TEORICI
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SCHELLING: L'IDEALISMO ESTETICO (1775-1854)
Nel 1800 Schelling pubblica il Sistema dell’idealismo trascendentale. In esso compie il percorso inverso e complementare di quello compiuto nella costruzione della filosofia della natura: muovendo alla ricerca della natura nello spirito, ricostruisce la strada che il soggetto percorre verso l’assoluto. Dopo aver, cioè, mostrato la costituzione spirituale della natura, con l’approdo all’anima del mondo, adesso si propone di mostrare che l’Io trascendentale non è solo, come sosteneva Fichte, soggettività assoluta, ma è anche il fondamento della realtà e dell’oggettività naturale. Costruisce, così, la filosofia dello spirito, complementare alla filosofia della natura. “Possiamo chiamare natura l’insieme di tutto ciò che nel nostro sapere è meramente oggettivo; invece, si chiama io o intelligenza l’insieme di tutto ciò che è soggettivo. I due concetti si sono contrapposti l’uno all’altro. L’intelligenza viene pensata originariamente come quel che esercita la sola funzione del rappresentare, la natura come quel che è semplicemente rappresentabile; quella come il conscio, questa come ciò che è privo di coscienza. Tuttavia in ogni sapere è necessaria una reciproca corrispondenza di entrambi (di quel che è conscio e di ciò che in sé è privo di coscienza); la questione è nel chiarire tale corrispondersi. Nel sapere stesso – in quanto so – oggettivo e soggettivo sono così uniti da non potersi dire quale dei due sia prioritario. Qui non vi è alcun primo né alcun secondo, i due sono simultanei e uno. Nell’atto di voler spiegare questa identità, devo già averla tolta. Per spiegarla, giacché null’altro m’è dato (come principio esplicativo) che quei due fattori del sapere, devo necessariamente anteporre l’uno all’altro, muovere da quello per giungere a questo. Da quale dei due debba muovere, non è determinato dal compito in questione. Sono possibili, dunque, solamente due casi.
Il concetto del soggettivo non è contenuto nel concetto dell’oggettivo, anzi i due si escludono a vicenda. Il soggettivo deve quindi sopraggiungere all’oggettivo. Nel concetto di natura non è incluso che vi sia anche un qualcosa di intelligente che se la rappresenti. La natura, così pare, esisterebbe anche se non vi fosse nulla a rappresentarla. Il problema da risolvere può dunque essere espresso anche in questi termini: come sopraggiunge alla natura quel che è intelligente, ossia come perviene ad esser rappresentata la natura? Il problema assume come primo la natura, o l’oggettivo. Quindi è indubbiamente un problema della scienza della natura, che così procede. […] Se ogni sapere possiede come due poli che si esigono e si presuppongono reciprocamente, occorre allora rinvenirli in tutte le scienze; pertanto devono darsi necessariamente due scienze fondamentali e dev’essere impossibile muovere da un polo senza venir spinti all’altro. La tendenza necessaria di tutte le scienze naturali ha luogo quindi dalla natura all’intelligente. Ciò, e nient’altro, si trova alla base dello sforzo verso l’introduzione della teoria nei fenomeni naturali. Il supremo perfezionamento della scienza naturale consisterebbe nella compiuta spiritualizzazione di tutte le leggi naturali in leggi dell’intuire e del pensare. […] Perfetta teoria della natura sarebbe quella in cui la natura si dissolvesse in un’intelligenza. I prodotti della natura inerti e privi di coscienza non sono che tentativi falliti della natura per riflettere se stessa; la cosiddetta natura morta è in generale un’intelligenza immatura, sicché nei suoi fenomeni già traspare, ancora privo di coscienza, il carattere intelligente. Il fine supremo, divenire completamente oggetto a se stessa, la natura lo raggiunge unicamente con l’ultima e suprema riflessione, quale non può essere altro che l’uomo o, più in generale, ciò che chiamiamo ragione, attraverso cui la natura ritorna per la prima volta completamente in se stessa, manifestandosi originariamente identica a ciò che in noi è riconosciuto come intelligente e cosciente. […]
