TEORICI
|
|
|
GIANNI GRANA MALAPARTE SCRITTORE D’EUROPA Atti del convegno (Prato 1987) e altri contributi Questo libro prevedibilmente fortunoso, per vicende esterne e interne che non è il caso di rievocare, vede la luce che gli è destinata con anni di ritardo, rispetto al precedente convegno promosso dal Comune di Prato per il trentennio della morte di Malaparte. Ritardo di cui nemmeno serve scusarsi, tanto poco o nulla sono mutate – né potevano – le condizioni culturali in cui quelle pagine furono lette, in particolare i miei interventi a contrasto, in quella sede pubblica. Le motivazioni e gli argomenti di allora valgono identicamente oggi, a rifiutare i moduli banalizzanti di una critica pubblicistica (anche se firmata da ‘accademici’), stancamente ripetitiva per mestiere e irriflessione pregiudiziale. Ma non anticipo qui i temi di discussione dei testi più significativi che seguiranno, largamente revisionali per quanto mi riguarda, anche e proprio - determinatamente – a partire da valutazioni storico-culturali e di costume. Sullo stesso piano generale cioè della responsabilità e del ruolo degli intellettuali, a cui per quasi mezzo secolo viene inchiodato Malaparte, per una supposta esemplarità negativa. Nella quale è doveroso e corretto che eventualmente ci si specchi un po’ tutti, come io qui propongo mi auguro senza scandalo, e anzi se possibile con qualche séguito tacito o espresso, specialmente fra i giovani d’intelligenza più libera e meno compromessa. Quanto all’ordinamento del libro, non corrisponde precisamente a quello del convegno, ma comunque risponde a una logica interna di proposizioni e gradualità, fra ragioni confutatorie (mie) e proposizioni critiche (mie e altrui). E anzitutto con piacere, dopo le utili considerazioni generali del Sindaco pro tempore Lucarini, ho voluto premettere il testo dell’intervento in parte estemporaneo ma poi controllato sulla registrazione trascritta di Maria Antonietta Macciocchi, per la testimonianza personale e – dirò così – per la fedeltà confermata alla memoria dello scrittore, in concordanza con altri suoi interventi sulla stampa europea che le dà voce, "Le Monde" e il "Corriere della Sera" verticali. Interessa qui particolarmente, nella sua oralità, perché la stessa Macciocchi è, dalla sua e nostra giovinezza, una intellettuale impegnata in certo modo rappresentativa, nel suo lungo corso dalla milizia comunista, quando era giovane direttrice di "Vie Nuove", al transito coi radicali nelle aule parlamentari, al balzo nelle aule universitarie della Sorbonne accogliente: nonché alle promenades (La donna con la valigia) nell’Europa cristiana italo-francese, per gli incontri scalari con Braudel e Le Goff e Eco, fino alla genuflessione ai piedi di papa Wojtyla, a interrogare uomini numi sul "futuro d’Europa". Piace premettere il suo intervento, credo rassicurante per i fedeli di ogni confessione e indirizzo privato e pubblico, perché qui – liberamente come me infedele – esprime punti di vista generali distanti dai miei, e forse inconciliabili. Che tuttavia possono bene coesistere qui nel nostro piccolo palco, se convivono anche istituzionalmente nella cultura generale, non solo e non tanto nella mitica-vera "Italia barbara" che ancora ci deprime, quanto e proprio nella storia contrastata della "Europa vivente", civile e moderna per questo nella sua falsa unità mercantile. Forse fra i rari superstiti, in questa Europa già egemonizzata nella cultura dal marxismo e ora aperta a una rievangelizzazione promessa, pratico il rischioso esercizio del "libero pensiero", il più radicalmente laicizzato, in tutta l’estensione possibile della "libertà di pensare" e contraddire, dall’arte alla politica alla religione in ascendenza reversibile. Specialmente in pacifica da più anni nelle reazioni, ricorrenti anche in sedi pubbliche, su spinosi presupposti politico-culturali da remota tradizione, di struttura e di costume, permanenti come condizioni nell’esercizio del mestiere di scrivere, nei suoi vizi ereditati e nelle sue difficoltà e compromissioni pubbliche, ieri e oggi e non solo in questo paese. Di tutto ciò non potevano mancare riflessi irresistibili nei miei interventi al convegno, che qui si leggeranno, per la stessa forza di richiamo obbligante nella circostanza, della discussa esperienza "interventista" di Malaparte, della sua controversa ‘figura’ etico-culturale. Secondo me anche un convegno di ambizioni limitate come questo non dovrebbe solo darsi come semplice esibitoria "manifestazione culturale", finalizzata cioè al solo "manifestarsi", per interessi pubblicistici e accademici, economici e politici, per sgravi fiscali ecc. come molti in genere: dovrebbe tendere a proporsi come "operazione culturale", sia pure circoscritta negli obiettivi e nelle possibilità organizzative. Così io ho visto tentando di coordinarlo il convegno, e così ho inteso la formazione di questo volume, corrispondendo esattamente ai fini istituzionali per cui il convegno e il libro sono stati programmati, con altre "manifestazioni" e