, è stato accusato d'averlo offeso.

In effetti lo scrittore, come già in altre sue opere, rappresenta il dramma sociale delle minoranze vessate dal nazionalismo e dall'autoritarismo. Il romanzo è una allegoria della necessità di modernizzare la Turchia e di rafforzare lo Stato di diritto.

Come noto Erdoğan non sopporta la libertà di pensiero, tant'è che nel 2014 ha varato una riforma che compromette di molto l'indipendenza dei giudici.

Secondo “Poets, Essayists, Novelists” (un'organizzazione americana per la libertà d'espressione), nel 2020 la Turchia ha incriminato circa 25 scrittori, incarcerandone diversi, in quanto le loro pubblicazioni erano ritenute offensive.

 

[21] Gli indomiti Baschi vivono ancora

 

Nel 1998 il governo spagnolo di Aznar (1996-2000) fece chiudere da 200 agenti della polizia il quotidiano basco “EGIN”, considerato affiliato all'organizzazione armata basca ETA.

Dal dopoguerra rimase un caso unico in Europa. Era il più venduto dell'intera penisola, con 30.000 copie al giorno. Vi lavoravano circa 200 persone, più i collaboratori esterni. Il Dipartimento di Stato statunitense l'aveva definito “il miglior quotidiano rivoluzionario del mondo”. In diversi processi giudiziari i suoi direttori furono accusati di collaborazionismo con l'ETA, ma contro di loro non si riuscì mai a emettere una condanna definitiva. Fu l'unico quotidiano a non ottenere mai alcun contributo finanziario da parte dello Stato spagnolo.

La decisione di chiuderlo verrà poi annullata nel 2009 da una sentenza del Tribunale Supremo spagnolo, ma ormai era tardi.

Tuttavia i Baschi non si arresero e fecero nascere il quotidiano “GARA” già nel 1999, dopo una campagna di azionariato popolare cui aderirono più di 10.000 persone. Purtroppo però la direzione dovette accollarsi un debito di 3 milioni di euro con la Previdenza Sociale contratto dal quotidiano precedente. Un debito che la suddetta sentenza di assoluzione non aveva eliminato e che il “GARA” ha potuto saldare solo nel maggio di quest'anno.

Ma perché un pagamento così assurdo? Perché le autorità spagnole avevano deciso che tra i due quotidiani vi era una certa “continuità ideologica”! Cioè non solo avevano compiuto un abuso politico e giudiziario, chiudendo un mezzo d'informazione, invece d'inquisire il singolo giornalista, ma avevano anche fatto in modo di ostacolare sul piano amministrativo la nascita del nuovo quotidiano.

I Baschi han dovuto sopportare la dittatura franchista per 40 anni, più la “dittatura democratica” della transizione post-franchista. Hanno avuto 40.000 persone arrestate perché sospettate d'essere terroriste. Di queste 10.000 sono state in carcere e 218 lo erano ancora alla fine del 2020 (163 in 36 carceri spagnole, 30 in 6 carceri francesi e 25 nei Paesi Baschi). Vi sono stati 5.000 casi di tortura certificati.

La politica carceraria spagnola prevede che i detenuti baschi siano mandati in carceri lontane dalla propria terra, spostati di frequente tra i vari centri penitenziari e isolati secondo le regole dei regimi penitenziari più duri. Questo nonostante che l'ETA, nata nel 1958, abbia rinunciato definitivamente alla lotta armata nel 2017, dopo 853 morti e più di 2.000 feriti. D'altra parte non è mai stata riconosciuta dai governi spagnoli come un interlocutore politico.

Fonte: www.gfbv.it

 

[22] La vera Cina tra le comunità più primitive

 

Nella provincia del Guizhou, una delle più povere della Cina, vi sono molte minoranze etniche, un tempo provenienti dalla Siberia. In un piccolo villaggio di montagna, detto Basha, vive l'ultima tribù di cacciatori dei Miao (conosciuti anche come Hmong), autorizzati dal governo a portare vere armi da fuoco. Loro venerano gli alberi come portatori di anime, vivono in case di legno, praticano usanze secolari e mantengono le loro credenze uniche.

Nel passato la povertà e le rivalità interetniche li indusse ingenuamente ad accettare le lusinghe finanziarie di Francia e USA in cambio di appoggi militari contro i comunisti in Indocina. Dopo la sconfitta degli USA dovettero ritirarsi in zone sempre più remote.

Nonostante ciò han conservato una struttura sociale molto forte, in cui l'individuo è considerato come parte organica di un'intera società. Le persone si definiscono attraverso la loro famiglia e il loro clan, caratterizzato da un rigido ordine gerarchico patriarcale.

In origine vivevano solo di agricoltura e caccia. Oggi praticano anche l'allevamento del bestiame e producono cotone. A chi viene a visitarli come turisti culturali fanno pagare un biglietto d'ingresso.

Perché ricordare una popolazione del genere? Perché conduce una vita autosufficiente, rispettosa dell'ambiente. Venera le fonti d'acqua e gli alberi come totem sacri, incarnazione animistica dei propri antenati. Quando nasce un figlio, i genitori piantano un albero con l'augurio che il figlio possa crescere con la stessa forza dell'albero. Anche se l'abbattimento di alberi vecchi è proibito, quello stesso albero è spesso usato per fabbricare la bara della persona per cui era stato piantato.

Tengono in grande considerazione gli anziani e la famiglia. Conservano soprattutto gli abiti tradizionali, perché rappresentano la corteccia degli alberi. Vivono in costruzioni di legno.

Sono popolazioni come questa che rappresentano la vera Cina, quella più antica. Riusciranno a sopravvivere, salvaguardando i propri usi e costumi? Direi di no. Infatti il governo cinese li vuole scolarizzare con propri insegnanti, che devono impartire lingua e cultura cinese. Anche perché le loro tradizioni non rientrano in quelle Han, nettamente dominanti. Di fronte a queste culture primitive non cambia molto per un governo centrale essere comunista o capitalista.

Breve sintesi di un lungo art. apparso su www.gfbv.it

 

[23] L'ecologia è un miraggio e un paravento

 

L'Italia è il primo Paese europeo per numero di morti, 10.000 nel 2019, a causa del biossido di azoto, che deriva dal riscaldamento e dal traffico, lo stesso che causa le piogge acide. Lo dice il Rapporto 2021 sulla qualità dell'aria dell'Agenzia Europea dell'Ambiente, che parla anche dei rischi del particolato sottile (PM2,5), per cui l'Italia, con quasi 50.000 decessi, è la seconda in Europa.

Se si fosse raggiunto il nuovo parametro dell'Organizzazione Mondiale della Sanità per il PM2,5, avremmo avuto 32.200 morti in meno da particolato sottile.

Migliorerà la situazione nel tempo? Considerando le tendenze all'invecchiamento e all'urbanizzazione della popolazione europea, che rende più sensibili all'inquinamento atmosferico, direi di no.

E poi, diciamocelo onestamente, quando si parla di transizione ecologica, cioè di sviluppo dell'elettricità al posto degli idrocarburi, s'intende solo una cosa: l'energia derivata dalle centrali nucleari a fusione, che sostituiranno quelle a fissione.

Tutto il mondo vuol diventare avanzato sul piano industriale come i Paesi occidentali, i primi che han voluto adorare il dio del denaro sposato con la tecnoscienza.

Siamo solo ridicoli quando vogliamo impedire agli altri di diventare come noi. O quando accusiamo i Paesi emergenti d'essere dei grandi inquinatori: lo sono anche per colpa delle nostre aziende, che han trasferito là le loro filiali per risparmiare sul costo del lavoro e sulle tasse. Singoli gruppi industriali sono capaci di generare quantità di gas serra superiori a quelle di intere nazioni.

I processi legati allo sviluppo si sono così incancreniti che solo di fronte a catastrofi epocali abbiamo qualche speranza d'invertire la marcia. È la stessa parola “sviluppo” che va ripensata. L'unico nucleare ecologico è quello del Sole, e oggi non è neppure quello, poiché, avendo noi gravemente compromesso le condizioni atmosferiche dell'intero pianeta, anche il Sole contribuisce ad ammalarci.

 

[24] La destra, l'anarchia e la pandemia

 

Ormai non si capisce più se i novax vogliano davvero far valere cure alternative al vaccino, o se vogliano sfruttare il Covid per far cadere il governo, o se lo sfruttino per evidenziare delle frustrazioni di tipo sociale ed economico, o se vogliano creare una nuova ideologia attorno a cui sentirsi tutti uniti... Sembrano tutti esperti di medicina, tutti convinti di avere la verità in tasca, tutti consapevoli dei retroscena imperialistici delle multinazionali farmaceutiche... Rifiutano qualunque fonte d'informazione che non passi attraverso i loro circuiti... Assomigliano a una setta religiosa pronta a immolarsi sull'altare di un dio che si sono inventati grazie a Facebook e altri social, giusto per far vedere la potenza di questi nuovi strumenti di comunicazione e di aggregazione.

Sinceramente parlando non se ne può più...

 

*

 

Ammettiamolo, il Covid e soprattutto la politica governativa sulla vaccinazione ha offerto un'occasione propizia a tutti quei giornalisti e conduttori televisivi di destra per sparare a zero conto tutti quanti non sono a favore del primato del singolo nei confronti delle istituzioni.

Se però al governo ci fosse stata una coalizione di destra si sarebbero comportati in maniera opposta, proprio perché questa è tutta gente priva di buon senso, di etica, di solidarietà umana. È solo capace di strumentalizzare i problemi per un vantaggio personale, che si traduce in audience, visibilità, pubblicità...

L'ultima assurdità l'ha offerta Nicola Porro nel suo sito, dicendo che chi si è già ammalato di covid ed è guarito, ha un'immunità superiore a chi è vaccinato, per cui dovrebbe essere esonerato dalla vaccinazione. Naturalmente riporta le affermazioni del virologo di turno, che questa volta è Paolo Gasparini.

Qual è il problema? Semplicemente che bisognerebbe verificare caso per caso un monitoraggio della quantità di anticorpi. Un costo economico non da poco e di lunga durata, che potrebbe rivelarsi molto controproducente per chi si illude, una volta guarito, di non potersi più riammalare.

Porro invece è convinto che tale monitoraggio andrebbe fatto anche su tutti i bambini, visto che il governo ha intenzione di vaccinare pure loro.

Ancora non ha capito la gravità del problema (pur essendosi lui stesso infettato) e che non abbiamo più tempo per decidere tutte le possibili varianti alternative al vaccino e meno ancora ne abbiamo per leggere le amenità di chi farebbe meglio a tacere.

 

*

 

Sta circolando in questi giorni una news che manda in brodo di giuggiole i novax, sempre molto attenti a trovare pretesti per rifiutare qualunque tipo di restrizione sanitaria.

A Gibilterra, dove la percentuale di vaccinati (coi sieri commerciati in Europa) è la più alta del mondo (119%, cioè il 100% della popolazione adulta, più i 7.000 lavoratori pendolari, e il 40% ha già ricevuto la terza dose), nell'ultima settimana si sono registrati troppi casi positivi, quattro volte più della media europea. Siccome la popolazione è di soli 34.000 abitanti, il governo si è fortemente preoccupato, per cui ha deciso di reintrodurre il lockdown.

Tutto vero, ma si dimentica di aggiungere che da marzo 2021 (quando finì la vaccinazione) ad oggi i morti col Covid sono stati solo tre, due dei quali non erano vaccinati. Dall'inizio della pandemia a Gibilterra hanno avuto 98 morti.

Stiamo piuttosto attenti che una nuova variante, molto pericolosa, è stata rilevata in Sudafrica, la nazione africana più colpita dalla pandemia. Già circola in Botswana e Hong Kong, portata da soggetti provenienti dal Sudafrica.

Al momento le varianti che circolano in Italia sono nove: Alfa inglese, Delta indiana, Gamma giapponese e brasiliana, Beta sudafricana, Eta nigeriana, Lambda peruviana, Epsilon californiana, Iota di New York e Kappa indiana.

Invece di trovare casi con cui dimostrare l'inefficacia dei vaccini, cerchiamo di non ripetere la disfatta di Caporetto, quando Cadorna era convinto di avere la vittoria in tasca.

 

[25] Il non futuro per l'idrogeno

 

Al momento le auto a idrogeno vengono fatte nella Corea del Sud e in Giappone. La prima in Australia ne ha commercializzata una che si ricarica in soli 5 minuti.

La Hyundai Nexo, di piccola cilindrata, percorre 900 km con un carico di 6,27 kg di idrogeno e, mentre si muove, purifica 449.100 litri di aria (quanto il consumo del respiro di 33 persone per un giorno intero). Praticamente non produce CO2 né altre emissioni inquinanti. La nipponica Toyota Mirai 2021 con un pieno di 5,65 kg di idrogeno ha raggiunto addirittura un po' meno di 1.360 km!

I veicoli a celle combustibili a idrogeno sono alimentati dall'elettricità prodotta da una reazione chimica tra idrogeno e ossigeno e rilasciano solo vapore acqueo dal tubo di scarico. Le prestazioni sono simili a quelle di un veicolo elettrico al 100%. Per di più hanno una garanzia di 5 anni a chilometraggio illimitato.

L'idrogeno costa 10 euro al Kg, che corrisponde a una spesa di soli 10 centesimi a km. L'auto impiega batterie più piccole rispetto a quelle elettriche, che han bisogno di accumulatori capienti per incrementare la propria autonomia. Quindi meno peso, meno zavorra da portarsi dietro e meno costi.

Allora perché non si usano in Europa? In Italia ad es. abbiamo una sola stazione di rifornimento a Bolzano, dove il costo al kg è di 13,7 euro: con circa 70-80 euro (a seconda del tipo di auto) su fanno oltre 600 km.

È la Germania che vi si oppone, sia col Gruppo Volkswagen che con la Mercedes-Benz. Secondo i tedeschi l'idrogeno è troppo costoso, inefficiente, lento e difficile da diffondere e trasportare. Inoltre le auto costano troppo all'utente, nonostante che da 20 anni vengono realizzate in piccola serie.

Non essendo direttamente disponibile in natura, bisogna ricavare l'idrogeno con processi che consumano molta energia, cioè richiedono molta elettricità, come p.es. l'elettrolisi. A Bolzano han risolto il problema grazie all'impiego di elettricità al 100% rinnovabile, proveniente dalla centrale idroelettrica dell'area. Volendo, basterebbe anche una turbina eolica.

Tuttavia il problema c'è: non è che i tedeschi son più stupidi dei sudcoreani e dei nipponici. Infatti se si parte da una fonte di 100 watt elettrici, l'auto a idrogeno, per vari motivi di dispersione, ne userà soltanto 38, mentre un'auto elettrica ne userà 74. Quindi per pareggiare i conti un'auto a idrogeno avrebbe bisogno di 200 watt di partenza. In pratica le auto a idrogeno, al momento, non hanno alcun futuro.

 

[26] Basta dire che si è ucciso per legittima difesa per dire che giustizia è fatta?

 

La sentenza che ha assolto Alex Pompa dall'omicidio del padre Giuseppe di 52 anni, da tempo molto violento con la moglie e psicopatico (ossessionato dalla gelosia), non mi convince molto. “Il fatto non costituisce reato”, han sentenziato i giudici. Per 20 anni l'aveva umiliata, derisa e svilita. Cioè in pratica il figlio (che nell'aprile 2020 aveva 18 anni) avrebbe agito per legittima difesa.

Il pubblico ministero aveva chiesto una condanna a 14 anni, motivandola con un'unica circostanza attenuante: la perizia psichiatrica indicava l'imputato seminfermo di mente (stressato per colpa del padre violento). Anche la vittima aveva bisogno di cure, ha aggiunto. La cosa più incredibile è stato però quando ha detto che “quella sera non c'era una minaccia reale. Alex ha ucciso rappresentandosi una minaccia insussistente”.

In effetti la ricostruzione della scena sembra dare abbastanza ragione al PM. Nel pomeriggio di quel giorno fatale Giuseppe si era presentato al supermercato dove la moglie lavorava e aveva notato che un collega di lavoro le aveva messo una mano sulla spalla. La sera aveva accolto la moglie con urla e insulti. Intorno alle 21.30 la situazione era degenerata. Giuseppe aveva chiamato il fratello Michele e per 37 minuti si era sfogato con lui, additando la moglie d'essere una poco di buono, la quale intanto si era chiusa in bagno. I figli, che la difendevano sempre e non lasciavano mai da sola in casa col marito, avevano chiamato lo zio per telefono, ma lui era convinto che la sfuriata gli sarebbe passata. Alle 22.26 Alex corre in cucina. Ha dichiarato che il padre stava andando a prendere i coltelli (al plurale!), e che lui aveva pensato di precederlo. Alex si scaglia contro il padre e lo colpisce 34 volte, in varie parti del corpo, usando ben sei coltelli diversi (alcuni dei quali si sono spezzati per la violenza dei colpi). Quando capisce che l'uomo è morto, chiama i carabinieri, dicendo che il padre era ubriaco e violento. Il fratello più grande Loris assiste all'omicidio, ma dice d'essere rimasto “paralizzato dalla paura”.

In aula la difesa ha fatto ascoltare quasi dieci ore di 250 file audio – registrati tra la fine del 2018 e l'inizio del 2020 – per ricostruire l'escalation di violenza della vittima. I vicini li sentivano litigare almeno un paio di volte la settimana.

Chi ci capisce qualcosa è bravo. Io mi sono posto solo una domanda: se in una famiglia c'è un padre fuori di testa, che arriva persino a minacciare di morte qualche congiunto, ciò giustifica che un figlio o la moglie lo faccia fuori? Si può sostenere che questo delitto non costituisce “reato”? Si può parlare di legittima difesa di fronte a un padre non armato? Si può accampare come scusa il fatto che a causa del lockdown da coronavirus le tensioni in famiglia si erano notevolmente accentuate?

Oppure il diritto penale manca delle motivazioni più idonee per interpretare reati del genere? Avrei capito di più che i giudici avessero detto che questo delitto si configurava come una forma di “legittima difesa” nei confronti di istituzioni latitanti, che non fanno nulla in situazioni così pericolose. Avrei capito di più i congiunti, gli avvocati di Alex dire che andava assolto non tanto perché aveva avuto il coraggio di “salvare” la famiglia, quanto perché, non avendo altri aiuti, si era comportato nella maniera più esasperata possibile, come non avrebbe mai fatto in una situazione normale. Anche perché quando una situazione esasperata si trascina per molto tempo la differenza tra premeditazione e legittima difesa diventa molto sottile.

 

[27] Radio Maria sembra una multinazionale di Dio

 

Ho guardato per caso una puntata del canale Geopop su YouTube dedicata a Radio Maria e sono rimasto abbastanza sorpreso, ma per colpa della mia ignoranza.

