SCHELLING: LE FILOSOFIE DELL'IDENTITA', DELLA LIBERTA' E QUELLA POSITIVA

TEORICI
Politici Economisti Filosofi Teologi Antropologi Pedagogisti Psicologi Sociologi...


SCHELLING: LE FILOSOFIE DELL'IDENTITA', DELLA LIBERTA' E QUELLA POSITIVA

(1775-1854)

Schelling

I - II - III - IV - V

Giuseppe Bailone

Il Sistema dell’idealismo trascendentale, il capolavoro del giovane Schelling, ha un grande impatto sulla filosofia e più in generale sulla cultura europea.

Tuttavia Schelling non è soddisfatto di quel punto d’arrivo: l’approdo all’assoluto, realizzato nella filosofia della natura e in quella dello spirito, pur manifestando la complementarità delle due filosofie, le mantiene distinte. Queste restano due prospettive unilaterali, che Schelling vuol superare. Vuole arrivare a una filosofia che parta dall’unità, assolutamente una.

Già nel 1801, con l’Esposizione del mio sistema filosofico si propone di costruire una filosofia che parta dall’Assoluto, inteso come unità e identità di soggetto e oggetto, di natura e spirito, di conscio e inconscio. Nel maggio del 1802 pubblica il dialogo Bruno, ovvero sul principio divino e naturale delle cose, presto seguito dagli Aforismi sulla filosofia della natura. In questi scritti e in altri composti negli anni successivi, fino al 1806, Schelling propone un Assoluto come radice indifferenziata di ciò che si presenta come distinto in natura e spirito, come uni-totalità veramente reale, rispetto alla quale le distinzioni e le opposizioni ne diventano l’apparenza. Nasce la “filosofia dell’identità”, come la chiama Schelling stesso, che usa anche le espressioni “filosofia dell’indifferenza” e “filosofia dell’uni-totalità”.

Quest’idea di Assoluto non piace affatto a Hegel che, nella prefazione alla sua Fenomenologia dello Spirito del 1807, la prenderà di mira evidenziando una divergenza filosofica profonda, anche se embrionalmente già presente negli anni dell’intensa collaborazione dei due filosofi. Adesso, però, la divergenza compromette anche i rapporti personali, e l’amicizia, nata a Tubinga durante gli studi universitari, non regge allo scontro.

Schelling presenta questa nuova filosofia come naturale sviluppo del suo pensiero, ma adesso la novità è grossa: il problema non è più quello di arrivare all’unità partendo dalle distinzioni, bensì quello opposto di spiegare come le differenze, le distinzioni, nascano dall’indifferenza, dall’identità; come dall’Assoluto nasca la pluralità degli esseri, l’opposizione di spirito e natura, di soggetto e oggetto, di conscio e inconscio?

Schelling respinge sia l’idea biblica e cristiana di creazione che quella neoplatonica di un passaggio graduale per emanazione dei molti dall’uno. E, nello scritto Filosofia e religione del 1804, aprendo al linguaggio e al pensiero religioso, parla di “salto” e di “caduta”.

L’arte perde il primato che aveva conquistato nel capolavoro del 1800 e lo riconsegna alla filosofia, che però tende, quasi subito, a cederlo alla religione. E ciò avviene chiaramente nel 1809 con le Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana. La svolta è, come spiega Luigi Pareyson, profonda.

“Il concetto centrale dell’unità inseparabile di ideale e reale, spirito e natura, rimane, ma invece di dar luogo a una concezione panteistica e naturalistica di stampo goethiano, cioè d’un cosmo divino o d’un Dio tangibile, d’un Deus sive natura vivente in herbis et lapidibus, dà luogo a una concezione teosofica e cristiana, in cui Dio ha una sua natura, abissale e profonda, dalla quale egli emerge liberamente e sulla quale egli trionfa luminosamente, in una drammatica lotta tra bene e male su cui si profila l’esito finale della redenzione. […] Così non è eliminata l’identità degli opposti e la loro indifferenza nell’assoluto, cioè in Dio, ma ciò viene inteso nel senso che in Dio vi è l’antitesi, il principio del male, la volontà cieca, il desiderio e l’egoismo; viene mantenuta quella specie d’immanentismo che oscilla fra panteismo e panenteismo, ma ciò significa adesso che, una volta inserita in Dio l’opposizione e la lotta fra i principi, con la vittoria finale del bene sul male, della luce sulla tenebra, dell’intelletto sul desiderio, s’instaura in Dio stesso un divenire, nel senso che Dio non tanto è quanto piuttosto diviene, cioè è Dio in quanto diviene tale, diviene se stesso, si fa persona, donde lo sfumarsi del panteismo in teismo.