scritti laterali, immagini ecc. non tutti ugualmente concorrenti al ‘profilo’ critico dello scrittore. Per quanto mi riguarda, solo un impulso agonistico poteva indurmi a accettare l’invito istituzionale a "intervenire", a dare un certo impegno d’indirizzo non ritualistico, mentre nella stampa si rileggevano – sullo scrittore scomparso da trentanni – le note e abusate formule, esercitazioni di tiro che dovrebbero oramai dirottarsi su bersagli meno ovvi e più prossimi, anche in reciproca restituzione. Le mie pagine qui riflettono anzitutto questo bisogno di contraddizione, in parte di rilettura e ri-valutazione complessa, con altri contributi non numerosi e variamente coispirati, che qui pure si leggeranno, di critici italiani e stranieri. Su cui qualche volta ho creduto doveroso intervenire in discussione, all’interno delle mie relazioni, o esprimere riserve anche solo con una notazione rapida in calce, nella responsabilità complessiva del volume. Giacché non sfuggirà che – come in ogni raccolta quasi imposta come questa – vi sono qui anche apporti di fiato più corto e in qualche caso di interesse periferico, accolti sia perché ebbero ascolto nel convegno sia perché attestano comunque di una volenterosa partecipazione. Mi è sembrato perciò utile riproporre in una ultima sezione pochi saggi e articoli sensati, apparsi negli ultimi anni, a cui seguono i cospicui risultati di ricerche bibliografiche disposte nella Biblioteca A. Lazzerini, la cui necessità oggettiva per lo studio biografico e critico non può essere sottovalutata. Si è dovuto invece rinunciare al testo registrato della "tavola rotonda" che concludeva il convegno, sulla "fortuna editoriale di Malaparte", già perché questo è un genere di improvvisazioni orali piuttosto opinabile (a cui personalmente mi sottraggo, come nella circostanza), e che se può valere all’ascolto di un pubblico disinformato, quasi mai resiste a una lettura attenta in libro. E’ un fatto che anche questa, malgrado la partecipazione di dirigenti dell’editoria cuspidale, come Guerri e Gelli, ma in assenza per es. non spiegabile di un editore malapartiano tradizionale come Vallecchi, mi pare risulti alla lettura improntata a notevole genericità, su dati ancora scarsi e di dubbio rilievo critico, pure nell’ambito specifico. Dati sicuramente confutabili per infondatezza sono quello che Malaparte sarebbe "l’autore italiano del Novecento più tradotto del mondo" (perché Kaput ha avuto, secondo le bibliografie citate, 58 traduzioni e La pelle 38), o che i libri di Malaparte venduti (non solo stampati) in tutto il mondo si aggirerebbero introno ai dieci milioni, cifra sparata senza alcuna possibilità di calcolo ponderato. Chiunque si occupi seriamente di simili problemi, come a me è occorso in altre stagioni, sa che dati come questi hanno un senso solo se estesi e il più possibile precisi, tali da consentire la più larga comparazione, a cui però deve seguire subito l’analisi critica, con riferimento specifico ai libri, a motivare variamente le ragioni del "successo". I dirigenti editoriali sanno bene che il successo di un libro contemporaneo è il più delle volte ‘costruito’, e comunque dovuto a ragioni esterne di ‘attualità’ e suggestioni immediate; e che le traduzioni sono più spesso frutto di scambio editoriale avventuroso che di scelta oculata. Nulla insomma autorizza all’esplosiva affermazione che la fortuna editoriale di Malaparte si può dire cosmica", se si considera che fra gli autori italiani più tradotti nel secolo sarebbero, con Pirandello, anche Salgari Invernizio e Papini, e che certamente più tradotti di Malaparte sono Moravia o Silone. Ma seppure fosse un dato attendibile, quale conclusione significativa potrebbe trarsene, se non quella che uno scrittore certamente "libero" come Malaparte, autore di molti libri di qualità letterarie mai deteriori e spesso eccellenti, uno scrittore che ha una così vasta notorietà in patria e nel ‘mondo’, dovrebbe avere anche per questo la più seria e attenta valutazione oramai storica, fuori dei pregiudizi ideo-moralistici correnti. E’ la conclusione ragionevole che io traggo dalla lettura sommaria di questi dati bibliografici, e che rilancio nell’offerta del libro che siamo riusciti a comporre, fra confutazione e proposizione, con la coscienza netta dei nostri limitati mezzi ma anche, più latamente, nella relatività delle condizioni presenti di minimo ascolto in cui operiamo, oscurati dal gigantismo mercantile dell’editoria e dell’industria concentrate, nella nuova Italia civile e moderna che l'Europa capitalizzata oramai felicemente integra in assimilazione.
Biografia - Le avanguardie letterarie - John Dewey e la metodologia americana - Diomorto (Autoreferenza critica) - La rivoluzione fascista - L'iper (dis) funzione critica - Malaparte scrittore d'Europa - Luigi Pietrobono e l'allegorismo - Realismo e Avanguardia dall'800 al 900 - Frane e spirali del sapere - Diomorto e Uomovivo/Uomosolo - I vicerè e la patologia del reale - Babele e il silenzio: genio "orfico" di Emilio Villa |