LA GENESI DEL CAPITALISMO E LE ORIGINI DELLA MODERNITA'

di Adriano Torricelli

(a.2.2) L’evoluzione delle società europee prima del capitalismo

Dopo avere sommariamente analizzato la struttura politica e istituzionale dello stato asiatico e le sue principali implicazioni sulla vita economica, l’autore passa ad analizzare – secondo la logica comparativa che ha scelto di seguire – il mondo europeo occidentale: un universo pressoché a se stante rispetto al resto del pianeta, egli ci spiega, non solo a partire dalla nascita del capitalismo, ma anche per quanto concerne i periodi ad esso precedenti.

Una delle principali differenze tra mondo asiatico e mondo europeo consiste nella natura fondamentalmente immobile del primo in contrasto con il dinamismo del secondo. Mentre difatti le società orientali non conoscono al proprio interno, almeno dacché sorge lo stato centralista e dispotico (a volte, come ad esempio in Cina, risultato del superamento di una precedente situazione di tipo feudale), sostanziali variazioni istituzionali, al contrario e sin dai periodi più antichi le società europee sono state affette da una endemica instabilità politica, che le ha portate a conoscere nel corso del tempo assetti differenti tanto dal punto di vista istituzionale quanto, e come logica conseguenza, da quello economico e culturale.

Ciò si deve senza dubbio all’assenza (seppure, come vedremo, con la vistosa eccezione del periodo romano imperiale, e in particolare di quello tardo-imperiale) di formazioni statali dispotiche all’interno della linea evolutiva europea: un’assenza che, quantomeno in germe, costituì il presupposto per la successiva formazione della società moderna.

Una tale opposizione tuttavia – è bene precisarlo – non implica né che negli stati extraeuropei i rivolgimenti politici siano stati meno frequenti che in Europa (bensì piuttosto che, diversamente che in Europa, essi hanno riguardato più le élite di comando che le strutture istituzionali attraverso cui il potere politico e militare veniva esercitato), né che, almeno prima della genesi del capitalismo, le società europee siano sempre brillate, rispetto a quelle extraeuropee, per maggiore apertura e dinamismo.

A questo proposito, è bene definire una volta di più il concetto di società pre-moderne (o precapitalistiche), onde evitare un possibile fraintendimento che le identificherebbe tout court con i sistemi dispotici appena descritti. All’interno di una tale macrocategoria difatti, confluiscono tutte quelle società nelle quali la dimensione economica e privata rimane in qualche modo imprigionata – o in ogni caso fortemente condizionata e quindi limitata da quella politica e pubblica.

Non solo infatti la Megamacchina statale di matrice asiatica, di cui abbiamo appena parlato, è capace di condizionare l’iniziativa economica e in generale la libertà degli individui. Seppure in una forma abbastanza attenuata, e comunque con dinamiche molto diverse da quelle descritte nel precedente paragrafo, anche le società precapitalistiche europee furono caratterizzate dalla prevalenza (più o meno accentuata, a seconda dei casi) della dimensione dirigistica e pubblica rispetto a quella economica e privata. Sarebbe dunque davvero semplicistico e fuorviante affermare che nelle società europee gli individui non abbiano mai conosciuto limitazioni per molti versi analoghe a quelle che hanno caratterizzato la vita degli stati dispotici extraeuropei. Nel riassumere le fasi salienti della storia europea fino all’emergere del capitalismo, come vedremo, Pellicani dimostrerà tra l’altro proprio tale fatto.

Un’ultima notazione. Anche se nell’esposizione di questi argomenti l’autore non ha affatto seguito un criterio cronologico, distribuendoli e spezzettandoli all’interno di vari capitoli, io al contrario – per non rendere troppo intricato il mio riassunto – mi adeguerò a esso.

-- Atene e la Grecia classica --

Il periodo più antico della storia europea affrontato nel libro di Pellicani è quello della Grecia classica. Egli si sofferma in particolare su Atene, esempio di una modernità pressoché unica in tutto il mondo antico, da lui idealmente contrapposta a Sparta, espressione estremizzata di un tipo di società, oligarchica e chiusa, dominante nell’arco di un po’ tutta la storia greca.

Rifacendosi a B. Constant, egli contrappone “libertà degli antichi” e “libertà dei moderni”: la prima di natura essenzialmente politica, la seconda invece di natura economica. Il suo discorso non ignora il paragone tra Occidente greco e Oriente barbaro. A tale proposito, egli mostra come le città-stato della Grecia classica si distinguessero rispetto ai vicini imperi asiatici (in particolare rispetto all’Impero persiano) non solo per le dimensioni molto più ridotte, ma anche per la presenza di un valore fondamentale, quello della libertà e dell’iniziativa individuali.