Se ogni sapere consiste nell’adeguazione di questi due termini, allora il compito di chiarificare tale adeguarsi è fuor di dubbio il più elevato per ogni sapere, e se, come universalmente si concede, la filosofia è la suprema e la somma di tutte quante le scienze, quello è indubbiamente il problema principale della filosofia. Epperò questo compito, per essere risolto, esige soltanto una spiegazione di quel coincidere in generale e lascia completamente indeterminato donde prende le mosse la spiegazione, cosa debba considerare come primo e cosa come secondo. Ed essendo i due opposti l’un l’altro necessari, il risultato dell’operazione dev’essere il medesimo qualunque sia il punto da cui ci si muova. Fare dell’oggettivo il primo e derivarne il soggettivo è, come appena indicato, compito della filosofia della natura. Se dunque una filosofia trascendentale esiste, le resta solo l’opposta direzione: procedere dal soggettivo, come dal primo e assoluto, e farne scaturire l’oggettivo. Filosofia della natura e filosofia trascendentale si sono dunque distinte secondo le due possibili direzioni della filosofia e, se ogni filosofia deve prefiggersi di o di trarre dalla natura un’intelligenza, o di trarre dall’intelligenza una natura, allora la filosofia trascendentale, cui spetta quest’ultimo compito, è l’altra scienza fondamentale necessaria della filosofia”.1 Alla base della filosofia dello spirito c’è l’idea che lo spirito abbia uno sviluppo evolutivo determinato, così come avviene nel mondo naturale, dal contrasto dialettico di forze e di attività presenti in esso. Questo sviluppo si articola in tre grandi momenti, in cui si afferma l’unità di spirito e natura, di soggetto e oggetto, di conscio e inconscio. Il primo momento comincia con la sensazione, che apre l’attività conoscitiva, nella quale il soggetto e l’oggetto sono indissolubilmente correlati. Nell’intuizione sensibile il soggetto e l’oggetto sono una cosa sola. Nel passo successivo, attraverso la riflessione, il soggetto diventa consapevole che l’oggetto gli è estraneo e ne costituisce un limite. Alla riflessione si accompagna una tensione verso l’infinità che porta lo spirito a superare i limiti dell’oggetto. Il secondo momento è quello della soggettività pratica, della volontà divenuta consapevole di poter determinare il proprio mondo. Questa, però, scopre che le proprie finalità entrano in conflitto con quelle degli altri soggetti pratici, delle altre autocoscienze. Nasce quindi la necessità della mediazione politica che porta alla creazione degli Stati, ma anche alla creazione di ordini giuridici sovranazionali. Queste mediazioni politiche, comportando la limitazione della libertà di ciascuno per garantire quella di tutti, implicano l’unione di libertà e necessità, che si configura come corrispettivo pratico dell’unità del precedente momento teoretico di soggetto e oggetto, di conscio e di inconscio. Quello che si presenta come gioco disordinato delle volontà individuali è, in realtà, la realizzazione di un piano razionale, ordinato e armonico, per opera dell’attività inconscia dello Spirito che agisce nella storia. Nella storia l’azione degli uomini s’inserisce in un piano provvidenziale e razionale che sovrasta e coordina le azioni individuali: attraverso l’azione dei singoli, che perseguono i loro fini, si realizza il fine provvidenziale della storia. La storia è cioè il dominio dell’Assoluto, inteso come unità di libertà e necessità, di spirito e natura, di soggetto e oggetto, di attività ideale, consapevole e attività inconsapevole. C’è nella storia lo stesso sviluppo organico che si realizza nella natura, uno sviluppo organico per cui la storia realizza progressivamente nel tempo un piano provvidenziale, inserendo nell’attività libera e consapevole degli uomini la necessità razionale di cui non sono consapevoli e che non vogliono. È questo “il problema sommo della filosofia trascendentale”, scrive Schelling. “Libertà dev’essere necessità, necessità libertà. Ora, la necessità in opposizione alla libertà non è altro che il privo di coscienza. Ciò che in me è privo di coscienza è involontario; quanto è con coscienza, è in me per via del volere. Affermare che dev’esserci necessità nella libertà significa dunque: tramite la libertà stessa, e in quanto credo di agire liberamente, deve sorgere in modo inconsapevole, cioè senza il mio contributo, ciò che non mi proponevo. O ancora, in altri termini: all’attività liberamente determinante che abbiamo precedentemente dedotta, deve contrapporsi un’attività senza coscienza tramite la quale, malgrado la più illimitata manifestazione della libertà, sorge affatto involontariamente, e forse persino contro la volontà di colui che agisce, qualcosa che egli stesso non avrebbe mai potuto realizzare col suo volere. Questa proposizione, per quanto paradossale possa apparire, in fondo non è altro che l’espressione trascendentale del rapporto, generalmente ammesso e presupposto, fra la libertà e una segreta necessità che vien chiamata ora destino, ora provvidenza, senza pensare né in un modo né nell’altro a qualcosa di chiaro. Espressione