Da tempo tutti sanno (ne parlò anche Striscia la notizia) che le antenne di Radio Vaticana sono responsabili di un certo inquinamento elettromagnetico (che può procurare anche tumori). Ebbene, lo sono anche quelle di Radio Maria, col suo ripetitore di Monte Mario.[8]

Ed è altresì noto che sul piano dei contenuti trasmessi la radio è particolarmente reazionaria e clericale. Ricordiamo tutti le assurde affermazioni di padre Giovanni Cavalcoli, secondo cui il terremoto avvenuto in Centro Italia nel 2016 sarebbe stato un “castigo divino” per le unioni civili da poco regolamentate in Italia. Era stato criticato da mons. Angelo Becciu, che poi si rivelerà sul piano finanziario un disastro assoluto per il Vaticano. O quando nel 2020 padre Livio Fanzaga disse che la pandemia del Covid-19 era il risultato di un complotto attuato da menti criminali sotto l'impulso di Satana.

Ma è la questione tecnica che non sapevo. Di fatto Radio Maria è la radio privata italiana col maggior numero di ripetitori (oltre 850), superiori a quelli della RAI, in grado di raggiungere l'intero territorio nazionale, anche le zone più sperdute, non coperte da altri segnali radiofonici.

Come mai? Le motivazioni sono due:

- trasmette solo in monofonia (non in stereo), essendo stata concepita come “radio parlata”, per cui fa sentire chiaramente le trasmissioni anche con una ricezione non ottimale, con minori interferenze;

- essendosi sviluppata in Italia durante gli anni '80 e '90, prima della legge Mammì che regolamentava le frequenze, ha acquisito impianti strategici che garantiscono una perfetta copertura del segnale (soprattutto nelle grandi città).

Fondata nel 1987, era già in grado tre anni dopo di arrivare fino al Canton Ticino. Incredibilmente con la Famiglia Mondiale di Radio Maria, nata nel 1998, oggi trasmette anche in tutta Europa sul digitale terrestre e in tutto il mondo via Internet, con app ad hoc per tutti i sistemi operativi, canali YouTube e profili Facebook (qui è addirittura la radio più seguita).

Ancora più paradossale è il fatto che le redazioni siano solo tre, ad Arcellasco d'Erba, a Roma e a Torino, con una decina le persone che lavorano a tempo pieno come dipendenti, mentre tutti gli altri sono volontari (20.000) e tutti cattolici praticanti, al servizio di circa 40 milioni di ascoltatori nel mondo in 50 lingue.

 

[28] Abbiamo cementificato tutto e ora cerchiamo delle alternative

 

Ogni anno nel pianeta usiamo circa 30 miliardi di tonnellate di calcestruzzo per costruire edifici, strade, ponti, dighe e altre strutture. È il materiale edilizio più diffuso e la domanda è in crescita.

Per ottenerlo ci vogliono 5 miliardi di tonnellate di cemento. È il suo ingrediente più importante, composto da polvere di silicati, sabbia, ghiaia e acqua.

Non ci si crederà, ma il solo cemento è responsabile dell'8% di tutte le emissioni mondiali di anidride carbonica (CO2) legate alle attività umane. Per ogni tonnellata di cemento fresco ne viene rilasciata quasi una di CO2. Se l'industria del cemento fosse un Paese, sarebbe il terzo al mondo per emissioni dopo Cina e Stati Uniti.

Al momento esistono poche alternative pratiche al calcestruzzo. Sta aumentando l'interesse per il legno lamellare a strati incrociati, che è prodotto a partire dagli alberi, ma per le esigenze che abbiamo non serve a niente. Anzi, siccome abbiamo sempre molta fretta nel finire le cose, rischieremmo di eliminare in poco tempo le ultime foreste rimaste.

Vi sono naturalmente altre alternative allo studio. Per es. la canadese CarbonCure ha installato in oltre 400 suoi impianti edili delle apparecchiature che catturano l'anidride carbonica e la iniettano nel calcestruzzo miscelato con acqua. Così non viene immessa nell'atmosfera, e il calcestruzzo diventa anche più resistente.

Qual è il problema? Semplicemente che al momento si può catturare solo il 5% delle emissioni prodotte dal cemento. Cioè spendiamo una montagna di soldi per ottenere dei risultati che poche aziende si potrebbero permettere e che, alla resa dei conti, non risolvono alcun vero problema.

Siamo alle solite. Con la scienza che abbiamo, artefice principale dei mali del pianeta, ci illudiamo di poter risolvere qualunque problema tecnico. La scienza è in grado di porsi problemi “etici”? No, non ci riesce. Gli obiettivi che si pone sono solo quelli di soddisfare il business, anche a costo di far rientrare in questo obiettivo la stessa ecosostenibilità.

Al momento sappiamo soltanto che se non cambia lo stile di vita, la produzione di cemento raddoppierà nei prossimi 20 anni. E col tempo il cemento si sgretola, richiede continua e costosa manutenzione. E se non la si fa, la struttura crolla, come è successo al ponte Morandi di Genova.

 

[29] Lo strano rapporto tra magistratura e politica in Svizzera

 

Attualmente in Svizzera i giudici federali sono eletti dal Parlamento (in alcuni Cantoni anche dall'elettorato), ufficiosamente in base alla rappresentanza proporzionale dei partiti.

L'iniziativa che chiedeva l'introduzione di un sorteggio, in base a una lista di persone considerate idonee alla professione, è stata bocciata da quasi il 70% di chi ha votato al recente referendum. Che era stato chiesto da un comitato di cittadini convinti che la procedura attuale violi la separazione dei poteri e pregiudichi l'autonomia del sistema giudiziario (minacciato non solo dalle ingerenze dei partiti ma anche da quelle di gruppi d'interesse economico). Il comitato chiedeva anche che il mandato di giudice federale non avesse più una durata precisa (in genere 4-6 anni), ma scadesse semplicemente cinque anni dopo il compimento dell'età ordinaria di pensionamento. Solo in caso di gravi violazioni dei doveri d'ufficio o di malattia sarebbe stato possibile il licenziamento da parte del Parlamento.

L'iniziativa era stata ovviamente osteggiata da tutti i principali partiti, che si sentivano scavalcati nelle loro funzioni. Anche perché i giudici eletti devono versare al proprio partito una “tassa di mandato”, che non tutti i partiti dichiarano (il partito socialista, p.es., impone il 2% del reddito). In cambio di questa quota (dal sapore medievale) il giudice federale può contare sull'appoggio del partito durante la sua rielezione.

Insomma gli svizzeri si fidano delle loro istituzioni politiche e accettano tranquillamente l'idea che chi si candida a diventare giudice federale (una carica molto prestigiosa) sia iscritto a un partito. Come se le competenze giuridiche di un candidato fossero, in ultima istanza, meno importanti della sua affiliazione politica.

Che senso abbia questa cosa non l'ho capito molto. È evidente infatti che un partito, se rimane scontento di una determinata sentenza, può mettere sotto pressione un giudice e non sostenere la sua rielezione. Ovvero, se un giudice si trova a giudicare per un qualche reato un membro del proprio partito, farà fatica a restare obiettivo.

In Svizzera lo sanno tutti che chi viene giudicato da un giudice dell'UDC per consumo di canapa o da un giudice socialista per evasione fiscale, può dirsi generalmente sfortunato. E sanno anche che i giudici appartenenti ai partiti conservatori respingono tre volte più spesso di altri le richieste di asilo.

Peraltro il suddetto comitato ha sostenuto che se ci fosse il criterio del sorteggio, le candidature femminili e di alcune minoranze triplicherebbero.

 

[30] La parità di genere in Italia è un mito

 

A proposito di quanto è successo alla giornalista sportiva di Toscana Tv, Greta Beccaglia, mentre era in diretta (un tifoso le ha messo una mano nel sedere), l'Ordine dei Giornalisti della Toscana ha criticato il conduttore in studio, Giorgio Micheletti, perché, invece di condannare il gesto e il molestatore, ha invitato la collega a non prendersela più di tanto e non ha espresso parole di solidarietà nei suoi confronti.

Poi il conduttore ha affermato, per non rischiare di perdere il posto (anche se è stato costretto a prendersi una pausa dalla conduzione del programma “A Tutto Gol”): “Chiedo scusa per le parole infelici usate nel momento concitato della diretta di sabato. In quel momento il mio unico interesse era d'essere d'aiuto a Greta. Ho sempre avuto in vita mia e nella mia carriera professionale un grande rispetto per le donne”.

Qui ci sarebbero molte cose da dire. Ma ci limitiamo a due domande.

Quando uno dice che ha “sempre” avuto grande rispetto per le donne, come mai non gli è venuto istintivo solidarizzare con lei?

Quando un Ordine dei giornalisti si meraviglia che il conduttore non abbia espresso parole di solidarietà nei confronti della giornalista, come mai non ha aggiunto che il conduttore avrebbe dovuto dire parole non solo etiche ma anche giuridiche, facendo chiaramente capire che vi erano gli estremi per una denuncia?

Ma forse la cosa più imbarazzante è un'altra: i calciatori erano scesi in campo mostrando il simbolo della Giornata contro la violenza sulle donne (sic!).

Intanto il molestatore ha detto che “Non è assolutamente un atto di sessismo”. E allora che cos'è? Lui poi ha aggiunto: “Avevamo perso e ho fatto quel gesto in un momento di stizza e per goliardia”. Chissà se l'avrebbe fatto anche nei confronti di un uomo? Infine ha concluso: “Non avrei mai pensato a tutto quello che sta succedendo. Il mio avvocato sta cercando l'avvocato della giornalista: voglio farle le scuse ufficiali”. Sai però qual è il problema? È che tu ti sei comportato così, pur avendo visto la telecamera. Uno spettatore può pensare che l'avevi fatto apposta, convinto che non ti sarebbe successo niente. L'ingenuità a volte costa cara.

In ogni caso, come si può notare, gli uomini non hanno alcuna percezione della gravità dei gesti sessisti che compiono. È l'abitudine che li induce a comportarsi così. È un problema culturale, di mentalità.

Lo si capisce anche da queste parole: “Mi descrivono come un violentatore, ma non sono così. A casa mi hanno detto: ma che hai fatto? Me lo ha detto anche la mia compagna. Sanno che non sono una persona cattiva”. Sì, lo sappiamo che non sei una persona cattiva, ma smettila di giustificarti, perché non fai altro che peggiorare la situazione. Anche perché non sei un ragazzino: hai 45 anni e sei padre di due figli!

Anche il conduttore si è giustificato dicendo: “Il nostro errore è stato prima di tutto organizzativo. Non avremmo dovuto lasciare la nostra giornalista da sola in mezzo a una folla di 'esseri' con un quoziente intellettivo sotto lo zero”. Ehi, ehi, vacci piano con gli insulti: son loro che ti dan da mangiare!

 

Dicembre

 

 

 

[1] Helena Dalli e l'inclusività in Europa. La popolazione nel mondo

 

Sono andato a vedere su Wikipedia la biografia di quella Helena Dalli, commissaria UE all'Uguaglianza, che voleva sostituire l'augurio di “buon Natale” con quello più laico di “buone feste”. Sono rimasto impressionato: non credo che in Italia, a livello istituzionale, abbiamo mai avuto una donna del genere.

La destra becera (soprattutto la nostra, ovviamente) l'ha criticata di voler abbandonare le tradizioni cristiane europee per fare un favore alle minoranze religiose e per promuovere un linguaggio neutrale, politicamente corretto.

In realtà lei voleva rimarcare i valori della laicità e, siccome non è una persona ideologica, ha ritirato subito il documento (Union of Equality), rendendosi conto che la UE, nel suo insieme, non è come Malta, cioè è ancora molto indietro sul piano dell'inclusività.

Sì, perché lei in quell'isola ha fatto cose che gli umani non riescono neanche a immaginare.

Dunque la Dalli (1962) è una leader del partito laburista. È sposata e ha due figli. Ha prodotto il primo libro bianco di Malta sulla violenza domestica. Quando è entrata nel governo ha introdotto diverse leggi e politiche per rafforzare l'identità e la parità di genere, tra cui una legge sulle unioni civili e sull'orientamento sessuale. L'ampliamento delle protezioni antidiscriminatorie ha costretto a modificare la Costituzione.

Nel 2015 ha presentato una legge (la prima al mondo) che stabilisce diritti di ampio respiro per le persone transgender e intersessuali: p.es. il riconoscimento del proprio genere autodeterminato sui documenti ufficiali e il diritto all'integrità corporea e all'autonomia fisica. Malta è il Paese che offre la migliore protezione legale e uguaglianza per le persone LGBTIQ in Europa.

Ha introdotto un fondo nazionale per il congedo di maternità a cui tutti i datori di lavoro contribuiscono indipendentemente dal genere dei loro dipendenti, al fine di proteggere le donne dalla discriminazione durante il processo di assunzione.

Ha guidato il processo per l'istituzione della Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza, che le Nazioni Unite commemorano ora ogni anno l'11 febbraio.

Nel 2017 ha presentato al Parlamento un disegno di legge per introdurre il matrimonio egualitario (omosessuale).

Ha istituito una direzione per i diritti umani e l'uguaglianza anche per integrare meglio i migranti e lottare contro ogni forma di razzismo.

Eccetera eccetera eccetera.

Nel documento che le hanno bocciato non c'era solo un riferimento alle feste religiose. In realtà quello è un testo linguistico volto a rispettare qualsiasi diversità, in quanto “Ognuno ha il diritto di essere trattato in maniera eguale” senza riferimenti di “genere, etnia, razza, religione, disabilità e orientamento sessuale”. Così si legge nell'introduzione.

 

Ogni tanto bisognerebbe andarsi a guardare le centinaia di dati e statistiche del canale CityGlobeTour su YouTube. Purtroppo non fanno commenti, ma c'è un video molto significativo, intitolato “I 20 Paesi più popolosi del mondo (1800-2100)”.

Ebbene, non ci si crederà, ma nel 2100, se non ci saranno guerre o pandemie (altrimenti sarà peggio), l'Italia avrà solo poco più di 40 milioni di abitanti (7 in più della Spagna!). Al confronto la Germania tiene abbastanza (74 milioni), mentre il Regno Unito passerà addirittura a 77 milioni e la Francia a 67 milioni. La Cina perderà 400 milioni di persone e l'India arriverà a 1,5 miliardi (la metà della Nigeria). Gli Stati Uniti avranno all'incirca gli stessi abitanti del Pakistan: 431 milioni. Nel complesso l'Asia avrà 5 miliardi di persone: un numero che non può essere raggiunto neanche mettendo tutti insieme gli altri continenti.

Per concludere una domanda: non fa un po' pena la destra italiana ed europea quando si oppone ai flussi migratori?

 

[2] Sposarsi nelle periferie di Roma

 

Nel sito 21luglio.org ci sono vari report interessanti. Uno in particolare mi ha colpito. Parla di alcune baraccopoli rom e sinti nell'estrema periferia di Roma, dove il tasso di unioni precoci è del 77%, un punto in più del record mondiale detenuto dal Niger. Il report del 2014-16 si basa su 8 differenti realtà abitative, composte da più di 3.000 persone.

Nel 72% dei casi i contraenti avevano tra i 16 e i 17 anni, mentre nel 28% dei casi tra i 12 e i 15 anni.

In particolare una ragazza su due si sposa tra i 16 e i 17 anni, una su cinque tra i 13 e i 15 anni. Ma non rientrano nella statistica mondiale, secondo cui ogni anno, nel mondo, 15 milioni di ragazze si sposano prima di aver compiuto la maggiore età. Non siamo come il Niger, la Repubblica Centro Africana e il Mali, ma solo perché da noi non esistono ricerche ufficiali in merito.

Nelle baraccopoli la precocità dei matrimoni è fortemente influenzata dal valore che viene attribuito alla verginità, definita dai giovani intervistati come “una dote”, “un bene”, “qualcosa che ti fa sentire pulita”. Possono anche esserci matrimoni combinati, ma non è la regola, poiché si lascia ai giovani una certa libertà di decisione. Di sicuro si teme il sesso fuori del matrimonio. In tal senso anche la scuola, a volte, viene percepita come un luogo “poco controllabile”.

La ricerca conferma la tendenza delle famiglie con un basso reddito ad avere un alto numero di figli, sostenendo per ciascuno di loro una bassa spesa media in istruzione, sport, competenze varie... Il contrario di ciò che avviene nelle famiglie con alti redditi.

Si tratta comunque di realtà urbane caratterizzate da una forte assenza di stimoli esterni, in cui permane (soprattutto per le donne) un alto tasso di disoccupazione. Il matrimonio precoce serve per darsi delle responsabilità.

Inutile dire che negli ultimi 25 anni la situazione dei campi rom a Roma è rimasta del tutto invariata. Le varie amministrazioni comunali non han fatto altro che imporre progetti dall'alto, senza coinvolgere i diretti interessati, e tutti i progetti non han conseguito alcun vero risultato.

 

[3] Perché le resistenze dei novax sono ridicole?

 

Nell'azionariato della Pfizer compaiono alcuni giganti degli investimenti, come le statunitensi Vanguard, BlackRock e Wellington, che possiedono, rispettivamente, l'8,12%, il 7,46% e il 4,22% del colosso farmaceutico americano. La stessa cosa succede con altre grandi aziende farmaceutiche.

BlackRock è la più potente e ricca società di investimenti al mondo: gestisce un patrimonio di più di 8.000 miliardi di dollari. Vanguard Group ha asset per oltre 5.000 miliardi e, in quanto a negoziazione di fondi, è seconda sola a BlackRock. La più piccola del gruppo è la Wellington Management Company, con una gestione di circa 1.500 miliardi di dollari.

BlackRock (col 7%) e Vanguard (col 7,71%) sono pure i maggiori investitori istituzionali di Facebook, la quale ha venduto a Spotify, Netflix, Amazon, Microsoft e Yahoo gli accessi degli utenti.

Tutto questo dimostra che vi è uno stretto legame tra il settore farmaceutico, quello finanziario e quello dei social network. Chi controlla queste cose? Nessuno. La politica non è in grado di farlo.

Tra i grandi azionisti di Pfizer o di AstraZeneca troviamo anche le grandi banche: Bank of America, Deutsche Bank, Morgan Stanley, JP Morgan, ecc. L'intreccio affaristico è assolutamente inestricabile.

BlackRock, Vanguard e Wellington hanno cospicue partecipazioni azionarie anche nella maggior parte delle multinazionali che producono armi.

In Italia BlackRock è la maggiore azionista di UniCredit col 5,2% e possiede il 5,7% di MPS, il 5% di Intesa e il 4,8% di Telecom Italia. Quando nel 2016 e 2018 sono stati fatti gli stress test alle banche europee, proprio BlackRock e Vanguard vennero incaricate della consulenza in materia di vigilanza, cioè le società che hanno partecipazioni nelle banche da controllare.

La Wellington è titolare del 6,1% delle azioni di CERVED Group, la società italiana che valuta il merito creditizio e la classe di rischio delle nostre imprese, mentre Vanguard ha un'esposizione a Piazza Affari per più di 9 miliardi.

E questi son solo piccoli esempi di cosa voglia dire primato del capitalismo finanziario su quello economico produttivo.

