TEORICI
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PLOTINO: antropomorfismo e teomorfismo I - II - III - IV - V - VI - VII - VIII - IX - X - XI - XII - XIII - XIV - XV
Giuseppe Bailone Vittorio
Mathieu vede in Plotino il filosofo che combatte l’antropomorfismo
di Democrito e propone una concezione “teomorfa” della
natura. Quello
di Democrito non è, secondo Mathieu, un antropomorfismo
dell’essere, quale era, ad esempio l’antropomorfismo
religioso già criticato da Senofane, ma un antropomorfismo
dell’attività, dell’operare. Il
primo antropomorfismo consiste nel concepire la natura o il divino al
modo in cui siamo fatti noi uomini, mentre il secondo consiste nel
pensare l’operare naturale o divino al modo in cui operiamo noi
uomini. Mathieu,
un plotiniano del nostro tempo, chiama “materialismo”
questo antropomorfismo dell’operare e vede in Plotino il
critico più radicale di esso. “La
concezione plotiniana della natura è antiantropomorfica.
Se tutto il divenire dipendesse dal muoversi degli atomi nel “gran
vuoto”, come voleva Democrito, tutto sarebbe in linea di
principio in podestà dell’uomo. Potrebbe darsi,
ovviamente, che a certi risultati l’uomo non riesca a giungere
perché gli mancano, o le forze, o strumenti abbastanza minuti,
e tempo e pazienza sufficiente per produrre tutti gli spostamenti di
atomi necessari. Ma non si tratterà di un’impossibilità
di principio. Se si immagina un demiurgo così potente e
preciso da afferrare con pinze minutissime, o altro strumento adatto,
qualsiasi atomo, e accostarlo e scostarlo nel modo debito rispetto a
qualsiasi altro, è chiaro che ogni trasformazione pensabile
potrebbe essere progettata ed eseguita da un demiurgo siffatto,
secondo lo stesso procedimento con cui opera l’uomo. L’uomo
perciò non sarebbe altro che una figura molto ridotta di
questo demiurgo: inferiore ad esso, non per il modo di operare, ma
solo perché incapace di mettere mano sui costituenti ultimi
della realtà. (…) La fortuna dell’atomismo ha una
ragion d’essere ben precisa: esso interpreta l’intero
divenire cosmico come se fosse tale che in linea di principio,
potremmo produrlo noi. E poiché noi conosciamo e spieghiamo
scientificamente un fenomeno quando sappiamo come eventualmente
potremmo produrlo, è chiaro che l’atomismo è
l’interpretazione della realtà che risponde all’ideale
della scienza (due millenni prima che la scienza moderna si
formasse)”.1 “Plotino
contesta nel modo più radicale che la natura operi come
operiamo noi, presupponendo elementi dati e progettandone la
ricombinazione. E, quel che è più, nega che operiamo
solo
così anche noi. La sua teoria dell’azione come
“contemplazione”, riferita insieme a noi e alla natura, è
questa negazione. (…) La natura è per Plotino
“teomorfa” (se per Dio s’intende l’Intelligenza),
non antropomorfa, e l’essenziale dell’uomo è la
sua capacità di operare al modo in cui operano i logoi
della natura, non di intendere quelli al modo in cui opera la nostra
ragione, discorsiva e strumentale”.2 Ma,
se “l’essenziale dell’uomo è la sua capacità
di operare al modo in cui operano i logoi
della natura” e se questo operare è teomorfo, in
questione non è l’antropomorfismo dell’operare,
bensì il tipo di operare che l’antropomorfismo
prospetta. Se l’uomo è capace di attività
diverse, alla prima distinzione proposta da Mathieu, quella fra
antropomorfismo dell’essere e antropomorfismo dell’operare,
conviene aggiungere una seconda distinzione, basata sulla differenza
tra l’azione umana tecnica e quella, altrettanto umana,
artistica e contemplativa. Se
si scrive che l’uomo è per la sua essenza capace di
azione teomorfa, si deve poi ammettere che l’azione della
natura e di Dio risultano antropomorfe, simili all’attività
umana. Certo, non simili all’attività “materialistica”
della ragione discorsiva e strumentale, che promuove
l’antropomorfismo criticato, ma simili all’attività
contemplativa. Se
l’uomo assomiglia a Dio, infatti, Dio assomiglia all’uomo. Il
rapporto tra l’uomo plotiniano e l’Intelligenza divina è
analogo a quello tra l’uomo democriteo e il superdemiurgo di
cui sopra. In entrambi i casi l’attività è
simile, la differenza è di potere. L’antropomorfismo
è un limite che è illusorio voler superare, se non si
vuole rinunciare ad una spiegazione razionale della realtà. Del
resto, Plotino non esita a offrire del mondo intelligibile immagini
tratte dal mondo umano, come, ad esempio, nel passo che segue. “L’Uno
troneggia e siede al di sopra del Nous
come sopra un bel piedestallo che a Lui è sospeso. Se Egli
deve avanzare, deve incedere non sopra qualcosa di inanimato, e
nemmeno direttamente sull’Anima; ma dinanzi a lui deve trovarsi
un essere immensamente bello, così come dinanzi ad un gran re
s’avanzano, nel suo corteo, dapprima personaggi di minor conto,
poi uomini sempre più elevati in dignità, poi chi è
più vicino al re ed ha incarichi di maggior responsabilità,
infine chi, dopo di lui, riceve i più grandi onori; dopo di
loro ecco all’improvviso apparire il re stesso nella sua
maestà: i presenti lo venerano e lo adorano, se non se ne sono
già andati, paghi di aver visto il suo corteo”.3 In
realtà, nel proporre Plotino come campione
dell’antiantropomorfismo, Mathieu vuol far dire a Plotino che
l’uomo non è padrone della natura, non può
dominarla interamente con la tecnica e deve riconoscere il limite in
ciò che la natura e lui stesso hanno di “teomorfo”,
di divino. “Il
progettare è un modo di riferirsi alla realtà che è
in noi inevitabile, ma che intrinsecamente è carente, perché
proprio di una condizione d’indigenza o di bisogno. L’uomo
non può farne a meno, perché si trova “gettato
quaggiù”, ma la natura non ha questa origine.