di quel rapporto in forza del quale gli uomini, mediante il loro medesimo libero agire, e nondimeno contro la loro volontà, devono divenire causa di qualcosa che non hanno mai voluto, o in virtù del quale, viceversa, deve fallire e rovinarsi qualcosa che hanno voluto liberamente e con tutte le loro forze”.2 Agisce nella storia un’attività inconscia che fa del gioco libero e disordinato delle volontà individuali un piano ordinato, armonico e progressivo. “Questo eterno inconscio che, quasi sole eterno nel regno degli spiriti, si nasconde attraverso la sua propria luce inoffuscata e che, senza mai divenir oggetto, pure impronta della sua identità tutte le libere azioni, è simultaneamente il medesimo per tutte le intelligenze, la radice invisibile di cui tutte le intelligenze sono soltanto le potenze, l’eterno mediatore tra il soggettivo che determina se stesso in noi e l’oggettivo o intuente, e simultaneamente il fondamento della legalità nella libertà e della libertà nella legalità dell’oggettivo”.3 L’Assoluto è il poeta di quel grandioso dramma che è la storia. Un poeta, però che non è esterno al dramma, ma lo scrive e lo attua affermandosi come suo principio interno. “Se ci raffiguriamo la storia come un dramma in cui ognuno che vi prende parte recita il proprio ruolo in perfetta libertà e come gli pare e piace, allora si può pensare uno sviluppo razionale di questo gioco confuso solamente per il fatto che vi è un unico spirito a comporre la parte di tutti e che il drammaturgo, i cui singoli sono semplici frammenti (disjecti membra poëtae)4, ha precedentemente armonizzato il risultato oggettivo dell’insieme con il libero gioco di tutti i singoli, dimodoché infine debba risultarne qualcosa di razionale. Ma se il drammaturgo fosse indipendente dal suo dramma, saremmo soltanto gli attori che recitano ciò che egli ha composto. Se non è indipendente da noi, però si rivela e viene in luce soltanto progressivamente attraverso il gioco della nostra medesima libertà, cosicché anch’egli non sarebbe senza questa libertà, allora noi siamo coautori del tutto ed inventori del singolo ruolo che recitiamo. Il fondamento ultimo dell’armonia tra la libertà e l’oggettivo (ciò che è conforme a legge) non può dunque divenire mai interamente oggettivo, se il fenomeno della libertà deve sussistere. L’assoluto agisce attraverso ogni singola intelligenza, l’agire della quale è cioè esso stesso assoluto, e in quanto tale né libero né non-libero, bensì l’una e l’altra cosa assieme: assolutamente-libero e proprio perciò anche necessario”.5 Ecco allora “l’unica vera visione della storia”: “In quanto totalità, la storia è una rivelazione continua, che si palesa gradualmente, dell’Assoluto. Quindi nella storia non si può mai indicare il singolo luogo dove la traccia della provvidenza, o Dio stesso, sia quasi visibile. Infatti, Dio non è mai, se essere è ciò che esibisce sé nel mondo oggettivo; se fosse, noi non saremmo: ma egli si rivela continuamente. L’uomo fornisce, mediante la sua storia, una prova permanente dell’esistenza di Dio, una prova che tuttavia può essere completata unicamente dalla storia intera”.6 L’immagine di Dio come poeta immanente creatore della storia ci aiuta a capire la posizione suprema che Schelling assegna all’arte nel suo sistema. L‘itinerario spirituale, infatti, si completa con l’arte, il terzo momento, il più alto della vita spirituale, quello in cui l’unione di libertà e necessità può essere colta. L’arte soltanto, infatti, consente all’uomo di cogliere ed esprimere l’Assoluto. L’arte è la vera conoscenza, la vera filosofia. Essa soltanto ricompone l’unità di spirito e natura, di soggetto e oggetto, di conscio e inconscio, che la conoscenza riflessiva e l’attività pratica hanno diviso. L’artista, infatti, è spinto alla creazione della sua opera da una forza inconsapevole, l’ispirazione, che riempie di entusiasmo la sua volontà creativa. L’arte nasce dal controllo consapevole di questa energia inconscia che è l’ispirazione. Realizza in concreto quell’unità che invano cerca di cogliere la conoscenza riflessiva. L’arte realizza prodotti finiti che racchiudono significati infiniti. “Il carattere fondamentale dell’opera d’arte è un’infinità priva di coscienza. Oltre quanto vi ha messo con un’intenzione manifesta, l’artista sembra aver esposto nella sua opera, per così dire istintivamente, un’infinità che nessun intelletto finito è capace di sviluppare interamente. Prendiamo, per illustrare in modo perspicuo, un solo esempio: la mitologia greca, di cui non si può negare che contenga un senso infinito e simboli per tutte le idee, è