Nei confronti di questi colossi non è possibile far nulla. Una decina d'anni fa la Pfizer (che ha un fatturato annuo di oltre 50 miliardi e un utile netto di più di 16 miliardi) fu condannata per aver messo in circolazione in modo illegale dei farmaci; ne uscì pagando tranquillamente una multa di 2,3 miliardi di dollari.

Che senso ha rifiutare il vaccino per opporsi alle Big Pharma, quando tutte le altre medicine sono prodotte dalle stesse aziende? Per combattere davvero il sistema dovremmo curarci da soli, chiudere i conti correnti, rinunciare alle assicurazioni, ai fondi comuni, agli investimenti finanziari, uscire da tutti i social network, praticare autoconsumo e baratto in un lotto di terra in proprietà, che però dovrebbe essere sufficientemente grande per mantenere una comune composta da più famiglie che la pensano alla stessa maniera e che hanno certe competenze agricole. Perché da soli non ce la si fa.

 

[4] I social e le ragioni dei novax

 

Indubbiamente la pandemia da covid ha aggravato le disuguaglianze di reddito, ha colpito con maggiore forza le persone meno protette, come donne e anziani, e tolto speranza ai nostri giovani. L'intero Paese, complice la pandemia, è ancora piuttosto lontano dal raggiungimento dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile dell'Agenda 2030 dell'ONU, soprattutto sul piano dell'efficienza energetica e della tutela ambientale.

Di questo bisogna tener conto quando si giudicano le azioni dei novax.

Tuttavia si ha l'impressione che tutta questa crescente protesta sia il frutto anche di un uso assurdo dei social, ritenuti di per sé più attendibili dei media istituzionali. Infatti quando si parla con un novax, ci si accorge subito che rifiuta qualsiasi fonte che non provenga da quelle reperite in rete di sua stretta conoscenza. L'unica democrazia è quella di un web predigerito, il resto è dittatura. Come se in rete non sia possibile costruire e diffondere delle colossali e pericolose fake news.

Stanno crescendo gruppi e addirittura movimenti del tutto autoreferenziali, come certe sette religiose, dove gli appartenenti si danno ragione a vicenda e si pongono come unico obiettivo quello di smontare le opinioni di chi viene considerato un nemico irriducibile, schiavo di un sapere fazioso e ingannevole, che copre interessi privati vergognosi o che, se in buona fede, proviene da un'ignoranza abissale di come stanno davvero le cose.

Questo affronto manicheo dei problemi oggi si è fatto le ossa attorno a un virus e ai vaccini, ma domani qualunque altra cosa potrebbe essere presa come pretesto. E con ciò naturalmente non vogliamo dire che le istituzioni siano intoccabili. È il fanatismo di chi pugnala Cesare mentre parla al senato o di chi sceglie Barabba in un'assemblea popolare che ci preoccupa.

 

*

 

M'immagino una guerra nucleare prossima ventura. Il governo dice a tutti i cittadini che l'unico modo per non contagiarsi è vivere un anno nei bunker. Salta su una fetta di popolazione nonuke che comincia a opporsi. Sulla base della seguente motivazione: se andiamo a vivere nei bunker daremo ragione al governo, che sostiene il nucleare e vuol farci credere che andando in un bunker ci salveremo tutti.

E così restarono fuori a protestare, convinti che il contagio fosse una paura esagerata per farci vivere come topi.

 

[5] La faziosa laicità francese

 

La Francia non ha visto di buon occhio l'incontro tra la commissaria europea per l'Uguaglianza, quell'Helena Dalli divenuta famosa per il suo documento sul linguaggio politicamente corretto, e la FEMYSO, una rete di 33 organizzazioni giovanili e studentesche musulmane in 20 Paesi europei, creata nel 1996, che si lamenta delle discriminazioni patite nella UE. Il suo sito è femyso.org

Il governo francese non sopporta assolutamente d'essere criticato di non rispettare la democrazia e i diritti umani, meno che mai quando c'è di mezzo l'hijab, che considera un simbolo religioso da non esibirsi pubblicamente. Chissà cosa direbbe al vedere Salvini fare le sue campagne elettorali col rosario in mano o una speaker del Tg2 portare una collana con appesa la croce...

In particolare il governo teme che le associazioni islamiste s'infiltrino nelle istituzioni statali. Ancora Macron non ha capito che per dimostrare che la laicità è superiore alla religione, deve farlo sul piano etico, senza far leva sugli strumenti del potere politico, che inevitabilmente vengono percepiti dalle minoranze come autoritari. In Italia ci sono milioni di persone che considerano autoritario il governo persino anche quando chiede di vaccinarsi per scongiurare il diffondersi della pandemia da covid.

La FEMYSO non è un “fantoccio dei Fratelli Musulmani”. Queste etichette ideologiche con cui si evita di entrare nel merito dei problemi sono una costante dei francesi quando fanno politica. Come possono pensare che la Commissione Europea avrebbe accettato di finanziarla se avesse sospettato un legame strumentale del genere?

Insomma l'Europa può di nuovo rischiare di diventare razzista semplicemente sostituendo, come bersaglio da colpire, gli ebrei coi musulmani?

 

[6] La Gabanelli ha sempre ragione

 

Mi piace la Milena Gabanelli perché parla chiaro ed è ben documentata.

Per es. ha scritto sul corriere.it a proposito della transizione ecologica e dell'impatto che questa avrà sulla nostra filiera dell'automotive: “Non ci sono solo Stellantis, Ferrari e Lamborghini, ma ben 2.200 imprese della componentistica, che forniscono tutti i più noti marchi dell'auto, dove lavorano 161.000 persone. Per fare un esempio: circa il 30% delle auto tedesche è fatto con parti prodotte in Italia. Se il Parlamento ratificherà la proposta della Commissione Europea, nella UE i produttori di auto dovranno dire addio al motore endotermico (benzina, diesel) entro il 2035”.

E poi ancora: “il motore elettrico si sta imponendo e per produrlo serve il 30% di manodopera in meno. Vuol dire che se in Italia restiamo fermi a guardare, entro i prossimi 14 anni 60.000 persone in 500 aziende perderanno il posto di lavoro. Negli stabilimenti dove producono il diesel il problema c'è già. Questo motore non è quasi mai utilizzato per le auto ibride e la sua quota di mercato in Europa è passata dal 54% al 26% negli ultimi 13 anni”.

Il bello è che i soldi per la transizione green ci sono. Il Pnrr stanzia 740 milioni per la rete delle colonnine e circa 1 miliardo nella filiera delle batterie. Quello che manca però è la capacità di coordinare gli sforzi a livello nazionale.

“Va avanti chi si arrangia da solo: la motor valley emiliana sta facendo sistema per attirare investimenti stranieri, grazie alla spinta di grandi marchi, come Ferrari e Lamborghini, da una parte, e una politica regionale che cerca di finalizzare i fondi europei sulla riconversione dall'altra”. Ma questa sembra essere un'eccezione.

Di fatto il nostro Paese, pur avendo grandi capacità, si muove in una maniera assolutamente anarchica. Ognuno va per conto suo. Non c'è alcun vero coordinamento nazionale. Non si ha fiducia nello Stato. Non esiste il concetto di Nazione, e tanto meno quello di Unione Europea. Nella stessa UE ogni nazione si sente autonoma e rivale dell'altra.

 

[7] Addio alberi, è stato bello!

 

Secondo il rapporto Ipbes (2019) circa 1 milione di specie animali e vegetali sono minacciate da estinzione. Nell'elenco vi sono anche gli alberi, la più antica e perfetta tecnologia donata dalla natura per lo stoccaggio dell'anidride carbonica e per il controllo del clima, oltre che ovviamente per depurare le acque, prevenire l'erosione del suolo, difenderci contro le inondazioni, ecc.

E che dire del legname che ci offrono? La FAO ha stimato il valore totale delle esportazioni globali di prodotti del legno nel 2018 per un importo di 270 miliardi di dollari.

Il “Rapporto sullo stato degli alberi nel mondo”, pubblicato nel settembre 2021 dal Botanic Gardens Conservation International, parla chiaro: ben 142 specie arboree sono state già registrate come estinte. Sono invece 17.500 le specie di alberi a rischio di estinzione, circa il 30% delle 60.000 presenti sul pianeta (di almeno 440 tipi ne sono rimasti meno di 50 esemplari).

Tra le cause che minacciano di più la sopravvivenza degli alberi spicca la perdita di habitat dovuta all'agricoltura e al pascolo: solo la conversione dei terreni per la produzione di caffè, tè, soia, olio di palma e gomma è stata la causa della metà della deforestazione a livello mondiale (World Resources Institute 2021).

La seconda grande minaccia è lo sfruttamento diretto per il legname, che ha un impatto negativo su oltre 7.400 specie.

Anche la crisi climatica e le condizioni meteorologiche estreme rappresentano dei pericoli sempre più gravi per la sopravvivenza delle diverse specie. Non solo perdiamo alberi, ma – incredibile a dirsi – assistiamo anche alla loro migrazione sempre più a nord: le querce, per es., si stanno spostando verso i Paesi scandinavi, mentre i lecci, piante tipiche del Mediterraneo, tendono a ritrovare il loro habitat verso la parte centrale del continente. Nel sud dell'Italia probabilmente arriveranno piante del Nord Africa e si andranno a intensificare fenomeni di desertificazione.

Almeno 180 specie sono destinate a sparire per l'innalzamento del livello del mare. A correre il maggior rischio le specie insulari, come ad es. le magnolie nei Caraibi. L'aumento degli incendi ha invece creato enormi problemi agli alberi in Madagascar, alle querce statunitensi e altri tipi di alberi in Australia e Sud America.

La comunità botanica internazionale si sforza di preservare le specie arboree in via di estinzione. Ma è una lotta impari. Se non riforestiamo il pianeta, non abbiamo scampo. Per farlo ci vuole un cambiamento radicale dello stile di vita, che permetta di stabilire un patto tra le generazioni. Gli alberi non crescono così in fretta come quando li tagliamo.

 

[8] Nella UE gli idrocarburi saranno sostituiti dal nucleare

 

La commissaria UE all'Energia, Kadri Simson, ha proposto di estendere il ciclo di vita degli impianti nucleari già esistenti in modo da mantenere l'attuale livello di produzione energetica per altri tre decenni. In pratica si vuole includere il nucleare tra le fonti “verdi” nella tassonomia della UE, il che garantirebbe al settore d'intercettare i maxi investimenti del Green deal europeo.

Ma perché siamo arrivati a questa assurdità? Perché c'è un'emergenza climatica, per la quale sono necessari grandi quantitativi di elettricità a bassa intensità di carbonio da affiancare all'energia prodotta tramite le rinnovabili. Ma in attesa che le fonti rinnovabili ci soddisfino al 100%, è letteralmente impossibile rinunciare al fossile se non passiamo al nucleare. Quindi prolunghiamo la vita alle centrali a fissione (potenzialmente molto pericolose) e costruiamo quelle a fusione di ultima generazione, che in teoria dovrebbero essere più sicure.

In particolare la Simson avrebbe detto: “Oggi l'età media del parco nucleare nella UE supera i 30 anni. Senza investimenti immediati, circa il 90% dei reattori esistenti verrà spento proprio nel momento in cui serviranno di più: nel 2030. Prolungare in sicurezza il loro ciclo di vita richiede tra 45-50 miliardi di euro. Ma vi sono anche Stati membri che per mantenere la stessa capacità di generazione di energia nucleare di oggi stanno progettando investimenti per circa 400 miliardi in nuove strutture da installare entro il 2050”.

In pratica ci siamo infilati in un cul de sac. Abbiamo voluto vivere un benessere a oltranza. Per farlo abbiamo bisogno di tantissima energia. Questa energia ha quasi distrutto il pianeta. Noi non vogliamo rinunciare al nostro benessere, per cui cercheremo di garantirlo con un'energia differente, che secondo noi procurerà meno danni all'ambiente. Questo in attesa di poter usare solo energia rinnovabile. D'altra parte non possiamo fare a meno neppure del gas naturale, e non possiamo neppure affidarci a fonti rinnovabili che dipendono troppo dal tempo atmosferico.

Insomma ce la suoniamo e ce la cantiamo. Come se non sapessimo che anche il nucleare produce CO2 in tutte le sue fasi, dall'estrazione dell'uranio al trasporto, fino alla lavorazione, passando per la costruzione (e la demolizione) delle centrali, senza considerare le emissioni legate allo stoccaggio delle scorie radioattive, che richiedono protocolli di alta sicurezza. Fingiamo inoltre di non sapere che, in casi di gravi incidenti, gli effetti sull'ambiente sono molto più gravi di quelli provocati dagli idrocarburi.

Noi preferiamo far leva sul fatto che il valore delle emissioni generate dal nucleare è oltre il triplo del fotovoltaico, circa 13 volte in più delle centrali eoliche e quasi 30 volte tanto gli impianti idroelettrici. La Francia (tra i massimi produttori mondiali di questa energia) sa benissimo queste cose. Entro il 2035 dovrebbe chiudere 14 reattori per ridurre la percentuale di nucleare al 50% del mix energetico. Ma non lo farà. Al momento sta solo lavorando alla creazione di un grande centro di stoccaggio sotto i campi di grano vicino a Bure, piccolo villaggio rurale nel nord-est del Paese. Il deposito sarebbe collocato a circa 500 metri sotto la superficie, e conterrebbe circa 85.000 tonnellate dei rifiuti a maggiore radioattività prodotti dall'inizio dell'era nucleare fino alla fine degli impianti nucleari esistenti. Costo dell'operazione: 25 miliardi di euro.

Ma la cosa più ridicola è che le centrali nucleari sono circa quattro volte più costose degli impianti eolici o solari, e richiedono il quintuplo del tempo per essere costruite. Considerando tutto, si tratta di un investimento che inizierà a essere operativo in 15-20 anni, mentre il mondo ha bisogno che si riducano drasticamente i gas serra nel prossimo decennio.

 

[9] O i rifiuti diventano una risorsa, o la natura considererà noi un rifiuto

 

Molto presto 4 miliardi di pannelli solari in tutto il mondo dovranno essere dismessi. Si calcola che entro il 2050 saranno prodotti rifiuti per 78 milioni di tonnellate. E quando saranno smaltiti, molti materiali che potrebbero essere riusati per costruirne di nuovi andranno sprecati. Questo perché i pannelli non sono stati pensati perché le materie prime al loro interno possano essere estratte e poi usate di nuovo.

Invece, se fossero recuperati, i componenti dei pannelli solari a fine vita potrebbero valere circa 13,3 miliardi di euro e si potrebbero usare per 2 miliardi di nuovi pannelli. E i vantaggi ovviamente non sarebbero solo economici ma anche ecologici.

Ha senso che componenti preziosi (elettronici) non siano recuperati e riciclati in modo efficiente? Qui è addirittura la progettazione che non funziona. Siamo abituati a sprecare, pensando che le risorse, le materie prime siano illimitate, e non c'interessa per niente un'economia circolare, cioè un sistema ecosostenibile che si rigenera da solo. Una volta, quando c'era più miseria, eravamo più attenti a far durare a lungo i prodotti e a renderli facilmente aggiornabili e riparabili.

Siamo andati avanti, senza renderci conto che in realtà andavamo indietro. Ora sarà meglio tornare indietro per andare avanti. I rifiuti devono diventare una risorsa, come per l'uomo primitivo.

 

[10] Scommesse e giochi d'azzardo per il nostro declino

 

Nel 2018 la Corte Suprema degli Stati Uniti ha abolito la legge sulla protezione dello sport professionistico e amatoriale, aprendo la porta alle scommesse sportive online in 21 Stati. La conseguenza diretta è stata che le entrate delle scommesse sportive sono cresciute del 69% tra il 2019 e il 2020, e di un ulteriore 270% durante il primo trimestre del 2021. Le entrate totali del gioco d'azzardo negli USA sono destinate a superare i 44 miliardi di dollari quest'anno, avvicinandosi, per dimensioni, al mercato di film, libri e musica messi insieme.

Il permesso di giocare d'azzardo va avanti dal 1961, quando furono legalizzate le scommesse sulle corse dei cavalli. Si sono trovati d'accordo destra e sinistra. La sinistra vuole lo Stato fuori dalla vita privata delle persone. La destra lo vuole fuori dalle loro vite finanziarie. Sono finiti anche i divieti riguardanti alcool, pornografia e marijuana. Quello alle armi non c'è mai stato. La liberalizzazione è stata lenta ma costante.

Ormai il principio base su cui vivere è chiaro: “fai quel che ti senti di fare: se ti uccidi o ammazzi qualcuno, la colpa è solo tua”. L'avidità tende a prevalere su ogni altra considerazione. Lo sport è diventato un'attività economica come altre. Le transazioni che una volta erano considerate appannaggio della mafia sono ormai un fatto accettato e comune.

Naturalmente il gioco d'azzardo produce corruzione, ma ci si fa sempre meno caso. È vero, la gente comune non guarda partite truccate, non investe i suoi soldi in mercati azionari truccati. Ma ci s'illude che un margine di onestà o un minimo d'imparzialità sia rimasto, proprio perché si vuol giocare a tutti i costi: la dipendenza degli scommettitori è ciò su cui si regge il modello d'affari del gioco d'azzardo.

Certo, se la corruzione diventa endemica, come p.es. nella boxe, il declino dello sport è inevitabile. Nel frattempo però il gioco d'azzardo avrà destabilizzato la società. È vero che avrà contribuito all'aumento del gettito fiscale statale, ma avrà portato, indirettamente, all'aumento di crimini violenti, suicidi, divorzi e bancarotta. Il costo sociale approssimativo di ogni singolo giocatore problematico è negli USA di circa 10.000 dollari all'anno.

E questo sfacelo si verifica anche coi mercati finanziari, immobiliari, sanitari... Ormai ogni evento, ogni gara con un risultato misurabile, è un'opportunità per scommettere, soprattutto durante i periodi di disgregazione sociale. Il gioco d'azzardo è un modo di evitare la realtà, trasformando i problemi in un divertimento. Come dice un vecchio adagio, l'uomo che ha inventato il poker era intelligente, ma quello che ha inventato le fiches era un genio. Il gioco d'azzardo è divertente perché fa sembrare il denaro un'inezia.

Sintesi di un lungo art. apparso su “Internazionale” il 6 dicembre.

 

[11] La Nigeria ha davvero un futuro?

 

Perché ha senso parlare della Nigeria? Perché la stragrande maggioranza degli africani sub-sahariani che emigrano in Italia proviene da questo Paese, pur avendo come lingua ufficiale l'inglese. Attualmente sono circa 113.000 (tredicesima comunità straniera in ordine d'importanza).

La Nigeria si è resa indipendente dal Regno Unito nel 1960. Ma il Paese era privo di industrie, le piantagioni appartenevano agli stranieri e le banche al capitale estero, per cui l'unico mezzo per fare fortuna velocemente era la carriera politica. Di qui la grande corruzione dei governi postcoloniali, al punto che già nel 1966 un gruppo di ufficiali di etnia Igbo prese il potere, eliminando spietatamente la classe dirigente in carica, che pur aveva lottato per l'indipendenza.