Non è un caso dunque, che la struttura del potere politico in Grecia avesse, a differenza che nei vicini stati asiatici, una natura fondamentalmente collegiale, che fosse quindi decisamente meno dispotica che in essi. Non che, già in origine, gli stati ellenici fossero delle democrazie, ovvero dei sistemi nei quali il popolo tutto prendeva parte attiva alle decisioni politiche. Al contrario, nei periodi arcaici (e quasi sempre anche in quelli successivi) i poteri decisionali rimasero appannaggio di una ristretta minoranza di cittadini, di un’élite dominante impermeabile o quasi alle classi popolari, in particolare a quelle più subalterne. Ciò non toglie tuttavia che anche un tale tipo di assetto istituzionale, oligarchico o aristocratico, fosse strutturalmente molto più aperto all’apporto individuale e alla concertazione politica rispetto a quello dei vicini imperi asiatici.

D’altronde, e complementariamente a ciò, negli stati occidentali vi era anche una maggiore libertà economica: la mancanza di un potere centrale dispotico non aveva difatti permesso la concentrazione della proprietà dei beni nelle mani di un unico soggetto giuridico: il sovrano, il quale, pur esistendo di solito come figura istituzionale (soprattutto nei periodi più arcaici), non deteneva comunque poteri e prerogative paragonabili a quelli dei suoi omologhi asiatici. La libertà e la proprietà dei privati cittadini dunque – basi della libertà economica – erano qui molto più garantite e tutelate che nel Vicino oriente.

Ma questo discorso non deve trarci in inganno: anche nelle città-stato greche difatti, il potere politico godeva di grandi capacità di limitazione, morali ed economiche, delle libertà personali. Anche qui insomma – come già osservava B. Constant – era la dimensione politica a prevalere su quella economia e non l’opposto, pur avvenendo ciò attraverso poteri comunitari, meno slegati dalla società civile rispetto all’Oriente. In questo senso dunque, anche se nelle città-stato greche esisteva una libertà, essa aveva un carattere innanzitutto politico, la libertà individuale estrinsecandosi soprattutto sul piano della partecipazione politica, piuttosto che su quello dell’iniziativa economica.

Ma in che modo e per quali ragioni – verrebbe da chiedersi – posta l’esistenza di una forma di proprietà molto più garantita dall’azione invasiva di poteri superiori, la comunità politica riusciva a limitare la sfera dell’azione economica privata?

La risposta di Pellicani a questa domanda è il troppo basso sviluppo dei mercati. In un contesto infatti, in cui la produzione era ancora essenzialmente agricola e come tale finalizzata al consumo (e ciò, ovviamente, dato il basso livello di produttività di cui era capace) il mercato, che pure per sua natura porta in sé – come si è visto – il germe della libera concorrenza e del capitalismo, non poteva avere la forza per modificare dall’interno la struttura della società, da chiusa trasformandola in aperta: per rendere cioè la dimensione concorrenziale e privata preminente rispetto a quella pubblica o politica.

In un contesto nel quale il consumo è l’orizzonte prevalente della produzione – mi sembra voler dire Pellicani – la dimensione politica finisce sempre inevitabilmente per controllare quella economica e produttiva. E ciò per una ragione molto semplice: che un tale tipo di organizzazione produttiva, ancora essenzialmente non orientata alla crescita economica, si presta per sua natura a essere controllata dalle altre sfere della società, cui resta in gran parte funzionale. Solo il mercato, con la sua intrinseca logica individualistico-competitiva, nonché espansiva e autopropulsiva, è in grado, raggiunto un certo grado di sviluppo, di scardinare il peso della dimensione comunitaria in favore di quella privata. 

La ragione del mancato sviluppo capitalistico dell’economia della Grecia classica starebbe insomma, secondo l’autore, nel fatto che in un tale contesto l’economia di mercato non si era sviluppata abbastanza perché ciò potesse avvenire; in ciò, piuttosto che nel fatto che – come invece avveniva nel Vicino oriente – poteri statali troppo sviluppati finissero per soffocare la libera iniziativa privata e la tendenza all’investimento capitalistico della ricchezza!