L’artificiale, il “fatto da noi”, non adeguerà
mai la natura, che “nasce” diversamente. Il nostro agire
artificiale sulla natura rimane necessario, ma diviene disastroso se
non si riconosce questa sua inadeguatezza”.4 La
natura, dice il Plotino di Mathieu, non si lascia ridurre al dominio
integrale dell’uomo. “La
natura resiste, e noi dobbiamo capirne il perché. Il residuo
può ridursi, ma non scompare. Pensare che possa sparire,
lasciandoci padroni assoluti, è un atto di superbia
intellettuale che ci manda a picco; e quanto più la scienza,
con i suoi successi, ci induce a credere che il residuo scompaia,
tanto più la filosofia deve avvertirci che non sarà mai
così. (…) Ciò
che dal punto di vista della scienza è un “residuo”
oscuro, da ridurre via via e da spostare più in là, dal
punto di vista della filosofia neoplatonica è l’essenziale:
la natura è il rapporto con l’”intelligibile”,
che non si può costruire, perché la sua ricchezza
infinita è racchiusa nel semplice,
e il nostro rapporto con lui non è una relazione esterna,
perché lui è il nostro stesso essere.
Quell’essere la scienza lo giudica, giustamente,
“intrattabile”, in quanto si presenta nell’essenza,
da cui la scienza prescinde. C’è,
quindi, tra scienza e filosofia, un rovesciamento assiologico che,
tuttavia, non può dichiararsi necessario: è oggetto di
un’opzione,
e Plotino e i materialisti optano in due modi contrari”.5 L’antimaterialismo
di Plotino, diretto allora contro Democrito ed Epicuro, è per
Mathieu, oggi, straordinariamente attuale: “Il programma di
Epicuro fu reso attuabile dal metodo di Galileo, e i successi di
questo procedimento, inimmaginabili al tempo di Plotino, sono oggi
imponenti. Ma gli inconvenienti di una sua unilateralità sono
a loro volta visibili, ed è merito di Plotino averli fin da
allora individuati”.6 Sembra
che per Mathieu, in mancanza di un limite religioso e metafisico,
l’uomo non sappia darsi una misura. Se, già nel mondo
antico, Democrito ed Epicuro avevano costruito un’etica della
misura razionale, perché i moderni materialisti non dovrebbero
riuscire a fare altrettanto, magari imparando dai loro antichi
maestri, dai limiti che la scienza incontra e dagli effetti, non
sempre quelli desiderati, dei suoi interventi tecnici sulla natura? Perché
il materialismo dovrebbe essere necessariamente unilaterale e senza
limiti morali? Non
corre lo stesso, ma opposto, rischio di unilateralità lo
spiritualismo?
Note 1
Vittorio Mathieu, Come leggere Plotino, Bompiani 2004, pagg.
32-33. 2
Vittorio Mathieu, Come leggere Plotino, Bompiani 2004, pag.
124. 3
Enneade, V, 5, 3. 4
Vittorio Mathieu, Come leggere Plotino, Bompiani 2004, pag.
120. 5
Vittorio Mathieu, Come leggere Plotino, Bompiani 2004, pag.
121. 6
Vittorio Mathieu, Come leggere Plotino, Bompiani 2004, pag.
119. Fonte: ANNO ACCADEMICO 2009-10 - UNIVERSITA’ POPOLARE DI TORINO Torino 8 gennaio 2010 Giuseppe Bailone ha pubblicato
Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999. Nel 2006 ha pubblicato
Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino. Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione
Università Popolare di Torino,
Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca.
Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna
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