I militari naturalmente peggiorarono soltanto le cose. Abolirono la struttura federale della Repubblica, concentrando tutti i poteri a Lagos (la capitale prima di Abuja), e favorirono l'etnia cristianizzata Igbo nell'attribuzione dei posti nella pubblica amministrazione, gettando le basi di un conflitto interetnico che si trascina ancora oggi.

Infatti nello stesso anno si fece un altro golpe nel nord del Paese, gestito dall'etnia Yoruba per 9 anni, mentre nel 1967 nel sud-est del Paese si istituì la Repubblica del Biafra, dove sono maggiormente diffuse le risorse petrolifere. La guerra contro i secessionisti Igbo, che dovranno arrendersi, durerà fino al 1970 e causerà 3 milioni di morti. Il governo centrale favorirà altri gruppi etnici, rivali degli Igbo.

Tuttavia i cittadini volevano un governo civile e quello militare ebbe termine nel 1975. Alle elezioni del 1979 vinse il nord musulmano, dove operavano movimenti salafiti che volevano creare uno Stato islamico. Il sud cristiano cercò di rifarsi alle elezioni del 1983, ma le violenze e i brogli furono così tanti che i militari ripresero di nuovo il potere.

La svolta avviene nel 1999, quando il governo fu gestito da un presidente cristiano del sud, Olusegun Obasanjo, che lo tenne fino al 2007; dopodiché il potere è passato a Umaru Yar'Adua, un musulmano del nord che resta in carica solo fino al 2010 perché morto per malattia. Alle ultime elezioni del 2019 ha vinto il partito di Muhammadu Buhari, musulmano, con il 55,60% dei voti, in carica già dal 2015.

Nel frattempo negli Stati settentrionali sono cresciuti movimenti islamici fondamentalisti, di cui il più famoso è Boko Haram che si è trasformato in un movimento armato. Il suo obiettivo è quello di espellere i cristiani dal Nord e imporre uno stato islamico teocratico, che comprenda anche Mali, Burkina Faso, Niger, Ciad e Camerun. Nel complesso i cristiani (per lo più protestanti) sono circa il 59% della popolazione; gli islamici il 41%.

In questi anni Boko Haram si è macchiato di moltissimi massacri contro comunità cristiane, ma anche contro musulmani che non aderiscono al loro credo radicale. Inoltre hanno rapito più di 1.100 alunni dalle scuole o college in tutta l'area nord-ovest, chiedendo i riscatti in denaro a genitori o parenti, ma anche per convincerli a non mandare le ragazze a scuola.

Oggi la Nigeria, grande tre volte l'Italia, è uno dei 50 Paesi più economici al mondo dove andare a vivere. Sono poco più di mille gli italiani che vi risiedono stabilmente. Un altro migliaio vi ci lavora a contratto o perché dipendente di qualche multinazionale.

È il Paese più popoloso del continente e il settimo nel mondo, con circa 212 milioni di abitanti (in media ogni famiglia ha 5 figli, con un'aspettativa di vita di circa 56 anni). Una persona su 6 in Africa abita proprio in Nigeria (nel 2100 vi saranno circa 752 milioni di abitanti, più dell'Unione Europea). È inoltre un Paese giovanissimo e in forte crescita demografica: l'età media della popolazione è di 18 anni e il 40% della popolazione ha meno di 14 anni.

L'indicatore socio-economico delle Nazioni Unite lo colloca al 152º posto su 188 Paesi. Potrebbe avere un alto tenore di vita in virtù dei suoi grandi giacimenti petroliferi (è il sesto esportatore mondiale). Ma i ricavi sono distribuiti in maniera estremamente diseguale. Oltre al petrolio, la Nigeria produce cacao e olio di palma e naturalmente fa assegnamento sulle rimesse degli emigrati.

Gli stipendi sono in genere molto bassi, fatta eccezione per il settore petrolifero. La retribuzione minima mensile è attualmente pari a 18 mila naira (poco meno di 44 euro). Del 40% della popolazione più povera solo il 4% ha accesso a qualche forma di ammortizzatore sociale. Entro il 2022 la crisi sanitaria causata dal Covid-19 porterà altri 10,9 milioni di nigeriani sotto la soglia di povertà, ovvero costretti a vivere con meno di un dollaro al giorno. Già oggi il tasso di disoccupazione è del 33%. Non a caso il tasso di criminalità è particolarmente elevato, soprattutto nelle città (il solo agglomerato urbano di Lagos ha 21 milioni di abitanti, è la terza città più popolosa del mondo).

Nella regione del Sahel, la grande fascia desertica sub-Sahariana che comprende anche il nord della Nigeria, si è avviata una sorta di “povertà cronica” per via delle condizioni climatiche rigide, delle epidemie ricorrenti, infrastrutture carenti, accesso limitato ai servizi di base. Si stima che entro il 2050 il cambiamento climatico costringerà 216 milioni di persone a migrare dal proprio Paese.

Nelle zone rurali, soprattutto del nord, le donne nigeriane lavorano in genere più dell'uomo: costituiscono il 60% della forza lavoro e producono fino all'80% delle derrate alimentari. Quando la donna svolge un lavoro retribuito, riceve una paga notevolmente più bassa di un uomo a parità di mansione. Ancora molto diffusa è la pratica di concedere in matrimonio una ragazza indipendentemente dalla sua volontà, anche quando è ancora una bambina.

 

[12] L'importanza delle statistiche riguardo alla ricchezza mondiale

 

È da un po' che mi metto a guardare i dati e le statistiche del canale brasiliano CityGlobeTour su Youtube. Ce ne sono alcune di curiose, che meriterebbero d'essere commentate.

Per es. i Paesi più indebitati al mondo non sono i più poveri ma i più ricchi (o quasi). Nell'elenco delle cicale vi sono USA, Regno Unito, Francia, Germania, Olanda, Giappone, Irlanda, Italia, Spagna, Australia, Svizzera, Canada, Cina... Quest'ultima ha un debito poco più grande del Belgio, quindi tutto sommato appare virtuosa. Strano piuttosto che la Svizzera sia più indebitata della Cina. I dati partono dal 1970 e, non ci si crederà, dietro gli USA, sempre primi, a quel tempo c'era l'URSS, che finanziava parecchio i Paesi satelliti e che oggi non esiste neppure tra i primi 20 Paesi.

Come spiegare questi dati? È che ci sono Paesi che vogliono avere un tenore di vita molto elevato, al di sopra delle loro capacità, e, per questo motivo, s'indebitano, cioè promettono alti tassi d'interesse ai Paesi che prestano soldi. Per non parlare del fatto che stampano banconote come se fossero noccioline, convinti di non poter mai fallire (ma questo è un altro tipo di debito), tanto è da un pezzo che non si guarda più il corrispettivo in oro depositato nelle banche centrali.

Questi Paesi assurdi (come p.es. il nostro che incassa 100 e spende 150) non si preoccupano d'indebitarsi proprio perché sanno di avere un PIL molto elevato. Infatti se si guardano i dati della percentuale del PIL mondiale (al 2021) troviamo all'incirca gli stessi Paesi: USA (24%), Cina (17,7%), Giappone (5,7%), Germania (4,6%), R. U. (3,3%), India (3,3%), Francia (3,1%), Italia (2,2%), Canada (2%), Sudcorea (1,9%), Russia (1,8%)...

Naturalmente la Cina sta più attenta degli USA, che non sanno neanche cosa sia il risparmio e che sono abituati a sprecare le loro risorse e a investire su qualunque cosa. Tuttavia la tabella prevede che, stando all'attuale trend, nel 2026 la percentuale cinese sul PIL mondiale salirà a 19,7%, mentre quella americana calerà a 22,6% (cosa che difficilmente gli USA potranno sopportare senza far scoppiare una guerra in qualche parte del pianeta). L'India supererà il Regno Unito e il Brasile la Russia. Noi continueremo a restare tra i primi 8 Paesi al mondo, a parità col Canada.

Bisogna comunque fare attenzione a distinguere il PIL nazionale da quello pro-capite. Se guardiamo quest'ultimo i cittadini più ricchi del mondo non sono gli americani, fermi a 68.000 $, ma quelli di Monaco e del Liechtenstein, che arrivano a 145.000 $, seguiti da quelli del Lussemburgo (131.000 $) e Svizzera (94.000 $), che sono i paradisi fiscali europei e che campano soprattutto di finanza. Subito dopo, incredibile a dirsi, vengono gli irlandesi (94.000 $), che attirano le multinazionali col loro regime fiscale molto conveniente, e (ma qui è il petrolio che conta) da quelli norvegesi (81.000 $).

L'Italia tra i primi 20 non c'è, anche se siamo noni al mondo come numero di milionari. Stupefacente che negli anni '60 fossero i sovietici, dopo gli americani, a essere al secondo posto come PIL pro-capite. Negli anni '70 sono andati su i Paesi petroliferi, ma l'URSS, pur essendo un grande fornitore di idrocarburi, era scomparsa dai primi 20.

In Africa i cittadini più ricchi sono quelli delle Seychelles e delle Mauritius, prive di materie prime ma grandi paradisi fiscali (le Seychelles sono state rimosse solo di recente dalla blacklist europea).

 

[13] Chi sono i ricconi e dove vivono?

 

Chi sono i milionari nel mondo e pagano le tasse? Se lo chiedono Milena Gabanelli e Francesco Tortora su corriere.it

I milionari si dividono in tre categorie:

1) i ricchi, cioè coloro che hanno un patrimonio netto tra 1 e 5 milioni di dollari in attività liquide (escluse residenza principale, oggetti da collezione, beni di consumo e beni durevoli), e nel mondo sono 18,7 milioni;

2) gli intermedi sono 1,89 milioni e possiedono un patrimonio in attività liquide che va da 5 a 30 milioni di dollari;

3) i super-ricchi, con un patrimonio che supera i 30 milioni di dollari, sono 200.900 persone.

Gli Stati Uniti sono il Paese con più milionari (6,575 milioni), seguiti da Giappone (3,5 milioni), Germania (1,5 milioni), Cina (1,4 milioni) e Francia (714 mila). Nona l'Italia (301 mila).

La maggior parte dei milionari cambia residenza non solo per pagare meno tasse, ma anche perché cerca assistenza sanitaria d'alto livello, scuole elitarie, maggiore sicurezza e nuove opportunità di arricchimento.

Sono 108 mila i ricchi che hanno cambiato Paese nel 2018 rispetto ai 64 mila del 2015. Il numero totale, in tre anni, raggiunge i 350 mila. Nel 2019 il Paese più attrattivo è stata l'Australia (12 mila), per via del basso tasso di criminalità, l'ottimo sistema sanitario, un'economia in crescita da 20 anni e assenza di tasse di successione. Al secondo posto gli Stati Uniti (10.800), poi Svizzera (4 mila), Canada (2.200) e Singapore (1.500).

Da quali Paesi provengono i milionari che si spostano? Al primo posto c'è la Cina (16 mila), poi India (7 mila), Russia (5.500), Hong Kong (4.200) e Turchia (2.100). Ad alimentare l'esodo dalla Cina sono i maggiori controlli e la stretta sui milionari, ma sulla fuga ha avuto un suo peso anche la repressione su Hong Kong. Le città di destinazione preferite dai cinesi: Sydney, Ginevra, Melbourne, Singapore e Dubai.

Il corteggiamento dei Paesi europei verso i milionari ha due scopi: attrarre nuovi investimenti e aumentare le entrate. Dal 1995 a oggi il numero di regimi speciali che avvantaggiano milionari e pensionati benestanti è passato da 5 a 28: nel 2021 si contano circa 200 mila beneficiari.

Anche l'Italia si è adeguata, fissando per i nuovi residenti, dal 2017, un'imposta sostitutiva di 100 mila euro, fino a un massimo di 15 anni, a prescindere dall'importo dei redditi esteri percepiti. Un regime fiscale disegnato non solo per attrarre stranieri, ma anche italiani che hanno spostato la residenza fiscale all'estero (per usufruire dell'opzione bisogna dimostrare di aver versato le tasse in un altro Paese negli ultimi 9 anni). L'opzione si può estendere anche ai loro familiari, che possono godere di un'imposta fissa di 25 mila euro. Se nel 2017 i soggetti che avevano scelto il regime fiscale speciale erano 98 (78 contribuenti principali e 20 familiari), nel 2018 erano già diventati 263, per poi raggiungere le 429 unità nel 2019, e nel 2020 salire a 790 (592 contribuenti principali e 198 familiari). Al primo anno di entrata in vigore della norma nelle casse pubbliche sono entrati 8,3 milioni di euro, nel 2020 sono diventati 64,1 milioni.

Naturalmente questo regime fiscale è considerato ingiusto, poiché lede il principio di uguaglianza tributaria a danno dei soggetti che sono sempre stati residenti in Italia. In più tradisce l'art. 53 della Costituzione che sottolinea come tutti i cittadini debbano concorrere al benessere della società in ragione della loro capacità contributiva (più guadagni, più tasse paghi). Inoltre viene disatteso l'obiettivo prefissato dal regime forfettario, cioè quello di favorire gli investimenti in Italia da parte di soggetti non residenti: questo perché per i ricchi non c'è obbligo a fare alcunché.

La tassa forfettaria per i neo-residenti in Italia è giudicata dall'Osservatorio fiscale della UE il regime fiscale più pericoloso tra i 28 speciali adottati in Europa. Questo perché copre un periodo spropositato (15 anni) e perché fa risparmiare oltre il 50% per i redditi esteri che raggiungono almeno 500 mila euro. Ma nel mirino dell'Osservatorio non ci siamo solo noi: ci sono anche Grecia, Cipro e Portogallo, e poi Francia, Lussemburgo, Irlanda, Spagna e Malta. Complessivamente il ricorso a questi regimi provoca nella UE una perdita fiscale di 4,5 miliardi di euro l'anno, pari al budget annuale del programma Erasmus.

Insomma si sta affermando una elusione fiscale legalizzata a livello mondiale.

 

[14] Per fare affari coi cinesi devi rinunciare a Taiwan

 

Il Nicaragua ha interrotto le relazioni diplomatiche con Taiwan, che ora ha solo 14 alleati formali con cui interagire. Questa la nuova strategia della Cina: se vuoi che Pechino investa nel tuo Paese gli enormi progetti della Nuova via della Seta, tu devi smettere di avere rapporti con Taiwan.

E il governo di Managua non può certo rinunciare a oltre 3 trilioni di dollari, anche perché fino adesso gli USA sono stati soltanto capaci di ostacolarlo con embarghi e sanzioni.

Il Nicaragua aveva stabilito relazioni diplomatiche con Taiwan negli anni '90, e da allora non vi aveva mai rinunciato, a prescindere dal colore politico dei propri governi.

Ora alleati di Taiwan restano Tuvalu, Nauru, Palau, Isole Marshal, Honduras, Paraguay, Haiti, Santa Sede, Eswatini, Belize, Saint Vincent e Granadine e Saint Kitts e Nevis e Guatemala.

Sì, c'è anche il Vaticano, perché qui è l'unico posto in Cina dove può mantenere una propria ambasciata e dove può ordinare tranquillamente i propri vescovi, senza dover patteggiare nulla col governo di Taipei. Sull'isola i cattolici sono circa 500mila, mentre nel continente sono 12 milioni (senza contare i membri delle chiese clandestine). Tuttavia con l'accordo segreto tra il governo di Pechino e papa Bergoglio del 2020, la situazione sulle nomine episcopali è migliorata, in quanto non ci sono più vescovi illegittimi. Quindi non è da escludere che anche il Vaticano dovrà presto rompere le relazioni diplomatiche con Taiwan.

 

[15] La Bielorussia a un bivio

 

Sergei Tikhanovsky, leader bielorusso dell'opposizione al presidente Alexander Lukashenko, è stato condannato a 18 anni di carcere. Aveva organizzato rivolte di massa contro il regime nel dicembre 2019 a Minsk. Era un blogger e youtuber non un terrorista.

Invece d'essere contenti di vedere qualcuno che riesce ancora a mobilitare le masse, lo si punisce. Che democrazia è? Infatti non lo è, altrimenti nessuno sarebbe sceso in piazza, almeno non con l'intenzione di rovesciare il governo. Lo sanno tutti che i governi si ribaltano con regolari elezioni. Solo che quando domina l'autocrazia è difficile che non ci siano brogli.

Dopo l'arresto di Tikhanovsky (maggio 2020), la moglie Svetlana si era candidata alle presidenziali, vinte da Lukashenko, ovviamente con l'accusa di brogli. Stessa sorte è capitata all'attivista bielorussa Maria Kolesnikova, condannata a 11 anni di prigione, e a Maksim Znak (10 anni) avvocato e membro del Consiglio di coordinamento dell'opposizione. La Kolesnikova era entrata in politica gestendo la campagna di un altro politico dell'opposizione, l'ex banchiere Viktor Babaryko, che ha tentato di candidarsi alla presidenza contro Lukashenko, ma era stato incarcerato. E in carcere oggi ci sono migliaia di oppositori.

Dare 18 anni a un oppositore politico è assurdo. Vuol dire che il governo è alla canna del gas. E non sarà la Russia a salvarlo, perché non ha senso che lo faccia.

In sostanza voglio dire: il socialismo statale è finito da un pezzo. Se non si è capaci di realizzare un socialismo davvero democratico, si apriranno per forza le porte al capitalismo. Abbiamo visto questo svolgimento inevitabile delle cose dal 1991 (crollo dell'URSS) ad oggi. È solo questione di tempo. Lukashenko si deve rassegnare e ritirarsi in buon ordine. Deve lasciar libero il suo popolo di credere che il capitalismo sia un'alternativa reale. Se non lo fa, le sanzioni economiche che al suo Paese metterà l'occidente, non faranno che peggiorare la situazione. Sfruttare la questione dei migranti (per lo più afghani e irakeni diretti in Germania) contro Lettonia, Lituania e Polonia è solo una forma di meschineria e bassezza morale. Uno può anche avere l'80% dei voti, ma quando governa da quasi 28 anni, di sicuro è un dittatore, e questo per un laureato in Pedagogia è davvero un controsenso.

 

[16] Solo gli americani possono dare la patente di democrazia

 

Noi occidentali sappiamo bene che i princìpi teorici sono tutta un'altra cosa rispetto all'attività pratica, soprattutto in politica. Però chissà perché preferiamo credere che questa consapevolezza debba stigmatizzare molto di più il comportamento dei Paesi non occidentali, come p.es. Russia e Cina. Ci piace credere che valga di meno per i nostri governi democratici. Forse perché siamo convinti che l'idea di democrazia sia anzitutto una nostra prerogativa, e che se gli altri Stati la rivendicano, è perché in fondo vogliono essere come noi.

Ma se gli altri Stati ci tengono ad avere il nostro senso della democrazia, perché non invitarli al summit voluto da Biden? Anche se ci appaiono più incoerenti di noi, come si può pensare che possano migliorare considerandoli come soggetti eticamente inferiori, politicamente inaffidabili e militarmente pericolosi? Alla fine sembra che questi convegni vengano fatti proprio per far capire chi deve avere nel mondo l'interpretazione corretta della parola “democrazia”. Sembra che ci si voglia coalizzare contro chi non rispetta adeguatamente i termini della questione.