V’è dunque una natura in Dio, che è il fondamento oscuro della sua esistenza. Su questo fondamento si basa l’esistenza delle cose, che in tal modo sono divise da Dio pur non essendo fuori di lui, e da questo fondamento si origina il male, che in tal modo risale a Dio senza essere imputabile a lui. Infatti, Dio non si riduce al suo fondamento, ma su di esso produce se stesso, traendosi fuori da quell’abisso: se si vuole un Dio vivente e personale, bisogna attribuirgli quella contraddizione che è la condizione della vita e quella genesi che è la condizione della personalità: la vita risulta da un contrasto di principi opposti, l’ira e l’amore, la volontà egoistica e la volontà razionale, il desiderio incosciente e la luce dell’intelletto; la personalità risulta da un ritorno su di sé, da una presa di coscienza di sé, e quindi da una storia e da un divenire; sì che per quanto ciò assurdo possa sembrare, Dio ha in sé un contrasto e una storia: egli per un verso se fosse puro spirito non sarebbe Dio vivente, e per l’altro se non avesse una nascita non sarebbe Dio personale. Lo spirito da solo non è fruttuoso, e Dio stesso non è solo spirito, ma è anche natura, e senza questa natura, principio del finito e remota origine del male, non solo non ci sarebbe il mondo delle cose, né il male di cui è autore responsabile l’uomo, e lui soltanto, ma non ci sarebbe nemmeno Dio, il quale si afferma come tale solo come vita e personalità, cioè come vittoria sul male e sulla sofferenza ch’egli ha in se stesso.

A una filosofia che accentua soprattutto la natura e l’arte, e che si affisa soprattutto sulla contemplazione dell’evidenza e della perfezione, e che mette in luce specialmente l’immanenza e l’organizzazione, la necessità e l’uni-totalità, si va dunque a poco a poco sostituendo una filosofia che accentua piuttosto la storia e la religione, e che preferisce ricordare il mistero e il male, il profondo e il dolore, l’abisso e l’angoscia, cioè gli aspetti oscuri tanto in senso sorgivo e potenziale, e quindi positivo, quanto in senso dichiaratamente negativo, e ama ricordare che la vita è piuttosto contrasto che armonia, e implica la libertà e la volontà, la decisione e lo sforzo, e consiste nella lotta dell’intelletto contro il desiderio, dell’amore contro l’egoismo, della luce contro le tenebre, sì che l’armonia può essere soltanto finale, come vittoria in quella lotta e come definitivo superamento del male, dell’errore e del dolore”.1

C’è, in questa concezione del male, l’influenza di un filosofo e mistico tedesco, vissuto a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento, Jakob Böhme. Si tratta, infatti, di un’idea lontanissima da quella agostiniana del male come non essere, viva nella tradizione del pensiero cristiano, soprattutto protestante, e rinvigorita in tempi vicini da Leibniz.

Nel settembre 1809, la morte per tifo dell’amatissima moglie Carolina getta Schelling in una lunga e sofferta solitudine. Lentamente si riprende da questa prostrazione, meditando e scrivendo, ma non pubblica nulla per molto tempo. Assiste al trionfo del rivale e non più amico Hegel. Lavora molto ma non è sereno: lo agita il timore di non riuscire a dar forma definitiva alle sue nuove visioni filosofiche. È cambiato anche il suo atteggiamento nei confronti della situazione europea: le sue posizioni politiche sono ormai molto lontane dall’entusiasmo giovanile per la rivoluzione francese; si trova adesso in sintonia con lo spirito della Restaurazione e di Metternich, fino a vivere, poi, gli avvenimenti del Quarantotto sulla sponda reazionaria.

Nel 1812 si risposa. Dal nuovo matrimonio nascono sei figli. Ritrova serenità esistenziale e buone condizioni di lavoro, ma continua a non pubblicare le cose che scrive, mentre circolano molti appunti presi dagli alunni alle sue lezioni. Solo nel 1834 pubblica una breve prefazione alla traduzione tedesca dei Frammenti filosofici di Victor Cousin. In essa, in particolare, compare il termine “positivo”, per caratterizzare, in polemica col razionalismo hegeliano, il nuovo corso della sua filosofia.