Anche in Grecia quindi, la dimensione politica sopravanzava quella economica, ma qui ciò accadeva non tanto come in Asia per la forza intrinseca delle strutture politiche e militari dello stato, quanto piuttosto per la natura di un’economia ancora fondamentalmente finalizzata al consumo, troppo poco sviluppata quindi sul piano della specializzazione produttiva e del mercato (e ciò peraltro, nonostante il potente sviluppo commerciale conosciuto dalla civiltà greca a partire dalla colonizzazione dell’VIII secolo a.C.) per riuscire a piegare la politica ai propri fini, anziché esserne piegata.

Proprio a partire da questo discorso, si può comprendere l’originalità di Atene rispetto al resto della Grecia. A differenza delle sue vicine infatti, tale città-stato si distinse (anche se solo, si noti, nel periodo classico) per una struttura sociale ed economica decisamente diversa, nella quale i mercati godevano di una centralità e di un’importanza equiparabili o quasi a quelle che, quasi venti secoli più tardi, avrebbero caratterizzato gli stati europei. Assieme ai mercati poi, si erano affermati ad Atene anche valori di libertà, tanto economica quanto di coscienza, molto simili a quelli di noi moderni, che andavano peraltro ad affiancarsi a quelli di natura più squisitamente politica che contraddistinguevano un po’ tutto il mondo ellenico.

Lo sviluppo di un’economia di libero mercato infatti, ha sempre implicazioni non solo di carattere economico ma anche culturale, basate essenzialmente sull’emancipazione dell’individuo dai vincoli della tradizione. Ciò si vede bene, ad esempio, nel fenomeno della filosofia: una forma di pensiero che, sin dalle origini, si pose al di fuori e in notevole grado anche in contrasto rispetto agli assunti del pensiero religioso tradizionale e che – certamente non a caso – sorse in quelle regioni coloniali della Grecia arcaica in cui le attività mercantili e gli scambi culturali col mondo esterno erano maggiormente sviluppate, trovando successivamente il proprio principale alveo di sviluppo presso Atene, quando questa era ormai divenuta la regina incontrastata dei traffici egei.

E non è finita qui: lo sviluppo di un tale tipo di organizzazione economica infatti, ha anche quasi sempre forti implicazioni di carattere politico e giuridico. La logica intrinsecamente egualitaria alla base dei mercati e della concorrenza difatti, finisce, affermandosi, per favorire la nascita di sistemi sociali dinamici, fondati sull’idea che il merito venga prima della nascita nonché (anche se in parte solo a livello teorico) dell’esistenza di eguali diritti e doveri per tutti i membri della comunità politica – ovvero, in una parola, per favorire la nascita di sistemi politici definibili come democratici.

Ma in tutto questo è necessario chiedersi una cosa: come mai proprio Atene finì per sviluppare un’economia basata sul libero mercato? La risposta che l’autore dà a tale quesito non ha – una volta di più – un carattere economico, bensì politico e militare. La struttura economica della società ateniese preclassica infatti, non portava affatto al proprio interno i germi economici di una tale trasformazione. Ciò è ben dimostrato tra l’altro, dal fatto che Atene conobbe, rispetto alla maggior parte degli altri stati greci, un ritardo di circa un secolo nello sviluppo su larga scala dei traffici marittimi! Se dunque le altre città-stato elleniche, già dotate di floride tradizioni mercantili, non furono capaci di operare una simile rivoluzione, come avrebbe potuto esserne capace Atene, la quale, in veste di ‘ritardataria’, si trovava rispetto ad esse in una posizione svantaggiata?

Non furono tanto infatti, ragioni economiche all’origine di una tale trasformazione. A base di essa vi furono piuttosto le conseguenze della guerra contro la Persia. Tale evento infatti, decretando attraverso i meriti e il prestigio militare acquisiti da Atene la supremazia di quest’ultima su buona parte delle città-stato elleniche, finì per porre le basi della sua successiva potenza economica.

L’asservimento sempre maggiore dei membri della Lega marittima alla propria autorità, la riscossione di un tributo che col tempo divenne sempre più suo e sempre meno della comunità di stati di cui faceva parte, il conseguente sviluppo di un porto (il Pireo) e in genere di infrastrutture all’avanguardia per il mondo commerciale Egeo, portarono difatti l’Attica ad acquisire gradualmente una egemonia sempre più marcata non solo a livello militare ma anche a livello mercantile.

Atene divenne in tal modo, economicamente parlando, una vera e propria società di mercato, quale mai probabilmente era esistita prima. Una società in cui, cioè, almeno tendenzialmente si produceva per esportare anziché – come avveniva altrove – per consumare, mentre gran parte di ciò di cui v’era bisogno poteva essere importato dall’esterno grazie alla ricchezza accumulata attraverso i traffici e i tributi delle alleate.