Eppure nell'incontro separato tra Putin e Xi si sono affermati dei princìpi politici che avrebbero potuto tranquillamente essere accettati nel summit voluto dagli USA.

Ha detto Putin: “Si è formato un nuovo modello di cooperazione multilaterale tra i nostri Paesi (Russia e Cina), basato tra l'altro su princìpi quali la non interferenza negli affari interni (l'uno dell'altro), il rispetto degli interessi reciproci, la determinazione a trasformare il confine condiviso in una cintura di buon vicinato”.

Di qui la decisione di non boicottare le Olimpiadi invernali di Pechino 2022, come invece faranno Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia e Canada.

Di qui la volontà di sviluppare una stazione lunare insieme, ma anche la promessa di interoperabilità tra i rispettivi sistemi satellitari (Beidou e Glonass) e la firma di un accordo per un centro dati congiunto per lo studio dello spazio.

Di qui l'aumento degli scambi economici, che han superato per la prima volta i 100 miliardi di dollari nei primi tre trimestri del 2021.

Di qui la produzione dei vaccini Sputnik in Cina, per un totale di circa 150 milioni di dosi all'anno.

Russia e Cina si sono anche impegnate a contrastare l'ampliamento della NATO nei Paesi limitrofi alla Russia e le nuove alleanze (egemonizzate dagli USA) nella regione dell'Asia-Pacifico create apposta contro la Cina (vedi il Quad, tra Stati Uniti, Giappone, Australia e India, e l'Aukus, tra Stati Uniti, Regno Unito e Australia).

 

[17] Il globalismo in Vietnam

 

Per tenere aperte le fabbriche di prodotti tecnologici legati a Samsung e ad Apple nelle province settentrionali del Vietnam durante la pandemia, è stato dato un ultimatum ai lavoratori: o restare in azienda anche nelle ore di non lavoro, o essere licenziati nel bel mezzo della pandemia. Inutile dire che molti hanno scelto la prima opzione, appoggiata tra l'altro dal governo vietnamita, e che consisteva nell'essere confinati in azienda (o in luoghi decisi dal datore di lavoro, come hotel o addirittura tende) anche dopo l'orario di lavoro, compresa la notte.

L'esperienza è stata alienante e gli analisti si chiedono in che misura sia da considerarsi lavoro forzato. Alcuni lavoratori della Samsung hanno raccontato di aver dormito per tutta estate su materassi disposti nei magazzini della fabbrica, senza aria condizionata e in almeno un centinaio stipati nella stessa stanza. Il cellulare era l'unico contatto con l'esterno, il sonno poco, la privacy inesistente e le giornate di lavoro infinite.

Alla Foxconn (fornitore di Apple) per avere un aumento di stipendio i lavoratori erano costretti ad accettare un tracciamento totale dei movimenti tramite un QR code. Uno di loro ha raccontato di dover scansionare il QR code sul bus-navetta che lo portava al lavoro la mattina e poi di nuovo prima di andare a pranzo in mensa, dove alle pareti un cartello recitava: “Una volta finito di mangiare, muoviti immediatamente. Non si parla”. Secondo alcuni analisti, la produzione in Vietnam si è ripresa proprio grazie alla capacità dei lavoratori di adattarsi a nuove e più dure condizioni di lavoro.

Certo, leggendo queste cose, uno può chiedersi: “Perché dobbiamo comprare qualcosa della Samsung o della Apple?”. Un altro invece può restare stupito guardando come il glorioso Vietnam si sia ridotto a essere una semplice nazione capitalistica. È che non ci rendiamo mai ben conto che viviamo in un mondo globalizzato, incredibilmente interconnesso, dove qualunque cosa si faccia ha conseguenze da qualche altra parte. Tuttavia, chissà perché pensiamo che queste conseguenze debbano essere sempre negative. Ci sarà pure il modo di compiere qualcosa di positivo, che abbia una ricaduta sul mondo intero.

 

[18] Assolto l'ex re di Spagna, Juan Carlos

 

La giustizia ginevrina ha archiviato l'inchiesta sui beni in Svizzera dell'ex re di Spagna Juan Carlos (in carica dal 1975 al 2014), che abdicò a favore del figlio Felipe VI dopo una serie di scandali. Tra i suoi beni ci sono anche i 100 milioni di dollari versati dall'allora re dell'Arabia Saudita, Abdullah bin Abdulaziz.

Questo perché non si è riusciti a stabilire “in modo sufficiente un legame tra la somma ricevuta dall'Arabia Saudita e la conclusione dei contratti per la costruzione del treno ad alta velocità” che collega Medina alla Mecca, inaugurato nel 2018. Contratti che erano stati assegnati a imprese spagnole nel 2011.

Secondo i media c'era il sospetto che la donazione fosse in realtà una tangente per la mediazione del re, inizialmente versata senza detrazioni fiscali su un conto della banca privata Mirabaud di Ginevra a nome della Fondazione Lucum, con sede a Panama.

Le autorità ginevrine avevano anche esaminato un versamento da 65 milioni di euro su un conto dell'ex amante di Juan Carlos, Corinna Larsen, versato nel 2012. Il denaro sarebbe partito dallo stesso conto svizzero su cui il re aveva ricevuto la donazione saudita e trasferito su un conto alle Bahamas di un'altra banca privata ginevrina.

Quale commento fare?

È evidente che i sovrani hanno esigenze molto elevate da soddisfare, al punto che quando si procurano belle e giovani amanti, devono pagarle molto profumatamente. E non si pensi che la donna fosse una sprovveduta solo perché giovane e bella: vi erano coinvolte anche un gestore patrimoniale e un avvocato in Svizzera, che dirigeva la suddetta fondazione.

Ah beata Svizzera! Quale luogo migliore per far girare in (quasi) assoluto anonimato ingenti depositi?

E poi dicono che le monarchie non servono a nulla... Vallo a dire al consorzio spagnolo che ha ottenuto l'appalto.

E poi cosa volete? È la stessa Costituzione spagnola che considera “la persona del Re inviolabile e non soggetta a responsabilità”, cioè autorizzata a godere dell'immunità e dell'intoccabilità.

Non si possono avviare contro di lui dei procedimenti penali, civili, amministrativi o relativi al diritto del lavoro. Anzi nel 2019 la Corte costituzionale arrivò persino a dire che il re è esente da “qualsiasi tipo di censura” o da critiche severe da parte di un'altra istituzione, come ad es. il Parlamento. Persino la Svizzera non potrebbe far nulla.

Tuttavia, nel marzo di quest'anno l'ex re ha restituito al fisco spagnolo più di 4,4 milioni di euro di tasse non pagate. Per spirito di generosità o perché ha il figlio che l'ha sostituito nella carica?

 

[19] Davvero interessa la scuola ai governi italiani?

 

Sull'abbandono scolastico l'Unione Europea nel 2020 ha raggiunto il target fissato, attestandosi sul 9,9%. Fanalino di coda l'Italia, che pur ha ridotto la quota di abbandoni precoci, passando dal 17,8% del 2011 al 13,1% del 2020. E c'è da scommettere che ci siamo riusciti a detrimento della qualità degli studi.

Ma la cosa più sconcertante è che mentre vi sono Paesi che superano il 6% del PIL da dedicare all'istruzione: Svezia (6,9%), Danimarca (6,3%) e Belgio (6,2%), noi invece siamo fermi al 3,9%. Non raggiungiamo neppure Grecia e Spagna (4%). Siamo al livello della Bulgaria (3,9%).

L'Italia non è stata più in grado di raggiungere gli investimenti fatti prima del 2008, anno di terribile crisi finanziaria mondiale.

www.openpolis.it/quanto-varia-la-spesa-in-istruzione-tra-i-paesi-europei/

 

[20] La Svizzera non vuol sentir parlare di “ius soli”

 

Il Consiglio degli Stati in Svizzera ha bocciato una mozione del socialista Paul Rechsteiner che chiedeva la naturalizzazione automatica per gli stranieri nati in quel Paese. Quindi niente ius soli.

Una decisione assurda, dettata dalla solita paura che hanno gli svizzeri di perdere i loro privilegi. Infatti oltre 1/4 della popolazione non dispone dei diritti politici, benché sia nata qui, abbia frequentato le scuole svizzere e qui lavori, insomma sia integrata in tutto e per tutto nel tessuto sociale ed economico del Paese. Le manca solo il riconoscimento formale della cittadinanza.

Non è che gli stranieri nati e cresciuti in Svizzera non abbiano agevolazioni per ottenere la nazionalità; è che non la si vuol concedere troppo facilmente. Devono essere Cantoni e Comuni a decidere caso per caso e uno straniero se la deve meritare.

Quando erano gli svizzeri a emigrare, si preferiva non toglierla neppure ai figli degli emigranti che nascevano all'estero, nella speranza che un giorno tornassero in patria. Oggi invece che il Paese è diventato di immigrazione, si vuol difendere una sorta di “patriottismo etnico”, che in un mondo globalizzato come il nostro non ha alcuna ragione d'esistere. Peraltro la Svizzera non è unita né per lingua né per cultura. Ciò che davvero unisce la popolazione è l'idea di Stato confederale e di democrazia cantonale e comunale.

È che la storia non insegna mai niente a nessuno. Già nel lontano 212 d.C. i Romani, con l'editto di Caracalla, si erano resi conto che non aveva alcun senso, nell'ambito di un impero, considerare la cittadinanza un privilegio per pochi.

Oggi ancora non si riesce a capire che il riconoscimento della cittadinanza non va visto come conseguenza dell'integrazione sociale, ma come stimolo a favorire quest'ultima. D'altra parte in nessuno Stato europeo esiste uno ius soli “puro” come quello degli Stati Uniti o del Canada, dove la cittadinanza è concessa a tutti i bambini nati nella nazione, indipendentemente dalla provenienza dei genitori.

 

[21] L'isola di Barbados si è liberata della regina Elisabetta

 

L'isola di Barbados è diventata alla fine di novembre una repubblica, rimuovendo la regina Elisabetta britannica come capo di Stato. Sandra Mason, che ha vinto le elezioni il mese scorso, è stata nominata primo presidente della nazione. Quindi si è passati da una monarchia parlamentare (dal 1966, quando il Paese divenne indipendente dal Regno Unito), a una repubblica parlamentare.

I colonizzatori inglesi rivendicarono Barbados nel 1625. La vergogna del Commonwealth britannico (dal 1926 fino al 1948) continua tuttavia a sussistere, seppur oggi si chiami Commonwealth delle Nazioni, nel senso che è un'associazione libera di ex colonie britanniche e attuali dipendenze, insieme ad alcuni Paesi che non hanno legami storici col Regno Unito.

Questo perché non solo Barbados non ne uscirà, ma anche perché continueranno a restarvi dentro ben 15 Stati con la regina Elisabetta II come capo di Stato: Antigua e Barbuda, Bahamas, Sudafrica, Australia, Belize, Canada, Giamaica, Grenada, Saint Kitts e Nevis, Saint Vincent e Grenadine, Nuova Zelanda, Papua Nuova Guinea, Tuvalu, Regno Unito e Saint Lucia. Il governatore generale è nominato dalla regina su consiglio del primo ministro.

Il Commonwealth delle Nazioni include addirittura 54 Stati indipendenti, tutti accomunati (eccetto il Mozambico e il Ruanda) dalla passata appartenenza all'impero britannico. La popolazione complessiva degli Stati che vi aderiscono è di oltre due miliardi di persone.

Tra questi Stati fu l'India la prima a dire nel 1950 che se poteva accettare il re inglese come “simbolo della libera associazione dei membri delle sue nazioni indipendenti e come tale capo del Commonwealth”, non poteva però accettare che fosse anche il capo di Stato della nazione indiana.

Ma la prima a lasciare definitivamente il Commonwealth britannico, senza entrare nel nuovo Commonwealth, fu l'Irlanda nel 1949. E i motivi sono facilmente spiegabili.

 

[22] Ci mangiamo una carta di credito alla settimana

 

La ricercatrice geochimica Denise Mitrano, che ha un ufficio al Politecnico federale di Zurigo, ha messo a punto un nuovo metodo di tracciamento sulle micro e nanoplastiche nell'ambiente.

La soluzione consiste nell'aggiungere chimicamente dei metalli alle nanoparticelle di plastica. Questi metalli preziosi e inerti, come il palladio o l'indio, fungono da marcatori, per cui possono essere misurati in modo molto più preciso e rapido della plastica.

Il procedimento è stato applicato per studiare l'efficacia di un impianto di depurazione nella rimozione delle particelle microscopiche di plastica presenti nell'acqua. Ed ha funzionato: si può eliminare oltre il 95% delle nanoplastiche e delle fibre di microplastica.

Naturalmente le nanoplastiche si accumulano nei fanghi di depurazione. In Svizzera sono inceneriti, ma in altri Paesi sono usati per concimare i campi! Per trattare l'acqua potabile contaminata con nanoplastiche ci vuole un lento filtraggio tramite filtri a sabbia.

L'80% circa delle microplastiche proviene dalla degradazione di pezzi di plastica più grandi già presenti nell'ambiente: sacchetti, bottiglie, reti da pesca e pellicole plastiche usate in agricoltura e nell'edilizia, ecc. Il restante 20% viene rilasciato tramite l'abrasione degli pneumatici, il lavaggio di indumenti o l'utilizzo di cosmetici e così via. Inoltre i produttori, avendo necessità di conservare le merci per periodi piuttosto lunghi, aggiungono additivi, stabilizzanti e altre sostanze chimiche alla plastica.

Ogni anno in Svizzera circa 615 tonnellate di microplastica finiscono nel suolo e nelle acque dei grandi laghi e fiumi di pianura, nonché nelle acque di disgelo dei ghiacciai e nei corsi d'acqua alpini.

Secondo le stime di uno studio dell'Università australiana di Newcastle, ogni settimana ingeriamo in media cinque grammi di plastica, l'equivalente del peso di una carta di credito. La maggior quantità di particelle di plastica viene assunta tramite il consumo di acqua in bottiglia, molluschi, birra e sale. E poi dicono che grazie alla scienza risolveremo tutti i nostri problemi...

Fonte: swissinfo.ch

 

[23] L'assenza del vincolo di mandato ha fatto il suo tempo

 

Nel corso dell'attuale XVIII legislatura (iniziata nel 2018) i cambi di gruppo dei parlamentari sono stati complessivamente 274 (quasi il 30%). Di questi, 126 sono avvenuti nel corso del 2021, con la nascita del governo Draghi. E la legislatura non è ancora finita.

Le forze politiche maggiormente danneggiate dal fenomeno sono state Movimento 5 stelle e Forza Italia.

È un fenomeno alquanto vergognoso, strettamente legato al fatto che deputati e senatori esercitano la loro funzione senza alcun vincolo di mandato. È la Costituzione che glielo permette.

Un cittadino vota un parlamentare che appartiene a un determinato partito (oppure vota esclusivamente il partito) e, nel corso della legislatura, o l'eletto cambia partito o il partito si scioglie e confluisce in altra coalizione o assume una nuova denominazione, ponendosi nuovi obiettivi.

Poi ci lamentiamo che oltre il 30% degli elettori non va più a votare. A questo punto è stato più che giusto che nel referendum costituzionale del 2020 i cittadini abbiano deciso che a partire dalla prossima legislatura i deputati siano ridotti a 400 e i senatori a 200. Almeno in qualche maniera dovevano essere penalizzati.

 

[24] Governo belga abbastanza ridicolo sul nucleare

 

Ieri è stata data una notizia che dovrebbe rallegrarci, invece deve farci riflettere.

Il governo del Belgio ha deciso che i sette reattori nucleari che si trovano nelle due centrali nucleari attive nel Paese, quelle di Doel e Tihange, saranno spenti entro il 2025.

Tuttavia lo smantellamento dei reattori comincerà nel 2022 e dovrebbe concludersi entro il 2045. Cioè ci metteranno oltre 20 anni! Alcuni dei reattori sono attivi dagli anni '70 ed erano già stati chiusi in diverse occasioni per problemi di sicurezza, facendo preoccupare anche i Paesi confinanti, soprattutto la Germania, dove ad Aquisgrana l'anno scorso hanno iniziato a distribuire gratuitamente compresse di iodio (la Germania entro il 2022 non avrà più attivo nessun sito nucleare, anche se dovrà produrre più energia dal carbone e acquistare dalla Russia più gas, in attesa di avere quella rinnovabile al 100%).

Inoltre la suddetta decisione governativa non significa affatto che il Belgio rinuncerà del tutto all'energia nucleare: il governo ha infatti annunciato che è previsto un investimento di 100 milioni di euro per finanziare la ricerca su centrali nucleari più piccole. Infatti il Paese dipende per il 40% dall'energia nucleare.

Allora ditelo: siamo costretti a chiudere i reattori non per scelta, ma perché le pressioni esterne a favore dell'ambientalismo stanno diventando insostenibili.

Sono stati i Verdi a insistere per rispettare una legge del 2003 che indicava il 2025 come limite massimo per l'uso delle centrali. I liberali invece erano favorevoli a tenere accesi più a lungo i due reattori più recenti. Perché si definiscono “liberali” quando in realtà vogliono la dipendenza e l'insicurezza?

 

[25] Prepariamoci a una riedizione della guerra fredda

 

Il senatore americano Roger Wicker ha detto al giornalista della “Fox News” che gli Stati Uniti dovrebbero considerare di lanciare per primi un attacco nucleare contro la Russia per difendere l'Ucraina.

Insomma Biden ha sempre più intenzione di far scoppiare una guerra mondiale (al momento “fredda”) sia contro la Cina che contro la Russia. I pretesti in questo momento sono l'Ucraina, che viene sempre più finanziata e armata dalla NATO (di recente 2,5 miliardi di dollari per gli armamenti e 150 consiglieri militari che gestiscono tutte le operazioni). L'altro pretesto naturalmente è Taiwan.

Oggi gli Stati membri della NATO sono diventati 30, di cui 22 appartengono all'Unione Europea. La Russia è praticamente circondata.

Sembrava impossibile che qualcuno potesse far rimpiangere il repubblicano Trump, invece il democratico Biden ci sta riuscendo perfettamente.

 

[26] Parigi condanna UBS a pagare una multa ingente

 

Il 13 dicembre la Corte d'appello di Parigi ha confermato la condanna della banca svizzera internazionale UBS, accusata d'aver fornito servizi finanziari finalizzati al riciclaggio di proventi illeciti da evasione fiscale tra il 2004 e il 2012. Servizi a chi? A dei facoltosi clienti francesi, invitati ad aprire conti correnti in Svizzera non dichiarati alle autorità tributarie. Gli averi celati allo sguardo del fisco ammontavano ad almeno 10 miliardi di euro.

Erano anni d'oro, in cui il segreto bancario elvetico godeva ancora di ottima salute ed era un rifugio sicuro. Infatti lo scambio automatico di informazioni fiscali tra Svizzera e UE è entrato in vigore solo dal 2018, e sono state escluse le controversie fiscali ante 2014. Inoltre lo Stato svizzero non farà nulla per recuperare fondi sospetti. A quel tempo circa 4.000 clienti francesi di UBS si rivolsero al fisco francese per mettere in regola la loro situazione fiscale.