A capire il significato di questo termine “positivo” ci può aiutare una comune esperienza: quando si teme di avere un qualche male, il medico prescrive analisi di laboratorio per la ricerca di eventuali batteri o altri elementi, conosciuti come causa di quel male; se il risultato è negativo siamo contenti; se, invece, è positivo cominciamo a preoccuparci, perché sappiamo che nel nostro corpo c’è la causa di quel male. Positivo, in questo caso, significa “che risulta presente”, “che c’è”, che quel tal batterio, della cui essenza la scienza medica ha una sicura conoscenza, ce l’abbiamo proprio in corpo. Significa, quindi, più in generale, che per sapere dell’esistenza di una cosa non basta conoscerne il concetto; significa che esistenza ed essenza non sono la stessa cosa; significa che l’esistenza di una cosa è un dato di fatto, che non si può dedurre dal puro concetto della cosa stessa.2

La filosofia hegeliana, secondo Schelling, ha trascurato questa radicale differenza tra essenza ed esistenza delle cose e ha costruito una filosofia della storia puramente concettuale, razionale, senza tener conto della realtà fattuale, perché convinta di ricavarla da quella comprensione razionale.

Schelling pensa, come Hegel, che nella storia si manifesti il disegno di Dio, ma il Dio di Schelling non è, come abbiamo appena visto, solo ragione.

L’esistenza di Dio e delle cose impone che la filosofia ne tenga conto, che sia positiva e non si costruisca come movimento solo concettuale.

Le cose impongono la loro presenza ai nostri sensi. Dio, però, non è oggetto di esperienza sensibile: come possiamo acquisire il dato della sua esistenza?

Per Schelling, in questa fase del suo pensiero, Dio si rivela nei miti pagani e nei libri sacri. Pertanto, la filosofia deve cedere alla religione, che si fonda sulla rivelazione, e non solo sui concetti: la rivelazione manifesta una realtà (un positivo) non raggiungibile né con i sensi né con la sola ragione.

Il corso di questa nuova filosofia, Schelling lo articola, quindi, in filosofia della mitologia e filosofia della rivelazione: per lui, infatti, Dio si è rivelato non solo nei testi sacri biblici, ma anche nella mitologia pagana.

Di questa filosofia tiene corsi universitari a Monaco e, a partire dall’autunno del 1841, a Berlino, dove gode di una sorta di rivincita su Hegel, morto nel 1831 e la cui scuola si è divisa in destra e sinistra, in termini sia culturali sia politici.

La filosofia della mitologia si occupa della religione naturale, cioè dell’idea del divino che l’uomo, senza rivelazione biblica ed evangelica, acquisisce nel suo rapporto con le manifestazioni della natura. Nella fase storica del politeismo Dio si rivela nella natura come necessità, mentre nella rivelazione positiva si manifesta come persona vivente e come libertà.

La filosofia della mitologia si occupa delle religioni precristiane e politeiste, mentre la filosofia della rivelazione ha per oggetto il cristianesimo. Con questa impostazione, Schelling presenta un cristianesimo preceduto, più che dalla storia biblica, da quella pagana antica. Inoltre, richiamandosi a Gioacchino da Fiore e a Lessing, pensa a un terzo momento della filosofia positiva, quello della religione filosofica. Egli, cioè, riprendendo l’andamento triadico, d’ispirazione neoplatonica, pensa al processo di tre età: quella passata, che rappresenta il momento del fondamento da cui Dio oscuramente scaturisce; quella presente che è l’esplicazione di Dio nel mondo; quella futura del necessario ritorno del mondo a Dio.

Schelling muore nel 1854.

Note

1 Luigi Pareyson, Schelling, Marietti 1975, pp. 48-50.

2 Si tratta dell’argomento che Kant aveva usato contro la prova ontologica dell’esistenza di Dio. Prova, che, non a caso, Hegel condivide.

Torino 7 marzo 2016

Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999. Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino.

Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca.

Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf) Plotino (pdf) L'altare della Vittoria e il crocifisso (pdf)

Bibliografia

Schelling, Lettere filosofiche su dogmatismo e criticismo, Nuova deduzione del diritto naturale, ed. Sansoni 1958.
" , Introduzione alle Idee per una filosofia della natura in L'empirismo filosofico e altri scritti (a c.di G. Preti), La Nuova Italia 1967.
" , Sistema dell'idealismo trascendentale, Laterza 1965.
" , Esposizione del mio sistema filosofico, Laterza 1969.
" , Scritti sulla filosofia, la religione e la libertà, Mursia 1974.
" , Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà umana, Laterza 1974.
" , Lezioni monachesi sulla storia della filosofia moderna, Esposizione dell'empirismo filosofico, Sansoni 1950.
" , Filosofia della rivelazione, Zanichelli 1972.
" , Schelling (a c. di Pareyson), Marietti 1975.
" , Bruno, Bocca Torino 1906.

Download


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
 - Stampa pagina
Aggiornamento: 12-04-2016