In una tale situazione, i privati cittadini riuscirono sempre più spesso a emergere per le proprie qualità personali (ad esempio, per la propria predisposizione agli affari, per la propria abilità oratoria o per la propria sapienza) emancipandosi così gradualmente dalla tutela politica esercitata dalle antiche istituzioni signorili, attraverso un processo storico che trovò appunto nella democrazia (sistema politico basato sulla preminenza incontrastata dell’Ecclesìa popolare) la sua conquista essenziale.

(D’altronde – osservo io – come non vedere nel libro di Tucidide, e in particolare in alcuni discorsi di Pericle, una perfetta dimostrazione di quanto detto fin qui? Penso soprattutto alla celebre orazione comunemente conosciuta come ‘epitaffio di Pericle’, in cui lo stratego ateniese pare dare forma alla stessa idea di società aperta: di una società basata cioè sul merito anziché sulla nascita, sull’eguaglianza giuridica di tutti i cittadini, nonché – ma non ultimo – sulla libertà di iniziativa individuale e sulla conseguente emancipazione dei cittadini dagli opprimenti vincoli delle tradizioni gentilizie... O al discorso in cui, sempre Pericle, descrive Atene come un’“isola”, ricordando ai suoi concittadini come il loro potere e la loro ricchezza derivino in massima parte – caso unico in tutta la Grecia – non dalle attività produttive e agricole ma dai commerci e dal predominio politico e militare esercitato dalla loro città sulle alleate.)

Anche infine, a proposito della decadenza dell’egemonia commerciale ateniese (e quindi di quella stessa società aperta di cui abbiamo appena parlato) che caratterizzò la storia ateniese post-classica, Pellicani si mostra ancorato a posizioni decisamente non economicistiche. Tale decadenza infatti, si dovette secondo lui – e in ciò la sua posizione non è certamente originale – alla sconfitta subita da Atene nella lunga e disastrosa guerra contro Sparta conclusasi nel 404 a.C., e al conseguente smantellamento della sua flotta marittima e di gran parte delle sue infrastrutture militari e commerciali. Anche qui, dunque, emerge chiaramente il ruolo preminente della dimensione militare e politica rispetto a quella economica e sociale nelle trasformazioni economiche della società.

Se Atene fu “maestra della Grecia” in fatto di innovazione, Sparta al contrario lo fu in fatto di conservazione. Tale stato difatti, mantenne pressoché immutati fino in età classica, quei caratteri tipici delle società nobiliari arcaiche che ritroviamo stemperati (anche se più o meno, a seconda dei casi) nelle altre città-stato greche. Sparta rappresenta infatti ai nostri occhi un perfetto esempio di società chiusa di stampo occidentale, dominata da una ristretta aristocrazia politica che guidava con polso inflessibile una poco meno ristretta cerchia di cittadini a pieno titolo (gli spartiati), proprietari individualmente delle terre su cui risiedevano e collettivamente di un vero e proprio popolo di schiavi (gli iloti), e legati tra loro da vincoli di sangue e dal rispetto senza cedimenti di regole avite, ovvero di consuetudini che non potevano né dovevano in nessun modo essere messe in discussione.

Né – osserva Pellicani – ci si può stupire del fatto che in una tale società i mercati fossero oggetto di una vera e propria demonizzazione (a Sparta, si badi, non esisteva o quasi la moneta!), e ciò peraltro anche nel momento in cui essi prendevano piede in tutta la Grecia, anche negli stati politicamente più reazionari. Ed è chiaro come una tale demonizzazione fosse dovuta al fatto che le attività di scambio erano percepite – e a ragione – come pericolosi fattori di perturbazione e lacerazione di un tessuto sociale che si sarebbe voluto conservare immutato nel tempo.

Il bilancio che Pellicani ci fornisce della storia greca classica dunque, conferma tanto la tesi istituzionalista alla base del suo libro [= la politica e le guerre, e le loro conseguenze sul piano istituzionale, come causa delle trasformazioni economiche della società], quanto quella che vedrebbe nella diffusione dei mercati l’essenza e l’origine ultima del sistema capitalista, inteso come una forma di società aperta al libero apporto dell’iniziativa privata, sia nell’ambito economico che in tutti gli altri ambiti della vita sociale.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Economia
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Aggiornamento: 12-09-2014