In ogni caso ai giudici francesi non è importato minimamente che il reato sia avvenuto quando il segreto bancario era in vigore. La sentenza di primo grado di due anni fa stabiliva una condanna astronomica pari a 4,5 miliardi di euro, poi ridotta a 1,8 miliardi di euro fra confische, risarcimento danni e interessi. I responsabili bancari non si faranno neanche un giorno di carcere ma pagheranno una multa di circa 300mila euro. Quanto alla multa, la banca la digerirà abbastanza tranquillamente: infatti solo quest'anno ha realizzato profitti per 5,5 miliardi di franchi. Dalla crisi finanziaria del 2008 è stato l'anno migliore.

Era stato il giornalista Antoine Peillon nel 2012 a rivelare nel suo libro Ces 600 milliards qui manquent à la France (Ed. du Seuil, Questi 600 miliardi che mancano alla Francia) le pratiche fraudolente di UBS in Francia. Fu lui a descrivere come UBS avvicinava i facoltosi clienti, pressati dalle autorità fiscali francesi, invitandoli a concerti, partite a golf e battute di caccia.

Poi uno si chiede come abbia fatto un Paese montagnoso privo di risorse naturali significative ad arricchirsi in una maniera così smisurata. E si attribuisce il successo alla religione calvinistica, propensa a fare affari. Calvino però era francese: in Svizzera si era rifugiato perché perseguitato. Ah, ecco perché il sistema di evasione fiscale è iniziato negli anni '30 proprio in Francia!

 

[27] I turchi usano armi chimiche contro i kurdi

 

È dalla fine di novembre che nel sito vociglobali.it stanno dicendo che i turchi usano armi chimiche contro i kurdi nella loro regione in Irak, ma nessuno ci fa caso. Eppure l'han fatto più di 300 volte!

Gli effetti dei gas nei tanti ricoverati non lasciano dubbi: “lacrimazione eccessiva degli occhi, visione offuscata, mal di testa improvviso, sangue dal naso, difficoltà respiratorie ed eruzioni cutanee”.

Il governo turco si rifiuta d'indagare. E siccome anche la UE è ostile al PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), in quanto lo considera terroristico, nessuno ha intenzione di far nulla.

Giova però ricordare che l'uso di armi chimiche è vietato dal Protocollo di Ginevra sin dal 1925. La Convenzione sulla proibizione delle armi chimiche, entrata in vigore nel 1997, è stata firmata anche dalla Turchia. Chi non lo fa, dovrebbe sottostare a ispezioni in qualsiasi momento.

Quando il regime siriano è stato accusato d'aver usato armi chimiche durante gli attacchi dei terroristi iniziati alla fine del 2012, la notizia fece il giro del mondo e persino l'ONU si attivò con proprie indagini. Anzi, nonostante lo smantellamento si è continuato a bombardare la Siria, tanto che se non ci fosse stata la Russia, i fondamentalisti islamici a quest'ora avrebbero vinto.

Le accuse contro la Turchia, invece, non hanno ottenuto alcuna risposta internazionale (e le armi chimiche contro i kurdi vengono usate sin dalla fine degli anni '80!). Ma chi può toccare un Paese NATO? Chi ha voglia di dir qualcosa a un Paese che si sta accollando (peraltro a spese nostre) gran parte dei profughi provenienti da Afghanistan, Siria, Somalia, Bangladesh e Pakistan?

 

[28] La Turchia non è in grado di gestire democraticamente i profughi

 

Noi europei continuiamo a demandare la gestione del fenomeno migratorio a un Paese come la Turchia, che non sa neanche lontanamente cosa sia la democrazia.

Già nel 2016 avevamo stabilito in una dichiarazione congiunta che il governo turco era tenuto ad accogliere quanti fuggivano dalla Siria. Oggi la UE ha esteso anche ai profughi provenienti da Afghanistan, Somalia, Bangladesh e Pakistan l'obbligo di regolamentare in Turchia la propria condizione di profugo. Cioè gli Stati europei sono autorizzati a procedere a espulsioni collettive dei migranti che richiedono asilo, indirizzandoli verso un Paese definito “sicuro” come la Turchia, che esaminerà la richiesta di asilo politico o protezione sussidiaria. È come se in Italia affidassimo la gestione delle carceri alla mafia.

Da anni il governo turco minaccia sistematicamente la libertà di oppositori politici, giornalisti, studenti, accademici, sindacalisti, scrittori, difensori dei diritti umani, avvocati, e opera dure persecuzioni contro minoranze etniche, religiose, persone curde, discriminazioni e incitamento all'odio contro appartenenti alla comunità LGBTQI+, oltre che violenze basate sul genere sessuale.

Arresti non legittimi e detenzioni arbitrarie, atti di tortura e sparizioni forzate sono posti in essere da anni dal governo turco, in particolare contro migranti irregolari e richiedenti asilo. Peraltro lo sanno tutti che il sistema giudiziario di questo Paese non è indipendente dal potere politico e non è compatibile con gli standard europei né internazionali (i migranti possono essere detenuti in Turchia fino a un anno senza che siano necessari né una motivazione specifica né un controllo giudiziario).

Il bello è che in questo rapporto anomalo con Erdoğan il Consiglio Europeo non ha mai coinvolto né il Parlamento europeo né i Parlamenti nazionali. Eppure qui abbiamo a che fare con un accordo internazionale a tutti gli effetti (da noi pagato circa 3 miliardi di euro) e che peraltro avrebbe dovuto essere temporaneo. Quasi altrettanti miliardi li diamo per la gestione delle comunità di profughi in Giordania, Libano e Siria (fino al 2024).

(Sintesi minima di un lungo art. apparso su vociglobali.it)

 

[29] Vita dura per i giornalisti democratici

 

Era dal 1995 (cioè da quando è nato) che il rapporto sulla libertà di stampa stilato da Reporters Sans Frontières non segnalava un numero di giornalisti in prigione così alto: ben 488, di cui 60 donne (1/3 in più rispetto al 2020).

Ciò è dovuto principalmente a tre regimi dittatoriali che hanno portato avanti campagne intimidatorie e repressive nei confronti della stampa: la Bielorussia (32), dopo la contestata rielezione del presidente Lukashenko nel 2020; la Cina (127), soprattutto dopo la repressione del movimento di contestazione di Hong Kong; e la Birmania o Myanmar (53), dopo il colpo di stato del 1 febbraio scorso. Ma ci sono anche il Vietnam (43) e l'Arabia Saudita (31).

Unico dato positivo (si fa per dire) è che quest'anno i giornalisti ammazzati sono stati per la prima volta (dal 2003) meno di 50. Tuttavia il covid-19 ha limitato molto i loro spostamenti.

Fonte: micromega.net

 

[30] Il giornalismo imbavagliato in Cina

 

Sin dall'ottobre 2019 tutti i giornalisti cinesi che desiderano rinnovare la propria tessera stampa sono obbligati a scaricare “Study Xi, Strengthen the Country” (“Studia Xi, rafforza il Paese”). Si tratta di un'app progettata dal gigante dell'e-commerce Alibaba per il Partito comunista, con la capacità di modificare file, scaricare altre app, effettuare telefonate e accendere il microfono del dispositivo, in pratica con una backdoor che controlla, modifica e spia tutti i dati personali. Lo dice una società di sicurezza informatica tedesca, Cure 53.

Già adesso il governo è in grado di bloccare tutti i blog, media e giornali online considerati indesiderabili (attraverso il tentacolare social network WeChat). Sui social cinesi esistono veri e propri eserciti di troll che screditano immediatamente qualunque informazione si discosti dalla narrativa imposta dal regime.

Un'inchiesta congiunta di New York Times e ProPublica cita oltre 3.000 direttive e quasi 2.000 memorandum pubblicati in soli quattro mesi dall'amministrazione cinese nel cyberspazio per influenzare l'opinione pubblica. Per i giornalisti cinesi esistono vere e proprie zone off limits da non oltrepassare, pena il carcere: Tibet, Taiwan, Hong Kong, Xinjiang, corruzione.

Oltre agli arresti in carcere esistono anche gli arresti domiciliari “in un luogo designato”, che in realtà si traduce nell'isolamento totale con soppressione di tutti i diritti e dove blogger e giornalisti vengono spesso sottoposti a torture fisiche e psichiche. Ed è in nome della legge che molti giornalisti vengono privati della loro libertà. Infatti la cosiddetta “guerra legale”, attuata per controllare le proteste di Hong Kong, è utilizzata come base per sopprimere le inchieste giornalistiche che prendono di mira il partito. Sono leggi che colpiscono nel mucchio e che fanno riferimento a crimini di ogni tipo, come spionaggio, sovversione, provocazione di disordini ecc. Delitti che per le autorità cinesi possono essere punibili anche con la morte o l'ergastolo o l'espulsione dal Paese.

L'importante giornale d'opposizione filo-democratico “Apple Daily” è stato chiuso (con la forza) e diversi dei suoi redattori sono stati arrestati (tra cui la giornalista Sofia Huang Xueqin, famosa per il suo coinvolgimento nel movimento locale #MeToo in Cina). Anche il suo fondatore, Jimmy Lai, è in prigione da oltre un anno. Altri giornalisti si sono volutamente dimessi.

Hong Kong è scesa dal 18° posto nella classifica dei Paesi con maggiore libertà di stampa (nei primi anni 2000) all'80° posto di oggi. La Cina quest'anno è scesa al 177° posto su 180 Paesi nell'indice RSF World Press Freedom Index: solo due posizioni davanti alla Corea del Nord.

Fonte: micromega.net

 

[31] Davvero l'ONU ce l'ha con Israele per un pregiudizio?

 

Nel 2021 l'Assemblea Generale dell'ONU ha emesso 14 risoluzioni che riguardano Israele, mentre tutti gli altri 194 Paesi del mondo sono stati colpiti in totale soltanto da quattro risoluzioni di condanna (Corea del Nord, Iran, Myanmar e l'attività russa in Crimea).

Naturalmente gli israeliani fan le vittime e si sentono perseguitati. Ma le condanne si riferiscono a fatti compiuti in vari anni. Per es. una è relativa a un evento accaduto nel 2006: Israele non ha riconosciuto la propria responsabilità per la fuoriuscita di petrolio al largo della costa libanese e non ha chiarito come intende risarcire il governo libanese.

Questo per dire che Israele non risolve mai i problemi che crea. Infatti un'altra risoluzione la condanna perché sfrutta le risorse naturali dei palestinesi e delle alture del Golan, sottratte alla Siria nella Guerra dei Sei giorni (1967) e mai più restituite.

A proposito di queste alture, l'attuale premier israeliano ha detto che vuole portare gli abitanti israeliani dagli attuali 27.000 ai 100.000 entro il 2030, sfrattando gli ultimi 30.000 arabi ivi residenti, che si sentono ancora legati alla patria siriana.

Insomma Israele si difende dando sempre la colpa agli altri: palestinesi, libanesi, siriani, iraniani... Sfrutta questa specie di complesso d'accerchiamento per giustificare le proprie mire espansionistiche.

Per loro (governo, militari, giornalisti...) quando l'ONU adotta una risoluzione sul diritto all'autodeterminazione del popolo palestinese con 168 voti contro 5 e 10 astenuti, si sta semplicemente palesando un pregiudizio anti-israeliano. Questo perché secondo loro non è possibile riconoscere ai palestinesi un proprio Stato se prima non smettono di fare i terroristi. Non gli passa neanche per l'anticamera del cervello che quelli fanno i terroristi proprio perché Israele non gli vuole riconoscere alcuno Stato, anzi cerca di portargli via anche gli ultimi territori rimasti.

È forse un caso che Israele sia riuscita a realizzare affari colossali con gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein solo perché ha promesso che non occuperà pezzi di territorio ai palestinesi residenti in Cisgiordania?

È forse un caso che l'Assemblea Generale dell'ONU abbia approvato di recente (con 125 Paesi a favore, 8 contrari e 34 astenuti, tra cui l'Italia) l'istituzione di una Commissione d'inchiesta “a tempo indeterminato” sul trattamento dei palestinesi da parte di Israele? Nessuna indagine internazionale di questo tipo è mai stata aperta contro nessun altro Paese delle Nazioni Unite. Un motivo ci sarà, no? O vogliamo sempre chiamare in causa l'antisemitismo?

 

Conclusione

 

 

 

 

La conclusione, relativa a questi primi tre mesi del 2021, è piuttosto amara. La pandemia dovuta al Covid-19 è sicuramente di una gravità notevole a livello mondiale, superiore alla crisi dei subprime partita nel 2008 e trascinatasi per un decennio.

Tuttavia il vero problema da affrontare, nei confronti del quale si vedono poche controtendenze positive, è l'escalation delle mire bellicistiche di vari governi sempre più autoritari, se non dittatoriali, ovvero la tendenza di taluni Stati ad affermare le cosiddette “proiezioni di potenza” in determinati territori.

Una volta avremmo detto che i nemici principali del diritto internazionale sono gli Stati Uniti, a livello globale, e Israele nel Medio Oriente, oltre naturalmente alle potenze ex-colonizzatrici in Africa, cioè Regno Unito e Francia, che continuano a trattare questo continente come fanno gli USA con l'America Latina: il “cortile di casa propria”.

Oggi invece le minacce vengono anche da altri Paesi, per lo più nuclearizzati: in primis la Cina, che ambisce a un ruolo egemonico sul piano internazionale, avendo i numeri, le risorse, i capitali, le tecnologie per farlo, e il cui governo non tollera il dissenso interno: a partire da Piazza Tienanmen sino alla repressione a Hong Kong e alla questione della minoranza Uiguri, è un tutt'uno. Manca solo l'occupazione di Taiwan e siamo a posto. Il Mar Cinese Meridionale diventerà presto il suo laghetto privato, e se qualcuno proverà ad alzare la testa (Giappone, SudCorea, Vietnam, Filippine...), troverà pane per i suoi denti.

Poi vi sono alcuni Stati islamici, come l'Arabia Saudita e la Turchia, che vogliono chiaramente imporsi su tutto il mondo islamico. Costi quel che costi, anche in termini etici e politici, non solo economici. Le cosiddette “Primavere Arabe” sono state un fallimento generalizzato: non è aumentata la democrazia, se non provvisoriamente. Semmai, dopo il crollo delle autocrazie, è aumentata l'anarchia tribale, il disordine sociale, cui si è cercato di ovviare con nuove forme di autoritarismo (Egitto docet).

Il Brasile di Bolsonaro sembra voglia dare il colpo di grazia alle ultime comunità indigene. Ormai in nessuna parte del mondo c'è più posto per chi non si adegua ai diktat del mercato capitalistico.

Avendo già subito due guerre mondiali, l'Unione Europea potrebbe far valere un maggior senso di responsabilità e di rispetto dei diritti umani, ma si trova ad essere troppo schiacciata dalle esigenze imperiali degli Stati Uniti, che la obbligano a considerare la Russia come il suo nemico principale. Senza poi considerare che la UE tende passivamente ad accodarsi a tutte le sanzioni economiche o embarghi commerciali e finanziari che gli USA decidono di porre nei confronti di quei Paesi ritenuti “anti-democratici”. La UE, nel suo insieme o come Stati separati, ha contribuito a distruggere la Jugoslavia, l'Iraq, l'Afghanistan, la Libia, lo Yemen, la Siria..., ha fomentato il conflitto in Ruanda tra Hutu e Tutsi, ha soffiato su quello in Ucraina e Bielorussia e non fa più nulla a favore della Palestina.

Quanto alla Russia, bisogna dire che è soltanto ricca di risorse energetiche, perennemente afflitta dalla paura d'essere conquistata, preoccupata di non indebolire la propria capacità difensiva e del tutto incapace di costruire un capitalismo vincente, in quanto patisce ancora le conseguenze di ritardi storici dovuti allo zarismo e al socialismo statale dello stalinismo. La sua enorme estensione geografica è del tutto sproporzionata rispetto alle capacità governative di gestire le proprie risorse. L'ultimo presidente significativo di questo Paese è stato Gorbaciov, che voleva un socialismo davvero democratico e non un capitalismo di stato come quello cinese. La Russia non è in grado di far paura a nessuno. Sono gli americani che, invece di affrontare le enormi contraddizioni interne, hanno continuamente bisogno di crearsi dei nemici esterni: che siano poi russi, cinesi, iraniani, siriani o fantomatici terroristi internazionali non fa molta differenza.

 

*

 

La conclusione, relativa al periodo aprile-dicembre del 2021 vede in prima linea la questione dei rapporti tra Israele e Palestina, sempre più senza alcuna via d'uscita. La soluzione dei due Stati è assurda, in quanto la Palestina, essendo divisa in tre compartimenti stagni non comunicanti tra loro, non ha neppure le basi minime per costituirsi in forma statuale. Quindi aspettiamoci nuovi sanguinosi conflitti.

Gli Stati Uniti vivono una crisi economica molto forte, che scaricano in due modi: 1) fingendo, all'interno, che il problema sia di tipo “razziale”, 2) scaricandone su Russia e Cina la responsabilità ultima. Stanno spendendo cifre folli per gli armamenti proprio perché, prima o poi, le impiegheranno per attaccare qualcuno. Devono solo trovare un buon pretesto, e forse glielo darà Taiwan o Cuba.

L'Europa si è trovata unita grazie al Covid-19, in quanto ha capito che senza un affronto comune sarebbe stato impossibile vincere. Ma l'egemonia di Francia e soprattutto della Germania si farà presto risentire. Il Regno Unito, sempre grazie alla pandemia, ha potuto rimandare la soluzione dei gravi problemi causati dalla Brexit. La UE deve imparare a sentirsi autonoma dagli USA, ma finché resta divisa e pavida non ce la farà mai.

Tra i grandi Stati la Cina è uscita dalla pandemia meglio degli altri: la dittatura sembra aver funzionato egregiamente. Tuttavia questo resta un Paese pericoloso, che ambisce non tanto a costituirsi come Paese democratico, dopo la disgraziata dittatura maoista (che fu la variante rurale dello stalinismo industrializzato), quanto piuttosto a sostituirsi agli USA nella guida del capitalismo mondiale. E, a tale scopo, non è molto disposta a tollerare il dissenso interno, anzi è disposta a fare patti e alleanza anche con gli Stati esplicitamente dittatoriali.

In Africa alcuni Stati stanno cominciando a pretendere scuse ufficiali e risarcimenti economici per i genocidi e il colonialismo praticato dagli europei nel passato. Questo perché si ha la netta impressione che il colonialismo non sia mai finito. L'arma di ricatto di cui dispongono sono i flussi migratori, che possono contenere o scatenare verso il Mediterraneo.

In Asia il ritorno repentino dei talebani al potere in Afghanistan, dopo l'improvviso ritiro delle forze militari della NATO, ha lasciato sgomento il mondo intero. Il fascismo religioso, che praticamente non ha incontrato alcuna resistenza, troverà qui ampia possibilità di sviluppo. A rimetterci saranno soprattutto le donne. A guadagnarci sarà la Cina, che non vede l'ora di sfruttare le risorse di quel Paese.