nata in seno a un popolo e in una maniera tali, l’uno e l’altra, da far ritenere impossibile un’intenzionalità permanente nell’invenzione e nell’armonia con la quale il tutto si trova unificato in un unico vasto insieme. Così avviene per ogni vera opera d’arte, perché essa, quasi vi fosse in lei un’infinità di intenzioni, è capace di un’infinita d’interpretazione, benché non si possa mai dire se questa infinità sia stata presente nell’artista medesimo o si trovi soltanto nell’opera d’arte. Al contrario, nel prodotto che unicamente simula il carattere dell’opera d’arte, intenzione e regola affiorano in superficie e paiono così delimitate e circoscritte che il prodotto non è altro che l’impronta fedele dell’attività conscia dell’artista e, con ciò, un oggetto soltanto per la riflessione, ma non per l’intuizione, la quale ama sprofondarsi in quel che intuisce e può trovar quiete unicamente nell’infinito”.7 L’artificio manca della profondità creativa, poetica, propria solo dell’arte. È solo il frutto dell’abilità tecnica e del suo uso intenzionale e consapevole. L’arte arriva là dove la stessa filosofia non arriva, neppure nelle sue manifestazioni più elevate. “La filosofia – scrive Schelling – raggiunge bensì il punto più alto, ma conduce fino a questo punto, per dir così, soltanto un frammento dell’uomo. L’arte conduce l’uomo intero, così com’esso è, fino a quel punto, cioè alla conoscenza del supremo, e su questo riposa l’eterna differenza e il miracolo dell’arte”.8 L’arte è “l’unico vero ed eterno organo della filosofia e insieme l’unico documento che rende testimonianza sempre e incessantemente a ciò che la filosofia non può esporre esternamente, e cioè il privo di coscienza nell’agire e nel produrre, e la sua identità originaria con il conscio. Appunto perciò l’arte è per il filosofo quel che vi è di supremo, perché gli apre per dir così il sancta sanctorum ove in eterna e originaria unione, quasi in un’unica fiamma, arde ciò che nella natura e nella storia è separato, e ciò che nella vita e nell’agire, come nel pensiero, deve eternamente fuggirsi. La visione della natura che il filosofo si costruisce artificiosamente è per l’arte quella originaria e naturale. Ciò che chiamiamo natura è un poema che giace nascosto in una segreta, meravigliosa scrittura. […] Un sistema è compiuto quando è ricondotto al suo punto d’avvio. E questo è esattamente il caso del nostro sistema. Infatti proprio quel fondamento originario di ogni armonia fra il soggettivo e l’oggettivo, fondamento il quale poteva venir esposto nella sua originaria identità unicamente tramite l’intuizione intellettuale, grazie all’opera d’arte è stato tratto fuori dal soggettivo e divenuto del tutto oggettivo, dimodoché abbiamo progressivamente condotto il nostro oggetto, l’io stesso, sino al punto in cui noi stessi stavamo quando iniziammo a filosofare. Ora, se soltanto l’arte riesce a rendere oggettivo, con valore universale, quel che il filosofo può esporre unicamente in modo soggettivo, c’è da attendersi […] che la filosofia, così com’è scaturita ed è stata nutrita dalla poesia nell’infanzia del sapere, e con essa tutte quelle scienze che per mezzo suo vengono recate a perfezione, una volta giunte alla loro pienezza, come altrettanti singoli fiumi riconfluiranno in quell’universale oceano della poesia da cui erano uscite. Quale poi sarà il tramite del ritorno della scienza alla poesia, non è in generale difficile a dirsi, questo termine intermedio essendo esistito nella mitologia, prime che fosse avvenuta questa separazione la quale ora sembra insuperabile. Ma come possa nascere una nuova mitologia, che non sia invenzione di un singolo poeta ma di una generazione nuova che quasi rappresenti, per dir così, un unico poeta, ciò è un problema la cui soluzione si può attendere solamente dai futuri destini del mondo e dal corso ulteriore della storia”.9 Note 1 Schelling, Sistema dell’idealismo trascendentale, a cura di Guido Boffi, Bompiani Testi a fronte 2006, pp. 53-58. 2 Ib. pp. 513-15. 3 Ib. p. 525. 4 Le membra di un poeta scomposto, smembrato. 5 Ib. pp. 527-29. 6 Ib. p. 529. 7 Ib. pp. 563-65 8 Ib. p. 585. 9 Ib. pp. 579-581. Torino 22 febbraio 2016 Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999. Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino. Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca. Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf) Plotino (pdf) L'altare della Vittoria e il crocifisso (pdf) Bibliografia Schelling, Lettere filosofiche su dogmatismo e criticismo, Nuova
deduzione del diritto naturale, ed. Sansoni 1958. Download |