L'Italia è un Paese in forte declino sin dalla crisi finanziaria dei subprime americani, che si è trascinata nel mondo dal 2008 per un decennio. Proprio quando s'intravedevano momenti di ripresa è arrivata la sciagura del virus, che ha portato il debito pubblico a cifre astronomiche. Gli aiuti insperati giunti dalla UE, che fino a ieri ci chiedeva di risparmiare al massimo, ci daranno respiro per qualche anno, ma senza riforme radicali sul piano fiscale, burocratico, giudiziario..., e senza una classe politica onesta ed efficiente (e di sicuro la destra non lo è), torneremo di nuovo a un passo dal precipizio. E una spinta a questa conclusione ce la daranno i disastri ambientali.

A proposito di disastri ambientali, forse è meglio stendere un velo pietoso. Ormai non c'è luogo del pianeta in cui la situazione non stia drasticamente peggiorando. Qualsiasi alternativa alle risorse fossili, non rinnovabili, è illusoria se non si cambia stile di vita. Sotto questo aspetto bisognerebbe cominciare a chiedersi perché parole come colonialismo, imperialismo, globalismo, con o senza prefissi come “neo” o “ex”, sono soltanto, in ultima istanza, dei sinonimi.

 

*

 

Ma perché concludere in maniera negativa? Preferisco aggiungere un post che il gruppo Movimento per l'Autonomia della Romagna ha rifiutato senza darmene una ragione.

Che cos'è la romagnolità della Romagna?

L'uso del dialetto? Non credo. Ormai sta scomparendo. I giovani al massimo lo capiscono, ma di sicuro non lo parlano. Questo non toglie che il livello delle nostre poesie dialettali meriterebbe di stare nelle antologie nazionali di letteratura.

Il senso dell'ospitalità? Sì, può essere. Ma in riviera chiunque potrebbe dirci che è funzionale al profitto. Anche se nessuno può negare che il nostro turismo è alla portata di tutti, non è mai stato di élite, non ha mai privatizzato le spiagge. E quando è andato in crisi per colpa dell'inquinamento, ha saputo costruire le discoteche più rinomate d'Europa.

La capacità di essere eversivi? Una volta, non oggi. Da noi sono nate tutte le ideologie: anarchismo, socialismo, fascismo... Ma oggi chi fa politica non si richiama a nessuna ideologia, almeno non esplicitamente.

Le tradizioni contadine? Non esistono più da un pezzo. I contadini oggi sono capitalisti agrari, da soli o in cooperative.

La grande diffusione delle cooperative? Sono sicuramente una nostra peculiarità, anche se da tempo hanno perso la capacità di proporsi in maniera alternativa al capitalismo privato, basato esclusivamente sul profitto.

La grande diffusione delle piccole banche, delle imprese medio-piccole, dell'artigianato, della grande catena vitivinicola, dei colossali impianti adibiti al turismo rivierasco (ma anche termale)? Sì, tutto questo è vero. Ci siamo arricchiti in questa maniera.

Ma la romagnolità è una cultura, un atteggiamento mentale, una filosofia di vita, una sensibilità specifica. Non è tanto un'attività pratica, anche se per i romagnoli è sempre meglio ballare e cantare o fare dello sport, piuttosto che andare a vedere gli altri. E non hanno tanti problemi a trasformarsi in attori improvvisati in commedie popolari.

Quindi che cos'è questa romagnolità che ci contraddistingue e ci fa amare da chiunque si avvicini a noi? E che meriterebbe d'essere valorizzata in termini politici e istituzionali, rivendicando maggiore autonomia dall'Emilia?

La romagnolità è la capacità di stare insieme, di ascoltare gli altri senza giudicarli, di mettersi in gioco al momento del bisogno, al di là delle appartenenze politiche o religiose. È la capacità di valorizzare le risorse altrui, e soprattutto di fare dei problemi un'occasione per crescere, per mettersi alla prova.

La romagnolità è una forma di altruismo che ci proviene da tradizioni ancestrali, di cui abbiamo perso la memoria. Sappiamo solo che è lì, come una linfa vitale che scorre nelle nostre vene.

 

Bibliografia su Amazon

 

 

Attualità:

La Shoah palestinese (novembre 2023-febbraio 2024)

La catastrofe (luglio-ottobre 2023)

La resa (marzo-giugno 2023)

La linea rossa (dicembre 2022-marzo 2023)

Multipolare 2022 (luglio-dicembre 2022)

La guerra totale (maggio-giugno 2022)

Il signore del gas (aprile-maggio 2022)

La truffa ucraina (gennaio-marzo 2022)

Diario di Facebook (2017-2020)

Diario di Facebook (gen-mar 2021)

Diario di Facebook (apr-dic 2021)

Memorie:

Sopravvissuto. Memorie di un ex

Grido ad Manghinot. Politica e Turismo a Riccione (1859-1967)

Storia:

L’impero romano. I. Dalla monarchia alla repubblica

L’impero romano: II. Dalla repubblica al principato

Homo primitivus. Le ultime tracce di socialismo

Cristianesimo medievale

Dal feudalesimo all’umanesimo. Quadro storico-culturale di una transizione

Protagonisti dell’Umanesimo e del Rinascimento

Storia dell’Inghilterra. Dai Normanni alla rivoluzione inglese

Scoperta e conquista dell’America

Storia della Spagna

Il potere dei senzadio. Rivoluzione francese e questione religiosa

Cenni di storiografia

Herbis non verbis. Introduzione alla fitoterapia

Arte:

Arte da amare

La svolta di Giotto. La nascita borghese dell’arte moderna

Letteratura-Linguaggi:

Letterati italiani

Letterati stranieri

Pagine di letteratura

Pazìnzia e distèin in Walter Galli

Dante laico e cattolico

Grammatica e Scrittura. Dalle astrazioni dei manuali scolastici alla scrittura creativa

Contro Ulisse

Poesie:

Nato vecchio; La fine; Prof e Stud; Natura; Poesie in strada; Esistenza in vita; Un amore sognato; Poiesis (opere complete)

Filosofia:

La filosofia ingenua

Laicismo medievale

Ideologia della chiesa latina

l’impossibile Nietzsche

Da Cartesio a Rousseau

Rousseau e l’arcantropia

Il Trattato di Wittgenstein

Preve disincantato

Critica laica

Le ragioni della laicità

Che cos’è la coscienza? Pagine di diario

Che cos’è la verità? Pagine di diario

Scienza e Natura. Per un’apologia della materia

Spazio e Tempo: nei filosofi e nella vita quotidiana

La scienza nel Seicento

Linguaggio e comunicazione

Interviste e Dialoghi

Antropologia:

La scienza del colonialismo. Critica dell’antropologia culturale

Ribaltare i miti: miti e fiabe destrutturati

Economia:

Esegeti di Marx

Maledetto capitale

Marx economista

Il meglio di Marx

Etica ed economia. Per una teoria dell’umanesimo laico

Le teorie economiche di Giuseppe Mazzini

Politica:

Lenin e la guerra imperialista

L’idealista Gorbaciov. Le forme del socialismo democratico

Il grande Lenin

Cinico Engels. Oltre l’Anti-Dühring

L’aquila Rosa. Critica della Luxemburg

Società ecologica e democrazia diretta

Stato di diritto e ideologia della violenza

Democrazia socialista e terzomondiale

La dittatura della democrazia. Come uscire dal sistema

Dialogo a distanza sui massimi sistemi

Diritto:

Siae contro Homolaicus

Diritto laico

Psicologia:

Psicologia generale

La colpa originaria. Analisi della caduta

In principio era il due

Sesso e amore

Didattica:

Per una riforma della scuola

Zetesis. Dalle conoscenze e abilità alle competenze nella didattica della storia

Ateismo:

Cristo in Facebook

Diario su Cristo

Studi laici sull’Antico Testamento

L’Apocalisse di Giovanni

Johannes. Il discepolo anonimo, prediletto e tradito

Pescatori di uomini. Le mistificazioni nel vangelo di Marco

Contro Luca. Moralismo e opportunismo nel terzo vangelo

Metodologia dell’esegesi laica. Per una quarta ricerca

Protagonisti dell’esegesi laica. Per una quarta ricerca

Ombra delle cose future. Esegesi laica delle lettere paoline

Umano e Politico. Biografia demistificata del Cristo

Le diatribe del Cristo. Veri e falsi problemi nei vangeli

Ateo e sovversivo. I lati oscuri della mistificazione cristologica

Risorto o Scomparso? Dal giudizio di fatto a quello di valore

Cristianesimo primitivo. Dalle origini alla svolta costantiniana

Guarigioni e Parabole: fatti improbabili e parole ambigue

Gli apostoli traditori. Sviluppi del Cristo impolitico


Indice

 

Avvertenza.................................................................................... 5

Gennaio............................................................................................. 6

[1] Gibuti e Cina. Turchia. Vaticano. Arabia Saudita. Tunisia. Libia.. 6

[2] Debito pubblico. Uiguri. Turchia.............................................. 12

[3] Turchia. Brexit. Cina............................................................... 16

[4] Turchia. San Patrignano.......................................................... 21

[5] Norvegia e Artico. Cina. Fiume Mekong. Nord Corea. San Patrignano     23

[6] Mar Cinese Meridionale. Distruggi i testi. Reattori nucleari....... 30

[7] Cina. USA, Pinocchio............................................................. 33

[8] Italia, industria. Germania, parità di genere. Parlamenti occupati. Cina e UE. Indo-Pacifico           34

[9] Cina, Uiguri. Giappone e Sud Corea. Italia, nucleare................. 39

[10] USA, valigetta nucleare......................................................... 42

[11] Taranto. Dipendenze da sostanze. USA, sistema giudiziario..... 44

[12] Paolo Barnard, Cina. Cina, militarismo. Italia, economia......... 46

[13] Italia e USA. Cina e occidente............................................... 51

[14] Cina, Jack Ma. USA, pena capitale......................................... 53

[15] Cina e Taiwan. Uiguri........................................................... 55

[16] Brexit, Londra. Scandalo in Olanda........................................ 57

[17] USA, sistema giudiziario. Bill Gates....................................... 59

[18] Francia, Rimbaud e Verlaine. USA, Xiaomi. Uganda.............. 62

[19] USA, Mike Pompeo. USA, inquinamento. Italia, Comuni sciolti 66

[20] Francia, islam. Oceani, inquinamento. Brexit, Eurostar............ 68

[21] Vietnam, economia. Egitto, donne. Calabria, 'Ndrangheta........ 70

[22] Thailandia. Brexit. Mongolia, Covid-19. USA, Biden. Francia e Algeria 74

[23] Parental control. Reato di tortura. USA, Siria. Migranti climatici. Riciclare rifiuti. Italia, cannabis           79

[24] ONU, nucleare. Brexit. Criptovalute....................................... 84

[25] Brexit. Suprematismo bianco. Demografia europea. Empatia canina       88

[26] Francia, patrimonio sensoriale. Casa Savoia. Brexit. Garante Privacy     91

[27] Londra, statue rimosse. Brexit. Cina....................................... 95

[28] Cina, Terzo mondo. Italia. Grecia e Turchia. Emmanuel Macron 97

[29] Covid-19............................................................................ 101

[30] Brexit. Francia, sacerdozio. Germania. Cina.......................... 102

[31] Italia, criminalità e destra. Spagna, economia........................ 105

Febbraio........................................................................................ 109

[1] Norvegia, economia. Chernobyl............................................. 109

[2] Myanmar, golpe. Brexit. Mons. Viganò. Politica italiana......... 111

[3] Nigeria, petrolio.................................................................... 115

[4] Suprematismo bianco. Nord Stream 2..................................... 117

[5] Svezia, Malmö. Olanda, fisco................................................ 119

[6] Capitalismo, debito pubblico. Censura ecclesiastica sui libri.... 121

[7] Danimarca, ecologia. Aja, Corte penale. Mutilazioni genitali femminili    125

[8] UE, Debito pubblico. Iconoclastia dei classici. Perù, sterilizzazioni forzate. Myanmar, Karen        127

[9] Honduras. Migranti. Italia, debito pubblico............................. 131

[10] USA, algoritmi anticrimine. Israele, Tribunale dell'Aja. Mormoni, poligamia. Indonesia, estremismo islamico................................................................................................. 133

[11] Indonesia, Papua. Ungheria. USA, Circolo Artico................. 138

[12] Microsoft, Tay. Brexit......................................................... 142

[13] UE e Indo-Pacifico. Brexit. Regno Unito, Churchill e Rowling. Governo Draghi 145

[14] Amazzonia, oro. USA, petrolio............................................ 149

[15] USA, riconoscimento facciale. Giappone, islam.................... 151

[16] USA, algoritmi razzisti. Cina, riconoscimento facciale. Tomasz Greniuch. Domenikon 1943. Bitcoin      153

[17] Scozia, indipendenza. Governo Draghi. Covid-19. USA, pena di morte. Antifascismo e anticomunismo. Cina e Hong Kong................................................................................ 157

[18] Riconoscimento facciale. Salmone allevato. Cina, terre rare... 162

[19] Cina, economia. Comunità di Bose....................................... 166

[20] Fratelli Musulmani. Wikipedia ebraica. Italia politica............ 169

[21] Cardinale Ruini. Israele e EAU. Sudafrica, ambientalismo. Germania, riciclaggio del denaro. Secessionismo................................................................................................. 172

[22] Razzismo leghista. Turchia in Siria. USA, Difesa.................. 177

[23] Irlanda, Violet Gibson. Spagna, Pablo Hasél. Brasile, nativi... 180

[24] Egitto, militarismo. Minori, militarismo. Julian Assange........ 185

[25] Arabia Saudita, repressioni. Dominica, banane...................... 189

[26] Cina, controllo sociale......................................................... 192

[27] Iran, antifemminismo.......................................................... 194

[28] Iran e Arabia Saudita, discriminazione di genere................... 198

Marzo............................................................................................ 205

[1] Italia, donne lavoratrici. Turchia, corruzione. Arabia Saudita, discriminazione di genere   205

[2] Turchia, democrazia. Egitto, energia...................................... 210

[3] Venezuela e Iran, sanzioni. Cittadini iraniani in Italia. Statistiche OpenPolis sulle donne nei parlamenti europei................................................................................................. 213

[4] Cina e India, confini. Iran, Ahmadreza Djalali. Francia, sabbia radioattiva 218

[5] Italia, prostituzione. Vittorio Messori. Cuba, vaccino.............. 223

[6] USA, terrorismo islamico. Cina, obiettivi strategici. Turchia, dittatura culturale    225

[7] Israele, proiezione di potenza. USA, diritti umani. USA, Siria e Iran        230

[8] Ecocidio. Svizzera, referendum sul velo. Nord Corea, economia 233

[9] Africa, economia. Qatar, economia. Cina, militarismo e trapianti 237

[10] Animali allevati in gabbia. Arabia Saudita, sistema giudiziario 242

[11] Arabia Saudita, attiviste....................................................... 243

[12] Ucraina, economia. Francia, laicità....................................... 245

[13] Egitto, questione femminile................................................. 249

[14] Francia, nucleare militare..................................................... 250

[15] Regno Unito, “Charlie Hebdo”. Arabia Saudita, Jamal Khashoggi 251

[16] Cina, Hong Kong................................................................ 252

[17] Argentina, economia. Cavi infotelematici strategici............... 253

[18] Gela, bambini malformati. Vaticano, coppie gay................... 256

[19] UE, sanzioni a Cina. Cina, Alibaba....................................... 257

[20] Londra, il declino................................................................ 259

[21] Turchia, questione femminile. Regno Unito, Brexit............... 260

[22] Medio Oriente..................................................................... 262

[23] USA, minoranze................................................................. 263

[24] Togo, dittatura.................................................................... 265

[25] Il Gruppo Bolloré................................................................ 266

[26] La povertà nella UE............................................................ 267

[27] Venezuela, sanzioni............................................................. 268

[28] Siria, guerra........................................................................ 270

[29] Israele e Siria, le alture del Golan......................................... 271

[30] Cina e America latina.......................................................... 273

[31] Mozambico, terrorismo e gas............................................... 275

Aprile............................................................................................ 278

[1] Russia, gruppo Wagner......................................................... 278

[2] USA e Sudamerica................................................................ 279

[3] Israele e Palestina................................................................. 281

[4] Russia e Venezuela............................................................... 283

[5] Turchia................................................................................. 285

[6] Agenzia ACLED sulla violenza politica................................. 287

[7] Brasile, crisi politica e sanitaria.............................................. 288

[8] Microchip............................................................................. 289

[9] Francia, neonazismo nell'esercito. Il QUAD........................... 290

[10] Cina, socialismo reale?........................................................ 292

[11] NATO, Siria e Ucraina........................................................ 293

[12] USA, Corte Penale Internazionale. Bergoglio e il comunismo 296

[13] 5G e NATO........................................................................ 298

[14] Otto per mille e inoptato...................................................... 301

[15] Scontro tra colossi informatici.............................................. 302

[16] Russia, censura sui social..................................................... 304

[17] Italia, povertà assoluta. Paesi Asean..................................... 305

[18] Israele, antisemitismo.......................................................... 306

[19] Iran, nucleare...................................................................... 308

[20] Taiwan, Cina e Stati Uniti.................................................... 309

[21] Israele, ultime elezioni......................................................... 311

[22] Francia, legge sulla sicurezza globale. Beppe Grillo e la questione del figlio accusato di stupro   312

[23] Le leggi sull'aborto in Europa.............................................. 314

[24] El Salvador, aborto. Afghanistan, la NATO.......................... 315

[25] UE, libertà di espressione artistica. Tutela ambientale............ 317

[26] Ciad, governo militare......................................................... 320

[27] La Società della Cura.......................................................... 321

[28] Rapporto Oxfam sulle disuguaglianze durante la pandemia da Covid-19 322

[29] Germania e Italia, scorie radioattive..................................... 323

[30] Uganda, petrolio contro foreste............................................ 325

Maggio.......................................................................................... 327

[1] Niger, Italia e UE. Francia, minaccia di golpe......................... 327

[2] Australia e Cina. Cina, controllo della popolazione................. 329

[3] Fame nel mondo................................................................... 331

[4] Kenya, Nairobi. Disegno di legge Zan.................................... 333

[5] Israele, apartheid................................................................... 335

[6] Bill Gates e le zanzare........................................................... 337

[7] Battaglia mondiale per i semiconduttori.................................. 338

[8] Egitto, Italia e Regeni............................................................ 340

[9] Grecia e Cina, Pireo.............................................................. 343

[10] La censura in Cina.............................................................. 344

[11] Scozia, separatismo............................................................. 345

[12] Cina e Vaticano.................................................................. 346

[13] Canarie, migrazioni............................................................. 347

[14] UE e Cina........................................................................... 349

[15] Israele e Palestina................................................................ 350

[16] Israele e Palestina................................................................ 351

[17] Israele e Palestina................................................................ 352

[18] Israele e Palestina. Situazione di Cipro................................. 354

[19] Israele, situazione militare................................................... 356

[20] Israele e Palestina. Bracconaggio in Africa........................... 359

[21] Israele e Gaza..................................................................... 361

[22] Israele e Gaza, fine del conflitto. Identità di Hamas. Iron Dome 365

[23] Il futuro dell'Artico. Se fossi un ebreo................................... 368

[24] Tassa di successione per aiutare i giovani............................. 370

[25] La ricchezza degli italiani.................................................... 371

[26] Israele e Palestina................................................................ 372

[27] Israele e Palestina................................................................ 375

[28] Il futuro dell'Africa.............................................................. 377

[29] La Shell condannata a pagare............................................... 379

[30] La sinistra radicale italiana e la Cina..................................... 380

[31] La demografia in Israele e in Palestina. La censura in rete...... 382

Giugno.......................................................................................... 385

[1] Greta Thunberg e la Cina....................................................... 385

[2] Germania e Namibia............................................................. 385

[3] USA, porto d'armi................................................................. 387

[4] Mali, colpi di stato................................................................ 388

[5] NATO e Afghanistan............................................................ 389

[6] Cina e Medioriente................................................................ 391

[7] Francia e Ruanda.................................................................. 391

[8] Turchi e Kurdi in Siria........................................................... 393

[9] OpenPolis sulle gestioni commissariali degli enti locali........... 394

[10] USA, spese militari............................................................. 395

[11] Algeria, Francia e Turchia................................................... 396

[12] La seconda conquista dello spazio cosmico........................... 396

[13] Cina tra Pakistan e Afghanistan............................................ 397

[14] Questioni di onore familiare................................................. 398

[15] I matrimoni forzati nel mondo e legislazione italiana............. 399

[16] Mediterraneo, strategia e ZEE.............................................. 400

[17] Il fascismo mai morto in Italia.............................................. 402

[18] NATO 2030. ISTAT, dati sulla povertà................................ 403

[19] L'inutilità della pandemia..................................................... 405

[20] Iran, sempre più conservatore............................................... 406

[21] USA, democrazia in declino................................................. 407

[22] La stampa italiana............................................................... 408

[23] Vaticano, no al ddl Zan. USA, Texas contro il governo.......... 410

[24] Ungheria dittatoriale di Orbán.............................................. 411

[25] Italia, ricchezza privata e debito pubblico............................. 412

[26] Auto ecologiche.................................................................. 413

[27] Il suicidio di McAfee........................................................... 413

[28] La transizione ecologica in Italia.......................................... 415

[29] Caviro e l'economia circolare............................................... 416

[30] La Sicilia come discarica..................................................... 418

Luglio........................................................................................... 419

[1] Superare i pregiudizi sull'Africa. Carta di Kurukan Fuga......... 419

[2] I limiti ecologici delle centrali idroelettriche........................... 421

[3] Problemi creati dalle centrali idroelettriche in Svizzera. Catastrofe climatica        421

[4] La cinica geopolitica di “Limes”. Il fascio-leghismo anarcoide di Salvini. L'Afghanistan e la criminalità organizzata................................................................................ 422

[5] Apple in Cina....................................................................... 424

[6] Demografia in Cina............................................................... 425

[7] L'avocado in Cile.................................................................. 426

[8] L'Irlanda del Nord e la Brexit................................................. 428

[9] Taiwan, la Cina e il Giappone. Ergastolo ostativo in Italia....... 428

[10] Il litio in Cile. Le ville di Erdoğan........................................ 430

[11] Il capitalismo avanzato in Cina. I vantaggi fiscali per le imprese americane        431

[12] Cina e Afghanistan.............................................................. 433

[13] Che cos'è una “comunità energetica”?.................................. 433

[14] Canada, indigeni discriminati ed eliminati............................ 434

[15] Craxi, una vicenda di corruzione mai risolta. Condannata Nicole Minetti 436

[16] Torture nel carcere di Santa Maria Capua Vetere................... 438

[17] Risarcito Hatem Yakoubi per ingiusta detenzione.................. 440

[18] Angelo Del Boca e il colonialismo italiano........................... 440

[19] Le assurde pretese integralistiche d'Israele............................ 442

[20] Software pericoloso prodotto in Israele................................. 443

[21] Molto pericolosa la situazione ad Haiti................................. 444

[22] Chi inquina paga di meno.................................................... 445

[23] Molto precaria la situazione sociale in Sudafrica................... 446

[24] Esiste la democrazia in Marocco?......................................... 447

[25] Il Camerun del corrotto Paul Biya........................................ 447

[26] Facebook e i regimi totalitari................................................ 448

[27] A quando il reato di ecocidio?.............................................. 449

[28] Francia e Giappone contro la Cina........................................ 451

[29] Vaticano sempre più corrotto. La fame nel mondo................. 451

[30] Salvini e la questione gender................................................ 453

[31] Che succede in Tunisia?...................................................... 454

Agosto........................................................................................... 456

[1] Riforma Cartabia, matrimonio coi fichi secchi........................ 456

[2] La situazione delle carceri italiane.......................................... 457

[3] I quartieri urbani più pericolosi in Italia.................................. 459

[4] Morta Nawal al-Sa'dawi, grande femminista egiziana.............. 460

[5] Il forte laicismo della sociologa algerina Marie-Aimée Hélie-Lucas 462

[6] Il cacao non arricchisce chi lo produce. Palamara radiato dalla magistratura         463

[7] Il successo letterario della femminista Djaïli Amadou Amal.... 464

[8] Un amore impossibile in Sudan.............................................. 466

[9] Nauru, destino ingrato per una piccola isola del Pacifico.......... 467

[10] Provocazioni israeliane contro l'Iran. Le lacrime di Messi...... 469

[11] Quale alternativa all'ora di religione cattolica?...................... 470

[12] Alcune specie animali si stanno rimpicciolendo..................... 471

[13] Pericolose concessioni belliche dell'Ucraina alla NATO. Surriscaldamento climatico e migrazioni di massa................................................................................................. 472

[14] Sesso e amore nelle carceri italiane...................................... 474

[15] Governo polacco sempre più antisemita................................ 475

[16] Di nuovo i talebani a gestire l'Afghanistan. L'esercito israeliano e la democrazia 476

[17] Corpo e mente sono interconnessi........................................ 477

[18] I talebani e la loro interpretazione della sharia....................... 478

[19] La tragedia dell'Afghanistan. Saviano durissimo coi talebani.. 479

[20] OMS, bambini e discariche digitali. In Kuwait il più grande cimitero di pneumatici del mondo    482

[21] Afghanistan, guerra inutile e costosa. Sistema scolastico pakistano         484

[22] I bacha-bazi in Afghanistan. Shamsia Hassani, street artist dell'Afghanistan        486

[23] Le nostre missioni militari all'estero..................................... 488

[24] Il dramma di Cuba .............................................................. 489

[25] Scuole coraniche in Sudan. Una scuola coranica in India contro il terrorismo      490

[26] Economia e finanza in Afghanistan e ruolo dell'occidente...... 492

[27] L'ipocrisia dei talebani. I talebani come prodotto indiretto della politica americana         494

[28] Prossima tragedia: la Somalia.............................................. 497

[29] Il neofascismo in Texas. Afghanistan e fascismo religioso..... 498

[30] Il rapporto Doing Business del 2020. Le assurdità della sharia 500

[31] Il potere delle multinazionali farmaceutiche negli USA......... 501

Settembre...................................................................................... 503

[1] Campagne antislamiche in India. Rapporti tra India e Afghanistan 503

[2] Boko Haram in Nigeria. L'Ucraina chiede agli USA un risarcimento        504

[3] Talebani afghani e talebani pakistani. India, Afghanistan e Pakistan         506

[4] Mancanza di camionisti in Inghilterra per colpa della Brexit. Cina ricca o povera? 507

[5] Donne afghane pronte al suicidio. La CEI e il progresso scientifico 509

[6] L'auto elettrica è davvero una soluzione ecologica? Esiste il terrorismo in Bulgaria?         510

[7] Il sistema scolastico in India. Lo ius soli in Italia..................... 511

[8] L'illusione dei Bitcoin nel Salvador. Le varianti del Covid-19. Le assurdità dei novax       514

[9] La sharia talebana per le donne. I fanatismi religiosi. Nuovo governo talebano      516

[10] La prigione americana di Guantanamo. Controllo dei giudici in Polonia  518

[11] La svolta puritana della Cina di Xi Jinping. Cina e sinistra radicale         520

[12] Che cos'è l'islam politico? La lezione dall'Afghanistan.......... 521

[13] Marocco e Algeria ai ferri corti............................................ 523

[14] La fine di Abimael Guzmán, fondatore di Sendero Luminoso. Il ruolo della Cina 525

[15] Gli aiuti ai talebani. La Lega e la Disney............................... 526

[16] Il regolamento di Dublino III. La Lega ambiente e la UE....... 528

[17] In che senso la Cina ha superato gli USA?............................ 529

[18] Il gas che ci manca. Mille km di muri in Europa.................... 530

[19] Può esistere una difesa europea comune?.............................. 532

[20] Colpo di stato in Guinea. Sconfitto il governo del partito islamico in Marocco    533

[21] L'eutanasia in Svizzera........................................................ 534

[22] Il referendum sull'eutanasia.................................................. 535

[23] Macron chiede scusa agli Harki. I cattolici e l'eutanasia......... 537

[24] La geopolitica americana. Martini e Conte sull'eutanasia....... 538

[25] L'elettroshock esiste ancora. Eutanasia e Catechismo cattolico 540

[26] Ha senso l'agricoltura biodinamica? Quale agricoltura in futuro? 542

[27] L'eutanasia sul piano giuridico............................................. 545

[28] Il femminicidio, questione femminile e “Codice Rosso”........ 547

[29] Demografia italiana............................................................. 550

[30] Il nucleare civile nel mondo................................................. 550

Ottobre.......................................................................................... 553

[1] Difficili i rapporti tra Vaticano e Messico............................... 553

[2] I camionisti in Europa........................................................... 553

[3] Proteste giustificate nel porto di Genova................................. 554

[4] Talebani e taglio della mano ai ladri....................................... 555

[5] Russia e social da vietare....................................................... 556

[6] L'inquinamento del digitale è mostruoso................................. 557

[7] Le donne in Afghanistan........................................................ 558

[8] La pedofilia nella confessione cattolica.................................. 559

[9] UE contraria agli algoritmi che violano dignità e privacy. Obblighi e divieti talebani        560

[10] Diga turca di Ilisu................................................................ 562

[11] L'egoismo della Svizzera..................................................... 563

[12] Corruzione alle stelle nel Perù.............................................. 564

[13] Una donna alla guida della Tunisia....................................... 565

[14] In Italia si studia poco.......................................................... 565

[15] Il nucleare si ripropone in Europa come scelta strategica........ 566

[16] Di nuovo il nucleare in Italia?.............................................. 567

[17] Quale nuova rivoluzione fiscale?.......................................... 568

[18] Davvero i fascisti in Italia non esistono più?......................... 570

[19] È possibile avere rapporti commerciali equi con l'Africa?...... 572

[20] L'arte di spacciare fake news nei social................................. 573

[21] L'Africa alla deriva.............................................................. 574

[22] La barbarie talebana fin dove arriverà?................................. 576

[23] Duri a morire i pregiudizi maschilisti.................................... 577

[24] Una guerra mondiale nucleare alle porte?............................. 578

[25] Perché al governo turco fa tanta paura Osman Kavala?.......... 579

[26] Gli anni contati dei ghiacciai alpini...................................... 580

[27] Che sta succedendo in Sudan?.............................................. 581

[28] I mutamenti climatici ci uccideranno tutti?............................ 582

[29] Cos'è il doomscrolling?....................................................... 583

[30] Una svolta in Svizzera per le coppie omosessuali.................. 585

[31] Restituire il maltolto all'Africa è già qualcosa....................... 585

Novembre...................................................................................... 587

[1] Anche le banche evadono il fisco grazie ai paradisi fiscali....... 587

[2] La pirateria in Africa è più forte che mai................................ 588

[3] Musica laica vietata in Afghanistan........................................ 589

[4] La filosofa britannica Kathleen Stock costretta alle dimissioni. 589

[5] Jacob Zuma e Berlusconi....................................................... 590

[6] L'Africa e i Pandora Papers.................................................... 591

[7] Assassinate in maniera brutale quattro attiviste afghane........... 592

[8] Continuando a deforestare ci ammaleremo sempre più............ 593

[9] Sarnella: l'acqua che elimina. Punto....................................... 594

[10] Davvero la Catalogna non può decidere il proprio destino?.... 594

[11] La Svizzera un Paese tranquillo? Non per i femminicidi........ 595

[12] Israele costretta a confrontarsi col diritto internazionale......... 596

[13] Esercitazione segreta della NATO in Italia............................ 597

[14] I lavoratori italiani si stanno impoverendo sempre di più........ 598

[15] Le SLAPP usate dai poteri forti per silenziare l'opposizione... 599

[16] Il Covid-19 ha fatto aumentare di molto la povertà................ 599

[17] Il muezzin a Colonia devono sentirlo tutti............................. 600

[18] La teoria gender e i pregiudizi sessisti.................................. 601

[19] Cosa contano le comunità indigene? Niente!......................... 602

[20] La letteratura esiste ancora in Turchia? ................................ 602

[21] Gli indomiti Baschi vivono ancora....................................... 603

[22] La vera Cina tra le comunità più primitive............................ 604

[23] L'ecologia è un miraggio e un paravento............................... 605

[24] La destra, l'anarchia e la pandemia....................................... 606

[25] Il non futuro per l'idrogeno.................................................. 607

[26] Basta dire che si è ucciso per legittima difesa per dire che giustizia è fatta?         608

[27] Radio Maria sembra una multinazionale di Dio..................... 610

[28] Abbiamo cementificato tutto e ora cerchiamo delle alternative 611

[29] Lo strano rapporto tra magistratura e politica in Svizzera....... 612

[30] La parità di genere in Italia è un mito.................................... 613

Dicembre....................................................................................... 615

[1] Helena Dalli e l'inclusività in Europa. La popolazione nel mondo 615

[2] Sposarsi nelle periferie di Roma............................................. 616

[3] Perché le resistenze dei novax sono ridicole?.......................... 617

[4] I social e le ragioni dei novax................................................. 618

[5] La faziosa laicità francese...................................................... 619

[6] La Gabanelli ha sempre ragione............................................. 620

[7] Addio alberi, è stato bello!..................................................... 621

[8] Nella UE gli idrocarburi saranno sostituiti dal nucleare............ 622

[9] O i rifiuti diventano una risorsa, o la natura considererà noi un rifiuto       623

[10] Scommesse e giochi d'azzardo per il nostro declino............... 624

[11] La Nigeria ha davvero un futuro?......................................... 625

[12] L'importanza delle statistiche riguardo alla ricchezza mondiale 627

[13] Chi sono i ricconi e dove vivono?......................................... 628

[14] Per fare affari coi cinesi devi rinunciare a Taiwan................. 630

[15] La Bielorussia a un bivio..................................................... 631

[16] Solo gli americani possono dare la patente di democrazia...... 632

[17] Il globalismo in Vietnam..................................................... 633

[18] Assolto l'ex re di Spagna, Juan Carlos................................... 633

[19] Davvero interessa la scuola ai governi italiani?..................... 634

[20] La Svizzera non vuol sentir parlare di “ius soli”.................... 635

[21] L'isola di Barbados si è liberata della regina Elisabetta.......... 636

[22] Ci mangiamo una carta di credito alla settimana.................... 636

[23] L'assenza del vincolo di mandato ha fatto il suo tempo.......... 637

[24] Governo belga abbastanza ridicolo sul nucleare..................... 638

[25] Prepariamoci a una riedizione della guerra fredda.................. 639

[26] Parigi condanna UBS a pagare una multa ingente.................. 639

[27] I turchi usano armi chimiche contro i kurdi........................... 640

[28] La Turchia non è in grado di gestire democraticamente i profughi 641

[29] Vita dura per i giornalisti democratici................................... 641

[30] Il giornalismo imbavagliato in Cina...................................... 642

[31] Davvero l'ONU ce l'ha con Israele per un pregiudizio?.......... 643

Conclusione............................................................................... 645

Bibliografia su Amazon.............................................................. 650

 



[1] L'attivista saudita è stata liberata dopo 1.001 giorni di detenzione.

[2] Dopo otto anni di indagini e tre di dibattimento, il Tribunale di Milano ha assolto, nel processo di primo grado, i vertici di Eni e, complessivamente, i 13 imputati e le due società coinvolte nella causa.

[3] Questo post ha determinato una sospensione da Facebook di 24 ore. Motivazione: incitamento all'odio. Probabilmente è stata la parola “bestie” a determinare la censura. Ma qui posso confermarla tranquillamente, anche perché si riferisce ai governi sionisti d'Israele, non certo agli ebrei come gruppo religioso, che anzi hanno alzato il livello di eticità dell'intero pianeta.

[4] Spesso ci si dimentica che altre mostruosità sono accadute in quella macelleria sociale chiamata “storia umana”: lo sterminio di amerindi, aborigeni australiani, tasmaniani, la tratta degli africani, il reclutamento forzato dei coolies in Cina ecc.

[5] Risposta al post su Facebook: “Le proteste, nel regolamento dell'Istituto, devono essere scritte, anche in maniera collettiva se riguardano tutto il corpo detenuto (singola invece se riguarda fatti personali). Possono essere inviate alla direzione, al giudice di sorveglianza o altro magistrato (in questo caso vanno depositate all'Ufficio matricola così resta traccia dell'invio)”.

[6] Tra i commenti sul post (non verificati): Li puoi tritare e usare per fare il tartan, ovvero la pavimentazione per campi sportivi. Si usano anche tritati e mescolati a pietrisco e bitume per fare l'asfalto drenante. Si possono riciclare per produrre gomme per matita/biro.

[7] Questa news dell'ANSA è stata considerata falsa dopo qualche giorno, in quanto la fotografia apparsa sui social dimostrava che non era stata decapitata, ma era stata (o si era) impiccata. Inoltre la giovane sarebbe morta il 6 agosto e non a ottobre, come riportato da “Independent Persian” e da diversi media indiani. Ho comunque lasciato il post lo stesso, perché in teoria avrebbe potuto rispecchiare la realtà.

[8] La NASA si è persino lamentata delle sue interferenze negli apparecchi acustici.

Ricerca nel file usando CTRL+F

Diario di Facebook 2017-20 - Diario di Facebook 2021 - Diario di Facebook 2024


Libri di Homolaicus



| Home | Storia | Economia | Politica | Linguaggi | Letteratura | Teoria | Teorici | Scienza | Diritto | Arte | Uomo-Donna | Religioni | Formazione | Antropologia

| Info | Quora | Telegram | Twitter | Youtube | Meteo | Utility | Play | Note legali | Contatto

La truffa ucraina - Il signore del gas - La guerra totale - Multipolare 2022 - La linea rossa - La resa - La catastrofe